È lunga la strada per Selma

Permalink
Selma (Ava DuVernay, 2014)

Il tuo maestro e modello ti fa salire nella sua macchina. Mentre guida a velocità di crociera ti spiega che non ne può più; che non è sicuro di quello che sta facendo; che per colpa sua anche stavolta qualche brava persona si farà male o verrà uccisa; che malgrado questo anche stavolta probabilmente non cambierà niente; e che quindi forse bisognerebbe ripensare tutta la strategia; ma ci vorrebbe del tempo; e quel tempo lui non l'ha, è troppo stanco.


E ti chiede come la pensi. Te lo ricordi immenso, quando eri un ragazzino nella folla che stava ad ascoltarlo: adesso è lì in macchina con te, ti apre il suo cuore e ti mostra che è marcio. Cosa facciamo adesso? Ti avanza un po' della fede che distribuiva ai vecchi tempi? Selma è stato salutato come un "film necessario". Purtroppo i film necessari non sono necessariamente buoni film. D'altro canto prima o poi qualcuno doveva spezzare l'incantesimo per cui la figura più importante della comunità afroamericana, l'uomo per cui si chiudono scuole e uffici ogni terzo lunedì di gennaio, non era ancora stato celebrato nelle sale cinematografiche. Ancora negli anni Novanta era paradossalmente più facile realizzare film su personaggi controversi come Malcolm X o le Pantere nere, piuttosto che mettere a fuoco l'uomo-immagine del movimento per i diritti civili. Evitare il taglio agiografico era impossibile, e forse lo è ancora.

A quasi sessant'anni di distanza Martin Luther King, jr continua a essere un simbolo più che un uomo. Anche in sede storiografica non si nota una grande esigenza di sottoporre il mito a una revisione; il peggio che si osa dire su di lui è che gli piacevano più donne di quante un reverendo sposato avrebbe dovuto permettersi, ma il biografo che ha osato definirlo un "donnaiolo" si è poi pentito, è stato frainteso, ecc.. E siccome il pubblico non sembra pronto (né negli USA né altrove) per un leader sessualmente esuberante, anche stavolta non lo vedremo rialzarsi in mutande da un letto non suo. È vero che telefonava a tarda notte a donne sposate (l'FBI aveva accesso ai tabulati), ma solo perché aveva bisogno di sentire un gospel dal vivo. L'adulterio è ammesso, ma non esibito - d'altronde è così importante? In un certo senso sì, uno degli aspetti della grandezza di MLK è proprio il fatto che sopravvisse ai ricatti dell'FBI di Hoover che credeva di poterlo inchiodare alle sue scappatelle sessuali. Il reverendo impersonato da Daniel Oyelowo di fronte alla moglie non nega e non si difende: assume la sua smorfia contrita d'ordinanza e va avanti. Lo stato disastrato del suo matrimonio non è che una tra tante ragioni di frustrazione. È un MLK perennemente imbronciato, insicuro, disilluso, ed è probabilmente l'unico MLK umano che Ava DuVernay poteva permettersi di mettere su pellicola. Di un MLK più machiavellico, che di concerto con Lyndon Johnson manda freddamente bambini e anziane signore in prima linea contro i peggiori sceriffi dell'Alabama - e nel frattempo combina anche qualche festicciola in albergo - per ora nessuno sente l'esigenza.


È un film necessario, si diceva; una certa gravitas era indispensabile, ancorché un po' soporifera; più che al botteghino Oprah Winfrey, Brad Pitt e gli altri produttori guardavano alle scuole che lo proietteranno intensamente nella seconda settimana di gennaio. Ma è proprio qui che Selma delude, ed è un peccato... (continua su +eventi!) perché tutto sommato offre un buon ragguaglio sulle tecniche di non-violenza, e sui sacrifici che comportano (non a caso gran parte dei leader sono ministri di culto: del resto se il tuo metodo di lotta implica la possibilità di ritrovarti inerme davanti a poliziotti armati e fanatici razzisti, la fede in una trascendenza non è obbligatoria ma può aiutare). Il guaio è che Selma regge la prova ferro-da-stiro, ovvero è un film che si può tranquillamente guardare mentre si è in tutt’altro affaccendati, senza perdersi nessuno snodo fondamentale. Al massimo qualche primo piano di Oyelowo corrucciato, o di Carmen Ejogo corrucciata, o Tom Wilkinson perplesso (fa il presidente Johnson, e il film a quanto pare non gli rende onore) o Tim Roth governatore cattivo.

