Il negazionismo non è un'opinione
18-10-2013, 18:10ebraismo, memoria del 900, nazismo, ucroniePermalinkIl negazionismo è un dubbio. Deve diventare un reato?
I nazisti probabilmente non potevano vincere. A forzarli a un continuo rialzo contro il resto dell'umanità non era la follia di un leader, ma le premesse ideologiche del nazismo stesso, e una strategia a medio-lungo termine basata sul saccheggio. I nazisti potevano soltanto andare a sbattere, e infatti è andata così: e da quando è successa ci sembra la cosa più logica. Ma può essere estremamente utile tentare qualche volta l'esercizio mentale di immaginare come sarebbe il mondo se i nazisti avessero vinto, un eventuale 2013 che fosse anche l'anno 80 dal cancellierato di Adolf Hitler. È un'esperienza che può mettere a disagio, immaginare un mondo che per molti di noi sarebbe semplicemente inabitabile: un mondo nazista è un mondo che ci avrebbe quasi sicuramente impedito di nascere, e di crescere come siamo cresciuti, in ambiti sociali che il nazismo avrebbe smantellato.
Non è facile immedesimarsi in un abitante di quel mondo: ci sembra più facile calarci nei panni di un contadino dell'anno Mille, o un sanculotto alla Rivoluzione. Con quei personaggi condividiamo un passato - crediamo di condividerlo (il contadino dell'anno Mille non sapeva di vivere nel medioevo, né probabilmente nell'anno Mille). Ma con un nazista del 2013 non abbiamo in comune nemmeno quello: il suo passato non è il nostro. È stato completamente riscritto, in fondo è quello che fanno tutti i vincitori. Il nazista del 2013, per fare l'esempio più semplice, non avrebbe mai sentito parlare di ebrei fuori dai corsi di storia medievale, o di geografia del Medio Oriente. I nazisti vincitori a metà Novecento avrebbero avuto tutto il tempo per cancellare qualsiasi evidenza di una presenza ebraica in Europa negli ultimi secoli. Anche i ricordi dei nonni si sarebbero adeguati a questa opera di re-iscrizione della memoria collettiva. Se vi sembra impossibile, pensate a cosa hanno fatto i nostri nonni ai loro ricordi: cresciuti in un ambiente in cui il fascismo sembrava buono e giusto, con gli anni e con la necessità si sono presto o tardi quasi tutti convinti che in realtà il fascismo era stato un sistema di potere rovinoso e criminale. Ma se i criminali avessero vinto, i nonni sopravvissuti (e ariani) avrebbero continuato a stramaledire gli inglesi; a guardare cinegiornali e poi fiction in cui le plutocrazie occidentali massacravano vittime inermi, i poveri indù o i pellerossa o i fieri resistenti indocinesi.
Qualche dubbio qua e là sarebbe serpeggiato come oggi serpeggiano le leggende metropolitane: gli ebrei in Europa come le scie chimiche. Forse al di fuori dell'Europa si sarebbero conservate narrazioni diverse, ma liquidate come invenzioni di nemici degli ariani, subumani in cattiva fede. I nazisti del 2013, nipoti dei trionfatori del 1950, forse avrebbero perso del tutto la nozione di quello che noi ogni tanto chiamiamo "Male assoluto". Al passato caotico e promiscuo - quel passato in cui un afroamericano aveva vinto quattro medaglie di atletica leggera ai giochi olimpici di Berlino - non avrebbero potuto guardare che con orrore e un misto di attrazione perversa (nel modo uguale e contrario con cui gli accessori del nazismo diventarono feticci erotici nel secondo dopoguerra). I loro studenti sarebbero molto più informati di noi sugli orrori coloniali di Francia, Regno Unito, USA e sulle miserie dell'URSS: forse qualche episodio sarebbe stato esagerato ad arte, ma in effetti non ci sarebbe nemmeno bisogno di truccare le carte più di tanto, ogni potenza ha armadi pieni di scheletri. I nipoti dei nazisti non avrebbero il minimo dubbio di vivere nel migliore dei dopoguerra possibili, dopo che i nonni hanno vinto una guerra in cui la posta in gioco era la sopravvivenza dell'umanità ariana; e reagirebbero disgustati a chi proponesse loro l'esercizio speculare: come si può immaginare un mondo in cui americani e i russi si spartiscono l'Europa, un melting-pot irrimediabilmente contaminato e devastato da comunismo e liberismo selvaggio? Un mondo del genere non avrebbe sopravvissuto per più di una generazione...
Ora che siamo arrivati a questo punto, ora che abbiamo immaginato un mondo in cui il passato è stato totalmente riscritto fino a diventare credibile - e quindi ebrei e zingari d'Europa non sono stati sterminati, non sono mai esistiti - facciamo un passo indietro, ma cercando di mantenere quel senso di vertigine. Siamo nel nostro 2013. I nazisti hanno perso, non prima di aver massacrato sei milioni di ebrei. Come facciamo a saperlo? Come possiamo essere sicuri che non sia un'invenzione dei vincitori, una re-iscrizione del passato? Magari gli Alleati avevano cose terribili da farsi perdonare, e hanno reagito fabbricando un passato in cui sono i buoni, i salvatori dell'umanità. Questo peraltro spiegherebbe come mai la Seconda Guerra Mondiale è l'unica che riusciamo a leggere con le lenti che uno storico dovrebbe buttare via alle elementari, i Buoni contro i Cattivi: onestamente, com'è possibile? Che nella Storia degli adulti ci sia ancora spazio per un conflitto in cui i Cattivi vogliono conquistare il mondo e sterminare i nemici, e i Buoni riescono a costo di uno sforzo inaudito a impedirglielo? Non assomiglia più a una fiaba che al modo in cui vanno le cose nella vita vera? E quindi? Come lo risolve, ognuno di noi, questo dubbio di vivere all'indomani di un passato cancellato e riscritto da un ufficio propaganda?
Dico come l'ho risolto io: non con la rimozione. Non mi sono turato le orecchie, non ho gridato LA LA LA LA NON TI SENTO ai negazionisti che venivano a mettere in dubbio le cose che mi sono state insegnate fin da piccolo. Ho ascoltato un po' di quel che dicevano; poi ho letto altri che rispondevano, e ho risolto che per quanto posso capirne io, nello spazio limitato della mia esistenza e del mio cervello, i negazionisti si sbagliano. Il loro passato è meno credibile del passato che insegniamo a scuola. Ci sono prove che li smentiscono; certo, col tempo le prove si possono falsificare, ma tra loro e il consenso scientifico io continuo a fidarmi del consenso scientifico, che non è univoco: si dibatte ancora sul numero, sull'uso delle camere a gas; e questo più di ogni altra cosa mi convince: il fatto che esista un dibattito e non una verità assoluta; che i negazionisti non siano arrestati, ma contestati con argomenti e con prove.
Viceversa, se il negazionismo diventasse un reato; se bastasse negare il passato per essere portati via e processati; se io vedessi accanto a me persone che vengono portate via e processate per il solo motivo di pensare che le cose siano andate in un modo diverso, ecco, a quel punto il dubbio comincerebbe a ripresentarsi anche alla mia porta: perché non avrei il diritto di avere, tra tante, proprio quell'opinione? Probabilmente in un mondo in cui i nazisti avessero vinto, chiunque si ostinasse a portare prove di una presenza ebraica in Europa centrale verrebbe arrestato e imprigionato (magari proprio in alcuni campi in Europa centrale). Voi invece volete arrestare e sanzionare chi nega la Shoah o la ridimensiona. Un po' lo capisco. Dopo decenni di dibattito storico, non è che puoi venirtene a dire che la Shoah non c'è stata: non è un'opinione, è una negazione di evidenze, di prove; è presentarsi a un convegno di paleontologia con la Bibbia in mano e affermare che i dinosauri sono tutti falsi perché sulla Bibbia non ci sono. E infatti io non invoco la libertà di opinione; peraltro non sono sicuro che tutte le opinioni la meritino. Preferisco pensare a un dovere, per ogni opinione condivisa e credibile, di difendersi da qualsiasi obiezione possibile senza chiamare la psicopolizia. Altrimenti la tua opinione non è più davvero condivisa e credibile: è soltanto difesa con la forza da un dubbio che evidentemente fa paura. E perché dovrebbe fare paura?
Uno dei motivi per cui sappiamo tante cose sulla Shoah, e tante altre continuiamo a impararne, è proprio la necessità che hanno avuto i superstiti di misurarsi col negazionismo, portando prove e testimonianze: nessuna delle quali magari per sé è definitiva - ma quando hai migliaia di persone che ti raccontano la stessa cosa, il negazionismo è sconfitto. Questo enorme e prezioso lavoro ci ha reso un servizio migliore di qualsiasi legge contro un'opinione. Anzi. Se avessimo iniziato a negare il negazionismo da subito, oggi non avremmo forse strumenti oggettivi per contrastarlo razionalmente. L'abitudine a procedere per dogmi ci avrebbe reso insensibili alla necessità di trovare prove documentarie. Il negazionismo ci serve a tenerci in allenamento, a non ripiegarci mai sulla risposta più semplice: "le cose sono andate così e basta". No. Noi avevamo bisogno di dimostrare che le cose erano andate nel modo pazzesco in cui erano andate. Abbiamo scavato, abbiamo domandato, abbiamo ascoltato, abbiamo tratto delle conclusioni (non univoche); e così i nazisti hanno perso. Come faccio a sapere che hanno perso? Come faccio a sapere che non hanno vinto, e hanno riscritto la storia assegnando i loro crimini agli sconfitti?
Io so che hanno perso perché sono qui, adesso, e mi posso immaginare la loro vittoria senza che nessuno mi denunci o voglia portarmi via. Si chiama libertà di opinione, credo. Preferirei chiamarla necessità di dubbio. Lo "scuoter del capo su verità incontestabili" è bello - lo diceva un tizio a cui i nazisti davano la caccia. Aveva in effetti idee discutibili. Ma i suoi dubbi sono ancora meravigliosi.
By this weekend, those six centuries, they're a rumor. They never happened. Today is history.
I nazisti probabilmente non potevano vincere. A forzarli a un continuo rialzo contro il resto dell'umanità non era la follia di un leader, ma le premesse ideologiche del nazismo stesso, e una strategia a medio-lungo termine basata sul saccheggio. I nazisti potevano soltanto andare a sbattere, e infatti è andata così: e da quando è successa ci sembra la cosa più logica. Ma può essere estremamente utile tentare qualche volta l'esercizio mentale di immaginare come sarebbe il mondo se i nazisti avessero vinto, un eventuale 2013 che fosse anche l'anno 80 dal cancellierato di Adolf Hitler. È un'esperienza che può mettere a disagio, immaginare un mondo che per molti di noi sarebbe semplicemente inabitabile: un mondo nazista è un mondo che ci avrebbe quasi sicuramente impedito di nascere, e di crescere come siamo cresciuti, in ambiti sociali che il nazismo avrebbe smantellato.
