Il poliziotto che pestava ragazzi disarmati con vigore cameratesco

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Sarebbe più interessante se fossero i poliziotti a raccontare cosa fu Genova per loro, mi dicevo. Lunedì ho letto di Gianpaolo Trevisi, che era là fuori a mettere la faccia davanti ad Agnoletto, e per l’occasione ha proiettato Diaz ai suoi allievi, invitandoli a riflettere sul fatto che “nella maggior parte dei film o delle serie televisive, grazie alle quali molti amano la Polizia, è quasi tutto inventato e nell'unico, forse, unico film che ci distrugge è tutto drammaticamente vero, in quanto basato su fatti processualmente verificati”.

Vedi che qualcosa è cambiato, mi sono detto. Ma proprio allora inciampo in un altro poliziotto che ci informa che lui quella notte c’era, e che lo rifarebbe mille volte: altri mille denti cavati a mille studenti disarmati? Finalmente, tra gli insulti a chi è abbastanza morto da non poter replicare, scopriamo perché bisognava assolutamente pestare a sangue gente in sacco a pelo:

“Quello che volevamo era contrapporci con forza, con giovane vigoria, con entusiasmo cameratesco a chi aveva, impunemente, dichiarato guerra all'Italia, il mio paese".

Caro poliziotto, mi spiace se ora finirai nei guai soltanto perché hai voluto essere sincero su facebook. Mentre quando spaccavi ossa nessuno ti ha fatto niente. Il punto è che tu pensavi di contrapporti con forza e giovanile vigoria, ma quel che è successo è che hai bastonato degli indifesi disarmati. Non ti sei coperto di gloria, ma di un’altra cosa. Tu e lo Stato che magari da stasera non rappresenti più.
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Spendi spandi spending review

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Qualche tempo fa Enrico Letta, salito un attimo a palazzo Chigi per tenere il posto in caldo, constatata la necessità di tagli drastici ma non scriteriati, nominò Carlo Cottarelli commissario straordinario per la revisione della spesa. Si trattava di un compito di una certa responsabilità, e Cottarelli non lo prese sottogamba. Provvide anzi alacremente a nominare una nutrita schiera di collaboratori, suddivisi in venti sottogruppi che, nel giro di un anno, produssero una serie di rapporti ora finalmente disponibili on line. Non c’è dubbio che sfogliandoli ci si possa fare un’idea su quali siano i tagli necessari e non più posticipabili.

Ma sono ottocento pagine.

Non resta che nominare una commissione che se li legga e ci faccia un riassunto, tanto più esauriente se la si dividerà a sua volta in una diecina di sottocommissioni, ognuna con un capitolo specifico da studiare e sintetizzare. Quando si tratta di risparmiare, da noi non si bada alle spese.

(Visto che mi avanzano un po’ di caratteri, li regalo a Francesco Daveri: Fino a che la politica dà in appalto ai tecnici la stesura di un listone di cose da fare, anche radicali, non si va da nessuna parte. Le listone dei chirurghi dei tagli sono montagne che hanno finora partorito solo il topolino della listina di spesa “aggredibile”. Con l’unico risultato che la spesa pubblica in percentuale sul Pil è aumentata di tre punti dal 2003 a oggi, per un totale di cinquanta miliardi in più.)
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A certe feste si va per litigare: il caso 25 aprile

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In 1500 caratteri la farò semplice. Questa è la bandiera della Brigata Ebraica, che diede un nobile contributo alla guerra di liberazione dal nazifascismo.



Bella. Questa è quella dello Stato di Israele, nato poco più tardi, che da tempo occupa alcuni territori dove secondo la comunità internazionale dovrebbe sorgere lo Stato di Palestina.



Pur simili, rappresentano cose un po' diverse. Perciò credo sarebbe stato utile, negli anni scorsi, portare nei cortei del 25/4 soltanto la prima, magari cogliendo l'occasione per spiegare che non era la seconda; e che la stella in sé rappresenta l'ebraismo, non uno Stato che ha una storia gloriosa ma non ha contribuito alla guerra di liberazione italiana (non ha fatto in tempo), e in questo periodo sta occupando territori di un altro Stato.

