Era solo un'extrasistole

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(1997)

Il cuore batte asincrono
e un pendolo tagliente
spezza la notte in schegge per l'insonnia più insolente
zanzare i miei pensieri che
s'appressano all'orecchio
ed il cuscino è un sasso freddo e frigido ed invecchio

E tu che se telefono
mi dici di star zitto
non posso lamentarmi
non ne ho proprio il diritto
ho un posto ho un nome ho un numero
due esami ogni sessione
è solo un esercizio questa mia disperazione

La vita ha le sue tattiche per farti stare in pari
affolla le rubriche gremisce i calendari
appuntamenti ed assemblee e colloqui di lavoro
tu cedi solo un attimo e sei già in fila col coro

La vita ha le sue strategie per farti stare al gioco
anche se il polso è debole e il cuore scarta un poco
impulsi elettrostatici ti guidano al magnete (*)
tu cedi appena un minimo e sei già in fondo alla rete

E tu se poi telefono
mi dici di tacere
so solo lamentarmi
ormai è il mio mestiere
il mondo intero oscilla sui
miei sbalzi di pressione
è un gioco stanco e logoro la mia disperazione

E tu che se telefono
stai zitta e non ascolti
con l'aria di chi come me
ne ha compatiti molti
si spegne e non ricarichi
non hai più compassione
è solo un'extrasistole la mia disperazione



(*) No, temo proprio che non abbia senso.
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Che ora hai detto ch'era?

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IMPARA QUAND'È ORA DI SMETTERE (1998)


Impara quand'è ora di smettere
di chiuderti in buste da lettere
di fingere di esser sincero
di offrirti per niente anche intero
                                               - per gente
che poi non ti sa dove mettere

impara quand'è ora di chiudere
di scegliere eleggere escludere
di verificare gli impegni
intascare gli assegni
e mostrarsi ai convegni quando utile

non vedi di quanto ridicolo
ti sei reso contro te stesso colpevole?
hai morso il cuscino e il telefono
a un graffio sul cofano
non sai mai quand'è ora di smettere

impara che è l'ora di stringere
di esser sincero nel fingere
di avere i tuoi soldi da parte i tuoi amori da parte
i tuoi sogni da parte
si parte
          da un investimento iniziale
                       da un coinvolgimento parziale
                                   l'interessamento è graduale
                                           il guadagno finale 
si avrà con lo sforzo costante

non vedi da quale distanza con quanta impazienza
hai preteso di armarti e combattere?
mosche ne hai prese abbastanza
ora lascia la stanza
che suonano l'ora di smettere
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Manca sempre qualcosa

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1998

Un biglietto del treno timbrato,
un fischietto che mi hanno prestato,
quattro libri che ho fotocopiato,
una spilla (la stella col Che?)

Cinque dadi rubati al destino,
un coriandolo di un volantino,
una gomma ed un vecchio scontrino
(un panino, una pasta, un caffè);

quattro mesi di appunti a quadretti,
una sveglia scassata. Picchetti
da tenda, due penne, tre plettri,
un rosario di plastica, blu;

un'arancia che ormai è andata a male
il santino del tuo funerale
una bozza di un redazionale
e il mio cuore. Anzi, no, non c'è più.
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Lo zoo di Cinzia

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Lo zoo di Cinzia (1999)

Cosa c'è che non va con Pitone?
È affettuoso, ed è un simpaticone.
Ma al commiato notturno, lo so,
se ti stringe anche un po'
sembra voglia ridurti a un boccone.

E di Granchio che cosa mi dici?
eravate, voi due, buoni amici;
ma anche Granchio le amiche le
stringe, ma ha solo le chele
e oramai ha anche solo nemici.

Non ti resta che uscire col Gallo:
se non altro sa tenerti in ballo.
Certo ha modi da professionista,
da collezionista,
ed al collo un cornetto in corallo.