Non è facile immedesimarsi in un abitante di quel mondo: ci sembra più facile calarci nei panni di un contadino dell'anno Mille, o un sanculotto alla Rivoluzione. Con quei personaggi condividiamo un passato - crediamo di condividerlo (il contadino dell'anno Mille non sapeva di vivere nel medioevo, né probabilmente nell'anno Mille). Ma con un nazista del 2013 non abbiamo in comune nemmeno quello: il suo passato non è il nostro. È stato completamente riscritto, in fondo è quello che fanno tutti i vincitori. Il nazista del 2013, per fare l'esempio più semplice, non avrebbe mai sentito parlare di ebrei fuori dai corsi di storia medievale, o di geografia del Medio Oriente. I nazisti vincitori a metà Novecento avrebbero avuto tutto il tempo per cancellare qualsiasi evidenza di una presenza ebraica in Europa negli ultimi secoli. Anche i ricordi dei nonni si sarebbero adeguati a questa opera di re-iscrizione della memoria collettiva. Se vi sembra impossibile, pensate a cosa hanno fatto i nostri nonni ai loro ricordi: cresciuti in un ambiente in cui il fascismo sembrava buono e giusto, con gli anni e con la necessità si sono presto o tardi quasi tutti convinti che in realtà il fascismo era stato un sistema di potere rovinoso e criminale. Ma se i criminali avessero vinto, i nonni sopravvissuti (e ariani) avrebbero continuato a stramaledire gli inglesi; a guardare cinegiornali e poi fiction in cui le plutocrazie occidentali massacravano vittime inermi, i poveri indù o i pellerossa o i fieri resistenti indocinesi.
Qualche dubbio qua e là sarebbe serpeggiato come oggi serpeggiano le leggende metropolitane: gli ebrei in Europa come le scie chimiche. Forse al di fuori dell'Europa si sarebbero conservate narrazioni diverse, ma liquidate come invenzioni di nemici degli ariani, subumani in cattiva fede. I nazisti del 2013, nipoti dei trionfatori del 1950, forse avrebbero perso del tutto la nozione di quello che noi ogni tanto chiamiamo "Male assoluto". Al passato caotico e promiscuo - quel passato in cui un afroamericano aveva vinto quattro medaglie di atletica leggera ai giochi olimpici di Berlino - non avrebbero potuto guardare che con orrore e un misto di attrazione perversa (nel modo uguale e contrario con cui gli accessori del nazismo diventarono feticci erotici nel secondo dopoguerra). I loro studenti sarebbero molto più informati di noi sugli orrori coloniali di Francia, Regno Unito, USA e sulle miserie dell'URSS: forse qualche episodio sarebbe stato esagerato ad arte, ma in effetti non ci sarebbe nemmeno bisogno di truccare le carte più di tanto, ogni potenza ha armadi pieni di scheletri. I nipoti dei nazisti non avrebbero il minimo dubbio di vivere nel migliore dei dopoguerra possibili, dopo che i nonni hanno vinto una guerra in cui la posta in gioco era la sopravvivenza dell'umanità ariana; e reagirebbero disgustati a chi proponesse loro l'esercizio speculare: come si può immaginare un mondo in cui americani e i russi si spartiscono l'Europa, un melting-pot irrimediabilmente contaminato e devastato da comunismo e liberismo selvaggio? Un mondo del genere non avrebbe sopravvissuto per più di una generazione...
Ora che siamo arrivati a questo punto, ora che abbiamo immaginato un mondo in cui il passato è stato totalmente riscritto fino a diventare credibile - e quindi ebrei e zingari d'Europa non sono stati sterminati, non sono mai esistiti - facciamo un passo indietro, ma cercando di mantenere quel senso di vertigine. Siamo nel nostro 2013. I nazisti hanno perso, non prima di aver massacrato sei milioni di ebrei. Come facciamo a saperlo? Come possiamo essere sicuri che non sia un'invenzione dei vincitori, una re-iscrizione del passato? Magari gli Alleati avevano cose terribili da farsi perdonare, e hanno reagito fabbricando un passato in cui sono i buoni, i salvatori dell'umanità. Questo peraltro spiegherebbe come mai la Seconda Guerra Mondiale è l'unica che riusciamo a leggere con le lenti che uno storico dovrebbe buttare via alle elementari, i Buoni contro i Cattivi: onestamente, com'è possibile? Che nella Storia degli adulti ci sia ancora spazio per un conflitto in cui i Cattivi vogliono conquistare il mondo e sterminare i nemici, e i Buoni riescono a costo di uno sforzo inaudito a impedirglielo? Non assomiglia più a una fiaba che al modo in cui vanno le cose nella vita vera? E quindi? Come lo risolve, ognuno di noi, questo dubbio di vivere all'indomani di un passato cancellato e riscritto da un ufficio propaganda?
Dico come l'ho risolto io: non con la rimozione. Non mi sono turato le orecchie, non ho gridato LA LA LA LA NON TI SENTO ai negazionisti che venivano a mettere in dubbio le cose che mi sono state insegnate fin da piccolo. Ho ascoltato un po' di quel che dicevano; poi ho letto altri che rispondevano, e ho risolto che per quanto posso capirne io, nello spazio limitato della mia esistenza e del mio cervello, i negazionisti si sbagliano. Il loro passato è meno credibile del passato che insegniamo a scuola. Ci sono prove che li smentiscono; certo, col tempo le prove si possono falsificare, ma tra loro e il consenso scientifico io continuo a fidarmi del consenso scientifico, che non è univoco: si dibatte ancora sul numero, sull'uso delle camere a gas; e questo più di ogni altra cosa mi convince: il fatto che esista un dibattito e non una verità assoluta; che i negazionisti non siano arrestati, ma contestati con argomenti e con prove.
Viceversa, se il negazionismo diventasse un reato; se bastasse negare il passato per essere portati via e processati; se io vedessi accanto a me persone che vengono portate via e processate per il solo motivo di pensare che le cose siano andate in un modo diverso, ecco, a quel punto il dubbio comincerebbe a ripresentarsi anche alla mia porta: perché non avrei il diritto di avere, tra tante, proprio quell'opinione? Probabilmente in un mondo in cui i nazisti avessero vinto, chiunque si ostinasse a portare prove di una presenza ebraica in Europa centrale verrebbe arrestato e imprigionato (magari proprio in alcuni campi in Europa centrale). Voi invece volete arrestare e sanzionare chi nega la Shoah o la ridimensiona. Un po' lo capisco. Dopo decenni di dibattito storico, non è che puoi venirtene a dire che la Shoah non c'è stata: non è un'opinione, è una negazione di evidenze, di prove; è presentarsi a un convegno di paleontologia con la Bibbia in mano e affermare che i dinosauri sono tutti falsi perché sulla Bibbia non ci sono. E infatti io non invoco la libertà di opinione; peraltro non sono sicuro che tutte le opinioni la meritino. Preferisco pensare a un dovere, per ogni opinione condivisa e credibile, di difendersi da qualsiasi obiezione possibile senza chiamare la psicopolizia. Altrimenti la tua opinione non è più davvero condivisa e credibile: è soltanto difesa con la forza da un dubbio che evidentemente fa paura. E perché dovrebbe fare paura?
Uno dei motivi per cui sappiamo tante cose sulla Shoah, e tante altre continuiamo a impararne, è proprio la necessità che hanno avuto i superstiti di misurarsi col negazionismo, portando prove e testimonianze: nessuna delle quali magari per sé è definitiva - ma quando hai migliaia di persone che ti raccontano la stessa cosa, il negazionismo è sconfitto. Questo enorme e prezioso lavoro ci ha reso un servizio migliore di qualsiasi legge contro un'opinione. Anzi. Se avessimo iniziato a negare il negazionismo da subito, oggi non avremmo forse strumenti oggettivi per contrastarlo razionalmente. L'abitudine a procedere per dogmi ci avrebbe reso insensibili alla necessità di trovare prove documentarie. Il negazionismo ci serve a tenerci in allenamento, a non ripiegarci mai sulla risposta più semplice: "le cose sono andate così e basta". No. Noi avevamo bisogno di dimostrare che le cose erano andate nel modo pazzesco in cui erano andate. Abbiamo scavato, abbiamo domandato, abbiamo ascoltato, abbiamo tratto delle conclusioni (non univoche); e così i nazisti hanno perso. Come faccio a sapere che hanno perso? Come faccio a sapere che non hanno vinto, e hanno riscritto la storia assegnando i loro crimini agli sconfitti?
Io so che hanno perso perché sono qui, adesso, e mi posso immaginare la loro vittoria senza che nessuno mi denunci o voglia portarmi via. Si chiama libertà di opinione, credo. Preferirei chiamarla necessità di dubbio. Lo "scuoter del capo su verità incontestabili" è bello - lo diceva un tizio a cui i nazisti davano la caccia. Aveva in effetti idee discutibili. Ma i suoi dubbi sono ancora meravigliosi.
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Ignazio, che voleva farsi masticare
17-10-2013, 03:42cristianesimo, santiPermalink17 ottobre - Sant'Ignazio di Antiochia (35-107), martire divorato.
In seguito, a dar letta alle leggende, i leoni non avrebbero sempre pasteggiato volentieri coi cristiani; più volte avrebbero rifiutato di morderli (a gran scorno dei persecutori), come i loro antenati di Babilonia, i leoni che nella fossa avevano tenuto compagnia al profeta Daniele. Ma con Ignazio fu diverso. Ignazio, terzo vescovo di Antiochia, era il primo cristiano condannato ad bestias, e benché il guinness dei primati fosse molto in là da venire, a essere dilaniato pubblicamente dalle bestie del circo ci teneva in modo particolare. Lo scrisse anche in una lettera: muoio dalla voglia di morire masticato. Beh, no, non scrisse esattamente così. Però scrisse Sono il frumento di Dio, devo essere macinato dai denti delle fiere per diventare pane puro di Cristo, e così via. Dopo una preghiera del genere, i leoni non potevano che sbranarlo di gusto - sai che figura sennò.
Il desiderio di diventare "pane puro", e addirittura "ostia per il Signore" in altri secoli avrebbe destato più d'un sospetto d'eresia: va bene imitare il Cristo, ma di transustanziazione ce n'è una sola (la transustanziazione è la conversione dal pane al corpo e dal vino al sangue; per i cattolici ovviamente solo il corpo e il sangue di Cristo sono nella condizione di transustanziare). Ma a Ignazio si può concedere qualche incertezza nella messa a fuoco dei dogmi cattolici: è un pioniere. Forse allievo di San Giovanni evangelista, secondo successore di Pietro al soglio di Antiochia, Ignazio è il martire più famoso tra i "padri apostolici", quelli della generazione successiva agli apostoli, di cui non conosciamo granché. I bigliettini che indirizzò a varie comunità cristiane mentre lo portavano in catene a Roma sono un documento prezioso: in essi per la prima volta compaiono le parole "cattolico" e "cristiano". Un'ulteriore conferma della centralità di Antiochia, terza o quarta metropoli dell'Impero Romano, prima vera capitale del cristianesimo (oggi è una città turca ai confini della Siria). Sempre ammesso che i bigliettini siano autentici, e non siano stati scritti un po' dopo da qualche falsario di talento che voleva tappare i buchi.
Il dibattito sull'autenticità di Ignazio e delle sue lettere è annoso e irrisolubile. La Chiesa che Ignazio descrive sembra già un'organizzazione strutturata, con rapporti gerarchici abbastanza chiari tra vescovi presbiteri e diaconi. Forse era un po' troppo presto. Inoltre il martirio di Ignazio è un caso piuttosto isolato. Dopo la grande persecuzione di Nerone in occasione dell'incendio del 64, storicamente attestata da Tacito e Svetonio, non abbiamo martiri riconosciuti per quasi mezzo secolo. Sappiamo che il cristianesimo continua a essere mal visto da imperatori e prefetti; conosciamo lo scandalo del 95, quando l'imperatore Domiziano per liberarsi di alcuni famigliari che forse congiuravano contro di lui li accusa di ateismo, o secondo alcuni di cristianesimo (o secondo altri di ebraismo), ma è un episodio più simile a una purga dinastica che a una persecuzione di massa. Finalmente, nel 107, quarantatré anni dopo il martirio di Pietro e Paolo a Roma, a Gerusalemme viene crocifisso San Simeone e a Roma sant'Ignazio si fa masticare dai leoni, con soddisfazione che immaginiamo reciproca (continua sul Post...)
