Non ti do del coglione; ti propongo un referendum

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Beppe Grillo non vuole uscire dall'euro. Perlomeno, se volesse uscirne lo dichiarerebbe pubblicamente - non gli sono mancate le occasioni - e non l'ha mai fatto. Però Beppe Grillo vuole vincere le prossime elezioni; per vincere gli servono anche i voti degli euroscettici; e quindi ha approfittato di questo terzo v-day per ricordarci che vuole il referendum sull'euro. Purtroppo si tratta di una boiata pazzesca, che offende chi la propone (per finta) e chi finge di crederci o ci crede davvero. Vediamo il perché.

Non è tanto la cattiva fede di chi propone qualcosa di palesemente incostituzionale: per fare un referendum sull'Euro bisogna prima modificare la Costituzione, e Grillo lo sa benissimo (non è più un novellino). Ma andiamo oltre, come dice lui. Capita a tutti in campagna elettorale di promettere la luna, lui promette un referendum sulla luna, è già più fattibile, no? In realtà no; se uscire dall'euro non è necessariamente una cattiva idea, farci un referendum è l'idea peggiore che possa venire in mente a un politico, anche populista.

Proviamo a immaginarci la situazione: in Italia, da domani, si passa alle lire. In attesa del meraviglioso impulso all'economia, le fughe dei grossi capitali le diamo per scontate: ma guardiamo i nostri poveri stipendi, che da domani in poi saranno pagati in lire. In giro però ci sono ancora molti euro, che all'estero continueranno ad avere corso. Ci si aspetta che queste lire perdano abbastanza velocemente valore rispetto all'euro; ci si aspetta anche che certe spese (benzina, riscaldamento...) comincino a salire vertiginosamente. Calato in una situazione del genere, credo che anche l'elettore del M5S reagirebbe come reagirei io: ci precipiteremmo al primo sportello bancario e cercheremmo di farci dare più euro possibile, da ficcare nei nostri materassi o da qualche altra parte. Probabilmente qualcuno sarà stato più lesto di noi e ci avrà lasciato le briciole: tanto peggio. Nei prossimi mesi il mio salario perderà potere d'acquisto, ma gli euro che sarò riuscito a procacciarmi prima dell'esaurimento dei bancomat varranno sempre di più: saranno un bene rifugio. Anche se ufficialmente verranno vietati, è facile immaginare che i bottegai li apprezzeranno: come apprezzano i dollari i negozianti di tutto il terzo mondo. Io stesso cercherò di farmi pagare qualche lavoretto in euro, tengo famiglia. (Continua sull'Unita.it, H1t#207)

 Parte dei miei risparmi in valuta forte, del resto, li dovrò spendere per rendere la mia casa più sicura, con inferriate e magari munendomi di qualche arma da fuoco a scopo dissuasivo, visto l’importanza strategica che avrà da qui in poi il mio materasso. Insomma se vogliamo immaginarci un’Italia post-euro, dobbiamo guardare a certi turbolenti Paesi eternamente in via di sviluppo, ai margini del benessere. Forse è il nostro destino in ogni caso, ma perché accelerarlo?
Uscire dall’euro, ammesso sia possibile, è tecnicamente molto complicato. Gli economisti ne discutono; addirittura l’anno scorso è stato l’argomento del prestigioso premio Wolfson. I candidati al premio dovevano trovare il modo migliore di gestire la transizione economica di uno o più membri dell’Unione dall’euro a una valuta nazionale. Lo studio che si aggiudicò il premio di 250.000 sterline prevedeva che la decisione fosse presa a porte chiuse dai funzionari del Paese uscente: gli altri Paesi, e le organizzazioni monetarie internazionali, dovrebbero essere informati con tre soli giorni d’anticipo. A quel punto non ho capito bene come si potrebbe tenere mantenere l’informazione riservata anche solo per altre 24 ore; in ogni caso si dovrebbe arrivare a un annuncio ufficiale al venerdì, onde evitare l’assalto agli sportelli che creerebbe ovviamente il panico.  Questa a quanto pare è la proposta più realistica di “transizione” dall’euro che un economista si è azzardato a proporre: si basa sulla segretezza assoluta e sulla necessità di tenere chiuse le banche per due o più giorni. Grillo invece propone il referendum. Non è neanche sicuro che l’euro sia così male, però vuole che ne discutiamo per mesi: che litighiamo, che ci spaventiamo, che ci incazziamo, e che in mezzo a tutto questo magari cominciamo a tirar fuori dalle banche i nostri euro, e a nasconderli da qualche parte nel caso in cui il referendum si facesse davvero. Il referendum poi non si farà mai – bisogna modificare la Costituzione, hai voglia! Servono due terzi del parlamento, certo Beppe, hai un buon venti per cento, se lo triplichi ci sei quasi. Però nel frattempo è importante che ne discutiamo, che ci incazziamo, che ci spaventiamo. Così ci sentiamo vivi, come si deve sentire lui quando ne spara una di quelle grosse. http://leonardo.blogspot.com
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Capitani balbettanti

