Neve ad agosto
05-08-2014, 13:40Almanacco, Leonardo sells out, madonne, santiPermalink5 agosto - Madonna delle nevi
La notte tra il 4 e il 5 agosto del 352, il ricco patrizio Giovanni riceve una visita in sogno della vergine Maria, che si congratula con lui per il proposito recentemente espresso di finanziare una chiesa in suo onore, e gli suggerisce di erigerla nel luogo che il mattino dopo sarà ritrovato ricoperto di neve. La mattina dopo la moglie gli riferisce di aver fatto un sogno molto simile. Vanno immediatamente a raccontarlo a Papa Liberio (siamo tra l'Editto di Milano e quello di Tessalonica, la Chiesa non è più clandestina ma non è ancora Chiesa di Stato, e anche i papi sono ancora tizi alla buona che ti ricevono in giornata, specie se sei patrizio). Il quale papa Liberio risponde: ma sapete che credo di aver fatto lo stesso sogno anch'io? Proprio in quel momento irrompe in scena un figurante: Santità, sull'Esquilino è successa una cosa molto singolare. È nevicato. Non dappertutto, no. Solo in uno spiazzo. Uno spiazzo a forma di basilica. Chissà cosa vuol dire.
La basilica liberina, o "Ad nives", è il primo nucleo di Santa Maria Maggiore, la più antica delle quattro basiliche papali di Roma. In realtà la parte più antica della costruzione dovrebbe risalire al papato di Sisto III, nel secolo successivo - poi rimaneggiata e ingrandita più volte nel corso dei secoli. Prima di questa doveva esserci una chiesa ancora più antica, consacrata però al Credo niceano. Quella di Sisto è invece dedicata alla Madonna, che era stata da poco proclamata "madre di Dio" durante il concilio di Efeso (i nestoriani, che la ritenevano soltanto madre della parte umana di Cristo, furono contestualmente dichiarati eretici). Il nome di Madonna delle Nevi fu progressivamente accantonato, specie a partire dalla Controriforma, quando l'antico miracolo delle nevi fu accantonato in quanto privo di fonti serie. La festa del 5 agosto divenne, ufficialmente, la "dedica della basilica di Santa Maria Maggiore". Ma ancora viene ricordata con un lancio di petali di rosa dalla cupola. (Continua sul Post...)
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Il piccolo terrorista israeliano
04-08-2014, 15:53Almanacco, Israele-Palestina, Leonardo sells out, terrorismoPermalinkQui è ancora sbarbato. |
Eden Natan-Zada oggi avrebbe ventotto anni, magari sarebbe in spiaggia con una moglie giovane e una bambina. Invece è morto linciato da una folla di gente che avrebbe voluto uccidere, a uno a uno, con una pistola a ripetizione.
Eden Natan-Zada nasce nel 1986, da una famiglia giunta in Israele dall'Iran. I famigliari lo descrivono come un bravo ragazzo studioso che avrebbe conosciuto il kahanismo attraverso internet. Il kahanismo è l'ideologia sviluppata da Meir Kahan, il fondatore della Jewish Defense League, riconosciuta come organizzazione terroristica da Israele, USA e UE.
Per Kahan lo Stato di Israele, centro universale dell'ebraismo, è minacciato nella sua stessa esistenza da nemici arabi che non si arrenderanno mai; l'unica soluzione è la guerra - esatto, sì, questo progetto in Israele è considerato terroristico, non so se sia il caso di avvisare Rondolino. L'obiettivo della guerra dovrebbe essere un grande Israele teocratico comprendente Gaza, Cisgiordania e anche un po' di tutti i Paesi confinanti, incluso l'Iraq. Agli arabi residenti sarebbero tolti i diritti civili - solo gli ebrei avrebbero diritto di voto.
Un vero e proprio contatto coi kahanisti, Natan-Zada potrebbe averlo avuto nell'insediamento di Kfar Tapuach, in Cisgiordania, dove passava spesso i fine settimana e dove infine si rifugiò per evitare il servizio militare. Secondo Matthew Gutman, del Jerusalem Post, a Kfar Tapuach era presente una cellula di kahanisti.
È l'estate del 2005. Il piano di sgombero degli insediamenti di Gaza, annunciato da Sharon sin dall'anno scorso, sta per diventare operativo. I coloni di Gaza si stanno preparando, chi al trasloco, chi all'assedio. Alcuni aspetteranno l'esercito israeliano con il filo spinato, e rovesceranno acido sui ragazzi di leva venuti a sgomberarli. Ma Eden Natan-Zada non sarà tra quei ragazzi. Qualche giorno prima ha scritto: "come non potrei mai eseguire un ordine che dissacrasse il Sabato, così non posso essere parte di un'organizzazione che espelle gli ebrei". L'organizzazione in questione può essere l'esercito di Israele, o Israele tout court. La famiglia ha già denunciato la scomparsa del figlio, facendo presente che ha ancora con sé parte del suo equipaggiamento militare.
Shefa Amr è una cittadina di trentamila abitanti nel nord di Israele, per la maggioranza arabi, musulmani cristiani e drusi. È arabo Michel Bahus, l'autista del bus che quando vede salire a bordo un soldato IDF con la kippah, la barba e i ricciolini, gli chiede se è sicuro di non aver sbagliato destinazione. Sono arabi tutti i passeggeri. Quando il bus arriva nel quartiere druso, Natan raggiunge il conducente, attende che abbia aperto lo sportello, e gli spara. Poi spara a Nader Hayek, che sedeva dietro il conducente. Poi spara verso il resto dei passeggeri e riesce ad ammazzare due ragazze, due sorelle ventenni: Hazar Turki e Dina Turki. Poi si ferma a ricaricare, e in quel momento un passeggero gli afferra la canna della pistola, ustionandosi. È un attimo: chi non si è ferito gli arriva addosso. Lo portano fuori, lo ammazzano a mani nude. Nove poliziotti si feriscono nel tentativo di impedire il linciaggio. Dopo una lunga inchiesta, un processo nel 2013 riconoscerà tra la folla sei colpevoli di omicidio. Un loro avvocato mostrerà un filmato preso da un drone durante l'attentato: la tesi (spericolata) è che Eden fu lasciato libero di agire. Già in precedenza serpeggiava una teoria del complotto presso gli attivisti del movimento contro lo sgombero degli insediamenti: Eden sarebbe stato usato per screditare tutto il movimento. In ogni caso Sharon si precipitò a definirlo un "terrorista israeliano assetato di sangue".
Bahus e Hayek furono sepolti in un cimitero cristiano; le sorelle Turki in un cimitero musulmano. Nessun cimitero ebraico era pronto per accogliere Eden Natan-Zada. In particolare la comunità di Kfar Tapuach non voleva saperne, lo sconfessò apertamente. Alla fine si riuscì a trovare un posto in un cimitero civile, ma ci vollero due giorni.
In un primo momento i famigliari delle vittime e i feriti non ebbero gli indennizzi previsti dalle leggi sul terrorismo, perché Eden Natan-Zada non era ufficialmente affiliato a nessuna organizzazione terrorista. Un matto, non un terrorista. La legge - veramente molto discutibile - fu modificata l'anno successivo.
Il ritiro da Gaza proseguì più o meno secondo il piano previsto. Già l'anno prima uno stretto collaboratore di Sharon, Dov Weisglass, aveva spiegato con molta franchezza ad Haaretz come questo ritiro non significava il riconoscimento di una Palestina indipendente, ma preparava uno scenario di piccola-guerra-infinita che è più o meno quello in cui vivono e crescono oggi israeliani e palestinesi. IDF e Hamas li armano, e su internet trovi tutta l'ideologia che ti serve. Buon 4 agosto, Shalom.
Quella volta che B si bevve tutto il film
02-08-2014, 12:00cinema, Cosa vedere a Cuneo (e provincia) quando sei vivo, fb2020PermalinkZoran, il mio nipote scemo (Matteo Oleotto, 2013)
Nel finale dell'ultimo, ahinoi, film di Mazzacurati, a un certo punto Battiston incontra un orso nella foresta e ci va a vivere assieme. Il film è una commedia, ma quella scena vira decisamente verso il demenziale spinto. E però in un certo senso è necessaria. La metamorfosi di Battiston in un orso, intendo. Prima o poi doveva succedere.
Quanto è bravo Battiston. Quanto è bello e buono e morbido, da abbracciare. E quante facce sa fare, quanti ghigni, e sa anche urlare. Quante volte ci siamo detti eh, Battiston, peccato che possa fare solo il comprimario. Il Seymour Hoffman de noantri, pardon, (consulta la wikipedia veneta) de noaltri. Quante volte ci siamo detti che ce lo saremmo visti volentieri un film tutto sulle confortevoli spalle di Battiston. Ed ecco Zoran. Ben ci sta.
