In soffitta e così siae

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(di Mogol, Bacal, F'nqul)

C'era una volta una gatta
che aveva una macchia nera sul muso,
e una vecchia
soffitta vicino al mare,
con una finestra
a due passi dal cielo,
o no?

Gino Paoli, pittore e compositore.
Se la chitarra suonavo
la gatta faceva le fusa,
e una stellina
scendeva vicina vicina,
poi mi sussurrava:
"Non male, il giro di do".

Ora non abito più là.
Tutto è passato, non abito più là...
Ho una casa bellissima: bellissima, come vuoi tu.

Ma devo tutto a una gatta
che aveva una macchia nera
sul muso, e una vecchia
soffitta vicino al mare,
e un bel giro di do,
e milioni di borderò.

C'era una volta un cartello
di autori e di musicisti. Era molto bello.
Scuciva miliardi per due strofe ed un ritornello.
Bastava un giro di do...

Se dalla radio passava,
il cartello incassava i diritti - poi c'erano i dischi,
ai concerti la gente pagava
(anche per far fischi),
che gran cosa i borderò!

Ora non mi rendono più.
Tutto è passato, le radio non van più.
Ho una casa carissima, da ristrutturare anche un po'...

Gino Paoli, presidente della Siae
Ma quella troia di gatta
ormai non mi rende un euro, puttana vacca.
Sì che ho preso già più di Bach
per un giro di do
copiato a Burt Bacharach.

C'era una volta una lobby,
che infine ha spuntato un aumento
su tutti i supporti
sui quali potresti ascoltare, in qualsiasi momento,
la gatta che ho scritto io.

Tu che magari ci hai l'hobby
di fare le foto ai tuoi gatti,
e le metti su un disco
che è rigido oppure no
- quel che vuoi, me ne infischio -
ma devi i diritti a me. 

Ora non me li paghi più,
né ipad né tablet, tu non li compri più.
Li ordini on line all'estero,
ti costan meno, bastardo, perché?

Che cos'hai contro la gatta?
Vuoi proprio vedermi finire i miei giorni in soffitta
da solo a guardare il mare
da una finestra
a due passi dal cielo blu?

Col cazzo, che torno in soffitta.
Io sono un artista famoso, ci ho i miei diritti,
Anche ora canticchi La gatta... beh, io l'ho scritta!
Compilami il borderò.

Sono miei tutti i giri di Do!
Volete pagarli o no?
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Dormire come in sette

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Questa è una versione turca27 luglio - Sette dormienti di Efeso

In una grotta, dalle parti di Efeso (Lidia, oggi Turchia sudoccidentale), forse riposano ancora i Sette Dormienti. Si chiusero nella grotta ai tempi di Decio imperatore, per sfuggire alle sue violente persecuzioni. Si coricarono, e il mattino dopo mandarono uno di loro a comprare il pane. Al tizio la città sembrò subito un po' cambiata. In ogni foro, grandi edifici sormontati da croci. La gente non voleva il suo denaro, e sì che era argento buono, coniato sotto Decio imperatore. Ci misero un po', i Sette, a capire che avevano dormito duecento anni. La loro religione, già proibita, ora era obbligatoria. Inoltre fra Decio e Teodosio imperatore vi erano state almeno tre riforme monetarie, quindi forse era difficile capire cosa si potesse comprare ora col denaro che si erano portati nella grotta, al di là del valore intrinseco. Racconta la leggenda che i Sette morirono quello stesso giorno, dopo aver ringraziato il Signore per averli tenuti in stand-by tutto quel tempo; il che non ha molto senso da un punto di vista narrativo, ma è una pezza necessaria se sei un agiografo e vuoi conservare il loro status di santi - in alcuni calendari vengono chiamati anche martiri, il che è abbastanza incongruo.

È facile immaginare che il mito esistesse già prima dell'avvento del cristianesimo (che a Efeso arrivò prestissimo, già ai tempi di Paolo). Da un punto di vista cristiano, non ha molto senso sottrarsi al martirio durante una persecuzione - anzi in certi periodi era considerato un vero e proprio tradimento: il vero cristiano dimostrava la sua fede andando incontro ai supplizi, non imboscandosi in una grotta. D'altro canto, la leggenda era troppo bella per rinunciarvi. È in sostanza il primo viaggio nel tempo della letteratura di tutti i tempi. Non si può però venerare un dormiente: finché dorme non è in cielo. Deve dunque essere morto, possibilmente subito dopo il risveglio miracoloso.

Che la leggenda sia antica, e famosa, lo dimostra anche la sua presenza in un testo d'eccezione, il Corano. Nella Sura della Caverna, Maometto afferma che i giovani dormirono 300 anni "più nove" (309 anni lunari = 300 anni solari?). Poi si svegliarono freschi e decisero di mandare in città qualcuno ad acquistare il cibo, con gentilezza; questa parola ("comportarsi con gentilezza") pare sia il centro esatto di tutto il Corano. In città vengono scoperti e onorati. Ma quale città? Efeso o Ahl al-Kahf, in Giordania? O a Chenini, in Tunisia, dove si ritiene che dormano ancora senza aver mai smesso di crescere, e quindi non potranno che risvegliarsi giganti? Maometto non lo dice. Non chiarisce nemmeno quanti fossero i giovani, ma di una cosa è sicuro: con loro c'era un cane. Quel cane che ancora è udito dai viandanti nei pressi di Azeffoun, Algeria.
Diranno: “Erano tre, e il quarto era il cane”. Diranno, congetturando sull'ignoto: “Cinque, sesto il cane” e diranno: “Sette, e l'ottavo era il cane”. Di': “Il mio Signore meglio conosce il loro numero. Ben pochi lo conoscono”. Non discutere di ciò, eccetto per quanto è palese e non chiedere a nessuno un parere in proposito. Non dire mai di nessuna cosa: “Sicuramente domani farò questo...” senza dire “...se Allah vuole” (Sura XVIII,22-24)
Il cane è del tutto assente nella versione cristiana. Secondo il Corano anche lui dormì per tutto il tempo, assolvendo comunque la funzione di guardiano: stava sulla soglia e dissuadeva chiunque passasse di lì a curiosare nella caverna. Il cane non è un animale molto apprezzato in ambito islamico, anche se Maometto non sembra considerarlo impuro (si raccomanda però che siano lavate molto bene le stoviglie e i vestiti in cui ha ficcato il muso). Impossibile non pensare al dio egiziano Anubi, guardiano del mondo dei morti, e al suo padrone Osiride, anche lui congelato in uno stato di sonno o animazione sospesa, fino alla vittoria finale del figlio Horus sul suo assassino, il fratello Seth. Anubi per l'occasione dovrebbe anche avere inventato l'imbalsamazione - sempre che non fosse un procedimento criogenico per ibernarlo in attesa dell'arrivo di qualcosa che poi non si è fatto vivo, magari rinforzi da Sirio su dischi volanti - da bambino devo aver letto qualcosa di Kolosimo in merito. Da bambino mi faceva un po' paura Kolosimo, pensavo fosse russo o almeno americano. Poi ho scoperto che è nato a Modena (continua sul Post)
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Silvio B., o la sposa fuggitiva

