E se avesse vinto il Sì? Renzi sarebbe più tranquillo? (No)

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È passato un anno da quando ce la siamo vista bella. L’Italia stava per affondare nel caos e nella recessione. Ricordate? Il 4 dicembre del 2016 gli italiani furono chiamati alle urne: ufficialmente per dare il proprio assenso ad alcune “non lievi” riforme costituzionali, in pratica per scegliere tra il Governo Renzi e la Catastrofe. Ci aveva ben avvertito Confindustria, fin dall’estate precedente: la vittoria del “No” avrebbe causato “il caos politico” e le aste dei titoli di Stato sarebbero andate deserte, con la conseguente crisi di fiducia degli investitori, fuga di capitali, svalutazione dell’Euro, recessione, pioggia di rane, invasione di cavallette. Se tutto questo non è successo, non possiamo che ringraziare la prudenza e il giudizio degli elettori italiani, che tra Renzi e l’Apocalisse hanno scelto… ehm, cos’hanno scelto?



Perché in effetti ha vinto il “No”: a quest’ora le cavallette dovrebbero essere passate da un pezzo. Qualcuno le ha viste? (Ho scritto un pezzo per TheVision: A un anno dal referendum la vittoria del No è stata un disastro solo per Renzi).
Da parte sua Confindustria nel suo ultimo rapporto ha rivisto al rialzo le stime per il PIL italiano (nel 2017 +1,5%; nel 2018 +1,3). “A fine 2018 il PIL recupererà il terreno perduto con la seconda recessione (2011-13)”. Le esportazioni addirittura “volano”, il Made in Italy guadagna quote di mercato, “gli investimenti mostrano un vivace dinamismo”, l’occupazione sale dell’1,1% e di questo passo nel 2018 dovrebbe toccare i massimi storici. Non è tutto rosa e fiori, sia chiaro: l’Italia cresce, ma meno degli altri Paesi della UE; abbiamo quasi otto milioni di disoccupati, troppi dei quali sono giovani. Ma tutto sommato quest’anno Uno dal Referendum poteva andare molto peggio di così. Insomma forse l’anno scorso Confindustria aveva un po’ esagerato. Dopo Renzi non c’è stato il diluvio, ma un passaggio di consegne molto rapido e quasi indolore; Gentiloni gli è subentrato a Palazzo Chigi sostenuto più o meno dalla stessa maggioranza, che nei sondaggi risulta spesso più popolare di Renzi. Altri sondaggi danno il partito di Renzi dietro al M5S, a volte anche dietro Forza Italia. Insomma il 4 dicembre è stata davvero una catastrofe: magari non per l’Italia ma per Renzi e i suoi sostenitori.

La fatidica data va quindi ad aggiungersi al Catalogo delle grandi occasioni perdute del centrosinistra, un volume ormai cospicuo e straziante, che i lettori affezionati non riescono a non riaprire a intervalli regolari, ogni volta che sale quella tipica voglia di piangere sul latte versato – ah, se Bersani non avesse sostenuto il governo Monti. Ah, se il Prodi Due non fosse caduto per un voto. Ah, se Bertinotti non avesse fatto cadere il Prodi Uno. E così via, credo che si possa risalire almeno fino all’Aventino (quello del 1924, ma forse anche quello del 494 aC). Ah, se Renzi avesse vinto il referendum... In che Italia vivremmo adesso? Certo, la Storia non si fa coi Se. Ma in politica non c’è niente di male a sperimentare qualche “Se” ogni tanto. Chiamiamolo esercizio mentale. Se le cose dopo il No al referendum non sono andate malaccio, è lecito sospettare che con un Sì sarebbero andate ancora meglio. Renzi sarebbe rimasto al suo posto e… cosa sarebbe successo, poi? Se lo chiedi a un renzista, ti dipingerà uno scenario idilliaco: Renzi avrebbe finalmente governato indisturbato.

Più che un’ideologia il renzismo è un credo, un atto di fede. Chi lo professa è serenamente convinto che Renzi possa trasformare l’Italia in un Paese migliore. Per farlo, però, Renzi (come tutti i rivoluzionari) deve essere lasciato indisturbato per un impreciso periodo di tempo – niente compromessi, niente volgari coalizioni e ammucchiate, insomma niente democrazia parlamentare (che con l’Italicum si proponeva neanche tanto velatamente di superare). Renzi si realizzerà soltanto nel momento della vittoria totale; e siccome il tizio non è mai riuscito a farsi votare da più di 11 su 50 milioni di elettori italiani, vale la pena di domandarsi se si realizzerà mai. La prospettiva renziana sul post-referendum dipendeva molto da questo assunto: una volta vinto il referendum, Renzi sarebbe diventato super-popolare e imbattibile. Di lì a poco Mattarella (che Renzi fortissimamente volle al Quirinale) avrebbe probabilmente sciolto le camere, di modo che già nella primavera 2017 avremmo avuto la possibilità di votare e di veder trionfare un governo Renzi Due completamente monocolore. Che prospettiva esaltante (per un renziano).

Ma le cose difficilmente sarebbero andate così. Per pensare a uno scenario del genere, non bisogna soltanto credere in Renzi, ma anche che la democrazia contemporanea preveda l’annichilimento dell’avversario. I nemici di Renzi (Berlusconi, Grillo, Bersani, Salvini, insomma tutti), una volta sconfitti al referendum, avrebbero dovuto accettare una resa incondizionata e ritirarsi a vita privata. In democrazia accade spesso il contrario: l’avversario sconfitto non scompare, ma incattivisce. Dietro a Berlusconi, Grillo, Bersani e Salvini ci sono quattro fette di elettorato che difficilmente Renzi avrebbe potuto erodere in pochi mesi - se vi ricordate i toni della campagna di un anno fa si erano fatti piuttosto accesi. Renzi era già l’uomo da battere prima del referendum: dopo il 4 dicembre gli agguati trasversali si sarebbero intensificati. Uno in particolare era già predisposto sul cammino di Renzi: il 25 gennaio del 2017 la Consulta avrebbe dichiarato incostituzionale la legge elettorale inventata da Renzi e Berlusconi al Nazareno, il cosiddetto “Italicum”, e in particolare l’istituzione del ballottaggio nel caso nessuna lista avesse sorpassato il 40% dei suffragi.

In realtà già a dicembre l’Italicum era considerato dagli stessi renziani una legge sorpassata, da modificare al più presto. Non per una serie di obiezioni costituzionali più che fondate, ma perché ormai i sondaggi avevano chiarito che l’Italicum, per come era stato disegnato, rischiava di consegnare una solida maggioranza parlamentare al Movimento Cinque Stelle. Possiamo anche immaginare che Renzi, ebbro del successo appena ottenuto col referendum, decidesse di giocarsi il tutto per tutto in inverno con l’Italicum: ma difficilmente Mattarella avrebbe sciolto le camere a Natale (e in tal caso, comunque, si sarebbe aperta una fase di incertezza politica non molto diversa da quella prospettata da Confindustria in caso di vittoria del No). Più probabilmente, Renzi avrebbe atteso la primavera per rassegnare le dimissioni: e a quel punto la bocciatura dell’Italicum non lo avrebbe mortificato, anzi. Dopo aver vinto il Referendum – quindi dopo aver ottenuto più del 50% dei voti su un quesito costituzionale – Renzi avrebbe senz’altro immaginato di poter ottenere più del 40% dei suffragi alle elezioni anticipate. E quindi? E quindi ci avrebbe portato a votare in primavera.

E avrebbe vinto?

Non possiamo saperlo, ma dobbiamo immaginare a cosa sarebbe successo a quel punto in Italia: di che cosa si sarebbe discusso nei mesi tra la campagna referendaria e quella elettorale. Ma visto che negli ultimi mesi il centrodestra ha puntato tutto sulla cosiddetta emergenza dei rifugiati, azzardiamo un’ipotesi: Berlusconi e Salvini avrebbero fatto la stessa cosa. Storicamente la Lega e Forza Italia insistono sempre sul tema della sicurezza, in campagna elettorale. Bossi proponeva di sparare ai barconi più di dieci anni fa; Berlusconi è meno drastico ma ha sempre chiamato il suo popolo a raccolta contro la minaccia esterna, i comunisti, i musulmani che vogliono invaderci, eccetera. A Renzi sarebbe rimasto il ruolo ingrato di difensore dell’accoglienza: dopotutto fu il suo governo ad accettare la missione Frontex, che prevede che le navi che pattugliano il Mediterraneo portino i profughi in Italia. Renzi sarebbe andato alle elezioni in primavera non solo come l’uomo da battere, ma come l’uomo di Frontex e dello Ius Soli. Avrebbe vinto? Secondo me no, non ce l’avrebbe fatta. Forse avrebbe prevalso su un Berlusconi ancora intorpidito e un Grillo poco intenzionato a governare; forse avrebbe avuto persino il mio voto; ma non avrebbe raggiunto il 40% dei voti. E quindi?

E quindi ci saremmo trovati un altro governo di coalizione, come quello che ci aspetta, probabilmente, nel 2018. Forse avremmo risparmiato un anno. Forse il Pd non si sarebbe spaccato. Ma di sicuro avremmo vissuto un’altra stagione di incertezza, e Confindustria ce l’ha già spiegato: ai mercati l’incertezza non piace.
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Il negazionismo non è un'opinione

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Il negazionismo è un dubbio. Deve diventare un reato?
By this weekend, those six centuries,
they're a rumor.  They never happened.
Today is history.

I nazisti probabilmente non potevano vincere. A forzarli a un continuo rialzo contro il resto dell'umanità non era la follia di un leader, ma le premesse ideologiche del nazismo stesso, e una strategia a medio-lungo termine basata sul saccheggio. I nazisti potevano soltanto andare a sbattere, e infatti è andata così: e da quando è successa ci sembra la cosa più logica. Ma può essere estremamente utile tentare qualche volta l'esercizio mentale di immaginare come sarebbe il mondo se i nazisti avessero vinto, un eventuale 2013 che fosse anche l'anno 80 dal cancellierato di Adolf Hitler. È un'esperienza che può mettere a disagio, immaginare un mondo che per molti di noi sarebbe semplicemente inabitabile: un mondo nazista è un mondo che ci avrebbe quasi sicuramente impedito di nascere, e di crescere come siamo cresciuti, in ambiti sociali che il nazismo avrebbe smantellato.

Non è facile immedesimarsi in un abitante di quel mondo: ci sembra più facile calarci nei panni di un contadino dell'anno Mille, o un sanculotto alla Rivoluzione. Con quei personaggi condividiamo un passato - crediamo di condividerlo (il contadino dell'anno Mille non sapeva di vivere nel medioevo, né probabilmente nell'anno Mille). Ma con un nazista del 2013 non abbiamo in comune nemmeno quello: il suo passato non è il nostro. È stato completamente riscritto, in fondo è quello che fanno tutti i vincitori. Il nazista del 2013, per fare l'esempio più semplice, non avrebbe mai sentito parlare di ebrei fuori dai corsi di storia medievale, o di geografia del Medio Oriente. I nazisti vincitori a metà Novecento avrebbero avuto tutto il tempo per cancellare qualsiasi evidenza di una presenza ebraica in Europa negli ultimi secoli. Anche i ricordi dei nonni si sarebbero adeguati a questa opera di re-iscrizione della memoria collettiva. Se vi sembra impossibile, pensate a cosa hanno fatto i nostri nonni ai loro ricordi: cresciuti in un ambiente in cui il fascismo sembrava buono e giusto, con gli anni e con la necessità si sono presto o tardi quasi tutti convinti che in realtà il fascismo era stato un sistema di potere rovinoso e criminale. Ma se i criminali avessero vinto, i nonni sopravvissuti (e ariani) avrebbero continuato a stramaledire gli inglesi; a guardare cinegiornali e poi fiction in cui le plutocrazie occidentali massacravano vittime inermi, i poveri indù o i pellerossa o i fieri resistenti indocinesi.

