5 pagine di letteratura che il tuo prof non vuole che tu legga

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O raga io il titolo l'ho fatto, e spero tiri su tanti clic, ma farci anche un pezzo era troppo sbatti. Ci metto le prime cose che mi vengono in mente, e se qualcuno ha altre cosacce da segnalarmi fatevi sotto (non vi pago).

1. Ve lo ficcherò nel **** e quindi in *****.
Al liceo Catullo rischia di passare per quello sdolcinato, per via di quella specie di rap sui centomila baci che faceva ridere anche i critici suoi contemporanei - ecco, forse sui banchi di scuola passa un po' inosservata la risposta che Catullo servì a due di questi critici, Aurelio e Furio (in realtà grandi amici del poeta), in un componimento che a mio parere surclassa quello dei bacetti - ma è un confronto impietoso, tipo chiudere Jovannotti in una gabbia di polli con 50cents. Qui la versione originale con una traduzione adeguata.

2. E la violaciocca / fa certi lavoretti con...
Aldo Palazzeschi è un genio assoluto di cui tutti conoscono almeno una poesia; purtroppo nel 90% dei casi (Berlusconi incluso) è Rio Bo. Ma al riparo dagli sguardi degli studenti elementari, Palazzeschi era capace di ben altro. Nei Fiori, mentre riflette sulla sua intermittente sessualità, distrugge l'idillio ottocentesco a base di giardini profumati, giocando assegnando a ogni specie floreale qualche deviazione sessuale. Un esilarante inno contro la natura (molto più leopardiano di qualsiasi epigono di Leopardi), e in un certo senso contro la vita.

I fiori (1913)

Non so perché quella sera,
fossero i troppi profumi del banchetto...
irrequietezza della primavera...
un’indefinita pesantezza
mi gravava sul petto,
un vuoto infinito mi sentivo nel cuore...
ero stanco, avvilito, di malumore.
Non so perché, io non avea mangiato,
e pure sentendomi sazio come un re
digiuno ero come un mendico,
chi sa perché?
Non avevo preso parte
alle allegre risate,
ai parlar consueti
degli amici gai o lieti,
tutto m’era sembrato sconcio,
tutto m’era parso osceno,
non per un senso vano di moralità,
che in me non c’è,
e nessuno s’era curato di me,
chi sa...
O la sconcezza era in me...
o c’era l’ultimo avanzo della purità.
M’era, chi sa perché,
sembrata quella sera
terribilmente pesa
la gamba
che la buona vicina di destra
teneva sulla mia
fino dalla minestra.
E in fondo...
non era che una vecchia usanza,
vecchia quanto il mondo.
La vicina di sinistra,
chi sa perché,
non mi aveva assestato che un colpetto
alla fine del pranzo, al caffè;
e ficcatomi in bocca mezzo confetto
s’era voltata in là,
quasi volendo dire:
"ah!, ci sei anche te".

Quando tutti si furono alzati,
e si furono sparpagliati
negli angoli, pei vani delle finestre,
sui divani
di qualche romito salottino,
io, non visto, scivolai nel giardino
per prendere un po’ d’aria.
E subito mi parve d’essere liberato,
la freschezza dell’aria
irruppe nel mio petto
risolutamente,
e il mio petto si sentì sollevato
dalla vaga e ignota pena
dopo i molti profumi della cena.
Bella sera luminosa!
Fresca, di primavera.
Pura e serena.
Milioni di stelle
sembravano sorridere amorose
dal firmamento
quasi un’immane cupola d’argento.
Come mi sentivo contento!
Ampie, robuste piante
dall’ombre generose,
sotto voi passeggiare,
sotto la vostra sana protezione
obliare,
ritrovare i nostri pensieri più cari,
sognare casti ideali,
sperare, sperare,
dimenticare tutti i mali del mondo,
degli uomini,
peccati e debolezze, miserie, viltà,
tutte le nefandezze;
tra voi fiori sorridere,
tra i vostri profumi soavi,
angelica carezza di frescura,
esseri puri della natura.
Oh! com’ è bello
sentirsi libero cittadino
solo,
nel cuore di un giardino.
- Zz... Zz…
- Che c’è?
- Zz... Zz...
- Chi è?
M’avvicinai donde veniva il segnale,
all’angolo del viale
una rosa voluminosa
si spampanava sulle spalle
in maniera scandalosa il décolleté.
- Non dico mica a te.
Fo cenno a quel gruppo di bocciuoli
che son sulla spalliera,
ma non vale la pena.
Magri affari stasera,
questi bravi figliuoli
non sono in vena.
- Ma tu chi sei? Che fai?
- Bella, sono una rosa,
non m’hai ancora veduta?
Sono una rosa e faccio la prostituta.
- Te?
- Io, sì, che male c’ è?
- Una rosa!
- Una rosa, perché?
All’angolo del viale
aspetto per guadagnarmi il pane,
fo qualcosa di male?
- Oh!
- Che diavolo ti piglia?
Credi che sien migliori,
i fiori,
in seno alla famiglia?
Voltati, dietro a te,
lo vedi quel cespuglio
di quattro personcine,
due grandi e due bambine?
Due rose e due bocciuoli?
Sono il padre, la madre, coi figlioli.
Se la intendono... e bene,
tra fratello e sorella,
il padre se la fa colla figliola,
la madre col figliolo...