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Il diciotto gennaio del 2014, il segretario del PD - non ancora presidente del Consiglio - Matteo Renzi incontrò Berlusconi e stilò con lui la bozza di una riforma elettorale (secondo i berlusconiani c'era anche una postilla, una riforma della giustizia, robetta). Un mese dopo Matteo Renzi si installava a Palazzo Chigi e annunciava "una riforma al mese"; in particolare la riforma del Senato era prevista intorno al 25 maggio, mentre quella elettorale sarebbe stata pronta per settembre. Entrambe erano state concordate con il presidente di uno dei principali partiti dell'opposizione, Silvio Berlusconi, e quindi non era così strano scommettere su un percorso parlamentare abbastanza breve.

È il 25 luglio del 2014. Sono passati cinque mesi, non tutti scanditi dall'approvazione di memorabili riforme. Renzi nel frattempo ha vinto le elezioni europee, ma il parlamento è ancora quello di prima, ed evidentemente maldigerisce il ritmo decisionista del nuovo arrivato. La riforma elettorale è impantanata in Senato, Grasso su pressione del Quirinale ha contingentato la discussione sugli emendamenti; il voto è previsto per l'otto agosto, ma Calderoli (che a questo punto è di quelli che la sa lunga) dice che tanto non passerà. Qualcuno potrebbe argomentare che l'idea di affidarsi a un parlamento vecchio per lanciare una serie di riforme rottamatrici e destabilizzanti non era, in partenza, molto brillante: ma è andata così, inutile recriminare. Piuttosto è interessante notare come ieri sera il ministro Boschi abbia buttato lì una notizia che, in effetti, cambia le carte in tavola: ha riconosciuto che una volta emanate le riforme si farà un referendum confermativo.

Lo ha detto come se fosse una cosa scontata, e invece no, scontato fin qui non lo era affatto. Il referendum confermativo (che non richiede il quorum) si può fare soltanto se una modifica costituzionale non ottiene una maggioranza qualificata in parlamento (due terzi). In sostanza, con molta serenità la Boschi ha ammesso una sconfitta: dopo cinque mesi che se ne parla, e ogni settimana è data per decisiva, alla fine la legge non ha ancora una maggioranza che le consente di camminare con le sue gambe. Berlusconi sembrava d'accordo, Alfano era d'accordo, eppure per una strana serie di circostanze la maggioranza necessaria non c'è. Bisognerà chiedere il parere agli italiani. Una prova di forza che Renzi è evidentemente sicuro di superare, anche se -

- c'è qualcosa che non ho capito, scusate.
Ma allora perché facciamo le riforme con Berlusconi?

Avevo capito che fosse una scelta, come dire, obbligata. Perché d'accordo, è un vecchio laido condannato ai servizi sociali, ma c'è ancora tanta gente che gli vuole bene, e chi siamo noi per giudicare. Soprattutto, era l'unico che poteva portarci in dote una maggioranza qualificata. Ora però si scopre che questa famosa maggioranza non c'è. E quindi, insomma, se la dote non c'è di solito il matrimonio salta. Nei matrimoni d'interesse, perlomeno funziona così. E questo è un matrimonio d'interesse, vero?

O è un matrimonio d'amore?

Ecco, magari prima di andare avanti verifichiamo questa cosa, che è importante. Qualcuno si è forse innamorato di Berlusconi ultimamente? Io no. Tu sì? Ammettilo, accettalo, anche perché sennò questa cosa non si spiega. Io ero rimasto che con Berlusconi si dovesse fare un affare: le riforme con la maggioranza qualificata. Peraltro, sono riforme piuttosto brutte - in sostanza è l'ennesima riproposizione di quella portata indigesta che non ci è mai andata giù, il presidenzialismo. Il patto di fidanzamento - per quel poco che si sa - prevedeva addirittura un ballottaggio-referendum tra i due candidati meglio piazzati, una cosa che in Europa non si è mai vista; un tie-break dove chi la spunta di uno 0,1% vince tutto. Più presidenzialista di così, senza metterci l'etichetta "presidenzialismo", è oggettivamente impossibile. Pure questo avevamo concesso a Berlusconi - però lui doveva portarci una dote in cambio. La dote dov'è?

Quindi, ricapitolando. La riforma faceva schifo, ma era l'unica che si poteva fare con una maggioranza qualificata, cioè Berlusconi - però si è scoperto che Berlusconi non vuol dire maggioranza qualificata.

Faceva schifo, ma se ne poteva discutere: non in commissione però, in aula. Poi si è arrivati in aula e si è scoperto che non si poteva discutere neanche lì.

Ora pare che si andrà al referendum. Mettiamo le cose in chiaro: sarà un referendum su Renzi - non c'è verso che si possa impostare diversamente. Ma sarà anche la cerimonia nuziale tra Renzi e Berlusconi. Quest'ultimo rimane, fino a prova contraria, un vecchio laido condannato ai servizi sociali. Dovrete portarlo sugli scudi, dovrete proclamare che lo amate e che la riforma che fate con lui l'avete scritta con un trasporto sincero. Magari gli elettori applaudiranno la schietta espressione dei vostri sentimenti e correranno alle urne a benedire la vostra unione. Magari andrà così.

Faccio presente un'ultima cosa: quel tizio laido in passato ha già fottuto persone più esperte di voi. Doveva portarvi in dote una maggioranza qualificata, e la maggioranza qualificata non c'è. Dovrebbe aiutarvi a portare almeno un po' di elettori alle urne per il referendum, ma chissà se lo farà. Chissà se gli interessano davvero queste riforme. Chissà se non preferisce mollarvi all'altare e far rimediare all'unico candidato PD ormai credibile una grottesca e irredimibile figura di merda. Chissà.
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La strage di San Marino

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(Ai cittadini della Repubblica di San Marino, qui evocati, va tutto il mio rispetto. Questo pezzo non intende essere un atto di antisanmarinismo, ne di antiqualcosaltrismo. È soltanto una riflessione sull'assurdità dell'equazione Kissinger).