Il film ha il torto di dare per scontata l’attenzione del pubblico, dopo un paio di scene madri iniziali di fronte alle quali commuoversi è obbligatorio. Parlo da insegnante: un film del genere non lo proietterei in un’aula magna: se passa la prova ferro-da-stiro, passa anche la prova smartphone. Per parlare degli stessi argomenti ricorrerò a Mississippi Burning, che ormai ha trent’anni ma almeno offre una chiave per decifrare l’odio di quei razzisti che in Selma sono raffigurati più o meno come orchetti di Tolkien, senza storia né psicologia; oppure li fregherò con Alì, che col pretesto dell’epica sportiva racconta di Emmett Till e dei musulmani neri; e integrerò con qualche scena di Amistade da calcio nello stomaco – quel tipo di calci che i ragazzini sanno apprezzare. Niente di personale: ma se Selma mi ha un po’ annoiato, figuratevi i miei studenti.
Comments

A cosa serve l'intellettuale, per esempio Francesco Piccolo

Permalink

Un anno fa Francesco Piccolo ha ottenuto un buon successo di pubblico e di critica descrivendo l'Uomo di Sinistra così come se lo immaginano, da sempre, gli editorialisti del Corriere e i loro lettori: un bravo ragazzo che poteva e doveva diventare un tranquillo borghese ma a un certo punto - verso i dieci anni - ha deciso di fare un dispetto a suo papà e tifare la squadra simpatica ma sbagliata. Col tempo però ha capito e adesso sta ammonendo tutti i ragazzi a non fare come lui: non perdete tempo a tifare i perdenti, diventate adulti. Le idee di Landini - qualsiasi idee lui abbia, non è che Piccolo perda tempo a esaminarle - vanno rispettate, per carità; sono anche nobili, sicuramente, addirittura "condivisibili"; ma sono perdenti: e quindi Landini non dovrebbe averle. "Landini si iscrive in una storia, la storia della sinistra dalle idee inermi". Prima di lui c'era Tsipras, prima ancora Bertinotti - e Bertinotti, ricordiamolo, fece cadere Prodi nel '98, trauma da cui qualcuno non si è mai ripreso.

Piccolo, all'intervistatore dell'Huffington Post, dice anche altre cose: che ha per esempio apprezzato i libri di Houellebecq e Carrère, che però sembrano tradire una concezione apocalittica che a lui non piace. L'apocalisse infatti semplifica, "rende tutto elementare", mentre Francesco Piccolo ritiene che uno scrittore debba fare lo sforzo della complessità. Quest'ultima cosa ha veramente fatto bene a dirla nell'intervista perché qualcuno agli sforzi della complessità di Francesco Piccolo potrebbe anche non aver fatto molto caso. Infine Piccolo ci spiega quali sono i compiti dell'intellettuale, un po' come faceva Jean-Paul Sartre in quel suo agile volumetto del 1972. Io non so fino a che punto i francesi degli anni Settanta si meritassero Sartre, né quanto noi nel 2015 ci meritiamo Francesco Piccolo; in ogni caso per quest'ultimo l'intellettuale non deve partecipare alle manifestazioni o farsi "portabandiera delle idee"; bensì "osservatori dei portabandiera delle idee". A questo punto non so se sia Giovenale o Corrado Guzzanti a sussurrare dentro me: e chi osserverà gli osservatori?

Tutto molto in linea con l'idea che da sempre si fanno al Corriere: scrittori di sinistra scapestrati in gioventù - gli anni dorati in cui l'intransigenza sbandierata in corteo, se non paga, perlomeno ti garantisce qualche pomiciata - che poi mettono giudizio e scrivono il loro piccolo autodafè settimanale. Nel frattempo però sul Corriere c'è Angelo Panebianco, un professore che ha passato il ventennio berlusconiano a spiegare alla sinistra che Berlusconi vinceva per colpa della sinistra che invece di non essere di sinistra si ostinava caparbiamente a essere di sinistra, Angelo Panebianco dicevo, che di fronte a Renzi potrebbe continuare a scrivere più o meno gli stessi temini - basterebbe sbianchettare "Berlusconi" e scrivere il nuovo nome che per fortuna è più corto - e ne uscirebbe più o meno la stessa broda che produce Piccolo - e invece no: persino Panebianco prova a scrivere qualcosa di più complesso, perfino ambiguo.

In tanti anni non ho mai letto qualcosa di suo così interessante. Renzi, spiega Panebianco, non è Berlusconi, però... proprio per questo le sue riforme non stanno destando gli stessi allarmi, e sono riforme, per carità, non paragonabili a quelle fasciste, e però... una riforma quasi presidenziale qua, una cessione della Rai al governo là, insomma Renzi sta accentrando parecchio, e gli intellettuali dove sono? Non hanno proprio niente da dire?
...non c’è contraddizione fra volere un rafforzamento del governo (e dunque un accrescimento delle capacità d’azione di chi momentaneamente lo controlla) ed essere pronti a criticarne le singole decisioni e azioni. Proprio se si auspica, perché serve alla democrazia, un più forte potere esecutivo, occorre essere pronti a fargli le bucce ad ogni passo falso. Le democrazie hanno bisogno di governi forti (e chi scambia ciò per «autoritarismo» prende lucciole per lanterne). Non hanno invece bisogno di stuoli di cortigiani sdraiati ai piedi del suddetto governo forte. E il premier ne ha tanti.
Qui, per quel poco che conta, si continuerà a osservare i portabandiera dell'opposizione, come vuole Piccolo, ma anche i manovratori, come consiglia Panebianco. Insomma continueremo a roteare a 360° impicciandoci un po' di tutto, come raccomandava quell'altro scrittore più sopra. Ovviamente ciò non basta per fregiarsi del titolo di intellettuale, ma ehi, ognuno fa quel che può nelle circostanze in cui si trova a vivere.
Comments (5)

Insomma i buoni scuola fanno risparmiare o no?