A proposito, ha chiamato il Rospo,
perché ha già prenotato in quel posto.
Basta un bacio ed è convinto che
gli apriranno il privé
(ma tu non sei in città, gli ho risposto).
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Il ritorno di Calcinculo

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Kick-ass 2 (Jeff Wadlow, 2013)

Non mi ricordo nemmeno chi dei due sta convincendo l'altro che mettersi il costume è il suo destino - si scambiano ruoli e battute, dai, è chiaro che sono due proiezioni della stessa persona.
Dave Lizewski è cresciuto. Sta per andare al college. Non è più quel coglione che mascherato da super-eroe se le faceva dare di brutto nei video più cliccati di youtube. O no? Da qualche parte nella sua testa riccioluta di tardo teen-ager annoiato si aggira ancora quella fantasia allucinata, la bambina assassina. È cresciuta anche lei, adesso ha, gasp, quindici anni. Ancora pochi per alimentare fantasie sessuali consapevoli, quindi continua a vivere in un fumetto iperviolento dove salva Dave dai criminali spaccando ossa e tranciando mani. Dave Lizewski non è cresciuto. Non può. Da qualche parte sa di essere anche lui il protagonista di un fumetto. E che malgrado ogni logica e verosimiglianza, si ricalcherà il cappuccetto verde in testa e si rimetterà a prendere botte in compagnia di qualche altro cosplayer sciroccato.

Ci sono vari motivi per cui un film di Kick-ass è più interessante di quasi ogni altro film di supereroi. Uno è Chloë Grace Moretz, la bimba assassina. Un altro è Chloë Grace Moretz, ora anche teen-ager alle prese con le risaputissime dinamiche dell'high school (indovina, ci sono tre cheerleader che la prendono di mira, ma lei è più tosta. C'è anche la gag sul vomito, che nelle comunità giovanili americane dev'essere una specie di tabù: chi vomita in pubblico perde automaticamente il suo status). Il terzo motivo è l'ambiguità fondamentale del concetto di Kick-ass, una serie che nasce per prendere per il culo i cosplayer (quelli che si travestano da personaggi alle convention), ma alla fine per esigenze di drammatizzazione finisce per trasformarli in eroi veri. È come se don Chisciotte a un certo punto, in virtù della sua purezza di cuore, diventasse realmente un grande cavaliere, e Ronzinante un focoso destriero, e Dulcinea prendesse le forme, che ne so, di Chloë Grace Moretz. Nel primo episodio Lizewski inaugurava le imprese facendosi accoltellare e investire da un'automobile; nel finale saliva su un grattacielo con uno zainetto a reazione. Succede più o meno la stessa cosa anche stavolta. La storia comincia nel reame del verosimile, raccontando di sfigati che per varie traversie esistenziali hanno deciso di andare in giro in maschera e opporsi al crimine, rischiando di farsi molto male. Non sono tutti nerd incurabili, c'è anche la coppia che ha perso un figlio e lo fa per tenere alta l'attenzione sul caso: il quarto motivo per cui Kick-ass è interessante è per questa commistione di ridicolo e struggente, purtroppo appena accennata.

Lentamente però si entra nel regno della fiaba; è un percorso irresistibilmente regressivo, in cui Chloë Grace Moretz ti prende per mano. Un quinto motivo per cui Kick-ass può darti i brividi, è che i due piani (realtà e fumetto) non combaciano mai bene, e ti suggeriscono che qualcosa non stia funzionando: lo stesso pugno può romperti il naso o rimbalzare. Forse qualcuno sta sognando. Forse l'unico vero supereroe, Chloë, in realtà non esiste, è soltanto un fantasma nella testa di Dave... (continua su +eventi!) Il suo coniglio fantasma. Una scheggia di infanzia che non si rassegna: non andrai mai al college, il tuo posto è qui, tra i fumetti. Presto o tardi il fiabesco prende il sopravvento. Un Jim Carrey quasi irriconoscibile è il mago sacrificabile che proverà a rifare di Dave un eroe. Christopher Mintz-Plasse è l’ex amico viziato delle medie: per trasfigurarsi in antieroe gli basta calcarsi in faccia le maschere sadomaso della mamma appena morta. Coi soldi dell’eredità ha deciso di finanziare una squadra di super-cattivi che sono, definitivamente, non di questo mondo; tra cui la gigantessa Mother Russia, protagonista di una delle scene più assurdamente violente e, lo confesso, divertenti.