Un tallone è un tallone

Se ci penso ho ancora i sudori freddi. A mia discolpa, la tizia in sandali davanti a me era distratta. Armeggiava sul telefono e non aveva notato che la fila andava avanti. Io viceversa ero fin troppo concentrato su quel che succedeva allo sportello, venti metri più in fondo. Vedevo la testa della fila procedere lentamente ma inesorabilmente, e non mi accorsi che lei manteneva la posizione, finché i miei piedi non finirono sui suoi. Ebbi la nitida percezione della punta della mia suola che sfregiava il suo tallone.
"Ahi! Ma guarda cos'ha fatto".
"Oh, mi scusi, mi scusi davvero, sono desolato".
"E questo cos'è... sangue!"
"Ma non è niente, via, mi faccia vedere..."
"Stia lontano".
"È solo un'escoriazione superficiale".
"La fa facile lei. Evidentemente non si rende conto".
"Se posso fare qualcosa per lei..."
"Vede, io sono cittadina della Repubblica di San Marino".
"Buon per lei, io invece vengo dalla bassa e..."
"Non ha capito. Sa quanti abitanti fa San Marino?"
"Ahem".
"Provi, dica un numero".
"Non so... centomila?"
"Trentaduemila".
"Ah, però".
"Le sembrano pochi?"
"Beh, sì, pochini in effetti".
"E crede che sia un buon motivo per cercare di estinguerci?"
"Eh?"
"Non faccia il finto torto. Saremo pochi ma abbiamo lo stesso diritto a vivere che ha lei. Non è d'accordo?"
"Ma per carità, d'accordissimo".
"E però questo non le ha impedito di attentare alla salute del mio popolo".
"Prego?"
"Non cominci a negare. Lei mi ha fatto sanguinare un tallone, è vero o no?"
"Certo. Mi dispiace, mi dispiace tantissimo, ma..."
"Lo sa che cosa rappresenta questo tallone per la sopravvivenza della nobile e indomita Repubblica di San Marino?"
"Confesso di no".
"Immagini ora che un drappello di prepotenti e nerboruti invasori entri in questa città e calpesti a sangue i talloni di duemila suoi concittadini. Come reagirebbe?"
"Non so, non... non ci avevo mai pensato prima".
"Io credo che protesterebbe con veemenza!"
"Sì, in effetti è probabile".
"Chiederebbe soccorso alle autorità?"
"Certo, sì".
"Questo è quello che è appena successo. Chi calpesta un tallone a un cittadino della nostra nobile Repubblica, è come se ne calpestasse duemila in Italia".
"E perché?"
"Ma le devo proprio spiegar tutto? Perché io, in quanto cittadina di San Marino, sono pari a un trentaduemillesimo della popolazione. Sa quanti talloni di cittadini italiani deve calpestare per ottenere lo stesso risultato?"
"Confesso di no".
"Millenovecentotrentasette".
"Ah, ecco".
"E non si vergogna?"
"Comincio a capire. Lei postula che tutte le nazioni abbiano pari dignità..."
"Osa negarlo?"
"...E questa dignità sia una quantità x che va divisa per il numero di cittadini. Quindi siccome l'Italia è duemila volte San Marino, se qualcuno fa male a lei è come se facesse male a duemila italiani".
"Precisamente" (PAFF!)
"Ehi, ma che cos'ha fatto?"
"Niente, perché?"
"Come niente? L'ho appena vista? Ha tirato un calcio nello stinco a quel signore".
"Sì, mi dava fastidio".
"Che fastidio le dava?"
"Ma che importanza ha? Diamine, non l'ha visto in faccia? È sicuramente un cittadino della Repubblica Popolare Cinese".
"E allora?"
"E allora un suo stinco quanto può valere... sono un miliardo e mezzo più o meno, dunque... uno stinco di San Marino vale più o meno come cinquantamila stinchi cinesi. Dovrei azzoppare un'intera città per causargli un danno".
"Ma gli ha causato un danno".
"Ma no, lo vede, si è già alzato".
"Sta chiamando qualcuno... spero per lei non siano i vigili".
"Ma si figuri, non vorrà mica rischiare un incidente diplomatico".
"E se non fosse un cinese della Repubblica Popolare? Se fosse di Taiwan".
"Beh, allora avrei fatto una tremenda gaffe".
"Senta, non si offenda. Mi dispiace davvero tanto per averle fatto male..."
"Giovanotto, non basta dispiacersi. Provi a pensare a duemila talloni italiani sanguinanti. Fiumi di sangue. Come reagirebbe?"
"...però secondo me lei è un po' matta. Non può ragionare così".
"Ah no?"
"Un tallone è un tallone. Non è che valga di più se è di San Marino o del Lichtenstein o di qualche altra nazione piccola".
"Noto un certo fastidio per le nazioni molto piccole".
"Un tallone è un tallone. E basta. Nessuno ragiona come lei".
"Ne è sicuro?"

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Un poco di zucchero (ci seppellirà)

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Saving Mr. Banks (John Lee Hancock Jr, 2013)

Disney e la Travers alla première di
Mary Poppins (no, lui non l'aveva neanche
invitata).
Poi, dopo settimane passate a cercare invano un titolo decente, dribblando robottoni e commedie in saldo di fine stagione, ti imbatti in un film che è bello davvero, con un cast ottimo e abbondante, una storia complessa e commovente, personaggi memorabili e riflessioni intelligenti sull'arte e sulla vita, e come ti senti? Preso in giro. Mentre si accendono le luci e ti asciughi le lacrime. Walt Disney ha colpito ancora.

Qualcuno stava cercando di fare un film su di lui, lui che ha fatto? Se l'è comprato. Avrebbe potuto mai esistere un film in cui Walt Disney non sia meno che geniale, amabile, visionario, gioviale? Un film in cui per esempio sia il cattivo che acquista i diritti di un personaggio letterario e se ne impossessa, caramellandolo per sempre e consegnando alle future generazioni una Mary Poppins  assai più stucchevole di quella immaginata dell'autrice? Le cose, in effetti, andarono così, ma non si può mostrare. Un film del genere stava forse per realizzarlo la BBC, ma appena l'ha saputo la Walt Disney se l'è comprato, e adesso è il film in cui un Tom Hanks perfettamente a suo agio nei panni di Walt spiega all'autrice che stravolgere Mary Poppins è doveroso e necessario, la cosa giusta da fare, per pietà filiale e per l'amore e il rispetto che si deve al proprio pubblico.


