Mai abbastanza denti

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Jurassic World (Colin Trevorrow, 2015)

In principio furono due fauci: così si chiamava in originale lo Squalo di Spielberg, Jaws. Spuntarono fuori da una spiaggia di Long Island 40 anni fa e cambiarono per sempre la storia del cinema USA. L'estate era un brutto periodo per le sale, anche laggiù - ma i tempi stavano cambiando, ormai in tutte le città aprivano mall climatizzati. Ai ragazzi che non potevano permettersi di passare i pomeriggi in spiaggia, Spielberg avrebbe offerto il brivido di una consolazione fredda e dolciastra (e tolto ogni voglia di tuffarsi per mesi o anni). Jaws fu distribuito il 20 giugno in più di quattrocento sale: a quei tempi era la strategia che si usava per minimizzare i danni delle cattive recensioni, e non è escluso che anche l'Universal avesse molti dubbi sul prodotto - lo squalo finto era così poco credibile che il giovane regista aveva deciso di esibirlo il meno possibile, compensando con la suspense la povertà degli effetti speciali. Fu un successo micidiale, che nel giro di qualche mese si mangiò al botteghino tutti i record precedenti - L'esorcistaIl padrino, la Stangata, finirono tutti nelle fauci del predatore. Era nata una razza di film (i blockbuster estivi, e i blockbuster in generale), che nel giro di qualche anno si sarebbero mangiati la Nuova Hollywood. Mostri dal budget pesantissimo, eppure in grado di adattarsi a qualsiasi ambiente: avrebbero espugnato ogni botteghino al mondo, e covato uova di mostri ancora più grossi, perché gli spettatori comunque dopo un po' si annoiano. Vogliono più sangue. Più denti. E qualcuno prima o poi glieli dà.

Quarant'anni dopo, lo squalo che terrorizzava le spiagge di Amity Island non è che un bocconcino per il nuovo Mosasauro. Jurassic World è quel classico film ipocrita che solletica il pubblico e un attimo dopo gli fa la morale: è colpa vostra se siamo costretti a darvi mostri sempre più grossi, facendo strame delle più recenti teorie paleontologiche (Niente piumaggi, anche se nel Giurassico vero c'erano: ma non c'erano nel Jurassic Park di Spielberg e Crichton, e quindi niente da fare). O pubblico viziato, che cerchi il conforto dei vecchi brand ma ti aspetti anche novità a tutti i costi, perché non resti bambino per sempre? Perché non ti accontenti di due diorama e una cavalcata su un baby stegosauro? Sei irrequieto come il complesso militare-industriale. Tu vuoi più denti perché ti annoi, loro vorrebbero qualcosa di più performante di un drone. E se ancora non lo vogliono, domani lo vorranno, e prima o poi qualcuno glielo darà. Forse lo spunto più interessante del nuovo congegno dentato di Casa Spielberg è la naturalezza con cui mostra un parco di divertimenti svelarsi in un esperimento militare. La gente vuole sempre più Sicurezza, ma anche più Divertimento - è chiaro che ogni tanto qualcosa va storto. 

Riguardo ai personaggi, sarebbe ingiusto aspettarsi più tridimensionalità di quella consentita dagli occhialini - più o meno come pretendere profondità dalle ganasce del vecchio Squalo. C'è da registrare il passaggio del caro vecchio T. Rex dalla parte dei buoni (continua su +eventi!) proprio come accadeva a Godzilla a un certo punto della sua saga, non più il nuovo mostro da combattere, ma quello vecchio che ci difende dai nuovi mostri inaffidabili. Perché la gente è insaziabile ma è anche sentimentale, dopo averti visto per due o tre film non le importa quanti esseri umani hai schiacciato o divorato: si affeziona. Meno interessanti gli esseri umani, ridotti a figurine un po' più stilizzate del solito: più che esprimere un carattere, lo evocano, sono citazioni ambulanti. C'è un Bambino Saputello e Boccoloso che sintetizza in pochi tratti tutta la poetica della Amblin (se non ne è la caricatura); un Fratello Maggiore In Preda Agli Ormoni che quando non guarda le ragazze si ficca nei guai; l'Algida Donna in Carriera che ha capito che il pubblico vuole cose più grosse, il Magnate Visionario che le commissiona allo Scienziato Irresponsabile che non si pone troppi problemi, il Sergente Ottuso che spera di farci la guerra. Tutte sfaccettature dell'uomo bianco contemporaneo e pasticcione, tutti a turno fanno qualcosa di tragicamente stupido. Chi ci salverà dalla fatale spirale Marketing-Scienza-Guerra? Il Cowboy, l'unica figurina positiva di tutto il film. L'uomo che sa domare i velociraptor, ma non vuole plagiarli. Chris Pratt fa quel che può per entrare nei suoi panni, ma è un po' troppo giovane e palestrato per assumere con naturalezza quell'autorità morale che avremmo conferito a un John Wayne - insomma alla fine risulta meno credibile del tirannosauro.