Un sesto motivo per cui Kick-ass mi è piaciuto di più di tante altre trasposizioni da fumetti, è che non ho letto il fumetto. Chi lo conosce si sta già ovviamente lamentando delle edulcorazioni – però capiamoci; è pur sempre un film dove una quindicenne ti taglia le mani e una falciatrice da giardino può tranciare un paio di giugulari. È comunque interessante notare alcune autocensure: una riguarda uno stupro, ribaltato in farsa ma con un dettaglio realistico: come succede a molti violentatori veri, il supercattivo non riesce ad avere un’erezione, e quindi decide di compensare con le botte. L’altra riguarda un cane, con tanto di strizzata d’occhio dello sceneggiatore: a un personaggio umano si può tagliare la testa, al suo cane no. “Non sono così insensibile”, dice il perfido Chris.

Il settimo motivo per cui Kick-ass, a dispetto di molte recensioni insoddisfatte, mi ha divertito parecchio, è che io i cosplayer li sento torbidamente affini. Certo, non mi dispiacerebbe vederli tutti orrendamente menati. Ma poi appena qualcuno ci prova davvero comincio a sentirmi in pena. È che alla fine anch’io ho avuto per tanti anni una doppia vita, un’identità segreta. No, di notte non mi mettevo dei cappucci buffi, ma quasi. Mi bastava assumere un nick ugualmente buffo. E anch’io andavo in giro a caccia di bricconi, saltando di sito in sito; e li inchiodavo alle loro malefatte, e in qualche caso mi facevo pure male. Ero un blogger. Lo sono ancora. Da che pulpito posso fare la predica a uno sfigato come Dave. La sua fame di avventura la capisco benissimo. Lo sguardo rassegnato del padre, perché m’è capitato un ragazzo così, l’ho già visto. Calcinculo prima o poi crescerà. Ma fino ad allora, vai di calcinculo.

L’ottavo motivo è Chloë Grace Moretz – stavo per dimenticarmi che in questo film c’è Chloë Grace Moretz. In seguito ne farà tantissimi altri. Ma non avrà più sedici anni, e non assalterà più un furgone in vestito nero e camicetta bianca gridando ai gangster: “siete morti, succhiac****”.

Kick-Ass 2, indovinate, è al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo alle 20:20 e alle 22:40. È un film molto violento. Meglio aver già visto il primo episodio. Buon divertimento.
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Amori e crociate del dottor Miele

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Mi sa che resto al terzo stadio ancora per un po'.
Io mi fermo al terzo, voi?
20 agosto - San Bernardo di Chiaravalle (1090-1153), mistico antipatico

L'estate sta finendo, l'autostima è sotto i livelli di guardia? Il mistico Bernardo di Chiaravalle ci può aiutare. Nel suo trattato De diligendo Deo, Bernardo ci spiega come raggiungere il più puro amore per noi stessi, attraverso un lungo percorso che può prendere la vita intera. Dunque: in un primo momento noi ci amiamo, perché il nostro amore non può avere altri obiettivi, visto che conosciamo soltanto noi stessi; o meglio, crediamo di conoscerci. Ma presto ci rendiamo conto di non essere autosufficienti, e allora cominciamo a rivolgere il nostro amore a chi ci ha creato e ci sostenta, ovvero Dio. È il secondo stadio: amiamo Dio perché ne abbiamo bisogno, allo stesso modo in cui amiamo la mamma perché è un'estensione della tetta che ci nutre, egoismo puro. Ma è comunque amore, un punto di partenza. E nel frattempo cominciamo a ridimensionare il nostro ego, a renderci conto di quanto siamo piccoli, e così arriviamo al terzo stadio - quello a cui ragionevolmente possiamo puntare noi miseri peccatori: l'amore di Dio per Dio. Cioè non amiamo più Dio per i doni che ci fa, ma amiamo Dio perché è bellissimo in quanto Dio, come passare dall'amore per la mamma all'amore per Scarlett Johansson. E qui si fermano praticamente tutti, ammette Bernardo di Chiaravalle: il quarto stadio forse non è per i viventi. Comunque, se volete provarci, lo stadio finale prevede l'amore per sé stessi attraverso Dio. Sì, nel quarto stadio Bernardo ama Bernardo, perché è una creatura di Dio, e ciò che fa Dio non può essere che meraviglioso, sublime, cioè guarda Bernardo (e smetti di guardare Scarlett): non è bellissimo?