Siamo già al tempo dell’imperatore Traiano, quello che porterà l’impero alla sua massima espansione. Il suo atteggiamento nel confronto dei cristiani ci è ben noto, grazie a uno scambio epistolare con Plinio il Giovane che dalla Bitinia, in qualità di governatore, chiedeva istruzioni su come regolarsi con queste nuove sette di cui sapeva ancora molto poco. Anche Traiano non sembra molto interessato agli usi e costumi dei cristiani: gli preme però che nessun colpevole resti impunito, e mostra di considerare i cristiani responsabili di sacrilegio (si rifiutano di onorare gli dei) e lesa maestà, oggi diremmo vilipendio al Capo dello Stato. Non ritiene però che sia il caso di snidarli con inchieste a tappeto: Plinio arresterà soltanto in base alle denunce, che non devono essere letterine anonime. Prima delle condanne, ai cristiani deve essere data la possibilità di pentirsi e ravvedersi. Nel medioevo cristiano Traiano diventerà, anche in virtù di questa lettera, un emblema di giustizia e tolleranza: Dante lo metterà nel suo paradiso, un vistoso strappo alla regola per cui entra solo chi è in regola coi sacramenti. Non sembra insomma quel tipo di imperatore che si mette a guardare spettacoli a base di anziani vescovi sbranati nell’arena; e del resto la condanna ad bestias veniva eseguita di solito nelle ore più calde del giorno, una specie di intermezzo a cui assisteva soltanto il pubblico di basso rango; ricchi e patrizi scendevano dalla tribuna vip e andavano a pranzare all’ombra. In effetti non è ben chiaro perché Ignazio, arrestato ad Antiochia, avrebbe dovuto essere condotto in catene fino a Roma: avrebbe avuto un senso se fosse stato cittadino romano – ma un cittadino romano sarebbe mai stato condannato ad bestias?: era un supplizio da schiavi, come la crocefissione. Insomma, qualcosa non torna.
Buoni che ce n'è per tutti. |
Il desiderio di diventare "pane puro", e addirittura "ostia per il Signore" in altri secoli avrebbe destato più d'un sospetto d'eresia: va bene imitare il Cristo, ma di transustanziazione ce n'è una sola (la transustanziazione è la conversione dal pane al corpo e dal vino al sangue; per i cattolici ovviamente solo il corpo e il sangue di Cristo sono nella condizione di transustanziare). Ma a Ignazio si può concedere qualche incertezza nella messa a fuoco dei dogmi cattolici: è un pioniere. Forse allievo di San Giovanni evangelista, secondo successore di Pietro al soglio di Antiochia, Ignazio è il martire più famoso tra i "padri apostolici", quelli della generazione successiva agli apostoli, di cui non conosciamo granché. I bigliettini che indirizzò a varie comunità cristiane mentre lo portavano in catene a Roma sono un documento prezioso: in essi per la prima volta compaiono le parole "cattolico" e "cristiano". Un'ulteriore conferma della centralità di Antiochia, terza o quarta metropoli dell'Impero Romano, prima vera capitale del cristianesimo (oggi è una città turca ai confini della Siria). Sempre ammesso che i bigliettini siano autentici, e non siano stati scritti un po' dopo da qualche falsario di talento che voleva tappare i buchi.
Il dibattito sull'autenticità di Ignazio e delle sue lettere è annoso e irrisolubile. La Chiesa che Ignazio descrive sembra già un'organizzazione strutturata, con rapporti gerarchici abbastanza chiari tra vescovi presbiteri e diaconi. Forse era un po' troppo presto. Inoltre il martirio di Ignazio è un caso piuttosto isolato. Dopo la grande persecuzione di Nerone in occasione dell'incendio del 64, storicamente attestata da Tacito e Svetonio, non abbiamo martiri riconosciuti per quasi mezzo secolo. Sappiamo che il cristianesimo continua a essere mal visto da imperatori e prefetti; conosciamo lo scandalo del 95, quando l'imperatore Domiziano per liberarsi di alcuni famigliari che forse congiuravano contro di lui li accusa di ateismo, o secondo alcuni di cristianesimo (o secondo altri di ebraismo), ma è un episodio più simile a una purga dinastica che a una persecuzione di massa. Finalmente, nel 107, quarantatré anni dopo il martirio di Pietro e Paolo a Roma, a Gerusalemme viene crocifisso San Simeone e a Roma sant'Ignazio si fa masticare dai leoni, con soddisfazione che immaginiamo reciproca (continua sul Post...)
Siamo già al tempo dell’imperatore Traiano, quello che porterà l’impero alla sua massima espansione. Il suo atteggiamento nel confronto dei cristiani ci è ben noto, grazie a uno scambio epistolare con Plinio il Giovane che dalla Bitinia, in qualità di governatore, chiedeva istruzioni su come regolarsi con queste nuove sette di cui sapeva ancora molto poco. Anche Traiano non sembra molto interessato agli usi e costumi dei cristiani: gli preme però che nessun colpevole resti impunito, e mostra di considerare i cristiani responsabili di sacrilegio (si rifiutano di onorare gli dei) e lesa maestà, oggi diremmo vilipendio al Capo dello Stato. Non ritiene però che sia il caso di snidarli con inchieste a tappeto: Plinio arresterà soltanto in base alle denunce, che non devono essere letterine anonime. Prima delle condanne, ai cristiani deve essere data la possibilità di pentirsi e ravvedersi. Nel medioevo cristiano Traiano diventerà, anche in virtù di questa lettera, un emblema di giustizia e tolleranza: Dante lo metterà nel suo paradiso, un vistoso strappo alla regola per cui entra solo chi è in regola coi sacramenti. Non sembra insomma quel tipo di imperatore che si mette a guardare spettacoli a base di anziani vescovi sbranati nell’arena; e del resto la condanna ad bestias veniva eseguita di solito nelle ore più calde del giorno, una specie di intermezzo a cui assisteva soltanto il pubblico di basso rango; ricchi e patrizi scendevano dalla tribuna vip e andavano a pranzare all’ombra. In effetti non è ben chiaro perché Ignazio, arrestato ad Antiochia, avrebbe dovuto essere condotto in catene fino a Roma: avrebbe avuto un senso se fosse stato cittadino romano – ma un cittadino romano sarebbe mai stato condannato ad bestias?: era un supplizio da schiavi, come la crocefissione. Insomma, qualcosa non torna.
i papi consacreranno ai martiri l’ex anfiteatro Flavio (più tardi detto anche Colosseo), salvandolo dalla definitiva demolizione. Ma fino alla fine del secondo secolo, più che perquisizioni di massa, gli eccidi di cristiani sembrano periodici scoppi di rabbia popolare contro una setta invisa ai più, magari in momenti difficili (pestilenze, carestie), quando il loro rifiuto di sacrificare agli dei poteva sembrare particolarmente menagramo e antisociale. Le cose cambiano nel tumultuoso terzo secolo, ma a quel punto anche Ignazio ormai è un lontano capostipite. Potrebbe essere esistito davvero; ma potrebbe anche essere stato escogitato a tavolino, per gettare un po’ di luce nel buio immenso tra i cristiani del terzo secolo e gli apostoli che avevano conosciuto Cristo ed erano morti sotto Nerone. (“Ignazio” vuole proprio dire illuminatore, portatore di luce). Anche per questo motivo, la sua voluttà di farsi masticare il prima possibile è un po’ sospetta.
Non siamo nemmeno sicuri che i cristiani siano stati sistematicamente condannati ad bestias. Certo, nelle leggende dei martiri da Ignazio in poi, i leoni diventeranno il supplizio preferito dei pagani assetati di sangue. Grazie a questi racconti, come sappiamo, millecinquecento anni più tardi Comments (8)
Chi ha cambiato idea su Renzi? (Io, no).
14-10-2013, 16:57ho una teoria, Pd, primarie 2012, RenziPermalinkTra qualche mese - al termine di vicende complesse ma tutto sommato prevedibili - Matteo Renzi diventerà il leader del centrosinistra italiano. Non necessariamente il segretario del PD, ma quasi sicuramente il candidato alla presidenza del Consiglio. A quel punto, se gli capitasse davanti alle telecamere di proporre come nuova lingua ufficiale lo svedese, e l'obbligo di portare la biancheria sopra i vestiti e di cambiarla ogni mezz'ora, io potrei valutare di non votarlo. Forse.
In ogni altro caso lo voterò, perché le alternative saranno ancora Grillo o Berlusconi (o peggio ancora, un grillino e un berlusconino), e io sono persuaso da sempre della necessità di scegliere il candidato meno peggiore. Purtroppo questa mia disponibilità ad accontentarmi di quello che passa il convento è uno dei tratti del mio temperamento che meno condivido con la maggioranza degli italiani: me ne accorgo tutti i giorni, e mi dispiace. Tutto mi lascia intendere che dovrò ancora difendere in logoranti conservazioni pubbliche un principio banalmente aritmetico (se non voti il meno-peggio, vince il più-peggio). Andrà come dovrà andare. Nel frattempo però vorrei salvare un principio: io sono tra quelli che quando si trattò di votare Renzi alle primarie, votò Bersani. Non solo pensavo che Bersani sarebbe stato un presidente del Consiglio migliore, ma ritenevo che avesse più chances di vincere le elezioni. Forse mi sbagliavo. Ma non ho cambiato idea.
Ritengo ancora che in febbraio Renzi non avrebbe vinto le elezioni; che gli eventuali elettori che voleva intercettare al centro non avrebbero compensato la fuga di quelli che se ne sarebbero andati da sinistra. E più in generale continuo a pensare di Renzi le stesse cose che pensavo un anno fa.
Tutto quello che ho scritto di lui - cose anche un po' cattive - mi sembra ancora più o meno valido. Trovavo il suo giovanilismo un po' irritante (e soprattutto osservavo come questa "irritanza" non fosse solo un'idiosincrasia mia, ma fosse condivisa da molte persone a sinistra). Non è che in seguito il giubbotto di Fonzie abbia modificato questa impressione (continua sull'Unità, H1t#201)
In ogni altro caso lo voterò, perché le alternative saranno ancora Grillo o Berlusconi (o peggio ancora, un grillino e un berlusconino), e io sono persuaso da sempre della necessità di scegliere il candidato meno peggiore. Purtroppo questa mia disponibilità ad accontentarmi di quello che passa il convento è uno dei tratti del mio temperamento che meno condivido con la maggioranza degli italiani: me ne accorgo tutti i giorni, e mi dispiace. Tutto mi lascia intendere che dovrò ancora difendere in logoranti conservazioni pubbliche un principio banalmente aritmetico (se non voti il meno-peggio, vince il più-peggio). Andrà come dovrà andare. Nel frattempo però vorrei salvare un principio: io sono tra quelli che quando si trattò di votare Renzi alle primarie, votò Bersani. Non solo pensavo che Bersani sarebbe stato un presidente del Consiglio migliore, ma ritenevo che avesse più chances di vincere le elezioni. Forse mi sbagliavo. Ma non ho cambiato idea.
