La prima volta si fa davanti a tutti

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In un futuro quasi prossimo in cui il concetto di "privacy" sembra assurdo come a noi il burqa, la sessualità è riconosciuta come un diritto/dovere del cittadino. Tutti, anche coloro che scelgono una vita di castità (e non sono pochi) sono praticamente obbligati ad avere un rapporto completo entro il 20esimo anno d'età. Per evitare abusi o frodi il rapporto viene filmato e pubblicato in rete - il che ha drasticamente ridotto il fenomeno del revenge porn. Si tratta in sostanza di un rito di iniziazione, che quasi sempre non segna l'inizio della vita sessuale, ma che viene vissuto come un ingresso nella società degli adulti (il momento in cui si può/deve finalmente accedere alle piattaforma di condivisione sociale con i propri dati personali). Il fatto che "il primo video" sia quasi sempre un disastro è un problema al quale molti ovviano pubblicandone altri successivi in cui fanno figure migliori. In generale esiste una specie di "privacy through redundancy", ad esempio la gente mette on line tantissimi cv falsi, in modo che sia più difficile risalire ai tuoi dati veri. In generale comunque la sessualità è diventata una branca dello sport, avete presente quelli che vi informano su facebook delle loro maratone? Ecco, in futuro ci sarà gente che vi informerà su altri generi di prestazione.

Benché sia possibile celebrare il rito con il proprio partner, di solito i 20enni preferiscono consumare con sconosciuti appositamente scelti da un software. La leggenda è che il software sia così sofisticato da snidare le anime gemelle, anche se mancano evidenze statistiche.

(Questo pezzo partecipa alla Grande Gara degli Spunti! Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui).

Premesso questo, non si tratta di una storia di fantascienza. È una settimana nella vita di un ragazzo e una ragazza che all'inizio non si conoscono e alla fine lo avranno fatto davanti a tutto il mondo. Per lui è proprio la prima prima volta in assoluto, per lei una formalità da sbrigare con meno partecipazione possibile. Entrambi sarebbero contenti di incontrare una persona interessante, ma si accontenterebbero anche di non imbroccare un coglione come capita più o meno a tutti. Lei sta uscendo da una storia complicata ed è anorgasmica (una disfunzione che equivale a uno stigma sociale), lui è l'ultimogenito di una legislatrice universalmente apprezzata, che fu tra le promotrici del Sex Act Act, ma che malgrado l'indiscutibile competenza deve gran parte del successo politico a un video intimo che le fu estorto da giovane - un video dove lei mostrava una competenza ancora meno discutibile. Tutti i coetanei del protagonista lo hanno visto. Non è così strano in un mondo dove tutti possono vedere i video di tutti. Ma per qualche arcano motivo, il video che tutti preferiscono vedere è quello della madre del protagonista. Il suo psicologo dice che deve farsene una ragione.

Che succederà ai due piccioncini? Faranno una bella figura? (Lui ha ovvie ansie di prestazione, lei ha deciso che reciterà, ma allo stesso tempo non vuole recitare troppo per evitare di finire nelle antologie, c'è tutto un feticismo sui video di gente che finge oltre la soglia del ridicolo).

L'idea è insomma di scrivere una storia antierotica, dove si parla di sesso continuamente nel modo meno eccitante possibile. Chissà perché non ci ha ancora pensato nessuno, boh, forse hanno paura di farci troppi soldi. Se non avete paura che succeda a me, potete votare per La prima volta si fa davanti a tutti, che se la gioca con O viceversaPotete cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo vi è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.
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La fine del mondo (dei procioni)

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Live long and prosper
Più o meno tra un secolo scopriremo Brahe67B, un pianeta a mille anni luce della Terra, un po' più piccolo ma con un enorme satellite geostazionario che ci sembrerà subito artificiale; tra un secolo e mezzo, dopo infiniti tentativi, riusciremo a decodificare i messaggi che i Brahiani hanno esplicitamente disseminato in tutte le direzioni, e di lì a poco cominceremo a decodificare le loro trasmissioni radiotelevisive - trasmissioni di mille anni fa, ma lo spaziotempo è relativo, ci sembrerà di vederle in diretta. Scopriremo che sono molto simili a noi (mammiferi) ma anche incredibilmente diversi (procionidi); che sono feroci ma anche molto teneri, con una tecnologia per certi versi più avanzata e per altri più arretrata, e impazziremo per loro. D'altro canto, che senso avrebbe rispondere ai loro messaggi? Un'eventuale replica arriverebbe 2000 anni più tardi... L'unica è cominciare a investire qualche soldo serio nella ricerca dei tachioni di Crough-Clay.

Sono particelle scoperte da poco, che viaggiano da sempre a velocità superiori alla luce. Non possiamo farle partire, ma se riuscissimo a perturbare gli sciami di tachioni che stanno passando, avremmo uno strumento per comunicare più rapidamente. E se ci arriviamo noi, tutto lascia intendere che ci siano già arrivati loro, quindi forse in questo esatto momento stanno passando tachioni che portano informazioni più recenti su Brahe, cosa aspettiamo? Monta l'antenna, accendi, BAAAAAAAANG!

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C'è un frastuono notevole - dev'essere successo qualcosa di molto, molto brutto. Quando? Più o meno 900 anni fa. Qualsiasi cosa sia accaduto, è improbabile che Brahe67B ospiti ancora forme di vita. È improbabile che Brahe67B esista ancora. In ogni caso scopriremo tutto, con un po' di pazienza. Continueremo a captare programmi radiotelevisivi per 100 anni. Assisteremo alla fine di una civiltà, come se fosse una diretta.

Prima eravamo solo affascinati, ora è amore disperato. Quei procioni combattono guerre, costruiscono satelliti artificiali, scrutano lo spazio chiedendosi se sono soli, e non sanno di essere morti da 900 anni. Quanto a noi, avevamo appena scoperto di non essere soli - ed ecco che una misteriosa catastrofe ci toglie l'unico amico potenziale che avevamo intravisto da lontano.