Qualche dubbio qua e là sarebbe serpeggiato come oggi serpeggiano le leggende metropolitane: gli ebrei in Europa come le scie chimiche. Forse al di fuori dell'Europa si sarebbero conservate narrazioni diverse, ma liquidate come invenzioni di nemici degli ariani, subumani in cattiva fede. I nazisti del 2013, nipoti dei trionfatori del 1950, forse avrebbero perso del tutto la nozione di quello che noi ogni tanto chiamiamo "Male assoluto". Al passato caotico e promiscuo - quel passato in cui un afroamericano aveva vinto quattro medaglie di atletica leggera ai giochi olimpici di Berlino - non avrebbero potuto guardare che con orrore e un misto di attrazione perversa (nel modo uguale e contrario con cui gli accessori del nazismo diventarono feticci erotici nel secondo dopoguerra). I loro studenti sarebbero molto più informati di noi sugli orrori coloniali di Francia, Regno Unito, USA e sulle miserie dell'URSS: forse qualche episodio sarebbe stato esagerato ad arte, ma in effetti non ci sarebbe nemmeno bisogno di truccare le carte più di tanto, ogni potenza ha armadi pieni di scheletri. I nipoti dei nazisti non avrebbero il minimo dubbio di vivere nel migliore dei dopoguerra possibili, dopo che i nonni hanno vinto una guerra in cui la posta in gioco era la sopravvivenza dell'umanità ariana; e reagirebbero disgustati a chi proponesse loro l'esercizio speculare: come si può immaginare un mondo in cui americani e i russi si spartiscono l'Europa, un melting-pot irrimediabilmente contaminato e devastato da comunismo e liberismo selvaggio? Un mondo del genere non avrebbe sopravvissuto per più di una generazione...

Ora che siamo arrivati a questo punto, ora che abbiamo immaginato un mondo in cui il passato è stato totalmente riscritto fino a diventare credibile - e quindi ebrei e zingari d'Europa non sono stati sterminati, non sono mai esistiti - facciamo un passo indietro, ma cercando di mantenere quel senso di vertigine. Siamo nel nostro 2013. I nazisti hanno perso, non prima di aver massacrato sei milioni di ebrei. Come facciamo a saperlo? Come possiamo essere sicuri che non sia un'invenzione dei vincitori, una re-iscrizione del passato? Magari gli Alleati avevano cose terribili da farsi perdonare, e hanno reagito fabbricando un passato in cui sono i buoni, i salvatori dell'umanità. Questo peraltro spiegherebbe come mai la Seconda Guerra Mondiale è l'unica che riusciamo a leggere con le lenti che uno storico dovrebbe buttare via alle elementari, i Buoni contro i Cattivi: onestamente, com'è possibile? Che nella Storia degli adulti ci sia ancora spazio per un conflitto in cui i Cattivi vogliono conquistare il mondo e sterminare i nemici, e i Buoni riescono a costo di uno sforzo inaudito a impedirglielo? Non assomiglia più a una fiaba che al modo in cui vanno le cose nella vita vera? E quindi? Come lo risolve, ognuno di noi, questo dubbio di vivere all'indomani di un passato cancellato e riscritto da un ufficio propaganda?

Dico come l'ho risolto io: non con la rimozione. Non mi sono turato le orecchie, non ho gridato LA LA LA LA NON TI SENTO ai negazionisti che venivano a mettere in dubbio le cose che mi sono state insegnate fin da piccolo. Ho ascoltato un po' di quel che dicevano; poi ho letto altri che rispondevano, e ho risolto che per quanto posso capirne io, nello spazio limitato della mia esistenza e del mio cervello, i negazionisti si sbagliano. Il loro passato è meno credibile del passato che insegniamo a scuola. Ci sono prove che li smentiscono; certo, col tempo le prove si possono falsificare, ma tra loro e il consenso scientifico io continuo a fidarmi del consenso scientifico, che non è univoco: si dibatte ancora sul numero, sull'uso delle camere a gas; e questo più di ogni altra cosa mi convince: il fatto che esista un dibattito e non una verità assoluta; che i negazionisti non siano arrestati, ma contestati con argomenti e con prove.

Viceversa, se il negazionismo diventasse un reato; se bastasse negare il passato per essere portati via e processati; se io vedessi accanto a me persone che vengono portate via e processate per il solo motivo di pensare che le cose siano andate in un modo diverso, ecco, a quel punto il dubbio comincerebbe a ripresentarsi anche alla mia porta: perché non avrei il diritto di avere, tra tante, proprio quell'opinione? Probabilmente in un mondo in cui i nazisti avessero vinto, chiunque si ostinasse a portare prove di una presenza ebraica in Europa centrale verrebbe arrestato e imprigionato (magari proprio in alcuni campi in Europa centrale). Voi invece volete arrestare e sanzionare chi nega la Shoah o la ridimensiona. Un po' lo capisco. Dopo decenni di dibattito storico, non è che puoi venirtene a dire che la Shoah non c'è stata: non è un'opinione, è una negazione di evidenze, di prove; è presentarsi a un convegno di paleontologia con la Bibbia in mano e affermare che i dinosauri sono tutti falsi perché sulla Bibbia non ci sono. E infatti io non invoco la libertà di opinione; peraltro non sono sicuro che tutte le opinioni la meritino. Preferisco pensare a un dovere, per ogni opinione condivisa e credibile, di difendersi da qualsiasi obiezione possibile senza chiamare la psicopolizia. Altrimenti la tua opinione non è più davvero condivisa e credibile: è soltanto difesa con la forza da un dubbio che evidentemente fa paura. E perché dovrebbe fare paura?

Uno dei motivi per cui sappiamo tante cose sulla Shoah, e tante altre continuiamo a impararne, è proprio la necessità che hanno avuto i superstiti di misurarsi col negazionismo, portando prove e testimonianze: nessuna delle quali magari per sé è definitiva - ma quando hai migliaia di persone che ti raccontano la stessa cosa, il negazionismo è sconfitto. Questo enorme e prezioso lavoro ci ha reso un servizio migliore di qualsiasi legge contro un'opinione. Anzi. Se avessimo iniziato a negare il negazionismo da subito, oggi non avremmo forse strumenti oggettivi per contrastarlo razionalmente. L'abitudine a procedere per dogmi ci avrebbe reso insensibili alla necessità di trovare prove documentarie. Il negazionismo ci serve a tenerci in allenamento, a non ripiegarci mai sulla risposta più semplice: "le cose sono andate così e basta". No. Noi avevamo bisogno di dimostrare che le cose erano andate nel modo pazzesco in cui erano andate. Abbiamo scavato, abbiamo domandato, abbiamo ascoltato, abbiamo tratto delle conclusioni (non univoche); e così i nazisti hanno perso. Come faccio a sapere che hanno perso? Come faccio a sapere che non hanno vinto, e hanno riscritto la storia assegnando i loro crimini agli sconfitti?

Io so che hanno perso perché sono qui, adesso, e mi posso immaginare la loro vittoria senza che nessuno mi denunci o voglia portarmi via. Si chiama libertà di opinione, credo. Preferirei chiamarla necessità di dubbio. Lo "scuoter del capo su verità incontestabili" è bello - lo diceva un tizio a cui i nazisti davano la caccia. Aveva in effetti idee discutibili. Ma i suoi dubbi sono ancora meravigliosi.
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Il Lodo Ligabue

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Le persone che non siamo diventate.

Stavo cercando di inventarmi un'ucronia, sapete, una realtà alternativa, non la solita dove Hitler vince la guerra; una cosa un po' più verosimile, del tipo: la CIR nel 1991 si prende la Mondadori, magari riesce anche a ottenere un'emittenza televisiva, la Fininvest perde smalto e quando arriva Mani Pulite Berlusconi è già decotto. Di conseguenza noi oggi saremmo... boh, una nazione normale? Una dittatura del popolo con gigantografie di Scalfari su tutti i muri? O viceversa Scalfari sarebbe caduto e dimenticato come Trotskij? Ma faccio molta fatica, non è come Hitler e il nazifascismo, una foto in bianco e nero da osservare da fuori. Questa è una foto a colori, e in più ci sono dentro anch'io, non riesco a mantenere il necessario distacco, voglio dire, nel 1991 ero quasi maggiorenne, andavo già in giro, facevo cose.

Oddio, “cose”.
In realtà l'estate 1991 è un angolo buio, non c'è neanche un Mondiale o un Europeo per aggrapparsi al ricordo delle partite. Tutto quello che riesco a ricostruire è che avevo comprato un biglietto per un concerto di un giovane cantautore rock di Correggio che l'anno prima mi aveva piacevolmente sorpreso – non è che andassi pazzo per il rock italiano, però il primo disco di questo tizio era la fotografia precisa di quello che stavo facendo io e i miei amici in quel periodo, ovvero niente.

Ma un niente molto inquieto, che cominciava alle ventuno nel parcheggio della parrocchia e che poteva portare in una pizzeria dall'altra parte della provincia, e da lì in una birreria che stava magari nella provincia di fianco, e poi a far la coda per entrare in una disco magari in un'altra regione, magari per rompersi le palle prima di entrare perché dai, ventimila lire e sono già le tre, e finire in un'altra birreria in un'altra provincia ancora, se non era già l'ora dei bomboloni in un forno ad altri cento km di distanza – insomma, in quel periodo la sera, più che andare in pizzeria, o in birreria, o in disco, si stava in macchina. Per ore intere, ad ascoltare musica con impianti stereo spesso più soddisfacenti di quelli che avevamo in casa, come a dire che alla fine le brevi consumazioni nei pub di Ravarino o Gualtieri non erano che pretesti, scuse per aggiungere chilometri alla serata. E questo nuovo rocker di Correggio, imparato a memoria sui sedili posteriori degli amici che avevano la patente, ecco, non è che suonasse così originale neanche allora, al massimo si poteva apprezzare che non cercasse di copiare Vasco; che partendo da un accento simile fosse già riuscito a costruire un birignao tutto suo. Ma soprattutto che parlasse di noi, esattamente di noi, che ci fornisse polaroid non importa quanto mosse o saturate della nostra vita banalissima e inquieta, e insomma, io venticinque sacchi per il suo concerto li avevo staccati, ma in realtà era anche e soprattutto una scusa per vedere la Franca.

Perché quando arrivava luglio e la scuola era terminata da un pezzo, e le corriere non si prendevano più, le persone che ti eri abituato a vedere tutti i giorni diventavano improvvisamente ricordi lontani (no cellulari, no facebook), e l'idea di rivederle diventava un miracolo, un'epifania, la sola fantasia di poterle riavere per un istante nel campo visivo ti rendeva capace di espedienti astuti e temerari, o viceversa penosi e ridicoli, come comprare un biglietto per Ligabue senza avere la macchina per andarci. Nessuno dei miei amici mi avrebbe accompagnato, non so perché poi: probabilmente erano troppo tarantolati, troppo schiavi dell'inquietudine del motore a scoppio per accettare le costrizioni di un concerto, il dover restare bloccati nella stessa folla per un'oretta senza poter girare i tacchi in qualsiasi istante “O raga mi son rotto le palle, andiamo a Pievepelago che c'è un posto dove hanno la birra non filtrata?” E un po' li capisco, in fondo sono anch'io così. Quando non sono innamorato.