Ah, è così che ripassi la metafisica, eh?
In realtà è difficile da dire. Di lui ci rimane solo un po' di testa, gelosamente custodita nella cattedrale di Troyes. Il resto del corpo è stato spazzato via durante la Rivoluzione, succede. Era più facile che succedesse a Bernardo che ad altri, perché Bernardo, tanto venerato già in vita, tra tanti carismi non aveva quello della simpatia. Il tempo, in altri casi tanto equanime, non gli ha reso un buon servizio. Oggi lo si ricorda soprattutto per la famosa disputa con Pietro Abelardo, il filosofo più in voga dei suoi tempi (lui modestamente si definiva l'unico filosofo dei suoi tempi, e forse aveva ragione). Una contesa che ha un enorme valore simbolico: filosofia contro fede, scolastica contro misticismo... ma che in realtà verteva su argomenti teologici piuttosto tecnici: la solita Trinità, che Abelardo pretendeva di poter spiegare con qualche strumento filosofico, mentre Bernardo si contentava di ammirarla come un mistero della fede. Una vera e propria disputa, come ci piace immaginarla, non ci fu: Abelardo e Bernardo non si trovarono mai uno di fronte all'altro davanti a un pubblico. Come andò veramente al concilio di Sens non è ben chiaro - ognuna delle due fazioni cerca di tirare l'acqua al suo mulino - ma pare che prima dell'arrivo dell'avversario Bernardo si fosse già lavorato la giuria ecclesiastica, falsificando alcune tesi di Abelardo per accentuare l'odore di eresia. Un caso di straw man argument direttamente dal dodicesimo secolo. Il filosofo, avvertito della trappola in cui stava per ficcarsi, decise di marcar visita e annunciò che intendeva fare appello a Roma, dove sperava di avere ancora degli amici. Non doveva averne abbastanza, perché fu condannato quando era ancora in viaggio.

Trovò rifugio presso il monastero di Cluny, dove l'abate Pietro il venerabile intercedette per lui: passò l'ultimo anno della sua vita agli arresti domiciliari, ma poteva ancora insegnare. Aveva una sessantina d'anni, vissuti molto intensamente. Con Eloisa non si vedeva da più di venti. Però si scrivevano ancora. Anche lui, in fondo, malgrado tanto filosofare e disputare, è più famoso per aver sedotto una studentessa diciassettenne, da cui ebbe un figlio, e che poi sposò, ma che alla fine decise di spedire in convento; e soprattutto perché a quel punto lo zio di Eloisa assoldò una gang che nottetempo entrò nel suo alloggio e lo evirò. Sembra incredibile che tutto questo sia successo nello stesso secolo in cui Bernardo passa il tempo a invocare crociate, identificare eretici e ammirare Dio, o sé stesso per mezzo di Dio. Ma ad Abelardo erano successe tante altre disgraziate avventure; persino la condanna per eresia non era una novità, ne aveva già subita una con conseguente rito di abiura. Forse a Sens non andò perché era stanco di perdere sempre, contro gente che per di più non se lo meritava. Forse perché era indiscutibilmente il più bravo con le parole, Abelardo non aveva mai accettato che le dispute si vincono soprattutto con la politica.

Bernardo, per contro, negli anni Quaranta era sulla cresta dell'onda (continua sul Post...)
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Io tifo Marsia

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(1997)

MA IO TIFO MARSIA - e non è facile a farsi;
c'è sempre chi ti scuoia, e le ragioni sue le ha.

Giorni persi, e tu a leggermi i tuoi versi,
che bel gioco a vedersi la nostra utilità.