I protagonisti sono dottorandi in quelle scienze che fino a un momento prima si definivano "umane". Proprio quando tutto sembrava già archiviato, catalogato, descritto, la scoperta di Brahe67B aveva aperto praterie a storici, glottologi, antropologi (subito convertiti i procionidologi), persino scienziati della comunicazione! Con certi sviluppi assurdi - ad esempio per decifrare una delle lingue più importanti dei brahiani era stato di enorme aiuto una telenovela di procionidi, che era diventata straordinariamente popolare sulla Terra molto prima che si riuscissero a tradurre i dialoghi. Tra le cose che umani e procionidi avevano in comune c'era una certa attitudine melodrammatica che rendeva molto più semplice comprendere le telenovelas che le tribune politiche.

Brahe67B dava da fare anche a filosofi ed economisti. I procionidi avevano elaborato modelli di società che a noi semplicemente non erano venuti in mente. Il dibattito più intenso del XXII secolo era quello sulla superiorità o inferiorità dell'uomo rispetto al procionide. Molti li idealizzavano, fingendo di non vederne i caratteri più cruenti; altri ne avevano paura e proponevano di armarci. La scoperta della catastrofe tachionica aveva un po' depotenziato gli argomenti di questi ultimi. Ma a quel punto l'umanità si era trovata di fronte al più stuzzicante dei misteri: cos'era successo ai procioni? Si erano massacrati in una guerra fratricida? La loro stella aveva avuto un lieve soprassalto - quanto basta per friggere qualsiasi forma vivente e perturbare qualche tachione di passaggio? E soprattutto: avevano fatto in tempo a concludere la telenovela?

Finché un giorno (ah ah ah, non lo saprete mai se non votate per La fine del mondo dei procioni, che oggi se la gioca contro L'ultimo uomo dell'universo). Potete cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo vi è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto).
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(Neanche se tu fossi) l'ultimo uomo nell'universo

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Come ci si sente quando ti svegli e ti dicono che la tua razza è estinta?

Quattrocento anni sono passati da quando la Terra è stata distrutta con tutte le sue colonie (nulla di sconvolgente - soltanto un’operazione di polizia internazionale. Gli umani si ostinavano a mangiare cereali, finché una razza di pannocchie intelligenti di Aldebaran non ha sporto denuncia formale alla Corte Intergalattica. Anche se qualche revisionista sostiene che è stata tutta una scusa dei Cereali per impadronirsi del silicio del sistema solare… comunque è roba di 400 anni fa, sarebbe ridicolo anche solo chiedere scusa, tipo Wojtyla su Galileo).

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Il nostro eroe, anzi eroina, in cui consiste forse tutta l’umanità sopravvissuta nell’universo, lavora su un equivoco cargo interstellare e ha per unico sodale e compagno una lucertola di Sirio espulsa dal suo pianeta per devianze sessuali. In realtà l’ultima donna della Galassia è ricercata da una polizia scientifica che vorrebbe clonarla, per ridare una chance all’Umanità, la quale è stata molto rivalutata nei secoli successivi (com’è successo agli Incas). Per cui la Nostra certe notti sogna di vivere in un pianeta dove uomini donne e bambini, politici artisti e maniaci hanno tutti la sua faccia, e pensano i suoi stessi pensieri e hanno i suoi stessi ricordi: un inferno in curva esponenziale. Insomma è una tipa all’antica, vorrebbe rifare l’Umanità alla vecchia maniera: così è in cerca di un qualche Adamo ibernato su un pianeta dimenticato - ne parlano le leggende, e qualche antica bolla di trasporto di cui la lucertola è giunta in possesso. Devo, seppure a malincuore, diventare un popolo, pensa la novella Eva: altrimenti il giorno che morirò i versi di Shakespeare e le canzoni dei Beach Boys non avranno più senso per nessuno.

Durante questa ricerca visita alcuni pianeti abitati – altrettante anti-utopie, proiezioni di quella che potrebbe diventare la Nuova Umanità che deve fondare. Ci sono gli xjil, imperialisti e con una pessima cucina, che massacrano i popoli e poi li idealizzano, i miti collettivisti del pianeta zaptvb, che mettono tutto in comune e si annoiano a morte, gli gkjg un po’ nazisti che insistono sulla purezza della razza, i gdwfd ai quali al contrario è fatto divieto di riprodursi tra individui della stessa specie, e che quindi sono un’allegra congerie di mostriciattoli dalle infinite possibilità di perversione sessuale (e con un sacco di idee nuove, poiché, come spiegano al Nostro, l’intelligenza è il risultato dello sforzo immaginativo e lo sforzo immaginativo è una forma di perversione).

Eva-Gulliver si fa il suo bravo giro dell’universo finché non riesce a finalmente a interpretare la Mappa che lo porta nel pianeta in cui 200 anni prima un Adamo è stato ibernato. Tutto sembra andare per il meglio, la principessa sveglia il principe azzurro… che però si rivela ben presto un perfetto stronzo e da lei non ne vuole mezza! Neanche per inseminazione artificiale, crescere i figli tuoi, pouah! Sei chiatta. L’umanità finirebbe con questo tragico dramma dell’incomunicabilità.

Poco male perché nel corso delle sue peregrinazioni, Eva ha capito che la lucertola di Sirio le vuole bene veramente e darebbe anche una zampa per lei (non è un modo di dire, a un certo punto le dà davvero una zampa, sperando che ricresca ma non è detto). Ha già cominciato a leggere Shakespeare, Pet Sounds invece non lo sopporta ma non si può pretendere. Felici e contenti scivolano nel melting-pot galattico (senza più ambizioni di fondare popoli, ma consapevoli che ogni casa, pianeta o astronave ospitale è già un popolo bastante, che le tradizioni vanno inventate più che rispettate, e altre massime da fine romanzo).

E lo stronzo? Si fa beccare dai clonatori, e in breve abbiamo un Pianeta degli Stronzi che è tipo lo Zoo di 105 su scala planetaria. Si estinguono in breve con una provvidenziale guerra atomica.