Altri hanno già sottolineato la curiosa misoginia del film, che sembra suggerire che una donna in carriera senza figli sia contronatura più o meno quanto un animale geneticamente modificato; resta da annotare un ultimo dettaglio, abbastanza imbarazzante: per quanto sia un film derivativo, ipocrita, maschilista e prevedibile, Jurassic World è anche maledettamente divertente. Non c'è niente da fare, i denti funzionano sempre. Lo trovate al Citiplex di Alba alle 21:00 (2d); al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo alle 20:10, 21:30, 22:45 (2d), alle 20 e alle 22:35 (3d); al Vittoria di Bra alle 21 (3d); al Fiamma di Cuneo alle 21 (2d); al Multilanghe di Dogliani alle 21 (2d); ai Portici di Fossano alle 21: 15 (2d); all'Italia di Saluzzo alle 20 e alle 22:15 (2d); al Cinecittà di Savigliano alle 21:30 (2d)
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Renzi e il ballottaggio interiore

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Matteo Renzi arrivò a Palazzo Chigi, 15 mesi fa - sembrano anni - non per caso ma grazie al sostegno di un blocco tutt'altro che compatto, anzi quanto mai composito e trasversale. In questo blocco vi era, naturalmente, Matteo Renzi. Per quanto risulti pleonastico, bisogna dare atto a Matteo Renzi di aver sempre sostenuto Matteo Renzi con lealtà e devozione. Tutto intorno c'era il PD: magari non proprio tutto il PD, ma molto più PD di quanto avesse creduto in Renzi alle primarie del '12 e perfino a quelle stravinte dell'anno successivo. Letta stava navigando a vista: Renzi portava una vigorosa ventata di novità e sembrava una promessa di primavera - in ogni caso una palla da prendere al balzo, mentre Berlusconi annaspava e Grillo sobbolliva nel suo brodo rancoroso.

Più in là del PD, c'era un bacino elettorale molto vasto, che andava dai delusi di Berlusconi agli orfani della sinistra che non avevano creduto né in Monti né in Bersani; alcuni di loro si erano lasciato attirare dalle lucciole a 5 stelle, per poi pentirsene una volta saggiatane l'inconsistenza - in confronto ai chip sottopelle e dentiere in 3d, il rottamatore suonava tutto sommato realista e pragmatico. E poi c'era Berlusconi al tramonto, che dopo aver divorato tutti i suoi eredi credibili sembrava genuinamente incuriosito dal giovane rivale che gli si parava davanti, e pronto a concedere qualche riforma importante in cambio dell'onore delle armi. Quando Matteo Renzi arrivò a Palazzo Chigi, 15 mesi fa, per qualche tempo non parlammo d'altro, e anche chi non lo sopportava doveva ammettere che era stato bravo ad arrivare fin lì in così poco tempo, sapendo trarre profitto da una situazione tanto confusa. Poi si sa come vanno le cose: i giornalisti per un po' lo trattarono con benevolenza, in tv lo ascoltavano volentieri senza fargli domande difficili. In Direzione i notabili accorrevano a pronunciare la loro professione di fede renziana in streaming, le europee andarono benissimo - Renzi si convinse di avere in pugno la situazione.

Neanche un anno dopo ruppe con Berlusconi: a tutt'oggi non mi è poi tanto chiaro il perché. Berlusconi si sarebbe contentato di Amato al Quirinale, Renzi impose Mattarella: ne valeva la pena? Forse si rendeva conto di quanto B. fosse inaffidabile (non ci voleva un Guicciardini) e volle togliersi la soddisfazione di anticiparlo. Da lì in poi - tu guarda la coincidenza - stampa e tv si sono accorti dell'emergenza clandestini, e non hanno più smesso di parlarne. D'altro canto quando mai è successo che in Italia tv e giornali ti impongano l'agenda e ti facciano vincere o perdere le elezioni? Quando Renzi rinunciò all'appoggio indiretto di Berlusconi, sapeva pur sempre di poter contare su sé stesso, sul suo partito, e su un bacino elettorale che andava dai delusi del centrodestra ai vedovi della sinistra. Da questi ultimi a dire il vero decise di separarsi col Jobs Act - e d'altro canto lo aveva promesso a qualcun altro, e poi non si può piacere a tutti, no? Rimaneva pur sempre il sostegno di sé stesso (Matteo Renzi), del suo partito, e di quel bacino elettorale che non cominciava a terrorizzarsi perché su Rete4 i Rom rubavano i bambini. Nel frattempo era giunto al pettine il nodo della riforma elettorale: non avendo più i voti di Berlusconi, Renzi fu costretto a sostituire qualche membro recalcitrante in commissione e imporre la fiducia ai suoi senatori. A quel punto qualche corda si spezzò: la miniscissione di Civati fu appena la punta dell'iceberg. Altri masticarono amaro e decisero, evidentemente, che gliel'avrebbero fatta pagare. Sarebbe stato sufficiente metterlo in difficoltà su qualche riforma scritta altrettanto male, e per sfortuna di Renzi, non ci vollero molti giorni a trovarne una: la Buona Scuola.

Matteo Renzi non aveva più il sostegno di Berlusconi, né di molti dei suoi ex elettori un po' in apprensione per le epidemie di ebola e di scabbia; e anche nel partito qualcuno cominciava a mugugnare. Gli restava però l'appoggio Matteo Renzi: e di una larga fetta di elettorato di centrosinistra - più o meno la quota percentuale di Veltroni, abbastanza per vincere le elezioni finché tutti gli altri avranno la buona creanza di astenersi. A questa fetta di elettorato Renzi decise di imporre la Buona Scuola, un aborto di riforma aziendalista dell'istruzione pubblica, con ricchi premi per chi piace ai presidi monocratici - no, neanche tanto ricchi a dire il vero. Poi si può discutere di quanto faccia schifo (parecchio), ma se hai rotto con Berlusconi e le sue televisioni. col sindacato e con un pezzo del tuo partito, davvero che altro ti resta da fare se non disgustare gli insegnanti di tutte le scuole pubbliche d'Italia? Nel frattempo c'è stata una tornata elettorale e si è scoperto - incredibile! - che persino quelle pippe dei Cinque Stelle, se si va al ballottaggio, si portano a casa intere province. Ora Renzi ha rotto un partito per imporre in parlamento un sistema elettorale che prevede un ballottaggio nazionale. Renzi naturalmente era convinto di vincerlo.

