Gli assassini del basilisco

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Siamo in un futuro un po' meno prossimo - diciamo una generazione dopo il Pianeta al gusto bubblegum: le persone di ceto medioalto ormai trascorrono gran parte della vita in piattaforme virtuali ispirate alle grandi saghe del passato.

Questi mondi ormai sono sensorialmente più coinvolgenti della vita reale, il che porta sempre di più gli utenti a domandarsi cosa sia, questa realtà. Quasi tutti sono ancora in grado di distinguere le piattaforme virtuali dal cosiddetto "Piano Zero", quello in cui esistiamo 'davvero', e possediamo un corpo solo che nasce e muore. D'altro canto, come facciamo a essere sicuri che il piano zero sia veramente reale? Che non sia anch'esso il prodotto di un software, una simulazione? Ma una simulazione di cosa, se non c'è nient'altro?

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Malgrado ogni comunità religiosa abbia ormai creato la sua piattaforma a tema dove dare sfogo alla naturale aggressività, il terrorismo a matrice religiosa continua a essere un problema. La setta più pericolosa è costituita dagli Assassini del basilisco, che credono nell'esistenza del temibile Basilisco di Roko: pensano che il Piano Zero sia una simulazione creata da un'entità maligna che - se non obbediscono a ogni loro ordine - può torturarli per l'eternità. Il protagonista della storia è un programmatore che sta lavorando all'update di una piattaforma. Nei confronti dei terroristi nutre lo stesso approccio liquidatorio che abbiamo noi: fanatici pazzi che non hanno studiato, prima o poi la Ragione trionferà. Ma non è che si sia mai messo a pensare seriamente al problema del Basilisco. È una specie di argomento tabù, tutti preferiscono non parlarne. Non si pronunciano certi nomi, non si raffigurano certi volti, non si ragiona sul basilisco.

Mentre il programmatore sta lavorando al nuovo rendering di una caverna, si imbatte in un'affiliata della setta che si nasconde dai suoi compagni decisi a ucciderla. Malgrado sia stata accusata di tradimento senza nessuna prova, la ragazza crede ancora nel Basilisco e cerca addirittura di convertire il programmatore. Lui la lascia parlare, e presto si rende conto di non avere obiezioni razionali al suo ragionamento: se tutto si può simulare, anche noi possiamo essere una simulazione. Se in una simulazione si può creare un loop all'interno del quale un personaggio può essere torturato per un periodo illimitato, anche a noi può succedere la stessa cosa. Il programmatore, perplesso, torna al suo studio. Fa fatica ad addormentarsi.

Aspettando che il sonno arrivi, rimette mano a un suo vecchio progetto dei tempi di scuola. Crea un universo di media grandezza, ci grattugia dentro miliardi di galassie, e in qualche pianeta random insemina forme virtuali di vita unicellulare, in grado di evolversi adattandosi all'ambiente. Con qualche migliaio di righe di codice stabilisce che, qualora una razza pluricellulare sviluppasse la capacità di formulare pensieri simbolici, dovrà sottostare a un rigido protocollo di precetti assolutamente arbitrari (non mangiare determinate altre razze, uccidere determinati nemici, non disegnare determinate immagini), comunicate attraverso oracoli o profeti. Al termine della minuscola esistenza di ciascun individuo virtuale, il file che contiene ogni sua cellula e la sua coscienza verrà trasferito in un loop eternamente piacevole o eternamente doloroso, a seconda che abbia rispettato o no i dettami della legge. Prima di addormentarsi si sbizzarrisce un po' scegliendo le torture più efferate da infliggere nel loop doloroso. Dopo aver creato il suo piccolo universo - ci mette un paio d'ore - il programmatore si sente più disteso, sbadiglia, si getta sul letto e non ci pensa più.

Noi viviamo in quell'universo.

Un romanzo magari non salta fuori, ma spero di avervi almeno terrorizzato. Comunque se lo spunto vi piace più di Nessuno si ricorda dei Catari non avete che da votarlo. Potete cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo vi è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.
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Nessuno si ricorda dei Catari

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Com'è noto (ma per quanto noto, resta incredibile) i nazisti non avevano pianificato soltanto il genocidio degli ebrei, dei rom, dei sinti, ma anche il loro oblio. Non solo calcolavano di sterminare diversi milioni di individui, ma pensavano di poterli in qualche modo nasconderli sotto il tappeto - in un qualche modo se ne vergognavano. Se avessero vinto, i loro pronipoti oggi leggerebbero sui libri di Storia che gli ebrei in Europa si sono estinti nel medioevo? Una storia del genere sarebbe credibile?

Un altro laureando, stavolta in Storia medievale, di lontane origini valdesi. Nella storia della crociata anti-catara c'è tutta una serie di cose che non gli tornano. La cronologia suona posticcia, ha l'aria di essere ricostruita molto a posteriori. L'improvvisa scomparsa della lingua d'Oc nel XIII secolo lo lascia perplesso: tutti i suoi insegnanti l'hanno appresa dai libri e la trovano normalissima, lui no. Aggiungi il ricordo di certe storie strane che gli raccontava la bisnonna. Quando accennava all'infanzia francese, i parenti le davano della matta e cominciavano a cambiare discorso. Parlava con un accento tutto suo.

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A furia di aggirarsi per la Linguadoca facendo domande indiscrete, il laureando viene notato da qualcuno. Comincia a ricevere lettere anonime in buon occitano, che gli suggeriscono di frugare in questo o quell'archivio - niente di digitalizzato, tutta carta che sta per andare al macero. Gli indizi lo portano a concepire una ipotesi sconvolgente: i catari non sono stati massacrati nel Trecento, ma nel Novecento! Impossibile, eppure...

Prima di allora erano una minoranza importante non solo in Francia, ma in tutta Europa, negli USA e persino in Giappone - a proposito, il cristianesimo non sparì affatto dall'isola nel XVII secolo, come racconta la storia ufficiale: semplicemente diventò cataro. Nagasaki, fondata dai cristiani, era diventata la capitale catara dell'arcipelago: ecco perché fu bombardata col plutonio.