Zoran è una coproduzione italo-slovena affidata a Matteo Oleotto, giovane regista goriziano che dopo gli studi a Roma per il suo primo lungometraggio è tornato in quel Friuli liminare al mondo slavo. In realtà, sotto la patina paesaggistica stesa sui raccordi, la scena che circoscrive e quasi claustrofobica: un mondo di una dozzina di persone che lavorano assieme, bevono assieme, e giocoforza dormono anche assieme. Ci sono due solo ragazzi, uno è autistico e l'altra è graziosa e determinata a limonarlo; situazione improbabile, non fosse che effettivamente danno l'impressione di essere rimasti gli unici due adolescenti del Friuli. Non c'è neanche un bar, si beve in una rivendita di damigiane e pneumatici. Persino i divorziati si frequentano assiduamente, addirittura si invitano a pranzo tutte le domeniche anche perché probabilmente c'è una sola tavola imbandita per chilometri e chilometri fino alla frontiera. Insomma è una provincia microcosmo. E Battiston se la beve tutta.
Da bere peraltro ce n'è. Il vino scorre copioso come non accadeva dai tempi di Alcool di Tretti. Il coro canta Chi lassa il vin furlan xè propio un fiol de can... (continua su +eventi!) Battiston è un alcolista che lavora in una casa di riposo. Morti, sono tutti morti. La moglie lo ha lasciato è colpa sua. Vorrebbe fuggire dal microcosmo, ma come? La provvidenza gli provvederà Zoran, nipote sloveno autistico con le solite doti straordinarie che hanno gli autistici nei film. Questo è un campione di freccette, ha una bella voce bianca e un lessico ottocentesco. Va bene.
Io i genitori degli autistici veri li capisco, quando poi gli girano i coglioni. Perché questa cosa dell'autistico campione di questo o quello, non è solo uno stereotipo narrativo un po' frusto, figlio di una visione un po' schematica della narratologia ("dobbiamo fornire un ubriacone incasinato di un opposto, uhm... che ne dite di un autistico maniaco dell'ordine?"). Pian piano è diventato un meme, un'idea che gira, se in classe hai un autistico ti chiedono subito in cosa eccelle, chissà quanta memoria ha! Battiston, forse consapevole della debolezza dell'operazione, se ne frega e gigioneggia, ma che dico gigioneggia, orsonwellseggia. Calato in un personaggio peggiore del solito, non si ferma di fronte a nessuna abiezione, senza mai riuscire a sbarazzarsi di quella maledizione che lo perseguita film dopo film: la simpatia. Dovrebbe fare un bastardo, ha studiato da bastardo, tutto quello che fa è profondamente bastardo, ma non c'è niente da fare: l'orsacchiotto ha la meglio anche stavolta. Sulla carta, il suo personaggio è talmente stronzo che non si capisce come possa sussistere in un qualsiasi macrocosmo senza che lo buttino fuori a calci o randellate. Sulla scena, diventa persino verosimile che l'ex moglie sia tentata di rimettersi con lui - ok, è un alcolista falso manipolatore e stalker... ma è così pucci.
Poi c'è ovviamente (spoiler!) la redenzione finale, che ci riporta all'annoso problema del cinema italiano. Che non sono i registi - ne crescono di bravi in continuazione - non sono gli attori - simpaticissimi, bravissimi - non è la fotografia, anzi avercene - è la scrittura. C'è un personaggio X che è stronzo. Continua a fare stronzate. Al culmine della sua stronzaggine casca in un fosso, e da lì comincia la redenzione. Perché? E perché dovremmo trovare commovente la redenzione di un tizio che fin lì si è comportato male con tutti e con tutto? Perché è Battiston, ed è impossibile voler male all'orsetto Battiston. Va bene, ma... no, non è vero che va bene. Non va bene.
Zoran, il mio amico scemo è al Monviso di Cuneo sabato e domenica alle 21:30.
Nel finale dell'ultimo, ahinoi, film di Mazzacurati, a un certo punto Battiston incontra un orso nella foresta e ci va a vivere assieme. Il film è una commedia, ma quella scena vira decisamente verso il demenziale spinto. E però in un certo senso è necessaria. La metamorfosi di Battiston in un orso, intendo. Prima o poi doveva succedere.
Quanto è bravo Battiston. Quanto è bello e buono e morbido, da abbracciare. E quante facce sa fare, quanti ghigni, e sa anche urlare. Quante volte ci siamo detti eh, Battiston, peccato che possa fare solo il comprimario. Il Seymour Hoffman de noantri, pardon, (consulta la wikipedia veneta) de noaltri. Quante volte ci siamo detti che ce lo saremmo visti volentieri un film tutto sulle confortevoli spalle di Battiston. Ed ecco Zoran. Ben ci sta.
Zoran è una coproduzione italo-slovena affidata a Matteo Oleotto, giovane regista goriziano che dopo gli studi a Roma per il suo primo lungometraggio è tornato in quel Friuli liminare al mondo slavo. In realtà, sotto la patina paesaggistica stesa sui raccordi, la scena che circoscrive e quasi claustrofobica: un mondo di una dozzina di persone che lavorano assieme, bevono assieme, e giocoforza dormono anche assieme. Ci sono due solo ragazzi, uno è autistico e l'altra è graziosa e determinata a limonarlo; situazione improbabile, non fosse che effettivamente danno l'impressione di essere rimasti gli unici due adolescenti del Friuli. Non c'è neanche un bar, si beve in una rivendita di damigiane e pneumatici. Persino i divorziati si frequentano assiduamente, addirittura si invitano a pranzo tutte le domeniche anche perché probabilmente c'è una sola tavola imbandita per chilometri e chilometri fino alla frontiera. Insomma è una provincia microcosmo. E Battiston se la beve tutta.
Da bere peraltro ce n'è. Il vino scorre copioso come non accadeva dai tempi di Alcool di Tretti. Il coro canta Chi lassa il vin furlan xè propio un fiol de can... (continua su +eventi!) Battiston è un alcolista che lavora in una casa di riposo. Morti, sono tutti morti. La moglie lo ha lasciato è colpa sua. Vorrebbe fuggire dal microcosmo, ma come? La provvidenza gli provvederà Zoran, nipote sloveno autistico con le solite doti straordinarie che hanno gli autistici nei film. Questo è un campione di freccette, ha una bella voce bianca e un lessico ottocentesco. Va bene.
Io i genitori degli autistici veri li capisco, quando poi gli girano i coglioni. Perché questa cosa dell'autistico campione di questo o quello, non è solo uno stereotipo narrativo un po' frusto, figlio di una visione un po' schematica della narratologia ("dobbiamo fornire un ubriacone incasinato di un opposto, uhm... che ne dite di un autistico maniaco dell'ordine?"). Pian piano è diventato un meme, un'idea che gira, se in classe hai un autistico ti chiedono subito in cosa eccelle, chissà quanta memoria ha! Battiston, forse consapevole della debolezza dell'operazione, se ne frega e gigioneggia, ma che dico gigioneggia, orsonwellseggia. Calato in un personaggio peggiore del solito, non si ferma di fronte a nessuna abiezione, senza mai riuscire a sbarazzarsi di quella maledizione che lo perseguita film dopo film: la simpatia. Dovrebbe fare un bastardo, ha studiato da bastardo, tutto quello che fa è profondamente bastardo, ma non c'è niente da fare: l'orsacchiotto ha la meglio anche stavolta. Sulla carta, il suo personaggio è talmente stronzo che non si capisce come possa sussistere in un qualsiasi macrocosmo senza che lo buttino fuori a calci o randellate. Sulla scena, diventa persino verosimile che l'ex moglie sia tentata di rimettersi con lui - ok, è un alcolista falso manipolatore e stalker... ma è così pucci.
Poi c'è ovviamente (spoiler!) la redenzione finale, che ci riporta all'annoso problema del cinema italiano. Che non sono i registi - ne crescono di bravi in continuazione - non sono gli attori - simpaticissimi, bravissimi - non è la fotografia, anzi avercene - è la scrittura. C'è un personaggio X che è stronzo. Continua a fare stronzate. Al culmine della sua stronzaggine casca in un fosso, e da lì comincia la redenzione. Perché? E perché dovremmo trovare commovente la redenzione di un tizio che fin lì si è comportato male con tutti e con tutto? Perché è Battiston, ed è impossibile voler male all'orsetto Battiston. Va bene, ma... no, non è vero che va bene. Non va bene.