Che cara famigliola!
È ancor miglior partito
farsi pagar l’amore
a ore,
che farsi maltrattare
da un porco di marito.
Quell’oca dell’ortensia,
senza nessun costrutto,
si fa sì finir tutto
da quel coglione
del girasole.
Vedi quei due garofani
al canto della strada?
Come sono eleganti!
Campano alle spalle delle loro amanti
che fanno la puttana
come me.
- Oh! Oh!
- Oh! ciel che casi strani,
due garofani ruffiani.
E lo vedi quel giglio,
lì, al ceppo di quel tiglio?
Che arietta ingenua e casta!
Ah! Ah! Lo vedi? È un pederasta.
- No! No! Non più! Basta.
- Mio caro, e ci posso far qualcosa
io,
se il giglio è pederasta,
se puttana è la rosa?
- Anche voi!
- Che maraviglia!
Lesbica è la vainiglia.
E il narciso, quello specchio di candore,
si masturba quando è in petto alle signore.
- Anche voi!
Candidi, azzurri, rosei,
vellutati, profumati fiori...
- E la violacciocca,
fa certi lavoretti con la bocca...
- Nell’ora sì fugace che v’è data...
- E la modestissima violetta,
beghina d’ogni fiore?
Fa lunghe processioni di devozione
al Signore,
poi... all’ombra dell’erbetta,
vedessi cosa mostra al ciclamino...
povero lilli,
è la più gran vergogna
corrompere un bambino
- misero pasto delle passioni.
Levai la testa al cielo
per trovare un respiro,
mi sembrò dalle stelle pungermi
malefici bisbigli,
e il firmamento mi cadesse addosso
come coltre di spilli.
Prono mi gettai sulla terra
bussando con tutto il corpo affranto:
- Basta! Basta!
Ho paura.
Dio,
abbi pietà dell’ultimo tuo figlio.
Aprimi un nascondiglio
fuori della natura!

(clicca qui per leggere altre pagine esilaranti e un po' porno che i tuoi prof non vorrebbero mai che leggessi).
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Ritornava una rondine al tetto. Cosa le è successo? CLICCA QUI!!!

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Giovanni Pascoli (in basso a destra)
col papà e i due fratelli.
10 agosto 1867 - Ruggero Pascoli, amministratore di una tenuta dei principi di Torlonia, viene assassinato mentre ritorna da Cesena in calesse a San Mauro. Suo figlio Giovanni non se ne darà mai pace. A tutt'oggi il caso è insoluto. 

Ritornava una rondine al tetto:
l'uccisero: cadde tra spini:
ella aveva nel becco un insetto:
la cena de' suoi rondinini.


Quando si legge Pascoli, quando lo si legge davvero - no, aspetta, mettiamo i punti interrogativi: quando si legge Pascoli? Quando lo si legge davvero? Senza incombenze connesse, senza doverlo imparare a memoria per un'interrogazione o per una tesi; quand'è che uno si mette lì a leggere, poniamo, i Poemetti o i Canti di Castelvecchio invece di qualsiasi altro libro? Vi siete mai portati Pascoli in treno? In spiaggia? Pascoli non si legge mai davvero. È uno di quei poeti famosi che tutti conoscono e a cui nessuno vuole più veramente bene. Come le statue in mezzo alle piazze, non danno nemmeno fastidio, stanno lì come un punto di riferimento, un segnale stradale. ("Scusi, sto cercando il Novecento". "Prosegua dritto finché trova la statua di Giovanni Pascoli").

Anche un uomo tornava al suo nido:
l'uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono…

Ma quando leggi Pascoli, quando per qualche motivo lo leggi davvero, ti viene il dubbio che se ne rendesse conto lui per primo; che questa fosse l'immortalità che si aspettava. I critici lo deridevano per i suoi bamboleggiamenti, ma lui se ne fregava. Aveva colto molto prima degli altri le implicazioni culturali della legge Casati: milioni di piccoli italiani sarebbero entrati per la prima volta in una scuola elementare, e cosa vi avrebbero trovato? Le pose auliche di Foscolo? Peraltro, non proprio un esempio da imitare per la gioventù. Gli inni sacri che lo stesso Manzoni si annoiava a comporre? Eh no, serviva qualcosa di più laico. La disperazione leopardiana? Nah, al massimo si poteva ritagliare qualche idillio qua e là, ma è comunque roba poco cantabile. Neanche Carducci: troppa politica, troppa - No, agli studenti elementari d'Italia servivano filastrocche. Ma scritte con mirabile perizia prosodica. Con tanta natura e poca politica - parliamo del tempo piuttosto, i temporali, le nubi, i tramonti, questo tipo di cose. Ai fanciulli serviva un fanciullino, e lascia che gli adulti ridano. Tanto gli adulti ormai di poesia non ne compreranno più. Ma i libri di lettura, quelli andranno sempre. E una strofetta di Pascoli su una nube, o su un tramonto, o su un assiolo, non mancherà mai. Al limite andranno bene anche le strofette sul babbo morto.

Ora là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.