Lo sterminio dei catari in Francia è pianificato a partire dal 1935, quando le elezioni portano al potere i nazionalisti della Croix de Feu e dell'Action Française. Negli anni Venti i catari erano tornati a manifestare quelle tendenze autonomiste che periodicamente li portavano a tensioni col governo centrale (nella guerra dei Cent'anni i catari stavano con gli inglesi. La notte di San Bartolomeo fu un eccidio di catari. Enrico IV era cataro, prima di battezzarsi a Parigi. La Rochelle era una roccaforte catara, come Carcassonne. Molti giacobini erano catari: l'ordine di fare deserto in Vandea andava incontro ad alcune esigenze dei possidenti catari).

La crisi del '29 trasforma i catari nei capri espiatori perfetti: sono commercianti, artigiani altamente specializzati, industriali. Possiedono banche e assicurazioni, fanno parte di una comunità che ha basi in tutto il mondo civilizzato. La propaganda anti-catara era stata cavalcata dai movimenti di destra che approfittano dell'affare Stavisky per delegittimare i partiti al governo. Naturalmente tutto questo è stato cancellato dalla storia ufficiale. Anche la forma originale della citazione di Hitler: "Dopotutto, chi parla più oggi dello sterminio degli armeni in Turchia? E dei catari in Francia?"

Più va avanti nella sua ricostruzione, più il laureando crede di impazzire. Con un po' di sforzo può anche immaginare che un'intera nazione abbia eliminato il ricordo di due milioni di vittime. Ma i Paesi confinanti, nemici e alleati? Possibile che abbiano accettato tutto questo senza fiatare, addirittura collaborando? In effetti è abbastanza implausibile, ma se ne volete sapere di più, occorrerà votare per Nessuno si ricorda dei Catariche oggi se la gioca contro Gli assassini del basilisco. Potete cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo vi è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.
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Il chiar di luna non passerà!

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Vi siete mai chiesti cosa sarebbe successo all'Italia, se la marcia su Roma invece di Mussolini l'avesse organizzata Filippo Tommaso Marinetti? Se in luogo di vent'anni di fascismo ne avessimo avuti altrettanti di futurismo? Cosa avremmo combinato? Grattacieli di Sant'Elia dappertutto? Venezia asfaltata? Marconi ministro dell'innovazione tecnologica, a Enrico Fermi un budget illimitato per costruire qualsiasi ordigno ad alto potenziale?

Dovete però immaginarveli realizzati a metà, con cemento scadente, gare d'appalto truccate ecc.

La cosa è meno assurda di quanto non possa sembrare - ok, resta abbastanza assurda, però Marinetti è stato un avanguardista nella politica, oltre che nell'arte. Già ai primi del secolo i cortei lo affascinavano, anche se gli operai lo scambiavano per una spia ("no guardate che sono un poeta"). Fu interventista prima di Mussolini, scrisse un manifesto politico prima di lui. Partecipò al rogo della sede dell'Avanti. C'era a San Sepolcro e ai primi due congressi dei Fasci, quando erano ancora un movimento repubblicano e anticlericale; se ne andò al secondo accusando Mussolini di virare in senso reazionario, e aveva ragione. Insomma fu un fascista talmente della prima ora che ai tempi della marcia su Roma s'era già stancato. Poi si accodò e produsse anche propaganda molto sui generis, che al Minculpop non piaceva. È chiaro che gli mancavano l'astuzia e la pazienza di Mussolini (che forse era anche uno scrittore migliore di lui). Ma se Mussolini non ci fosse stato?

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La storia sarebbe uno strano seguito di Fiume 1920, ambientata in un universo molto simile a quello del Chiaro di luna colpisce ancora. 1939: in un laboratorio della Palestra di Neofisica di Futuroma, un assistente di laboratorio sta conducendo i primi timidi esperimenti di viaggio nel tempo. Dopo l'esperienza in Etiopia, dove ha assistito allo sterminio della popolazione mediante armi chimiche e batteriologiche, ha un solo obiettivo: tornare indietro nel tempo e impedire che Filippo Tommaso Marinetti prenda il potere. Ha una certa fretta, perché sa che in qualche stanza più in là stanno cominciando ad arricchire l'uranio; e i gerarchi, pardon, gli eccitatori(*), hanno intenzione di avvalersene per risolvere alcuni contenziosi territoriali tra la Somalia italiana e quella inglese.

* (Tra le proposte seriamente avanzate da FTM c'era quella di sostituire il Senato con un Eccitatorio di giovani sotto i trent'anni).

Flashback (anzi, indietroveloce): mentre si sta recando in automobile a uno dei primi comizi dei fasci di combattimento, il giornalista Benito Mussolini dimentica che nel contado si tiene la sinistra e non la destra della strada, rimane coinvolto in un incidente stradale e muore sul colpo. Un paio d'anni più tardi gli industriali italiani sono terrorizzati: il bolscevismo è alle porte e a destra c'è il solito problema: nessun leader affidabile. Tutta una galassia di nazionalisti, reduci allo sbando, anarchici sviati, semplici picchiatori. La figura un po' più carismatica è quel pazzo di Filippo Tommaso Marinetti, che col suo Partito Futurista Nazionale ha un programma politico fieramente antibolscevico, ma non meno radicale (vuole eliminare il vaticano, la monarchia e l'istituto famigliare). Siccome l'alternativa è l'anarchia e i soviet, Agnelli e i fratelli Perrone decidono di finanziare FTM. Persino i vescovi benedicono la cosa - chiedendo però esplicite garanzie. Così nell'ottobre 1922 Marinetti organizza la Corsa su Roma e ottiene dal perplesso sovrano l'incarico di formare un governo.