A quel punto è previsto che persino la lignea P. L. Travers si sciolga, acconsentendo più o meno a tutte le manovre che trasformarono la sua tata volante in un classico personaggio disneyano. Il risultato non le piacerà del tutto, ma il riscatto dell'arcigno Mr Banks - una proiezione del padre fallito e alcolizzato - la riempirà di lacrime, così come le sta riempiendo a noi. Toccante, ben scritto, e tuttavia le testimonianze in nostro possesso ci dicono che alla prima la Travers stesse piangendo, sì, ma di rabbia. Se si considera che non le piacevano né i musical né i cartoni animati, non è poi così strano. Nei fatti, non concesse più i diritti degli altri volumi (la saga di Mary Poppins consta in otto romanzi, scritti in un arco di cinquant'anni). Quando le fu proposta una riduzione teatrale, mise per iscritto che voleva soltanto maestranze britanniche - un bell'affronto ai fratelli Sherman, gli inventori di Supercalifragiliecc., Spazzacamin, Basta un poco di zucchero e tutte le altre.


L'inganno è tanto più insopportabile quanto è ben confezionato. La Hollywood degli anni Sessanta è ricostruita con la solita stucchevole precisione filologica (persino i pupazzi di Topolino hanno il design preciso del periodo, quel pelo folto oggi inconsueto). Il plot ha ambizioni da thriller psicologico, per niente campate in aria. Gli attori danno tutti il meglio di sé, anche quelli con pochi secondi a disposizione. La piccola Annie Rose Buckley è meravigliosa, Colin Farrell ovviamente credibilissimo nel ruolo del cialtrone alcolizzato ma di fiere origini celtiche: ma su tutti trionfa Emma Thompson, che riesce a farci amare una persona insopportabile (il film merita una visione in lingua originale anche solo perché si possa apprezzare lo scontro tra l'accento californiano di Tom Hanks e il secco british english della comprimaria).

E così, ancora una volta, Walt Disney ha vinto. Non gli bastava essersi comprato la tata volante. Doveva mangiarsi anche l'anima dell'autrice. Assorbirla, purgandola di tutti gli aspetti francamente non disneyabili. L'ossessione per l'esoterismo si riduce a un buddha portatile su un comodino; i sospetti di bisessualità sono completamente eliminati - anzi per andare sul sicuro è stata eliminata la sessualità tout court. Persino la maternità. La Travers del film proclama di non avere mai voluto figli; quella vera ne desiderava talmente da andarsene a prendere uno in Irlanda. Dev'essere stato difficile rinunciare a una vicenda come quella di Camillus Travers, che a diciassette anni incontra all'improvviso un tizio che sostiene di essere il suo gemello, e scopre che è vero: sua madre aveva deciso di adottarne uno solo, su consiglio di un astrologo. Un episodio così cinematografico che soltanto la Disney avrebbe potuto ignorare. D'altro canto, dovremmo ammirare il coraggio di un film in cui per mezzo secondo Walt fuma (di nascosto, vergognandosi, e senza inalare). Un film in cui la Travers alla fine svela di preferire un goccio di whisky allo spoonful of sugar...

Quello di Saving Mr Banks non è un semplice lieto fine: è il manifesto del Lieto Fine. L'esercizio manieristico di The English Teacher qui viene preso sul serio e messo in atto con abilità e precisione. Mentre piangiamo, un'incarnazione del più grande impresario del Lieto Fine viene a sussurrarci che piangere è giusto, e modificare i propri ricordi lo è altrettanto. Rimuovere i traumi, trasformare papà sadici e crudeli in deliziosi amiconi pronti a ripararci aquiloni in eterno. Il pubblico ha diritto di sognare, di piangere, di farsela cantare, eccetera. Qualcuno non è d'accordo? Si faccia avanti, dica il suo prezzo, compreremo anche lui. Tra vent'anni magari ci faremo un film in cui all'inizio non è d'accordo ma poi si commuove e vola via contento. Saving Mr. Banks è al Multilanghe di Dogliani giovedì 24 luglio alle 21:30.
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Anche tu ti svegli un po' 5Stelle? RIMEDIO INFALLIBILE! cLICCA QUI!!!!

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Certe mattine uno rischia davvero di svegliarsi a Cinque Stelle. Se dovesse succedere anche a voi, non preoccupatevi. C'è un rimedio imbattibile. Garantito.

Può succedere a chiunque. Magari il giorno prima ha sentito dire a Di Maio che Grillo e Casaleggio si vedranno meno: vuoi vedere che è finita la fase dei guru e degli imbonitori? Sarebbe veramente una buona notizia. Nel frattempo la trattativa sulle riforme si è arenata, com'è destino che si areni qualsiasi cosa si faccia in streaming (ormai credo sia un dato acquisito: chiedere lo streaming è un modo molto lungo e cortese per dirti di no. Come sentirsi dire "sei il mio migliore amico" negli anni '90, ecco, probabilmente oggi le ragazze ti fissano uno streaming). Quello che si è chiarito oltre ogni benevolo dubbio, è che Renzi preferisce fare le riforme con Berlusconi. Un po' perché preferisce davvero Berlusconi, lo trova più affidabile e addomesticabile (non sarebbe il primo a sbagliarsi su entrambe le cose); un po' perché Berlusconi è un'ottima scusa per fare riforme un po'... come definirle? Se diciamo "autoritarie" rischiamo di offendere il Presidente della Repubblica, quindi meglio non usare la parola.

Allora mettiamola così. Tra un annetto o due, quando le riforme saranno a regime, l'Italia rischierà di trovarsi a completa disposizione di qualsiasi padroncino possa permettersi di investire in campagna elettorale il necessario per conquistare neanche il quaranta per cento dei consensi (anche meno se trova dei partner). Tanto basterà a riempire l'unica Camera di nominati che gli dovranno tutto; per eleggere un presidente della Repubblica di suo piacimento, e controllare di conseguenza i due terzi della corte costituzionale che se interpellati potranno testimoniare che la riforma è buona. Tutto questo ovviamente non verrà via gratis; servirà qualche soldino: neppure tanti in questi tempi di disaffezione elettorale.

Certo chi gestirà un vecchio partito senza più finanziamenti o rimborsi pubblici partirà un po' più svantaggiato rispetto a chi, poniamo, sarà riuscito a conservare una concentrazione mediatica. Berlusconi sarà anche finito, ma non si capisce perché dovrebbe finire il berlusconismo - gli interessi che rappresenta non sono scomparsi con una sentenza o una sconfitta elettorale. Magari non succederà: ma dovesse succedere, cosa avranno da dire gli aedi e i cantastorie che oggi sciolgono canti alle illuminate riforme renziane? Probabilmente alzeranno le spalle e diranno: non avevamo scelta, le riforme andavano fatte con Berlusconi. Non c'era alternativa. Cioè, sì, c'era Di Maio in streaming, ma non era un'alternativa. (Continua sull'Unita.it, H1t#241).