Zoran, il mio amico scemo è al Monviso di Cuneo sabato e domenica alle 21:30.
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Una cosa, una roba senza senso o forma
02-08-2014, 08:00Almanacco, Bologna, Leonardo sells out, memoria del 900, terrorismoPermalink2 agosto 1980 - Esplode una bomba alla stazione dei treni di Bologna. 85 morti, 218 feriti.
...La storia della caldaia resse sino a sera, ma già intorno a mezzogiorno le cose erano chiare. Nella squadretta di Scialoja c'era un sottufficiale che da soldato era stato artificiere. Gli era bastata un'occhiata alla voragine per scuotere la testa e sentenziare:
"Gas un cazzo. Questa è una bomba".
La stazione era sventrata. Le sirene ululavano. Militari e volontari, fianco a fianco con le mascherine sul naso, scavavano le macerie in cerca di un segno di vita. Qualcuno piangeva, i più moltiplicavano gli sforzi per rimandare l'appuntamento con la rabbia e lo sgomento. Arrivarono le troupe televisive. Una folla di parenti angosciati assiepava i binari. Circolava una parola maledetta e rivelatrice: strage. Le lancette del grande orologio del piazzale Ovest erano ferme sulle 10 e 25. [...] Scialoja s'era concesso una sigaretta. Una giornalista impicciona gli fu subito addosso. La mandò a quel paese e si rimise la mascherina. Dal profondo di due travi squarciate che si erano miracolosamente incastrate a formare una sorta di cavità naturale proveniva un flebile lamento. Scialoja si avventò. Vide una piccola mano coperta di graffi, la strinse, tirò. Le travi ressero. La bambina era sotto choc. Ma respirava. Lo guardava con i suoi enormi occhi stupiti e respirava. La prese in bracciò e la consegnò a un'infermiera. La bambina era biondissima e non capiva l'italiano. Un ufficiale dei carabinieri in alta uniforme lo bloccò al volo.
"Lei! Vada immediatamente al binario uno. Bisogna organizzare un servizio di scorta per le autorità!"
Scialoja mandò anche lui a quel paese e tornò al lavoro. Era lacero, era sudato, puzzava. Ma non sentiva la fatica, non sentiva il disagio. Aveva dormito troppo a lungo. Il letargo era finito... (Giancarlo De Cataldo, Romanzo Criminale, 2002).
...Definiamo quindi "neosensibilismo" il nostro modo di essere sensibili. Che in tutto si distacca dalle ambiguità di Francesca Mambro; da cui ci dissociamo anche per l'uso sconsiderato e irresponsabile del vocabolario. (Offlaga Disco Pax, Sensibile)
Andrea Pazienza via Paz-tastic |
...La storia della caldaia resse sino a sera, ma già intorno a mezzogiorno le cose erano chiare. Nella squadretta di Scialoja c'era un sottufficiale che da soldato era stato artificiere. Gli era bastata un'occhiata alla voragine per scuotere la testa e sentenziare:
"Gas un cazzo. Questa è una bomba".
La stazione era sventrata. Le sirene ululavano. Militari e volontari, fianco a fianco con le mascherine sul naso, scavavano le macerie in cerca di un segno di vita. Qualcuno piangeva, i più moltiplicavano gli sforzi per rimandare l'appuntamento con la rabbia e lo sgomento. Arrivarono le troupe televisive. Una folla di parenti angosciati assiepava i binari. Circolava una parola maledetta e rivelatrice: strage. Le lancette del grande orologio del piazzale Ovest erano ferme sulle 10 e 25. [...] Scialoja s'era concesso una sigaretta. Una giornalista impicciona gli fu subito addosso. La mandò a quel paese e si rimise la mascherina. Dal profondo di due travi squarciate che si erano miracolosamente incastrate a formare una sorta di cavità naturale proveniva un flebile lamento. Scialoja si avventò. Vide una piccola mano coperta di graffi, la strinse, tirò. Le travi ressero. La bambina era sotto choc. Ma respirava. Lo guardava con i suoi enormi occhi stupiti e respirava. La prese in bracciò e la consegnò a un'infermiera. La bambina era biondissima e non capiva l'italiano. Un ufficiale dei carabinieri in alta uniforme lo bloccò al volo.
"Lei! Vada immediatamente al binario uno. Bisogna organizzare un servizio di scorta per le autorità!"
Scialoja mandò anche lui a quel paese e tornò al lavoro. Era lacero, era sudato, puzzava. Ma non sentiva la fatica, non sentiva il disagio. Aveva dormito troppo a lungo. Il letargo era finito... (Giancarlo De Cataldo, Romanzo Criminale, 2002).
...Definiamo quindi "neosensibilismo" il nostro modo di essere sensibili. Che in tutto si distacca dalle ambiguità di Francesca Mambro; da cui ci dissociamo anche per l'uso sconsiderato e irresponsabile del vocabolario. (Offlaga Disco Pax, Sensibile)
I dieci video che mi hanno fatto cagare sotto (ma ero piccolo)
01-08-2014, 14:00autoreferenziali, Leonardo sells out, musica, tvPermalink
Poi li riguardi da adulto e... no, aspetta, alcuni facevano cagar sotto davvero!
Ma contestualizziamo. Oggi diventi adolescente nel momento in cui i tuoi compagni delle elementari spengono la luce, ti legano alla sedia e ti reggono le palpebre acciocché tu sia costretto a guardarti tutto Hostel o qualche altro film a base di trapani. Eppure dovete pensare che ci fu una generazione che non aveva nemmeno le vhs, una generazione che mica poteva dire mamma mi dai i soldi per vedere darioargento al cinema e cagarmi adosso, la generazione che per anni continuò a sognarsi la maschera di Berlfagor in bianco e nero. Poi è arrivato MTV. Ci siamo rimasti sotto di brutto, non avete idea. Ritratto di una generazione che si spaventava con due disegnini e un montaggio serrato.
#10 A-Ha, Take On Me
No, guardate, è una cosa mia. Si vede che ero piccolo. Anche un po' frignone. Però, vi giuro, le palpitazioni. Boh. Rivedendolo, il montaggio mi sembra ancora molto efficace - tranne loro, tre artisti tutto sommato rivalutabili, che qui sembrano la quintessenza della boy band irritante. Capisci perché non ho il diritto di ridere dei ragazzini che prendono gli spaghi coi trailer di Twilight?
#9 David Bowie, Look Back in Anger
Questa va spiegata. Il video - già antico ai tempi di Videomusic - tornò in auge durante la campagna promozionale per il tour del 1986, credo - c'era una striscia che passava tutti i giorni coi vecchi video di Bowie. Questo era sempre tagliato verso la fine, quando mi sembrava chiaro che stesse per succedere qualcosa di orribile e terrificante - ma non ho mai saputo cosa finché non c'è stato Youtube. Così quando ho scoperto che era solo un catalogo di pose artistoidi bollite mangiate digerite e ricacate, ormai era troppo tardi, ero spaventato da anni. È andata così, non guardare indietro con rabbia.
#8 Tom Hooker, Help Me
Questo rientra nella classifica in senso lato: ovvero non c'è dubbio che faccia cagare, ma dalla bruttezza. Veramente tanta bruttezza. Non fa paura, però, cioè - un po' sì, è talmente brutto che se ci ragioni ti rendi conto che chi ha realizzato qualcosa del genere è veramente capace di tutto, e magari è ancora in libertà. Brutto come la brutta copia sgualcita di un fotomontaggio scherzoso appeso ai lampioni la notte prima di un matrimonio finito male. Così brutto da ricordarmelo dopo averlo visto intero una volta sola quasi 30 anni fa, e a dire il vero non ero sicuro di non essermelo sognato. Invece su Youtube c'è persino il nome dell'azienda che lo realizzò. A rivederlo, devo ammettere che è una bruttezza che sfida il tempo: fa il punto su tutto il brutto che l'Italia stava producendo in quel periodo (Milano soprattutto), e getta le basi, i semi, i ponti per tanta bruttezza che verrà in futuro (in certi fotogrammi sembra già di vedere i salvaschermo di un Windows 3.1)
#7 Aphex Twin, Window Licker
Anche questo non so bene che ci faccia qui. A rigor di logica aveva più senso Come to Daddy ma diciamolo, non ero più piccolo e un Alien non è che mi facesse perdere il sonno. Neanche Window Licker mi ha mai fatto perdere il sonno, e però credo catturi un momento della vita in cui poteva capitare di rincasare un po' tardi e mettersi a scanalare nei bassifondi del telecomando, niente niente che si riuscisse a incrociare qualche tipa coperta solo di numeri in sovraimpressione - poi magari tra un telemodena e un reteA il dito finiva per abitudine sul nove e di colpo ti ritrovavi davanti QUESTA ROBA. Avevi realmente la sensazione che ci si stesse prendendo gioco di te, del tuo pigro autoerotismo nottambulo, e questo era molto più inquietante del transessualismo della cosa.