La transizione del futurismo dall'arte alla politica non è soltanto vissuta come naturale, ma fornisce un esempio agli altri Paesi europei: in Germania gli espressionisti promuovono varie sommosse, litigando con gli spartachisti; in Russia cubofuturisti e realisti-socialisti lottano per l'egemonia nel comitato centrale; a Parigi il dadaismo viene represso nel sangue. Marinetti nei primi anni cerca di destreggiarsi come può: ovviamente i principi del suo libretto rosso sono quasi tutti irrealizzabili nei tempi brevi. Si toglie solo qualche soddisfazione simbolica, ad esempio trasformare immediatamente tutti i licei classici in palestre tecnico-scientifiche. I suoi sponsor lo spingono a svalutare lo svalutabile per varare una campagna di grandi opere: galleria rapida Bologna-Firenze, le prime autostrade, e soprattutto palazzoni, palazzoni dappertutto.

Col tempo la fiducia illimitata concessa agli scienziati gli dà qualche risultato - anche perché attira ingegni dall'estero, Einstein e Bohr a Futuroma sono di casa. All'inizio degli anni Trenta carezza la possibilità di sopperire alla cronica mancanza di energia con un'idea inedita: fendere l'atomo. Però serve l'uranio. In Italia non ce n'è, nel corno d'Africa forse, ma l'ideale sarebbe perforare l'acrocoro etiopico. In realtà non ci sono prove che là sotto l'uranio ci sia, ma Marinetti è tutto fuor che razionale e ha una gran voglia di sperimentare e mostrare al mondo le nuove armi chimiche. E poi l'Africa è un altro dei suoi pallini sin dall'infanzia egiziana: sogna di cacciare inglesi e francesi e diventarne l'imperatore. E così via.

Se Marinetti vi sembra un dittatore più interessante - e asfaltare Venezia è un vostro vecchio sogno - non avete che da votare Il chiar di luna non passerà! che oggi se la gioca contro La falsa e vera Gioconda. Potete cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo vi è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.
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La falsa e vera Gioconda

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Patrizio è l'ultimo allievo di un grande critico d'arte, che in lui vedeva un occhio sopraffino, ma anche una lingua pericolosa. In effetti è alle pezze, nessuno gli commissiona più expertise perché ha il vizio di dire la verità cruda, senza neanche condimenti ("commendatore, questo non è un De Chierico, questo sta a De Chirico come lei a Belen Rodriguez"). Un giorno una lettera anonima lo avvisa di recarsi in un villino diroccato sul Lago Maggiore, dove troverà "il quadro più famoso di tutti i tempi", nientemeno. Patrizio non ha niente di meglio da fare. L'anziana proprietaria del villino non lo stava aspettando, ma gli serve un tè volentieri; appena capisce di trovarsi davanti a uno specialista, lo scaraventa in un corridoio pieno di croste inguardabili. Va bene, pensa Patrizio, mi hanno fatto uno scherzo, ben mi sta. Mentre cerca di prendere congedo dalla signora, quasi non si accorge di fissare la riproduzione ingiallita della Gioconda che sta appesa in corridoio. Riproduzione notevole, peraltro. Da lontano gli era sembrata una litografia, ma il riflesso della luce la rivelava opera di un buon falsario.

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Quella notte si sveglia di soprassalto, madido. Si rende conto di aver visto qualcosa che non può assolutamente stare nella riproduzione ingiallita di una Gioconda, ad es. la balaustra sui due lati, o le sopracciglia. Nessun falsario mette la balaustra in una Gioconda, non da un secolo in qua. Benché sia ben visibile in versioni più antiche, nel Novecento tutti si basano sulla Gioconda del Louvre, che la balaustra non ce l'ha. E non ha nemmeno le sopracciglia. E la pennellata. Quella pennellata. Come minimo ha trovato una copia d'autore di qualche secolo fa. Ma quella pennellata. Patrizio non può impedirsi di concepire un'idea folle: in casa di quella signora c'è la Gioconda più vera di tutte, quella sottratta al Louvre nel 1911.

In effetti, la storia di Vincenzo Peruggia non lo ha mai convinto. Mentre lavorava a un cantiere nel museo, era uscito dal Louvre con la tela sottobraccio, e per due anni era sparito. Poi si era fatto pescare come un minchione mentre la offriva per cinquecentomila lire al direttore degli Uffizi. E se in quei due anni Peruggia avesse fatto uno scambio con qualche collezionista? La Gioconda originale, con la balaustra e le sopracciglia, contro quella esposta al Louvre, e poi diventata iconica. Se oggi la consideriamo l'unica Gioconda vera, è perché l'abbiamo vista riprodotta dappertutto: ma sappiamo che Leonardo ne dipinse più d'una (anche una versione young adult), e che nel corso dei secoli varie copie d'autore furono scambiate per l'originale. Patrizio decide di indagare. Ricorda che a un certo punto nel XVIII secolo la Gioconda custodita a Parigi era stata messa via, non era più considerata quella originale. Perché? Ne era stata trovata una copia migliore? Nel frattempo, tutta una serie di riflessioni su cos'è la Gioconda, perché la gente fa la fila per vederla anche se può vederla dappertutto, perché Leonardo decise di portarla con sé e farla invecchiare, la Gioconda di Duchamp e quella di Warhol, cos'è il falso e l'autentico ecc. ecc. Se vende un decimo di Dan Brown, mi sistemo. Se pensi anche tu che ci sia del potenziale - e sulla Gioconda del Louvre hai qualche dubbio puoi votare per La falsa e vera Giocondache oggi se la gioca contro Il chiar di Luna non passerà. Potete cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo vi è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.
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Che ne sai tu di un campo di grano

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Prisco e Davide sono amici d'infanzia. Suonano assieme in una band che viene liquidato nelle prime scene del film, perché Prisco, il cantante, scatena una rissa al concerto per la festa di laurea di Davide. (Il quale appena vede che le cose vanno male inizia a smontare la batteria).

L’indomani vediamo Davide appendere per sempre la maglietta dei Nirvana e infilare una timida giacca e cravatta. Inizia una serie di frustranti colloqui di lavoro, a cui assistiamo rapidamente, per flash: non si sa bene cosa abbia studiato Davide, ma è qualcosa di abbastanza inutile: in tanti modi diversi tutti gli dicono di no. L’estate è alle porte, e lui non ha di che andare in vacanza. Incontra Prisco che sta andando a farsi due settimane in collina, un bel posto, c'è l'aria buona. Con che soldi? Niente soldi, vado a fare volontariato in una comunità terapeutica. C'è un frate che conosco. Coi tossici in astinenza? Tu sei matto. Sarà, io intanto vado al fresco. Perché non vieni anche tu? Vitto e alloggio gratis. E poi è gente interessante.