Ritengo ancora che in febbraio Renzi non avrebbe vinto le elezioni; che gli eventuali elettori che voleva intercettare al centro non avrebbero compensato la fuga di quelli che se ne sarebbero andati da sinistra. E più in generale continuo a pensare di Renzi le stesse cose che pensavo un anno fa.
Tutto quello che ho scritto di lui - cose anche un po' cattive - mi sembra ancora più o meno valido. Trovavo il suo giovanilismo un po' irritante (e soprattutto osservavo come questa "irritanza" non fosse solo un'idiosincrasia mia, ma fosse condivisa da molte persone a sinistra). Non è che in seguito il giubbotto di Fonzie abbia modificato questa impressione (continua sull'Unità, H1t#201)
La sua proposta di abolire i finanziamenti ai partiti mi sembrava guardare a un futuro un po’ anglosassone in cui sarebbero stati gli sponsor economici a decidere quali candidati finanziare: e già un anno fa non mi facevo molti dubbi sul perché certi ambienti finanziari o industriali avrebbero avuto più interesse alla candidatura di un Renzi piuttosto che di un Bersani. Non mi piaceva il fatto che continuasse a insistere che i finanziatori della sua campagna erano reperibili “su internet”, quando non era semplicemente ancora vero.
Non mi piace il modo in cui molti politici di area cattolica, come lui, cercano di far passare uno smantellamento dello Stato sociale sotto l’etichetta “sussidiarietà”: una proposta demenziale come ilServizio Civile Obbligatorio, fatta l’anno scorso durante la campagna per le primarie, mi sembrava indicativa in tal senso. Spero che nel frattempo abbia cambiato idea sul Servizio Obbligatorio, ma non vedo perché avrebbe dovuto: il sostegno dell’associazionismo cattolico continua a essergli prezioso.
Non credo che potrà mai trattare da pari con Angela Merkel, non per una questione anagrafica, ma perché è succube della stessa visione cristiano-centrodemocratica delle cose: l’Italia deve scontare le colpe dei suoi genitori, lo pensano gli elettori della Merkel e lo pensa anche Matteo Renzi. Lui stesso ci volle rammentare che in tedesco “colpa” è un sinonimo di “debito” (Schuld). E i debiti si pagano.
Per farla breve: tra lui e Bersani continuerei a scegliere Bersani. Bersani però non c’è più, e nessun altro potrà veramente contendere a Renzi la posizione di leader della nuova generazione che si è conquistato (meritoriamente) in questi anni. Ha vinto lui, e se non farà o dirà cose davvero troppo sciocche, io lo voterò. Ma non ho cambiato idea su di lui. E neanche lui, secondo me, ha cambiato molte idee. E allora cos’è cambiato, da un anno a questa parte? Perché tanta gente, che l’anno scorso lo trovava interessante, ora cambia subito argomento? È il destino di chiunque cavalchi la novità: dopo un po’ la tua faccia non è già più così nuova. Ma non è solo questo.
È che Renzi sta scalando il PD, e questo lo può portare ogni tanto su posizioni un po’ a sinistra. Si tratta quasi sempre di un effetto ottico. In certi casi viceversa è il PD che si sta arrendendo a Renzi: ma l’ingresso nelle sue file di alcuni capibastone locali, per quanto giovani o almeno giovanili, lo rende meno digeribile a chi fino a ieri lo avrebbe votato soprattutto perché ieri MR era un corpo estraneo al PD. Tutto questo era assolutamente prevedibile, e in effetti noi lo avevamo previsto. Noi chi?
Noi che avevamo scelto Bersani. Quando ci esibivano i sondaggi in cui Renzi spostava milioni di elettori, restavamo scettici. Forse sospettavamo che la simpatia che molti elettori di centrodestra nutrivano per MR non sarebbe stata abbastanza forte da portarli davvero alle urne. Nei fatti lo staff di Renzi si aspettava un milione di elettori in più alle primarie (su un totale di tre milioni!) Ed era ancora il 2012: Berlusconi e Grillo non avevano ancora scaldato i motori della campagna elettorale. Grillo non aveva ancora promesso un referendum sull’euro. Berlusconi non aveva ancora inviato nelle case la busta per la restituzione dell’IMU. E Renzi non era ancora visto come il leader del PD. Tutti passaggi che avrebbero molto ridimensionato il suo gradimento presso quel bacino elettorale a cui voleva attingere. Questo era più o meno il ragionamento che facevamo un anno fa: non abbiamo cambiato idea. Altri l’hanno cambiata: appena Renzi è diventato il vero candidato, hanno iniziato a storcere il naso. Era prevedibile, lo prevedevamo.
Certo, prevedevamo anche che Bersani potesse vincere le elezioni - più che prevederlo io losperavo – e Bersani le elezioni le ha perse. Quindi stavolta voterò Renzi (alle elezioni, non alle primarie), e spero che vinca. Magari non passerò il tempo a spiegare tutte le cose che non mi piacciono di lui. Le ho scritte tutte qui stavolta, così per un bel po’ siamo a posto. http://leonardo.blogspot.com
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Mamma e papà facevano sesso
11-10-2013, 17:24>1000, cinema, Cosa vedere a Cuneo (e provincia) quando sei vivo, fb2020PermalinkAnni felici (Daniele Luchetti, 2013)
I bambini ci guardavano. Una volta. D'estate, specialmente, non avevano molto altro da fare, e così erano sempre tra i piedi a osservarci. Per compleanno chiedevano cineprese e rullini. I bambini ci spiavano, sapevano tutto di noi. Chi stava scopando papà (non sempre era la mamma), chi stava baciando la mamma (non sempre era un amico di papà), ai bambini poi non è che fregasse un granché di tutta quella lussuria da adulti; ma era estate e non c'era molto altro da fare. In tv c'era un solo canale in bianco e nero e anche in spiaggia dopo pranzo per fare il bagno dovevi aspettare tre ore, e intanto la mamma dov'è? Mamma? Stai piangendo? Perché piangi? Vuoi papà? Vuoi divorziare? Vuoi che m'ammazzo? I bambini una volta erano un grosso problema.
Ora non è più così. Tante cose sono peggiorate, ma almeno adesso i bambini di noi se ne fottono. E meno male. Se avessi un figlio e da grande facesse un film su di me, mi mostrerebbe sempre seduto da qualche parte a ditaleggiare su un arnese digitale ridicolo. Ma non succederà, perché se avessi un figlio non mi starebbe guardando: lui per primo avrebbe di meglio da fare, ad esempio ditaleggiare su un arnese digitale ridicolo. Viva i nintendo, viva i cellulari, i tablet, viva tutta l'oggettistica che ha conquistato l'attenzione delle giovani generazioni che non si sa bene come cresceranno, forse con deficit di attenzione irrecuperabili, ma sicuramente non faranno più film il cui messaggio, se dobbiamo proprio sintetizzarlo in una frase, è PAPA' GUARDAMI MAMMA GUARDAMI. Luchetti invece ha fatto un film così e non c'è niente di male, basta che nessuno da qui in poi ne faccia più.
Chissà per quanti anni se l’è tenuta in serbo, la storia della vita. Purtroppo quando per anni ti tieni una storia, va a finire che un bel giorno decidi che è l’ora – e solo in quel momento ti accorgi che magari non è un granché. Forse hai fatto scappare il momento giusto, è passato ma avevi ancora paura. Forse non è mai stato un granché: era una storia bella da immaginare, ma una volta realizzata è solo una storia come un’altra, ne parlava Pasolini alla fine del Decamerone credo. Il decamerone di Luchetti sulla carta era una cosa fichissima, con mamme borghesi che scoprono l’amore saffico, artisti di neoavanguardia che al primo scompenso emotivo cedono al figurativo, e un bambino che riciclando i filmini estivi trasforma la Rivoluzione femminista in un carosello commerciale; una metafora potentissima a saperla maneggiare, e invece alla fine Luchetti non ci aveva tanta voglia.
Triste ma è così. Mescolando gli stessi ingredienti (rivoluzione e spot), quest’anno Pablo Larrain ci ha regalato quella meravigliosa riflessione sulla politica e la comunicazione che è No – i giorni dell’arcobaleno. Luchetti, che tante altre volte ha mostrato di saper infilare la politica nei film con estro e leggerezza (la sinfonia di Mio fratello è figlio unico!) stavolta non ci aveva voglia. D’accordo, è tutto visto attraverso gli occhi guardoni di un bambino che non aveva la minima idea di vivere sulla soglia degli anni di piombo – ed è meglio lasciar perdere qualsiasi riferimento alla cronaca piuttosto che rischiare l’effetto Meglio Gioventù, quella situazione per cui in un certo tipo di film italiani se qualcuno accende la radio c’è sempre una partita storica della nazionale, o un discorso di un leader politico o di un Papa. Resta l’imbarazzo di trovarsi di fronte a un autore che potrebbe raccontarti storie interessanti, che ha già dimostrato di saperlo fare come pochi in Italia, e invece ha solo voglia di dire: Papà, mamma, sono qui, ci sono sempre stato, e non me la scordo l’estate del ’74. Magari vi ho perdonato, ma non prima di mettervi in un film dove ormai siete più giovani di me e fate cose molto stupide, la neoavanguardia, il limonarsi a mezzo finestrino aperto, lo scopare in posti dove nessuno oggi riuscirebbe (la Mini Minor), eccetera, eccetera, eccetera. La memoria è un nastro super8 montato in loop. Ma andrebbe bene anche così, non c’è niente di male a rivendersi il sesso che hanno fatto i nostri genitori invece di interessarsi di noi – voglio dire, dopo che da bambino hai rivenduto i fotogrammi della tua fidanzatina all’industria pubblicitaria, non puoi veramente cadere più in basso. Non c’è niente di male a voler fare un film intimo e raccontare che a tua mamma negli anni Settanta piacevano anche le donne, tranne forse Micaela Ramazzotti.
Che è bellissima, è bravissima, e la vorremmo vedere in tutti i film italiani e anche stranieri, tranne in questo, che ha il trascurabile difetto di assomigliare un po’ a un film di tre anni fa, La prima cosa bella, che ci ricordiamo ancora tutti molto bene – anche perché non si sono visti parecchi film italiani all’altezza, da lì in poi. Ecco. Allora, cari esperti di casting, secondo me le cose stanno in questi termini: se nel giro di tre anni fate rifare a Micaela Ramazzotti un ruolo di mamma bisessuale di due bambini negli anni Settanta, dovreste perlomeno assicurarvi che il film sarà così bello, così meraviglioso, da farci dimenticare all’istante e per sempre di aver visto La prima cosa bella. Siccome ciò, senza offesa, era abbastanza improbabile, bisognerebbe almeno in questo film evitare di scritturare un’attrice che ci ricorderà, a ogni fotogramma, un film magari un filo più bello di questo – onde evitare che a luci accese tutti si mettano a bisbigliare: mmmsì, però vuoi mettere La prima cosa bella? A me sembra un ragionamento abbastanza lineare. Ma forse è prevalsa la voglia di rivedere la Ramazzotti madre bisex di due bambini negli anni Settanta. Posso anche capirvi: e siccome non c’è due senza tre, a questo punto mi aspetto un terzo film di Micaela Ramazzotti che ha due bambini negli anni Settanta e scopre l’amore saffico – ma sì, una bella trilogia, se gli americani ci hanno Batman e Guerre Stellari noi non possiamo avere le mamme lesbiche degli anni Settanta? Non so, stavolta si potrebbe ambientare nel Nord industriale o meglio ancora nel Sud arcaico: una torbida passione all’ombra dei trulli d’Alberobello, una mamma sedotta e abbandonata dalla postina, mentre i due figli appostati dietro i fichi d’india spìano tutto, spìano, spìano, maledetti bambini degli anni Settanta senza nintendo in mano. Daniele Luchetti è autorizzato a tirarmi un pugno in faccia per questa, chiamiamola, recensione. Dalla mano che ha girato La nostra vita sarebbe comunque un onore.