Ok, questi non facevano mica paura, dai - Clicca qui per vedere quelli che facevano cagare sotto davvero...
Ma contestualizziamo. Oggi diventi adolescente nel momento in cui i tuoi compagni delle elementari spengono la luce, ti legano alla sedia e ti reggono le palpebre acciocché tu sia costretto a guardarti tutto Hostel o qualche altro film a base di trapani. Eppure dovete pensare che ci fu una generazione che non aveva nemmeno le vhs, una generazione che mica poteva dire mamma mi dai i soldi per vedere darioargento al cinema e cagarmi adosso, la generazione che per anni continuò a sognarsi la maschera di Berlfagor in bianco e nero. Poi è arrivato MTV. Ci siamo rimasti sotto di brutto, non avete idea. Ritratto di una generazione che si spaventava con due disegnini e un montaggio serrato.
#10 A-Ha, Take On Me
No, guardate, è una cosa mia. Si vede che ero piccolo. Anche un po' frignone. Però, vi giuro, le palpitazioni. Boh. Rivedendolo, il montaggio mi sembra ancora molto efficace - tranne loro, tre artisti tutto sommato rivalutabili, che qui sembrano la quintessenza della boy band irritante. Capisci perché non ho il diritto di ridere dei ragazzini che prendono gli spaghi coi trailer di Twilight?
#9 David Bowie, Look Back in Anger
Questa va spiegata. Il video - già antico ai tempi di Videomusic - tornò in auge durante la campagna promozionale per il tour del 1986, credo - c'era una striscia che passava tutti i giorni coi vecchi video di Bowie. Questo era sempre tagliato verso la fine, quando mi sembrava chiaro che stesse per succedere qualcosa di orribile e terrificante - ma non ho mai saputo cosa finché non c'è stato Youtube. Così quando ho scoperto che era solo un catalogo di pose artistoidi bollite mangiate digerite e ricacate, ormai era troppo tardi, ero spaventato da anni. È andata così, non guardare indietro con rabbia.
#8 Tom Hooker, Help Me
Questo rientra nella classifica in senso lato: ovvero non c'è dubbio che faccia cagare, ma dalla bruttezza. Veramente tanta bruttezza. Non fa paura, però, cioè - un po' sì, è talmente brutto che se ci ragioni ti rendi conto che chi ha realizzato qualcosa del genere è veramente capace di tutto, e magari è ancora in libertà. Brutto come la brutta copia sgualcita di un fotomontaggio scherzoso appeso ai lampioni la notte prima di un matrimonio finito male. Così brutto da ricordarmelo dopo averlo visto intero una volta sola quasi 30 anni fa, e a dire il vero non ero sicuro di non essermelo sognato. Invece su Youtube c'è persino il nome dell'azienda che lo realizzò. A rivederlo, devo ammettere che è una bruttezza che sfida il tempo: fa il punto su tutto il brutto che l'Italia stava producendo in quel periodo (Milano soprattutto), e getta le basi, i semi, i ponti per tanta bruttezza che verrà in futuro (in certi fotogrammi sembra già di vedere i salvaschermo di un Windows 3.1)
#7 Aphex Twin, Window Licker
Anche questo non so bene che ci faccia qui. A rigor di logica aveva più senso Come to Daddy ma diciamolo, non ero più piccolo e un Alien non è che mi facesse perdere il sonno. Neanche Window Licker mi ha mai fatto perdere il sonno, e però credo catturi un momento della vita in cui poteva capitare di rincasare un po' tardi e mettersi a scanalare nei bassifondi del telecomando, niente niente che si riuscisse a incrociare qualche tipa coperta solo di numeri in sovraimpressione - poi magari tra un telemodena e un reteA il dito finiva per abitudine sul nove e di colpo ti ritrovavi davanti QUESTA ROBA. Avevi realmente la sensazione che ci si stesse prendendo gioco di te, del tuo pigro autoerotismo nottambulo, e questo era molto più inquietante del transessualismo della cosa.
Ok, questi non facevano mica paura, dai - Clicca qui per vedere quelli che facevano cagare sotto davvero...
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Pictures came and broke your heart
01-08-2014, 07:59Almanacco, Leonardo sells out, musicaPermalink1° agosto 1981 - MTV inaugura ufficialmente le sue trasmissioni trasmettendo Video Killed the Radio Star dei Buggles.
Oh oh - I met your children
oh oh - what did you tell them...
Forse non tutti sanno che... la M di MTV, all'inizio, stava per "Music". Esatto, pensate, era nato come canale dedicato alla musica. Lo so, è difficile da immaginare, ma MTV è esistito prima dei reality da bimbominchia, Jersey Shore e My Super Sweet 16 e Jackass. E prima di tutto questo, dunque, cosa mandava in onda tutto il tempo MTV? Video musicali. Video musicali e baaaasta?
Già.
E i giovani non si annoiavano?
No, macché, anzi, era una droga. La maggior parte dei miei coetanei non è passata direttamente dai cartoni giapponesi all'mdma, come sostiene la verità ufficiale. In mezzo ci sono stati anni di pomeriggi di divani consumati a guardare videoclip. Per la verità non abbiamo mai detto "videoclip". Qualche adulto in tv li chiamava così. Erano i video, e punto. L'unica cosa che valesse la pena di guardare in tv.
Sì, esatto, Renzi è un nostro coetaneo, come hai fatto a capire.
No, aspetta, abbiamo vari argomenti a nostra discolpa:
1) Youtube non esisteva. Facebook su cellulare non esisteva, ma è anche peggio di così. Non esisteva nemmeno Facebook in generale. Tienti forte: non esisteva nemmeno il cellulare, e quindi era necessario, capisci, restare sul divano nel caso ti chiamasse Gigi: "Metti sul Nove passa Unforgettable Fire". Potevano passare mesi prima che ripassasse Unforgettable Fire.
And now we meet in an abandoned studio.
We hear the playback and it seems so long ago.
And you remember the jingles used to go...
2) Stiamo parlando del 1981 - ok, in Italia Videomusic partì tre anni dopo, ma hai un'idea di che tipo di televisione stessimo guardando, un istante prima? Era appena appena passata dal bianco e nero ai colori. I video musicali venivano da un altro pianeta, sul serio. La prima volta che vidi Video Killed - su Discoring o qualche altro programma rai - facevo le elementari, ti garantisco che ci rimasi secco, mi vennero probabilmente le pupille a punta di spillo. Radio che esplodono all'improvviso. Ragazze volanti nei tubi. Immagini a colori, poi in bianco e nero, poi a colori. La canzoncina orecchiabile in sottofondo, garantisco, finiva per suonare sinistra e inquietante.
La nostra idea di "accompagnamento visuale di brano musicale" era ferma a Sandra e Raimondo, per carità, geniali, però - non avete idea. Rischio molto a confessarlo, ma io la prima volta che vidi il video di Take On Me ebbi quasi un mancamento, verso la fine mio cugino dovette cambiare canale perché ero pallido e sudavo freddo. Era roba pesa, davvero, da somministrare con cautela.
3) Erano probabilmente un po' più costosi di quelli di adesso. C'erano altri budget. Intorno alla musica giravano soldi che ora girano altrove, se girano. Peraltro quel che serve adesso è un po' di immagini montate alla benemeglio da far passare sul video appeso a un angolo della pizzeria al taglio, o in palestra dove la gente se ne fotte se continuano a passare i Negramaro, tanto nelle cuffie ha Bob Sinclar (o viceversa).
In my mind and in my car, we can't rewind we've gone to far.
E dei Buggles cosa ne fu? Horn e Downes si erano appena messi assieme col deliberato scopo di piazzare un singolo in classifica. Andò veramente molto bene, ma già il 33 giri incassò meno del previsto. Gli anni Ottanta sono anche caratterizzati da un'eccezionalmente spettacolare pioggia di meteore musicali, ma il loro caso è comunque particolare: non si sciolsero, bensì furono assorbiti da un altro gruppo, un dinosauro dell'era progressive che tentava di riciclarsi - gli Yes, sì. Incisero con loro un album solo che ebbe un discreto successo, poi il tastierista Downes fondò gli Asia e il cantante Trevor Horn si riciclò produttore.