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Il posto è sorprendentemente ameno, il frate assai simpatico. Davide confessa con lui le sue paure, di non saper trovare il suo posto nella vita degli altri, di essere un batterista fallito fra tanti, ecc. Devi avere pazienza, gli dice il confessore. Gli regala una strana sveglia fatta a mano. È puntata per suonare ogni tre anni, gli spiega. Conservala vicino a te, e quando la sentirai suonare, misurerai la strada che hai percorso.

Gli ex tossici sono in ottima forma (durante una partita a pallone fanno stramazzare i nostri eroi); mietono coi sistemi tradizionali il grande campo di grano della comunità. Molti sembrano avere anche idee chiare sul loro futuro: metteranno su casa, famiglia, un agriturismo (pare ci siano dei fondi dell’UE per recuperare gente come loro).

“Questi qui stanno meglio di tutti quanti”, scappa detto a Davide una sera, mentre rolla di nascosto in un boschetto.
“L’hai notato?”, dice Prisco “Infatti mi è giusto venuto un’idea su cosa fare nella mia vita”.
“L’ex tossico?”.
“Proprio”.
“Dovresti prima intossicarti”.
“Non sarà questo gran sacrificio - hai sentito quel che ha detto la sdentata l'altra sera?"
“Ha veramente bisogno di una protesi".
"Come novanta orgasmi in una volta. I neuroni sono sollecitati novanta volte di più. È scientifico".
"E se ci prendi gusto?"
"Ma a quel punto arrivi tu".
"Io".
"Diamoci tre anni. Se tra tre anni io sono ancora nel giro, mi prendi e mi riporti qui. Anche se io non sono d’accordo. Me lo prometti?”
“Sei matto”.
"Punta la sveglia del frate".

Tornato in città, Davide ricomincia il suo calvario di colloqui. Un giorno, al 57esimo no, esplode. “Tutti non fanno che dirmi di no”, si sfoga, “me lo sono sentito dire in 57 modi diversi”. “Davvero? Forse allora lei è l’uomo che cercavamo”.
Viene assunto in un'agenzia interinale. Lo pagano per dire no alla gente. Ora assistiamo a tutte le scene dei colloqui invertite: dietro la scrivania c’è lui. Rapidamente il taglio della giacca migliora.
Un giorno le capita un colloquio con una ragazza carina, Gloria. Davide gli pone tutte le domande di rito e anche altre più personali. Niente, non ne azzecca una. Davide le dice no e poi la invita a cena. In breve vanno a vivere insieme, prima in un bilocale, poi cinque stanze più cucina, gli affari vanno sempre meglio.

Una sera, uscendo dall’ufficio, Davide incontra Prisco, sono anni che non si vedono. Ha una pessima cera.
“Che ci fai qui?”
“Non lo so, andavo a una festa”.
“A una festa a quest’ora?”
“Perché, che ora è?”
“Ma ti senti bene?”
“Forse no”.
“Vieni a casa mia, dai”.
“Abiti qui?”

A casa i due vecchi amici rivangano i vecchi tempi. (Gloria cucina). Ti ricordi il gruppo, e di come mandasti a puttane la mia festa di laurea? Ah, che ridere. E quando siamo andati in vacanza coi tossici perché non avevamo un soldo? Che pazzi che eravamo. Prisco ha gli occhi lucidi. Si guarda intorno, Davide ha una bella casa. Ha una bella moglie. D'impulso decide di andarsene. Prima però chiede se l’amico non può prestargli cento, duecentomila lire. Intasca e scompare.

Che tipo strano il tuo amico, dice Gloria quella sera, a letto. Sembrava un po’ sconvolto, no? Sei sicuro che non prenda qualche cosa? Può darsi, risponde Davide, soprappensiero. Gli ho prestato dei soldi, avrò fatto bene? Del resto potevo anche dargliene di più, mi hanno appena fatto una gratifica… lui, invece… In quel momento (Gloria ha già cominciato ad accarezzarlo), si sente da molto lontano come uno squillo debolissimo di sveglia. Lascia perdere, dice Gloria, sarà l’antifurto del vicino. No, dice lui, è la sveglia del frate, dove l’avevo cacciata? In quale fondo di valigia? È il segno. Prisco si sta rovinando la vita, devo andare a salvarlo.

Si mettono sulle sue tracce. In un agriturismo un comune amico ex tossico conferma: sì, al ritorno si era messo in un brutto giro, sniffava, spacciava. Ha fatto le cose più strane. Anche girato un film porno: regista e interprete. Recuperiamo la videocassetta (suggerisce Gloria), magari c’è qualche indizio.

Le tracce raccolte qua e là (bische clandestine, bordelli, ippodromi) sembrano confermare soprattutto che negli ultimi tre anni Prisco se l’è spassata. Davide comincia ad avvertire i morsi dell'invidia, anche perché più l’amico si rivela una sentina di vizi, più Gloria sembra tradire un certo interesse.

Una sera arriva una telefonata: Prisco è stato visto al casino di ***. C’è da guidare tutta la notte, dice Davide. Lei: non importa, quando ci ricapita? Non usciamo mai. Arrivano molto tardi, ma davanti a un albergo c’è una Porsche che Prisco ha preso in leasing e mai restituita, la targa coincide. I due prendono una camera e decidono di aspettarlo al varco. Davide si addormenta come un sasso e sogna di suonare la batteria a torso nudo nel grande campo di grano. Quando si sveglia Gloria non c’è più. Non c’è neanche la macchina di Prisco. Se ne sono andati.

Davide picchia un po’ il muro (ha questo vizio di tamburellare su ogni cosa che ha in mano), poi ricomincia da solo la ricerca, tornando sui luoghi loschi dove Prisco era già stato visto: invano. Nella casa troppo grande, si decide a rimontare la batteria - ma appena comincia a pestare duro i vicini si lamentano. Qualche mese dopo ripassa per caso nell’agriturismo: trova i due piccioni nel parcheggio che litigano.