Ne è ancora convinto: perché è vero che non ha più l'appoggio di Berlusconi, né degli elettori delusi dal centrodestra o della sinistra; è vero che fa anche un po' fatica a imporsi al suo partito: però è altrettanto vero che in mezzo a tutte queste vicende, in questa "legislatura da brivido", non ha mai perso il suo alleato più fedele, ovvero Matteo Renzi. Alla luce di questa semplice nozione, non è poi difficile capire il senso della rivelazione concessa a Gramellini: Renzi ha fallito fin qui perché non è stato abbastanza Renzi. A chi obietta che fin qui Renzi è stato talmente renziano da rompere con tutti quelli che potevano aiutarlo o sostenerlo, proponiamo di calarsi nel suo punto di vista: 15 mesi fa tutti lo osannavano. Poi lo hanno tradito. Non hanno capito il Jobs act, non hanno compreso la genialità dell'italicum, non apprezzato la bontà della Buona Scuola. Non capiscono niente. Solo tu puoi capirmi, dice Matteo Renzi a Matteo Renzi. Perché perdi tempo con questi sfigati? A questo punto scegli: o me o loro. È tempo di ballottaggio, anche per te.
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Chi gabella Gino Paoli

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A volte mi domando che ci sto a fare qui, a spacciare cookies di terze parti - manco più la pubblicità mi fanno mettere. Poi mi capita di leggere una notizia, per esempio, Gino Paoli che fa una lezione sulle tasse.

No, ovviamente è più complicata di così. L'avrete sentita anche voi: Gino Paoli, in qualità di non si sa bene cosa, è stato invitato come relatore a una cerimonia di consegna di diplomi di un master universitario altamente patrocinato dall'Agenzia delle Entrate. Nell'internet che frequento - e sui giornali che sfoglio - la cosa fa notizia perché Gino Paoli è tuttora indagato per evasione fiscale. Perlomeno, il taglio con cui viene riferita la notizia è sempre questo. Non so se la responsabilità sia del Fatto Quotidiano e se gli altri organi di stampa gli siano andati a ruota, o se ormai l'impostazione del Fatto sia talmente egemone che tutti la imitano, anche senza rendersene conto; fatto sta che per due giorni sui giornali e su internet ho letto che chi è indagato (per evasione fiscale) non dovrebbe permettersi di esprimere opinioni.

Mi domando se chi scrive queste cose sui giornali, o le rimbalza sui social, non è mai stato indagato per evasione fiscale. Probabilmente no, altrimenti se ne starebbero tutti zitti per coerenza, vero? A me l'anno scorso l'agenzia delle entrate ha chiesto certi estratti conto del 200x per un accertamento, probabilmente dovrei chiudere il blog finché non si fanno più vivi. Invece scrivo. Mi sento quasi obbligato.

Scrivo perché nell'internet che vorrei, e sui giornali che volentieri comprerei, Gino Paoli che parla di tasse non farebbe notizia perché è indagato per evasione - capirai - ma perché il signore che si lamenta della burocrazia e della mancanza di buonsenso, è lo stesso che da presidente della Siae chiese e ottenne di raddoppiare la prestazione patrimoniale imposta nota come "copia privata". Ovvero un tizio che ha voluto che pagassimo di più per ogni cd vergine, chiavetta usb, lettore mp3, pc, eccetera, e quel di più (più o meno 200 milioni di euro) lo devolvessimo alla Siae. Un piccolo rimborso per tutte quelle canzoni e film che potremmo salvare sui nostri supporti - e se non salviamo nulla di scritto dal signor Paoli e colleghi? Niente, dobbiamo pagare lo stesso. Ecco, quel signore che ha ottenuto 200 milioni di euro così, è lo stesso che è andato alla Camera di Commercio di Genova e ci ha spiegato che le tasse italiane sembrano ancora le gabelle medievali. Mi sarebbe piaciuto che qualcuno l'avesse fatto presente, ma continuo a scrollare e niente, non ne ha parlato nessuno.

Così ne parlo io. A volte mi domando ancora che ci sto fare qui - tempo cinque minuti e mi rispondo.
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Guarda che ti sei spiegato benissimo, Matteo Renzi

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A questo punto mi sembra di aver notato una cosa: quando Matteo Renzi si trova davanti a un problema, un qualsiasi problema, non fa mai finta di non vederlo. Questo gli fa onore. Purtroppo lo stesso Matteo Renzi, quando si trova davanti un qualsiasi problema, tende a liquidarlo sempre come un problema di comunicazione.

Prendi la legge elettorale. Alcuni la trovano liberticida, ebbene, con questi Matteo Renzi è disposto a discutere, perché probabilmente se la trovano liberticida è anche un po' colpa di Matteo Renzi che non è riuscito a spiegare quanto sia invece democratico regalare il 54% al partito che si aggiudica il 40%.

Oppure, nel caso della Buona Scuola: possibile che ci siano insegnanti che non riescono a capire quanto sia importante competere per ingraziarsi i dirigenti scolastici? Evidentemente c'è un problema, e Matteo Renzi non nega che ci sia, quindi propone di riaprire discussioni a tutti i livelli. E in tutte queste discussioni, Matteo Renzi o qualcuno in sua vece porterà una lavagnetta o una presentazione in powerpoint in cui spiegherà quanto è buona la scuola in cui gli insegnanti vengono selezionati arbitrariamente dai dirigenti. Se fin qui non abbiamo capito, Matteo Renzi se ne fa una colpa: c'è stato un problema di comunicazione. È evidente che non si è spiegato bene. Se si fosse spiegato bene, avremmo capito e oggi saremmo dalla sua parte, non sciopereremmo più.