Attenzione però: se il primo video trasmesso dalla MTV americana fu proprio la profetica Video Killed The Radio Star, il pezzo dei Buggles non è in nessun modo da ritenere il primo videoclip della Storia. Non solo il pezzo era già in classifica da mesi - sia l'audio che il video - ma a quel punto l'abitudine di associare video promozionali ai 45 giri in uscita stava ormai diventando una procedura standard; e se il successo di MTV avrebbe reso i videoclip la forma d'arte visuale più diffusa e popolare degli anni Ottanta, di video del genere se ne producevano già vent'anni prima. In effetti, quale è stato il primo videoclip? Difficile rispondere. Quando i fans dei Queen tirano fuori Bohemian Rhapsody, quelli dei Beatles fanno presente che Penny Lane e Strawberry Fields Forever sono già due perfetti videoclip a colori, trasmessi dalla BBC nel '67 - a questo punto arrivano i fanatici degli Scopitone e di tutte quelle diavolerie da bar a cavallo tra '50 e '60, e il problema resta aperto. In realtà chi si è interessato seriamente una risposta l'ha trovata: almeno per wikipedia il primo videoclip della Storia - il primo filmato che soddisfa a una serie di parametri che fanno si che lo si possa considerare serenamente un videoclip è...
Proprio esso! Dame si do bytu di Ladislav Rychman. I cecoslovacchi hanno sempre una marcia in più. È del 1958, eppure ha un tocco di anni Ottanta, non trovate?
Oh oh - I met your children
oh oh - what did you tell them...
Forse non tutti sanno che... la M di MTV, all'inizio, stava per "Music". Esatto, pensate, era nato come canale dedicato alla musica. Lo so, è difficile da immaginare, ma MTV è esistito prima dei reality da bimbominchia, Jersey Shore e My Super Sweet 16 e Jackass. E prima di tutto questo, dunque, cosa mandava in onda tutto il tempo MTV? Video musicali. Video musicali e baaaasta?
Già.
E i giovani non si annoiavano?
No, macché, anzi, era una droga. La maggior parte dei miei coetanei non è passata direttamente dai cartoni giapponesi all'mdma, come sostiene la verità ufficiale. In mezzo ci sono stati anni di pomeriggi di divani consumati a guardare videoclip. Per la verità non abbiamo mai detto "videoclip". Qualche adulto in tv li chiamava così. Erano i video, e punto. L'unica cosa che valesse la pena di guardare in tv.
Sì, esatto, Renzi è un nostro coetaneo, come hai fatto a capire.
No, aspetta, abbiamo vari argomenti a nostra discolpa:
1) Youtube non esisteva. Facebook su cellulare non esisteva, ma è anche peggio di così. Non esisteva nemmeno Facebook in generale. Tienti forte: non esisteva nemmeno il cellulare, e quindi era necessario, capisci, restare sul divano nel caso ti chiamasse Gigi: "Metti sul Nove passa Unforgettable Fire". Potevano passare mesi prima che ripassasse Unforgettable Fire.
And now we meet in an abandoned studio.
We hear the playback and it seems so long ago.
And you remember the jingles used to go...
2) Stiamo parlando del 1981 - ok, in Italia Videomusic partì tre anni dopo, ma hai un'idea di che tipo di televisione stessimo guardando, un istante prima? Era appena appena passata dal bianco e nero ai colori. I video musicali venivano da un altro pianeta, sul serio. La prima volta che vidi Video Killed - su Discoring o qualche altro programma rai - facevo le elementari, ti garantisco che ci rimasi secco, mi vennero probabilmente le pupille a punta di spillo. Radio che esplodono all'improvviso. Ragazze volanti nei tubi. Immagini a colori, poi in bianco e nero, poi a colori. La canzoncina orecchiabile in sottofondo, garantisco, finiva per suonare sinistra e inquietante.
La nostra idea di "accompagnamento visuale di brano musicale" era ferma a Sandra e Raimondo, per carità, geniali, però - non avete idea. Rischio molto a confessarlo, ma io la prima volta che vidi il video di Take On Me ebbi quasi un mancamento, verso la fine mio cugino dovette cambiare canale perché ero pallido e sudavo freddo. Era roba pesa, davvero, da somministrare con cautela.
3) Erano probabilmente un po' più costosi di quelli di adesso. C'erano altri budget. Intorno alla musica giravano soldi che ora girano altrove, se girano. Peraltro quel che serve adesso è un po' di immagini montate alla benemeglio da far passare sul video appeso a un angolo della pizzeria al taglio, o in palestra dove la gente se ne fotte se continuano a passare i Negramaro, tanto nelle cuffie ha Bob Sinclar (o viceversa).
In my mind and in my car, we can't rewind we've gone to far.
E dei Buggles cosa ne fu? Horn e Downes si erano appena messi assieme col deliberato scopo di piazzare un singolo in classifica. Andò veramente molto bene, ma già il 33 giri incassò meno del previsto. Gli anni Ottanta sono anche caratterizzati da un'eccezionalmente spettacolare pioggia di meteore musicali, ma il loro caso è comunque particolare: non si sciolsero, bensì furono assorbiti da un altro gruppo, un dinosauro dell'era progressive che tentava di riciclarsi - gli Yes, sì. Incisero con loro un album solo che ebbe un discreto successo, poi il tastierista Downes fondò gli Asia e il cantante Trevor Horn si riciclò produttore.
Attenzione però: se il primo video trasmesso dalla MTV americana fu proprio la profetica Video Killed The Radio Star, il pezzo dei Buggles non è in nessun modo da ritenere il primo videoclip della Storia. Non solo il pezzo era già in classifica da mesi - sia l'audio che il video - ma a quel punto l'abitudine di associare video promozionali ai 45 giri in uscita stava ormai diventando una procedura standard; e se il successo di MTV avrebbe reso i videoclip la forma d'arte visuale più diffusa e popolare degli anni Ottanta, di video del genere se ne producevano già vent'anni prima. In effetti, quale è stato il primo videoclip? Difficile rispondere. Quando i fans dei Queen tirano fuori Bohemian Rhapsody, quelli dei Beatles fanno presente che Penny Lane e Strawberry Fields Forever sono già due perfetti videoclip a colori, trasmessi dalla BBC nel '67 - a questo punto arrivano i fanatici degli Scopitone e di tutte quelle diavolerie da bar a cavallo tra '50 e '60, e il problema resta aperto. In realtà chi si è interessato seriamente una risposta l'ha trovata: almeno per wikipedia il primo videoclip della Storia - il primo filmato che soddisfa a una serie di parametri che fanno si che lo si possa considerare serenamente un videoclip è...
Proprio esso! Dame si do bytu di Ladislav Rychman. I cecoslovacchi hanno sempre una marcia in più. È del 1958, eppure ha un tocco di anni Ottanta, non trovate?
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Un agosto all'inferno.com
31-07-2014, 15:56autoreferenziali, blog, crisi? che crisi?, Leonardo sells outPermalinkIo poi per quanto posso cerco di restare positivo, ma sarei un ipocrita a negare che si sente un'arietta un po' difficile.
Non è solo la crisi mondiale - in fondo c'è sempre una crisi al mondo;
non è solo la crisi italiana - quale crisi? no, perché ne abbiamo avute tre di fila e forse arriva la quarta, cioè voi vi ricordate cosa c'era tra una crisi e l'altra?
non è solo la crisi del... come chiamarlo? Giornalismo? Non esageriamo. Mercato dell'informazione? Quel che vuoi, tanto è in crisi (per chi non lo sapesse) nera;
ma è proprio la crisi del blog in sé, che sta dentro a tutte le altre crisi come una matrioska e non se ne esce. Per fortuna che non lo faccio di mestiere (aspetta, è in crisi anche il mio mestiere). Ma insomma l'Unità liquida, Liquida non rinnova il contratto, e anche a Cuneo per un po' non usciranno film decenti, che si fa?
Cosa fate voi quando siete in difficoltà? Attaccati da tutte le parti? Andate Big, come si dice adesso? Vi percuotete il torso coi pugni per dimostrare che non siete ancora finiti? Non so se ho il torso adatto, fammi controllare, uhm, no.
Io un'idea ce l'avrei anche - tanto più che domani è agosto e come forse qualcuno saprà in agosto qui dentro scatta il pilota automatico e accadono sempre cose un poco strane: autobiografie musicali, crestomazie, decameroni - insomma ve la dico.
Io calerei le braghe.
When in trouble, pants off.
Volete il mercato? Pensate che io non sia capace di stare sul mercato? Vediamo, vediamo.