Sono già una coppia in crisi. Gloria ha persuaso il ragazzo terribile ad affittare anche lui il suo pezzo di terra: sogna di redimerlo attraverso il sano lavoro dei campi (e vuole un bambino da lui). Prisco si è lasciato fare, ma non è che ci creda così tanto: appena incontra Davide gli fa la festa e decide di scappare con lui. Ma quando è già salito in macchina scopre con orrore che Davide vuole portarlo nella comunità del frate, per tenere fede a una scommessa fatta per scherzo tre anni prima.

“Maccheccazzo ma anche tu vuoi salvarmi? Da cosa poi? Io tutto sommato me la passavo bene”.

Gloria li insegue e li raggiunge proprio davanti ai cancelli della comunità. Nel grande campo di grano, l’ultimo duello a tre. Prima una schermaglia verbale: Gloria chiede a Prisco di tornare, perché ormai ha delle responsabilità nei confronti di lei. Senti chi parla di responsabilità, ribatte Davide, e iniziano a rinfacciarsi le miserie di tre anni di matrimonio. Prisco ne approfitta per fare un passo indietro, lo bloccano in due. Il sole è alto in cielo. Le recriminazioni lasciano lo spazio al silenzio. Un minuto di primi piani.

Alla fine Gloria si gira e si avvia verso l’auto. Davide resta immobile. Prisco, incredulo: “ma come, non le corri dietro?”. Dopo un po’ le corre dietro lui. Davide, impassibile, bussa alla porta del convento.

Dieci anni, quindici chili più tardi, Gloria lavora in un ufficio di lavoro interinale. Esamina l'improbabile curriculum di un mezzo pancabbestia, sandali, barbone, brutti denti.
“E così lei ha una lunga esperienza professionale come percussionista?”
“Suono ai matrimoni, alle sagre, per strada, dappertutto..."
“Bene. E… oh, scusi, devo rispondere al telefono... Amore, non disturbarmi mentre… come non trovi i pannolini, guarda che la Chicca non li porta più da… ah sì? Beh, cerca di pulire intorno. Con una spugna, uno straccio, non so! Ti devo dire tutto io? E in posta ci sei andato?… Scusi, mio marito in casa è una frana. Dicevamo?”
“E avete un bambino?”
“Una bambina. Ma torniamo a lei. E quando ha deciso di fare il… percussionista?”
“È stato dieci anni fa, in seguito a un esaurimento nervoso. Mia moglie mi aveva lasciato, e avevo perso il lavoro, e…”
“Va bene, le faremo sapere”.

Fatemi sapere voi, votando Che ne sai tu di un campo di grano, che oggi se la gioca contro I banditi della montagnaPotete cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo vi è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.
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I banditi della montagna

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Dal modo in cui sparava, Prandini sapeva di trovarsi davanti a un ragazzino.

Non era una buona notizia. Negli ultimi anni Prandini aveva rivisto tante sue convinzioni, tra cui quella che i giovani valligiani fossero meno pericolosi dei vecchi. Non si potevano sottovalutare i ragazzini. Non si poteva sottovalutare più niente. La radura era gonfia di gente che aveva sottovalutato qualcosa o qualcuno, e Prandini aveva deciso di starci lontano ancora per un pezzo. Aveva tante cose da fare, zucchine da selezionare, parole da salvare.

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Stava riparato dietro un faggio, un grosso tronco paziente che aveva già cicatrizzato altre scheggiature di pallottola, ricordi di vecchi conflitti a fuoco. Non te la prendere, gli illustrava la corteccia tra una raffica e l'altra: ci siamo tutti abituati. È solo guerra, la cosa più naturale del mondo. Ma il ragazzino sembrava terrorizzato, continuava a sventagliare senza metodo. Una cosa molto sciocca, oltre che pericolosa. C'era sempre la possibilità che una pallottola rimbalzasse su una pietra e lo facesse secco. Già successo. Prandini era scocciato.

Finalmente gli era venuta la parola. Lui era l'unico della Brigata a ricordarsela ancora: Scocciato. Un giorno se la sarebbe dimenticata per sempre, e la parola non sarebbe esistita più. Prandini ci teneva alle parole, era una delle sue debolezze. Non avrebbe mai voluto perderle. Era chiaro che una Brigata sempre più piccola non avrebbe avuto bisogno di troppe parole - per molte delle quali ormai mancavano i significati. Prandini lo capiva, ma non voleva accettarlo. Gli scocciava.

Due minuti di silenzio, e un'altra raffica. Ormai stava diventando una specie di richiesta di aiuto. Venite a prendermi! Ho snidato un bandito, ma non so come stanarlo. 

Dal rumore era un piccolo Uzi: bell'oggetto, ma inutile per Prandini. Avrebbe sparato ancora per un bel po', raffiche sempre un po' più brevi. Se il ragazzino era abbastanza scemo, avrebbe sparato fino all'ultima cartuccia: a volte era successo. A quel punto bastava saltar fuori e prender la mira. Però poteva anche essere una trappola. Anche questo a volte era successo. Ragazzini mollati a sparacchiare in preda al panico, come... come esche. Ecco un'altra parola importante: esche.

Peccato non avere carta e penna con sé. Succedeva sempre più di rado, ma certe mattine senza un motivo la testa di Prandini brulicava di parole importanti ormai dismesse. Esca è fondamentale, non è che esistano altre parole per rendere l'idea. Esca. Si fanno spesso riflessioni importanti durante i conflitti a fuoco. Di solito non c'è altro che aspettare e osservare, osservare e aspettare, e intanto i nervi girano a mille. Una volta si masticava gomma, poi era finita, e a quelli come Prandini non restava che rimasticare i concetti.