A un certo punto della vita qualcuno ti insegna che i cretini, purtroppo, esistono. Non tanti quanto generalmente si creda: ma sono comunque una minoranza di cui tenere conto. Minoranza trasversale per eccellenza: esistono cretini di tutte le età - le temps ne fait rien à l'affaire - di tutti i sessi, di tutte le fedi politiche e religiose (esistono persino cretini atei); educati e maleducati; coltissimi e ignoranti, questi ultimi assai meno pericolosi dei cretini laureati. I cretini non hanno poi colpa se sono fatti così: prendersela con loro, oltre che sciocco, è invero controproducente, perché nulla caratterizza un cretino più della tigna che li assale se qualcuno glielo rinfaccia. A un certo punto della vita impariamo - chi fa carriera negli scout prima di altri - a trattare i cretini con diplomazia. Ciò è già metà dell'opera, perché quando sai gestire i cretini, anche chi cretino non è te ne dà atto. Si impara per esempio a non dire mai: "Non hai capito", che è la classica frase che fa imbizzarrire il cretino che vorresti montare. Al massimo gli dirai: "Mi sono spiegato male". Ecco, Matteo Renzi non fa che dirci: mi sono spiegato male. Mi spiegherò meglio. In storia della filosofia si chiama intellettualismo etico: l'idea che esista un solo Bene, e che chi non lo sceglie possa avere solo un difetto di comprendonio, cui il buon Socrate sperava di ovviare con un po' di ironia, maieutica ecc, e Renzi con una migliore gestione di twitter e delle ospitate in tv. Sia come sia, ogni volta che parla di un problema di comunicazione, io ho la sensazione che mi stia dando del cretino.

Ecco, vorrei tentare di confortarlo su questa cosa: no Matteo Renzi, tu non hai un problema di comunicazione. Io trovo anzi che tu comunichi benissimo le cose che pensi e che vorresti realizzare - e che in parte hai già realizzato. Volevi vincere portando il Pd più al centro, lo hai detto e lo hai fatto - e se continui a pigliare meno voti di Veltroni nel 2008, non è un problema di comunicazione: è proprio che in questa cosa (comunicata benissimo) ci credono meno italiani di quanti credevano a Veltroni nel 2008: meno male che nel frattempo Berlusconi è bollito e Grillo non ha un progetto.

E anche la Buona scuola, davvero, non ha un problema di comunicazione. Se scioperiamo, se smettiamo di votare il Pd, è proprio perché abbiamo capito benissimo che tipo di scuola hai in mente: e semplicemente non è la scuola che abbiamo in mente noi. Tu e noi rappresentiamo interessi diversi, e quindi siamo in lotta, come sempre dovrebbe accadere in democrazia. Continuare a spiegare affannosamente le stesse cose, con gli stessi slogan; a sbracciarsi alla lavagna; potrebbe essere controproducente. Spero di essermi spiegato bene.
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Dio è il mio cingolo di scorta

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Fury (David Ayer, 2014)


Stanno arrivando. Sono assassini fanatici e suicidi innamorati della morte; mentre ci fanno fuori rendono lodi al loro Dio. Prenderanno le nostre donne, schiacceranno i nostri figli sotto i cingoli. Asfalteranno la nostra terra e la chiameranno pace. Sono gli americani. E noi... siamo i tedeschi?

Se Fury ha un merito, non è la tanto vantata accuratezza storica, che anzi lascia parecchio a desiderare; e nemmeno la pretesa di rendere la Seconda Guerra Mondiale l'inferno in terra che è stata (come molti horror della sua generazione, Fury si accontenta di esibire l'orrore invece che suscitarlo). Il vero risultato di Fury è aver portato un po' di relativismo storico in quella che è rimasta l'unica guerra buona: aver violato in punta di piedi il tabù per cui si può raccontare il Vietnam dalla parte dei vietcong, la Secessione dalla parte dei sudisti - ma la Seconda Guerra Mondiale non si discute, la Seconda Guerra Mondiale è il Bene contro il Male, fine. Non che Ayer tenti di raccontarla dalla parte dei nazisti; ma nel trasformarla in un videogioco rende per un attimo le parti intercambiabili. Brad "Wardaddy" Pitt è un americano che parla tedesco e avrebbe potuto nascere tedesco; odia i nazisti ma sa che sarebbe altrettanto incapace di arrendersi; di fronte a un intero plotone di SS-Waffen, si comporta come la più fanatica delle SS.

Fury arriva quasi vent'anni dopo il Soldato Ryan, dal cui confronto non riesce a sottrarsi. È una lotta impari, come quella tra un panzer Tiger e un carro Sherman: Spielberg aveva in mano un racconto solido, Ayer è partito dai carri armati, e tra una battaglia e l'altra non sa bene come gestire i suoi uomini. Se Fury fosse un film di serie B - se esistesse ancora, la serie B, come concetto cinematografico - sarebbe il primo del campionato, perché a suo modo è un film agile e solido. Ma l'idea che per realizzarlo Pitt, LaBeouf e compagnia si siano addestrati come veri carristi, e abbiano passato giorni interi a sudare, insultarsi e lasciarsi cicatrici in faccia, lascia perplessi. Questo è un film di idee povere, ma buone, che avrebbe dovuto essere realizzato al risparmio: attori scarsi e scazzati, tre location e pedalare. La precisione filologica, addirittura l'idea matta di far scendere un campo un vero Tiger I (che su quel fronte nell'aprile '45 era in realtà piuttosto raro), finisce per ottenere il risultato opposto: trasforma tutto in uno smagliante videogioco 3d. Anche perché Ayer non sa sottrarsi a una certa sintassi action, e prima di far esplodere le sue bare cingolate vuole mostrarle mentre si aggirano sul teatro delle operazioni in elaborati passi di danza. Ma se non si sono mai fatti molti film spettacolari sui duelli tra carri armati, forse c'è un motivo.