Insomma, quando si scopriranno le magagne delle riforme, Berlusconi sarà un ottimo alibi. Benché molte di queste magagne abbiano un sapore decisamente renziano (l’ossessione per l’ubiquità dei sindaci). E di noi cosa sarà? Ci sarà spazio per chi ha continuato a criticare Renzi anche nei giorni del trionfo? Magari no, magari saremo tutti risucchiati nei Cinque Stelle. Se nel frattempo smollassero la Casaleggio Associati eil suo ridicolo marketing 2.0, se diventassero un movimento serio, radicato tra i cittadini… perché no?
Può succedere a tutti: una mattina ci si sveglia e ci si scopre a Cinque Stelle. Poi, come tutte le mattine, si dà un’occhiata a internet…

…Certe mattine uno rischia davvero di svegliarsi a Cinque Stelle. Se vi succede non preoccupatevi. Andatevi a leggere qualche tweet dei Cinque Stelle veri. Vi passa all’istante, garantisco.http://leonardo.blogspot.com
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Guarda la tua vittoria

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Il lungo cammino del popolo eterno.

Cerchiamo di restare razionali e di guardare i numeri. Dall'inizio delle operazioni sono morti tredici soldati israeliani. (Sono morti anche più di quattrocento palestinesi, ma quelli per adesso lasciamoci stare). La loro morte era in qualche modo necessaria?

Prima che l'IDF entrasse a Gaza, i razzi lanciati da Hamas e da altre organizzazioni non avevano fatto nessuna vittima. Zero vittime. Evidentemente l'Iron Dome funziona bene (e i razzi palestinesi funzionano male). Poi Netanyahu, dopo una lunga riflessione, ha lanciato l'offensiva di terra: e tredici ragazzi israeliani, fin qui, sono morti. Più di tutte le vittime delle ultime due operazioni a Gaza. Nel frattempo l'operazione pare che abbia cambiato finalità: all'inizio si trattava di snidare qualche base sotterranea e qualche tunnel, ora si parla di "azzoppare Hamas, cosicché non sia più in grado di colpirci di nuovo per qualche anno»".
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Papi Silvio è innocente, Papi Silvio è indecente

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Potrei anche non ricordarmi bene; è passato del tempo e un mondo di cose più serie a cui pensare. Comunque:

La sera del 27 maggio 2010, una signora che credo si chiami Michelle Conceicao - e che in seguito ammetterà di essersi prostituita - sta scrollando nervosamente la rubrica del suo telefono, alla ricerca di un numero che corrisponda al nominativo PAPI SILVIO BERLUSCONE. Si tratta del cellulare del presidente del consiglio dei ministri, on. Silvio Berlusconi. Però se mi chiedete se sia un reato dare il proprio numero di telefono a una prostituta - anche solo lasciare che il vostro numero finisca sulla sua rubrica - beh, no, non è un reato, ci mancherebbe, no.

Michelle Conceicao sta cercando l'on. Silvio Berlusconi perché ha un problema: una sua conoscente, Kahrima El Mahroug, è trattenuta presso una questura, sospettata di furto. Non ha i documenti con sé. In questo caso chi non si adopererebbe per un'amica. La Conceicao non è forse, propriamente, un'amica di Kahrima (verranno violentemente alle mani qualche giorno dopo), ma comunque cerca di avvertire la persona più potente che conosce: e si dà il caso che abbia in rubrica una persona davvero molto potente. Papi Silvio Berluscone.

Anche Silvio Berlusconi non è, propriamente, un 'amico' di Kahrima El Mahroug: l'ha vista a qualche festa - il che non costituisce reato. Ovviamente sa che frequenta Michelle, evidentemente sa che mestiere fa Michelle; ma non sa (questo è cruciale) che Kahrima è minorenne. Quando riceve la telefonata, Berlusconi potrebbe fare compiere tanti passi per aiutare questa ragazza; il passo che decide di compiere è far chiamare la questura per informare il personale che Kahrima non dev'essere arrestata: ragioni di Stato. Si tratta infatti della nipote di Hosni Mubarak, allora presidente egiziano. Tutto questo costituisce reato?

No, se in quel momento Berlusconi è davvero convinto che Kahrima sia la nipote del presidente di un Paese amico. Infatti in tutti i gradi del processo ha dovuto sostenere questa versione: quella sera ne era convinto. Anche i parlamentari della maggioranza che lo sosteneva dovettero affermarlo, in una votazione che rimane a verbale. Per tutti loro Kahrima è stata, per qualche tempo, una probabile nipote del presidente egiziano Hosni Mubarak. Per questo motivo era meglio che uscisse dalla questura al più presto, accompagnata da Nicole Minetti. Quest'ultima, poi, pur sapendo ormai che Kahrima è minorenne, decide di affidarla alla Conceicao, forse non la più affidabile tra le tutrici.

In seguito Berlusconi fu accusato di avere avuto rapporti sessuali con Kahrima, detta Ruby; addirittura di aver commesso l'odioso reato di favoreggiamento della prostituzione nei suoi confronti. Per difendersi raccontò diverse cose, che ora forse non risultano: depilatori laser e altre sciocchezze. Raccontò - e la cosa è discutibile in sé - che non avrebbe mai potuto intrattenere relazioni con prostitute, in quanto fidanzato: e in capo a un paio d'anni in effetti una fidanzata spuntò. Tenere nascoste le fidanzate è forse un reato? Ma ci mancherebbe altro. E millantare di averne una quando non è vero? Per carità, toccherebbe aprire carceri contigue a ogni bar sport. Cerchiamo di essere persone serie.

Dunque può benissimo darsi, come ha stabilito il giudice in appello, che Berlusconi non abbia commesso nessun reato. Probabilmente non è un reato fare pressioni per liberare una persona, se tu pensi che quella persona sia la nipote di un importante alleato del tuo Paese. Non è un reato lasciare un numero privato a una prostituta; non sarebbe nemmeno un reato andarci a letto - a meno che non si tratti di minorenni - ma Berlusconi dice che non lo sapeva - e comunque non risulta che ci sia mai andato. Fine. E la famosa persecuzione giudiziaria? Pare che non esista; forse bastava trovarsi dei buoni avvocati, e dopo vent'anni di procedimenti a suo carico B. finalmente li ha trovati. Bene. Tutto qui?