Anni felici è ancora per questa settimana al multisala Impero di Bra (infrasettimanale 20:20 e 22:30) – se siete appassionati di film in cui Micaela Ramazzotti interpreta mamme bisex degli anni Settanta datevi una mossa.
I bambini ci guardavano. Una volta. D'estate, specialmente, non avevano molto altro da fare, e così erano sempre tra i piedi a osservarci. Per compleanno chiedevano cineprese e rullini. I bambini ci spiavano, sapevano tutto di noi. Chi stava scopando papà (non sempre era la mamma), chi stava baciando la mamma (non sempre era un amico di papà), ai bambini poi non è che fregasse un granché di tutta quella lussuria da adulti; ma era estate e non c'era molto altro da fare. In tv c'era un solo canale in bianco e nero e anche in spiaggia dopo pranzo per fare il bagno dovevi aspettare tre ore, e intanto la mamma dov'è? Mamma? Stai piangendo? Perché piangi? Vuoi papà? Vuoi divorziare? Vuoi che m'ammazzo? I bambini una volta erano un grosso problema.
Ora non è più così. Tante cose sono peggiorate, ma almeno adesso i bambini di noi se ne fottono. E meno male. Se avessi un figlio e da grande facesse un film su di me, mi mostrerebbe sempre seduto da qualche parte a ditaleggiare su un arnese digitale ridicolo. Ma non succederà, perché se avessi un figlio non mi starebbe guardando: lui per primo avrebbe di meglio da fare, ad esempio ditaleggiare su un arnese digitale ridicolo. Viva i nintendo, viva i cellulari, i tablet, viva tutta l'oggettistica che ha conquistato l'attenzione delle giovani generazioni che non si sa bene come cresceranno, forse con deficit di attenzione irrecuperabili, ma sicuramente non faranno più film il cui messaggio, se dobbiamo proprio sintetizzarlo in una frase, è PAPA' GUARDAMI MAMMA GUARDAMI. Luchetti invece ha fatto un film così e non c'è niente di male, basta che nessuno da qui in poi ne faccia più.
Chissà per quanti anni se l’è tenuta in serbo, la storia della vita. Purtroppo quando per anni ti tieni una storia, va a finire che un bel giorno decidi che è l’ora – e solo in quel momento ti accorgi che magari non è un granché. Forse hai fatto scappare il momento giusto, è passato ma avevi ancora paura. Forse non è mai stato un granché: era una storia bella da immaginare, ma una volta realizzata è solo una storia come un’altra, ne parlava Pasolini alla fine del Decamerone credo. Il decamerone di Luchetti sulla carta era una cosa fichissima, con mamme borghesi che scoprono l’amore saffico, artisti di neoavanguardia che al primo scompenso emotivo cedono al figurativo, e un bambino che riciclando i filmini estivi trasforma la Rivoluzione femminista in un carosello commerciale; una metafora potentissima a saperla maneggiare, e invece alla fine Luchetti non ci aveva tanta voglia.
Triste ma è così. Mescolando gli stessi ingredienti (rivoluzione e spot), quest’anno Pablo Larrain ci ha regalato quella meravigliosa riflessione sulla politica e la comunicazione che è No – i giorni dell’arcobaleno. Luchetti, che tante altre volte ha mostrato di saper infilare la politica nei film con estro e leggerezza (la sinfonia di Mio fratello è figlio unico!) stavolta non ci aveva voglia. D’accordo, è tutto visto attraverso gli occhi guardoni di un bambino che non aveva la minima idea di vivere sulla soglia degli anni di piombo – ed è meglio lasciar perdere qualsiasi riferimento alla cronaca piuttosto che rischiare l’effetto Meglio Gioventù, quella situazione per cui in un certo tipo di film italiani se qualcuno accende la radio c’è sempre una partita storica della nazionale, o un discorso di un leader politico o di un Papa. Resta l’imbarazzo di trovarsi di fronte a un autore che potrebbe raccontarti storie interessanti, che ha già dimostrato di saperlo fare come pochi in Italia, e invece ha solo voglia di dire: Papà, mamma, sono qui, ci sono sempre stato, e non me la scordo l’estate del ’74. Magari vi ho perdonato, ma non prima di mettervi in un film dove ormai siete più giovani di me e fate cose molto stupide, la neoavanguardia, il limonarsi a mezzo finestrino aperto, lo scopare in posti dove nessuno oggi riuscirebbe (la Mini Minor), eccetera, eccetera, eccetera. La memoria è un nastro super8 montato in loop. Ma andrebbe bene anche così, non c’è niente di male a rivendersi il sesso che hanno fatto i nostri genitori invece di interessarsi di noi – voglio dire, dopo che da bambino hai rivenduto i fotogrammi della tua fidanzatina all’industria pubblicitaria, non puoi veramente cadere più in basso. Non c’è niente di male a voler fare un film intimo e raccontare che a tua mamma negli anni Settanta piacevano anche le donne, tranne forse Micaela Ramazzotti.
Che è bellissima, è bravissima, e la vorremmo vedere in tutti i film italiani e anche stranieri, tranne in questo, che ha il trascurabile difetto di assomigliare un po’ a un film di tre anni fa, La prima cosa bella, che ci ricordiamo ancora tutti molto bene – anche perché non si sono visti parecchi film italiani all’altezza, da lì in poi. Ecco. Allora, cari esperti di casting, secondo me le cose stanno in questi termini: se nel giro di tre anni fate rifare a Micaela Ramazzotti un ruolo di mamma bisessuale di due bambini negli anni Settanta, dovreste perlomeno assicurarvi che il film sarà così bello, così meraviglioso, da farci dimenticare all’istante e per sempre di aver visto La prima cosa bella. Siccome ciò, senza offesa, era abbastanza improbabile, bisognerebbe almeno in questo film evitare di scritturare un’attrice che ci ricorderà, a ogni fotogramma, un film magari un filo più bello di questo – onde evitare che a luci accese tutti si mettano a bisbigliare: mmmsì, però vuoi mettere La prima cosa bella? A me sembra un ragionamento abbastanza lineare. Ma forse è prevalsa la voglia di rivedere la Ramazzotti madre bisex di due bambini negli anni Settanta. Posso anche capirvi: e siccome non c’è due senza tre, a questo punto mi aspetto un terzo film di Micaela Ramazzotti che ha due bambini negli anni Settanta e scopre l’amore saffico – ma sì, una bella trilogia, se gli americani ci hanno Batman e Guerre Stellari noi non possiamo avere le mamme lesbiche degli anni Settanta? Non so, stavolta si potrebbe ambientare nel Nord industriale o meglio ancora nel Sud arcaico: una torbida passione all’ombra dei trulli d’Alberobello, una mamma sedotta e abbandonata dalla postina, mentre i due figli appostati dietro i fichi d’india spìano tutto, spìano, spìano, maledetti bambini degli anni Settanta senza nintendo in mano. Daniele Luchetti è autorizzato a tirarmi un pugno in faccia per questa, chiamiamola, recensione. Dalla mano che ha girato La nostra vita sarebbe comunque un onore.
Anni felici è ancora per questa settimana al multisala Impero di Bra (infrasettimanale 20:20 e 22:30) – se siete appassionati di film in cui Micaela Ramazzotti interpreta mamme bisex degli anni Settanta datevi una mossa.
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A cosa serve lasciarvi morire
11-10-2013, 01:29Beppe Grillo, ho una teoria, migrantiPermalink
Il reato di clandestinità a qualcosa serve. Non a eliminare i clandestini (anzi li aumenta), non a risolvere la complicata situazioni delle carceri (che anzi stanno scoppiando, e che hanno attirato l'attenzione delle Corte europea dei diritti dell'uomo). Non a ridurre la microcriminalità; non a dissuadere profughi provenienti da situazioni comunque più disperate, non a evitare che i trafficanti li stivino sui barconi e li lascino alla deriva; non a salvare vite nel Mediterraneo. Il reato di clandestinità non serve a nulla di tutto questo.
Eppure a qualcosa serve: altrimenti Bossi e Fini non ci avrebbero messo la firma, e oggi Beppe Grillo non lo difenderebbe. Il reato di clandestinità serve a vincere le elezioni. Grillo è persona abbastanza intelligente e pratica per sapere che la criminalizzazione dei profughi non ha nessun'altra utilità, e molti effetti collaterali. Ma tanto gli basta, evidentemente. Nel suo blog lo ha scritto a chiare lettere: se il M5S avesse in campagna elettorale proposto l'abolizione del reato di clandestinità, "avrebbe ottenuto percentuali da prefisso telefonico". Più in là Grillo abbozza l'idea che abolirlo equivalga a inviare un invito "a tutti gli emigranti", che come è noto prima di imbarcarsi danno sempre un'occhiata all'evoluzione della legislazione italiana in materia. È una scemenza a cui non crede lui per primo.
(continua sull'Unita.it)
(Questo è il duecentesimo pezzo che scrivo per l'Unità. Niente, così, giusto per dirvelo. Il mondo non sembra molto migliorato in questi quattro anni. Magari è solo una coincidenza).
Eppure a qualcosa serve: altrimenti Bossi e Fini non ci avrebbero messo la firma, e oggi Beppe Grillo non lo difenderebbe. Il reato di clandestinità serve a vincere le elezioni. Grillo è persona abbastanza intelligente e pratica per sapere che la criminalizzazione dei profughi non ha nessun'altra utilità, e molti effetti collaterali. Ma tanto gli basta, evidentemente. Nel suo blog lo ha scritto a chiare lettere: se il M5S avesse in campagna elettorale proposto l'abolizione del reato di clandestinità, "avrebbe ottenuto percentuali da prefisso telefonico". Più in là Grillo abbozza l'idea che abolirlo equivalga a inviare un invito "a tutti gli emigranti", che come è noto prima di imbarcarsi danno sempre un'occhiata all'evoluzione della legislazione italiana in materia. È una scemenza a cui non crede lui per primo.
(continua sull'Unita.it)
L’unica vera ragione per salvare il reato di clandestinità l’ha scritta sopra: il M5S non vuole percentuali da prefisso telefonico, il M5S vuole anzi fare il pieno di voti, e non può rinunciare a quella ghiotta fetta di consenso che si ottiene cavalcando un po’ di xenofobia. Magari non è giusto, ma è quello che vuole la gente, e Grillo e Casaleggio lo sanno senza bisogno di astruse piattaforme: è il loro intuito politico l’unico “sistema operativo” del M5S, e se si butta un po’ a destra non è per capriccio né per cattiveria: è proprio che per vincere i voti si devono prendere lì. Grillo ce lo ha sempre detto, che se non ci fosse lui ci sarebbe Alba Dorata: dunque ogni tanto gli toccherà abbozzare qualche passo dell’oca; niente di personale, è solo una questione di target. Ah, nel frattempo altri profughi potrebbero annegare a pochi metri delle coste. Diciamo che la loro vita non è una priorità.