Quanto alla storia, sembra veramente buttata giù da un ragazzino traumatizzato dal Soldato Ryan (continua su +eventi!): non ne ha capito molto - forse era troppo piccolo - ma non riesce a non tornarci sopra, come chi soffre di stress post-traumatico. Addirittura c'è un artigliere (LaBeouf) che cita la Bibbia in continuazione, come il cecchino Clip. Spielberg però lo usava in senso ironico: il Dio che gli armava la mano, a un certo punto sembra cambiare partito. Ayer invece si lascia trascinare dalla suggestione biblica, dopo un po' comincia a mettere versetti in bocca anche a Brad Pitt e probabilmente non si rende conto che trasformare due rottami di guerra in due martiri che cantano Isaia può essere un po' discutibile. Spielberg aveva inventato un capitano carismatico dal passato misterioso, per poi rivelare che si trattava semplicemente di un maestro di scuola. Brad "Wardaddy" sbuca fuori dal nulla, è un maestro di vita dai modi assai più spicci: ti costringe a sparare e poi ti procura una donna per la notte. Come punto di vista, Spielberg aveva avuto l'idea originale di usare la matricola senza esperienza, evitando però il rischio di farne un film di formazione: Upham restava un codardo sino alla fine, quando sparava al nemico disarmato (al punto che il suo nome è diventato sinonimo di contendente imbelle). Ayer riprende l'idea e la declina nel modo più banale: il giovane dattilografo Norman (Logan Lerman) ha 24 ore di tempo per imparare a uccidere tedeschi, baciare tedesche e diventare un eroe. Spielberg rifletteva sull'eroismo, sul senso che può avere una singola vita in un conflitto mondiale. Ayer non riflette: non sapendo bene come si fa, preferisce gestire la questione su un piano bestiale che è semplicemente il più comodo: tu-ragazzo-impara-a-uccidere-o-muori.

Spielberg, soprattutto, non ha mai messo in bocca a un personaggio una massima così scema come "gli ideali sono pacifici, la realtà è violenta": una puttanata neocon che manda all'aria tutta la fedeltà storica e svela l'età del film meglio di un orologio da polso in un peplum - chi mai nel 1945, con l'Europa contesa tra Marx e Nietzsche, avrebbe osato parlare di "ideali pacifici"?

Fury è al Cityplex di Alba (19:45, 22:15); al Cinelandia di Borgo S. Dalmazzo (20:00, 21:00, 22:45); all'Impero di Bra (20:00, 22:30); al Fiamma di Cuneo (21:00); ai Portici di Fossano (21:15); al Cinecittà di Savigliano (21:30)
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Brad Bird che veniva dal futuro

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Tomorrowland
(Brad Bird, 2015).

A 11 anni il piccolo Brad fu condotto, come tutti, a Disneyland. Quando fu ora di tornare a casa in Montana, i genitori non riuscivano a trovarlo. Alla fine lo scoprirono nel tempio, mentre discuteva coi Nove Vegliardi. Brad, cosa stai facendo? Perché disturbi questi vecchietti? Mamma, papà, lasciatemi stare, non sapete che il mio posto è qui? Da grande farò l'animatore. Darò vita alle cose. Sono nato per questo.

Tomorrowland è un film strano. Se all'entrata vi aspettate quanto promesso da trailer e locandine, un film action per famiglie, potreste anche rimanerci male. Intendiamoci, l'action c'è, e neanche troppo edulcorata - c'è una bambina che stacca la testa ai suoi nemici, che però si rivelano androidi, quindi niente sangue e per i bambini pare sia ok - ma l'intreccio è più contorto e sgangherato del solito, con tanti snodi appena accennati o lasciati in ombra; insomma non c'è dubbio che Lindelof sia passato di qui (c'è una corporazione segreta in un luogo al di là del tempo e dello spazio, e persino un arcano conto alla rovescia bislacco, per gli incurabili nostalgici di Lost).

Tomorrowland appartiene anche a quel filone trasversale di film con cui la Disney sta rimodellando la sua immagine, trasformando la sua storia gloriosa in mitologia. Se Saving Mr Banks era l'apologia del lieto fine a tutti i costi, Tomorrowland ci informa che solo l'ottimismo può salvare il mondo: nella fattispecie, l'ottimismo delle esposizioni universali e dei parchi a tema, insomma l'ottimismo Disney. Se a dispetto di tante premesse il film non suona falso, è perché a raccontare questa storia è uno dei pochi che hanno il diritto di crederci: l'ex bambino prodigio Brad Bird, folgorato a 11 anni da una visita ai Walt Disney Studios. Bird che a 14 anni terminava il suo primo corto d'animazione, che a 24 disegnava già per la Disney (Red e Toby); che dopo aver lavorato un po' per Spielberg e per i Simpson, ha diretto il Gigante di ferro, gli Incredibili e Ratatouille.

Tomorrowland è anche, a quanto pare, uno dei peggiori flop della Disney degli ultimi anni... (continua su +eventi!) Cosa non ha funzionato? Non saprei. C'era veramente tanta carne al fuoco: l'accostamento bizzarro tra l'ottimismo titanico di Bird e il pessimismo vagamente paranoide di Lindelof, con una bella spennellata spielberghiana - però stesa troppo rapidamente. È un film che per un'oretta accarezza il bimbo rannicchiato in ogni spettatore, sussurrandogli "tu sei speciale, tu puoi salvare il mondo": finché a un certo punto Lindelof non prende il sopravvento e per voce di George Clooney gli urla: no, non sei speciale, non farti fregare. Ti hanno fatto solo vedere una réclame. Un invito a una festa che non c'è mai stata - tutto questo non è terribilmente lindelofiano? Segue una serie di colpi di scena un po' gratuiti, come le attrazioni di un parco a tema, tra cui spicca per arroganza una rapidissima tappa a Parigi con la Tour Eiffel che diventa la rampa di lancio di una capsula steampunk. Nel finale l'ottimismo Birdiano riprende il sopravvento.