No.

Berlusconi è innocente. Va bene. Non ha mai incoraggiato una minorenne a prostituirsi. Può darsi. E però rimane, per sempre, Papi Silvio Berluscone. Il presidente del consiglio che una prostituta milanese poteva chiamare quando voleva. Il punto di riferimento della corte dei miracoli delle olgettine e dei loro vari impresari. Non dev'essere processato per questo. Non costituisce reato. È semplicemente un dato imbarazzante, che ne avrebbe determinato la fine politica, in altri Paesi - no, aspetta, anche in questo Paese, se invece di chiamarsi Silvio Berlusconi si fosse chiamato, poniamo, Sircana o Marrazzo. Se a sua disposizione non avesse avuto, oltre a buoni e meno buoni avvocati, la potenza di fuoco di tre emittenti televisive e decine di quotidiani compiacenti. Sappiamo poi, ormai, che parte di quelle emittenti e quella compiacenza se l'è guadagnata illegalmente. Ma cerchiamo di essere persone serie davvero.

Fa molto caldo oggi, trovate? potrei anche pensare di uscire da casa in mutande. Non sarebbe necessariamente un reato. Ma non lo farò. Non aspetterò nemmeno che sia un giudice a stabilire, tra qualche anno, se è o non è un'offesa al pudore. Non credo che sia il giudice a dover stabilire cosa sia o non sia decente: in certi casi il buon senso dovrebbe essere sufficiente, oltre che necessario. Un presidente del consiglio che mantiene le Olgettine; uno che se Michelle Conceicao lo chiama perché ha un problema scatta subito sull'attenti e mobilita il capo di gabinetto di Palazzo Chigi; uno che adopera per certe missioni Nicole Minetti; uno che sostiene di aver potuto scambiare Ruby Rubacuori per una nipote di Hosni Mubarak (personaggio peraltro odioso); uno che, dopo aver saputo che Ruby è minorenne, lascia che sia affidata a Michelle Conceicao; uno così non è decente. È in mutande per strada, se non peggio. Un giudice può anche stabilire che non sia un reato, ma non è questo il problema. Quel signore in mutande non si sta comportando in modo degno del suo ruolo, né, soprattutto, ragionevole. Sembra un maneggione ormai alla mercé delle necessità quotidiane della costosa corte dei miracoli che sta finanziando. Non dovrebbe avere responsabilità di governo. Non dovrebbe essere ancora nelle condizioni di dettare riforme costituzionali.

Riforme, peraltro, che tradiscono ancora lo stile con cui si comportò quella sera: scritte con una certa sventatezza, una certa indecenza, una decisa sfacciataggine. Uno che ti racconta che la tal ragazza è la nipote del faraone, e pretende che tu la bevi, la prossima volta ti racconterà che per un governo democratico può bastare il 37% del parlamento, e se non la bevi si offenderà. Ci scusi tanto, Papi Silvio, ma continuiamo a non fidarci di lei.
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Non è Israele; sei tu.

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"Ma la Siria? E l'Iraq? Non muoiono dei bambini anche là, da mesi? Perché non te n'è mai fregato nulla? Che cos'hanno di speciale quelli palestinesi? Cosa c'è di speciale nei bombardamenti di Israele per farti indignare come non ti hanno mai indignato le armi chimiche di Assad o le stragi in Egitto?"

Caro sostenitore di Israele che me lo domandi, su un blog o su un social network, un giorno sì e un giorno pure; e quando non lo chiedi a me lo stai domandando a qualcun altro che spaccia morticini siriani per palestinesi... io so che a nulla valgono le mie obiezioni: potrei dirti che non è vero che non m'è mai fregato nulla; non è vero che Assad non mi ha sconvolto e indignato. Anche se è vero che di Siria e di Iraq, e delle centinaia di altre crisi in giro per il mondo ho discusso di meno, litigato di meno. Ho un'attenzione selettiva? Probabilmente: e credo che ce l'abbiamo tutti. Ci sono mille motivi storici e culturali per cui un cittadino italiano di media cultura può sentirsi più vicino a Israele e alla Palestina che non a tanti altri Paesi che passano guai anche peggiori, vicini e lontani. E poi c'è un altro motivo, banalissimo: su internet si discute, si approfondisce, ma soprattutto si litiga.

Da che navigo in rete non mi è mai capitato di litigare con sostenitori di Assad o dell'ISIS. Non frequentiamo le stesse compagnie, non leggiamo gli stessi giornali, non seguiamo gli stessi opinionisti, insomma non abbiamo nulla da dirci. Nessuno mi ha mai taggato in una discussione sulle armi chimiche di Assad. Nessuno si è mai sentito in dovere di obiettare che sì, Assad è un genocida, però anche i suoi nemici... Nessuno ha mai tentato di spiegarmi quanto fossero giuste le rivendicazioni degli integralisti. E invece con Israele succede, puntualmente.

Tanta gente in buona e meno buona fede si sente in dovere di avvertirmi quotidianamente che sì, Israele ha i suoi difetti, ma Hamas è molto peggio (come se non lo sapessi). Qualcuno si sente in dovere di spiegarmi che sì, Hamas non riesce ad ammazzare nessuno, ma se fosse in grado farebbe un massacro (vero; però non ce la fa). Qualcuno deve continuamente ripubblicare la nuova versione del solito foglietto in cui gli israeliani sparano per difendere donne e bambini e invece i palestinesi li mettono in mezzo, come se non l'avessi visto migliaia di volte in vent'anni. Il tutto deve essere necessariamente condito con qualche sberleffo ("pacifinto", "sinistroide") e soprattutto quell'accusa di antisemitismo che ormai è una moneta di latta, tanto è inflazionata. Nel frattempo gli antisemiti veri minacciano e uccidono ebrei anche in Europa, e in rete c'è chi ogni tanto mi accusa allegramente di collaborare con loro. Per capirci: l'istigazione all'odio razziale qui da noi è un reato. Se davvero siete convinti che io stia diffondendo contenuti antisemiti, forse dovreste prendervi la responsabilità di denunciarmi alle autorità competenti. L'altra possibilità è ammettere che state, francamente, esagerando.