La priorità di Grillo, per esempio, è vincere le prossime elezioni, costi quel che costi. È una notizia; quando mandò a monte la trattativa col PD sembrava rassegnato a una lunga traversata nel deserto. Adesso invece ha fretta, ed è disposto a compromessi che fino a qualche tempo fa lo avrebbero fatto pubblicamente inorridire: difendere la Bossi-Fini, mantenere il sistema elettorale che ha sempre voluto modificare, ignorare la tragedia delle carceri italiane che tempo fa denunciava. Il fine giustificherà tutti questi mezzi? http://leonardo.blogspot
(Questo è il duecentesimo pezzo che scrivo per l'Unità. Niente, così, giusto per dirvelo. Il mondo non sembra molto migliorato in questi quattro anni. Magari è solo una coincidenza).
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Portalizzami questo
04-10-2013, 17:13Beppe Grillo, blog, internetPermalinkÈ un politico? Un comico? Un megafono? Un cazzaro? No, è il SuperCazzaro |
Ps: per i giornalisti dubbiosi: "Una piattaforma non ve la daremo mai. Nel frattempo studiate. applicatevi, portalizzatevi!"
Dunque insomma una piattaforma non ci sarà mai. O ci sarà e non ce la daranno, se la terrano per sé. Boh. Magari è soltanto una coincidenza. O magari Grillo aveva in mente proprio me, quando ieri descriveva nel dettaglio questo Sistema Operativo a cui sarebbero già iscritti novantamila utenti (sì, ma gli elettori del M5S sono otto milioni, come dire cento volte tanto). Però su quell'articolo si è rovesciata la rabbia e la delusione di centinaia di sedicenti elettori del MoVimento, che la piattaforma la aspettano da mesi o da anni.
"Questo post è al limite dell'offensivo..." si legge nei commenti, "Quindi ci dovremmo accontentare piú o meno del portale com'é adesso? quand'é l'ultima volta che la benedette "rete" é stata interpellata? a quando la possibilitá di votare contro le proposte sul forum?"; "Questo post è una vergognosa presa per i fondelli di tutti quegli attivisti (e non trolls) che aspettano da mesi la piattaforma per collaborare con i propri dipendenti in parlamento...fate un salto sul forum del movimento, un guazzabuglio allucinante..."; "Ma cos'e' sto post presa per il culo??? Si chiede uno strumento di partecipazione e ci sentiamo dire che quello che c'e' è già ok?? Ma quandomai?? Chi decide quando far votare e su che cosa? Come puo' una idscussione di quel forum orribile arrivare ai paramentari? Ma stiamo scherzando? Piuttosto meglio fare un mea culpa e dire SIAMO IN RITARDO ma dire che siamo già a posto con quello che c'e' già è veramente un offesa a chi vuole partecipare..." Centinaia di commenti su questo tono. Mi fa piacere che Grillo&co. non li abbiano censurati, e spero che abbiano nei prossimi giorni il tempo per rifletterci su.
Quanto a me, naturalmente mi sentirei onorato di aver generato una discussione su un sito tanto importante - anche se forse ieri avrei preferito trovare almeno un accenno alla tragedia di Lampedusa, una riflessione sulle politiche migratorie italiane che sono come minimo da rivedere. Ma è un argomento che lascia un po' freddi i leader M5S. E allora parliamo di piattaforme, è comunque un argomento da affrontare prima o poi. Vorrei soltanto precisare una cosa: non sono un "giornalista". Sono solo un tizio che scrive su un blog. È una differenza importante, e Grillo dovrebbe essere il primo a saperla apprezzare.
A un giornalista, magari, la supercazzola di un "Sistema Operativo del M5S" si può anche rifilare: e infatti ieri ne hanno parlato con solerzia e diplomazia, tra gli altri, la Repubblica, il Fatto Quotidiano e la stessa Unità. È giusto così: i giornalisti riportano le notizie, e qualsiasi sparata di Grillo sulla sua homepage in questo momento costituisce notizia. Anch'io scrivo sull'Unita.it, però non sono un giornalista: sono un blogger, e se Grillo sta scrivendo un sacco di fregnacce senza riscontro, lo posso dire tranquillamente, senza diplomazia: Beppe Grillo, per favore, smetti di dire un sacco di fregnacce senza riscontro, non ci casca nessuno. Non esiste nessun "Sistema Operativo del M5S". C'è una mailing list, sì, ce l'avevano anche il PDS e Forza Italia a fine anni Novanta. C'è un forum, beh, io non mi vanterei troppo in giro di quel forum. C'è la possibilità di fare qualche sondaggino on line tra gli iscritti per scegliere questo o quel candidato, ma le quirinarie hanno dimostrato che il vostro sistema non regge poche decine di migliaia di accessi. Poi ci sono alcuni strumenti veramente innovativi (ad es. liquid feedback, anche se personalmente resto scettico) che molti attivisti vi implorano da mesi - da anni! - di utilizzare, e ci sono le vostre orecchie da mercante. E non c'è la risposta alla mia domanda: come fate a sapere che i vostri elettori non vi vogliono al governo? Perché potete fare tutte le parlamentarie che volete, ma il punto - se davvero credete nella democrazia diretta - non è chi mandate in parlamento: loro dovrebbero essere signor Nessuno, meri esecutori della volontà popolare. E quindi: come faranno questi signor Nessuno a capire qual è la volontà popolare? Un sondaggino on line per ogni voto alla Camera o al Senato? Siete seri? E se siete seri, perché non lo state già facendo? Se invece non siete seri, con che faccia continuate a prendere in giro i vostri elettori?
Concludo allegando un'antologia di commenti che in tanti modi più o meno fioriti dicono a Beppe e soci la stessa cosa: basta supercazzole, sul serio state provando a venderci una mailing list e un sondaggino on line come un "sistema operativo"? Lo so, è una mossa veramente squallida pescare nei commenti altrui. Un giornalista non lo farebbe. Ma io sono un blog, Beppe, ci devi stare più attento. Se non lo sai tu, come funziona...
Ho votato M5S e studio e lavoro nell'informatica da quasi 30 anni. Questo post è un suggeguirsi penoso di stupidaggini informatiche, ed il tono (studiate! portalizzatevi!) viste le premesse è semplicemente ridicolo.
Mi piacerebbe avere l'indirizzo e-mail di chi l'ha scritto in modo tale da farmi ri-definire in privato cosa vuol dire "Sistema Operativo"... (per inciso, DATABASE è un'unica parola).
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Respira piano, a piccoli sorsi
03-10-2013, 18:26cinema, Cosa vedere a Cuneo (e provincia) quando sei vivoPermalinkGravity (Alfonso Cuarón, 2013)
Nello spazio non esiste l'alto e il basso: ci sei soltanto tu - e le cose o ti girano intorno o ti arrivano addosso. Quando molte cose ti girano intorno, hai un problema. Non che tu possa fermarti - ameno finché non ti viene addosso qualcosa. Quando ti arriva addosso qualcosa, cerca di afferrarlo, o scansati più che puoi, perché non c'è un singolo oggetto nello spazio, non c'è un singolo frammento o pezzo di astronave o astronauta che non viaggi a una velocità mortale - sono tutte bombe, tutte pallottole, e non è colpa di nessuno. Non c'è niente di fermo nello spazio, la stessa parola "fermo" è un'astrazione con cui noi terricoli definiamo le cose blindate sulla superficie terrestre insieme a noi. Ma nello spazio si muove tutto, a velocità differenti, a traiettorie divergenti, ma sempre troppo velocemente. Nello spazio non puoi piangere, non solo perché non c'è atmosfera e non ti sentirebbe nessuno, ma soprattutto perché le tue lacrime tra milioni di anni potrebbero ancora essere in giro, asteroidi di ghiaccio e sale pronti a distruggere civiltà avanzatissime in pianetini microscopici, o bruciare come stelle cadenti. Nello spazio è complicato persino farla nel vaso, figurati scappare da una stazione spaziale distrutta verso un'altra stazione spaziale che sta bruciando in silenzio.
Nello spazio c'è tutto il silenzio che vuoi, e molto di più. Può esplodere una galassia o un'astronave alle tue spalle; se non sei voltato da quella parte non te ne accorgerai. Ma nello spazio non ti senti veramente solo, finché hai la Terra da qualche parte; finché puoi vedere albe e tramonti sullo stivale o sul delta del Nilo, e milioni di luci accendersi e specchiarsi sulle rive del Gange; non sei solo. Quindi aggrappati a qualcosa, a un'asta o a un'antenna o a un sojuz o a una frequenza a onde corte. Nello spazio davvero profondo, nel vuoto cosmico, ti senti soffocare: diventi l'astronave di te stesso e vorresti uscire, ma sei già fuori. Sei più fuori di quanto è possibile, hai infranto milioni di record che interessano soltanto a qualche abitante di una pietra che rotola a secondi luce di distanza. Nello spazio.
Non ci vuoi veramente stare. Non è il tuo posto, semplicemente. Non è colpa di nessuno, non esiste nemmeno il concetto. Nemmeno della vita esiste il concetto. È un accidente esotico causato da alcune muffe su una pietra che rotola a secondi luce di distanza. L’ossigeno nella tuta è già all’uno per cento, tra un poco inalerai soltanto co2, qualche allucinazione e poi sarai parte dello spazio, una lacrima nel vuoto; rotolerai intorno al tuo asse fino al prossimo collasso stellare. Sarai la luna di qualche rottame di stazione spaziale, o di un asteroide – tra milioni di anni non ci sarà nessuna differenza. O un meteorite che l’atmosfera accenderà come un fiammifero. Non è colpa di nessuno, anzi è giusto sia così, questo è lo spazio.
Ma tu ti ostini a respirare. Non hai niente da perdere, ma vuoi tornare indietro. Vuoi sentire il guaito di un cane, vuoi prendere fuoco o annegare, qualsiasi cosa sarà meglio di orbitare per sempre. Qualsiasi modulo russo o cinese ti è caro come l’utero di mamma. Carezzare l’atmosfera, a migliaia di chilometri l’ora, è come sfregarsi su una parete di cemento; ma ti sta bene, non c’è una cosa più bella di vedere finalmente un cielo azzurro dall’oblò che si sta incendiando.
E forse ce la farai, forse arriverai sulla terra e la bacerai; e un attimo dopo ti sentirai così pesante, ti ricorderai di come funziona su questa pietra la gravità, e per un istante solo rimpiangerai quel momento in cui eri un pianeta libero di ruotare sul suo asse.
Gravity è da vedere. È il più bello e verosimile e struggente film di astronauti mai realizzato – perlomeno James Cameron la pensa così, e chi siamo noi per contraddirlo. Forse non vi piace il genere, e l’idea di 90 minuti di astronauti che sbattono contro a relitti di stazioni spaziali vi terrorizza. Ma non dovete aver paura. Anche quando la lancetta dell’ossigeno segnerà lo zero – ce n’è ancora un poco nella tuta, ma mi raccomando, a piccoli sorsi. Da qualche parte c’è un sojuz caldo, una bottiglia di vodka nascosta sotto il quadro dei comandi. Gli occhiali 3d non sono indispensabili, ma vi aiuteranno a nascondere le lacrime. Forse Gravity non sarà il vostro film, ma è comunque la vostra natura: siete corpi gravi che girano all’impazzata, impattando ogni tanto, aggrappati a una speranza o a un’onda che suona del country o a un cane che abbaia, qualcosa che sopravviva a tutto quel silenzio.