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Se posso, vorrei dire - a seguito di qualche malevolo commento - che tutto ciò che ho dato ha pagato le tasse. Poi, che altre donazioni possono aver luogo, senza passare per il notaio: Ricerca sul Cancro, Vidas, Bambini nefropatici, Shoah, San Raffaele, scusa mi fermo, sono stati i miei preferiti. Infine un chiarimento su tutta questa gazzarra. Qui dentro c’è stato un terribile schifo, una congiura... (Bernardo Caprotti, 26/11/13, Corriere della Sera)

Qualche giorno fa - Berlusconi non era ancora decaduto, sembrano secoli - sul Corriere è comparsa una letterina del presidente della catena Esselunga, Bernardo Caprotti. Trattandosi della replica a un articolo che lo riguardava, la pubblicazione era un atto dovuto; a sorprendere (ma neanche più di tanto, ormai), è la decisione di pubblicare il testo del biglietto così come è probabilmente arrivato, stile Celentano. Probabilmente in redazione avranno preferito non innervosire ulteriormente il personaggio, e così gli hanno dato spazio esattamente come in un talk show si "passa la linea" a un ospite telefonico, magari un tizio inviperito che ha chiamato perché stanno parlando male di lui.

Risultato: abbiamo assistito in diretta allo sfogo di un capitano d'industria ottantottenne, senza capire molto dei dettagli, ma afferrando la sostanza: il tizio non si può più fidare di nessuno. Gli fanno la guerra i figli; gli fa la guerra la vecchia segretaria e braccio destro; probabilmente gli hanno alzato una trincea persino in ufficio stampa, così è ridotto a scriversi i biglietti da solo. Con qualche effetto perversamente comico: Caprotti afferma di aver fatto cospicue donazioni alla "Shoah": probabilmente non allude a un inverosimile sostegno ai genocidi nazifascisti, ma alla meritoria associazione "Figli della Shoah"; aveva fretta e ha abbreviato, e al Corriere han stampato così.

Di fronte a un episodio del genere - valutate voi quanto buffo o patetico o triste - spunta la solita domanda (spunta sull'Unità, H1t#206)ma succede così anche altrove? O siamo l’unico Paese in cui i capitani d’industria non riescono a padroneggiare la propria lingua madre, né a munirsi di collaboratori che li sappiano assistere? Quando Caprotti definisce il Corriere il “Times del proprio Paese”, mette a fuoco il problema: è immaginabile un testo così involuto sul Times o su qualsiasi altra prestigiosa testata occidentale? Non è una domanda retorica, onestamente non lo so: se qualcuno ha in mente episodi paragonabili me li segnali pure qua sotto. Ma nel frattempo rimane il dubbio di ritrovarsi nel Paese con la classe dirigente e industriale meno colta d’Europa. Altrove almeno una letterina la sanno scrivere – se non lo sanno fare, sanno procurarsi qualcuno che lo faccia per loro; da noi no, non è richiesto, non è necessario.
Nell’era della comunicazione, i nostri capitani balbettano. Chi li rimprovera di non conoscere l’inglese forse non ha afferrato l’entità del problema: neanche in italiano sanno spiegarsi. Sono stupidi? Tutt’altro: intelligenza e cultura sono variabili non correlate, ed evidentemente Caprotti non ha avuto bisogno di particolari competenze linguistiche per mettere in piedi un impero nel ramo distribuzione. Forse davvero quando sei in ascesa la cultura più di tanto non serve. Ma ti assiste nei giorni difficili, quando devi imparare a mollare, e l’istinto non vuole saperne. Ha l’aria di essere la situazione di Caprotti, ed è sicuramente quella di Silvio Berlusconi, che pure può contare su un lessico un po’ più ricco, da piazzista quale è sempre stato. In qualsiasi altro Paese un Berlusconi avrebbe mollato da mesi, senza arrivare all’umiliazione del voto di mercoledì. Non glielo avrebbero consigliato soltanto i collaboratori più fidati: ci sarebbe arrivato da solo, riflettendo sugli esempi che la cultura personale gli avrebbe fornito, su Nixon, su Leone e su tanti altri. Berlusconi invece conosce solo Berlusconi, e magari la Storia gli darà ragione: dopo lo scisma del PdL e la manifestazione autocommiserativa di mercoledì i sondaggi lo vedono in risalita. Si vede che in Italia l’istinto premia ancora. http://leonardo.blogspot.com
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#ilConfrontoPD #ilritorno

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(Ci sto provando gusto) Altre domande, alcune rubacchiate da quelle che avete lasciato voi nei commenti.

11. Chi sono i cento che hanno affossato Prodi? Ti sei almeno fatto un'idea? Pensi di tenerli a bordo? Ti fiderai a dare le spalle a qualcuno?

12. Sei contrario al finanziamento ai partiti? Se sì, da dove intendi prendere i soldi?

13. Quali progetti concreti intendi portare avanti per creare un politica economica Europea unica, che ci permetta di combattere uniti contro la crisi e che elimini le disuguaglianze del costo del denaro tra gli stati membri?

14. Intendi fermare la cementificazione del suolo italiano? Se si immagini una legge come in altri paesi che vieti la costruzione di nuovi edifici o strutture in presenza di edifici o strutture inutilizzate?

15. Cosa intendi fare per il problema dei rifiuti che attanaglia moltissime città? Intendi rendere responsabili le aziende che producono o importano prodotti non biodegradabili con una legge che le obbliga come in altri paesi, a prendersi carico del loro smaltimento.