Permalink
Ma alla fine si è poi capito se i buoni scuola fanno risparmiare i contribuenti o no? Sembra che nessuno voglia più parlarne. Chi qualche settimana fa sbandierava i dati si è dileguato. E io rimango qui con la mia domanda: ma possibile che le scuole private debbano chiedere soldi allo Stato per far risparmiare lo Stato? Mi sembra un controsenso. Anche Butta, l'unico che aveva almeno provato a imbastire un ragionamento, non replica più, forse non vuole darmi visibilità.

Io invece gli devo ancora un supplemento di risposta, visto che almeno su un punto ha ragione: non si possono prendere i soldi che lo Stato butta dentro il carrozzone delle paritarie (470 milioni l'anno, secondo i 44 parlamentari), dividerlo per il numero di iscritti alle paritarie e dedurre che ogni studente costa 450 euro l'anno. È veramente il pollo di Trilussa, una media senza senso. Butta ha tutte le ragioni del mondo di prendersela con chi usa la statistica in questo modo truce. Ma perché se la prende con me?

Non sono  mica io che ho raccolto i dati e fatto la divisione. In realtà non saprei neanche dire chi l'ha fatta. Io l'ho presa pari pari dalla lettera dei 44 parlamentari del Pd (e limitrofi). Siccome è a loro che spetta dimostrare una tesi (le scuole private fanno risparmiare), ed è a loro che spetta reperire i dati. Sono un gruppo di pressione parlamentare che cerca di mantenere il finanziamento alle scuole private. Figurati se non hanno i numeri giusti. Figurati se non hanno le competenze, non dico per truccarli (rischierebbero di essere sgamati), ma per renderli il più sexy possibile. È gente che avrà fatto buone scuole, si presume. E quindi se tutto quello che riescono a produrre, per dimostrare che le scuole paritarie fanno risparmiare, è il conteggio risibile di 450 euro a studente, temo proprio che numeri migliori di così non ci siano.

In realtà, come è ovvio, lo Stato non spende 450 euro per studente. Nel caso di molti studenti non spende proprio nulla. Quanti? I 44 parlamentari non ce lo dicono. Scelgono di ignorare il dato. Forse perché è un po' troppo alto? Poi, come ricorda Butta, ci sono le famiglie con reddito tra i 16000 e i 28000 euro (ISEE), che di soldi ne prendono ben più di 450: anche il doppio. Ecco, per loro (da qui in poi "Giovannini") la riduzione dei buoni scuola comporterebbe probabilmente l'abbandono della scuola privata.

Ma sono tanti i Giovannini?
Comments (2)

Bisogna essere idioti (sull'internet)

Permalink
"Toscana. O sei solo contento di vedermi?" 
Tra le varie ipotesi su come internet ci stia modificando - il che non è necessariamente un male, non è che prima fossimo proprio così belli o funzionali - mi domando se non sia già stata formulata quella dello Sbaglio consapevole e programmato. Magari qualcuno l'ha già messa in circolo con un nome migliore. Ma insomma mi riferisco a tutte quelle notizie, o dichiarazioni, o iniziative terribilmente sbagliate, comunicate magari in modo ancora più sbagliato, che proprio per questo attirano quella parte della nostra attenzione che si può misurare in clic, come la attira un incidente stradale o un bambino che scivola su una buccia di banana. Per fare un esempio di ieri: la Santanché dice una cosa razzista e vagamente complottara? In questo non c'è nulla di sbagliato, la Santanché ha un bacino di utenza razzista e vagamente complottaro. Qualche centinaia di migliaia di clic se li prende di sicuro.

Ma se la Santanché, dicendo una cosa razzista e vagamente complottara, scrive "autobus" al posto di "aeroplano", i clic diventano milioni. C'è insomma intorno al bacino della Santanché un oceano di gente potenzialmente interessata alle cazzate che scrive la Santanché, ma che le noterà soltanto se la Santanché scrivendole commette un lapsus qualunque. Quindi il lapsus a un certo punto può fare la differenza. Se un fascista che scivola su una buccia di banana fa più clic del fascista che parla al balcone, non risulta così strano che i fascisti si mettano a cascare apposta sulle bucce di banana. Purtroppo non funziona così solo coi fascisti - la tentazione dello Sbaglio consapevole ci riguarda tutti, in un mondo in cui le bucce di banana fanno mille volte più accessi di un contenuto bello o interessante.

Un altro esempio freschissimo è il logo Expo della regione Toscana. I loghi, come è noto, fanno notizia soltanto quando sono brutti. Quelli belli diventano parte del paesaggio; dopo un po' smettiamo di notarli, al punto che a volte le compagnie per attirare l'attenzione cedono alla tentazione di peggiorarli con qualche restyling. Stavolta però all'opera c'è un brutto talmente efficace, talmente due-punto-zero, da generare in me che lo guardo il sospetto di avere davanti uno Sbaglio consapevole: possibile che il grafico che ha messo assieme il rebus sia l'unica persona al mondo che non vede l'erezione di Pinocchio? Questa non è una buccia di banana, questa è un'immagine che sembra creata apposta per diventare virale sui social network. La gente riderà della trombetta pinocchiesca, la condividerà con gli amici, e il prodotto si guadagnerà tutta la visibilità che un bel logo non avrebbe mai ottenuto. Ecco.