Caro lettore o interlocutore filo-israeliano: se davvero vuoi sapere qual è il motivo per cui discuto più di Israele che di Siria, più di Palestina che di Iraq, ebbene... il motivo sei proprio tu. (continua sull'Unita.it, H1t#240)

Sei tu che mi accusi di non capire (quando va bene), e di essere in combutta con degli assassini (quando sei un po’ più nervoso). Sei tu che mi inviti ad approfondire il problema, a studiarlo meglio, a cercare di esporre con più chiarezza le mie ragioni, onde evitare l’accusa di intelligenza con Hamas o la Jihad o direttamente con Hitler che controllerebbe il complotto antisemita da una base lunare. Sei tu che non lasci passare un giorno senza spiegare i motivi per cui Israele fa quello che fa, e non ti accorgi che in questo modo dai davvero l’impressione di avere bisogno tu per primo di ripeterteli ogni giorno, quei motivi. Se fossero motivi convincenti forse non ci sarebbe bisogno di tutto questo sforzo che, fin qui, non ha molto giovato alla tua causa.
Ora tu risponderai che anche i filopalestinesi si comportano così. Sì, qualcuno lo fa. E infatti ce n’è che non sopporto: ogni volta intervistano Vattimo sull’argomento ho l’istinto di impugnare un Uzi. E allora mettiamoci d’accordo almeno su questo: non c’è un altro conflitto che rovesci in rete tante quantità di cattiva fede, di foto false, di argomenti fallaci, da una parte o dall’altra. Temo che sia proprio questo ad attirarmi: non la sorte dei palestinesi o degli israeliani, che dalla nostra attenzione selettiva non hanno tratto finora molti benefici (anzi, forse la ribalta mondiale li ha danneggiati). Mi interessa il fatto che tutti mentano, che tutti si sbaglino, e che molti lo facciano volentieri, e di proposito. Mi interessano le leggende, e c’è chi ne fabbrica in continuazione. E a furia di sentirmele raccontare, e di cercare di smontarle, ho sviluppato una specie di competenza.
Molte cose probabilmente non le ho mai capite e forse non le capirò mai, ma è da anni ormai che ne sento parlare, che leggo, che discuto. Tutto quello che so l’ho imparato proprio mentre litigavo, on line e fuori. Certo, ci sono tante ragioni storiche e culturali per cui Gaza e Gerusalemme possono sembrarci più vicine di altre città martoriate del mondo. Ma forse non avrei mai davvero cominciato a interessarmi a Gaza o Gerusalemme se tanti anni fa, durante un’assemblea studentesca, un ragazzo vestito più o meno come me (jeans, camicia), non avesse preso la parola per accusare Arafat. Era un periodo abbastanza tranquillo, nessuno stava discutendo di Palestina, non era senz’altro all’ordine del giorno di quella precisa assemblea; e il ragazzo lesse un suo comunicato in cui spiegava che Arafat voleva sterminare gli ebrei. Tutti. Voleva riaprire i forni. Ecco, non ho più la minima idea di chi fosse quel ragazzo: probabilmente andò a studiare in un’altra città e ci perdemmo di vista.
Però ricordo perfettamente me che lo guardavo e pensavo: noi due non stiamo vivendo sullo stesso pianeta. Non avevo particolare simpatia per Arafat – non l’ho mai avuta, tutto sommato, ma questa storia che volesse riaprire Buchenwald, ecco, non l’avevo mai sentita. Si doveva essere aperto un portale interdimensionale, da qualche parte, e io o lui senza volere eravamo finiti in un mondo parallelo: forse ero io che senza saperlo quel mattino mi ero risvegliato in un universo in cui Yasser Arafat era un nazista genocida. Appena potei andai a controllare – no, non risultava. La storia era più o meno quella che ricordavo io: il leader dell’OLP era senz’altro responsabile della morte di molti nemici ebrei, ma questa cosa di riaprire i forni, insomma, era del tutto inedita. Dunque era quel ragazzo, vestito più o meno come me, a venire da un’altra dimensione. Avrei dovuto avvertirlo in qualche modo, e invece lo persi di vista. Forse si era richiuso il portale. Per qualche altro anno non ci pensai più.
Qualche anno dopo arrivò internet. Fu uno choc. Il varco interdimensionale si riaprì e cominciai a leggere di palestinesi nazisti. Era qualcosa che sfidava le mie certezze, che mi incuriosiva. A distanza di anni è ancora così. Perché non m’interesso anche della Siria, di Boko Haram, dei pirati somali? Perché sono un maledetto superficiale, probabilmente. Ma vi garantisco che se un gruppo di sostenitori della pirateria somala mi segnalasse ogni giorno delle notizie sull’umanità degli abbordatori, sulle giustezza delle loro rivendicazioni, sulla moralità dei loro abbordaggi, ecco, io resisterei qualche settimana, e poi comincerei ad interessarmene morbosamente.
“Hai paragonato Israele ai pirati somali, sei antisemita”.

(PS: questo pezzo si può commentare solo su facebook, sulla pagina dell'Unità o in fondo a questa. Vediamo come va).
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Robottoni, Keynesismo e altri complotti

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Transformers 4: l'Era dell'Estinzione (Michael Bay, 2014).

Mentre un’antica e potente minaccia Transformer prende di mira la Terra, un gruppo di potenti e ingegnosi uomini d’affari e scienziati tenta di imparare dalle passate incursioni dei robot spingendosi oltre i limiti controllabili della tecnologia, e a me sono già cascati i bulloni. No, davvero, ci andate voi a vedere i Transformers, io passo. Non è niente di personale, anzi probabilmente sì. Come può altrimenti spiegarsi che i robottoni componibili e polifunzionali di Michael Bay non mi siano mai andati a genio, mentre quelli arrugginiti e analogici di Del Toro mi hanno fatto rabbrividire e piangere per mezz'ora? È davvero così geniale e visionario Del Toro, è davvero così ipercinetico e bimbominchioide Michael Bay (che peraltro, quando vuole, sa fare film molto divertenti)?

Non sarà più semplicemente che io sono della generazione di Gig e di Mazinga, e i Transformers sono usciti nel momento esatto in cui cominciavo le medie e prendevo commiato dai cartoni animati del pomeriggio? Io con gli autobot non solo non ci ho mai giocato, ma probabilmente mi sono impedito di giocare. Li ho sacrificati all'altare della pubertà incipiente, magari li rompevo ai bambini più piccoli per dimostrare che ero un togo, che ne so. So solo che la mia antipatia per quei cosi è profondamente radicata nel mio pre-conscio. A me i robottoni piacciono solo se puzzano di officina anni Ottanta e nell'abitacolo potresti trovare un poster di Blitz. Solo se si ammaccano continuamente e dentro c'è un umano che manovra e sente le botte. Invece il robottone con la personalità, i sentimenti, il senso del destino, lo trovo un abominio. Il robottone che deve preservare la sua identità culturale - pure lui - non ci bastavano gli esseri umani con 'ste menate, tra  un po' pure la macchinette del caffè pretenderanno un seggio all'Onu. E quindi a vedere Transformers 4 non ci vado.