Ecco, quando leggi Pascoli per davvero, questa cosa che hai sempre saputo ti si ripropone con violenza: ma sul serio ha potuto rivendersi così il babbo morto, sul serio ha potuto scrivere il X agosto? Cioè, certo che lo ha fatto, lo sai benissimo, però accidenti, riflettici: sparano a suo padre. Una cosa orribile - se lo vedono arrivare in casa con una pallottola in corpo - uno choc che cambierà l'esistenza sua e di tutta la famiglia. Un caso intricato, un'inchiesta infinita, con Pascoli arcisicuro di sapere chi è stato ma incapace di trovare la pistola fumante, eccetera. E su questa cosa, il poeta laureato Giovanni Pascoli, professore cattedratico, personaggio pubblico, scrive una filastrocca (dalla prosodia complicatissima e rivoluzionaria, con l'alternanza oltraggiosa di versi pari e dispari) con la rondine in croce che piigola piiigola sempre più piano, e l'insetto nel becco, e le bambole additate al cielo, e il cielo che piange! Nel 1896. Stavamo cominciando ad avvistare i satelliti di Nettuno, e Pascoli si prende una pagina del libro di lettura per raccontare ai bambini che il 10 agosto il cielo piange perché hanno ucciso suo papà. Una regressione allo stato infantile dell'umanità.

Uno alle elementari non ci riflette, è un bambino. Anche Pascoli finge di essere un bambino, lo sappiamo tutti, abbiamo tutti sostenuto almeno un'interrogazione sul Fanciullino ecc. ecc. E allo stesso tempo se ci rifletti - se rifletti all'idea di tornare alla tua scuola elementare e immaginarti al tuo fianco un professore cattedratico col grembiulino, che finge d'essere un bambino come te - ti rendi conto che Pascoli è il più osceno di tutti.
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I 7 tweet più imbarazzanti di Riotta su Snowden

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Gianni Riotta è un giornalista della Stampa, già noto al grande pubblico per aver trasformato il tg1 nell'ora del debuttante, che da qualche tempo si batte contro due avversari temibili: la punteggiatura ed Edward Snowden. Se la prima ha ormai capitolato (almeno nei suoi pezzi), il secondo oggi ha ricevuto questo serissimo attacco su twitter:
È una scemenza almeno su due livelli. (1) Riotta ignora o finge di ignorare che Snowden si è effettivamente espresso in modo critico contro le nuove leggi ; ma in ogni caso (2) Snowden non è un opinionista tuttologo che siccome ora vive in Russia deve avere un'opinione su quel che succede in Russia. Snowden è un informatore che si è esposto in prima persona a un rischio altissimo per mettere a disposizione della collettività mondiale un corpus di informazioni che riteneva preziose, e che in effetti hanno modificato sensibilmente il modo in cui tutti noi vediamo il web, l'amministrazione USA, Google, eccetera. Per questo motivo è perseguito dagli Stati Uniti e dai suoi alleati come un criminale, mentre l'opinione pubblica (anche negli USA) lo considera un uomo che si è rovinato l'esistenza per farci conoscere una verità scomoda. Qualcosa di più simile a un eroe che a un traditore. Contro questa opinione, Riotta combatte come può, con le armi insoddisfacenti che la cultura giornalistica italiana gli ha lasciato in dote: ignoranza e supponenza. Non disponendo della minima prova per dimostrare che Snowden sia un traditore, non gli resta che l'opzione di sabotare la sua popolarità con allusioni e frecciatine.


Il guaio è che Riotta pretende di mantenere questa posizione non su un quotidiano di provincia, ma sul World Wide Web - di cui peraltro si ritiene espertissimo. E quindi capita che un suo pezzo cialtrone su Edward Snowden e sul giornalista del Guardian con cui collaborò, Glenn Greenwald, venga fatto leggere direttamente a Greenwald. Nel pezzo Riotta sosteneva che Greenwald si fosse comportato al contrario di come si deve comportare il buon giornalista tradizionale. Al che Greenwald ribatte: l'opposto del giornalismo sarai tu.



La reazione di Riotta, luminare di new media old values a Princeton, è quella triste di un opinionista italiano maschio di mezza età: bugiardo io? wow, dimmi cos'avrei detto di falso (si vede che "100%" non è abbastanza chiaro), argomenta. La collega che ha fatto leggere il suo pezzullo a Greenwald viene definita "groupie": così si trattano le femmine che non sanno stare al loro posto (questi devono essere gli old values).

Tutto questo succedeva a ottobre. In aprile il Guardian e il Washington Post vincono il Pulitzer per il loro lavoro giornalistico sul Datagate. Greenwald ne approfitta per ricordare che tutto non sarebbe stato possibile senza le rivelazioni di Snowden. Riotta è un po' distratto: in Italia è tempo di nomine e lui sta usando twitter per salutare i nuovi potenti.




Quando finalmente si rende conto della situazione, reagisce ricordando al mondo intero che i giudici del più prestigioso premio giornalistico americano non sono infallibili. Fonte: wikipedia.

Sempre lo stesso equivoco in malefede: Duranty era un giornalista britannico da cui ci si aspettava un punto di vista oggettivo su quello che stava succedendo nell'allora Unione Sovietica. Snowden è un rifugiato politico in Russia, non una fonte di prima mano sulla Russia. I giornalisti sono i cani da guardia della democrazia, si diceva una volta. In mancanza di democrazia, c'è il grosso rischio di abbaiare a vuoto. Non è il caso di Riotta: lui sa sempre contro chi abbaiare e perché.