Gravity è in 2D ai Portici di Fossano alle 20:30 e 22:30; in 3d al Cine4 di Alba (20:00; 22:15), al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo (20:20; 22:40), al Multisala Impero di Bra (20:20; 22:30), al Multilanghe di Dogliani (21:30), al Cinecittà di Savigliano (20:20; 22:30). Se tutto va bene avrete una storia pazzesca da raccontare.
Nello spazio non esiste l'alto e il basso: ci sei soltanto tu - e le cose o ti girano intorno o ti arrivano addosso. Quando molte cose ti girano intorno, hai un problema. Non che tu possa fermarti - ameno finché non ti viene addosso qualcosa. Quando ti arriva addosso qualcosa, cerca di afferrarlo, o scansati più che puoi, perché non c'è un singolo oggetto nello spazio, non c'è un singolo frammento o pezzo di astronave o astronauta che non viaggi a una velocità mortale - sono tutte bombe, tutte pallottole, e non è colpa di nessuno. Non c'è niente di fermo nello spazio, la stessa parola "fermo" è un'astrazione con cui noi terricoli definiamo le cose blindate sulla superficie terrestre insieme a noi. Ma nello spazio si muove tutto, a velocità differenti, a traiettorie divergenti, ma sempre troppo velocemente. Nello spazio non puoi piangere, non solo perché non c'è atmosfera e non ti sentirebbe nessuno, ma soprattutto perché le tue lacrime tra milioni di anni potrebbero ancora essere in giro, asteroidi di ghiaccio e sale pronti a distruggere civiltà avanzatissime in pianetini microscopici, o bruciare come stelle cadenti. Nello spazio è complicato persino farla nel vaso, figurati scappare da una stazione spaziale distrutta verso un'altra stazione spaziale che sta bruciando in silenzio.
Nello spazio c'è tutto il silenzio che vuoi, e molto di più. Può esplodere una galassia o un'astronave alle tue spalle; se non sei voltato da quella parte non te ne accorgerai. Ma nello spazio non ti senti veramente solo, finché hai la Terra da qualche parte; finché puoi vedere albe e tramonti sullo stivale o sul delta del Nilo, e milioni di luci accendersi e specchiarsi sulle rive del Gange; non sei solo. Quindi aggrappati a qualcosa, a un'asta o a un'antenna o a un sojuz o a una frequenza a onde corte. Nello spazio davvero profondo, nel vuoto cosmico, ti senti soffocare: diventi l'astronave di te stesso e vorresti uscire, ma sei già fuori. Sei più fuori di quanto è possibile, hai infranto milioni di record che interessano soltanto a qualche abitante di una pietra che rotola a secondi luce di distanza. Nello spazio.
Non ci vuoi veramente stare. Non è il tuo posto, semplicemente. Non è colpa di nessuno, non esiste nemmeno il concetto. Nemmeno della vita esiste il concetto. È un accidente esotico causato da alcune muffe su una pietra che rotola a secondi luce di distanza. L’ossigeno nella tuta è già all’uno per cento, tra un poco inalerai soltanto co2, qualche allucinazione e poi sarai parte dello spazio, una lacrima nel vuoto; rotolerai intorno al tuo asse fino al prossimo collasso stellare. Sarai la luna di qualche rottame di stazione spaziale, o di un asteroide – tra milioni di anni non ci sarà nessuna differenza. O un meteorite che l’atmosfera accenderà come un fiammifero. Non è colpa di nessuno, anzi è giusto sia così, questo è lo spazio.
Ma tu ti ostini a respirare. Non hai niente da perdere, ma vuoi tornare indietro. Vuoi sentire il guaito di un cane, vuoi prendere fuoco o annegare, qualsiasi cosa sarà meglio di orbitare per sempre. Qualsiasi modulo russo o cinese ti è caro come l’utero di mamma. Carezzare l’atmosfera, a migliaia di chilometri l’ora, è come sfregarsi su una parete di cemento; ma ti sta bene, non c’è una cosa più bella di vedere finalmente un cielo azzurro dall’oblò che si sta incendiando.
E forse ce la farai, forse arriverai sulla terra e la bacerai; e un attimo dopo ti sentirai così pesante, ti ricorderai di come funziona su questa pietra la gravità, e per un istante solo rimpiangerai quel momento in cui eri un pianeta libero di ruotare sul suo asse.
Gravity è da vedere. È il più bello e verosimile e struggente film di astronauti mai realizzato – perlomeno James Cameron la pensa così, e chi siamo noi per contraddirlo. Forse non vi piace il genere, e l’idea di 90 minuti di astronauti che sbattono contro a relitti di stazioni spaziali vi terrorizza. Ma non dovete aver paura. Anche quando la lancetta dell’ossigeno segnerà lo zero – ce n’è ancora un poco nella tuta, ma mi raccomando, a piccoli sorsi. Da qualche parte c’è un sojuz caldo, una bottiglia di vodka nascosta sotto il quadro dei comandi. Gli occhiali 3d non sono indispensabili, ma vi aiuteranno a nascondere le lacrime. Forse Gravity non sarà il vostro film, ma è comunque la vostra natura: siete corpi gravi che girano all’impazzata, impattando ogni tanto, aggrappati a una speranza o a un’onda che suona del country o a un cane che abbaia, qualcosa che sopravviva a tutto quel silenzio.
Gravity è in 2D ai Portici di Fossano alle 20:30 e 22:30; in 3d al Cine4 di Alba (20:00; 22:15), al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo (20:20; 22:40), al Multisala Impero di Bra (20:20; 22:30), al Multilanghe di Dogliani (21:30), al Cinecittà di Savigliano (20:20; 22:30). Se tutto va bene avrete una storia pazzesca da raccontare.
Ehi, Grillo, la piattaforma?
02-10-2013, 02:31Beppe Grillo, governo Letta, ho una teoria, internetPermalinkCome andò alle Quirinarie, un grande esempio di democrazia diretta (elaborazione grafica di Paolo Viglione) |
Non posso che dare ragione a Claudio Messora, portavoce del M5S quando se la prende coi parlamentari transfughi del MoVimento che hanno già affermato di voler votare stamattina la fiducia al governo Letta: Non dovrebbe essere, questa, una decisione da prendere solo dopo avere ascoltato quello che ha da dire? Giusto. Purtroppo a quel punto potrei girare la stessa obiezione a Messora stesso, che sembra dare per scontato che i parlamentari M5S invece voteranno contro: non dovrebbe essere, questa, una decisione da prendere solo dopo avere ascoltato quello che ha da dire? Anche Grillo in questi giorni sembra piuttosto sicuro che si debba andare alle elezioni: non dovrebbe essere, questa, una decisione da prendere dopo aver consultato gli elettori? Mi sembrava di aver capito che il MoVimento avesse molto a cuore la questione della rappresentanza, al punto da mettere in discussione la costituzione là dove nega un vincolo di mandato per i parlamentari; a questo punto però vorrei che Messora o Grillo mi spiegassero: come fanno a essere sicuri che chi ha votato M5S in febbraio desideri una crisi di governo proprio oggi, e le urne al più presto? Con tutto quello che implica (impossibilità di intervenire su imu e iva, persistenza del porcellum...) No, sul serio, come fanno? Sondaggi? E perché non li pubblicano?
Oppure basta dare un'occhiata veloce ai commenti sul blog, anche se poi Grillo non risponde mai? Ma il migliaio di persone che ha tempo da perdere per commentare lì o su facebook non è necessariamente un buon campione statistico. E allora, davvero, io non mi stupisco che sia Grillo a dettare la linea, e Messora a ripeterla per chi si era distratto, da bravo capoclasse: ogni partito ha un minimo di struttura, di gerarchia, anche se si chiama movimento e ha un non-statuto con un non-leader. L'unica cosa che non capisco è come fa Grillo a sapere sempre qual è la volontà dei suoi elettori... (continua sull'unità.it, H1t#199)
Mi torna sempre in mente quel che successe con le quirinarie, ve le ricordate? Per decidere chi candidare, il Movimento 5 Stelle propose un sondaggio on line. Ottimo. In realtà il sistema si intasò subito e fu necessario ripetere l’operazione, ma lasciamo perdere. Ricordiamo i numeri: alle ultime elezioni hanno votato il M5S 8 milioni e quasi 700.000 elettori, su 34 milioni di italiani recatisi alle urne (gli aventi diritto erano 50 milioni e 450.000). Su questi otto milioni abbondanti, erano ammessi a votare alle Quirinarie soltanto quelli che erano iscritti al M5S più di un anno fa, quasi cinquantamila: neanche lo 0,6 per cento, sei elettori ogni mille. Forse a causa dei disguidi telematici, ci fu un’astensione piuttosto alta, e votarono appena in 28.518 (la fonte è il sito di Beppe Grillo, non vedo perché diffidare), lo 0,32 % degli elettori M5S, lo 0,08% degli elettori in generale, lo 0,05 degli aventi diritto. Vinse la Gabanelli con neanche seimila voti, ma decise di rifiutare la candidatura, e così Gino Strada. Subentrò Rodotà con 4677 voti. Grillo si arrabbia molto quando i sondaggi di Ballarò gli dicono cose che non gli piacciono, ma chiedere a trentamila persone di esprimersi su quello che pensano otto milioni di elettori, che altro è se non un sondaggio, anche un po’ maldestro?
Eppure Grillo e Casaleggio sembrano sicuri che la democrazia diretta sia dietro l’angolo, e Messora conferma:
E’ venuto il tempo di cambiare sistema, di riappropriarsi di se stessi e della propria capacità di decidere. E’ venuto il tempo di restituire il potere decisionale alle uniche intese che possano definirsi davvero larghe: quelle che coinvolgono tutti i cittadini, utilizzando processi e metodi che 65 anni fa non erano disponibili.
Quando ho letto questa cosa mi sono detto: ci siamo, sta per presentare agli attivisti M5S e al mondo la piattaforma di condivisione che finalmente ci restituirà il potere decisionale. 65 anni fa non si poteva; per la verità non si poteva neanche in aprile, ma… adesso sì. Vai, Messora, facci sognare.
Se possono mettersi d’accordo 50 persone nel chiuso di un palazzo, allora possono farlo anche 50mila persone all’aperto. I modi esistono già: consentono di informarsi attraverso la rete, delegare a chi si ritiene competente in materia, ritirare la propria delega, riassegnarla, riprenderla in mano.
Confesso che non ho capito. Dovremmo periodicamente confermare la fiducia al parlamentare che eleggiamo? “I modi esistono già”, scrive; cioè sono già stati adoperati? Quando, dove, con che risultati? Insomma, cari Messora, Grillo, Casaleggio: lo abbiamo capito, voi credete che la democrazia diretta sia possibile, o meglio che le nuove tecnologie rendano possibile una forma più diretta di democrazia. Bene. Io posso essere un po’ scettico, ma a questo punto ho solo una domanda: perché non ce la fate vedere? In altre parole: la benedetta piattaforma per la politica duepuntozero, dov’è? Chi ci sta lavorando? Quando sarà pronta? Come funzionerà? Nel frattempo, con che faccia protestate contro i sondaggi, o date lezioni di democrazia? http://leonardo.blogspot.com
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La natura di B. (e la nostra)
30-09-2013, 02:59Berlusconi, governo Letta, PdPermalink
Ma sul serio glielo lasciamo fare?