Cioè pensate che non sia capace di vendermi? La risposta è sempre quella: fatemi un prezzo prima, vediamo.
Comunque per un mese offro io, Free Trial. Sarà un agosto, uhm, caldissimo.
E ricordate: se amate la qualità, le discussioni lunghe e sensate, gli scambi di opinioni interessanti, l'ironia non troppo pesante, gli spunti intriganti... tornate a settembre (forse).
Siete pronti?
Non è solo la crisi mondiale - in fondo c'è sempre una crisi al mondo;
non è solo la crisi italiana - quale crisi? no, perché ne abbiamo avute tre di fila e forse arriva la quarta, cioè voi vi ricordate cosa c'era tra una crisi e l'altra?
non è solo la crisi del... come chiamarlo? Giornalismo? Non esageriamo. Mercato dell'informazione? Quel che vuoi, tanto è in crisi (per chi non lo sapesse) nera;
ma è proprio la crisi del blog in sé, che sta dentro a tutte le altre crisi come una matrioska e non se ne esce. Per fortuna che non lo faccio di mestiere (aspetta, è in crisi anche il mio mestiere). Ma insomma l'Unità liquida, Liquida non rinnova il contratto, e anche a Cuneo per un po' non usciranno film decenti, che si fa?
Cosa fate voi quando siete in difficoltà? Attaccati da tutte le parti? Andate Big, come si dice adesso? Vi percuotete il torso coi pugni per dimostrare che non siete ancora finiti? Non so se ho il torso adatto, fammi controllare, uhm, no.
Io un'idea ce l'avrei anche - tanto più che domani è agosto e come forse qualcuno saprà in agosto qui dentro scatta il pilota automatico e accadono sempre cose un poco strane: autobiografie musicali, crestomazie, decameroni - insomma ve la dico.
Io calerei le braghe.
When in trouble, pants off.
Volete il mercato? Pensate che io non sia capace di stare sul mercato? Vediamo, vediamo.
Cioè pensate che non sia capace di vendermi? La risposta è sempre quella: fatemi un prezzo prima, vediamo.
Comunque per un mese offro io, Free Trial. Sarà un agosto, uhm, caldissimo.
E ricordate: se amate la qualità, le discussioni lunghe e sensate, gli scambi di opinioni interessanti, l'ironia non troppo pesante, gli spunti intriganti... tornate a settembre (forse).
Siete pronti?
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Lunga vita all'Unità
30-07-2014, 10:02giornalistiPermalink
(Avevo una teoria).
Desidero esprimere la mia solidarietà ai redattori dell'Unità, che a quanto pare chiude domani, e in particolare a quelli della redazione on line, che per quattro anni mi hanno lasciato libero di scrivere tante - troppe - cose. Mi dispiace che dopo mesi di sacrifici si ritrovino a pagare per colpe non loro; mi dispiace anche perché credo che in Italia non sia affatto venuto a mancare lo spazio per un prodotto editoriale chiamato "l'Unità". Forse non ha più senso che sia un quotidiano, o che sia di carta; ma il suo pubblico l'Unità ce l'avrebbe, e spero che lo ritrovi in fretta.
In particolare la scelta di chiudere la redazione del sito - se ho capito bene - la trovo abbastanza inspiegabile. Ma probabilmente non sono in grado di parlare dell'Unità con la distanza necessaria, e ci sono troppe cose che non so. Negli ultimi mesi, mentre la situazione si faceva sempre più difficile - e i redattori andavano avanti senza stipendio - avrò sentito ripetere centinaia di volte in giro che un quotidiano dovrebbe "stare sul mercato". Come se in Italia ci fossero quotidiani in grado di starci, su quel mercato; come se il Corriere della Sera, poniamo, stesse sul mercato in virtù delle copie che vende e non degli interessi che rappresenta. Poi naturalmente un mercato esiste, ma è un po' più complesso dei disegnini che vedo tracciati in giro.
Proprio la travagliata storia dell'Unità dovrebbe aiutarci a capire che le cose sono più complicate: da una certa distanza, perlomeno, viene il sospetto che i veri guai siano nati ogni volta che qualche direttore o proprietario visionario provava a starci, nel 'mercato': sin dalle famose e famigerate videocassette e figurine di Veltroni, che all'inizio funzionarono ma a un certo a punto colarono a picco. Un episodio più recente è la gestione Colombo-Padellaro, che è probabilmente il modello che ancora oggi somiglia più all'Unità come la vorrebbero i suoi lettori ed ex lettori. Era un giornale che funzionava, faceva parlare di sé, aveva un'identità forte - però faceva debiti. Più di recente anche la De Gregorio provò a fare qualcosa di diverso e interessante - ma c'erano già i debiti pregressi. Cruciale è stato poi il ruolo di un imprenditore, Renato Soru, che fino a un certo punto aveva interesse a investire sull'Unità, e a un certo punto questo interesse lo perse. Legittimamente: il mercato è fatto così. Ci sono eccezioni interessanti (Il Fatto, il Manifesto) che meriterebbero un discorso a parte, ma temo non siano modelli esportabili: il Fatto ha cavalcato un'onda che potrebbe anche infrangersi; il Manifesto ha lettori eroici disposti a sacrifici che secondo me non è giusto pretendere.
Più in generale, chi parla di "mercato" molto spesso sta solo dando una veloce verniciata liberista alla legge della jungla - jungla peraltro mai visitata dal vivo. Sapete chi è che riesce a stare sul mercato, vendendo soltanto, ehm, 'notizie' e 'opinioni'? Beppe Grillo. Niente carta, redazione minuscola, pochissime spese, tanta pubblicità. Il sito fa grancassa, i libri e i dvd fanno probabilmente il grosso delle entrate - e in questo momento in homepage c'è BRUNO VESPA "ECCITATO" DALLA BOSCHI. Il mercato, se proprio ci tenete, è quello lì. Ma magari non è il posto dove vi piacerebbe discutere. Perché poi il problema è sempre lì: quanto sareste disposti a pagare per avere un luogo, una piattaforma, un sito dove vi piacerebbe discutere in calce a notizie fresche e contributi interessanti? Molto poco. E quindi, a norma di "mercato", un siffatto luogo di discussioni non dovrebbe sussistere. Possibile?
Una volta c'erano i partiti. Erano qualcosa di più di cartelli elettorali. Qualcuno li definiva "intellettuali collettivi". Ci si aspettava da loro qualcosa di un po' più interessante di una lotta per il potere: avrebbero dovuto elaborare progetti, modificare la società. Gli organi di partito erano i luoghi dove elaborare questi progetti. Ci scrivevano intellettuali 'organici' e indipendenti, cercando di dare anche voce alla base dei lettori (nulla rispetto alle procedure di condivisione dal basso a cui oggi siamo abituati su internet). Ci scrivevano funzionari che avevano l'obiettivo di dare la versione dei fatti del partito, sconfinando spesso nella propaganda. Nessuno si aspettava che facessero cassa, così come nessuno si aspetta che la gente paghi il biglietto per ascoltare la versione dei fatti di qualcun altro, o per partecipare a dibattiti e conferenze, o semplicemente per chiacchierare. Non è mai esistito un "mercato" del genere, e giustamente. Solo Beppe Grillo ti fa pagare il biglietto, ma lui è un comico, e magari ti racconta la barzelletta di Vespa "eccitato" dalla Boschi.
Il fatto che questi organi fossero finanziati dai partiti, e che questi partiti a loro volta ottenessero finanziamenti dallo Stato, è oggi visto come uno scandalo senza pari. In effetti è un modello ormai tramontato, al punto che gli organi di partito oggi occultano, per quanto possibile, la loro affiliazione politica: come se fosse una vergogna rappresentare gruppi organizzati di cittadini e non concentrazioni di interessi economici. Evidentemente sì, è una vergogna. Vien quasi il sospetto che la redazione dell'Unità sia stata sacrificata a questo sentimento popolare. L'Unità è un bel brand, ma deve essere purificato: si pretende che continui a evocare i feticci di Berlinguer e Gramsci, senza più suggerire un'intelligenza con la casta dei politici.
Nel frattempo i politici danno l'impressione di voler saltare le intermediazioni: si presentano come gente alla mano, scravattati e sbottonati anche quando fuori non fa così caldo; hanno tante belle idee e progetti che hanno elaborato più o meno da soli, tra loro; ci "mettono la faccia" e si aspettano che i cittadini puntino su di loro, prendere o lasciare. Se hanno qualcosa da dire la twittano a costo zero, che bisogno c'è di una redazione? Ma a ben vedere non c'è bisogno nemmeno di un partito.