16. Intendi promuovere l'economia a km zero e a rifiuti zero? Come?

17. Cosa intendi fare per promuovere un sistema di trasporti a basso impatto ambientale? Intendi disincentivare l'uso dell'auto? Come intendi favorire forme di carburante diverse dalla benzina?

18. Parliamo di diritti, che non se ne parla mai abbastanza? Qual è il tuo parere su unioni civili, diritti dei migranti, pari opportunità, fine vita?

19. Cosa fare per l'economia di questo paese? Come riportare il lavoro alla centralità della vita economica italiana? Precariato, disoccupazione, crisi della domanda, se foste eletti quali sarebbero le rivoluzionarie decisioni che vorreste fossero prese per il bene dell'Italia?

20. Dal 9 Dicembre lei sarà il segretario del principale partito di governo, che tuttavia ha la maggioranza grazie all'appoggio del nuovo centrodestra, il quale si dichiara alleato del principale partito di opposizione. Quanto dura?
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#ilConfrontoPD

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Da quel che ho capito funziona così: venerdì sera Sky Tg24 organizza il confronto tra i candidati alle primarie, che tanto bene funzionò l'anno scorso (anche perché lo trasmetteva in chiaro Cielo).
Civati, Cuperlo e Renzi risponderanno a tante domande, e tra queste anche a una che viene dal meraviglioso mondo della Rete, che saremmo noi. In particolare a me e a Luca Conti di Pandemia è stato affidato l'on*re di lanciare la lenza su twitter e di vedere cosa ne salta fuori.

Non ho idea di come funzionino queste cose di solito, ma la mia esperienza assembleare mi sconsiglia di andare semplicemente sul fringuello e scrivere una cosa tipo: #uelà raga come #butta che #domanda si fa a #ilConfrontoPD? Quindi qui sotto metto giù alcune domande - non ho molto tempo - e voi siete liberi di reagire come vi pare e di suggerirne altre. La discussione dovrebbe farsi su twitter (hashtag #ilConfrontoPD; io sono @LeonardoBlog, casomai vi fosse sfuggito), ma se vi sentite più a vostro agio qua sotto nei commenti fate pure.

Alcune domande che io farei a Renzi e agli altri due:

1. Il semestre di presidenza UE lo lasci fare a Letta o preferiresti farlo tu?

2. Uno di voi tre ha già dato un ultimatum a Letta: una nuova legge elettorale o a casa. Spiegaci tu che legge elettorale vorresti e perché.

3. A questo punto della serata avrete senz'altro tutti e tre detto che con Berlusconi e Forza Italia non farete un governo mai più, mai e poi mai, assolutamente mai. Adesso fingete che sia la primavera dell'anno prossimo: ci sono già state le elezioni e i risultati sono più o meno gli stessi di un anno fa. Improvvisate il discorso con cui spiegherete agli elettori che bisogna rifare un governo con Berlusconi.

4. I grillini, un po' ingenuamente, sono convinti che esista un patto occulto tra il PD e Berlusconi, per preservare le aziende di famiglia, e soprattutto i canali televisivi che gli permettono di avere ancora un peso politico enorme malgrado sia fuori dal parlamento. Volete provare a convincerli del contrario, più che con le parole con qualche proposta concreta? O ritenete che la Mediaset debba essere lasciata a disposizione di un condannato che la usa per difendersi dai giudici e dagli avversari politici?

5. Papa Francesco. Che persona meravigliosa. Quanta umana compassione nei suoi appelli alla povertà. Lo vogliamo aiutare? Riusciamo a far pagare alla Chiesa qualche giusta tassa in più? O va tutto bene così?

6. Immagina di essere solo con Angela Merkel. No. Mettiamola così: davanti a un caminetto ci sei tu, Angela Merkel e due interpreti simultanei. Una pioggia incessante picchietta le finestre con ostinazione teutonica. Convincila che l'austerità sta distruggendo l'Europa e che bisogna invertire la rotta al più presto. Con parole tue.

7. Le donne italiane hanno diritto ad abortire, o si tratta di un lusso per chi se lo può permettere? Sbattere fuori dagli ospedali pubblici tutti gli obiettori quanto è in alto nella vostra lista delle priorità?

8. (Questo è un pallino mio). Uno di voi tre l'anno scorso approfittò di questa ribalta per lanciare l'idea di un servizio civile obbligatorio. Buona idea o straordinaria cazzata?

9. L'anno scorso c'era anche una donna lì sopra, anche se diciamolo, era più decorativa che altro. Qual è la prima cosa che farete per le pari opportunità quando e se sarete a Palazzo Chigi?

10. Mentre tutto il mondo comunica su internet, l'Italia è in controtendenza. Che si può fare per convincere gli italiani a sfruttare le potenzialità della Rete? Per favore, non un convegno e neanche un nuovo pool di esperti.