È ovviamente uno spunto che si trascina dai tempi in cui si girava l'Europa con la sensazione di essere una civiltà a se stante. L'eroina ha tic tipici dell'Erasmus, si sveglia con un desiderio di caffè ma l'ultima moka è andata distrutta tre secoli prima, ecc.. Se pensate abbia un suo senso potete votare per L'ultimo uomo nell'universo, che oggi se la gioca contro La fine del mondo (dei procioni)Potete cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo vi è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.
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Fiume 1920, l'immaginazione al potere

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Tra un po' sarà il centenario, forse ne vale la pena. Nel ’19, mentre l'Europa si rigira ancora sbigottita dopo il più grande macello di tutti i tempi, un poeta un po’ fuori moda, autore di best-seller ed eroe di guerra, occupa con un manipolo di reduci fuori di testa la città di Fiume (Rijeka), che i diplomatici seduti al tavolo dei vincitori sono ancora incerti se assegnare al regno d’Italia o a quello appena nato di Slovenia Croazia Serbia e Montenegro (che qualcuno chiama col buffo nome "Jugoslavia").

Mentre i politici cercano di metterci una pezza, la ridente cittadina adriatica scivola nel delirio liberty del suo improvvisato dittatore, che inventa tante cose destinate a lasciare il segno, ad esempio i discorsi al balcone, il culto della personalità, l'eja eja alalà. D'altro canto Gabriele D'Annunzio, perché è di lui che stiamo parlando, sa che di discorsi alati non si vive, e cerca finanziatori. Li trova tramite quel giornalista ex socialista a cui l'Ansaldo finanzia ancora il quotidiano, Benito Mussolini. Quest'ultimo per copertura organizza una sottoscrizione, ma è scettico, teme di rimanere fregato. D'Annunzio gli propone cose folli, ieri abbiamo marciato su Fiume, domani marceremo su Roma! Seh, su Roma, figurati, ci massacrano ad altezza Orte. Non capisci, ormai lo Stato liberale è disgregato, lo dice anche quel sovietista torinese, come si chiama... Uh, buono quello.  

(Questo pezzo partecipa alla Grande Gara degli Spunti! Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui).

Ma è solo l'inizio. Quando si accorge che i negoziati vanno per le lunghe, e che anche Mussolini è favorevole a una situazione di compromesso, D'Annunzio trasforma Fiume in uno Stato indipendente, comincia a stampare francobolli, legalizza il giuoco d'azzardo e, cosa più sconvolgente di tutte, si butta a sinistra: riconosce, primo stato al mondo, la Russia dei Soviet. Nomina capo del governo un sindacalista rivoluzionario e redige con lui una costituzione che Trotskji trovò interessante. "Fiume è diventato un postribolo, ricetto di malavita e di prostitute più o meno high-life" [Turati]" Vi accorrono criminali internazionali e le spie a cui la pace ha tolto il posto di lavoro. Sono tutti variamente impazziti: sono sopravvissuti alla guerra più orribile e non sono nemmeno sicuri che sia finita. La rivoluzione è data per scontata, inevitabile; probabilmente sarà bolscevica ma anche anarchici e legionari l'attendono con trepidazione. D'altronde se D'Annunzio può fondare uno Stato, allora qualunque cosa, no?

Poi se lo volete più Pynchon me lo dite e lo facciamo più Pynchon, si può fare di tutto. Attilio è un ragazzo dello ’00, di quelli che hanno mancato la leva per un pelo, e in pratica hanno solo il rimpianto di essersi persi la gloriosa cavalcata di Vittorio Veneto. In più suo fratello maggiore Bernardo era un Ardito, uno delle truppe speciali che strisciavano nelle trincee dei crucchi e li strangolavano nel sonno, in teoria. Lui sì che è un vero uomo. Ma dopo Vittorio Veneto non si è più fatto vivo a casa. Morto non è, perché continua a spedire le sue cartoline sgrammaticate da Verona, Milano (forse c’era quando hanno dato fuoco alla sede dell’Avanti)… l’ultima cartolina è timbrata Fiume. Attilio, che di suo è già purtroppo un estimatore del Piacere e delle Laudi, decide di raggiungere il fratello.

A Fiume incontrerà gente delle più strana. Sono mutilati, traumatofili, si accoltellano per passarsi il tempo, una marchesa va in giro vestita da Ardito col pugnale. Gira anche un po' di coca, ma è la guerra la vera droga di cui tutti sono in crisi d'astinenza, la presa di Fiume è solo un succedaneo. A un certo punto arriva Marinetti con un volante in mano - ha cappottato strada facendo, per lui è una cosa naturale. È appena appena un po' più fuso degli altri, in preda a ossessioni erotiche incontenibili maturate tra fronte e ospedale. Un gran parlare della trincea come di una festa di fine di mondo in cui ogni tanto qualche tuo amico esplodeva. Bei tempi, ma torneranno.

Quando finalmente incontra il fratello, Attilio ne resta turbato. All'apparenza è il più tipico miles gloriosus, la sua guerra sembra consistita nello sfoggiare il fez e sparare su fantaccini in fuga. Ma sotto la maschera si intravede un mostro in preda al panico. Che cosa combinerà nella città dove tutto è possibile? Riuscirà D'Annunzio a finire l'avventura in bellezza senza farsi male? Riuscirà Mussolini a rivendere l'idea della marcia su Roma come sua? Per saperlo non avete che da votare per Fiume 1920! Potete cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che il pezzo vi è piaciuto. Eja ej... ehm... grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto).
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Ognibene alla corte di Claudio Augusto

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...portentum eum hominis... nec absolutum a natura, sed tantum incohatum.

Ogni uomo si sente capace di giudicare la propria epoca, come se fosse possibile tenersene alla giusta distanza: come se fosse possibile rifiutarla per sostituirla con un'altra qualsiasi.
Ognibene, che è stato in tante epoche, e di tutte conserva il ricordo, lui sì potrebbe prendersi la responsabilità di dare giudizi e di preferirne una all'altra: ed invece più d'ogni altro il nostro eroe sembra trovarsi in difficoltà. I brandelli di storia che pure vive in prima persona, egli non riesce a comporli in un quadro che sia a malapena leggibile. Le cose sembrano accadere indipendentemente dalle cause e dagli effetti che noi uomini attribuiamo loro: o forse esistono queste cause e questi effetti, ed esistono anche precise equazioni: ma sono di quarto o centesimo grado, e Ognibene non può risolverle.