Ecco (comincio a ricordare) io nell'estate del 1991, mentre De Benedetti e Berlusconi si giocavano la Mondadori e il destino dell'industria culturale, ero sbandato perso per la Franca, totalmente drogato di quella cosa potentissima che è l'assenza, dopo mesi e anni che avevo avuto per parlarle invece di far lo scemo con Baraldi sui sedili posteriori, poi arriva l'estate del 1991 e magari non avevo neanche il numero del suo fisso. Ma Ligabue a Nonantola non se lo sarebbe perso. Di questo ero sicuro, e di nient'altro: Ligabue le piaceva, l'iscrizione in uniposca sopra la tasca del suo zainetto non mentiva e soprattutto non potevano mentire le foto appiccicate sulle pagine estive della sua smemo (intercettata da Baraldi durante una innocente finta colluttazione sui seggiolini). Oggi, ripensando al primo tizio con cui si mise (e al tizio con cui si mise due anni dopo, il padre se non sbaglio dei suoi quattro cattolicissimi figli, ma potrei aver perso il conto) mi sembra evidente ciò che nel 1991 non mi attraversava nemmeno per sbaglio il cervello, ovvero: Ligabue le piaceva soprattutto in quanto uomo; le piaceva quel tipo di vitello emiliano con quell'aria da sventragalline a riposo, con quell'esistenzialismo alla Lupo Alberto, per cui è sempre colpa della sfiga, è Dio che ce l'ha con me, ma se tu insisti baby mi converto, quel tizio che a ventisei anni ne mostra trentasei ma poi inspiegabilmente si blocca lì, quindi di recente devo averlo sorpassato a destra. Non che abbia molta voglia di controllare.

Dunque a Franca piacevano quei tipi lì, questo mi è terribilmente chiaro solo oggi, però voglio dire, non è detto, uno passa anche trent'anni di vita senza assaggiare ghiaccioli all'anice, poi scopre che esistono e diventa matto e ne vuole tutti i giorni, sì, cose di questo tipo succedono. Io coi miei amori de lonh ero probabilmente un tizio ridicolo nel 1991, e magari per certi versi lo sono anche adesso, però mi piace pensare che avrei potuto essere il ghiacciolo all'anice della Franca, se non fosse stato per Baraldi che la sera mi dice: Ma sei sfigato? Come ci vuoi andare a Nonantola, in bici? Dai qua il biglietto, valà. E cala trenta sacchi, un Return On Investment immediato del dodici per cento, ma non fu quello il motivo per cui capitolai. Fu l'incubo della Sfiga, fu la vergogna di avere un biglietto e non avere nemmeno un vespino, qualcosa di dignitoso, niente: pedalare nella notte fino a Nonantola e ritorno non sarebbe stato un problema, ma era una cosa che fanno gli scemi del villaggio, non gli innamorati.

“Ma a te non faceva cagare Ligabue, scusa”.
“Non è per me, è una mia (occhiolino) amica, ce la porto”.
“Allora te ne servono due”.
“Lei ce lo ha già, però non ha nessuno che la accompagni, (occhiolino) capisci”.

Baraldi adesso te lo posso dire, tu mi hai rovinato la vita io ti odio, con quel tuo perpetuo occhiolino e il tuo continuo alzare l'asticella sul baratro della Sfiga, io quella notte sarei sfrecciato nella luce del crepuscolo sulla mia viscontea bordeaux, perché no?, l'aria mi avrebbe phonato i capelli dando loro il volume ottimale, asciugando nel contempo il sudore senza lasciare aloni sulla polo, e sarei arrivato in tempo per occupare le prime file e trovarci la Franca, magari per lasciarle il posto davanti alla spia del solista, e lei avrebbe sgranato gli occhi con quel riflesso condizionato di cui era inconsapevole, e mi avrebbe detto Ma cosa ci fai qui? Sei da solo? Sei un matto!, ma con quel sarcasmo bonario che amavo alla follia anche se ci avevo messo quattro anni per accorgermene, e poi avrebbe preso il mio posto passandomi davanti e lasciandomi a pochi centimetri dai suoi dolcissimi fianchi per tutto il concerto, che mi auguravo lunghissimo – ma tu mi hai corrotto, tu, tu hai messo su un piatto i miei sogni d'amore e sull'altro trentamila lire, tu hai comprato la mia innocenza, il mio entusiasmo giovanile, con un ROI immediato del dodici per cento (cinque sacchi), mi hai fatto sentire irrimediabilmente sporco. Ma non è neanche questo il problema.

Il problema è che, come ben immagina il lettore a questo punto, la ragazza che hai accompagnato al concerto era proprio la Franca, e che la notte stessa sotto il ponte di Navicello l'hai sverginata sulla tua Tipo Diesel rossa, con Ba-ba-bambolina in sottofondo, tu con la tua estetica da bagnino nato per sbaglio in questo luogo così ingiustamente remoto al mare: tu non mi hai semplicemente spezzato il cuore, tu lo hai trasformato in antimateria, c'è una vescica di nulla che pulsa da allora nel mio petto, io Franca l'avrei amata sul serio, non avevo neanche bisogno di convertirmi e credere al Vangelo, io quattro figli glieli avrei fatti sulla parola, saremmo andati a vivere in una di quelle villette a schiera di San Prospero che non costano tanto e non sono poi così male, e insomma a questo punto sarei una persona molto diversa. Non saprei neanche dirti che persona sarei.

Andrò in tribunale, a chiedere l'indennizzo per la persona che non sono diventato nel 1991. Cinquecento milioni non li spunto, ma un paio, chissà. Insomma, è una vita intera, mica briciole.

(è un racconto, Franca e Baraldi non sono mai esistiti, neanche io del resto, e magari non è esistito neanche Liguabue, non so, non ho molta voglia di controllare).
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L'innocente era lui

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(Cinque anni fa esisteva una bella rivista on line che si chiamava Sacripante!. Io avevo una rubrica in cui rispondevo a lettere immaginarie. I pezzi che ho scritto per Sacripante ogni tanto li ritrovo qua e là per la rete: non portano il mio nome, né il mio link, sono in assoluto i figli più orfani che ho.
Di questo in particolare provo molto pudore, e ogni volta che qualcuno lo ritirava fuori andavo a nascondermi dalla vergogna. Però è vero che l'ho scritto io, e dopo cinque anni è ora di riconoscerlo: brutto o bello che sia, viene da qui).


(2005). È vecchio, stanco e scazzato, con quel vago senso di vergogna che l'assale tutti gli anni verso la festa dei morti.
Perché? Non sa esattamente il perché. Saranno i tanti amici sepolti là fuori, che reclamano un saluto, una preghiera, un mazzetto di fiori. Ma Dio, che sciocchezze. Che banalità neo-pagano-vetero-borghesi. Dovrebbe fregarsene di queste cose. Dovrebbe.
Ma la mamma. Il solo pensiero.
Avrebbe dovuto farla cremare. Non ha avuto il coraggio. Così adesso è lì, e il solo pensiero di non andarla a trovare, gli ficca ogni due novembre un artiglio nel cuore.
"Ci vado. Ci vado. Ma oggi no, troppa confusione. E poi si è fatto tardi, che ora è?"
Sono le tre e lui è ancora in vestaglia. Un vecchio in pantofole e vestaglia, ecco quel che è. Lui un tempo così pieno di energia, di voglia di fare: ora gli ci vuole mezza giornata solo per mettersi a tavolino.
Il computer è il vecchio pentium che gli ha lasciato il povero Raffaele – fu lui a insistere che bisognava aggiornarsi, a buttargli via a tradimento la vecchia Lettera 22.
"Stai diventando un feticista della macchina da scrivere, Paolino, te ne rendi conto? Un vecchio rudere che scrive madrigali sui bei tempi andati. Svegliati! Tra un po' è il Duemila!"
"Mi fa schifo il Duemila, Raffaele".
"Ti fa schifo il Duemila, ti faceva schifo il Novanta, l'Ottanta, già il Settanta ti faceva piuttosto schifo. Dov'è la novità? La novità è che ormai il Duemila se ne frega, di quello che pensi tu. Se non impari ad accendere il computer, manco se ne accorgerà, il Duemila. E sai cosa vuol dire se nessuno se ne accorgerà?"
"Cosa vuol dire?"
"Vuol dire che sei morto! Quando nessuno ti leggerà più, quando nessuno ti capirà più, sarai morto, Paolino! Prima ancora di andare sottoterra! Perciò devi imparare a spedire le mail, capito? Le mail ai giornali! Così magari riescono a pubblicarti un pezzo in giornata".
"Ma per favore…"
"E aprire un sito, perché no? Un sito Internet in cui dialoghi coi tuoi ammiratori, e…"
"No. Col porno ho chiuso, e lo sai".
"Ma cos'hai capito. Non c'è solo il porno su Internet…"
Buon vecchio Raffaele. Anche lui era morto, qualche anno prima, di una morte ideale: un arresto cardiaco, istantaneo, indolore per lui e per chi gli stava accanto. Solo, si era dimenticato di lasciar scritto che lo cremassero. Così ora si trattava di scegliere se farsi tumulare accanto all'amata madre o al compagno di vita. Un altro pensiero fastidioso, un'altra spina. Benché certo, Raffaele non si sarebbe offeso – non si offendeva mai.
Si erano incontrati tardi, nel modo più improbabile. Com'era potuto accadere, a un pederasta incallito come lui, sempre a caccia di ragazzini, di innamorarsi di un borghese, un funzionario Rai con moglie e figli? Raffaele non divorziò finché la cosa non divenne davvero di dominio pubblico, e ci volle ancora molto tempo.
Nel frattempo lo aveva aiutato a rimettersi in piedi – lui veniva da anni complicati, processi per oltraggio al pudore e debiti con gli avvocati; film sequestrati dalla magistratura, e persino dalla malavita – per giunta era una fase di crisi creativa, in cui gli sembrava di non aver fatto nulla di buono, anzi: suo malgrado aveva creato un mostro, il filone erotico-medievale; e ora le sale di periferia pullulavano di pellicole pecorecce a base di dame e castelli, ed era una vera tortura portarci i ragazzini…
"Forte questo, aho! L'ha fatto lei?"
"Ma per favore…"
Gli sembrava di non aver mai capito nulla – per anni si era creato un mondo immaginario, perfetto, ingenuo, ignorante, popolato da ragazzini altrettanto perfetti, ingenui e ignoranti: tutta spazzatura da cinema di serie B, fantasie da vecchio pervertito: ora gli era tutto chiaro. Avrebbe voluto spazzare via tutto, distruggere sé e la sua opera, con un film davvero criminale, una fantasia sadomaso. E poi stava scrivendo un libro impubblicabile, un diario di tutte le perversioni sue e del suo tempo. In realtà stava scendendo una china pericolosa, chissà che fine avrebbe fatto, se una sera in trattoria non si fosse fermato a parlare con quell'uomo simpatico e brillante – Raffaele.
Raffaele che voleva fargli scrivere sceneggiati televisivi; in un qualche modo si era messo in testa che lui potesse scrivere dialoghi per la Rai TV.
È il futuro, diceva (proprio come avrebbe detto poi del Videoregistratore, del Fax, e infine di Internet). È il futuro che ti sfida, e tu non puoi rinunciare. Lasciati alle spalle tutte quelle menate sulla civiltà contadina. Lascia perdere tutti i tuoi teoremi politici, quelle orazioni da signor "So tutto io"… che poi cos'è che sai, realmente? Un cazzo, sai. E anche il sesso – lascia perdere anche il sesso per un po': è ancora troppo presto, ma vedrai. Io sogno una tv libera e intelligente. Fatta dai grandi autori come te – io so che tu sei un grande autore, se solo la smettessi di girare porcate per il puro gusto di fartele sequestrare, se solo superassi quella fase infantile del comunismo, quella fase, lasciamelo dire, anale…
Ora, mentre aspetta di caricare il file a cui sta lavorando, si chiede seriamente se Raffaele non avesse alla fine torto.
E se non abbia avuto torto lui a dargli retta. Aveva superato la fase anale: distrutto l'ultimo film maledetto, bruciato il romanzo-fiume. E si era messo a macinare dialoghi di qualità per l'industria culturale. Come l'ultimo corsaro della Regina, che si fa nominare baronetto e aspetta la marea giusta per tornare in mare aperto e innalzare la bandiera nera, come tanti altri in quel periodo – ma alla fine la marea non era tornata mai. Erano invece arrivati gli anni Ottanta, e lui si era trovato a bazzicare quel sottomondo di nani e ballerine. Aveva scoperto Eros Ramazzotti, si era fatto riscoprire da Bettino Craxi. Ogni tanto lo intervistavano, specie in autunno quando gli studenti occupavano le scuole; e l'intervistatore cercava sempre di fargli dire qualcosa di cattivo sugli studenti.
"Ecco, lo vedi, Raffaele? Sono diventato una maschera nel teatrino, sei contento?" E Raffaele, tranquillo: "Sta a te trasformare il teatrino in un teatro serio". "No, Raffaele, no. Il teatrino è più forte di me. Mi ha mangiato, digerito e cacato, come tanti altri". E lui scuoteva la testa e sorrideva. Sempre scuoteva la testa e sorrideva, ed era impossibile non amarlo. Per lui non c'erano sconfitte, solo sfide.
Ma ora che se ne andato, è difficile scambiare per sfide così tante sconfitte. Il file si è aperto, finalmente, cos'è che stava scrivendo? Un pezzo sulla cocaina, ancora. La cocaina? Ma è roba che andava quindici giorni fa! È da quindici giorni che ci lavora? E quale giornale gliela vorrà mai pubblicare?
Spegne tutto, si sente stanco. Stanco e scazzato. Non dovrebbe farlo, ma prende in mano il telecomando. La vita va avanti, più stupida che mai, e sapere che può andare avanti senza di lui è quasi consolante. Sul primo c'è una Medea moderna, che uccide il figlio e si getta in pasto agli avvocati. Sul due c'è un reality show per celebrità, lo conosce perché glielo avevano proposto. ("Ma guardate che ho 83 anni!" "Beh, al massimo esce subito, ma vedrà, in fondo lei è un personaggio, Tarantino le ha appena dedicato un documentario, i suoi vecchi film in dvd stanno andando forte, e poi l'omosessuale anziano funziona, e lei potrebbe approfittarne per parlare al grande pubblico delle sue idee. Purché non bestemmi…"). Sul tre cercano le zingare che rapiscono i bambini. Sul quattro e cinque e sei l'immaginario americano, eccola qua – l'immaginazione al potere. Sul sette c'è un grassone che pontifica di guerra al Terrore, e ogni volta che lui lo vede ha un sogghigno – guardalo lì, uno di quei coglioncelli di Valle Giulia. Restano i canali di video musicali. Li guardava a volte, di sera, assieme a Raffaele – gli piacciono i gruppi giovani, i ragazzini sono sexy. Non sono innocenti, non sono ingenui, a vent'anni sono già perfetti stronzi che sanno quanto possono spremere dalla vita, e gli va bene così. E anche a lui va bene così. Ha passato la vita a rimpiangere un mondo innocente, e troppo tardi si è reso conto che l'innocente era lui.