La lotta per la sopravvivenza virale è appena iniziata. Cosa sarà di noi, di qui a qualche anno? Passerà la moda dei titoli trucidi o evasivi? Io già da qualche anno ho aumentato gli errori di battitura per indurre al clic almeno i grammarnazi. La gente in realtà legge di tutto, ma solo dopo aver cliccato; e clicca solo se intravede qualcosa di pazzesco o ridicolo. Bisogna essere pazzeschi o ridicoli. E il guaio è che non lo puoi programmare, perché la gente se ne accorge se lo fai apposta: dev'essere una cosa spontanea. Devi essere te stesso e te stesso dev'essere un imbecille. Io magari partivo avvantaggiato ma è stato una vita fa. È dura, sempre più dura; e io temo davvero di non essere imbecille abbastanza.
Comments (7)

A Tom Hardy non gli tocchi il cane

Permalink
Chi è senza colpa (Michaël Roskam, 2014)


Un cane è una grossa responsabilità, Bob Saginowski non è sicuro di volerne uno. Ha già i suoi casini con il cugino ex gangster che non riesce a tirare i remi in barca, la mafia cecena che gli ha rilevato il bar e lo usa come copertura, un detective che non ha niente di meglio che stargli addosso, e il diavolo che ogni mattina gli ricorda che nessuno è senza colpa, e lui in particolare. Se a tutto questo aggiungi un cane a cui insegnare dove fare i bisogni, un cane da sfamare tutti i giorni, un cane da difendere dallo psicopatico che lo ha ficcato in un bidone della spazzatura e ora vuole riprenderselo, insomma Bob Saginowski non è sicuro di essere pronto. È un passo importante.

La locandina di The drop si gioca la carta di Dennis Lehane, caso esemplare di autore noir conosciuto meno per i suoi libri che per le versioni cinematografiche che hanno ispirato. Mystic River, Gone Baby Gone; persino Shutter Island lasciava intravedere tra gli sbraghi di sceneggiatura la consistenza dell'intreccio originale. The drop conferma la qualità del narratore, ma ha il respiro più corto: non è tratto da un romanzo ma da un racconto, e si nota. È una piccola storia che Roskam sposta da Boston a Brooklyn ma che avrebbe funzionato anche a Scampia, Marsiglia, o in qualsiasi quartiere difficile in cui le grandi catene di distribuzione del narcotraffico hanno soppiantato le buone vecchie piccole gang radicate nel territorio (continua su +eventi!)

Senza preoccuparsi di muoversi tra i più frequentati luoghi comuni del genere, il regista belga Roskam (Bullhead) manda avanti il film con una certa scioltezza, inciampando due o tre volte in scelte discutibili ma mantenendo la tensione alta fino alla risoluzione finale, prevedibile ma godibilissima. Gran parte del merito va ovviamente agli attori, ma chi entra in sala per dare l'ultimo saluto al grande Gandolfini dovrà rassegnarsi a vederlo relegato in un ruolo da comprimario, reso con la sicurezza di un caratterista di eccezione. Più a fuoco è un Tom Hardy imbambolato, che si aggira bofonchiando per i set con un'andatura da soggetto borderline. È bravissimo, anche se un po' troppo bello e giovane per essere davvero in parte (tra lui e il "cugino" Gandolfini ci sono quasi vent'anni). Noomi Rapace porta anche stavolta sulla pelle i segni di un passato difficile, anche se qui è inverosimilmente retrocessa a damigella in pericolo. Matthias Schoenaerts, connazionale del regista, si ritrova un po' a caso nella parte dello stalker psicopatico e almeno decide di non calcare i toni. Chi è senza colpa è una bella storia che scivola via molto rapida, lasciando agli spettatori almeno una scena memorabile. Al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo alle 20:20 e alle 22:45.
Comments

L'estate rovente del ministro Poletti

Permalink
Se la prendono tutti col ministro Poletti, eppure che ha detto di male? Tre mesi di vacanze estive sono davvero tanti. Se solo il clima fosse più clemente, se si potesse prolungare un po' l'anno a giugno e chiudere due settimane in primavera, come in Francia o in altri Paesi meno succubi del calendario cattolico... Tanto più che per la maggior parte di questo tempo le scuole - contrariamente a quanto molti pensano - non sono affatto chiuse. Le segreterie restano aperte al pubblico fino ad agosto, e i genitori che vengono a informarsi o iscrivere i figli possono persino incrociare qualche docente: ebbene sì, anche loro lavorano - anche se è un lavoro a bassa intensità. Insomma, le strutture ci sono, il personale che le tiene aperte e le pulisce è già assunto e pagato; tante aule vuote si potrebbero riempire in qualche modo. Se solo si trovasse un'idea.