Diciamo allora che il nostro si trova in viaggio sulla via Aurelia, a cavallo del figlio di un senatore romano. È l'autunno dell'anno dei consoli Asinio Marcello e Acinio Avola, in un secolo di autunni miti e dolcissimi. Ognibene sta ritornando a Roma dopo un soggiorno di anni trascorso su un'isola ai bordi del mondo e dell'impero, che sarà magari un giorno il nuovo centro del mondo e dell'impero, ma questo chi potrebbe immaginarlo? È tornato per farsi un bagno decente e un'orgia come si deve, e quattro chiacchiere con qualcuno un po' civile: per incontrare magari Seneca (non che ci tenga tanto), per piangere di nascosto sulle ceneri disperse della dolce Messalina. Ma soprattutto è tornato per fare rapporto all'Augusto Imperatore sulla nuova provincia di Britannia: e poi - e questo è l'unico vero motivo - per vederlo morire.

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A Roma stavolta Ognibene non ha avuto molta difficoltà ad arrivare. Si è semplicemente messo su una strada, e ha seguito la corrente. All'inizio sembrava difficile: per giorni magari non si vedeva che un carretto, lungo sentieri e mulattiere delle regioni più sperdute. Poi, man mano che ci si avvicinava, il traffico aumentava sempre più. Già a Grosseto la fila dei carri è ininterrotta; ma l'Urbe comincia molto più in là, quando le strade congestionate esplodono, là dove carri e carovane fermi l'uno addosso all'altra, hanno messo le radici: Roma è questo ingorgo colossale.

(Questo devo aver smesso di scriverlo quando ho scoperto che Robert Graves ci aveva già scritto sopra ottocento pagine).

Ognibene non può fare a meno di notare che, se tutte le strade portano a Roma, nessuna sembra uscirne: come se l'Urbe non fosse il punto di partenza dell'impero, ma il punto d'arrivo: non caput ma sfintere, il Foro nel quale precipitano tutte le mercanzie d'oriente ed occidente: dove non si produce più nulla, e tutto deve consumarsi. Salito su un colle in periferia, domandato a un pastore con finta ingenuità di quale dei sette colli si trattasse, si sente rispondere che non è né il settimo né il settantasettesimo, ma solo un mucchio di detriti e cocci rotti sui quali è già cresciuta l'erba. Nelle anfore di tutto il mondo arriva il vino alla Città: ed essa non ne rende nemmeno i vuoti.

(Probabilmente il senso di tutto era il profilo di Claudio, l'imperatore che governò tra il nipote Caligola e il figlioccio Nerone, figura patetica e titanica assieme, un disabile che cerca di tenere assieme un enorme impero perché è sempre meglio lui di certi pazzi che ha visto al governo. Ha davvero fatto finta di essere uno scemo per essere incoronato, o è scemo davvero? O entrambe le cose?)

"E che c'è di nuovo in Città, ditemi."
"Di nuovo, in città? Mah. Acqua e grano, finché dura, non ne manca: e alle bighe vince parecchio il Verde. C'è stato un grosso temporale nove giorni fa, e un fulmine ha colpito una statua."
"Una statua?"
La tomba di un uomo importante, un Dio forse: ma non gli sanno dire quale. Le notizie vanno lente e si confondono nella città enorme. Davvero, pensa Ognibene, non lo diresti ma è infinita una città di un milione di abitanti quando ci si può spostare a piedi o - ma la sera soltanto - a cavallo. Quando i palazzi più arditi arrivano al terzo piano, e chiunque tenga alla pelle si cerca un appartamento al piano terra. È un mare, un mare d'argilla e pietra, e ti costa ore attraversarlo... "La Città di marmo" pensa Ognibene: "Il Divo Augusto aveva innalzato una dozzina di tempietti e pensava di aver lasciato la Città di marmo". Non aveva gli occhi per la città di fango che si ingrossava ad ogni orizzonte. Come sono inadeguati gli uomini, anche i più capaci, anche gli Dei.

(Se ci sono errori storici non prendetevela con me, ormai sono un'altra persona).

Più in là gli sapranno dire che il fulmine ha centrato precisamente un mausoleo di un Cesare: ma quale? Ce n'è tanti. Di Germanico Cesare, si dice: il potente e buon Germanico. E non è stato un temporale, è stato un lampo a ciel sereno: pessimo auspicio! Macché, dicono altri che paiono meglio informati: pioveva come piace a Giove, e il mausoleo è poi l'altare di Tiberio. Oh, perché c'è un altare di Tiberio adesso a Roma? Non aveva la plebe precipitato il cadavere del vecchio bavoso dalla rupe tarpea? Ma già, s'intende, balbettano, noi non parlavamo mica di quel Tiberio lì, ma di coso, di... come si chiama: Druso, ecco. Finché, per farla breve, Ognibene non decide di farsi portare lì a vedere di chi si tratta veramente: siamo nel Centro, ormai.

"Ah, ecco, volevo ben dire: è Druso."
"Certo che è Druso: non te l'avevamo detto, noi?"
"Sì, ma non Tiberio Druso, che poi è Claudio Cesare Augusto: questo qui è suo padre Germanico."
"Ah no, questa no. Noi lo conoscevamo il buon Germanico, e non c'entra niente con questo qui."
"Ma è suo padre, ignoranti. Voi lo confondete col padre di Caio, il fratello maggiore di Claudio Augusto, che poi è Germanico pure lui. Possibile che ne debba sapere più io di voi su queste cose?"

Ma Dei immortali, di chi è mai la colpa? Certo, si sarebbe dovuto organizzare un po' meglio questa dinastia. È impossibile non fare confusione. "Secondo me quando poi salgono all'Olimpo, nemmeno là ci si raccapezzano più: un altro Cesare? Un altro Tiberio? Un altro Claudio? Sul serio, a pensarci: perché dovrebbe impegnarsi tanto a distinguerli, Giove Padre? E forse gli è già successo di fare qualche confusione. Dice:"Molto bene, è tempo che i romani abbiano un nuovo imperatore. Ma un tipo buono, serio, posato, che c'è n'è gran bisogno. Mercurio, vieni qui. È tempo che venga eletto a Roma Tiberio Claudio Germanico." E Mercurio: "Ma Giove Padre, sei proprio sicuro?" "Certo che sono sicuro. Un uomo buono, serio, posato: Tiberio Druso Claudio Germanico. O osi discutere i miei ordini? Vuoi assaggiare la mia folgore, dì?" E Mercurio scappa via le ali ai piedi: chi glielo spiega a Giove che si è confuso, che volendo procurare a Roma un buon imperatore, ha nominato per sbaglio un povero fesso?