Tutto quello che è successo, un istante dopo che è successo, ci è parso inevitabile; e adesso con chi dovremmo prendercela? Con Berlusconi? Ma Berlusconi non poteva che comportarsi così, è la sua natura: come lo scorpione che non può non pizzicare la rana, B. doveva prima o poi affossare questo governo. Potremmo prendercela con Enrico Letta. Ma anche la rana in fondo non poteva che comportarsi così: la sua unica chance era imbarcare lo scorpione e convincersi che sarebbe andato tutto bene. Era il suo ruolo e, per quanto ridicolo, lo ha portato avanti con un certo stile. Letta avrebbe potuto fare più o meno di quello che ha fatto, e tutto questo sarebbe successo ugualmente: lo sapevamo. Magari ignoravamo la goccia che avrebbe sbilanciato i piattini in equilibrio così precario (la sentenza della Cassazione) - ma in coscienza come potevamo sperare che il governo durasse molto di più?
Era nato per cambiare legge elettorale e prendere tempo, in attesa che Berlusconi decadesse o Grillo si sgonfiasse. Grillo si è rigonfiato, Berlusconi sta per decadere, ma ha preso la legge elettorale in ostaggio - e anche questo tutto sommato era abbastanza prevedibile. Nel frattempo il PD avrebbe dovuto prepararsi alla campagna elettorale più difficile, e non è andata così. Lo dico da osservatore parziale, che ha sempre evitato di infilarsi nel coro di chi critica il PD sempre-e-comunque: stavolta possiamo prendercela soltanto con noi stessi. Sapevamo che Berlusconi poteva staccare la spina in qualsiasi momento, e abbiamo perso tempo in una battaglia precongressuale estenuante, alimentando sui quotidiani polemiche inutili, fino alla catastrofe dell'ultima caotica, incomprensibile assemblea del PD. Non potendoci aspettarci lealtà da Berlusconi, o ragionevolezza da Grillo, l'unica cosa che chiedevamo è che il PD reagisse alla batosta rispondendo almeno a un basico istinto di sopravvivenza: tanto più che il candidato ormai c'è, può essere più o meno simpatico ma c'è, e le stesse primarie sarebbero pleonastiche (il che non significa che non possa convenire celebrarle, anche soltanto come cerimonia: però nessun plebiscito ci ha mai fatto poi vincere le elezioni). Niente da fare, a quanto pare: bisognava litigare sulle primarie, sulle convenzioni che nessuno sa cosa siano, sul ruolo del segretario rispetto al ruolo del candidato... intanto domani comincia la campagna elettorale, e il congresso è convocato per dicembre. Berlusconi non ha più niente da perdere e potrebbe persino vincere.
E a questo punto ritorna la vecchia domanda: ma sul serio? Stiamo davvero lasciando che un evasore fiscale milionario si metta a sparare a zero sugli avversari politici attraverso canali televisivi che ha accumulato in plateale violazione delle leggi - finché non le ha lui stesso cambiate? Gli stiamo davvero lasciando la possibilità di raccontare altre bugie a quel quinto di italiani che lo ascolta ancora e che gli è sufficiente per dettare condizioni in parlamento? Che altro deve fare, ancora, Silvio Berlusconi, per convincerci della sua natura di nemico pubblico? Cosa trattiene le istituzioni dal trarre le estreme conseguenze di fatti altrettanto estremi? In Grecia il leader di un partito neonazista è in carcere con l'accusa gravissima di essere il mandante di un assassinio. Berlusconi non è un nazista e non è un violento; in compenso quelle contro di lui non sono semplici accuse: Berlusconi ha corrotto, Berlusconi ha rubato, a Berlusconi non si dovrebbe consentire la libertà di far cadere un governo o addirittura causare la fine di una legislatura. Se questo diritto glielo riconosce in qualche perverso modo la Costituzione, violiamola pure: lo facciamo tutti i giorni quando si tratta di torturare i detenuti comuni o non riconoscere il diritto d'asilo. Inutile prendersela con B., fin tanto che lo lasciamo libero di offenderci: ma perché lo lasciamo libero? Di cosa abbiamo paura? O anche questa disponibilità a lasciarci fottere così, anche questa rientra nella nostra "natura"? Trenta mesi fa, un professore osò scrivere su un quotidiano di sinistra che un'emergenza del genere andava risolta coi carabinieri.
Ciò cui io penso è invece una prova di forza che, con l'autorevolezza e le ragioni inconfutabili che promanano dalla difesa dei capisaldi irrinunciabili del sistema repubblicano, scenda dall'alto, instaura quello che io definirei un normale «stato d'emergenza», si avvale, più che di manifestanti generosi, dei Carabinieri e della Polizia di Stato congela le Camere, sospende tutte le immunità parlamentari, restituisce alla magistratura le sue possibilità e capacità di azione, stabilisce d'autorità nuove regole elettorali, rimuove, risolvendo per sempre il conflitto d'interessi, le cause di affermazione e di sopravvivenza della lobby affaristico-delinquenziale, e avvalendosi anche del prevedibile, anzi prevedibilissimo appoggio europeo, restituisce l'Italia alla sua più profonda vocazione democratica, facendo approdare il paese ad una grande, seria, onesta e, soprattutto, alla pari consultazione elettorale.
Insomma: la democrazia si salva, anche forzandone le regole. Le ultime occasioni per evitare che la storia si ripeta stanno rapidamente sfumando.
Lo presero per matto - carabinieri e forze di polizia non godono di molto credito presso quel bacino di lettori. E tuttavia Asor Rosa aveva molto semplicemente ragione: contro i ladri non si mandano i generosi manifestanti; contro i ladri e i nemici della salute pubblica uno Stato, se vuole sopravvivere, si difende con la forza. Ma era già tardi, nell'aprile del 2011.
Tutto quello che è successo, un istante dopo che è successo, ci è parso inevitabile; e adesso con chi dovremmo prendercela? Con Berlusconi? Ma Berlusconi non poteva che comportarsi così, è la sua natura: come lo scorpione che non può non pizzicare la rana, B. doveva prima o poi affossare questo governo. Potremmo prendercela con Enrico Letta. Ma anche la rana in fondo non poteva che comportarsi così: la sua unica chance era imbarcare lo scorpione e convincersi che sarebbe andato tutto bene. Era il suo ruolo e, per quanto ridicolo, lo ha portato avanti con un certo stile. Letta avrebbe potuto fare più o meno di quello che ha fatto, e tutto questo sarebbe successo ugualmente: lo sapevamo. Magari ignoravamo la goccia che avrebbe sbilanciato i piattini in equilibrio così precario (la sentenza della Cassazione) - ma in coscienza come potevamo sperare che il governo durasse molto di più?
Era nato per cambiare legge elettorale e prendere tempo, in attesa che Berlusconi decadesse o Grillo si sgonfiasse. Grillo si è rigonfiato, Berlusconi sta per decadere, ma ha preso la legge elettorale in ostaggio - e anche questo tutto sommato era abbastanza prevedibile. Nel frattempo il PD avrebbe dovuto prepararsi alla campagna elettorale più difficile, e non è andata così. Lo dico da osservatore parziale, che ha sempre evitato di infilarsi nel coro di chi critica il PD sempre-e-comunque: stavolta possiamo prendercela soltanto con noi stessi. Sapevamo che Berlusconi poteva staccare la spina in qualsiasi momento, e abbiamo perso tempo in una battaglia precongressuale estenuante, alimentando sui quotidiani polemiche inutili, fino alla catastrofe dell'ultima caotica, incomprensibile assemblea del PD. Non potendoci aspettarci lealtà da Berlusconi, o ragionevolezza da Grillo, l'unica cosa che chiedevamo è che il PD reagisse alla batosta rispondendo almeno a un basico istinto di sopravvivenza: tanto più che il candidato ormai c'è, può essere più o meno simpatico ma c'è, e le stesse primarie sarebbero pleonastiche (il che non significa che non possa convenire celebrarle, anche soltanto come cerimonia: però nessun plebiscito ci ha mai fatto poi vincere le elezioni). Niente da fare, a quanto pare: bisognava litigare sulle primarie, sulle convenzioni che nessuno sa cosa siano, sul ruolo del segretario rispetto al ruolo del candidato... intanto domani comincia la campagna elettorale, e il congresso è convocato per dicembre. Berlusconi non ha più niente da perdere e potrebbe persino vincere.
E a questo punto ritorna la vecchia domanda: ma sul serio? Stiamo davvero lasciando che un evasore fiscale milionario si metta a sparare a zero sugli avversari politici attraverso canali televisivi che ha accumulato in plateale violazione delle leggi - finché non le ha lui stesso cambiate? Gli stiamo davvero lasciando la possibilità di raccontare altre bugie a quel quinto di italiani che lo ascolta ancora e che gli è sufficiente per dettare condizioni in parlamento? Che altro deve fare, ancora, Silvio Berlusconi, per convincerci della sua natura di nemico pubblico? Cosa trattiene le istituzioni dal trarre le estreme conseguenze di fatti altrettanto estremi? In Grecia il leader di un partito neonazista è in carcere con l'accusa gravissima di essere il mandante di un assassinio. Berlusconi non è un nazista e non è un violento; in compenso quelle contro di lui non sono semplici accuse: Berlusconi ha corrotto, Berlusconi ha rubato, a Berlusconi non si dovrebbe consentire la libertà di far cadere un governo o addirittura causare la fine di una legislatura. Se questo diritto glielo riconosce in qualche perverso modo la Costituzione, violiamola pure: lo facciamo tutti i giorni quando si tratta di torturare i detenuti comuni o non riconoscere il diritto d'asilo. Inutile prendersela con B., fin tanto che lo lasciamo libero di offenderci: ma perché lo lasciamo libero? Di cosa abbiamo paura? O anche questa disponibilità a lasciarci fottere così, anche questa rientra nella nostra "natura"? Trenta mesi fa, un professore osò scrivere su un quotidiano di sinistra che un'emergenza del genere andava risolta coi carabinieri.
Ciò cui io penso è invece una prova di forza che, con l'autorevolezza e le ragioni inconfutabili che promanano dalla difesa dei capisaldi irrinunciabili del sistema repubblicano, scenda dall'alto, instaura quello che io definirei un normale «stato d'emergenza», si avvale, più che di manifestanti generosi, dei Carabinieri e della Polizia di Stato congela le Camere, sospende tutte le immunità parlamentari, restituisce alla magistratura le sue possibilità e capacità di azione, stabilisce d'autorità nuove regole elettorali, rimuove, risolvendo per sempre il conflitto d'interessi, le cause di affermazione e di sopravvivenza della lobby affaristico-delinquenziale, e avvalendosi anche del prevedibile, anzi prevedibilissimo appoggio europeo, restituisce l'Italia alla sua più profonda vocazione democratica, facendo approdare il paese ad una grande, seria, onesta e, soprattutto, alla pari consultazione elettorale.
Insomma: la democrazia si salva, anche forzandone le regole. Le ultime occasioni per evitare che la storia si ripeta stanno rapidamente sfumando.
Lo presero per matto - carabinieri e forze di polizia non godono di molto credito presso quel bacino di lettori. E tuttavia Asor Rosa aveva molto semplicemente ragione: contro i ladri non si mandano i generosi manifestanti; contro i ladri e i nemici della salute pubblica uno Stato, se vuole sopravvivere, si difende con la forza. Ma era già tardi, nell'aprile del 2011.
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