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L'intercettatore che finì intercettato

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The Mary Rose Stretch
9 agosto - Richard Milhous Nixon si dimette dall'incarico di Presidente degli Stati Uniti d'America, in seguito agli sviluppi dello scandalo Watergate. È la prima volta che succede in duecento anni; l'unica, fin qui.

C'è un contrappasso incredibilmente ironico, nella vicenda di Nixon, che altri meglio di me avranno già fatto notare: il presidente che voleva intercettare i suoi avversari finì intercettato. Il Watergate comincia con una maldestra squadra di spioni repubblicani che cercano di incidere su nastro le conversazioni dei democratici, e finisce con Nixon costretto a divulgare i nastri delle proprie conversazioni alla Casa Bianca. A rileggerlo, uno non ci crede. I passi falsi che condussero l'uomo più potente del mondo verso l'uscita di scena sono di una goffaggine oggi implausibile.

I guai veri per Nixon cominciano nel luglio dell'anno precedente, quando un membro del suo staff ammette di fronte alla commissione d'inchiesta del Senato che sì, tutto quello che si dice nello Studio Ovale è registrato. C'è una specie di streaming, una monumentale opera di archiviazione su nastro che va avanti dal 1972! Il procuratore Archibald Cox chiede a Nixon di consegnare i nastri; Nixon non vuole saperne. Propone di consegnare un riassunto delle conversazioni a cura di un senatore (John C. Stennis) che è notoriamente duro d'orecchi. Cox si impunta: vuole i nastri. Nixon decide di silurarlo. Ma non è così facile. Il superiore di Cox è il procuratore generale Elliot Richardson. Quando Nixon domanda a Richardson di sollevare Cox dall'incarico, Richardson si dimette. Nixon si rivolge immediatamente al suo vice, William Ruckelshaus, e gli rinnova la richiesta di far fuori Cox. Si dimette anche Ruckelshaus. È il famoso "massacro del sabato sera", dato che tutto avviene nella sera del 20/10/1973. Termina con Nixon che si fa portare in limousine alla Casa Bianca Robert Bork (dall'avvocatura di Stato), lo nomina procuratore generale e gli mette in mano la penna per firmare la rimozione di Cox. Il Congresso monta su tutte le furie, i cittadini cominciano a mandare telegrammi di protesta, i sondaggi danno gli elettori favorevoli all'impeachment al 44% (i contrari al 43%) e alla fine il successore di Cox non potrà non richiedere gli stessi nastri. Molto prima di poterli ascoltare, parlamentari e cittadini sono ormai sicuri che contengano cose incriminanti. Ma in realtà il primo nastro a far davvero parlare di sé contiene soprattutto silenzio.

Diciotto interminabili minuti di silenzio, là dove doveva esserci stata una conversazione. Chi ha cancellato quel nastro, che non era mai uscito dalla Casa Bianca? Il capro espiatorio porta il gentile nome di Rose Mary Woods, segretaria personale del presidente, che ammette di aver danneggiato il nastro premendo il pedale sbagliato durante una chiamata telefonica. Rec invece che Stop. Sono incidenti che succedono. Però Rose Mary dovrebbe aver premuto il pedale per almeno diciotto minuti. Lei si ritiene responsabile soltanto dei primi cinque. Ma era così facile sbagliarsi? Quando le chiedono di ripetere l'errore nel suo ufficio, Rose Mary diventa la protagonista di uno scatto famoso, battezzato "The Rose Mary Stretch". È il momento in cui Nixon comincia a diventare ridicolo. Nel frattempo i tecnici a cui viene sottoposto il nastro scoprono che non è stato cancellato una volta, bensì nove. Il peggio comunque deve ancora arrivare.

Arriva a fine luglio '74, quando viene divulgato il nastro noto come la "pistola fumante". È una conversazione di due anni prima in cui Nixon propone di contattare la dirigenza della CIA per forzare l'FBI a cessare le indagini sul Watergate, per motivi di sicurezza nazionale. Il contenuto è sufficiente per accusare Nixon di aver ostacolato un'inchiesta federale. Ormai le dimissioni sono una scelta obbligata. Dopo aver ottenuto la grazia dal suo successore, Nixon continuerà a lottare per riottenere il possesso dei nastri, appellandosi al primo emendamento e lamentando l'intrusione della sua privacy. Dopo varie sconfitte, 25 anni dopo una corte gli darà ragione. I nastri e le trascrizioni oggi sono custoditi presso il Richard Nixon Presidential Library and Museum.

Oggi si registra ancora ogni conversazione nello Studio Ovale? Non saprei. In compenso so che cinque anni di mie conversazioni private sono state messe da Google a disposizione di un'agenzia di intelligence degli Stati Uniti. Google stessa mi ha di recente fatto sapere che ha intenzione di controllare sistematicamente quel che scrivo, dato che potrei pur sempre essere un orribile criminale. Il terminale su cui sto scrivendo ha una webcam che si può attivare a distanza, identificarmi e segnalare la mia presenza. Da questa distanza, l'imperatore Nixon scompare come un ladro di polli.
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I 12 dischi più brutti dei Beatles

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Sir Perceval Reginald Deafon, Esq., è il critico musicale che durante il suo quarantennale servizio presso il blasonato Montly British Music Magazine conseguì un singolare record: riuscì a stroncare tutti i dischi dei Beatles. Pubblichiamo per la prima volta tradotte in italiano le sue brevi recensioni, che ci offrono un altro punto di vista su una delle più importanti avventure musicali del secolo scorso.