Diventi empio, Ognibene: bestemmi gli Dei. Non eri così sbarazzino lassù tra i cassivellauni, dove Essi hanno nomi terribili da bisbigliare in segreto, e al legato romano di turno conviene chiudere un occhio o due quando il druido viene ad avvertirlo che al prossimo plenilunio è previsto un sacrificio umano... e certo, bisogna ammettere che Giove Padre è un amicone, dopo anni passati a guardarsi da Belenos. Eppure è preoccupante questa tendenza a non prendere più sul serio l'Olimpo.

(In punto di morte Claudio spiegava che non vale la pena sforzarsi. La gente non vuole governanti ragionevoli, vuole pazzi maniaci e divertenti alla Caligola, alla Nerone. Era tutta una storia su Berlusconi insomma. Se vi interessa ancora potete votare per Ognibene alla corte di Claudio. Potete cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo vi è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto).
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Giuseppe che nascondi nell'armadio

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Questo è il delirio di una notte, però noto che i cold case continuano a piacere, almeno in tv. In Toscana ogni tanto scompariva un ragazzino. Lo sapevano tutti, ma nessuno sapeva niente. Un laureando in legge prova a mettere in fila tutte le sparizioni tra Versilia e Mugello scoprendo una cosa inquietante: il primo bambino sicuramente scomparso aveva 10 anni. Due anni dopo ne era sparito uno di 12. Due anni dopo uno di 14. E così via. Di questo ritmo, ormai dovrebbero scomparire dei quarantenni. E magari scompaiono davvero, ma nessuno li ricollega alla catena. Il laureando decide di indagare, o meglio non riesce a impedirselo. All'inizio non si rende nemmeno conto del pericolo: sembra tutta roba da archivio. Emeroteche, microfilm, la maggior parte degli indagati sono morti.

(Questo pezzo partecipa alla Grande Gara degli Spunti! Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui).

A ogni sparizione, i carabinieri interrogavano i soliti sospetti. Mangiafoco, un ex partigiano di Vicchio, artista itinerante con precedenti per molestie famigliari. Un pescatore di Viareggio con un ritardo mentale, su cui in paese si raccontavano sinistre storie di antropofagia (trovarono una clavicola nel suo pattume). Una coppia di truffatori di mezza tacca che battevano la provincia fingendosi operatori della compagnia del gasse. Lucignolo, un balordo dedito allo spaccio sin dalla prima adolescenza, ma troppo inaffidabile per far carriera. Tutta gente entrata e uscita di galera a cui sono state rimproverate attenzioni nei confronti dei minorenni. Di questi, almeno Lucignolo è ancora vivo e rintracciabile. In teoria disintossicato, lavora in un allevamento bovino a pochi chilometri dalla casa dei genitori del laureando che, ormai ossessionato, comincia a frequentare il bar dove da piccolo lo aveva visto passare. Un pomeriggio lo incontra, gli offre da bere, e in cambio ascolta la storia sconnessa di un Omino che portava i bambini in un posto apparentemente bellissimo e poi li uccideva e ne vendeva i pezzi. Lucignolo stesso da bambino era stato catturato dall'Omino, ma era stato risparmiato perché non vergine, ed era diventato un suo aiutante.

Sembra una favola - e il laureando ha la sensazione di averla già sentita - ma il "posto bellissimo" ha un indirizzo. In via Teatina, a Firenze, forzando il lucchetto di un seminterrato (su una parete, una scritta misteriosa e inquietante: Non voglamo più schole), si infila in un cunicolo che lo conduce a una specie di sala giochi di trent'anni prima: calcioballilla, flipper, giornaletti zozzi. Il laureando sa di aver trovato un nascondiglio dove uno o più pedofili attiravano le loro vittime, ma si domanda quanto questo abbia a che fare con il suo caso.

Decide finalmente di andare dai carabinieri. Spera che gli diano ascolto, tanto più che il colonnello Melampo, che aveva indagato (male) sulla maggior parte dei casi, è scomparso di recente. Purtroppo il suo sostituto è un gorilla ottuso che lo minaccia di mandarlo in galera se non si fa i fatti suoi. A questo punto l'unico che può aiutarlo è il Grillo, un ex cronista della Nazione che aveva seguito i casi con un certo scrupolo. Ma il Grillo di tutta la storia non vuole più sentire parlare. Conosce Lucignolo, ma la storia del traffico d'organi lo fa sghignazzare: del "posto bellissimo" ha sentito parlare, l'Omino era effettivamente un pedofilo ma non uccideva le sue vittime.

"E come fa a saperlo?"
"Non ti preoccupare delle cose che so io. Ma la Fata di Scandicci la conosci?"
Vagamente. È la titolare di un bio-agroturismo che nel tempo libero celebra riti pagani. Anche lei qualche precedente per circonvenzione di incapace. Il laureando scopre che a un certo punto aveva truffato una coppia di ingenui, un po' avanti con gli anni, persuadendoli che poteva fare in modo che loro avessero un figlio - quel che rendeva grottesca la faccenda era che la partner, "Ciliegia", fosse un transessuale. La storia potrebbe andare avanti così e qualcuno spero che abbia capito il meccanismo; alla fine di tutto c'è senz'altro un signore sulla quarantina dalle parti di Pescia che custodisce in un armadio una marionetta di legno. Ma se volete capirne di più non vi resta che votare per Che nasconde Giuseppe nell'armadio. Potete cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo vi è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.

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La prigioniera nella torre

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Ma voi forse avete voglia di frustini e manette - è quello che fa andare avanti la letteratura oggi, no? E chi siamo noi per tirarci indietro? Avanti coi frustini e le manette.