A quel punto chi venisse comunque a fischiare non ci lascerebbe dubbi: non fischierebbe Israele, ma l’ebraismo. Non esprimerebbe un sostegno alla Palestina, ma il proprio antisemitismo. Purtroppo non è mai successo.


Perlomeno, in tutte le foto che mi è capitato di vedere di cortei del 25/4, per ogni bandiera della brigata ebraica ne ho vista una dello Stato di Israele. E quindi? Niente, fate come credete. Ma non venite a dire che il 25 aprile è di tutti e che non volete litigare. Il 25 aprile non è mai stato di tutti; c’è sempre stato qualcuno che voleva litigare. Chi viene con la bandiera di Israele - e vuole fuori quelli con la bandiera della Palestina - non sarà il primo, ma non è da meno.

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Non nutrite il Langone (se potete)

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C’è una specie di tacita alleanza, tra chi come Camillo Langone ormai da anni non fa altro che spararle grosse, più grosse che può, e chi, all’ennesima sparata, proverà gusto a rispondergli: vergogna, Langone, che hai scritto? Che Samantha Cristoforetti invece di diventare astronauta doveva restare vicina al suo uomo? Ma vergognati, ma quanto sei retrogrado (e quanto sono io all’avanguardia se invece lo faccio notare... )

È un gioco delle parti, da molti praticato in buona fede. No, L. non è un retrogrado. Scrive su un giornale che ha anticipato di alcuni anni le dinamiche di Internet. Il Foglio era un blog di carta, prima che nascessero i blog: e sul Foglio, da troppi anni, Langone ci sta semplicemente trollando.

Dietro la sua maschera di viveur bigotto, c’è un tizio che si eccita in privato leggendo le vostre reazioni stizzite. Un po’ triste, a mio parere. Non ha mai scritto nulla che sappia davvero di cattolico al palato dell’intenditore; se qualche prete lo legge, lo fa per divertimento come dovreste fare voi. Credo sia l’ultimo al mondo a cui freghi davvero qualcosa dell’h del nome Samantha (un po’ fastidiosa, l’ammetto). Si nutre dei vostri contributi e della vostra rabbia: se i primi non c’è verso di interromperli, quest’ultima meriterebbe bersagli più sinceri.

D’altro canto capisco la tentazione: le spara così grosse. E se la intercetto io per primo, e rilancio a tono, poi tutti mi verranno a sollevare. Lo so, lo so come funziona. Non posso certo giudicarvi.
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Addio Friendfeed, mi piacevi

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Facebook non ha inventato il tasto mi piace. Fu un altro social network a introdurlo nel 07, Friendfeed. Mai sentito parlare? Eppure è sempre stato più veloce, più semplice, elegante, e senza pubblicità. Infatti dopo due anni Facebook lo comprò, ne utilizzò il codice e poi lo abbandonò a vivacchiare su un server. Ff era così ben progettato che ha continuato a funzionare fino a venerdì, quando (dopo un mese di preavviso) l’ultimo dipendente che lo gestiva ha staccato la spina.

È stata un’agonia dolcissima. I suoi utenti - tra cui un’affezionata migliaia di italiani - gli sono stati vicini fino all’ultimo, celebrandolo addirittura con feste nella vita reale. Il trito rituale quotidiano con cui tutti consultiamo le solite pagine ogni mattina da 5 o 6 anni si è interrotto, e abbiamo ritrovato contatti persi di vista, rispolverato vecchie storie, conosciuto persino facce nuove. La morte migliore che un social network si possa augurare.

Friendfeed non esiste più, ma lascia ai suoi utenti un gran ricordo. Fino all’ultimo è rimasto una bella palestra, e non diventerà mai una copia disabitata di sé stesso, come MySpace o SecondLife. Forse tutti i social network andrebbero falciati ogni 5 anni. Non potendo cambiare casa, lavoro o città, sarebbe sano potersi lasciare alle spalle almeno la paginetta a cui diamo un’occhiata ogni mezz’ora. Perderemmo forse qualche contatto, qualche “amico”? Ma uscendo fuori a cercarlo, chissà quante cose nuove scopriremmo. Ciao Ff, mi sei piaciuto.
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Il ritorno del no global pentito (un'esclusiva per il Foglio)

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Sul Foglio.it campeggia la letterina di un tizio che andò minorenne al G8 di Genova, "aizzato" tra l'altro da una trasmissione di Fabio Volo (?) Dopo aver preso un po' di mazzate, invece di tamponarsi la testa sanguinante si unì a un gruppo di devastatori, provando un inedito "furore punk" - ma sfogandosi su una vetrina già rotta "per solidarietà". Comunque se n’è pentito. Se n’è pentito davvero tanto. A Genova "quasi tutti fummo colpevoli", dice, ma nessuno ammette i propri errori. Parla per te, è la più ovvia reazione: io non ho rotto niente e mi caricavano comunque. Ma non è questo il problema.