2/11/2005 Caro Leonardo
A volte non riesco a non chiedermi: e se? Lo so che è stupido, ma non ci posso fare niente. Per esempio in questi giorni mi chiedo: e se Pasolini non fosse andato all'Idroscalo, trent'anni fa, cosa farebbe adesso? Come sarebbe? Tu che ne pensi? Perdonami. IF '75.

È vecchio, stanco e scazzato, con quel vago senso di vergogna che l'assale, tutti gli anni, verso il giorno dei morti.
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Parlare per non capirsi

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Mi me son fato 'na lengua mia

(2013. Il mondo non è finito, purtroppo, e così i leghisti sono rimasti al potere. Trieste, sede della Regione, Assessorato alla Pubblica Istruzione:)

“Ventiquattro. No! Daccapo. Per uno, sette; per due quattordici; per tre ventuno, per quattro... per quattro... Maledigne!”
Toc, Toc.
“E adesso chi è?”
“Commissario, avremmo un problema”.
“Adesso no, sono impegnato. Sto ripassando la tabellina del set...”
“Il fatto è che tra gli aspiranti insegnanti per la regione Friuli Venezia Giulia c'è un candidato che ci sta dando dei grossi problemi”.
“E alore bocciatelo, che problema c'è”.
“Ecco, il punto è proprio questo. Non possiamo bocciarlo. Ha superato tutti i test senza fare un errore”.
“Non capisco. Se è così bravo che problemi vi dà? Come si chiama?”
“Totò di Gennaro”.
“Ah, forse ho capito. Totò sta per Salvatore?”
“No”.
“Per Antonio?”
“Neanche. Totò sta per Totò e basta, ci ha fatto vedere i documenti, lui si chiama così. E pretende che lo assumiamo”.
“Eh, certo, poi quando si ritrovano in classe un maestro di nome Totò la colpa è nostra... va bene, ai casi estremi, estremi rimedi. Fategli il test sul dialetto”.
“Ma commissario...”
“Lo so, di solito non si fa, ma questo è appunto uno dei casi. Chiedetegli due frasi in triestino e mandatelo a casa. E se verranno i giornalisti, pazienza”.
“Commissario, non creda che non ci abbiamo già pensato”.
“E quindi?”
“Il punto è che il triestino non lo sa nessuno in commissione. Lei ne parla un po'?”
“Ma che razza di triestini siete?”
“O soi furlan, o ven di Udin”.
“Eh?”
“Dicevo che sono friulano, di Udine”.
“Ah! Ma che lingua parli?”
“Friulano”.
“Ma non mica una lingua quella lì”.
“Come no, certo che è una lingua”.
“Ma no, lo sanno tutti che vi capite a gesti, come i macachi... va bene, vengo io. Voglio proprio vedere come se la cava, il Totò Esposito”.
“Totò di Gennaro”.
“Esposito, di Gennaro, stessa roba. Faccia strada”.

(Entrano nell'aula. Al centro, una fila di esaminatori terrorizzati – tutti rigorosamente nativi della regione Friuli – Venezia Giulia. Davanti a loro, Totò di Gennaro si sta pulendo l'angolo di un'unghia con studiata non chalance. Ha appena finito di illustrare il teorema di Fermat, con una meravigliosa dimostrazione che per amor di sintesi qui vi risparmio).


COMMISSARIO: “Di Gennaro Totò?”
TOTO': “Songhe io”.
“Lei mi sembra molto determinato a conquistare una cattedra nella nostra bella regione”.
“E cosa vuole mai, commissario... se debbo scegliere tra il Friuli e la disoccupazione...”.
“È meglio il Friuli”.
“Della disoccupazione? Mmmsì”.
“Però, vede, per insegnare qui da noi non basta conoscere le materie, anche alla perfezione, come lei... ci vuole un certo attaccamento che forse, da parte sua, ancora non abbiamo riscontrato... insomma, è sicuro di riuscire a interagire con gli studenti?”
“Ma sì, penso di sì”.
“Per esempio, metta che le chiedano che tempo fa... in triestino”.
“Sùfia 'n'arieta cruda e piovarà diboto: se se sera el capoto, se fica le man drento”.
“Eh?”
“Le ho risposto in triestino: soffia un'arietta cruda e pioverà fra poco: ci si chiude il cappotto...”
“Ma sì, sì, ho capito... più o meno... ma i triestini di solito non parlano così”.
“Dice di no?”
“Dico di no”.
“Sulla base di quali elementi?”
“Elementi? Non c'è bisogno di elementi, sono di Trieste e lo so”.
“Mi dispiace che lei triestino sconfessi in questo modo i versi di Virgilio Giotti”.
“E chi sarebbe questo Virgilio...”
“Il massimo poeta in lingua triestina del Novecento”.
“Poeta in lingua triestina?”
“Eh, sì”.
“Ma scusi, un conto è la poesia scritta, un conto è... il dialetto”.
“In che senso?”
“Il dialetto non è mica una cosa che si può imparare a memoria sui libri... è una cosa viva, mobile...”
“Può anche darsi: però un esame è una prova oggettiva, in cui lei mi fa una domanda e io le do una risposta. E c'è un verbale scritto, dal quale deve risultare che lei mi ha fatto una domanda in triestino e io le ho risposto”.
“E lei si aspetta che noi la promuoviamo semplicemente perché ha mandato a memoria due versi di un poeta triestino che...”
“Me 'speto senpre, 'speto incora, che fassa l'alba, che fassa aurora, e che la vegna a dame un baso, a ufrime el so geranio in vaso”.
“Ancora questo Virgilio...”
“No, questo è Marin”.
“Marino chi?”
“Biagio Marin, uno dei più grandi poeti...”
“Triestini?”
“Ma no, non lo sente? Marin è di Grado, provincia di Gorizia. Non si parla solo triestino, nella vostra bella regione”.
“Ah, perché se io le chiedessi di parlarmi in friulano, lei...”
“Na greva viola viva a savarièa vuèi Vinars”.
“Stop. Non ci ho capito niente, ma non m'importa. Lei non può fare così”.
“Così come? Sapevo che durante l'orale era previsto un esame di dialetto e me lo sono preparato; che altro avrei dovuto fare?”
“Lei non può fingere di conoscere i nostri dialetti”.
“Io non fingo niente. Ho solo imparato le vostre poesie”.
“Le nostre poesie, fantastico, adesso solo perché stiamo a Trieste o a Grado queste sono le nostre poesie”.
“Non lo sono?”
“Per esempio, io non le avevo mai sentite”.
“Ma sono sui libri, sulle maggiori antologie della letteratura italiana, e insomma io per superare la prova di dialetto cosa avrei dovuto fare? Studiarmi quindici grammatiche diverse che non sono neanche in commercio?”
“No. No. No. Il dialetto non s'impara”.
“O bella, e perché?”
“Perché... è la lingua che uno si trova in casa... ci nasce dentro, non ha bisogno di nessuno che te la insegni, capisce? È una radice. Uno ce l'ha o non ce l'ha”.
“E quindi non c'è neanche bisogno di un maestro che ve l'insegni a scuola, no?”
“Giusto. Però comunque i maestri li vogliamo tutti radicati”.
“Comincio a capire. Vi serviva qualcosa che fosse il contrario della cultura. Qualcosa che non si può insegnare, non si può imparare, non si può comunicare. E avete trovato il dialetto”.
“Appunto”.
“Ma è solo una vostra idea di dialetto. Bastava guardarsi un po' in giro per rendersi conto che anche i vostri dialetti sono lingue, con le quali sono stati scritti libri, che tutti possono leggere e apprezzare... persino un neolaureato avellinese, perché no”.
“Certo che voi meridionali siete tremendi. Facciamo una legge e trovate un inganno”.
“Credete che il triestino sia solo quello delle bestemmie dei bar, e ci hanno scritto poesie d'amore. Il più famoso poeta in friulano è nato a Bologna, è morto a Roma. E poi siete arrivati voi, che non sapete un cazzo”.
“Ehi, come si permette?”
“È un'espressione dialettale. Significa che vivete in una dimensione di non comprensione di sé e dell'altro”.
“Cioè in parole povere...”
“Non capite un cazzo, a un punto tale che vorreste fare esami sul cazzo che non capite. E pretendete pure di avere delle radici, le radici, ma dico io, del concime tossico sparso tutt'intorno ne vogliamo parlare?”
“L'esame è finito, può accomodarsi, grazie”.
“Un giorno o l'altro mi tornarò, / No' vùi fra zénte strània morir, / Un giorno o l'altro mi tornarò / Nel me paese”.
“E adesso che fa... scenda da quella cattedra”.
“Dentro le pière che i gà inalzà / Su le rovine, mi cercarò, Dentro le pière che i gà inalzà, Le vecie case”.
“Dobbiamo chiamare le camicie verdi? Scenda giù”.
“Sarò pai zòveni un forestier, / Che varda dove che i altri passa, / Sarò pai zòveni un forestier, / No' lori a mi”.
“Ma in che lingua sta parlando, qualcuno ci capisce? Sembra arabo”.
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Aussichten auf den Bürgerkrieg

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Di ronda in ronda

Se chiedete ai nonni, forse qualcuno ancora si ricorda, di quando non c'erano le ronde nel quartiere. La gente aveva paura a uscire in strada, non sapeva di chi fidarsi.
Certo, quando proprio le cose si mettevano male c'erano i Poliziotti. Si chiamavano col telefono, e a volte arrivavano, con le macchine le sirene le mitragliette – ma poi si mettevano a fare domande a tutti, così alla fine nessuno li chiamava volentieri.