Yris è scomparsa dieci anni fa (ne aveva 11), senza lasciare nessuna pista credibile. Anche a Chi l'ha visto ormai non sanno più cosa raccontare. Una giornalista di costume (più o meno la stessa dei Cinque dopo Genova), con scarsa familiarità per la cronaca nera, inciampa sul suo caso mentre sta lavorando a un servizio sul sexual roleplay. Chiacchierando amabilmente con un fabbro molto specializzato, viene a sapere che c'è un tizio che vive in un castello a pochi chilometri da dove sparì Yris, un nobile spiantato, che è il suo miglior cliente, e non solo il suo: collari e manette, ma anche sistemi di sicurezza a circuito chiuso, "A casa sua c'è una cazzo di Alcatraz in miniatura". Ma se c'è un'alcatraz, ci dev'essere anche una prigioniera. Non vale la pena indagare? Dai e dai, la giornalista riesce a solleticare la curiosità di un inquirente (e tra i due c'è anche del tenero, anzi del torbido, con tanto roleplay).

(Questo pezzo partecipa alla Grande Gara degli Spunti! Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui).

Yris in realtà vive in una cella a centinaia di chilometri di distanza da quando - dieci anni prima - fu adescata in una chat da un maniaco, un signor Nessuno assolutamente insospettabile, sposato con figli e una cantina di cui lui solo ha le chiavi. Dopo un po' però anche il più suonato dei lettori dovrebbe rendersi conto che dei due la più sociopatica è Yris. Odiava i genitori (separati), aveva mandato all'ospedale una compagna di scuola.

Il signor Nessuno la ha liberata dalla famiglia e dalla scuola, realizzandone le fantasie di hikikomori, regalandole tutto quello che ha sempre sognato: una cantina blindata e insonorizzata in cui farsi per sempre i fatti suoi; libri, playstation - e di sgamo Yris è riuscita anche a connettersi a internet: ha un profilo facebook e lo usa per scrivere creepypasta e spaventare a morte i bambini. Inoltre è diventata la più grande esperta vivente di Edgar Allan Poe o di qualche altro scrittore meno banale, i suoi interventi critici sono apprezzatissimi nel circuito accademico.

Il sig. Nessuno è roso dai rimorsi (ma è anche seriamente innamorato di una ragazza che gli fa credere di essere stata plasmata da lui). Ha anche qualche debito e non può più permettersi un pied-à-terre e il mantenimento di una schiava. Decide di liberarla, ma lei punta i piedi e minaccia di ricattarlo. Preso in un vicolo cieco, Nessuno comincia a progettare l'omicidio. Ma a questo punto le due trame si intrecciano perché non lo saprete mai se non voterete per La prigioniera nella torre. Potete cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo vi è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.

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Io robot, tu fatti da parte

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Ex machina (2015, Alex Garland)

A volte i robot hanno gli incubi. Sognano di non essere più robot, ma esseri umani con un cuore e i vasi sanguigni. Si svegliano e cominciano a smontarsi, strato dopo strato, finché sotto la pelle sintetica non emerge il verde confortante della scheda madre. 


Idee semplici e perfette.
Il fatto è che malgrado ne fosse prevista l'estinzione già da tempo, nessuno può essere sicuro che qualche umano non sia ancora in mezzo a noi. Un sistema per capire se il tuo interlocutore è umano è sottoporlo al cosiddetto test anti-Turing: se le sue risposte non sono prevedibili secondo nessun algoritmo noto, chi ti sta parlando è un umano. Oppure lo sta diventando. Ma forse è più semplice forarlo e verificare se sanguina. 

Negli anni Duemila la fantascienza al cinema era un genere innocuo e fracassone, ancora ingombro dei blockbuster catastrofici di Michael Bay e Roland Emmerich. Poi qualcosa è cambiato. Credo che sia tutto cominciato con Moon, il piccolo film di Duncan Jones del 2009 che affrontava il genere con un approccio minimale: una sola location, un solo attore, effetti speciali semplici e poco invasivi, un paio di idee veramente buone. Moon è piaciuto a tutti, è stato immediatamente scopiazzato da qualche grossa produzione di Hollywood, ma soprattutto è stato per la fantascienza quello che Paranormal Activity è stato per l'horror: ha mostrato a tutti che se l'idea è buona, il budget può anche essere piccolo. E se il budget è piccolo, non c'è più bisogno di piazzare combattimenti ed esplosioni per in grande pubblico quindicenne. Si possono fare film un po' più adulti, film che ragionano, film che ti turbano e ti lasciano un po' perplesso anche a mesi e anni di distanza.

NON HO IDEA DI COSA STO FACENDO.
Gli ultimi anni sono stati una vera primavera del cinema di fantascienza: non solo per le grandi produzioni hollywoodiane (Oblivion, Edge of Tomorrow, Interstellar), che in certi casi hanno ripreso l'approccio minimale (Gravity, Mad Max), anche se non sempre sono state all'altezza delle premesse. Film altrettanto interessanti sono arrivati dalle periferie del cinema mondiale: alcuni, come il teuto-australiano Cloud Atlas, e l'israeliano The Congress, sono pastrocchi incredibili e per niente minimali - ma hanno comunque qualcosa di straordinario che lascia il segno nello spettatore. Anche dalla Spagna ci è arrivato un bel film di robot in fuga (Automata). Dall'Australia i fratelli Spierig hanno saputo rileggere in modo geniale un racconto classico di Heinlein (Predestination). Nessuno di questi film è un capolavoro, ma sono tutti interessanti, e in molti casi imperdibili (continua su +eventi!)

Ah, io farei la stessa cosa.
Uno degli aspetti che caratterizzano queste produzioni è la creatività con cui si superano i limiti di budget. Ex Machina, l'esordio alla regia del britannico Alex Garland (autore di The Beach, sceneggiatore di 28 giorni dopo e Sunshine), meriterebbe una menzione nella storia del cinema anche solo per l'idea semplice e geniale con cui ha risolto uno dei problemi più difficili - mettere in scena un umanoide credibile. Le forme della dolce e gelida Alicia Vikander sono state parzialmente cancellate via rotoscope, ottenendo un automa familiare e inquietante al tempo stesso, semplicemente perfetto. Lo vedete sulle locandine e vale già il biglietto.