Poletti però quell'idea non ce l'ha. Parla di formazione ma rimane sul vago, ricorda i bei tempi di quando i suoi figli scaricavano cassette di frutta (nota: non ricorda le sue cassette di frutta, ma quelle dei figli), sembra avere in mente più il classico lavoretto estivo che un vero e proprio progetto di avviamento professionale. Non si può non sottoscrivere le parole del vicepresidente dell'Associazione Nazionale Presidi, quando fa notare che "Poletti è l’ennesimo ministro che si pronuncia sulla questione, ma mai, finora, alle parole hanno fatto seguito prassi organizzative coerenti". Le sue boutade buttate lì ai giornalisti ormai rientrano in un vero e proprio genere letterario-giornalistico: la sparata da convegno. Quella classica situazione in cui non sai cosa dire e ne lanci un paio, e nemmeno tu l'attimo dopo sai se hai aperto la bocca per ansia di visibilità o semplice noia.

Adesso è su tutti i giornali, Poletti, senza nemmeno sapere cosa vuole. Gli insegnanti sono già sul chi vive, gli studenti allarmatissimi: quella cosa delle cassette di frutta in effetti ha un suono sinistro quando a proportela non è un genitore a integrazione della paghetta, ma un ministro della Repubblica. In fondo che ha detto di grave? Niente, ma abbiamo ancora negli orecchi il boato delle sparate precedenti. L'anno scorso fu il sottosegretario all'istruzione Reggi a parlare di scuole aperte fino alle dieci di sera, e fino al trenta luglio. Gestite da chi? Ma dagli insegnanti, ovviamente, che avrebbero potuto raddoppiare il loro monte ore di lezioni settimanali, da 18 a 36. Trentasei furono anche le ore che ci mise a smentire di aver proposto una cosa del genere. Ma l'anno prima era stato l'indimenticato ministro Profumo a buttar lì un aumento da 18 a 24, che in fondo non sarebbe nemmeno una brutta idea - se a quel 33% di lavoro in più Profumo avesse voluto far corrispondere un adeguamento salariale. Invece no, Profumo non aveva intenzione di cacciare un euro in più, visto che non ne aveva. Ma non intendeva neanche mettersi a contrattare. Era stata solo una cosa buttata lì a un convegno - come quella volta che propose en passant di abolire l'insegnamento di religione, immagino che capiti anche voi al bar di suggerire il superamento del concordato tra Stato e Chiesa, senza che nessun noioso giornalista pretenda di farci i titoli il giorno dopo.

Ma prima ancora di Reggi e di Profumo c'è stato Renzi. Credo davvero che nessuno darebbe tanto peso alle nostalgiche cassette della frutta di Poletti se a monte di tutto non ci fosse quell'antico pallino del premier per il Servizio Volontario Però Obbligatorio. Quella stramba idea del lavoro giovanile gratis che sentimmo più volte durante le campagne per le primarie, e poi ci dimenticammo, come di tante altre cose. Ecco, i ragazzi forse no, i ragazzi a queste cose ci fanno più caso. Poi per carità, da noi continuerebbero volentieri a scaricare cassette di frutta in luglio. Un po' perché è un'esperienza che ti fa crescere, un po' perché il luglio in Valpadana è veramente noioso, ma soprattutto per quel po' di euro che puoi metterti in tasca. Non per l'anima del volontariato, no.
Comments (2)

Il partito passivo (e aggressivo)

Permalink
Da quel poco che ne ho letto, l'altro giorno la Minoranza del PD si è adunata in assemblea e ha protestato contro Renzi, non tanto per il Jobs Act (del resto lo ha votato); non per la ridicola riforma elettorale (votata); non per l'inquietante riforma costituzionale (idem); non per il Ddl sulla scuola; non per questo e non per quello; ma per l'arroganza. Cioè noi ti votiamo tutto, a volta senza neanche lamentarci troppo: ti votiamo tutto quello che i nostri elettori ci rinfacceranno a vita; tu non potresti almeno usarci un po' di garbo? È molto difficile proseguire questo capoverso senza indulgere in qualche stereotipo di genere: mariti violenti, mogli rassegnate, ecc. Meglio andare subito a capo.

Se c'è una costante nella traiettoria politica di Bersani, da quando ha lasciato la sua tranquilla carriera nell'amministrazione locale, è il trovarsi sempre nel posto più scomodo e nel momento più difficile. Cosa altro dovrebbe fare, se non portare pazienza e mandar giù anche stavolta? Troppo concreto per immaginar scissioni, troppo franco per fingere che il renzismo gli piaccia, Bersani ormai si lancia in acrobazie mirabili ma un po' tristi. Una volta l'ho sentito dire che la riforma costituzionale (da lui votata) andrebbe bene, ma combinata con la riforma elettorale (votata pur'essa) allora no, allora si rischia il totalitarismo o qualcosa del genere. Insomma il renzismo si può accettare un pezzo alla volta, ma tutto insieme fa male. Oppure ci si può lamentare dei modi: Renzi ha i numeri per costringerci a fare di tutto, ma potrebbe farlo più piano.

Tutto questo è imbarazzante? Un po' sì. È evitabile? Non saprei. Ormai mi sono abituato all'idea di un Pd a doppio colore, come le pedine dell'Othello: a seconda della contingenza, del leader e degli avversari, può decidere di essere socialdemocratico o neoliberale, antiberlusconiano o postberlusconiano, salvare la costituzione o farla a coriandoli. Non sono nemmeno sicuro che sia un problema, anzi probabilmente è una delle forze del PD, come della sua grande madre bianca.