1963 - Please Please Me (Parlophone)
Nella mia onorata carriera di recensore credevo di aver ormai frequentato ogni tipo di abominio musicale. A smentirmi sono accorsi questi quattro teddy boys di Liverpool, curiosamente ancora ignoti - per quel che ne sappiamo - al casellario giudiziale, ma purtroppo non alle classifiche. Si fanno chiamare "Beatles" (sic - l'ortografia non è il loro forte) e, in attesa di trovare un cantante, si arrangiano alternandosi al microfono con risultati che oscillano tra il patetico e l'agghiacciante. Il loro recente 45 giri non è soltanto balzato di recente al primo posto, ma ha anche trovato il punto di raro equilibrio tra stucchevolezza e sguaiataggine.  Il 33 giri omonimo comincia con un ammicco alla pederastia ("She was just 17, you know what I mean", santi numi) e si conclude con le urla beluine di un chitarrista in delirio alcolico od ormonale, non si capisce bene. In mezzo ci sono trenta interminabili minuti, scanditi tra rock'n'roll prevedibili e strani accrocchi di canzoni che qualcuno avrà pur scritto, ma nessuno si è preso la responsabilità di firmare - così che l'onere è stato assunto in persona da due componenti del gruppo - Oh, please, please, Mr Martin, questi hanno problemi con l'ortografia elementare, come possiamo figurarceli davanti a uno spartito?

1963 - With the Beatles (Parlophone)
Che dire. Almeno il primo album aveva il vantaggio della novità. Ora che ormai li conosciamo bene - fin troppo bene - l'idea di trascorrere altro tempo ad ascoltarli risulta ancor meno sopportabile. Se almeno si limitassero a riciclare i soliti rock'n'roll di Chuck Berry o John Lee Hooker - ma no, loro devono spaziare. Dal bubblegum delle Marvelettes al rythm and blues di Smokey Robinson, gli Scarafaggi di Liverpool non disdegnano nessuna pietanza, purché sia già stata abbondantemente rimasticata da artisti dotati di maggior carattere e responsabilità. Tutto quello che Mr Lennon e Mr McCartney sanno aggiungere è qualche "whoa yeah", per la gioia delle fan che, temiamo, stanno già stancandosi.

1964 - A Hard Day's Night (Parlophone)
Se il barile non era mai sembrato particolarmente ricco, non c'è dubbio che i Beatles ormai lo stiano raschiando. Al vertice della popolarità, con un film nelle sale e una ricca agenda di concerti e apparizioni televisive, ai "fantastici quattro" manca soltanto una cosa: nuove canzoni. Finito il vecchio repertorio delle taverne di Liverpool, Mr Lennon e Mr McCartney si ingegnano, per quanto è loro concesso, nel limitato ambito delle loro conoscenze lessicali e armoniche. Quando proprio non sanno che fare, cambiano testo a una vecchia canzone e la reincidono da capo (è il caso, in questo disco, di Any Time at All): colpa loro o di un pubblico di scarsa memoria e cultura musicale? Anche la sconfortante banalità dei testi non lascia immaginare nessuna possibile evoluzione. È triste constatare come le promesse del primo disco - sguaiato, sì, ma vitale - si siano infrante contro le dure necessità della promozione commerciale: e ci rimane il rimpianto di immaginare cosa sarebbero potuti diventare i quattro Beatles se il successo non li avesse incontrati troppo presto, cristallizzandoli prima della loro maturità e costringendoli a recitare - ora anche sul grande schermo - la parte degli allegri cafoncelli di Liverpool. (Continua...)
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L'ultima passeggiata dei Beatles

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Non è questa - questa fu scartata (ma la preferisco).
 8 agosto 1969 - Quattro Beatles attraversano una strada, un fotografo li immortala in una delle copertine più famose di tutti i tempi.

Abbey Road non è probabilmente il miglior disco dei Beatles. Non è il più conosciuto: soltanto i due capolavori di Harrison e Come Together sono noti al pubblico dei non appassionati. Non è l'ultimo - anche se fu l'ultimo a essere registrato, ma Let It Be suona molto più postumo. Non è il più allegro e non è il più triste. Abbey Road è semplicemente l'album più venduto dei Beatles: record imprevedibile che deve in parte alla sua copertina, e alla buffa leggenda che ne nacque immediatamente (la morte di Paul), procurando al disco una dose supplementare di pubblicità. Le voci di un probabile scioglimento fecero il resto (ma Let It Be, l'anno seguente, non vendette altrettanto bene). L'ironia è che si tratta di una delle copertine meno studiate di tutta la storia dei Beatles.