Prega, tu pollo: applaudi pure Apollo:
metti lo scacco in stallo, così non perdi mai.

Io ho sempre perso, e oggi non sarà diverso.
Chi ha avuto voti scarsi dietro Marsia marcerà.




Io tifo Marsia, che se vendemmia è scarsa
mi piscia dentro un vuoto e me lo vende per champagne.

Pelle d'Apollo, io pesce qui in ammollo,
se a volte vengo a galla, dalle acque troppo stagne

non è per i tuoi versi! Dammi fatti diversi!
Chi non ha arie da darsi dietro Marsia marcerà.

…e non leggermi più versi - solo fatti diversi!
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L'imbarazzo dello spettatore occidentale

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Davanti alle immagini dell'Egitto, il nostro disagio di spettatori occidentali è un po' più imbarazzato del solito - anche se magari non siamo quelli così imprudenti da aver prenotato a Sharm. C'è che stavolta sentiamo che non sarà facile recitare la parte che ci piace di più, quella delle anime belle e solidali che piangono con le vittime e gridano vergogna, e poi magari per qualche mese indossano un nastro - per la Birmania era rosso, per l'Iran verde, per l'Egitto non ci sarà, perché c'è un limite persino all'ipocrisia. C'è che stavolta non ammazzano i nostri, mettiamola così. I 'nostri' hanno manifestato il mese scorso: vogliono un Egitto meno islamico e lo vogliamo sicuramente anche noi, siamo laici. Quelli che si prendono le mitragliate dagli elicotteri invece sono islamici, integralisti, magari anche terroristi, e soprattutto poveri. Se fossimo costretti a scegliere probabilmente sceglieremmo di stare dall'altra parte della mitragliatrice. Fortuna che invece ci basta cambiare canale.

Più di ogni altra cosa noi vorremmo sentirci buoni, e le immagini dal Cairo non ce lo consentono. Vorremmo stare dalla parte dei giusti, e non riusciamo bene a ritrovarla, è seccante. Qualche settimana fa avevamo deciso che stavamo con l'esercito, ma quelli (chi se lo sarebbe aspettato) hanno le armi e le usano. Di solito a questo punto parteggiamo per le vittime, ma sono un po' troppo velati e fanatici, irregimentati da un'organizzazione oscurantista che venerdì li ha adunati in piazza ben sapendo cosa poteva succedere, forse col proposito deliberato di stabilire un nuovo record di martirio di massa da esibire poi in mondovisione.

Forse adesso capiamo come devono essersi sentiti i nostri zii o padri liberali o democristiani quando Pinochet si mise a massacrare comunisti e sindacalisti in Cile: noi abbiamo delle idee, a volte le tiriamo fuori al bar, o sui blog, e per una coincidenza fastidiosa sono le stesse idee con cui si sta coprendo un generale mentre stermina i suoi compatrioti, da qualche altra parte del mondo fortunatamente abbastanza lontana per non sentire gli spari in diretta. Così va la Storia... (continua sull'Unita.it, H1t#194).