Invece gli Uomini in Verde, quando cominciarono a venire, non facevano domande. Soltanto: tutto bene Signori? Possiamo esservi utili in qualche modo? Erano gentili, e non mostravano le armi. Si fermavano sempre al bar da Pino a prendere il caffè, e insistevano per pagarlo. Poi si mettevano a chiacchierare (di calcio, più che di politica) fino a mezzogiorno, quando si dirigevano verso la scuola. L'anno prima era morto un ragazzino, messo sotto da un pirata, così i Vigili non si erano lamentati troppo quando gli Uomini in Verde avevano cominciato a dare una mano col traffico. Inoltre, da quando erano arrivati, non si era visto più un solo spaccino del Magreb intorno alla scuola. Si capisce che i genitori fossero molto contenti degli Uomini in Verde – molti di loro presero anche la casacca, erano felici di dare una mano.

Poi ci furono le elezioni, e nel quartiere il partito degli Uomini in Verde vinse a man bassa.

Dopo le elezioni ci furono dei tagli, per via della crisi economica. Davanti alla scuola non c'erano più vigili, ma all'inizio nessuno ci fece caso. Tanto c'erano gli Uomini in Verde, ed erano capaci di dirigere il traffico quanto chiunque altro. Anzi, molti automobilisti del quartiere avevano più rispetto dei Verdi che dei Vigili, perché i Verdi ormai erano tutta gente del quartiere, che sapeva chi eri che mestiere facevi e dove parcheggiavi la macchina, così non era proprio il caso di fare gestacci al finestrino. Così, man mano che i semafori si spegnevano, il traffico rimase in mano ai Verdi, ma funzionava. Si facevano meno incidenti, la gente ci metteva più attenzione. Non era più come una volta, quando guidare in città era come schivare i birilli: adesso dovevi stare attento a chi ti osservava; guidare era tornato a essere un gioco di relazioni. Lo dicevano anche i sociologi: le Ronde ci hanno costretti a uscire di casa, a riprendere in mano la città. Gli Uomini in Verde vinsero anche le elezioni successive.

Però la crisi economica continuava, e molti onesti padri di famiglia cominciarono a chiamarsi fuori. Il fatto è che le ronde erano cominciate in sordina, come un dopolavoro per pensionati, e man mano erano diventate sempre più importanti. Fare un turno agli incroci poteva essere molto stressante, e anche se tutti ti dicevano grazie e votavano per il tuo partito, ugualmente dopo un po' cominciavi a sentirti un pirla a farlo gratis. Alla fine restarono soltanto i più esaltati, e i disoccupati: e quest'ultimi (alcuni dei quali magrebini) ormai le ronde le facevano soltanto intorno alla villetta dell'Assessore alla Sicurezza, quello eletto coi voti degli Uomini in Verde. Costui alla fine riuscì a sbloccare qualche fondo, ma erano briciole.

Nello stesso periodo un odioso piromane cominciò a dar fuoco alle automobili del quartiere, una ogni notte. A quel tempo ormai la Polizia non aveva più compiti di sorveglianza: in base al principio di sussidiarietà si dava per scontato che a queste cose ci pensassero le ronde. Anche gli Uomini in Verde ritenevano che la cosa fosse affar loro; soltanto chiedevano ai residenti del quartiere di contribuire alle spese per la vigilanza notturna. Così fu organizzata una colletta: gli Uomini in Verde passavano di casa in casa, e ciascuno dava secondo la sua necessità.

Fu una gara di generosità davvero commovente: tutti diedero qualcosa. Solo Pino, il titolare del bar, non volle partecipare, per via di una vecchia bega col boss degli Uomini del quartiere, un vecchio conto da saldare. Beh, sì, certo, era capitato spesso al boss di offrire da bere ai suoi uomini, al termine di un turno faticoso, e tante volte aveva detto “segna sul conto”: sempre in attesa di quei maledetti fondi che non arrivavano mai, ma la colpa di chi era? Comunque se Pino non voleva pagare per la vigilanza, per la protezione, era un suo diritto, erano fatti suoi.

La colletta fu un successo: nessuna automobile prese più fuoco nel quartiere. Un mese dopo tuttavia fu il bar di Pino ad andare in fiamme.
I famigliari gli sconsigliarono di chiamare la polizia. Cercarono anche di convincerlo ad accettare la generosa offerta del Boss, che voleva rilevare le macerie del bar per installarci un Circolo Ricreativo degli Uomini in Verde. Pino però era una testa dura, e aveva contatti in altri quartieri. Vendette la licenza a un suo lontano parente, e sloggiò. Il bar, trasformato in Ristorante, riaprì due mesi dopo, con certe ceffi dentro che nessuno aveva mai visto in zona. Quando gli uomini in casacca verde provarono a entrare, furono cortesemente accompagnati alla porta con qualche colpetto di manganello alla nuca. Questo rese chiaro a tutti che gli Uomini in Nero avevano messo piede nel quartiere.

Gli Uomini in Nero non avevano mai avuto una grande presenza in zona, ma in altri quartieri erano maggioranza. Si raccontavano cose favolose e un po' orribili sui quartieri gestiti dai Neri: scolaresche al passo dell'oca, stranieri segregati eccetera, ma in gran parte erano leggende. Certo, avevano un'organizzazione un po' più militare, e questo in certe situazioni poteva servire. Per esempio, il Comandante Nero a cui era stato affidato l'ex bar di Pino era un fine stratega e sapeva che lo scontro frontale coi Verdi, per il momento, era fuori discussione. Bisognava andarci piano; così quando seppe dell'increscioso incidente andò pubblicamente a chiedere scusa al Boss dei Verdi, e lo invitò anche al ristorante, a bere alla sua salute e a sue spese. Il Boss ci andò; rifiutare l'invito l'avrebbe messo in cattiva luce, bisognava dimostrare di aver coraggio.

Quel pomeriggio, mentre il boss dei Verdi brindava nel locale dei Neri, ci fu una rissa davanti alle scuole. Una squadra di Uomini in Nero circondò tre magrebini in casacca verde che spacciavano. Questo era quello che facevano per vivere, da sempre: prima in borghese, poi, adeguandosi allo spirito dei tempi, in casacca verde. Inchiodati dalle prove fotografiche (e al vecchio semaforo in disuso), i tre spaccini fecero crollare l'indice di gradimento degli Uomini in Verde nel giro di una mezza giornata. La raccolta fondi porta a porta cominciò a fruttare meno: anche se nessuno osava rifiutare un obolo, quasi tutti piangevano miseria, trovavano scuse, scucivano spiccioli. Il boss Verde era già l'ombra di sé stesso, quando, una settimana dopo, girando la chiave della macchina saltò in aria. La raccolta fondi fu temporaneamente sospesa. Un mese dopo ci furono le Comunali e gli Uomini in Nero, a sorpresa, s'imposero nel quartiere.

La loro raccolta era molto più scientifica: si trattava anche per loro di dare ciascuno secondo le proprie possibilità, ma queste possibilità erano calcolate in base alle dichiarazioni dei redditi, grazie alle talpe che gli Uomini in Nero avevano nell'Ufficio Entrate. Tanto che in un certo senso la dichiarazione era meglio farla al sindacato degli Uomini in Nero, così i soldi per la protezione li detraevi direttamente dalle imposte. Insomma, da un punto di vista burocratico il progresso era innegabile. I verdi erano sempre stati dei simpatici cialtroni in questo senso.

Il guaio dei Neri era la loro fissa col colore della pelle. Il quartiere era multietnico da quasi mezzo secolo; e questa idea che le ronde spettassero solo ai bianchi non passava. Era un vero e proprio boomerang; i ragazzetti con la pelle scura, che fino a pochi anni prima avevano potuto scegliere se spacciare o fare le ronde, ora dovevano per forza mettersi a spacciare. Nel giro di sei mesi il parcheggio della scuola divenne una delle principali piazze di smercio della città. La gente cominciò a brontolare. Il Comandante Nero non ci badava. La gente cominciò a sussurrare che il Comandante Nero ci prendesse delle percentuali, in contanti e in polvere purissima. Il Comandante mandò una squadraccia a pestare gli spaccini. Tornarono alla base col manganello fra le gambe. Cos'era successo?

Era successo che il comandante Nero aveva sottostimato il problema. Il parcheggio della scuola era diventato una piazza talmente interessante da attirare l'attenzione della gang Morales, una banda di narcotrafficanti di origine andina con ramificazioni in tutto il mondo, che finanziava la Revolucion Permanente vendendo droga ai viziati occidentali. Il core business dei Morales erano ovviamente i derivati della foglia di coca, di cui detenevano praticamente il monopolio nel lato nord della città: fornitori ufficiali del Sindaco, fronteggiarli era fuori discussione. Non solo, ma lo stile di vita libertario e lassista della gang stava facendo presa sulle giovani generazioni, che dopo pochi anni di marce e saluti romani ne aveva già abbastanza. La gang aveva anche un suo braccio politico, la lista rossa Izquierda y Libertad. Per quanto in crescita, difficilmente avrebbe potuto imporsi le elezioni, a meno che... non si fosse alleata coi Verdi.

Fino a qualche anno sarebbe sembrato impossibile, ma la politica ti porta a letto con strani compagni. Con l'aiuto dei Morales, la circoscrizione tornò in mano ai Verdi. Il loro capo, fratello minore del Boss esploso, fece giusto in tempo a prestare giuramento: un cecchino dei Neri lo centrò da un cornicione. A quel punto i Morales fecero una chiamata intercontinentale. Qualche giorno dopo il comandante Nero, accerchiato nel privé del suo ristorante, sollevò il capo da un vassoio di coca e vide sugli schermi a circuito chiuso che gli uomini della sua sorveglianza venivano strangolati da... incursori della marina boliviana? Oh, beh, “Me ne frego”, pensò lui: imbracciò il suo bazooka, spalancò la porta e...

“Qui c'era un ristorante, dieci anni fa”.
“Io mi ricordo un bar”.
“Il bar di Pino. Poi è andato a fuoco, e al suo posto ci hanno fatto una villa. E ora questa... questa voragine”.
“È stato un missile terra-terra, due anni fa. I Verdi stavano facendo una convention, una specie di rito celtico, che ne so io... qualcuno ha informato i Morales...”
“Ma non erano amici, una volta?”
“Divergenze. Pare che i Verdi non volessero più coca nel quartiere. Dicevano: noi vi proteggiamo, va bene tutto, anche le serre di cannabis sui terrazzi sono ok, però non vendete ai nostri ragazzi. E così...”
“I ragazzi sono passati tutti coi Morales”.
“È più complicato di così. I Morales non hanno problemi a finanziarsi. I Verdi invece continuano a stressare col pizzo, porta a porta, molta gente non ne poteva più. Qualcuno cominciava a rimpiangere persino i Neri”.
“Bene, e noi in tutto questo?”
“Ecco, dopo lo sterminio dei Verdi si è creato un certo senso d'insicurezza nel quartiere. È tutto in mano agli spacciatori e la gente non esce più di casa. Così il Monsignore ha pensato che potrebbe toccare a noi”.
“Ma i Morales...”
“Ci ha parlato il Monsignore, è tutto ok. Anche loro pensano che il quartiere sia un pessimo biglietto da visita. Ha bisogno di una ripulita”.
“Ci alleiamo coi rossi?”
“Solo all'inizio. Mettiamo su una chiesa, un oratorio, una sezione di Comunione e Liberazione, e quando avremo tirato un po' di gente dalla nostra, allora...”
“Quelli hanno i missili”.
“Ma noi abbiamo Dio”.
“E basta?”
“No, se vuoi saperlo è arrivata anche quella partita di granate all'uranio impoverito, contento?”
“Rendiamo grazie a Dio”.