Tomorrowland è anche la sua autobiografia fantastica: la storia di un cinquantenne che ha la sensazione di essere arrivato nel mondo degli adulti all'improvviso. Proprio come il personaggio di Clooney (che un po' gli somiglia), espulso dal mondo del domani. Più che un raggiungimento della maggiore età, è stata come una Caduta. Lui s'è arrangiato in un qualche modo: ha pure diretto un Mission Impossible, però c'è qualcosa nel mondo degli adulti che lo lascia evidentemente perplesso, e Tomorrowland alla fine parla soprattutto di questo. Più che un film ottimista, è un manifesto contro il pessimismo dei film catastrofici. Perché vi piacciono tanto?, si domanda il piccolo Brad. Pandemie, terremoti, guerre termonucleari, sul serio tutto questo vi affascina più dei cari vecchi razzi, dei viaggi spaziali, dell'epica degli astronauti? Dopo essersi interrogato sul problema, Bird si è anche dato una risposta, e nel finale del film l'ha messa in bocca a Hugh Laurie in versione scienziato matto. Ora mi giocherò quel poco di faccia che mi resta, ma il suo discorso finale è una delle cose più interessanti che ho sentito al cinema quest'anno. Certo, chi tiene al proprio status di intellettuale preferirà qualche massima intensa in bocca ai pensosi personaggi di Sorrentino, mentre quello che dice il vecchio dottor House, conciato da imperatore nero dell'ultramondo, sembra il classico spiegone da fumetto. E però alla fine la sua diagnosi è impietosa come ai vecchi tempi: noi preferiamo le catastrofi perché sono comode. La disperazione è comoda: che bisogno c'è di alzarsi dal divano e rimboccarsi le maniche, se l'umanità ha i giorni contati? Ovviamente Brad non ci sta. Ci vuole salvare (il che va benissimo. Che ci voglia salvare la Disney, ecco, è già un po' più inquietante).

 Tomorrowland è al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo (15:30, 17:00, 20:00, 22:40); all'Impero di Bra (22:30); al Fiamma di Cuneo (15:10 18:00 21:10); al Cinecittà di Savigliano (21:30).
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Pro Evolution Politics

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Questa foto è bellissima, anche se non sono sicuro del perché.

Certo ognuno è libero di fare quel che vuole nel tempo libero, e quasi qualsiasi cosa tu faccia nel tempo libero è meglio che guardare le dirette fiume elettorali di Mentana e compagnia. Per dire che non ho niente contro l'oggetto in sé, anzi per una curiosa intermittenza del cuore la play mi ricorda quelle mie sporadiche visite in Federazione, quando in attesa di cominciare un'assemblea i ragazzi della Sinistra Giovanile organizzavano veri e propri tornei - e chi vinceva magari adesso è gente che fa il sindaco, insomma tutto torna, in teoria.

Sarebbe in ogni caso sbagliato trattare la foto da lapsus, quando a divulgarla è stata niente meno che Filippo Sensi. Può Sensi farsi scappare un messaggio sbagliato? Assolutamente no, è un genio della comunicazione e della disintermediazione. Ma metti per assurdo che un giorno facesse un errore persino lui, in fondo è umano; pensi se per errore gli capitasse di associare Matteo Renzi al passatempo da bimbominchia per eccellenza, nella nazione dal bacino elettorale più anziano del mondo. E ribadisco che non ho nulla contro la play, ma chiedi a un cinquantenne in su cosa ne pensa dei videogiochi e degli adulti che ci giocano - e chiedi alle signore. D'altro canto Sensi è un genio, quindi è più semplice pensare che lui abbia capito qualcosa e io no.

Azzardo: vi ricordate di quando Renzi era il Giovane Rottamatore? Ecco, forse Sensi ha pensato che era ora di ricordarcelo perché, sul serio, sembra passato un secolo. E questo a prescindere dai risultati, che tutti si stanno ingegnando a trovare positivi, anche se non sono piaciuti a nessuno. A un secolo di distanza, in cosa è consistita la rottamazione di Matteo Renzi? Nel farsi andar bene Emiliano in Puglia, nel sopportare De Luca in Campania, nel candidare la Paita in Liguria? Ho sentito osservatori autorevoli sostenere che la Moretti era la più renziana dei candidati (è quella che è andata peggio). Ora se per favore mi seguite un attimo nell'universo parallelo in cui Bersani ha vinto le elezioni del '13, ditemi, chi avrebbe gareggiato in questa tornata elettorale per il Pd in Veneto? Alessandra Moretti, esatto. E in Campania? in Liguria? in Umbria? in Puglia? Non c'è nessun candidato alle regionali che non avrebbe potuto correre con Bersani, e nei fatti le percentuali sono più o meno le stesse che prendeva il Pd di Bersani. Ma la musica è cambiata, direte voi. Sì, la musica è cambiata di parecchio. Però gli orchestrali sono gli stessi di prima, il grande Rottamatore sta svelando insospettate doti di riciclatore, e in certi casi ci si domanda se non ci stia mettendo una certa tigna: trasformare la Moretti in renziana di ferro è una specie di scommessa, come trasformare Migliore in un blairiano, come fare sorgere figli di Abramo da queste pietre.