(Forse l'unica retorica a cui la mia generazione nicchia non riesce a ribellarsi è quella della Resistenza. Tutte le altre guerre sono sbagliate, ma quella no. Tutti gli altri martiri sono discutibili e discussi, ma i partigiani mai. Peraltro se ci provi il rischio di trasformarti in Giampaolo Pansa è fortissimo. Eppure a ripensarci fu un episodio non solo periferico rispetto alla guerra mondiale in corso, ma abbastanza limitato nel tempo - due anni! Così mi sono chiesto che succederebbe se un gruppo di persone imbevuto di cultura resistenziale, alternativa, ecc., si trovasse a combatterla davvero, nel solito futuro prossimo, ma non per un anno o due: a oltranza. Quando esattamente si trasformerebbero da eroi in carogne?)

Quante munizioni poteva avere? Quante potevano lasciarne, a un ragazzino? Magari era scappato. Aveva litigato coi suoi e aveva deciso di unirsi ai Banditi. Era successo anche questo, una volta. Si era capito subito che non sarebbe durato. Certe abitudini che Prandini non metteva più in discussione da anni, per il nuovo arrivato erano privazioni intollerabili. Lo avevano messo al muro con l'accusa di essere una spia, non avevano aspettato di avere una prova. Probabilmente non lo era, ma facilmente lo sarebbe diventato, prima che l'inverno picchiasse duro. Soprattutto erano stanchi di sentirlo lagnarsi per il freddo o la fame. Non mangiava farina di castagne: un'intolleranza alimentare, diceva. Il processo era stato rapidissimo e Prandini non vi aveva preso parte, ma non aveva neanche avuto nulla da obiettare.

Un'altra raffica - un po' meno generosa. Esca o non esca, il panico del ragazzo lo avrebbe condannato. Con un po' di fortuna tra mezz'ora Prandini lo avrebbe raccolto in un cespuglio, con gli occhi sbarrati che hanno i bambini quando vogliono scacciare la realtà che hanno davanti. (Anche questo era già successo? A volte Prandini aveva paura di inventarsi i ricordi).

(C'è stata una catastrofe. Forse semplicemente il riscaldamento globale. La pianura è diventata invivibile, le montagne si sono ripopolate. Ma non è stato un processo lineare. I primi a tornare in montagna sono stati i neorurali, i collettivisti, i primitivisti, qualche hipster, Civati. Gli altri per un po' hanno insistito a vivere in new town pedemontane fortificate e aircondizionate. Ma serviva molta energia per farle funzionare, e dopo un po' è finita; così alla fine i valligiani hanno attaccato le montagne. Sono più numerosi e meglio armati, ma non conoscono il territorio e non sono abituati alle scomodità della guerriglia. I montanari viceversa avevano già cominciato a scannarsi tra tribù, per questioni politiche ma soprattutto perché di terreno fertile ce n'è sempre meno. Quando arrivano i valligiani qualche comunità si compatta, altre tradiscono. Prandini è l'ultimo sopravvissuto di un agriturismo biodinamico, tutti i suoi amici e la sua famiglia sono stati uccisi o fatti schiavi. Per sopravvivere si è unito a una brigata comunista che di comunista non ha più niente, ormai sono tutti giovani molto selvatici, Prandini è un nonno saggio che sa quand'è ora di seminare le patate. Ha fatto cose orribili, ma sopravvivere in questo consiste).

Invece se lo vide lampeggiare a pochi metri - al centro della maglietta, la sagoma di una band che non gli era mai piaciuta. Stava banalmente scappando via, disorientato, nella direzione sbagliata. Un'esca non lo avrebbe fatto. "Ma dove vai, aspetta" - si sentì dire Prandini, in un accento quasi credibile, e per qualche secondo il ragazzino lo fece. Aspettò. Fu appena un'esitazione, ma non poteva permettersela. Prandini mirò la zazzera del cantante. Il colpo volò un po' più sotto, dove fa ancora più male. Si sentì un urlo inumano, l'obiettivo rantolò per terra in preda a convulsioni. Prandini provava pietà per quel povero corpo che adesso bestemmiava e piangeva, ma non aveva intenzione di sprecare una cartuccia in più. Snudò il pugnale.

Era un davvero un ragazzino. Biondo, lentiggini, a chi somigliava? Seduto sulla sua schiena, mentre con la sinistra gli afferrava il ciuffo, Prandini ebbe un'epifania: l'ovetto kinder. Stava per sgozzare il bambino dell'ovetto kinder.

Come andrà a finire? Per saperlo occorre votare per I banditi della montagna, che oggi se la gioca contro Che ne sai tu di un campo di grano. Potete cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo vi è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.
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IL GRANDE TABELLONE DEGLI SPUNTI

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Siamo a metà dei sedicesimi, nel momento in cui ai Bagni Tiziana 103 gli iscritti al torneo di ping pong cominciavano a chiedersi se quello che stavano facendo avesse un senso, una direzione, cioè qualcuno lo ha fatto un tabellone? Certo, è quasi pronto, eccolo qui.


È solo un gioco, sentitevi liberi di passare ogni tanto e votare per la prima cosa che vi piace. Se invece vi state appassionando, alcune avvertenze.

- I punteggi che vedete sono parziali. Come si dovrebbe dedurre dalla tabella, gli ottavi cominceranno il 17 agosto. Fino alla mezzanotte del 16 tutti i match sono aperti.

- Per votare ci sono in sostanza tre strumenti: facebook (condivisione o like, se fate entrambe le cose vale un voto solo - se me ne accordo), twitter (link o retweet), commenti al blog.

- Google Plus non vale, lo so, è ingiusto.

- Siccome su facebook  twitter e blog potete avere identità diverse, e io mica vi posso riconoscere tutti, chi vota in tre piattaforme diverse vota tre volte. Non fate quella faccia, è così che gira l'internet. Ogni scusa è buona per farvi linkare, piacciare, twittare.

- No, non ho la minima idea di chi vincerà, c'erano cose che mi sembravano forti che stanno andando malissimo e viceversa.