Non è una questione di persone diverse, perché il D'Alema che ieri lamentava l'arroganza ai suoi tempi fu il più arrogante di tutti, e ai tempi del correntone i veltroniani gli sfilavano a sinistra. A essere pedine bicolori sono le stesse persone che parlano, discutono, si dividono, si riuniscono. Su Leftwing il presidente Orfini ha fatto sapere che la minoranza ha ragione su un sacco di cose che Orfini ha già detto e scritto, su libri che per adesso restano in alto sulle mensole ma che si potrebbero ripubblicare in qualsiasi momento in cui il renzismo non valesse più il 40% e molte pedine bianche si riscoprissero nere. A questo punto, come chi ha giocato a Othello sa, conviene stare ai bordi e aspettare. La partita si decide in poche mosse e non ha importanza chi ha avuto la maggioranza tutto il tempo: controllare gli angoli, piuttosto.
Comments

No, non mi hai dimostrato che la scuola privata mi fa risparmiare

Permalink
Su un blog può capitare di essere più superficiali del necessario, per fretta o per stanchezza o per tattica. In un pezzo di qualche giorno fa mi chiedevo se davvero la scuola privata facesse risparmiare lo Stato e quindi i contribuenti; domandavo ai sostenitori di questa tesi dove avessero preso i loro numeri, e nel frattempo, prendendoli per buoni, rovesciavo completamente le loro argomentazioni: se davvero i buoni scuola costano così poco e fanno risparmiare così tanto, eliminarli del tutto farebbe risparmiare allo Stato ancor di più. Dunque - se i numeri sono quelli - aboliamoli! Si trattava di una tesi paradossale, buttata lì per far uscire allo scoperto i fan dei buoni scuola. Siccome il tutto parte da una loro affermazione (i buoni scuola fanno risparmiare), spetterebbe a loro dimostrarla. In precedenza li avevo visti bellicosi e mi aspettavo di ritrovarmeli a tiro in breve tempo.

Non si è più fatto vivo nessuno.

In realtà no, qualcuno ha voluto commentare, da Praga addirittura. L'intervento di Butta.org è molto interessante, ma purtroppo muove da un equivoco. Butta se l'è presa perché ho usato la parola "dimostrare", che in ambito scientifico ha un significato molto rigoroso, mentre la mia dimostrazione di rigoroso non aveva nulla. È vero, era una cosa molto cialtrona. Il mio pezzo, mi fa sapere, non reggerebbe la peer review di una rivista di economia. Credo anch'io. Mi sembra però che Butta non abbia colto l'aspetto paradossale e polemico della questione: ovviamente non sono un economista, ma anche se ne fossi capace io non potrei dimostrare che i buoni scuola fanno risparmiare, perché non ho i dati e non voglio cercarli: non spetta a me. Io sono quello scettico che deve essere convinto.

Butta, per esempio, se ci crede, potrebbe cercare i dati e offrire una dimostrazione.

E infatti ci prova.

Ma la peer review se la sogna. Anche il suo paper è eccezionalmente povero di dati: dovendo pur partire da qualche numero, anche solo per stabilire quanto può costare una scuola privata in Italia, decide di andare su un sito a caso e prendere una retta a caso. È un po' come se per stabilire quanti polli mangia un italiano alla settimana, Butta decidesse di prendere un italiano a caso e chiederglielo: sospetto che esistano sistemi più affidabili di rilevazione statistica, più o meno da Trilussa in poi, ma lo scienziato è lui, saprà pure quel che fa. Nel frattempo però ha perso completamente di vista la mia argomentazione: io non mi preoccupavo di sapere quanto costi effettivamente una scuola privata in Italia (non spetta a me l'onere della prova!), ma mi domandavo quanto dovrebbe costare. E siccome ho il dato MIUR delle scuole pubbliche - 5000€ ca. - e ho buoni motivi per ritenere che la scuola pubblica costi molto poco, parto dall'assunto che una scuola privata di scarsa qualità, per non essere una truffa ai danni dell'utente, dovrebbe costare più o meno cinquemila euro.

"Sì, ciao", risponde Butta.

Lui lo sa che le scuole private costano meno (ne ha presa una a caso).

Ma temo che non abbia capito. Sono anch'io abbastanza sicuro che mediamente costano meno. Ma mi domando il perché. Già le pubbliche costano pochino. Come fanno le private a essere così convenienti?

Lui sa anche il perché: ad esempio, pagano meno gli insegnanti.

Grazie, Butta, non è che non ci fossimo arrivati. Il problema è che gli insegnanti statali sono già pagati poco rispetto a una media europea. Quindi se gli insegnanti delle scuole private sono pagati ancora meno, si può tranquillamente dire che sono sottopagati: il che è ingiusto non solo nei loro confronti, ma anche rispetto ai clienti della scuola - gli studenti - che infatti in media hanno risultati inferiori ai loro compagni che frequentano le pubbliche. Tanto più che le dimensioni massicce e capillari della rete pubblica le consentono di distribuire le risorse con un'efficienza che piccoli enti privati non possono permettersi (ad esempio: se in due scuole pubbliche avanza una mezza cattedra, la scuola pubblica può spalmare un docente su due sedi; due scuole private pagherebbero di più. Per tacere delle forniture). Come possono le scuole private costare in medie mille o duemila euro in meno (prendendo per buono il dato che Butta ha estrapolato da una scuola a caso su tutto il territorio nazionale) e offrire lo stesso servizio di una scuola pubblica? O il servizio è inferiore - e i dati sembrano dirci questo - o... c'è qualche altra possibilità?