Io mi chiamo Leonardo, scrivo tante cose perché mi diverto. Cerco di scriverle più interessanti possibile, e quando riesco a farmi persino pagare è una gioia. Ma non ho mai pensato di dover stare su "un mercato" con questa roba. Guadagnare è un effetto collaterale, per così dire, un modo per farmi parzialmente una ragione del tempo sottratto ad altri divertimenti. L'obiettivo primario è un altro: capire me stesso, capire quello che mi succede intorno, cercare per quanto posso di contribuire a modificarlo. Non sono un intellettuale collettivo. Non sono nemmeno un intellettuale, probabilmente. Ma sono abbastanza libero. Anche sull'Unità, che qui ringrazio una volta in più.
Desidero esprimere la mia solidarietà ai redattori dell'Unità, che a quanto pare chiude domani, e in particolare a quelli della redazione on line, che per quattro anni mi hanno lasciato libero di scrivere tante - troppe - cose. Mi dispiace che dopo mesi di sacrifici si ritrovino a pagare per colpe non loro; mi dispiace anche perché credo che in Italia non sia affatto venuto a mancare lo spazio per un prodotto editoriale chiamato "l'Unità". Forse non ha più senso che sia un quotidiano, o che sia di carta; ma il suo pubblico l'Unità ce l'avrebbe, e spero che lo ritrovi in fretta.
In particolare la scelta di chiudere la redazione del sito - se ho capito bene - la trovo abbastanza inspiegabile. Ma probabilmente non sono in grado di parlare dell'Unità con la distanza necessaria, e ci sono troppe cose che non so. Negli ultimi mesi, mentre la situazione si faceva sempre più difficile - e i redattori andavano avanti senza stipendio - avrò sentito ripetere centinaia di volte in giro che un quotidiano dovrebbe "stare sul mercato". Come se in Italia ci fossero quotidiani in grado di starci, su quel mercato; come se il Corriere della Sera, poniamo, stesse sul mercato in virtù delle copie che vende e non degli interessi che rappresenta. Poi naturalmente un mercato esiste, ma è un po' più complesso dei disegnini che vedo tracciati in giro.
Proprio la travagliata storia dell'Unità dovrebbe aiutarci a capire che le cose sono più complicate: da una certa distanza, perlomeno, viene il sospetto che i veri guai siano nati ogni volta che qualche direttore o proprietario visionario provava a starci, nel 'mercato': sin dalle famose e famigerate videocassette e figurine di Veltroni, che all'inizio funzionarono ma a un certo a punto colarono a picco. Un episodio più recente è la gestione Colombo-Padellaro, che è probabilmente il modello che ancora oggi somiglia più all'Unità come la vorrebbero i suoi lettori ed ex lettori. Era un giornale che funzionava, faceva parlare di sé, aveva un'identità forte - però faceva debiti. Più di recente anche la De Gregorio provò a fare qualcosa di diverso e interessante - ma c'erano già i debiti pregressi. Cruciale è stato poi il ruolo di un imprenditore, Renato Soru, che fino a un certo punto aveva interesse a investire sull'Unità, e a un certo punto questo interesse lo perse. Legittimamente: il mercato è fatto così. Ci sono eccezioni interessanti (Il Fatto, il Manifesto) che meriterebbero un discorso a parte, ma temo non siano modelli esportabili: il Fatto ha cavalcato un'onda che potrebbe anche infrangersi; il Manifesto ha lettori eroici disposti a sacrifici che secondo me non è giusto pretendere.
Più in generale, chi parla di "mercato" molto spesso sta solo dando una veloce verniciata liberista alla legge della jungla - jungla peraltro mai visitata dal vivo. Sapete chi è che riesce a stare sul mercato, vendendo soltanto, ehm, 'notizie' e 'opinioni'? Beppe Grillo. Niente carta, redazione minuscola, pochissime spese, tanta pubblicità. Il sito fa grancassa, i libri e i dvd fanno probabilmente il grosso delle entrate - e in questo momento in homepage c'è BRUNO VESPA "ECCITATO" DALLA BOSCHI. Il mercato, se proprio ci tenete, è quello lì. Ma magari non è il posto dove vi piacerebbe discutere. Perché poi il problema è sempre lì: quanto sareste disposti a pagare per avere un luogo, una piattaforma, un sito dove vi piacerebbe discutere in calce a notizie fresche e contributi interessanti? Molto poco. E quindi, a norma di "mercato", un siffatto luogo di discussioni non dovrebbe sussistere. Possibile?
Una volta c'erano i partiti. Erano qualcosa di più di cartelli elettorali. Qualcuno li definiva "intellettuali collettivi". Ci si aspettava da loro qualcosa di un po' più interessante di una lotta per il potere: avrebbero dovuto elaborare progetti, modificare la società. Gli organi di partito erano i luoghi dove elaborare questi progetti. Ci scrivevano intellettuali 'organici' e indipendenti, cercando di dare anche voce alla base dei lettori (nulla rispetto alle procedure di condivisione dal basso a cui oggi siamo abituati su internet). Ci scrivevano funzionari che avevano l'obiettivo di dare la versione dei fatti del partito, sconfinando spesso nella propaganda. Nessuno si aspettava che facessero cassa, così come nessuno si aspetta che la gente paghi il biglietto per ascoltare la versione dei fatti di qualcun altro, o per partecipare a dibattiti e conferenze, o semplicemente per chiacchierare. Non è mai esistito un "mercato" del genere, e giustamente. Solo Beppe Grillo ti fa pagare il biglietto, ma lui è un comico, e magari ti racconta la barzelletta di Vespa "eccitato" dalla Boschi.
Il fatto che questi organi fossero finanziati dai partiti, e che questi partiti a loro volta ottenessero finanziamenti dallo Stato, è oggi visto come uno scandalo senza pari. In effetti è un modello ormai tramontato, al punto che gli organi di partito oggi occultano, per quanto possibile, la loro affiliazione politica: come se fosse una vergogna rappresentare gruppi organizzati di cittadini e non concentrazioni di interessi economici. Evidentemente sì, è una vergogna. Vien quasi il sospetto che la redazione dell'Unità sia stata sacrificata a questo sentimento popolare. L'Unità è un bel brand, ma deve essere purificato: si pretende che continui a evocare i feticci di Berlinguer e Gramsci, senza più suggerire un'intelligenza con la casta dei politici.
Nel frattempo i politici danno l'impressione di voler saltare le intermediazioni: si presentano come gente alla mano, scravattati e sbottonati anche quando fuori non fa così caldo; hanno tante belle idee e progetti che hanno elaborato più o meno da soli, tra loro; ci "mettono la faccia" e si aspettano che i cittadini puntino su di loro, prendere o lasciare. Se hanno qualcosa da dire la twittano a costo zero, che bisogno c'è di una redazione? Ma a ben vedere non c'è bisogno nemmeno di un partito.
Io mi chiamo Leonardo, scrivo tante cose perché mi diverto. Cerco di scriverle più interessanti possibile, e quando riesco a farmi persino pagare è una gioia. Ma non ho mai pensato di dover stare su "un mercato" con questa roba. Guadagnare è un effetto collaterale, per così dire, un modo per farmi parzialmente una ragione del tempo sottratto ad altri divertimenti. L'obiettivo primario è un altro: capire me stesso, capire quello che mi succede intorno, cercare per quanto posso di contribuire a modificarlo. Non sono un intellettuale collettivo. Non sono nemmeno un intellettuale, probabilmente. Ma sono abbastanza libero. Anche sull'Unità, che qui ringrazio una volta in più.
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Lazzaro che morì due volte
29-07-2014, 03:03Bibbia, santiPermalink29 luglio - San Lazzaro, amico di Gesù
Tutti dobbiamo morire, e secondo la dottrina cristiana Gesù a tempo debito ci resusciterà. Tranne Lazzaro: lui è stato risorto prima. Così presto che è probabilmente già rimorto. Ma perché con lui Gesù si è comportato così? A prima vista sembrerebbe una debolezza: Lazzaro ha un trattamento di favore perché... è suo amico.
Gesù ha un solo amico: gli altri li chiama fratelli, o discepoli. Quando muore, ci rimane male. È il messia, è il Cristo, giudicherà i vivi e i morti, ma ci rimane male lo stesso. Davanti alla tomba scoppia a piangere. Non era successo per tre vangeli sinottici, ed ecco che succede nell'ultimo, quello di Giovanni. Anzi, un argomento per considerare il vangelo di Giovanni il più tardo è proprio questa virata nel patetico: all'estremo opposto sta il Gesù di Marco, probabilmente il più antico, un tizio sempre corrucciato e sdegnato perché i comuni mortali non hanno orecchie per intendere le sue parabole. Il Gesù di Giovanni invece sembra ridisegnato per un ceto medio che vuole bei discorsi ma anche una certa dose di sentimento.