Nulla di paragonabile alla posa 'esistenziale' di Freeman per With the Beatles; alla composizione di Voormann per Revolver; allo spericolato patchwork di Sgt Pepper's che mobilitò i legali della EMI; al minimalismo estremo del Disco Bianco. La copertina di Abbey Road è un'idea dell'art director della Apple, che ebbe il semaforo verde probabilmente perché richiedeva il minimo coinvolgimento possibile da parte dei quattro musicisti: pochi minuti di posa, sette scatti, fine. È difficile rendersene conto, dopo averla vista riprodotta e parodiata in centinaia di situazioni - dai Red Hot Chili Pepper nudi al quartetto vocale dei Simpson - ma quella di Abbey Road è una copertina tirata via. È persino goffa, come è sempre goffo chi cammina di profilo in un fermo immagine. La scelta di usare lo scatto più simmetrico contribuisce a dare una sensazione di impostura. La gente non cammina così. Neanche i Beatles camminano così. C'è qualcosa che non va. Qualcosa che non volete dirci. Forse dando un'occhiata ai dettagli - le targhe, il colore delle auto...

Nello scatto finale (che non è neanche questo),
I Beatles non vanno verso gli studi di Abbey Road,
ma provengono da lì (e se ne stanno andando).
L'ipotesi è che dietro ogni leggenda urbana vi sia una percezione di inquietudine. A volte è una nozione che non si vuole accettare, un concetto che si vuole correggere con l'immaginazione. Le scie chimiche sono probabilmente il modo in cui una piccola parte dell'umanità sta reagendo alla nozione di riscaldamento globale. Se il clima cambia, sarà colpa di un complotto malvagio; e la soluzione sarà semplice e immediata come spruzzare un po' d'aceto. La leggenda della morte di Paul nasce nel tentativo di superare irrazionalmente una consapevolezza ormai diffusa: i Beatles non esistevano più. Era chiaro per chiunque avesse ascoltato il disco bianco - cioè per tutti - che i quattro musicisti milionari stavano prendendo vie diverse e inconciliabili. Era una nozione che doveva ormai aver raggiunto la pre-razionalità di milioni di ascoltatori. Un'idea fastidiosa da scacciare in un qualche modo - ed ecco nascere la leggenda: non sono i Beatles a morire, è solo Paul. Un freudiano potrebbe divertirsi a invertire: se Paul morisse, forse i Beatles potrebbero ancora vivere...

I Beatles si sono sciolti per tanti motivi: uno di questi è il tentativo di Paul McCartney di dare al gruppo una direzione, sia a livello artistico che di management. Tentativo che aveva senso, in un momento in cui Lennon era diviso tra Yoko Ono e l'eroina. Ma che non poteva non infrangersi contro la diffidenza degli altri tre. Lennon e Harrison stavano tutto sommato seguendo l'evoluzione del rock britannico di quegli anni: c'era stata la fase psichedelica, l'infatuazione per l'oriente, il ritorno al blues. McCartney, per contro, da Sgt. Pepper in poi aveva autonomamente stabilito che il destino dei Beatles sarebbe stato l'eclettismo. Nessun tipo di musica doveva restare fuori dai loro dischi: da cui classici per banda d'ottoni (When I'm 64), vaudeville anni Venti (Honey Pie), e altre musichette irritanti (Obladì, Obladà) che nessun gruppo di ventenni avrebbe mai avuto il coraggio di registrare. Su Abbey Road è la volta di Maxwell's Silver Hammer, un altro brano estremamente cantabile su cui McCartney - nel tentativo forse di suonare meno stucchevole - monta un testo bislacco e violento. L'altra sua canzone 'intera', sul primo lato, è un pastiche di Fats Domino (Oh! Darling). Il vero contributo di McCartney al disco è la struttura del secondo lato, il mini musical che comincia al termine di Here Comes the Sun, qualcosa di simile alla scarica finale dei fuochi artificiali. Alla fine di otto anni di collaborazione, in capo a dieci dischi pieni zeppi di successi, i Beatles salutano il pubblico con venti minuti di canzoni ininterrotte, nessuna particolarmente riuscita: ma l'effetto complessivo strappa comunque l'applauso. A seconda di come la pensi sui Beatles può essere la cosa migliore o peggiore che abbiano fatto. Per Lennon era "spazzatura": eppure suoi sono alcuni dei momenti più divertenti. Ma l'idea era chiaramente di Paul.

Un bus a due piani in effetti ci sarebbe stato bene
(immaginate la faccia del conducente).
Anche stavolta, il concetto del musical aveva un senso: altri modi per riempire quel lato probabilmente non c'erano. Il gruppo aveva iniziato le sessioni di registrazione sapendo già che era l'ultima avventura - il che aveva paradossalmente calmato gli animi. Ma è la calma dei divorziandi, quando ormai sai che certe discussioni non devi semplicemente farle. Schiacciare undici canzoni in una facciata era probabilmente l'espediente migliore per evitare di mettersi a discutere su cosa tenere e cosa buttare: stringiamo un po' e ci sta tutto. L'idea di lasciare la maggior parte delle canzoni in uno stato larvale era già operativa dai tempi del disco bianco: qui, semplicemente, tutto è compresso perché c'è meno spazio, c'è meno tempo, c'è una sensazione di fine imminente a cui McCartney cerca persino di dare un'espressione musicale, e la sua idea è di chiudere con una gara di assoli. Poi, alla fine di un primo missaggio spunta, dopo qualche secondo di silenzio, quel che resta di un aborto di canzone - trenta secondi in cui Paul esprime il proposito di farsi Sua Maestà - e Paul decide di includere anche quei trenta secondi. I Beatles finiscono così, con uno scherzo. Lennon avrebbe voluto finire con un taglio netto alla fine dell'incedere funebre di I Want You. Phil Spector opterà, l'anno seguente, per la più ottimistica Get Back. Ma Her Majesty è forse il finale più sensato: qualcosa di buttato lì in fretta, che comunque piacerà a milioni di persone - tra cui il sottoscritto - da parte di un gruppo che ormai incideva nell'inconscio collettivo anche soltanto attraversando una strada. Come fecero in un giorno d'agosto di esattamente 45 anni fa.