Certo che c'è. È lì che vanno a parare tutti i difensori della scuola privata, invariabilmente. Gli sprechi.

La scuola pubblica sarebbe piena di sprechi.

Fonte?

Quando ero a scuola io c'era un bidello che non faceva un cazzo.

Grazie per la testimonianza. Ma pensavo che avessi delle cifre, non so, statistiche sull'assenteismo... no, il metodo è sempre lo stesso. Si prende un campione molto ristretto (Butta) e gli si chiede come gli è andata.

Non gli è andata tanto bene. C'era questo bidello (ma quanti bidelli lavoravano nelle scuole in cui è passato Butta? Decine, centinaia, lui conosce un caso solo?) e inoltre ha conosciuto un insegnante che non sapeva insegnare.

Uh, sapessi io.

Ma vedi, è un po' il problema di tutti quelli che parlano di scuola.
Comments (8)

I grillini e il "baronetto"

Permalink


Stefano Dolce e Domenico Gabbana investono abbastanza denaro in inserzioni da poter dare per scontata la compiacenza dei gruppi editoriali italiani più importanti; tanto più interessante risulta l'appoggio totalmente gratuito e disinteressato dei parlamentari m5s, che per voce di Tiziana Ciprini accusano il "baronetto" Elton John di ricattare non solo D&G, ma l'Italia intera. (Elton John peraltro non è un baronetto, ma mica si può pretendere che i parlamentari controllino su google: e poi alla fine è tutta un'opinione, e chi siamo noi per non rispettare un'opinione?)

Se qualcuno avesse ancora voglia di spiegare quanto sia cambiato il Movimento 5 Stelle dal grillismo degli esordi, il discorsino della Ciprini potrebbe risultare utile: basti pensare a quanto si usava la parola "boicottaggio" tra i membri dei primi MeetUp. Si boicottava la Nestlè per un buon motivo, McDonald per un altro buon motivo, eccetera. Il Movimento nacque in quel brodo primordiale pre-www, di quando le informazioni sui boicottaggi viaggiavano ancora negli allegati mail. A quel tempo nessuno sarebbe morto per difendere le opinioni di D&G. Costoro a dire il vero fino all'anno scorso comparivano nelle liste grilline degli imprenditori che tradivano l'Italia, trasferendo sedi fiscali in "paesi a fiscalità privilegiata". Oggi tutto è perdonato - anche perché nel frattempo la Cassazione li ha assolti - e chi minaccia di boicottarli è un nemico della patria, più o meno. Il finale dell'intervento è un piccolo capolavoro di strapaese involontario, perfino divertente per chi ancora ha lo stomaco di ridere dell'inadeguatezza di chi ha vinto a tombola un seggio in parlamento. C'è anche la proposta per un plurale di "fatwa", e un "colonizzato" abbreviato in "colono" (sempre meglio di colon, dopotutto).
Ci mancava solo un multimilionario angloamericano annoiato a lanciare fatwe contro le nostre aziende.
Ricordo all'inglesino che 9 milioni di italiani di tutte le età sono in sofferenza lavorativa secondo gli ultimi dati Eurostat e che siamo sempre più un Paese colono dei poteri finanziari centrali del Nord Europa e statunitenzi che ci stanno riducendo in un popolo di schiavi. Pertanto chiedo all'illustre baronetto di chiedere scusa in primis ai lavoratori italiani del gruppo D&G, grazie. 
L'illustre baronetto è insomma il complice di un enorme complotto ai danno dell'Italia, ordito dagli americani coadiuvati dai tedeschi o viceversa. Deve pertanto chiedere scusa ai lavoratori, purché italiani, perché è l'Italia che si offende qui. Dove si capisce che alla fine D e G possono aver reagito un po' istericamente, ma hanno toccato corde sensibili, non solo in zona Forza Nuova. Forse tutto questo è davvero il frutto di un riposizionamento: da brand globale a epitome di un certo tipo di italianità retrograda, che poi magari piacerà a livello globale proprio perché puzza un po' di capra e di patriarcato. I nostri maschi in canottiera, le nostre donne col pancione, i nostri ragazzini discinti e disponibili, tutto molto pitoresco. Non giudicateci, amateci per quello che siamo, lasciateci mance cospicue e poi tornate a casa a fare le vostre cose moderne.

Anche al M5S insomma hanno deciso che devono essere gli altri a morire per le nostre opinioni. Noi no, noi abbiamo il diritto di manifestarle senza che nessuno osi offendersene. Chi si offende è un fascist, e se si attenta a non comprare più le nostre merci è un ricattatore e uno schiavista. Va bene, basta saperlo. 
Comments (5)

L'eclissi del '99 (vuoi mettere con)

Permalink
http://www.eclipse-maps.com

Un'eclissi non dovrebbe cogliere alla sprovvista nessuno, dal tempo dei Caldei. E invece anche stavolta le ferramenta hanno esaurito gli occhialini da saldatore. Ma vuoi mettere col Novantanove?