Ora se c'è un'analisi che mi sarei aspettato, tra domenica e lunedì, è quella dei renziani delusi. Perché d'accordo, una classe dirigente non s'improvvisa, in ispecie al sud; del resto i candidati meno vicini a Renzi sono quelli che hanno portato più voti. Però davvero i numeri, tra le tante cose che possono dire, dicono anche che il Pd sta tornando ai valori del '13, e questo forse perché tutta questa ventata di nuovo non è arrivata, s'è fermata molto presto tra Firenze e Roma - già a Bologna si faceva molta fatica a sentire un refe, per tacere di Napoli o Verona. Questo mi sarei aspettato dai renziani, e invece niente. C'è chi festeggia il 5-2, anzi il 17-3, c'è chi pubblica la cartina d'Italia tutta rossa, chi se la prende coi sostenitori di Pastorino ecc. ecc.. Nessuno che si lamenti di quanto poco Renzi sia stato renziano in quest'occasione. D'altro canto come fai a prendertela con lui - sarà colpa dei sottoposti, lui è così giovane, un presidente che gioca alla play ce l'abbiamo solo noi. E oggi è già in grigioverde! Quanto dinamismo.
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È facile confonderli

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Quindi quelli erano…
“La concorrenza”.
“I comunisti”.
“Una specie”.
“Non li immaginavo... così”.
“Erano giovani”.
“E niente bandiere”.
“Così è facile confonderli”.
“Avete visto cosa hanno fatto… mi hanno circondato e... hanno tirato fuori quegli affari”.
“Gli smartphones”.
“Proprio come se fossero i nostri. Non me lo sarei mai immaginato”.
“Che immaginava che sarebbe successo?”
“Non so. Un lancio di monetine. Una statuetta sui denti”.
“I tempi sono cambiati”.
“E invece sono venuti a farsi il selfie. Cosa sta succedendo?”
“Non se la prenda troppo, Presidente”.
“Domani tutti mi prenderanno in giro perché non so riconoscere la mia gente, mi daranno del vecchio rincoglionito. Ma cosa sta succedendo a loro? Perché non mi hanno cacciato via?”
“Erano giovani”.
“I giovani di solito erano i più incazzati. Possibile che io non faccia più paura?”
“Presidente…”
“Neanche un po’ di rabbia? Niente?”
“...È stato solo un misunderstanding, vedrà che domani dichiareranno di essersi incazzati tantissimo per la sua provocazione”.
“Forse sono davvero un vecchio rincoglionito”.
“No, Presidente, lei no…”
“Posso accettare di essere un vecchio rincoglionito. Ma resto lo stronzo di sempre, non è che se mi invito a casa vostra voi vi mettete in posa. Sono sempre il vostro nemico numero uno, v’ho battuto per vent’anni, non scordatevelo mai”.
“Non se lo scordano, Presidente”.
“È una questione di rispetto”.
“Siamo arrivati, Presidente”.
“Questi sono i nostri, quindi?”
“Questi sì”.
“Da cosa li distingue?”
“Più nokia che iphones”.
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Come democristiani avete ancora molto da imparare

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Può persino darsi che Rosy Bindi sia la cinica manovratrice che dipingete, e che la pubblicazione nell’ultimo giorno di campagna elettorale di un elenco di candidati con pendenze giudiziarie (i cosiddetti impresentabili) sia un colpo basso contro Renzi. Perché no.

Un'accusina da niente
Dopo tanti anni di tiro alla Bindi, l’accusa di machiavellismo è almeno qualcosa di nuovo. Il punto è che, subdola o meno, la Bindi non ha fatto altro che recepire le direttive votate all’unanimità dal parlamento: potrà anche far male come un colpo basso, ma è stato un colpo regolare. Invece a strepitare su twitter che non si fa così, che non è giusto, che non è bello, cosa si ottiene? Magari sbaglio, ma vista da lontano la scena di Scalfarotto e Faraone che danno lezioni alla presidente della Commissione Antimafia non è proprio quella che mi aspetterei da un partito che domani si gioca un appuntamento elettorale importante. Sul serio non è giusto, non è bello, informare i cittadini che il tal candidato è stato rinviato a giudizio?
Faraone ci spiega a cosa non serve
la Commissione Antimafia.

Il renzismo vi tira fuori il peggio. C’è un tipo di arroganza che il vostro boss si può permettere - è il suo stile, e poi davvero il boss è lui - che trasferita ai sottoposti suona terribilmente falsa. Lui peraltro ci aveva anche provato, a minimizzare la cosa. Si vede che un po’ di scuola DC l’ha frequentata: che l’idea di lavare in casa i panni sporchi in casa non gli è aliena. Voialtri invece boh, sembrate una compagnia di quarantenni al ristorante che si fomentano tra loro.
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Come invidiare Sorrentino

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Youth - La giovinezza (Paolo Sorrentino, 2015)

Non so quanti siano, e quanta barba sfoggino. Me li immagino seduti in poltrona, o distesi su un tappeto. Stanno scrivendo il nuovo film del grande regista italiano. Da qualche parte comunque c'è un piattino con qualche ammenicolo - un paio di dadi, un mazzo di tarocchi, il libro di I Ching, e soprattutto una manciata di baci perugina. Quando la storia non va avanti, e la battuta non si trova, e i tarocchi dicono picche, e i dadi sempre due, il più giovane scarta un cioccolatino.
Bravissimi, per carità, ma Boldi e De Sica
avrebbero aggiunto quel quid.
"Checcescritto?"
"Torno sempre alla casa del padre".
"Sì, ma sotto?"
"Novalis".
"Suona bene".
"Scrivo?"
"Aspe', scartane un altro per sicurezza".
"Nessuno si sente all'altezza".
"Questo è vero".