Sto qui a casa a pensare a quanto sarà bello Pacific Rim 2. Chissà quante belle pezze variopinte stenderà sui buchi di sceneggiatura del primo. In particolare sarebbe bello se approfondisse un'idea lasciata molto in sospeso, che secondo me potrebbe fare la differenza. Come forse non sapete, all'inizio di Pacific Rim i robottoni sono già vecchi, una tecnologia superata (e questo è geniale, perché assomigliano davvero a quelli che spuntano ancora da certi nostri cassetti nei solai o nei garage). Hanno avuto un momento di gloria qualche anno prima, ma ormai non riescono più a fronteggiare i dinosauri, e quindi l'esercito mondiale ha deciso di dismetterli, e di costruire un grande muro - probabilmente si tratta di una distopia in cui gli economisti keynesiani sono riusciti a conquistare l'egemonia. Persino il protagonista, ex conducente di robottone, dopo aver perso il fratello gemello in un combattimento, ha trovato lavoro come manovale. Il muro però, se da un lato assorbe tanta forza lavoro e rilancia l'economia, ha una grossa pecca: non funziona. Lo si vede dopo pochi minuti: il primo dinosauro che ha voglia di farsi un giro a Sidney lo sbriciola come niente fosse. Eppure l'umanità continua a costruirlo. È scema? Sì.

Molti spettatori dotati di intelligenza, e determinati a manifestarla, se la sono presa per l'apparente ingenuità: come se l'umanità, quella vera e non cinematografica, dimostrasse sempre di saper prendere le misure alle catastrofi incombenti. Se di fronte al riscaldamento globale tutto quello che abbiamo saputo opporre è il protocollo di Kyoto, perché non dovremmo reagire a un'invasione di dinosauri ciclopici alzando un muretto di mattoni? Siamo fatti così. Ma a un certo punto del film viene lasciato penzolare un altro spunto, che spero Del Toro sviluppi: forse il muro è semplicemente un diversivo.

Forse la guerra è già persa, e l'élite che governa il mondo - e che ha approfittato dell'invasione per accentrare ricchezze e conoscenza - lo sa. Questa élite nel primo film non compare mai, ma in un qualche modo sappiamo che esiste, e che ha deciso di dismettere il progetto dei robottoni. Ma proviamo a immaginare di esserci noi al loro posto. Non abbiamo i mezzi per vincere la guerra, ma abbiamo gli strumenti per calcolare l'entità della sconfitta: sappiamo che l'umanità è spacciata, e che soltanto un'esigua minoranza può sopravvivere in rifugi costosissimi. Cosa facciamo? Cominciamo a costruire quei rifugi, e nel frattempo teniamo occupata l'umanità con qualcosa. Un bel muro di mattoni, che ne dite? E speriamo che se la bevano.

Ora togliamo i dinosauri e passiamo al mondo reale, che non se la passa poi così meglio. Se davvero c'è una sottile classe sociale di super-ricchi, destinati a diventarlo sempre di più, perché non si danno da fare? È il punto di partenza di tutti i complottisti, lo so; ma se le risposte che si danno sono ridicole, la domanda è legittima. Penso alla tizia appena assunta dal M5S a Bruxelles: la sua ipotesi è che il Nuovo Ordine Mondiale stia regolando il clima mediante le scie chimiche e stabilizzando la popolazione del globo mediante la vaccinazione di massa, l'introduzione di nanomateriali plastici negli alimenti, ecc. Cioè, in pratica senza scie chimiche e vaccini saremmo già in venti miliardi. Ora io non so voi, ma la mia reazione a una teoria del genere è: magari! Cioè ci voglio lavorare anch'io per il Nuovo Ordine Mondiale, ditemi dove ci si iscrive, porto anche il caffè. Sul serio, se abbiamo trovato un sistema per regolare la popolazione mondiale senza guerre e senza carestie siamo in sostanza i più grandi benefattori di tutti i tempi - anzi io comincerei ad aumentare le dosi, perché sette miliardi francamente non mi sembrano un gran risultato; cioè ti devi impegnare un po' di più, Nuovo Ordine Mondiale.

Fuor di ironia, se non si crede a nessuna grande teoria del complotto, rimane il problema. Cosa sta facendo l'élite che sta accumulando il più grande capitale di ricchezza e conoscenza mai esistito nella storia dell'umanità? (chiediamocelo su +eventi!)

Perché non si stanno dando da fare per salvare la Terra e impedire le catastrofi climatiche che la comunità scientifica ormai dà per scontate? Il problema dovrebbe interessare ai super-ricchi per primi: non per filantropia, ma perché siamo tutti sulla stessa barca, loro compresi. O no?

Ormai sappiamo che in futuro non così remoto l’acqua sarà un bene molto più prezioso; molte specie animali si estingueranno. Anche l’umanità probabilmente dovrà ad adattarsi a cambiamenti rapidi e quasi sempre peggiorativi. Diminuiremo, anche senza bisogno di vaccini o nanomateriali. È più probabile che si ricorra ai vecchi metodi già sperimentati: carestie, epidemie, guerre per l’accaparramento delle risorse. Non è la trama di un film di Emmerich: sono le previsioni di scienziati e studiosi. Cose che sappiamo, anche se preferiamo parlar d’altro. L’élite dovrebbe saperle meglio di noi. E di conseguenza preoccuparsi un po’ di più. Invece, boh, voi li avete visti? Ok, qualcuno fa un po’ di filantropia, ma non sembrano sforzi adeguati alla drammaticità della situazione. Forse hanno fatto i loro calcoli, e da qualche parte stanno costruendo rifugi climatizzati e iperaccessoriati, dove si nasconderanno quando su questa crosta cominceremo a scannarci per un sorso d’acqua. È un complottismo come un altro.

O forse i calcoli hanno dato risultati peggiori, e l’1% ha deciso che tanto vale spassarsela finché dura. Alla plebe si può ancora offrire qualche film fracassone e divertente.
  
Transformers 4 esce oggi mercoledì 16 luglio al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo alle 20:20 (3d), 20:30 (2d), 22:00 (2d); al Multilanghe di Dogliani alle 20:45 (3d) e alle 21:30 (2d); al Vittoria di Bra alle 21 (3d). Andateci e ditemi voi. Oppure tenete d’occhio i 400 calci, loro scriveranno recensioni precise ed esaustive.

(Ps: a questo post si può commentare solo su facebook, andando in fondo alla pagina. Vediamo come va).
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