Poi c'è la storia. Anche stavolta, quattro attori e una location, e un'idea semplice ma di sicura presa: il test di Turing. Benché abbia esordito come scrittore, Garland si è impadronito del mezzo cinematografico al punto che per portarci nel suo mondo non ha bisogno di una di quelle fastidiose "spieghe", i monologhi iniziali che affliggono quasi sempre i film di fantascienza. Non è che tutto funzioni sempre: l'eleganza della confezione nasconde diversi difetti di trama e di logica. Ma con tutte le sue magagne, Ex Machina ti lascia addosso un segno potente. Oscar Isaac è Nathan, l'imperatore di internet, una figura che fonde Jobs, Zuckerberg e i creatori di Google. Nel suo castello ai confini del mondo sta lavorando all'intelligenza artificiale, il gradino successivo dell'evoluzione, con la stessa incoscienza infantile con cui Pollock rovescia colori sulla tela. Non gli dispiacerebbe essere Dio, ma sa anche di non avere scelta: i robot prima o poi si evolveranno, non è più una questione di "se", ma di "quando". Domhall Gleeson, un anno dopo Frank, veste di nuovo i panni del nerd che pensa di essere più furbo di quanto non sia e combina grossi guai. Ex Machina arriva nelle sale italiane proprio nella settimana in cui gli scienziati lanciano un allarme contro lo sviluppo di intelligenze artificiali in campo bellico, ed è la più bella sorpresa di questa estate rovente. Lo trovate al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo (20:10, 22:40) e al Multilanghe di Dogliani (21:30).
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Capodanno

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Questo è molto antico - ispirato a un capodanno del secolo scorso - e ha l'aria di essere uno spunto per un lungometraggio. Non ricordo bene, ma a un certo punto qualcuno mi chiese se avevo dei soggetti per un film, o forse lo chiese a qualcuno che conoscevo, insomma io me ne uscii con qualche roba del genere, e ovviamente nessuno mi ha più chiesto nulla.

O. è neolaureato, fa il servizio civile. Il 31/12, mentre si annoia in servizio, si imbatte in una conoscente 45enne (amica della madre? ex insegnante? boh). Divorziata di recente. O. odia il capodanno come tutti, ma l'idea di non avere nessun invito, nessuna festa a cui andare, un po' lo spaventa. Impietosita la sorella (un paio d'anni più grande) lo invita a una cena. In auto ascoltano il discorso del presidente, un invito alla responsabilità, ecc ecc. Alla cena, in una corte di campagna, incontra alcuni personaggi, tra i quali:

— Un tizio di età indefinibile, bassino, stempiato, barba rossiccia, in poltrona. Sarcastico fino alla misantropia/misoginia. Si mostra interessato delle vaghe referenze di O.: ha degli amici (all'università? nell'editoria?), può dargli una mano con la carriera…
— Fidanzato della sorella, tizio scontroso. Forse la mena.
— Ragazza matricola all'accademia d'arte, ancora con l'apparecchio ortodontico, entusiasta di qualsiasi cosa.
— Coetanea praticante in uno studio legale.
— Allegri compagnoni. A un certo punto della serata tirano fuori non la playstation, ma cose più vintage (Pong).

(Questo pezzo partecipa alla Grande Gara degli Spunti! Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui).

La festa ha un rapido decorso. Si mangia, si beve, si discute di cinema, si sentono cose abbastanza bestiali (Kubrick è lento, Fellini ridondante, ecc). A mezzanotte si stappa, O. si assenta per telefonare alla 45. Sa di trovarla sola. Poi si balla scalzi su un tappeto, a un certo punto O. è avvinghiato alla studentessa d'arte. Più tardi sullo stesso tappeto O. e la coetanea laureata in legge si confidano i timori sul futuro. Cresceranno? Sembra inevitabile, eppure non sanno come fare. La maturità è stata recapitata senza istruzioni.

Verso le cinque i convitati residui si gettano dove capita. O. si ritrova sotto le coperte con sua sorella e l'avvocatessa.

— In un sogno i colori si sono spostati verso lo spettro disney: Il bagno, per esempio, è azzurro pastello, e O. vomita vernice gialla. I resti del banchetto sono enormi. Qualcuno gioca ancora a Pong. Nessuno può andarsene prima di aver sparecchiato. Pesa su tutti la consapevolezza che nessuno sparecchierà mai. La casa è una trappola.

— Poi invece si risveglia, si riassetta in un bagno normale, esce in macchina, ricomincia la vita. Due giorni dopo invita l'avvocatessa al cinema. All'uscita incontra la 45enne col bassino sarcastico, che chiede come vanno gli affari. Sale in macchina, accende l'autoradio, c'è di nuovo il discorso del presidente. E al suo fianco c'è la 45enne. L'avvocatessa dov'è? Angoscia, risveglio. È al suo fianco. È ancora capodanno.

— Un anno dopo, O. ritorna allo stesso casolare. La matricola ha tolto l'apparecchio. Vanno nuovi suoni, nuovi abiti, è difficile raccapezzarsi. O. ha un'avventura con lei; in breve vanno a vivere in un casolare, cani. Al matrimonio rivede l'avvocatessa che ora sta con un uomo (tipo scontroso, forse la mena). Al buffet, il bassino propone di comprargli l'anima. Quando la ragazza partorisce, O. l'abbandona in ospedale e si barrica in un ascensore. Chiude gli occhi e si risveglia al solito Capodanno.

— Qualche anno dopo, O. è un professionista di successo, anche se ai consigli d'amministrazione si gioca a pong. Sta divorziando dall'avvocatessa, che gli succhierà ogni stilla di sangue; ha una storia con la ragazzina, che è insopportabile. A volte la mena.

— Infine si sveglia e riporta la sorella a casa. Cerca di spiegarle i suoi sogni. Per strada, un incidente, una macchina bruciata: dentro c'erano tre allegri convitati e la ragazzina (nell'autoradio, ancora il Presidente). La sorella vomita vernice gialla. Arrivano i soccorsi.