 Così va la Storia: noi occidentali la preferiremmo un po’ più pacifica – è veramente scandaloso che ci si scanni ancora per questioni del genere, eppure succede già a ridosso del nostro cortiletto europeo. Noi vorremmo che le elezioni democratiche premiassero sempre i partiti laici e progressisti, ma nei Paesi musulmani succede troppo spesso il contrario; vorremmo che la laicità fosse una bandiera del proletariato, e invece se ne appropriano gli eserciti (un secolo fa in Turchia, negli anni Novanta in Algeria, ieri e oggi in Egitto), mentre la povera gente preferisce farsi guidare dagli imam. Vorremmo che “sinistra” e “destra” avessero il senso che gli diamo in Europa da qualche decennio in qua, perché alla fine è l’unico che comprendiamo, e soprattutto è l’unico in cui riusciamo a trovare un senso morale: da una parte stanno i violenti, i cattivi, i prevaricatori, dall’altra noi. E invece anche stavolta ci ritroviamo i fanatici da una parte e gli stragisti di Stato dall’altra, non è giusto.
Gratta gratta, oltre a tutte le sovrastrutture e i paraventi, quello che ci spingeva ad autoconvocarci a piazza Tahrir (beninteso senza smuovere il sedere dalla postazione internet casalinga) era la cara vecchia solidarietà di classe. Quelli che due anni fa chiedevano più democrazia e meno Mubarak erano esponenti di un ceto medio urbano. Quelli li capivamo, indossavano le nostre stesse magliette e scarpe; gli slogan sui loro cartelloni, opportunamente tradotti, erano gli stessi che avremmo scritto noi. Questi invece che si fanno ammazzare in nome di Morsi e di Allah non li capiamo proprio, e il fatto che possano aver vinto libere elezioni democratiche è incidentale. Forse nel nedio oriente la Storia gira al contrario, o forse è un po’ in ritardo, impantanata tra Vandea e Termidoro: in quei momenti imbarazzanti in cui la borghesia tira giù la maschera, punta l’artiglieria su sanculotti e contadini, e rinnega certe idee estreme come il suffragio universale.
Nel 1976 in Argentina il generale Videla stimò che per “porre fine alla sovversione e all’opposizione politica” e “applicare il piano economico liberista” occorreva disfarsi rapidamente di almeno ottomila oppositori; non c’è che da augurarsi che i generali egiziani abbiano fatto calcoli meno drastici. Forse tra qualche anno l’Egitto sarà un Paese moderno, laico, un faro di progresso per il medio oriente: non vediamo l’ora. Fino a quel momento tocca voltare le spalle e turarsi le orecchie: tanto non è a noi che si chiede aiuto.http://leonardo.blogspot.com
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Colloque séntimental

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Plagio (1995)

Nel vecchio parco, tra i viali innevati
due antichi amici si sono incontrati.

Tra i freddi marmi e fra le grigie aiuole
ne echeggiano, leggere, le parole.

Nel vecchio parco, buio e raggelato
due spiriti rievocano il passato:

Rammenta, deh, la nostra estasi antica?
"No, francamente non ricordo mica".

Le vengo ancora giorno e notte in mente?
E quando sogna, sogna me?
 "Per niente."

Ah quei bei giorni in cui era dolce amarsi,
tra verdi siepi, noi due… 
"Può anche darsi".

E azzurro il cielo, e grandi le speranze!
"Venne poi Autunno a chiudere le danze".

Nel vecchio parco, dai viali innevati,
due spiriti si sono congedati.

Tra i freddi marmi e tra le grigie aiuole
si perdono, leggere, le parole.
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La purga è nelle sale

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La notte del giudizio (The Purge, James DeMonaco, 2013)

In un futuro ormai prossimo, gli Stati Uniti sono soverchiati dalla produzione di film inutili. Decidono di purgarsene in agosto, facendone un mucchio unico e gettandolo nelle sale cinematografiche di un Paese alleato troppo debole per opporsi, che ne so, l'Italia. No, scherzo. In un futuro ormai prossimo, per rimediare alla violenza endemica, i Nuovi Padri Fondatori degli Stati Uniti hanno deciso di concentrare tutti i fatti criminosi in un giorno dell'anno: un solo giorno in cui si può fare qualunque cosa, compreso ammazzare, senza pagarne le conseguenze. Il giorno dopo sono di nuovo tutti tranquilli e non hanno più voglia di delinquere. Ve l'ho spiegata in tre righe, non crediate che il film ci metta molto più tempo.