Quella notte, Charles Manson e i suoi accoliti si introducono nella villa di Roman Polanski e accoltellano Sharon Tate, al nono mese di gravidanza, e quattro amici che le tenevano compagnia. Manson dirà di aver ricevuto istruzioni dai Beatles, attraverso Helter Skelter.
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L'uomo sul filo più alto del mondo

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7 agosto 1974 - Philippe Petit lancia un filo da una Twin Tower all'altra e ci cammina sopra.


Le twin towers non sono probabilmente mai esistite; ma se lo fossero, quarant'anni fa Philippe Petit si sarebbe introdotto in una delle due, e avrebbe mosso un passo dal cornicione al vuoto; e dopo quel passo un altro, verso il niente, cinquanta chili sospesi a quattrocento metri d'altezza, a disposizione dei venti.



Vedi anche:

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Quella volta che la Nasa trovò i marziani

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6 agosto 1996 - La NASA annuncia di aver trovato tracce di vita marziana in Antartide

Diciotto anni fa ero da qualche parte in montagna quando lessi che non eravamo soli. Avevamo trovato gli alieni. Senza neanche troppo cercarli: li avevamo trovati in Antartide. Ed erano, pensate, marziani. Non per modo di dire. Erano davvero creature vissute sul pianeta Marte. Minuscole, invisibili - nanobatteri. Non erano giunti sulla Terra per loro volontà. Probabilmente non erano nemmeno arrivati vivi. Un impatto con un asteroide avrebbe staccato la roccia marziana su cui avevano lasciato minuscole tracce di vita e l'avrebbe trasformata in un meteorite, precipitato in seguito nel continente più misterioso della Terra. Era una storia incredibile, ma anche un po' deprimente. Come scrisse Michel Houellebecq in un celebre libro che sarebbe uscito due anni dopo (non mi era mai capitato di sentirmi contemporaneo di un personaggio letterario):

Nel corso del telegiornale delle 20, Bruno Masure annunciò che una sonda americana aveva rinvenuto tracce di vita fossile su Marte. Si trattava di forme batteriche, verosimilmente archeo-methanobacterium. Dunque, su un pianeta prossimo alla Terra, alcune macromolecole erano riuscite a organizzarsi, a elaborare vaghe strutture autoriproducibili, composte da un nucleo primitivo e da una membrana sconosciuta; poi tutto si era bloccato, sicuramente per effetto di una variazione climatica: la riproduzione era diventata sempre più difficile, poi si era interrotta del tutto. La storia della vita su Marte si rivelava assai modesta. Frattanto (e Bruno Masure non sembrava averne piena coscienza), quel miniracconto di un fallimento un po' ridicolo contraddiceva violentemente tutte le costruzioni mitiche o religiose che tradizionalmente fanno la gioia dell'umanità. Non c'era nessuna azione unica, grandiosa e creatrice; non c'era nessun popolo eletto, né c'erano specie o pianeti eletti. C'erano soltanto, un po' dappertutto nell'universo, tentativi incerti e in genere poco convincenti. Tutto ciò era, fra l'altro, di una monotona spossante. Il DNA dei batteri marziani sembrava perfettamente identico al DNA dei batteri terrestri. Quest'ultima considerazione in particolare lo riempì di una lieve tristezza, già di per sé segno di depressione. Un ricercatore in condizioni normali, un ricercatore in buone condizioni di funzionamento, avrebbe dovuto invece compiacersi per quella identità, vedervi la promessa di sintesi unificanti. Se il DNA era dappertutto identico, dovevano per forza esserci ragioni profonde legate alla struttura molecolare dei peptidi, o magari alle condizioni topologiche dell'autoriproduzione. Tali ragioni profonde doveva esser possibile scoprirle; da giovane, pensò Michel, una siffatta prospettiva l'avrebbe riempito di entusiasmo.