E ora scatenatevi. Pandemia non prevarrà!
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Abbiamo tutti quanti un Checco dentro al cuor

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Sole a catinelle (Gennaro Nunziante, 2013)

Improvvisamente vi svegliate, non riscattati dalla stanchezza di secoli, e in tv c'è ancora Ballarò. Sullo sfondo operaie incatenate a un'azienda che chiude, bandiere di sindacati, e non vi par bello cambiare canale. Oppure non riuscite a trovare nemmeno la forza morale per cercare il telecomando negli anfratti del divano che vi sta masticando, che domani vi rigurgiterà belli e stravolti e pronti alle vostre otto-ore, e c'è gente che vi invidia. Quando improvvisamente una luce si irradia su di voi. È un coglione in tv. Non è un coglione come gli altri. È il coglione platonico, non brilla di luce riflessa, è una pura fonte di ottimismo e gioia di vivere a due passi oltre il baratro. È il marito di una delle operaie incatenate, ma non gliene frega niente. Lo hanno intervistato per sbaglio, e ci sta dicendo che il peggio è passato, che lui per esempio sta vendendo un sacco di aspirapolveri, suo figlio ha tutti i dieci in pagella per cui domani lo porta in vacanza, evvai! In Europa! È stato solo un secondo, poi la regia è tornata a inquadrare disoccupati menagrami. Ma adesso lo state cercando davvero il telecomando, adesso state cercando se per caso da qualche parte esiste ancora un canale che trasmette coglioni così. Al massimo anche un film.


È il momento in cui cercano di vestirsi come i ricchi veri.
Dev'essere questa la scena che ha fatto sobbalzare anche Renato Brunetta, un uomo che se non esistesse avrebbero potuto inventarselo gli sceneggiatori di un film di Checco Zalone. Finalmente qualcuno che ha il coraggio di dirlo, che tutti questi operai disperati in tv portano sfiga! Ok, è un pagliaccio, ma arruoliamolo lo stesso.  Zalone esprime in pieno la filosofia positiva, generosa, anticomunista, moderata, serena di Berlusconi e di Forza Italia. Che è un po' come se Goebbels all'uscita del Dittatore si fosse congratulato con Charlie Chaplin per aver espresso in pieno la filosofia "positiva, generosa, anticomunista, moderata, serena" di Adolf Hitler e del partito nazionalsocialista. E tuttavia Brunetta non ha tutti i torti... (continua su +eventi!) E tuttavia Brunetta non ha tutti i torti, anche se probabilmente ignora l’etimo di Che-Cozzalone. Checco il cafone, Checco il cialtrone, Checco che vuole essere la leadership di sé stesso, Checco che esplode nel mercato porta-a-porta degli aspirapolvere con una bolla fatta di parenti, Checco che per ogni euro che entra ne spende due in cambiali, Checco che se avrà un cane lo chiamerà Taeg; Checco è il berlusconi che è in ognuno di noi, quello che in teoria dovremmo temere, e invece ci manca. Non dico che gli acquisteremmo un altro aspirapolvere, ma per lui siamo persino disposti a tornare al cinema. Per quanto possiamo passare la settimana a far ragionare il nostro amico o collega grillino, è con Checco che preferiremmo andare in vacanza – un coglione, ok, ma vuoi mettere il divertimento? Ovunque capita, proietta la sua ombra buffa su un mondo che capisce appena – un mondo immaginato da un bambino in un tema, dove i ricchi parlano tutti con l’accento francese, votano comunista e mangiano verdure vegane e champagne. Chi l’ha presa per una satira del “radical chic” probabilmente è convinto che Biancaneve sia un coraggioso atto di denuncia contro lo sfruttamento dei nani.


Che altro gli vuoi dire a Checco Zalone? Poteva accontentarsi di occupare le sale italiane montando i soliti dieci sketch, e invece ha provato qualcosa di un po’ più ambizioso. Ne è uscito un prodotto tutto fuorché perfetto, ma ha importanza? È un film che fa ridere davvero, senza distogliere lo sguardo dalla crisi. Ha una morale e un lieto fine, senza cadere neanche per un istante nel saccarosio moschicida dei buoni sentimenti, come succedeva invece al suo rivale primaverile, il Bisio del Presidente. Zalone e Nunziante sono talmente sicuri del fatto loro che si possono concedere il lusso di non essere troppo volgari – giusto un po’ di turpiloquio ogni tanto, ma dosato alla perfezione, e un solo sketch pecoreccio giusto per ricordare a tutti che fino a due anni fa tutti questi spettatori dovevano contentarsi del cinepanettone. Al terzo film Checco è ancora poco più di una maschera (Mereghetti evoca Totò, fate i vostri conti), ma funziona che è una meraviglia, anche se tutta la macchina comica gira soltanto intorno a lui. Persino la trama nel secondo tempo è quasi accantonata, come se in sede di montaggio avessero che era più importante far ridere il pubblico che spiegargli passo per passo cosa stava succedendo. Probabilmente hanno ragione, anche se mi sarebbe piaciuto vedere un po’ di più Paolini nel ruolo di industriale cattivo (quando ti ricapita?) Particolarmente sacrificate le canzoni, al punto che ti chiedi se non avrebbe avuto più senso tagliarle e basta (poi dai un’occhiata alle classifiche di vendita dei cd e ti spieghi pure quelle). L’unico serio difetto di Sole a catinelle è che un film così esce una volta all’anno; ce ne fosse non dico uno al mese; ma se si riuscisse ogni tre quattro mesi a proporre prodotti del genere a quell’enorme fetta di pubblico che vuole ridere e basta, il cinema italiano starebbe benone. E forse spunterebbe anche qualche soldo in più per tenere aperta qualche sala e proiettarci film diversi. Sole a catinelle, se ancora non lo avete visto, è al Fiamma di Cuneo (21:15); al Cinelandia di Borgo S. Dalmazzo (20:30; 22:40); all’Impero di Bra (20:20); ai portici di Fossano (21:30); al Bertola di Mondovì (21:15); all’Italia di Saluzzo (20:00; 22:15); al Cinecittà di Savigliano (20:20; 22:30).
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E anche questa lasciata è persa.