A casa i genitori hanno dato una festa: caos ovunque. Verso sera la 45enne telefona. O. esce a incontrarla e per strada incontra il bassino, che gli propone un lavoro interessante. Poi al cinema incontra l'avvocatessa e la saluta, fingendo di essere lì da solo. La 45enne capisce e lo lascia da solo davvero. Buio in sala, titoli del film. In sottofondo una recensione scema.

Vabbe', insomma, ci si può lavorare. Mi farete sapere votando per Capodanno. Potete cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo vi è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.

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I cinque dopo Genova

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Cinque ragazzi – 25 anni nell’estate 2001. Stanno finendo l’università. Grandi attese. Si ritrovano a giugno a cena in terrazza e decidono di andare a Genova per il g8, un po' perché un altro mondo è possibile un po' perché minchia, bordello, Genova è il simbolo, se non ci vai sei un coglione. Vengono tutti coinvolti negli scontri. Immediatamente dopo si perdono di vista.

Nel giro di 10 anni sono diventati tutti stronzi. Cos’è successo? C’è un’organizzazione segreta che si occupa di trasformare in stronzi i virgulti della società? Se chiudono gli occhi e provano a immaginare quella cena, c’è sempre una zona d’ombra. Sicuro che fossero in cinque? Il tavolo era da sei.

(Questo pezzo partecipa alla Grande Gara degli Spunti! Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui).

Artista. A Bolzaneto ha un orgasmo mentre viene molestato (“A Ge ho scoperto il sesso”). Ha incubi frequenti, crede di ricordare attenzioni moleste da parte del padre nella prima infanzia. Fallisce un vernissage perché rifiuta di proseguire una relazione col critico che lo aveva scoperto. Viene poi assurdamente assunto nell’ufficio stile di una griffe di magliette, le disegna brutte apposta con scritte trasgressive in strass (lo so, ma la prima volta che ho abbozzato questa roba si vedevano ancora in giro, giuro).

Avvocato. Entra nel Legal Forum durante il praticantato, ma sta solo aspettando il concorso da magistrato perché vuole arrestare i mafiosi - Falcone, Gherardo Colombo, quel tipo di immaginario. Durante una carica ha una crisi di panico e scappa abbandonando gli amici (“A Ge ho scoperto la paura”). Si sposa presto - il concorso lo vince, ma al primo rischio di esporre la famiglia molla tutto. Diventa l’avvocato di un boss che è indagato per una serie di incendi dolosi.

Giornalista. Laureata in scienze dell'educazione, arriva a Genova con un collettivo femminista, ma scrive già per un foglio locale. Aggredita da un poliziotto, dopo le cariche riesce a iscriversi all'Albo e in capo a cinque anni ha una rubrica su un quotidiano nazionale. Scrive qualsiasi cosa piaccia al direttore di turno (“A Ge ho scoperto il potere”).

Medico. Alle Diaz un poliziotto gli ha spappolato la milza. (“A Genova ho scoperto la violenza”). Dopo un’esperienza nauseante in ginecologia (è l’unico non obiettore) sprofonda in un Pronto Soccorso, dove un giorno stende un extracomunitario che pretendeva di farsi curare gratis (ora che ci penso la storia cominciava appunto con un nero ubriaco che si prende un pugno in una sala d'aspetto). Viene messo in aspettativa e comincia a riflettere.

Scrittore. Ha assistito ai due giorni di scontri senza mai riuscire a capire cosa stava succedendo. (“A Ge ho scoperto il caos”). Dopo Genova entra in una società di produzione e comincia a collaborare al serial “Passioni”, in attesa di scrivere un romanzo che non comincia mai.

Dunque la storia cominciava con questo medico che al termine di un doppio turno al pronto soccorso rompe il naso a un africano e torna a casa. Non riesce a dormire (è mezzogiorno), allora decide di chiamare il suo amico avvocato - che poi non è più suo amico da un pezzo, e anche al telefono si fa negare, ma è l'unico avvocato che conosce. Mentre si domanda come sia stato possibile frequentare uno stronzo del genere per tanti anni, comincia a pensare a quella famosa cena che fu molto divertente - c'ero io, quello, quella, e poi... c'è un buco, non riesce a ricordare chi fosse il sesto a tavola. Come a volte avviene quando piuttosto di pensare ai tuoi guai ti fissi sulla prima cazzata, il medico non riesce a darsi pace di questa lacuna. Decide di chiederlo agli altri, ma non ha nemmeno più i numeri di telefono (un furto al pronto soccorso). Compra il giornale perché forse c’è la mail della giornalista (vecchia fiamma mai corrisposta). C'è un suo trafiletto in cui fa ironia su uno scrittore che denuncia i roghi dolosi: bello fare l'eroe, ma dovrebbe anche trovarsi una ragazza. Perplesso, lascia una mail.
Accende la tv per guardare Passioni, suo piacere proibito. C’è una ragazza messa incinta da uno stupratore seriale tossicodipendente che ha grossi problemi di salute ma ciononostante, ci mancherebbe, vuole tenere il bambino. Il medico ha la nausea, ma gli viene in mente che il suo amico che scrive questa puttanate gli deve un favore e che è facile trovarlo a un certo bar.
Il giorno dopo si ritrova in commissariato per fornire la sua testi sull'increscioso episodio accaduto il giorno prima. Mentre aspetta che il poliziotto metta giù il telefono, tra i calendari e i gagliardetti appesi alla parete trova un ricordo di Genova, un attestato. Il tizio è molto competente e comprensivo: gli spiega che l’extra non ha fatto denuncia, ma è manovalanza di un clan impiegato nel racket. Quindi deve stare molto attento e richiamare alla prima intimidazione.
Al bar trova lo scrittore. È distratto ed evasivo. Sta lavorando a un dramma su Genova, un poliziotto e un manifestante. Non ricorda chi fosse il sesto a tavola.

Questo non era proprio alla mia portata - troppa contemporaneità - ma credo di aver smesso perché suonava falso. I ventenni tornati da Genova non sono passati dalla parte del Sistema - magari qualcuno ci ha pure provato, ma il Sistema aveva già i suoi guai a trovare un posto a tutti i figli suoi. Comunque se pensate di dargli una possibilità dovete votare per I Cinque dopo Genova! Potete cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo vi è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.
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