In seguito la storia dei nanobatteri - divulgata dalla Nasa, annunciata in pompa magna dal presidente Clinton - fu completamente smontata, come quella dei neutrini che dal Gran Sasso a Ginevra trovavano una scorciatoia più veloce della luce. Un gruppo di scienziati in laboratorio riuscì a creare le stesse tracce senza ausilio di nanobatteri. Siamo ancora soli, per adesso.
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Le 10 madonne più incredibili della cristianità e oltre

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Se la Madonna della neve ha un po' ceduto il passo, non è colpa sua. La cristianità trabocca di madonne incredibili, si può dire che ogni nazione e ogni generazione ha le sue. Ecco la top 10 delle madonne da qui in poi potrai invocare nei casi più strani della vita:

10. Madonna (falsa) di Marpingen
Si dà per scontato che la Madonna appaia sempre al momento giusto e nel posto giusto, ma non è affatto così. La Madonna che apparve a Marpingen, Saarland, nel 1878, non poteva forse scegliere un luogo e un periodo peggiore. E dire che a poche centinaia di chilometri, la Francia della Terza Repubblica era travolta dalla Lourdemania - ma nel Secondo Reich tedesco si era in piena Kulturkampf, l'offensiva culturale bismarckiana contro il cattolicesimo. Così, a differenza di Bernadette Soubiros, la giovane Margarethe Kunz non riuscirà a convincere nessun sacerdote delle sue visioni; verrà più volte interrogata dalle autorità e ammetterà, qualche anno dopo, di essersi tutto inventato. Oggi Lourdes è il secondo sito turistico di Francia; Marpingen quasi nessuno sa dove sia. Molti hanno anche difficoltà col Saarland (è vicino al Belgio).



9. Madonna della medaglia miracolosa
Tra le altre cose, la Madonna ha inventato il merchandising. Il primo gadget omaggio della storia - e probabilmente il più diffuso al mondo - lo ha disegnato lei, e illustrato a suor Catherine Labouré, giusto in tempo per confortare i parigini durante la spaventosa epidemia di colera del 1832. Da lì la medaglia miracolosa ha fatto il giro del mondo, contribuendo a spargere il messaggio mariano - era al collo di Bernadette quando vide la misteriosa Signora che pure non riconobbe. Sulla medaglietta ci sono anche le dodici stelle che coronano la misteriosa Donna gravida dell'Apocalisse, e che per una curiosa serie di circostanze sono finite sulla bandiera dell'Unione Europea.

8. Erzulie Dantor
Che ci fa uno spirito Vudù haitiano in una raccolta di madonne? Niente, salvo che Erzulie Dantor, fiera protettrice di bambini e madri single (ma anche delle lesbiche), è identica alla Madonna nera di Czestochowa. Il vudù nasce sulle rotte del commercio di schiavi; i culti pre-esistenti vengono riciclati, e in mancanza di pittori si riutilizzano le immagini religiose già a disposizione o in commercio. E tuttavia il modo in cui l'icona bizantina più famosa della Polonia sia diventata il volto di uno spirito vudù rimane un mistero. Forse la portarono i soldati polacchi coinvolti nella rivoluzione del 1802; ma in effetti chiunque avrebbe potuto mettere in circolazione un santino. Le cicatrici che le deturpano la guancia destra sarebbero state causate da una rissa di gelosia con un altro spirito. Erzulie come sacrifici ama molto i maialini neri, la crema di cacao, le sigarette senza filtro e il rum.

Per conoscere le altre sette incredibili madonne che ti lasceranno di stucco clicca qui!!!
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Neve ad agosto

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santamariamaggiore
5 agosto - Madonna delle nevi

La notte tra il 4 e il 5 agosto del 352, il ricco patrizio Giovanni riceve una visita in sogno della vergine Maria, che si congratula con lui per il proposito recentemente espresso di finanziare una chiesa in suo onore, e gli suggerisce di erigerla nel luogo che il mattino dopo sarà ritrovato ricoperto di neve. La mattina dopo la moglie gli riferisce di aver fatto un sogno molto simile. Vanno immediatamente a raccontarlo a Papa Liberio (siamo tra l'Editto di Milano e quello di Tessalonica, la Chiesa non è più clandestina ma non è ancora Chiesa di Stato, e anche i papi sono ancora tizi alla buona che ti ricevono in giornata, specie se sei patrizio). Il quale papa Liberio risponde: ma sapete che credo di aver fatto lo stesso sogno anch'io? Proprio in quel momento irrompe in scena un figurante: Santità, sull'Esquilino è successa una cosa molto singolare. È nevicato. Non dappertutto, no. Solo in uno spiazzo. Uno spiazzo a forma di basilica. Chissà cosa vuol dire.

La basilica liberina, o "Ad nives", è il primo nucleo di Santa Maria Maggiore, la più antica delle quattro basiliche papali di Roma. In realtà la parte più antica della costruzione dovrebbe risalire al papato di Sisto III, nel secolo successivo - poi rimaneggiata e ingrandita più volte nel corso dei secoli. Prima di questa doveva esserci una chiesa ancora più antica, consacrata però al Credo niceano. Quella di Sisto è invece dedicata alla Madonna, che era stata da poco proclamata "madre di Dio" durante il concilio di Efeso (i nestoriani, che la ritenevano soltanto madre della parte umana di Cristo, furono contestualmente dichiarati eretici). Il nome di Madonna delle Nevi fu progressivamente accantonato, specie a partire dalla Controriforma, quando l'antico miracolo delle nevi fu accantonato in quanto privo di fonti serie. La festa del 5 agosto divenne, ufficialmente, la "dedica della basilica di Santa Maria Maggiore". Ma ancora viene ricordata con un lancio di petali di rosa dalla cupola. (Continua sul Post...)
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