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Problema: 

Considerato che il PD è da qui in poi il partito di Renzi - e che Renzi da qui in poi perde definitivamente l'appeal che aveva in quanto avversario dell'apparato del PD;

che il suo vero avversario interno è Enrico Letta, il cui progetto consiste nel tener duro a Palazzo Chigi fino al semestre di presidenza UE;

che il governo Letta, senza aver perso un solo ministro del PdL, da qui in poi sarà visto dall'opinione pubblica come un governo del PD, a cui saranno rinfacciate tutte le scelte impopolari;

che d'altro canto nessuna di queste scelte impopolari porterà concreti vantaggi ai cittadini nell'immediato, e che anche chi parla di ripresa nel 2014 ne parla sottovoce e immagina coefficienti dello zero virgola: nulla che ti possa far vincere le elezioni;

che nel frattempo Berlusconi, svincolato dal governo, è già libero di risintonizzare la sua offerta politica sul malcontento popolare, ammesso che ne abbia ancora la voglia e la forza (da questo punto di vista è veramente strano che chiuda il programma di Del Debbio);

che anche Grillo non è che stia perdendo tempo, e che non può che trarre vantaggio dalle debolezze interne dei due contendenti;

...calcola quando conviene a Renzi far cadere il governo.

Risoluzione:
Immediatamente. Renzi è un prodotto genuino, non si può conservare in frigo più di tanto. Più passa il tempo, meno fresco diventa, più rimane coinvolto nelle scelte del governo.
Più passa il tempo e più Berlusconi ha tempo per riorganizzarsi; anche per ricucire con Alfano & co. se a un certo punto avesse bisogno di ricucire. Invece se si vota di nuovo a febbraio, B. si ritrova con un partito tutto da inventare e potrebbe anche trovarsi in difficoltà: non ha più i riflessi di un tempo.

Se ne deduce che:
Non resta che trovare una scusa, il primo scandalo a disposizione che coinvolga qualche membro del governo, il primo voto di sfiducia utile.

Ovvero:
il giorno migliore per far cadere il governo era... ieri.
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Ritratto del genio da stronzo

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Jobs (Joshua Michael Stern, 2013)

Cosa ha permesso a Steve Jobs di diventare Steve Jobs? Un viaggio in India con l'amico fuoricorso? Qualche acido di troppo con la fidanzata fricchettona? Il trauma dell'adozione? Il garage di mamma e papà? E se fosse stata la stronzaggine?

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Non c'è. Nel film ti mostrano soltanto la scheda madre. Uffa.

Ogni tanto, durante il film, sentirete qualche ex amico di Steve dire una di quelle classiche frasi del tipo "È cambiato, una volta non era così". Può anche darsi. Ma a questo punto c'è qualcosa che non va nella sceneggiatura, perché quello che effettivamente vedono gli spettatori è uno stronzo integrale dalla sua prima apparizione. Tanto che viene da rispondere ai personaggi: Ehi, ti sbagli, è sempre stato così, si vede che è nato stronzo, che cosa ci vuoi far. Chissà poi perché tanta insistenza su un tratto del carattere. È davvero così fondamentale sapere che ha fottuto Wozniak sin dall'inizio? Che imponeva ai dipendenti la puzza dei suoi piedi, li licenziava per capriccio, che si sfogava urlando a squarciagola in automobile, che abbandonava fidanzate incinte, e poco altro? Ok, non dico che tutto questo non possa servirci a conoscerlo meglio, ma di solito, quando muore un personaggio importante, tendiamo a farne ritratti virati in rosa. Nel caso di Steve Jobs sembra che stia succedendo il contrario, il che potrebbe stupire chi ricorda l'incredibile cordoglio telematico che esplose due anni fa anche in Italia.

Già la biografia di Isaacson, uscita in tutta fretta pochi giorni dopo, mostrava di non volerci risparmiare i dettagli più sgradevoli della sua personalità. Anche il rassomigliante Ashton Kutcher non si preoccupa minimamente di rendere il suo Jobs più simpatetico di quanto non fosse l'originale: è un manager tarantolato che non riesce a tenere le gambe ferme sotto il tavolo del Consiglio di Amministrazione, terrorizza i dipendenti, taglia teste senza scrupoli - e nel mentre ogni tanto si fa venire qualche buona idea, il Mac, l'Ipad - dettagli, sembra che quello che interessi davvero lo sceneggiatore siano le lotte per la carica di Amministratore Delegato. E dire che la prima parte del film era stata promettente: Jobs avrebbe potuto essere un meraviglioso film per nerd, un viaggio nell'età dei pionieri, quando programmare un videogioco significava anche fissare i circuiti con un saldatore. Secondo me ci sarebbe mercato per un film così.