Se chiedete ai nonni, forse qualcuno ancora si ricorda, di quando non c'erano le ronde nel quartiere. La gente aveva paura a uscire in strada. Non sapeva di chi fidarsi.
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L'età surreale

A qsto punto, caro Leonardo, la storia vira al surreale. La storia con la S maiuscola, intendo.
Non è quella pedissequa catena di cause ed effetti che t'immagini, sai? la Storia ha i suoi quarti d'ora di pazzia. I conquistadores in America. La Rivoluzione francese. I bolscevici in Russia. La seconda guerra mondiale. Tutti eventi surreali e difficilm pronosticabili. Cose che fanno impallidire l'immaginazione dei migliori scrittori ucronici. Pensa a H. G. Wells: l'uomo che ha saputo immaginare la Macchina del Tempo, la Guerra dei Mondi; e che ha mancato clamorosam la Rivoluzione d'Ottobre. E Voltaire, con i suoi Candidi e i suoi Micromegas: com'è potuto sfuggirgli l'orizzonte della ghigliottina? E Ariosto, che spronò l'ippogrifo sulla Luna: perché non gli venne in mente di fare una capatina nel Nuovo Mondo? Lì sì che stavano per arrivare le donne e i cavalieri e le armi e gli amori più improbabili, a quel tempo. La Storia è l'ucronia più imprevedibile, ecco quel che è.
Ma dov'ero rimasto.

"I gialli avevano scoperto la locomozione a idrogeno".

Sì, beh, quella l'avevano copiata dagli usastri. La vera scoperta dei gialli fu il modo di ricavare l'idrogeno dall'acqua a basso costo e basso impatto ambientale. Anche gli usastri ci stavano lavorando, ma in qualche modo i gialli ci arrivarono per primi. Perché? Forse perché erano un miliardo di cervelli e avevano più fretta. O forse per puro caso. E poi tirarono all'occidente uno scherzetto perfido. Brevettarono il procedimento.
Proprio così. Un bel brevetto internazionale, con tutti i crismi del WTO, blindato per 70 anni. C'era un sistema solo, evidentem, per ricavare l'idrogeno dall'acqua senza rimetterci; e siccome l'avevano scoperto loro, nessun altro avrebbe potuto usarlo per tre quarti di secolo. I bizantini e gli africani volevano le auto a idrogeno? I gialli gliele avrebbero vendute volentieri, a prezzi di favore: e altrettanto volentieri avrebbero venduto il combustibile, trasportandolo attraverso comodi idrodotti. Ma l'eventualità che il resto del mondo potesse prodursi l'auto e l'idrocombustibile da solo era esclusa a priori.
A questo punto il Resto del Mondo aveva due possibilità: o mendicare dai gialli l'energia più pulita (o comunq meno sporca e costosa del petrolio), o lasciare i gialli al loro splendido isolamento, e riprendere sdegnati la via dei combustibili fossili (era poi discutibile chi isolasse chi). C'era anche una terza possibilità, a esser sinceri, ed era mandare all'aria il WTO e dichiarare guerra ai gialli. E qui entrava in ballo il solito deterrente: forse non era il caso far incazzare la seconda potenza nucleare del mondo.
A ben vedere, gli unici che avrebbero potuto scoprire il bluff atomico erano gli usastri, ma a loro l'idrogeno a quel punto non interessava più, per principio. Avevano ormai sposato la causa del combustibile fossile, con tutta l'anima e tutto il cuore. La loro politica energetica era ormai entrata da un pezzo in un loop vizioso: per non alterare lo status quo (dopo l'Unico Esperimento dell'11/9) avevano mandato i petrolieri al potere; questi ultimi, proprio per mantenere il potere, avevano puntato sul petrolio, occupando giacimenti e oleodotti nelle zone strategiche, e snobbando l'idrogeno; e ora non avevano altra scelta che continuare così. Il Combustibile Fossile diventò un comandamento di Dio: svariati versetti della Bibbia furono mobilitati per dimostrare che Dio aveva esortato l'uomo a trarre la sua energia dalle viscere della terra, ecc..
Nel frattempo, ironia della sorte, il pianeta continuava a scaldarsi e sciogliersi. E questo malgrado metà mondo fosse passato all'idrogeno: ma i climatologi sostenevano che era normale, che uno non può mica aspettarsi cambiamenti repentini, che i risultati si sarebbero visti nel giro di 50 anni. Nel frattempo conveniva scavare degli argini. Quando cominciò a liquefarsi l'Antartide, la Storia precipitò in uno di quei momentanei periodi di surrealtà.

L'Antartide è il continente dei ghiacciai perenni, ma sappiamo che ha avuto anche lui le sue ere tropicali, in cui dev'esser stato fecondo e rigoglioso di specie animali e vegetali. Donde era lecito aspettarsi dal disgelo una ricca messe di combustibile fossile: e infatti gli usastri non si fecero attendere con le loro trivellone, già impiegate in Alaska.
Ma oltre a scoprire il petrolio (e l'oro, i diamanti, e ogni bendiddio), gli usastri scoprirono qlcosa di davvero destabilizzante. Manufatti.
Utensili d'ossa scheggiate, incisioni rupestri? Beh, sì, qualcosina. E già lì occorreva riscrivere la storia del genere umano, ma pazienza, in fondo ormai i darwiniani erano una setta confinata nelle università. No, un utensile o un bue muschiato sulla parete di una grotta antartica non avrebbero destabilizzato un'intera cultura.
Ma 19 piramidi – 19 piramidi dislocate a intervalli regolari ed equidistanti dal polo magnetico – 19 copie conformi della Grande Piramide detta di Cheope – beh, questo era duro da mandare giù.
Bisognava retrodatare la civiltà umana di… quarantaduemila anni. E questo era duro sia per i cristiani che per i darwiniani. La teoria dell'anello mancante era tutta da rifare, ma anche la Bibbia ne usciva malconcia: il testo sacro sembrava aver glissato su qualcosa come 37.000 anni di storia dell'uomo. Sai quei momenti in cui ti senti improvvisam piccolo e insignificante – te l'hanno detto sempre tutti, ma di colpo ti accorgi che è assolutam vero, sei senza ombra di dubbio piccolissimo e insignificantissimo? Ecco, una sensazione così, ma a livello planetario.
Ora: ti senti di biasimarli se ti dico che la prima reazione fu di rifiuto assoluto? Tirar giù i ghiacciai e andarsene facendo finta che non era successo niente? No. Credo che anche noi avremmo fatto la stessa cosa.
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- 2025

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Tu dirai: Andrò contro una terra indifesa,
assalirò genti tranquille che si tengono sicure,
che abitano tutte in luoghi senza mura,
che non hanno né sbarre né porte,
per depredare, saccheggiare,
metter la mano su rovine ora ripopolate
e sopra un popolo che si è riunito dalle nazioni,
dedito agli armenti e ai propri affari,
che abita al centro della terra.

(Ezechiele 38,11-12)


Arriva Gog

Caro Leonardo,
certe volte Taddei mi fa veram innervosire. Voglio dire, dormire per vent'anni potrà anche essere stata un'esperienza spiacevole; ma non ti dà automaticam il permesso di giudicare il mondo e dividerlo in buoni e cattivi. Anzi, in colpevoli (noi) e innocenti (lui, perché dormiva). Secondo lui dovremmo passare il tempo a provare vergogna per qsti anni disastrosi. Come se viverli da svegli non fosse già stato abbastanza avvilente.

Per esempio, la Palestina. Non fa che chiedermi della Palestina (e so che chiede anche in Facoltà: prima o poi scoppia un casino); ma non appena tento una spiegazione, lui perde la calma.
"Ma come fai a parlarne così, con tanto distacco…"
"…"
"Si vede che non te ne fotte niente, eh? Come a tutti del resto. E allora vedi che ho ragione: peggio dei nazisti. Siete stati peggio dei fottuti nazisti. Sei milioni…"
"Dodici".
"Dodici milioni di persone, e tu me ne parli così, come se fosse una battaglia navale del Settecento. Hai assistito alla più grande tragedia dell'umanità e fai finte di niente".
"Non faccio finta di niente, ma cerca di capire. È passato del tempo, sono successe tante cose…"
"Tante cose? Che cazzo vuol dire Sono successe tante cose? Dodici milioni di persone sterminate nello spazio di un mattino!"
"È terribile, lo so":
"E ne parli come se fosse un incidente in autostrada. Ma non provi nessuna vergogna? Non ti senti in qualche modo responsabile?"
"No, onestam no. Se mi sentissi anche per una minima percentuale responsabile, credo che impazzirei. È una cosa troppo grande per essere condivisa".
"È un meccanismo di rimozione".
"No, è proprio che non sono colpevole".
"Perché sono stati gli iraniani – Ma io dico che è proprio grazie a gente come te che regimi come l'Iran hanno potuto…"
"Alt. Chi ti ha detto che è stato l'Iran?"
"L'ho letto sul Supernet".
"Aspetta un attimo. È vero che gli iraniani avevano in programma un attacco nucleare preventivo. Ma non sapremo mai come sono andate veram le cose".
"Perfetto, li difendi pure. La sera prima programmano un attacco nucleare, la mattina dopo Israele è distrutto. E secondo te può trattarsi di una coincidenza. Dodici milioni di israeliani assassinati, e tu…"
"Non dodici: sei".
"Lo hai detto tu che erano dodici!"
"Dodici milioni di morti: sei milioni di israeliani, sei milioni di palestinesi. Ti dimentichi sempre di loro. Ma quel mattino anche la Palestina è diventata un lago d'acqua morta. E la terza città santa dell'Islam è radioattiva. È improbabile che l'Iran mirasse a qsto".
"Perché no? Un governo di pazzi integralisti sospinti dall'odio… Desiderosi di aumentare la tensione con l'Occidente…"
"…E così spazzano via la Palestina dalle cartine. No, è più sensata la tesi dell'errore umano. La vera cazzata fu permettere a un Paese a elevato rischio sismico come l'Iran di metter su impianti nucleari. A un certo punto un microsisma nel Caspio fa scattare un allarme radioattivo: un generale fesso crede che sia un attacco israeliano e va in panico; scatta il contrattacco nucleare, che secondo i piani doveva centrare solo gli obiettivi militari, con precisione chirurgica".
"Come no".
"Ma i missili iraniani sono roba sovietica di terza mano, sballano le traiettorie e colpiscono la Palestina a casaccio. Qsta è una prima teoria".
"Mi meraviglia che tu non abbia dato colpa agli americani, già che c'eri".
"Ecco, qsta è una seconda teoria. Gli usastri".
"Non ci credo. Esiste anche una teoria del genere?"
"Sì, ed è molto interessante. Si basa sul principio secondo cui le profezie tendono nei tempi lunghi a realizzarsi, non in quanto autentiche rivelazioni divine, ma perché stimolano gli uomini a comportarsi in modo da avverarle…E abbiamo allora le cosiddette «profezie che si autoavverano»…"
"Self-fulfilling prophecies. E allora?"
"Ora, come sai, in seguito alla storica Rapture – le misteriose sparizioni avvenute su suolo usastro – una setta di cristiani protestanti che predicava la prossima fine dei tempi aveva ottenuto la maggioranza al Congresso. Qsta setta era convinta che l'Apocalisse sarebbe stata annunciata da una serie di segni, tra cui l'invasione di Israele da parte di un misterioso Og, re di Magog. È un passo del libro di Ezechiele, nella Bibbia. Lo conosco bene perché se ne parla nel libro che sto spiegando a lezione".
"Ne ho sentito parlare. Ma cosa…"
"In realtà era da decenni che qsta setta protestante si adoperava affinché la profezia si avverasse. Per prima cosa, i protestanti erano diventati i migliori amici dello Stato d'Israele, sostenendolo politicam ed economicam – perché senza Israele, non si sarebbe mai avverata nessuna profezia, mi segui? Niente Israele, niente profezia, niente Apocalisse, niente Gerusalemme celeste, niente di niente".
"Sì, ma…"
"Non solo, ma inconsapevolm gli usastri – appoggiando uno Stato di etnia e religione ebraica nel centro del Medio Oriente – avevano creato anche le premesse perché si formasse una robusta alleanza anti-israeliana nella regione. Che guarda caso è proprio qllo previsto dal profeta Ezechiele. "La Persia, l'Etiopia e Put, con scudi ed elmi…" sto citando a memoria. La Persia sarebbe l'Iran, l'Etiopia in realtà il Sudan, un altro cosiddetto «Stato Canaglia»… e Put indicherebbe il despota russo, che si chiamava Putin, non so se te lo ricordi…"
"Come se fosse ieri".
"Già, dimenticavo. Anche se nella realtà russi e sudanesi hanno respinto ogni addebito: la guerra l'hanno fatta gli iraniani, più o meno da soli, e non si è trattata di un'invasione, ma di un bombardamento – e soprattutto, Dio si è ben guardato dal fermare Gog all'ultimo momento, come aveva promesso al profeta Ezechiele. La responsabilità degli usastri sarebbe quella di aver messo Israele in una situazione in cui avrebbe avuto bisogno di un intervento divino, che alla fine però non c'è stato. E qsta è una seconda teoria".
"Ripugnante".
"Ah, ma c'è di peggio. C'è chi sostiene che Dio non abbia affatto mentito al profeta, e che abbia realizzato tutto ciò che gli aveva promesso. I sostenitori di qsta tesi sottolineano l'attacco del capitolo 39… Aspetta un attimo… qui:

Eccomi contro di te, Gog, principe capo di Mesech e di Tubal.
Io ti sospingerò e ti condurrò
e dagli estremi confini del settentrione ti farò salire
e ti condurrò sui monti d'Israele.
Spezzerò l'arco nella tua mano sinistra
e farò cadere le frecce dalla tua mano destra.
Tu cadrai sui monti d'Israele
con tutte le tue schiere e i popoli che sono con te:
ti ho destinato in pasto agli uccelli rapaci
d'ogni specie e alle bestie selvatiche.
Tu sarai abbattuto in aperta campagna, perché io l'ho detto.
Oracolo del Signore Dio.
Manderò un fuoco su Magòg
e sopra quelli che abitano tranquilli le isole:
sapranno che io sono il Signore".
.

"E questo cosa vorrebbe dire?"
"Non è chiaro, ma secondo alcuni in realtà Gog rappresenta proprio il moderno Stato d'Israele: Dio ha permesso che si riformasse grazie a gente venuta "dagli estremi confini del settentrione"… sai, la massiccia immigrazione russa… poi, quando Israele si accinge ad attaccare preventivam l'Iran, è sempre Dio a «spezzare il suo arco»".
"Ma non è stato l'Iran a colpire per primo?"
"Forse. E secondo altri, è stato Dio a fare esplodere le testate israeliane a terra".
"E perché lo avrebbe fatto?"
"E che ne so. Dio è Dio, e soprattutto qllo dell'Antico Testamento, non va molto per il sottile"
"Sono stronzate, Mac. La verità è che un regime islamofascista ha compiuto un atto senza precedenti contro Israele…"
"E la Palestina. Ti scordi sempre la Palestina".
"…e la colpa è anche di quelli come te, che con la loro indifferenza hanno permesso che l'unica democrazia del Medio Oriente rimanesse isolata e…"
"No, aspetta. Io sarò anche indifferente, ma gli israeliani non avevano bisogno del mio aiuto. Si sono isolati da soli".
"Lo vedi. Lo vedi. La gente come te non cambia mai. Dopo vent'anni ragioni ancora in quel modo. E allora dillo. Dillo che secondo te se la sono cercata".
"Non lo dico".
"Ma lo pensi!"

Qnto mi fa incazzare.
Tanto più che magari ha ragione.
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Democrazia abrogativa

Caro Leonardo,
un altro giorno, un altro duro colpo per Taddei.
Sembra quasi che faccio apposta, a demolire tutte le sue certezze. Lui, in fondo, vorrebbe solo essere sicuro di vivere in un film, una specie di 1984 cattocomunista con Papa Silvio al posto del grande fratello. Un incubo, certo, ma un incubo rassicurante, con i cattivi da una parte e i buoni dall'altra, e lui supereroe in felpa e cappuccio. Ma poi si guarda intorno – dov'è la repressione? I carabinieri hanno le stesse panze di vent'anni fa. E i passanti, guardali in faccia: ti sembra abbiano paura? Guarda la vecchietta in fila per la soia: sgrana un rosario, spende il tempo in avemarie: il miglior investimento, alla sua età. E il signore alla fermata filobus, il colletto ingiallito dal sudore: ha paura? Sì, di fare tardi, proprio come ai tempi tuoi. E i due bambini a un angolo della piazza: vendono floppy disc in una cassetta di frutta. Ti sembra una scena da regime?
"Ma li usate ancora, i floppy?"
"Tornano di moda".
"Ma va".
"Di necessità virtù. C'è gente che passa i giorni nelle discariche a disseppellire schede di vecchi 486".
"Good grief. Ma perché sei in ritardo".
"Scusa, mi ero scordato di avvertirti. Sono andato a votare".
"Eh?"
"Pensavo di fare in dieci minuti, ma avevano preparato una cabina sola, così c'era una fila che…"
"Ma voi votate?"
"Certo, perché? Non dovremmo?".
"Per la salute di Cristo, no! Pensavo che qsto fosse un fottuto regime!"
"Ancora con qsta storia, Taddei, dai…"
"Aspetta. Sarà la solita montatura. Chi ha il diritto di voto?"
"Tutti".
"Tutti gli uomini, ma le donne…"
"Tutti e tutte, dai quindici anni in su. Fai la cresima e vai a votare".
"Ah vedi, serve il consenso del prete".
"Tanto il voto è segreto".
"Seh, segreto…"
"Matita copiativa, seggio, scheda in quattro parti. Come ai tempi tuoi".
"Sarà tutto ripreso, m'immagino".
"Senti, guardati intorno. Hai mai visto una telecamera a circuito chiuso in giro?"
"Sì, quella lì sopra, per esempio".
"È un giocattolo. Non ci sono i soldi per riprendere il corpo elettorale. È assurdo".
"E ogni quanto votate? Un plebiscito ogni dieci anni?"
"Una volta al mese".
"Una volta al mese? E che c'è da votare una volta al mese?"
"Un sacco di cose, c'è. Noi abbiamo un parlamento, sai. È eletto dal concistoro dei cardinali, ma è pur sempre un parlamento".
"E voi eleggete il concistoro?"
"No, i cardinali li nomina il Papa".
"E il Papa lo nomina lo Spirito Santo".
"Naturalm".
"E allora che c'è da votare una volta al mese, me lo spieghi?"
"Ah, scusa, vedo che non hai ancora chiaro un principio basilare del Teopop. Vedi, lo Spirito Santo, che è Dio, non spira solo sui Vescovi e sui Cardinali. Esso è libero di ispirare ogni cittadino bisbattezzato. Perciò, quando andiamo alle urne, noi eleggiamo Papa, Concistoro e Parlamento".
"Una volta al mese".
"Certo".
"E se da un mese all'altro smettete di votare Silvio…"
"Lui si dimette da Papa".
"Lo può fare?"
"Se glielo dice lo Spirito Santo, lo deve fare".
"E allora scusa, perché non lo avete ancora buttato giù? È il candidato unico, o sbaglio?"
"Non funziona così. Il voto è un referendum. Vuoi sollevare il Papa attuale dall'incarico, sì o no? Se vince sì, il Papa si dimette. Vuoi votare la sfiducia al Concistoro, sì o no? Se vince il sì, i Cardinali si dimettono. Vuoi sciogliere le camere, sì o no? Eccetera".
"E questo tutti i mesi".
"Ah, ma non è mica finita qua. Noi votiamo anche per abrogare le leggi del parlamento".
"Quali leggi?"
"Tutte, tutte le leggi votate dal parlamento durante il mese. Oggi ho votato, nell'ordine: NO all'abrogazione del divieto di fumo nelle classi scolastiche, SI' all'abrogazione di all'enciclica De anima illa quam spermata quoque habent che sancisce che gli spermatozoi hanno un'anima, SI' alla rimozione di un condono edilizio per le case costruite sulla spiaggia di Torino; SCHEDA BIANCA al bilancio agricolo del mese scorso; NO…"
"La mente vacilla".
"Non te l'aspettavi, eh? Ma è uno dei vanti del Teopop: la partecipazione abrogativa. Se una legge ti fa cagare, il 15 del mese vai nel seggio e la stralci. È una gran soddisfazione. Riduce i tumulti di piazza del 25%. Anch'io, guarda, oggi mi sento tanto più leggero".
"Non lo so. Io… io, guarda, ero un convinto assertore dei referendum".
"Ah sì?"
"Però questo mi sembra, come dire, un po' esagerato… e la percentuale ai seggi in media quant'è?"
"Mah, intorno al novanta, novantacinque…"
"Novantacinque per cento?"
"Ma no, sciocchino, per mille. Non si usa più, il per cento. Siamo moderni, noi".
"E il quorum? Non ditemi che non avete il quorum!"
"All'inizio, in effetti, non c'era. Si puntava molto sullo spirito di partecipazione. Poi però il sistema è diventato ingestibile, c'erano pericolosi capipopolo che riuscivano ad abrogare qualsiasi cosa… a un certo punto li hanno perseguiti e imprigionati con scuse qualunq, calunnie estorte ai loro collaboratori dietro minacce di torture… sono vecchie storie, preferirei parlare d'altro".
"Ed è stato introdotto il quorum".
"Sì".
"Cinquanta per cento più uno".
"Non proprio. Cinquecento per mille più uno".
"Ed è mai stato raggiunto?"
"Una volta… tre quattro anni fa, mi ricordo, era febbraio…"
"E cosa è stato abrogato?"
"Il vincitore di Sanremo".
"Fottuto Teopop".
"Sssst. Non dire così. Il Teopop sei tu. Chi può darti…"
"Lo so io cosa darti, altroché".
"Taddei!"
A volte il ragazzo m'impressiona. Un attimo prima c'era, e poi – puf! Giù il cappuccio, e via nella notte. Evaporato. Ma tornerà. Torna sempre.
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Il Sindaco Malvagio

Ah, ho ricominciato il corso in Facoltà. È il Trimestre caldo. Qllo che odio di più.
Una volta qndo faceva caldo non si lavorava. Noi italiani eravamo fatti così. Poi l'Italia è colata a picco (un bel pezzo), e ora si studia d'estate, in collina, quando non c'è altro da fare. D'inverno il livello del mare s'abbassa e gli studenti vanno in palude ad anguille. O nelle risaie. Beata gioventù.
Il problema è che San Petronio non è collina. In teoria non avrebbe dovuto salvarsi. È tutto merito di un Sindaco malvagio di cui s'è perso il nome (damnatio memoriae). Qsto Sindaco, ai tempi dei disastri, si sentì dire da una commissione che l'unico modo per salvarsi dall'alta marea era scavare dei polder, come in Olanda: ma a Castelbolognese. Ma si trattava di scavare buchi di melma nella melma, un lavoro schifoso, e non c'era più quella bella manodopera di una volta: arabi e albanesi ai primi diluvi se l'erano squagliata in Germania, ingrati.
"Nessun problema", disse allora il Sindaco malvagio, "ho io la soluzione".
Qualche giorno dopo iniziarono le retate dei pancabbestia, ordinate per i più futili motivi, tipo che non facevano l'antirabbica al cane, non si lavavano, non facevano un cazzo, stavano sempre a rompere i coglioni, disturbavano coi bonghi le lezioni della più antica facoltà del mondo, rubacchiavano, e spacciavano, anzi no, non erano neanche bravi a rubare senza dar nell'occhio e a spacciare seriamente per cui creavano solo indotto per gli spaccini stranieri, eccetera. Tutte qste frescacce da Sindaco stronzo. Ma lui era più che stronzo. Era proprio malvagio.
Invece di metterli dentro, li assunse tutti ai lavori forzati comunali. A tempo indeterminato. A Castelbolognese c'è un monumento che ricorda i pionieri della melma, gli uomini valorosi che hanno salvato qsta città dove ora, a fine maggio, fa un caldo bestiale, e la sera i cani ululano alla luna per i loro padroni pulciosi che non torneranno mai.
(I cani, quando sono stati abbandonati dai pancabbestia, si sono organizzati e adesso gestiscono il loro quartiere. Si vede che erano traviati dalle cattive compagnie).