I ragazzi erano seduti a terra con le gambe
 incrociate e le braccia in alto, quando furono
trascinati via dagli uomini della Digos.
Perugini e quattro sottufficiali falsificarono
i verbali della cattura, farcendoli di bugie.
Durante il trasferimento in macchina al carcere,
due dei no-global furono minacciati con
una pistola: Vi ammazziamo, bombaroli di merda".
Il testo è di 4 anni fa: chissà se l’autore nel mentre si sarà liberato dal senso di colpa per la povera vetrina. Il suo racconto da piccolo Fabrizio Del Dongo alla battaglia sembra mescolare episodi del 20 (agguati e camionette) e del 21 (corteo sul lungomare), il che non significa che sia falso: capitò a molti in quei giorni di confondere ricordi personali con le immagini che venivano riversate in tv o internet. Neanche questo è il problema.

È che alla fine tutti questi racconti sono uguali: treno-mazzate-devastazioni-treno. Quanto sarebbe più interessante un coraggioso sito o foglio che pubblicasse il ricordo di un poliziotto giovanissimo, addestrato da “maestri” che gli raccontavano di gavettoni di sangue infetto, e poi mollato in libertà a sparare controvento gas urticante e picchiare i primi che incontrava. Quella sì, che letterina sarebbe. Com'è che non la scrive nessuno.
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Gli stragisti italiani e i loro cattivi maestri

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"Semmai lo Stato ci tortura lasciando mano libera ai magistrati", scriveva giusto ieri Sallusti, in un pezzo dichiaratamente senza vergogna. Oggi Claudio Giardiello ha impugnato una pistola - mirava a un pubblico ministero - e ha ucciso un giudice e un avvocato. Può darsi che non fosse un lettore di Sallusti. Potrebbe essersi perso quel folle pomeriggio di tre anni fa, quando il signor Martinelli entrò armato in un ufficio postale e fece 15 ostaggi: e poiché non era un integralista islamico, né un black bloc, ma un imprenditore che non voleva pagare il canone RAI, Bossi affermò che andava "capito", e Fabrizio Rondolino lo definì "un eroe" che lottava "per le nostre libertà naturali". Un eroe ancora barricato in un ufficio postale con fucile a pompa, due pistole e 15 ostaggi.
https://twitter.com/loffio

Può darsi che di questo "brutto clima" di cui si lamenta l'ex pm Gherardo Colombo, non siano responsabili gli organi di stampa inflessibili coi no-tav e pieni di comprensione per la sofferenza di chiunque sia in difficoltà coi pagamenti - purché abbia un cognome italiano. "Compagni che sbagliano", si diceva una volta: adesso sono più spesso imprenditori, ma insomma, vanno capiti. Sparano, feriscono, uccidono: ma interpretano un disagio reale. Ecco, chiunque scriva queste cose, sappia che almeno per quanto mi riguarda fa lo stesso schifo di chi scusava il terrorismo brigatista 40 anni fa, e quello islamico oggi. Magari non siete responsabili, no. Sicuramente siete irresponsabili.
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Non c'è "devastazione" che spieghi le Diaz, basta con le cazzate.

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C’è ancora chi si attenta a difendere la polizia. Di fronte alla sentenza limpida, incontestabile di Strasburgo, c’è chi insiste a trovare attenuanti: “a Genova fu il finimondo”! Certo che ci fu: e le forze dell’ordine vi parteciparono, sparando per ore fumogeni a caso, caricando cortei pacifici mentre black bloc e altri vandalizzavano indisturbati la città. Poi, la sera, arrivarono in un dormitorio e bastonarono persone indifese già nel sacco a pelo. Questo accadde, questo risulta dalle sentenze.