Ma chi l'ha poi detto che uno debba lasciare a casa i propri pregiudizi. I pregiudizi sono divertenti. I pregiudizi ci aiutano a vivere meglio. Forse il miglior modo di guardare Youth è bersi nell'anticamera una coppa amara di pregiudizio - bene, ecco la giovane promessa del cinema italiano, che per due o tre anni sembrava avere inventato un nuovo modo di raccontare le storie, e poi all'improvviso un giorno si sveglia Venerato Maestro e comincia a scaracchiare fellinate imbarazzanti su sfondi pittoreschi per la gioia dei turisti. E sbanca i botteghini. E porta a casa Oscar e Goldenglobe. E quindi, insomma, adesso chi lo fermerà più? Quanti altri vecchietti saggi e perplessi ci somministrerà, quante piscine e giraffe e fenicotteri? Ecco, se uno si siede in poltroncina con queste premesse, alla fine rischia di rivalutarlo, Youth. Cioè alla fine non è così male, dai. C'è pure una scena action con le esplosioni. Adesso però non so andare avanti, cosa dice l'I Ching?

"Tutta invidia".

Sì.


Ma guarda che invidiare è il mio mestiere. Dal latino in-video, "guardo contro", ma quell'"in" all'inizio voleva dire "dentro". Nessuno sa guardarti dentro come un invidioso, perché nessuno ha così tanta voglia di guardarti. Sì, Sorrentino, siamo tutti invidiosi.
Io perlomeno non riesco più a passarti nulla ormai. Non c'è nulla che si dicano o facciano i tuoi personaggi che non mi suoni falsa. Il grande compositore che dirige le vacche al pascolo. Miss Mondo che si esibisce in una scena che sembra un calco di un Vanzina, ma non prima di aver impartito una lezione di vita, non prima di averci mostrato che è anche intelligente. Bambini saggi, massaggiatrici ambigue, Maradona obesi, lama volanti, avanspettacolo. E dire che io sono uno di bocca buona, mi piacciono i film di robot. Persino il Kitsch, una volta che hai accettato che è Kitsch, posso apprezzarlo in quanto tale. Metti il buon Baz Luhrmann. Lui non si vergogna di nulla, però sta anche molto attento a coprirsi. Ad esempio, è maniacalmente fedele ai classici. Come se ti dicesse, vedi? Non sono io a essere Kitsch, è Shakespeare. È Francis Scott Fitzgerald. È la vita, insomma, che ci parla attraverso i baci perugina. A me va bene anche il Kitsch, se lo sai fare, eppure a Sorrentino non glielo perdono. Lui non vuole semplicemente fare un film sul Sublime, lui pensa di poter andare dritto al punto (continua su +eventi!)
Ci prova davvero. Poteva usare la Montagna Incantata come canovaccio, magari un sottile gioco di rimandi rarefatti alla Wes Anderson - no, niente, per fare il sottile gioco di rimandi bisogna leggere il libro, roba da intellettuali. E noi non vogliamo essere intellettuali, gli intellettuali non hanno gusto, lo ha scritto Stravinskij su Wikiquote. Quindi si va in villeggiatura, si annotano i tic dei villeggianti, ed eccoci massimi esperti in Umanità. Cos'è la Vita? Cosa sono i Ricordi? E l'Amore sopravvive alla Morte? Sicuri? Non soccombe talvolta anche solo alla Lunga Degenza? Dopo i temi importanti, veniamo alle rubriche: Quanto è Importante essere Bravi a Letto? Non Crederai Mai a Quello Che È Capace di Fare Questo Lama Tibetano! Miss Mondo Senza Veli, gli Scatti Esclusivi! E il nuovo video di Pamela Faith.

No, Sorrentino non si accontenta di girare intorno al Sublime. Lui vuole essere Sublime. È convinto che sia alla sua portata, perché no? In fin dei conti basta riflettere un po' sulla Vita, sparare due massime più o meno originali, e metter su la canzone giusta. Qui in un qualche modo l'invidia si ribalta in ammirazione, perché quello che Sorrentino cerca di fare nel finale del film è una spacconata incredibile, senza precedenti almeno alla portata della mia memoria. Quando in letteratura ci si inventa un artista, di solito un grande artista, ci si premura sempre di lasciare le sue opere sullo sfondo, dando per scontato che siano grandi, che siano belle, ma siccome nessuno le ha scritte davvero non ce le possono mostrare. Mann mica poteva comporre le sinfonie del Doktor Faustus. Sorrentino, lui sì. Lui si inventa un compositore e poi commissiona a David Lang il suo capolavoro, che ci vuole? E poi ce la fa ascoltare. Il soprano è vero, l'orchestra è vera, in platea c'è una sosia della regina, dirige Michael Caine. E com'è questo capolavoro, che dovrebbe dare un senso a una carriera, a un matrimonio, a un film, com'è?

Mah.

Il riff somiglia un po' a Sweet Child Of Mine.

Sorrentino alla fine è davvero sublime, a modo suo, e io lo invidio. Non ho la competenza né il talento per sdraiarmi sui vostri tappeti, ed è un bene, perché sarei quello che vi boccerebbe tutto. Questa battuta è troppo banale. Questa sembra profonda, ma guardate che in realtà non vuol dire niente. Questa è una citazione inconsapevole. Questa è troppo consapevole. Questa scena è pacchiana. La scena non diventa commovente se mostri un personaggio che piange, è un trucco volgare. Nulla, non vi passerei nulla. Fosse per me il film non si farebbe; fosse per me, non si farebbe più nessun film. Perché io non sono all'altezza, voi non siete all'altezza, nessuno è all'altezza. E invece eccolo qua, Youth di Sorrentino. Com'è? Credevo peggio, dai.

Youth è al Citiplex di Alba (20:00, 22:15); al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo (20:10, 22:40); all'Impero di Bra (20:15, 22:30); al Fiamma di Cuneo (21:10); ai Portici di Fossano (20:15, 22:30); all'Italia di Saluzzo (20:00, 22:15); al Cinecittà di Savigliano (21:30).
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