L'altro motivo per cui odio qsto trimestre è il corso istituzionale. Mi hanno promesso che in inverno mi sarei sbizzarrito con film e quant'altro, purché in estate presentassi il Sacro Testo degli usastri. Era sul contratto.
"Dai, dai, che vuoi che sia".
"Ma a me quel libro fa sch…"
"Piano a dirlo, l'hai letto almeno?"
"Sì!"
"Ah, complimenti. Beh, come sai, gli usastri ora sono nostri amici. Così in consiglio abbiamo pensato che fosse giusto introdurre gli studenti allo stile di vita usastro, spiegare i libri che leggono, le cose che mangiano, ecc.. Sa, non è mica come ai nostri tempi, che c'era la tv e s'imparava di tutto… Adesso gli usastri sembrano dei marziani".
"Un po' lo sono".

"Va bene, se ci siamo tutti possiamo cominciare.
Come abbiamo già osservato, la narrativa Ucronica è un genere molto particolare, assai indicato per veicolare proposizioni ideologiche in modo convincente. Tanto che diversi libri sacri sono, in effetti, opere di narrativa ucronica. L'esempio più celebre è l'Apocalisse di San Giovanni.
Il testo che leggeremo in qsto trimestre è l'opera più importante della letteratura usastra del secolo scorso, che pure al tempo della sua pubblicazione fu snobbato da tutti i critici. È il destino dei, ehm, dei grandi libri.
Ma più per il suo valore letterario, l'opera in questione è importante per l'influsso che ha esercitato sulle comunità religiose di qsto grande Paese e, di riflesso, sul mondo intero. Tanto che possiamo dire che qsto libro ha effettivam fatto la Storia.
"Molto bene. Per la prossima volta leggetevi le prime 50 pagine. Anzi. Le prime 100, così vi fate davvero una cultura usastra, su. Ne riparleremo lunedì".
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Lo Scenario Rutelli (2)

Caro Leonardo,

Se ci penso, aveva ragione Arci: non c'è niente di meglio di un gioco di simulazione per trasmettere un'ideologia. Connesso a Civilization VII io giocavo, giocavo, e intanto tutta la mia fede nell'autodeterminazione individuale veniva espulsa dai pori, come una tossina dal sudore. Sudavo molto, in effetti.

"Tempo di finanziaria, bene. Mo' mi vedono. Supertassa patrimoniale, tie'! E lotta senza quartiere all'evasione. E all'abuso edilizio. E poi…"
"Mi sembra che esageri. Rutelli avrebbe fatto tutto questo? Con Bertinotti all'opposizione?"
"Rutelli no, io sì. E voglio proprio vedere chi lo rivota, Bertinotti… beh? Cos'è quella freccia in caduta libera?"
"Una freccia indaco?".
"Blu?"
"Sì. È il PIL trimestrale".
"E perché è crollato?"
"Non lo so, posso fare delle supposizioni. Forse le tue dichiarazioni hanno spaventato gli industriali, che hanno spostato i capitali nei paradisi fiscali. E già che c'erano, hanno spostato anche la produzione. Ricordi quando hai voluto la Cina nel WTO? Adesso possono trasferire intere fabbriche dal Po al Fiume Azzurro quasi a costo zero".
"Ma anche questi industriali, che due coglioni… attacco San Marino, va".
"Cos'è che fai?"
"Lo sanno tutti che è un paradiso fiscale. Ora voglio proprio vedere cosa succede se lo circondo con la fanteria meccanizzata".
"Mac, in questo scenario meno usi la forza meglio è. Hai già visto che è successo a Genova".
"Sciocchezze. Stavolta non ammazzo nessuno. E se Napoleone mi dà il permesso, dopo prendo Montecarlo… E adesso che cazzo vuoi, Veltroni…"

Il Parlamento Europeo condanna la tua politica espansionista.
Forti sanzioni economiche imposte dagli Stati Membri.


"Branco di rammolliti! Per tre colline in Romagna? E se invadevo l'Etiopia cosa succedeva?"
"Mac, stai giocando contro un computer che si intende di storia molto più di te. Il suo comportamento è assolutamente verosimile. Sei tu che stai facendo pazzie. Nessun vero uomo di Stato europeo assedierebbe un paradiso fiscale".
"Ma perché?"
"Perché no".
"Va bene, va bene: control Zeta. Ricapitoliamo: devo fare una finanziaria equa ma senza spaventare gli industriali, e inoltre… e adesso cos'è tutto questo casino?"
"Indovina un po'".
"O cazzo, giusto, l'11 settembre… ma io che c'entro? "
"Il mondo è piccolo, Mac".
"Ho mezza Italia in rivolta… qsto non è molto verisimile".
"Il Ministro degli Interni che dice?"
"Fassino? Un paio di stronzate sulla caccia all'arabo. A Milano e Verona danno la caccia agli arabi e li linciano per strada. Mi sembra un po' esagerato".
"Devi pensare che la destra è in stato confusionale. Berlusconi Bossi e Fini hanno perso le elezioni e non contano più nulla. Gli attivisti sono smarriti e confusi, e tu stai facendo ponti d'oro agli immigranti".
"Ho solo snellito le procedure".
"Hai anche abbreviato i tempi per la cittadinanza, mi pare".
"Altroché se l'ho fatto, è forza lavoro a buon mercato e voglio tenermela stretta! Altrimenti poi lo sai che i cinesi…"
"Sai cosa si dice di te? Che tra quattro anni e mezzo vuoi farti rieleggere coi voti dei musulmani. Forattini ti disegna già in prima pagina come Al-Rutel".
"No! Forattini no!"
"Niente panico. Niente panico".
"E questa cos'è? Un'autobomba contro una sinagoga? Ma siamo impazziti?"
"Gli arabi si sentono perseguitati e se la prendono con un'altra minoranza. È un classico. Niente panico. Lo statista si vede nelle emergenze".
"Va bene. Non è tempo di mezze misure. Tutti i fascisti in galera".
"Costituzionalmente impeccabile. Ma le galere sono piene".
"Già, dimenticavo. Va bene, prima un bell'indulto, facciamo uscire un po' di gente che può fare lavori socialmente utili e ficchiamo dentro i fascisti. In alternativa mettiamo su dei Centri di Detenzione per fascisti e li appaltiamo a delle cooperative, così creiamo anche dei posti di lavoro".
"Cominci a imparare".
"Sto improvvisando".
"E la minoranza araba, come la tranquillizzi?"
"Dunque. Faccio una bella dichiarazione in cui spiego che l'Islam non è il terrorismo, e che l'Italia è un luogo d'incontro, non di scontro, tra due grandi civiltà. Buono, no?"
"Ottimo".
"E allora perché George W. s'è rabbuiato?"
"Forse s'aspettava una parola di condanna sull'estremismo religioso. Ground Zero è ancora calda, i postini muoiono per le lettere al carbonchio".
"Beh, adesso non può pretendere. Io ho una grossa minoranza musulmana in casa. No. Ho detto No. Non ci vengo in Afganistan, George! Te lo puoi scordare. Eh? Che cosa?"
"Qualcosa non va?"
"Non ti immagini. Gli americani si sono incazzati perché ho condannato la guerra afgana… hanno tolto dai menu dei ristoranti tutte le parole italiane! Le lasagne alla bolognese sono diventate le Boston lasagns!"
"Non te la prenderai per così poco…"
"E poi il petrolio è alle stelle. Gli industriali piangono".
"Facci il callo".
"E adesso cosa c'è… questo no. Non potevo immaginarlo".
"Cosa?"
"Un gruppo di ex brigatisti, usciti di galera con l'indulto, con un sacco di esperienza nel mondo del lavoro socialmente utile, ha fondato una cooperativa non profit e si è fatto appaltare un Centro di Detenzione per fascisti".
"Lodevole iniziativa".
"C'erano delle vecchie ruggini… insomma, sono saltate fuori delle foto di abusi sui carcerati e Amnesty International mi ha condannato. È da Genova che non me ne perdonano una. Gli americani mi disprezzano e gli europei mi snobbano. Cosa faccio?"
"Io resetterei".

Resettai una dozzina di volte, quella notte, in seguito ai più svariati motivi: uno sciopero generale, una carestia in Basilicata, una polemica col Papa che mi valse la sfiducia del partito cattolico (il mio), eccetera. Di catastrofe in catastrofe, improvvisando, cominciai a ingranare. A parte alcune sciagure veram inevitabili (crisi della fiat, crack parmalat...), riuscivo a cavarmela in modo dignitoso. Mettevo i ministri gli uni contro gli altri. Truccavo i bilanci. Raccontavo palle ai telespettatori. Verso il mattino riuscii finalmente ad arrivare al quinto anno del mandato.
"Pss, Arci, sveglia!"
"Che c'è? Ora di colazione?"
"Sono arrivato al 2006! Ce l'ho fatta!"
"Complimenti. I conti come sono?"
"Bruttini, ma considerata la congiuntura… sai, dopo l'11 settembre, l'Euro… il caro-petrolio… meno male che ho aperto un pozzo a Nassiryia".
"Ah, stai a Nassiryia".
"Sì, ho dovuto prendere parte alla spedizione, non avevo molta scelta… ho avuto parecchie perdite, sai? È stato terribile".
"E all'interno come va?"
"Non malaccio. Ho cambiato alcuni ministri ".
"C'è ancora Fassino agli Interni?"
"No, ehm. C'è Fini".
"Fini?"
"Un grande acquisto. Sai, dovevo fare qualcosa per mettere ordine a destra, c'era un rischio di deriva eversiva fortissimo… così tre anni fa l'ho ripescato dalla fondazione dove s'era rintanato, e l'ho messo a capo di una lista civetta per le Europee. L'ho ripulito, l'ho convinto ad andare a Gerusalemme a riconoscere il nazismo male assoluto. Gran mossa. Ha pescato voti a man bassa: ex forzisti, cattolici… Quando i diessini si sono ritirati dal governo, lui mi è rimasto vicino".
"I diessini si sono ritirati".
"Sì, ufficialmente per via della guerra, sai, le solite petizioni di principio per gli allocchi, i cortei arcobaleno eccetera. In realtà D'Alema voleva fottermi il posto andando a elezioni anticipate. Ma l'ho fottuto io! Tiè!"
"Toglimi una curiosità. La Lega?"
"Stiamo giungendo a un accordo, dovremmo cambiare qualche articolo della Costituzione. Per ora è solo un appoggio esterno, ma poi… coi voti di Bossi in maggio stravinco, capisci".
"Capisco. Stai al governo con Bossi e Fini. Riscrivi la Costituzione. Controlli Nassiryia. Sei sicuro di essere ancora Rutelli?"

[continua]
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