- Grazie a tutti, siete tanti e molto pazienti.
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Qualcuno sta uccidendo tutte le mie ex

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Il titolo è abbastanza illustrativo. Un tizio sconvolto arriva in questura e chiede di essere arrestato. Dice di essere il Maniaco di Reggio Emilia, e non solo. "Sono anche quello che ha investito una tizia di Savona due anni fa, e inoltre ho strangolato una madre di famiglia a Innsbruck e gettato nel canale un'assistente sociale di Utrecht".
"E perché avrebbe ucciso tutte queste donne?"
"Non lo so".
"È vittima di raptus?"
"Non lo so, non ricordo nemmeno di essere stato a Utrecht, e anche a Reggio ormai ci vado abbastanza di rado".
"Cioè lei non si ricorda di aver ucciso queste signore?"
"No, non ricordo niente. Ma non posso che essere stato io".
"Scusi, ma lei mi sembra un..."
"Un mitomane".
"No, volevo dire: un po' confuso".

(Questo pezzo partecipa alla Grande Gara degli Spunti! Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui).

"No no, ha ragione, sembro un mitomane. Vengo qua e mi autoaccuso di una decina di omicidi, e non ho prove né movente. Lo so. Ma sono anni che mi torturo. C'è una cosa che unisce tutte queste donne, e la conosco solo io".
"E questa cosa me la può dire? Così saremo in due".
"Sono tutte mie ex".
"Tutte?"
"Cioè, con alcune è stata una cosa brevissima, anche di una notte sola, però..."
"Tra loro non si conoscevano?"
"No. Cioè. Un paio di ex compagne di scuola. Basta. Mio dio, sono morte! Sono un mostro!"
"Ma lei non si ricorda".
"No. Quando è iniziata la storia del Maniaco di Reggio... colpiva solo persone che conoscevo... all'inizio pensai a un'orribile coincidenza. Ma poi è stata investita Simona..."
"La signora di Savona?"
"...si era trasferita cinque anni fa... eravamo rimasti amici... non poteva essere una coincidenza. Ho pensato che ci fosse una persona che ce l'aveva con me, per qualsiasi motivo... ma nessuno, nessuno sapeva la storia con Magdalene".
"Innsbruck?"
"Utrecht. Ma c'è di peggio. Ogni omicidio allude in qualche modo alla relazione che io ho avuto con la vittima. Simona è stata investita da un'automobile... è proprio a causa di un incidente stradale che ci incontrammo".
"E quindi la tizia soffocata con pallottole di carta..."
"Fu una relazione in gran parte epistolare".
"Ovvio".
"Lei non può immaginare che incubo sia questa storia per me... l'occasione di rivangare tutte queste storie, tutto il mio passato sentimentale che si imbratta di assurdo sangue..."
"Ma con qualcuna di loro si era lasciato male?"
"Più o meno con tutte".
"Ha mai fantasticato di ammazzarne almeno una?"
"Due o tre. Ma capita a tutti, no?"
"Veramente no".
"Ah no?"
"No. Ma è possibile che lei non abbia nessun alibi?"
"Ho controllato. Non sa quanto ho controllato. Vivo solo, la sera esco di rado".
"Se in quei giorni le è capitato almeno di rispondere al telefono, possiamo tracciare..."
"Ho controllato!"
"Nessuna chiamata?"
"Due o tre, lasciate senza risposta".
"Ah".
"È quello che farebbe un assassino, no? Lasciare a casa il telefono per non essere tracciato".
"Sì, ma potrebbe anche esserci un'altra spiegazione".
"È da anni che mi lambicco in cerca di un'altra spiegazione. Non c'è. Non posso che essere stato io.
La prego, mi arresti".
"Ma senta, le avrebbe uccise tutte?"
"Ne manca una. Ha tre figli. La prego".

Chi sta uccidendo le ex del tizio ormai convinto di avere ucciso quasi tutte le sue ex? Non lo saprete mai. A meno di non votare per Qualcuno sta uccidendo tutte le mie ex, uno spunto perversamente terapeutico che oggi se la gioca contro Chi ha rubato la marmellata. Potete cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo vi è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.
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Chi ha rubato la marmellata

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Ah io vorrei tornare anche solo per un dì / lassù nella valle alpina. Là tra gli alti abeti ed i rododendri in fior / distendermi a terra e sognar.

(Questo è antichissimo. Negli anni berlusconiani sarebbe risultato incomprensibile, adesso è sorprendentemente tornato d'attualità). Davide è un padre di famiglia ingrigito che cerca di convivere con la propria mediocrità. Non sarebbe così difficile, se non fosse amico d'infanzia di Giorgio Giorgi, ministro rampantissimo a un passo da Palazzo Chigi. A chi glielo chiede Davide minimizza: sì, eravamo negli scout assieme, ma è passato molto tempo, non lo sento mai. Il suo amico Prisco invece con Giorgi ce l’ha a morte, per motivi politici oltre che per umanissima invidia.

(Questo pezzo partecipa alla Grande Gara degli Spunti! Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui).

Siamo in campagna elettorale, come sempre. Una sera Davide cambia canale e trova Prisco seduto sulla poltrona di un talk-show. Cos’avrà in mente? Il presentatore comincia a intervistare l’“amico d’infanzia” di Giorgi. “È vero che avete fatto gli scout insieme?”
“Sì, eravamo nella stessa squadriglia, i Falchi”
“Cos’è una squadriglia?”
“È un gruppo di cinque o sei ragazzi, con un capo e un vice”.
“Giorgi naturalmente era il capo”
“No, lui era il vice, il capo ero io”. (Dio mio, pensa Davide, dove vuole arrivare?)
“Ed era un buon sottoposto, l'on. Giorgi?”
“Beh, aveva i suoi difettucci, ma in generale sembrava affidabile” .
"Sembrava?"
"Tanto che un'estate, al campeggio, gli affidai la marmellata".
"In che senso, scusi?"
"Ogni squadriglia aveva in dotazione il suo barattolo di marmellata. Se finiva prima del previsto, non ce ne avrebbero data altra".
"Eravate razionati, insomma. E Giorgi vigilava..."
"...sulla marmellata".
"Fu all'altezza del suo ruolo?"

Non posso crederci, pensa Davide. Non sta succedendo.