È un peccato, perché è uno spunto interessante. Ricorda la cara vecchia fantascienza sociologica anni Cinquanta-Sessanta: è quella tipica idea su cui Robert Sheckley avrebbe scritto un raccontino fulminante, non più di cinque pagine. Anche questo script non dev'essere molto più lungo: in molti punti è palese l'affanno del montatore per raggiungere un minutaggio decente ("aggiungiamo ancora qualche minuto di tizi spaventati che brandiscono una torcia elettrica contro una parete"). Ricorda anche certa onesta produzione di serie B degli anni Settanta, ma con tanta crudeltà gratuita in meno. Ha visto giusto Nanni Cobretti (Nanni Cobretti vede sempre giusto) quando lo ha definito una specie di finto remake: malgrado sangue ne scorra, si ha costantemente la sensazione di vedere la copia sbiadita di un originale molto più cinico. Un indizio interessante sta nel curriculum dell'autore e regista, James DeMonaco: prima di questo film ha scritto, tra gli altri, il rifacimento del 2005 di Distretto 13 - le brigate della morte. Cosa aveva cambiato - cosa aveva ritenuto necessario cambiare per rendere il primo capolavoro di Carpenter appetibile e commerciabile a una nuova generazione? Tante cose. Troppe.

Per esempio: niente scena del gelato. Non si ammazzano più i ragazzini gratuitamente, non si può proprio più fare. E poi: le “brigate della morte”, gente che ammazza e si fa ammazzare per un niente, in sostanza la risposta di Carpenter agli zombie di Romero… nel rifacimento scritto da DeMonaco sono poliziotti deviati. Hollywood non può più stuzzicare il fascismo inconscio dello spettatore medio con lo spettacolo di gang fuori controllo: negli anni Settanta si poteva fare, adesso no, non a caso di tante cose ’70 che si sono rifatte, manca ancora all’appello il Giustiziere della Notte: troppo fascista. Il giorno che finalmente ci riusciranno (Stallone si è già prenotato) gli toccherà di sicuro ammazzare anche qualche poliziotto deviato (come succedeva pure all’ispettore Callaghan, mettiamo le cose in prospettiva). Secondo me a DeMonaco l’idea per The Purge è venuta proprio mentre riscriveva Distretto 13, che è più o meno lo stesso film: un assedio urbano. Insomma, sotto un involucro originale, che attirerà al cinema qualche appassionato d’antropologia (in fondo il carnevale medievale non funzionava allo stesso modo? E i saturnali nell’antica Roma?) c’è una storia vecchia come il cinema: quando scriveva il vero Distretto 13 Carpenter aveva in mente sia Zombi che Un dollaro d’onore.

Siccome coi soli appassionati di antropologia non si riempiono le sale (soprattutto in agosto), DeMonaco non si preoccupa minimamente di sviscerare l’idea del rito carnascialesco, e si dedica quasi subito alle variazioni sul tema della famiglia barricata in casa. Dalla sua parte ha almeno due attori d’eccezione (Ethan Hawke e Lena Headey) che da soli probabilmente valevano tutto il budget, e un sacco di spunti promettenti. La figlia ribelle col fidanzato sgradito a papà; il fratellino nerd con velleità umanitarie; il padre arrivista che deve dimostrare di avere conservato un barlume d’umanità; il quartiere “bene” che si barrica invano; i vicini impeccabili e antipatici, la gang di wasp assassini… con tanto materiale, qualche scena gli viene persino bene (memorabile il buon padre di famiglia che per salvare i figli spiega alla moglie come infierire su un ostaggio bendato), ma il bilancio finale è abbastanza fallimentare: un film di barricati in casa dove i personaggi saltano da una stanza all’altra continuamente, senza motivo sensato e senza raccordi, è un furto. Perché poi a far suspense coi corridoi bui sono bravi tutti ormai.

DeMonaco vorrebbe mantenere la barra a sinistra, e mostrare tutta la sua disapprovazione per una middle class che si difende dai poveri armandosi e alzando barricate; alla fine però si ha la sensazione che i personaggi che rinnegano la middle class e rifiutano il rito di violenza si comportino in modo assolutamente irragionevole. Il bambino, soprattutto. Dovrebbe dar voce all’innocenza, ma perlopiù commette coglionate incomprensibili. Alla fine non credo che nessuno si possa alzare dalla poltroncina senza la sensazione di essersi purgato di cinque o sette euro – e la cosa non ci rende meno violenti. Per niente. La notte del giudizio (titolo disonesto, il film si svolge di giorno) è al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo alle 21:30. Bisogna tener duro, l’estate sta finendo, la prossima settimana esce un Pixar, dai.
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