Chi vuol far passare la macelleria delle Diaz per una reazione a caldo, giustificata da un’emergenza, mente ai lettori e forse a sé stesso. I macellai delle Diaz non erano isolati e in panico come in piazza Alimonda: avevano ricevuto un certo tipo di preparazione e ordini precisi (da chi?), e li eseguirono con freddezza.

Secondo Sallusti stanno torturando i poliziotti.
Che Sallusti non si vergogni di loro non sorprende: Sallusti non si vergogna per definizione. Anche dal Foglio cosa pretendere più che un inchino a qualsiasi mano stringa il bastone. Come andarono le cose, solo il vecchio Cossiga poteva permettersi di spiegarcelo: “infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città… Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri”. Cossiga, attenzione, non parlava di Genova. Parlava in generale.

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Cestaro è un eroe, ma alle Diaz fu davvero "tortura"?

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Ad Arnaldo Cestaro, l’uomo tranquillo che a 62 anni cercò di mettersi tra i giovani accampati nella scuola Diaz e le guardie impazzite che avevano fatto irruzione, dobbiamo più che una semplice riconoscenza. Cestaro poteva morirne; ne riportò danni permanenti. Da allora non ha smesso di testimoniare e denunciare quanto successo, finché anche a Strasburgo non gli hanno dato ragione: quel che accadde la sera del 21 luglio 2001 fu tortura, e se in Italia manca ancora una definizione giuridica del concetto, peggio per noi. Dobbiamo questo al signor Cestaro, che poteva starsene in un angolo zitto e buono, e si alzò a difendere ragazzi che avevano la mia età. Non ha ancora smesso: a 75 anni li sta ancora difendendo.

Detto questo, confesso una perplessità. Per la Treccani la tortura consiste in “varie forme di coercizione fisica applicate a un imputato, più di rado a un testimone o ad altro soggetto processuale, allo scopo di estorcere loro una confessione o altra dichiarazione utile”. La definizione si può applicare al caso Bolzaneto, ma non aiuta molto a comprendere quanto stava accadendo nello stesso momento alle Diaz: più che tortura, “macelleria”, come la chiamò un poliziotto. I colleghi che roteavano i manganelli sui denti di manifestanti nel sacco a pelo non stavano cercando informazioni. L’ordine era un altro: spaventarci? Alzare ulteriormente una tensione già insostenibile? Ancora non lo sappiamo. Ma la risposta è tra noi, non è che Strasburgo possa aiutarci anche in questo.
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La fine del mondo non è più quella di una volta

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Pasqua è ormai alle spalle: è tempo di sciogliere il nodo al fazzoletto. Un anno fa m’ero promesso di ripescare una profezia di Beppe Grillo e verificare cosa si fosse realizzato. Vediamo. “Tra un anno di Berlusconi rimarrà il ricordo, di Napolitano neppure quello”. Uhm. “Renzie sarà ricordato come uno zimbello, come il dito inserito in un buco della diga prima della crepa definitiva. Si apriranno finalmente processi come MPS e i nomi della trattativa Stato-mafia saranno espulsi dalle Istituzioni”. L’unico ad aver mollato è Napolitano, ma era una previsione alla portata di chiunque.

È difficile fare gli indovini. Un anno fa anch’io mi ci provai: “molte cose cambieranno", scrivevo, "ma Grillo sarà ancora in qualche piazza o qualche teatro, ad annunciare che la fine dei tempi è vicina e un’altra Italia è alle porte”. Sbagliavo anch’io, Grillo è stanchino, meno incline a calendarizzare apocalissi giudiziarie. Anche i testimoni di Geova, dopo essere sopravvissuti a due o tre fini del mondo annunciate, smisero di fornire scadenze precise. Il grillismo è in quella fase delicata in cui gli adepti prendono atto che la fine dei tempi non è così vicina, e si pongono il problema di gestire un movimento nel medio-lungo periodo: occorrerà indicare obiettivi intermedi (il referendum sull’euro), creare una gerarchia, ecc. Ce la faranno? Può sembrare un’impresa disperata, eppure il precedente dei seguaci di Cristo (che si posero lo stesso problema 19 secoli fa) è abbastanza incoraggiante.
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