Voglio dire, stiamo tutti davanti a un aggeggio digitale per quattro o cinque ore al giorno - chi non avrebbe voglia di dare un'occhiata alla prima schermata del primo computer, montato in un garage? Siete sicuri che non troveremmo avvincente la storia della nascita dell'interfaccia grafica, che il film liquida nei pochi secondi in cui Jobs scopre che Bill Gates gli ha fregato l'idea e gli fa una rodomontata per telefono? (Tanto più che il film omette la risposta sorniona di Bill: non ho copiato te, c'era questo ricco vicino di casa che si chiama Xerox, sono entrato a rubargli il televisore e ho scoperto che ci avevi pensato già tu). E tutti quegli oggetti che la polvere rende belli, che so, i floppy (i veri floppy, quelli che a sventolarli facevano: flop). E a proposito di flop, tutti i prodotti bellissimi sulla carta che flopparono miseramente: Lisa, il primo Mac che scaldava come un tostapane...La poesia delle vecchie schermate in bianco e nero. Uno dei momenti più divertenti è quando il giovane Steve, alla ricerca di investitori, cerca di spiegare quello che stanno facendo in quel garage: è una tastiera che si collega al televisore e... puoi farci di tutto. Ecco, Jobs avrebbe potuto essere il film che ci mostrava il primo home computer, il primo Sistema Operativo, il primo mouse che trascina i file nel primo Cestino, e così via. Il caratteraccio di Jobs avrebbe potuto rivelarsi la spia della sua insofferenza nei confronti delle scomodità e inestetismi del quotidiano, la molla che lo spinge a inventare un mondo migliore: un Jobs stanco di digitare righe di comando inventa (o copia) il drag-and-drop, un Jobs che non sopporta più di non poter scaricare la posta al gabinetto inventa l'iPhone. Tutto questo sarebbe stato spettacolare e anche abbastanza divertente, credo.

E invece nel secondo tempo il film si disinteressa dei computer e comincia a concentrarsi su quel che sta sotto, scrivanie e poltrone. Diventa un film di gente che sgomita per occupare scrivanie e poltrone. Jobs continua a dominare la scena, urlando e strepitando, licenziando e facendosi licenziare. Poi si prende una vacanza (in realtà in quel periodo fonda NeXT, un'esperienza fallimentare ma cruciale per gli sviluppi successivi) finché chi lo aveva cacciato dai piani alti di Apple non striscia a implorare il suo ritorno. Forse la chiave del film è tutta lì. Questo non è un film per nerd. Un giorno forse qualcuno farà un bel film di Jobs per nerd (Aaron Sorkin sta lavorando a un progetto, speriamo bene), ma questo non lo è. Questo è un film per manager. Ciò spiegherebbe anche la necessità di enfatizzare la stronzaggine del personaggio. Sono i manager che amano specchiarsi nel miliardario partito dal garage: e nulla li esalta come il suo secondo avvento all'Apple. La storia del manager tradito e cacciato con infamia dalla propria azienda, la quale in sua assenza va in malora, finché un bel giorno Egli non viene supplicato di salvarla, trionfando sui suoi vecchi detrattori con prodotti coraggiosi e innovativi che la porteranno al top: una storia così per i manager di tutto il mondo dev'essere irresistibile, l'equivalente di Cenerentola per le terzogenite. Ecco, Joshua Michael Stern voleva raccontare questa storia, non quella dell'inventore di incredibili aggeggi, che purtroppo restano sullo sfondo. Ed ecco quindi un Kutcher più manager che inventore: non tocca un solo circuito stampato, in compenso mangia la faccia a qualsiasi membro del suo team che non la pensi come lui. I manager di tutto il mondo, quando vanno al cinema, vogliono vedere un manager più bello di loro che licenzia furiosamente tutti gli stronzi che gli capitano a tiro, uno che abbia il coraggio di tagliare le teste che loro non riescono a tagliare. Jobs è il loro film. L'altra sua utilità consiste nel dimostrare definitivamente la Prima Legge del Biopic: la qualità della storia è inversamente proporzionale alla somiglianza dei personaggi. Purtroppo i personaggi di Jobs sono davvero molto somiglianti. Jobs è ancora al Multisala Impero di Bra alle 22:15; se siete manager in carriera magari vi divertite parecchio. Sennò, bah.
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Abdia, per piccino che tu sia

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Ma neanche un rotolo (San Marco, Venezia)
19 novembre - Sant'Abdia (600 aC) - minuscolo profeta di sventura

[Questo pezzo si legge completo qui].

Nella Bibbia ebraica c'erano quattro libri intestati ai profeti: Isaia, Geremia, Ezechiele e i Minori - lo so, c'è anche Daniele, ma è un caso tutto particolare, non facciamola troppo complicata. Isaia (che in realtà è il nom de plume di più profeti) è il poeta; Geremia il brontolone, Ezechiele il visionario, i Minori sono dodici e hanno il libro più breve. I cristiani ebbero la bella pensata di dividerlo in dodici minuscoli libretti, alcuni poco più che cartigli. Quello di Abdia è il più corto di tutti, ventuno versetti, appena lo spazio sufficiente per augurare sciagure a un popolo beduino (gli Edomiti) colpevole di aver collaborato con Nabucodonosor II, l'invasore babilonese.