Non ne faccio una questione di nostalgia - ho peraltro qualche conto in sospeso con gli anni Novanta - ma nel '99 se ne parlava da mesi, e ovunque cartine con indicata la fascia in cui l'oscuramento sarebbe stato totale, e l'Unione Europea non era ancora un'arcigna battitrice di moneta, ma una zia simpatica che elargiva occhialini (un anno dopo sarebbero arrivati gli Euroconvertitori). Anche gli occhialini però finirono subito - sembrava una mania - qualcuno da qualche parte ne faceva evidentemente incetta pensando a tutte le eclissi future; e poi ricordo che c'erano gli occhialini seri e quelli meno seri, questi ultimi molto rischiosi perché la gente si sarebbe fidata di essi e avrebbe fissato l'eclissi fino ad accecarsene - e ricordo bene anche il curioso fenomeno per cui tutti gli ammonimenti elargiti in tv dagli esperti ("Non fissate a lungo il sole! Usate protezioni!") avevano immediatamente creato la leggenda metropolitana per cui era l'Eclissi, e non il Sole, ad accecare la gente. Ricordo abbastanza bene tutte queste cose.

Più che l'eclissi in sé.

Ero in Francia e, a un certo punto, in bicicletta. Uno schermo protettivo alla fine non lo avevo, il mio Centro sociale li aveva finiti e io mi ero detto boh, qualcuno me lo presterà. Stavo andando verso la piazza, dove probabilmente qualcuno me lo prestò. Capii in quell'occasione che un'eclissi o è totale o una mezza delusione. Oggi preparavo appunto i ragazzi a questa sensazione: non si vedranno le stelle. Se non sarà già nuvolo di suo sarà come in estate quando una nuvola molto spessa si para davanti al sole all'improvviso, la stessa sensazione di scivolare nell'ombra all'improvviso, e forse i cani nemmeno abbaieranno. Mio padre mi ha procurato una vecchia maschera da officina, roba seria, così alla fine stavolta risulterò meno impreparato che nel Novantanove. Ma vuoi mettere.

"Ma perché quando era giovane lei distribuivano gli occhialini, e adesso no?"
"Bella domanda".
"È la crisi, vero?"

Ci sono abituati. Quest'anno sono i ragazzi del 2002, l'Unione Sovietica è un antico impero su vecchie cartine muffe, le Twin Towers una storia pazzesca che sta sui libri e nei film, la lira un mistero indecifrabile come per noi le cifre in rubli o ghinee nei romanzi dell'Ottocento. Per quanto si possono ricordare Obama è sempre stato presidente, e la crisi è sempre stata la risposta a tutte le domande. Li invito all'ottimismo: prima o poi deve finire, e immaginatevi se finisce proprio quando vi diplomate voi! Non ci credono. È come se al me stesso tredicenne qualcuno avesse raccontato dell'imminente caduta del Muro di Berlino.

"Tutta questa informazione ha ucciso l'incanto, sapete. Se nessuno di voi avesse sentito parlare dell'eclissi, sapete cosa potrei fare stamattina? Minacciarvi di oscurare il sole se non cominciate a fare i compiti seriamente. La conoscenza è..."
"Prof ma lei non può oscurare il sole".
"...potere".

1999. Ricordo molta musica francese, un po' perché stavo là e un po' perché gli Air avevano appena fatto il botto. Non c'era ancora il blog ma alla mediatheque passavo una mezz'ora al giorno a scrivere mail ai contatti italiani. Si litigava sul Kossovo. Al cinema Eyes Wide Shut, Rosetta, Tutto su mia madre. La lista Bonino Presidente prese un fracco di voti a quelle elezioni europee a cui non riuscii a votare, proprio mentre stavo facendo un servizio volontario europeo. D'Alema perse qualche punto e reagì con un rimpasto di governo. Il direttore del centro sociale aveva pietà di me e mi aveva prestato le chiavi di un enorme furgone, se ci ripenso non credo di aver mai meritato in vita mia tanta fiducia. Un giorno diedi un passaggio a una ragazza che mi presentò i suoi amici, erano tipi a posto ma facevano davvero quella cosa di mangiare la pasta scondita e senza sale. Le lettere che m'interessavano davvero arrivavano ancora nella cassetta della posta, ma ci mettevano troppo. Da qualche parte probabilmente lessi che la prossima eclissi importante sarebbe stata nel 2015, e me ne dimenticai subito. Facevamo ancora fatica a credere che ci sarebbe stato di lì a poco un 2001, come potevamo credere all'esistenza fisica di un 2015?

Cercherò su wikipedia, troverò la data della prossima eclissi parziale. Mi farò un appunto, scriverò una mail a me stesso, comprerò un paio di occhialini e li nasconderò in un posto dove non me li dimenticherò. Non mi farò più trovare impreparato. Le guerre capitano, i terremoti non li puoi prevedere, le crisi hanno i loro cicli misteriosi. Ma le eclissi no, le eclissi le conosciamo. E la conoscenza è potere.
Comments (5)
See Older Posts ...