Insomma, frigna come un pupo. Tanto che la gente comincia a darsi di gomito; però! Gli voleva bene davvero, al suo amico. Boh, ma se è davvero Chi dice di essere, non poteva arrivare un po' prima? Gesù non fa segno di ascoltare, ma chiede che sia aperta la tomba, malgrado le obiezioni della sorella più pratica, Marta ("Sono passati tre giorni, puzzerà"). E invece Lazzaro ne esce fuori fresco come appena deposto, e soprattutto esce vivo. Gesù l'ha risorto. Non è un miracolo come gli altri.
Gesù non aveva mai risorto nessuno prima. Ovvero, no, ci sarebbe l'episodio della figlia di Giairo, "capo di una sinagoga", riportato dai tre vangeli sinottici: ma non è chiaro se la bambina sia davvero morta. Lo stesso Gesù minimizza; afferma che la bambina sta solo dormendo, e la risveglia. Il caso di Lazzaro è molto diverso. Addirittura Gesù prende tempo; anche se le sorelle Maria e Marta gli avevano fatto sapere della malattia dell'amico, Gesù decide di aspettare che muoia. E agli apostoli prima di partire dice proprio così: Lazzaro è morto.
...e io sono contento per voi di non essere stato là, perché voi crediate. Orsù, andiamo da lui!A questo punto ci accorgiamo che la decisione di risorgere Lazzaro non è una semplice debolezza, ma è parte di un piano. I tre giorni di attesa sono fondamentali, non solo perché preannunciano la morte di Gesù, ma perché legalmente sono necessari affinché la resurrezione non possa essere derubricata a risveglio da un coma (quel che era successo nel caso della figlia di Giairo). Anche il dettaglio della puzza non è un semplice tocco di realismo: il testo vuole eliminare qualsiasi dubbio sul fatto che quella di Lazzaro sia stata una resurrezione, non una guarigione. Gesù ha scelto il suo amico per farne il cardine di tutto il Vangelo.
Non a caso nel testo di Giovanni occupa proprio il capitolo centrale: tra la prima parte, il cosiddetto "vangelo dei segni", e la seconda parte, il lungo racconto della passione. Nella prima parte Gesù ha esibito agli scettici tutti i "segni" necessari affinché credano che lui è il Messia - e che riprendono una profezia di Isaia: gli storpi camminano, i sordi odono, i ciechi vedono... i morti devono resuscitare. Lazzaro è appunto l'ultimo segno, la prova definitiva che Gesù è Colui che afferma di essere. Ma proprio la sua resurrezione è l'inizio della passione di Gesù: appena farisei e sommi sacerdoti si accorgono di che è successo, decidono di ammazzare sia Gesù che Lazzaro, il colpevole e la prova. L'idea di uccidere un tizio in grado di resuscitare dai morti può lasciare perplessi, ma il ragionamento dei sacerdoti non è poi così peregrino:
"Quest'uomo compie molti segni. Se lo lasciamo fare così, tutti crederanno in lui e verranno i Romani e distruggeranno il nostro luogo santo e la nostra nazione".Col suo nuovo culto, potenzialmente rivoluzionario, Gesù rischia di attirare l'attenzione della potenza occupante. Chi scrive il Vangelo probabilmente sa già di cosa sono capaci i Romani - che raderanno davvero al suolo Gerusalemme nel 70. "Meglio che muoia lui, piuttosto che un popolo intero", dice il sommo sacerdote. Una frase troppo bella e pregna di significato per essere stata pronunciata davvero, e infatti probabilmente Caifa non la pronunciò. Tutto l'episodio sembra, in effetti, una costruzione a posteriori, di un autore che conosce per sommi capi il racconto evangelico, ma vuole dargli un senso nuovo, un respiro diverso (oltre a spruzzare un po' di sentimenti qua e là). (Continua sul Post...)
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In soffitta e così siae
28-07-2014, 08:51cantare, cantautori, copywrong, musicaPermalink(di Mogol, Bacal, F'nqul)
C'era una volta una gatta
che aveva una macchia nera sul muso,
e una vecchia
soffitta vicino al mare,
con una finestra
a due passi dal cielo,
o no?
Se la chitarra suonavo
la gatta faceva le fusa,
e una stellina
scendeva vicina vicina,
poi mi sussurrava:
"Non male, il giro di do".
Ora non abito più là.
Tutto è passato, non abito più là...
Ho una casa bellissima: bellissima, come vuoi tu.
Ma devo tutto a una gatta
che aveva una macchia nera
sul muso, e una vecchia
soffitta vicino al mare,
e un bel giro di do,
e milioni di borderò.
C'era una volta un cartello
di autori e di musicisti. Era molto bello.
Scuciva miliardi per due strofe ed un ritornello.
Bastava un giro di do...
Se dalla radio passava,
il cartello incassava i diritti - poi c'erano i dischi,
ai concerti la gente pagava
(anche per far fischi),
che gran cosa i borderò!
Ora non mi rendono più.
Tutto è passato, le radio non van più.
Ho una casa carissima, da ristrutturare anche un po'...
Ma quella troia di gatta
ormai non mi rende un euro, puttana vacca.
Sì che ho preso già più di Bach
per un giro di do
copiato a Burt Bacharach.
C'era una volta una lobby,
che infine ha spuntato un aumento
su tutti i supporti
sui quali potresti ascoltare, in qualsiasi momento,
la gatta che ho scritto io.
Tu che magari ci hai l'hobby
di fare le foto ai tuoi gatti,
e le metti su un disco
che è rigido oppure no
- quel che vuoi, me ne infischio -
ma devi i diritti a me.
Ora non me li paghi più,
né ipad né tablet, tu non li compri più.
Li ordini on line all'estero,
ti costan meno, bastardo, perché?
Che cos'hai contro la gatta?
Vuoi proprio vedermi finire i miei giorni in soffitta
da solo a guardare il mare
da una finestra
a due passi dal cielo blu?
Col cazzo, che torno in soffitta.
Io sono un artista famoso, ci ho i miei diritti,
Anche ora canticchi La gatta... beh, io l'ho scritta!
Compilami il borderò.
Sono miei tutti i giri di Do!
Volete pagarli o no?
C'era una volta una gatta
che aveva una macchia nera sul muso,
e una vecchia
soffitta vicino al mare,
con una finestra
a due passi dal cielo,
o no?
Gino Paoli, pittore e compositore. |
la gatta faceva le fusa,
e una stellina
scendeva vicina vicina,
poi mi sussurrava:
"Non male, il giro di do".
Ora non abito più là.
Tutto è passato, non abito più là...
Ho una casa bellissima: bellissima, come vuoi tu.
Ma devo tutto a una gatta
che aveva una macchia nera
sul muso, e una vecchia
soffitta vicino al mare,
e un bel giro di do,
e milioni di borderò.
C'era una volta un cartello
di autori e di musicisti. Era molto bello.
Scuciva miliardi per due strofe ed un ritornello.
Bastava un giro di do...
Se dalla radio passava,
il cartello incassava i diritti - poi c'erano i dischi,
ai concerti la gente pagava
(anche per far fischi),
che gran cosa i borderò!
Ora non mi rendono più.
Tutto è passato, le radio non van più.
Ho una casa carissima, da ristrutturare anche un po'...
Gino Paoli, presidente della Siae |
ormai non mi rende un euro, puttana vacca.
Sì che ho preso già più di Bach
per un giro di do
copiato a Burt Bacharach.
C'era una volta una lobby,
che infine ha spuntato un aumento
su tutti i supporti
sui quali potresti ascoltare, in qualsiasi momento,
la gatta che ho scritto io.
Tu che magari ci hai l'hobby
di fare le foto ai tuoi gatti,
e le metti su un disco
che è rigido oppure no
- quel che vuoi, me ne infischio -
ma devi i diritti a me.
Ora non me li paghi più,
né ipad né tablet, tu non li compri più.
Li ordini on line all'estero,
ti costan meno, bastardo, perché?
Che cos'hai contro la gatta?
Vuoi proprio vedermi finire i miei giorni in soffitta
da solo a guardare il mare
da una finestra
a due passi dal cielo blu?
Col cazzo, che torno in soffitta.
Io sono un artista famoso, ci ho i miei diritti,
Anche ora canticchi La gatta... beh, io l'ho scritta!
Compilami il borderò.
Sono miei tutti i giri di Do!
Volete pagarli o no?
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