Gli Edomiti discenderebbero da Esaù, il figlio di Isacco che cedette la primogenitura al fratellino Giacobbe in cambio d'un piatto di lenticchie: così che al posto della famosa terra del latte e del miele alla sua discendenza capitò il deserto del Negev, e una malcelata invidia per il popolo eletto. Non è chiaro quanto gli edomiti effettivamente contribuirono alla sconfitta del Regno di Giuda, ma sicuramente profittarono delle deportazioni ordinate da Nabucodonosor per sconfinare e trasferirsi in quella terra più fertile. Agli ebrei non restava che maledirli, ed è quello che fece, molto sinteticamente, Abdia: vi siete appostati ai bivi per sterminare i nostri fuggiaschi? Avete consegnato al nemico i suoi superstiti, nel giorno della sventura? Bene, il giorno del Signore è vicino: tutte le vostre azioni ricadranno sul capo. Giacobbe sarà fuoco e voi sarete paglia. Sarete sterminati, ovviamente, e le tribù d'Israele s'ingrandiranno sulle vostre rovine... (continua sul Post)
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La bad company del (nuovo) centrodestra

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Una scissione nel centrodestra era uno scenario che fino a pochi mesi fa nessuno avrebbe osato immaginare. Eppure non è una mossa così illogica, e potrebbe persino rivelarsi vincente. È l'esito delle tensioni scatenate dalla permanenza di questo governo paradossale, sostenuto da due partiti contro la volontà dei loro stessi elettori. Sia Berlusconi sia il suo concorrente più plausibile - Renzi - si trovano nella scomoda condizione di dover preparare una campagna elettorale mentre sostengono un governo impopolare. Entrambi non hanno troppa fretta, e però più tempo passa più rischiano di perdere consensi. Che fare?

In aprile io, per esempio, senza intendermi di politica, suggerivo ai renziani di smarcarsi dal Pd e di lasciare che al governo andassero i rappresentanti del vecchio partito - una specie di bad company del consenso, che avrebbe attirato a sé tutto il malumore per l'accordo con centristi e PdL e per le politiche impopolari che avrebbe avallato. Ovviamente nessuno mi prese sul serio; però cinque mesi dopo qualcosa del genere l'ha combinata Berlusconi: Alfano e i ministri del Pdl vengono esternalizzati, più o meno forzati a costituire un partito che fungerà da bad company. Si accolleranno tutte le responsabilità di un governo che davvero fin qui non ha fatto molto per compiacere l'elettore di centrodestra; e nel frattempo Berlusconi è finalmente libero di sguazzare nell'opposizione, il ruolo che più di tutti gli è congeniale. Sganciata da ogni responsabilità, la nuova Forza Italia può ora andare in cerca di nuovi bacini di consenso: e se si gioca con abilità la carta dell'euroscetticismo, potrebbe recuperare molti astensionisti e persino qualche ex elettore pentastellato o democratico. Quanto al destino elettorale del Nuovo Centrodestra di Alfano, il precedente di Futuro e Libertà è abbastanza eloquente - a meno che lo stesso Berlusconi non decida di tenerli in vita come lista civetta per disturbare i centristi.

Certo, alla nuova Forza Italia - Abbasso Europa servirebbe un leader energico, e il Berlusconi che vediamo in questi giorni non lo è più (continua sull'Unita.it, H1t#205 L’età, la salute, le preoccupazioni giudiziarie, il protagonismo che gli ha impedito in tutti questi anni di individuare e crescere un successore all’altezza (anche in famiglia): tutte cose che cominciano visibilmente a pesare; ora come ora il principale problema della prossima campagna di Berlusconi sembra Berlusconi stesso. La distanza col personaggio che nel ’94 sprizzava ottimismo da tutti i pori è immensa. E però B. è già stato dato per spacciato tante volte: e per quanto azzardate possano sembrare le sue mosse, fin qui sembrano le migliori a sua disposizione.
Tra qualche giorno il parlamento voterà la mozione di sfiducia m5s alla Cancellieri, e Renzi – che si è pubblicamente pronunciato per le dimissioni – si troverà in una situazione imbarazzante: se la ministra otterrà la fiducia, come appare più che probabile, gli sarà rinfacciato di averne chiesto le dimissioni soltanto a parole, mentre nei fatti i parlamentari Pd della sua area continuano a sostenere fedelmente il governo Letta. E in effetti le cose stanno così: criticare la Cancellieri è una mossa elettorale, sostenere il governo è una scelta politica, e Renzi è costretto a muoversi in entrambe le scarpe. Poi succederà qualsiasi altra cosa e nel giro di qualche settimana ci saremo dimenticati anche di questa; ma a lungo andare queste situazioni non possono che indebolire l’immagine del futuro leader di centrosinistra. Non è da tutti essere di lotta e di opposizione: forse non è mai riuscito bene a nessuno. A questo punto però non è più un problema di Berlusconi: lui si è tirato fuori. Buona mossa, bisogna ammetterlo. Magari gli è capitata per caso, magari non si rende conto più di quel che gli stanno combinando attorno: ma la mossa resta buona.http://leonardo.blogspot.com
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Ma il Fatto cosa pensa di te?

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"Esclusiva", la chiamano. 