"Quasi sempre".
"Come quasi?"
"Beh, ci fu una volta…”
“Una volta?”
“Ma sì… quello però fu un episodio strano…

Non può tirare fuori il Vasetto di Marmellata della Val Bormida. Non può...

"Fu in Val Bormida… c’era rimasto un solo barattolo di marmellata per la colazione di tre giorni… eravamo in sei… e il barattolo sparì”.
“Sparì? E fu Giorgi?”
“Non si è mai riuscito a stabilirlo…”
“Ma era lui a custodirlo, no?”
“Sì, ma ci fu un contrattempo... lui accusò un suo compagno e non ci fu modo di stabilire chi dei due avesse ragione".
"Mi sta dicendo che siete rimasti senza marmellata..."
"Per tre giorni. Eravamo in sei".
"Ma è intollerabile. E che fine aveva fatto il vasetto?"
"Mai trovato. Può darsi che sia ancora lassù”.
“Insomma, Giorgi fu assolto, per così dire, per insufficienza di prove. Pubblicità”.

Che cretinate tirano fuori alla televisione, dice la moglie di Davide. Lui scuote la testa. Tu non lo sai, dice, ma la Marmellata della Val Bormida fu un orribile affare. Negli ambienti scoutistici della Lombardia se ne parlò per anni e anni. C’è gente che non si rivolge la parola da allora.
“E tu come fai a saperlo?”
“Lo so perché il custode della marmellata quel mattino ero io".
"Non era Giorgi?"
"Giorgi era nei guai per altri motivi, lo stavo sostituendo. Quando tornò, non trovò il vasetto e diede la colpa a me".
"Ma chi l'aveva preso questo vasetto, insomma".
"Me lo sto chiedendo da trent'anni".
"Eh?"
"Credevo di essere il solo ormai, e invece..."
"Bah queste cose in realtà non interessano a nessuno. La politica è un’altra cosa. Rispondi al telefono, per favore?"
"Pronto".
"Davide, parlo con Davide?"
"Giorgio?"
"Scusa se ti telefono a quest'ora, ma è un'emergenza. Non so se hai visto in televisione..."
"Ho visto".
"Meglio così. Prisco è il solito stronzo, eh?"
"Non so cosa gli sia preso, davvero".
"Non gli è preso niente, è sempre stato così. Ora ti riassumo la situazione...".
"Me la riassumi?"
"Nelle prossime ore si faranno senz'altro vivi i giornalisti". 
"Eh?"
"Non c'è bisogno di spiegare quanto sia importante che io e te forniamo la stessa versione dei fatti".
"Ma io e te non avremo mai la stessa versione".
"Davide, per favore. Può darsi che le nostre idee politiche non siano coincidenti, anzi ne sono sicuro".
"Ma che ne sai - e comunque non è una questione di politica..."
"Ma per quanto possiamo pensarla diversa su molte cose, sono sicuro che anche tu non puoi tollerare che una persona si giochi la carriera per un barattolo di marmellata sparito trent'anni fa".
"Ci hai lasciato senza colazione per tre giorni, forse è ora che ne accetti le conseguenze".
"Non sono stato io, Giorgio".
"Le chiavi del baule le avevi tu".
"Abbiamo fatto questa discussione mille volte. Vuoi rifarla anche tu in diretta televisiva? O vuoi semplicemente ricattarmi?"
"Ricattare chi? Ma come ti permetti..."
"Perché se vuoi ricattarmi, possiamo metterci d'accordo".
"Eh?"
"Sottosegretario alle politiche ambientali. Era il tuo pallino, mi sembra di ricordare".
"Non posso credere che tu mi stia veramente... scusa, suonano al citofono".


La storia prevede una prima parte di circo mediatico (lascereste governare il nostro Paese da un uomo che ha rubato la marmellata a cinque ragazzini?) e una seconda parte action in val Brembana, con tre ex scout braccati dagli elicotteri che vogliono arrivare per primi a una radura per dimostrare qualcosa. Forse in un tronco cavo quel vasetto c'è ancora. Impossibile saperlo se non votate per Chi ha rubato la marmellata (se la gioca contro Qualcuno sta uccidendo tutte le mie ex). Potete cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo vi è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.
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O viceversa

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Oggi è il giorno degli spunti intimisti, che sono meno sbozzati di altri, ma forse hanno più potenzialità. Questa è la storia di due persone (non necessariamente un uomo e una donna, anche se avrei meno difficoltà) che vivono su due lati di una strada e non si conoscono. È una strada molto trafficata, ci abitano centinaia di persone, compresi questi due che sembrano fatti l'uno per l'altro. Ma non si sono mai conosciuti.

(Questo pezzo partecipa alla Grande Gara degli Spunti! Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui).

Lei vive sola, lui ha famiglia e figli, o viceversa. Hanno interessi identici o complementari, ad esempio lui impazzisce quando sente un pezzo di Bach ma non sa nemmeno chi Bach sia, mentre lei è esperta di musica barocca. O viceversa. La storia li segue per un paio di giorni in cui loro riflettono molto sulla loro esistenza e succedono tante piccole e grandi cose, e da un certo punto in poi il lettore dovrebbe urlare: INCONTRATEVI! ATTRAVERSATE QUEL CAZZO DI ARTERIA PERIFERICA E BACIATEVI, IDIOTI.

Invece niente. Non si incontrano mai.

A volte si mancano per pochi secondi. Magari lui ammacca la macchina di lei parcheggiando o viceversa, e scappa senza avere il coraggio di mettere un biglietto. La storia finisce in un punto qualsiasi. Nell'ultima pagina c'è un'avvertenza: è solo una storia, inutile che v'incazziate. Scrivetevelo da soli il lieto fine se proprio non sapete farne a meno. Oppure, se proprio non vi riesce di scrivere, vivetene uno.

Questo lo volevo proporre a una persona che magari sarebbe riuscito anche a scriverlo, ma poi ho pensato che una proposta del genere avrebbe potuto essere fraintesa, o viceversa.

Tutto qui? Sì, ma se lo votate (se la gioca contro La prima volta si fa davanti a tutti) ve ne faccio leggere un po'. Potete cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo vi è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.
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