Caro lettore, che magari vieni dopo aver sentito "le risate choc" di Nichi Vendola sul Fatto Quotidiano, vorrei premettere una cosa:

Io non credo che tu, mediamente, sia un coglione.

Invece chi ha confezionato le "risate choc" di Nichi Vendola sul Fatto Quotidiano, cosa pensa di te?

- Non ha una grande fiducia nella tua memoria: stralci dell'intercettazione erano stati pubblicato un anno fa (qui dal Giornale). Adesso invece è un'"esclusiva" del FQ.

- Non ha molta fiducia nemmeno nella tua capacità di mantenere l'attenzione: rispetto al Giornale di Sallusti, il contenuto è molto semplificato. Non ti è richiesto di seguire un ragionamento o ricostruire un caso dagli indizi, ma di ascoltare una risata e di indignarti.

- Presume che tu, di indignarti, abbia un certo bisogno. Una necessità quasi fisica, a cui il Fatto dovrebbe rispondere con intercettazioni compromettenti, potenti che discutono di nascosto, ecc. ecc. Una scarica di adrenalina per farti cominciare bene la giornata.

- Allo stesso tempo, ha paura che tu non riesca a indignarti al momento giusto; forse perché il Fatto ci prova tutti i giorni, il Giornale ci prova tutti i giorni, Beppe ci prova più volte al giorno, anche Repubblica e Corriere ogni tanto ci provano: e ogni volta bisogna alzare un po' la dose. Donde la necessità di trasformare una mezza risata in una conversazione in una "risata choc", nientemeno che sui morti di cancro.

- Pensa che tu sia abbastanza ottuso da non capire che Vendola non ride dei morti di cancro, ma della figuraccia combinata dal pr Archinà quando davanti alle videocamere scippò un microfono a un giornalista che faceva domande a Riva. Vendola canzona l'interlocutore con un'affettuosità magari diplomatica - ma che se ne frega della diplomazia, tu hai bisogno di indignarti tutte le mattine, quindi, insomma, ascolta il Presidente della Regione che ride delle morti di cancro!

- Ritiene che la tua indignazione, tanto esercitata da essere ormai esausta, abbia bisogno per riattivarsi quotidianamente di supporti audiovisivi come, ad esempio, la musica inquietante. Una base massiccia, da playstation. Chi confeziona questa roba ti considera più o meno così: un utente di un videogioco che al mattino, prima di cominciare la giornata, accende e ammazza un po' di cattivi sui social. Li ammazza a colpi di indignazione, sono tutti ladri! devono andare a casa! a lavorare! ecc. Un giudice poi deciderà se la telefonata provi in qualche modo un'effettiva complicità di Vendola coi Riva, ma chi ha confezionato le "risate choc" non è che si preoccupi più di tanto di come andrà il processo. Pensa che tu abbia semplicemente bisogno di odiare un politico tutte le mattine, e un politico che parla al telefono con il rappresentante di un'industria altamente inquinante dovrebbe saziare i tuoi appetiti. Fino alla prossima intercettazione.

- Siccome lavora in un quotidiano, butta lì anche dei testi. Ma è da un pezzo che ha smesso di credere che tu li leggerai davvero. Usa un font ansiogeno come la musica, poco leggibile, ma graficamente perfetto per quello che le parole rappresentano: muretti di testo piazzati tra una scena e l'altra del videogioco. Certe volte erano in inglese, le ignoravi e comunque qualche nemico riuscivi ad ammazzarlo lo stesso.

- Crede che tu odierai il politico per partito preso. Qualsiasi cosa faccia, è senz'altro sbagliata, perché i politici sbagliano sempre. Lui crede che tu la pensi così. Un politico che telefona? I politici non dovrebbero telefonare, consumano banda. Un politico che parla al telefono al pr di un industriale? Sarà senz'altro per congiurare alle spese del cittadino, per aiutarlo a realizzare qualche ruberia o strage. Vendola, governatore di centrosinistra, doveva mediare tra i sindacati che volevano tenere aperto lo stabilimento e un'opinione pubblica che lo voleva chiuso; il suo ruolo richiedeva anche che mantenesse i rapporti con la proprietà. Un presidente di regione non dovrebbe farlo? No, Vendola dovrebbe starsene in un angolino del suo ufficio a prosodiare alati ditirambi, non a mediare tra cittadinanza sindacati e proprietà, è uno scandalo! Un presidente che media, e mentre media, ridacchia pure coi suoi interlocutori, invece di singhiozzare continuamente al pensiero dei morti di cancro. Quando li eleggerai tu, i politici, non faranno così (pensano al Fatto). Saranno veri cani da guardia, se prenderanno il telefono per interloquire con un industriale passeranno il tempo ad abbaiargli: vergogna! inquinatore! assassino!!!! a casa! !!!!undici. I problemi si risolvono insultandoli.

Non è che la pensino veramente così, al Fatto - non son mica coglioni. Dal niente han messo su una bella realtà industriale: per esempio ogni volta che qualcuno clicca sulle "risate choc", ogni volta che tu vai a indignarti sulle "risate choc" sui "morti di cancro", loro realizzano un guadagno. Sulle risate choc sui morti di cancro. Pelo sullo stomaco, insomma, non gli manca: e coglioni non sono sicuramente.

D'altro canto, cosa pensano di te?
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