Anno 11 dell'era futurista
28-08-2015, 12:44futurismi, La grande gara di spuntiPermalinkSotto i primi temporali di settembre, Futuroma dava l'impressione di potersi sgretolare da un momento all'altro, come il castello di sabbia di un laureando in architettura. Di sabbia in effetti dovevano averne infilata parecchia nel calcestruzzo, ben oltre i limiti del dovuto e del decente. Gli spigoli già sbrecciati della sede dello Stimolatore dell'Economia sembravano corrosi da un agente chimico. L'accompagnatore sembrava così imbarazzato che Lampo ebbe pena di lui.
"Mi dispiace l'ascensore non funziona".
Il tizio aveva fatto il possibile per scandire la frase nello stile ardito della cancelleria, senza la pausa prevista dalla virgola tra "dispiace" e "l'ascensore", ma un'esitazione passatista lo aveva tradito. Quanto tempo perdiamo con queste scemenze, pensò Lampo.
Fino a pochi mesi prima non avrebbe esitato a rispondere: "Me ne frego l'impeto futurista non ammette attese al cospetto di un loculo asfittico impiccato al soffitto schiavo della gravità dodici rampe non sono che una gradita ginnastica". Grazie al cielo aveva oltrepassato quel livello. Disse solo: "Normale. Se la prenda comoda, conosco la strada".
Schizzò sulla rampa saltando i gradini a due a due. Appena ebbe seminato l'accompagnatore, riprese un andamento borghese. Non sapeva ancora cosa avrebbe detto allo Stimolatore, ma non intendeva dirlo col fiatone. Se volevano davvero lavorare con lui, che fosse chiaro sin dall'inizio che non era più un ragazzino. Se invece preferivano le pagliacciate, le Scuole di Coraggio traboccavano di coglioni caricati a molla.
(Che roba è? È un pezzo che sviluppa le premesse di Il chiar di luna non passerà, e partecipa ai quarti di finale della Grande Gara degli Spunti! Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone).
Il pianerottolo del quarto piano offriva il panorama su un cantiere abbandonato. Lampo si fermò a prendere fiato. Stava andando a farsi ammazzare?
Di lì a pochi minuti sarebbe stato a cospetto dello Stimolatore. Gli avrebbe fatto le domande di prammatica. Lampo avrebbe potuto rispondere che tutto andava per il meglio nel migliore dei futuri possibili. Che Campofuturo, nuovo capoluogo irpino, splendeva radiosa sulle macerie del terremoto. Che la popolazione aveva accolto con entusiasmo l'abolizione della pastasciutta e la riconversione dei campi dal frumento al mais per mangimi animali; che tutto era andato per il meglio e non era morto di fame nessuno, quasi nessuno, solo qualche migliaia di inguaribili passatisti. Che le organizzazioni malavitose erano state represse col pugno d'acciaio e non contrabbandavano spaghetti agli indigenti. Che la single-tax era stata un successo, la quota 110 aveva portato prosperità e mantenuto a galla l'Italia Futurista mentre le altre cosiddette potenze sprofondavano nelle procelle della crisi originatasi oltre l'Atlantico.
Oppure avrebbe potuto dire la verità, e che l'ammazzassero, che gli fotteva. A venticinque anni lo avevano nominato Eccitatore Straordinario per tutta l'area del terremoto. In campana, gli avevano detto, il Capo vuole vendere Roma alla Chiesa e fare di Napoli la capitale invernale. Non possiamo avere un deserto di ruderi a un centinaio di km distanza, avrai risorse illimitate. Risorse illimitate. Aveva visto bambini morire di malaria e dissenteria in ospedali da campo. Che l'ammazzassero. Del resto non era più un ragazzino, il suo serbatoio di eccitante entusiasmo si era esaurito. Era tempo di raccattare qualche altro giovane fanatico di belle speranze e mandarlo allo sbaraglio al posto suo.
Dal decimo piano si vedeva il cupolone. Alla fine il capo si era tenuto Roma, anche se non gli piaceva. Non aveva nemmeno sventrato la spina del Borgo per costruire quell'Arco del Futuro che all'orizzonte avrebbe fatto da ponte tra Castel Sant'Angelo e la cupola di Michelangelo, eclissandole. Aveva preferito costruire un quartiere completamente nuovo sulla Pontina, l'ennesimo tributo a quell'architetto che era morto prima di vedere come potevano diventare brutti i suoi palazzi sotto la pioggia. Non era sopravvissuto a quella guerra che aveva fatto impazzire tutti, Capo compreso.
Sul dodicesimo pianerottolo lo aspettava l'accompagnatore, sempre più costernato. "L'ascensore in realtà funziona me lo hanno detto solo quando sono arrivato al quinto".
"Va tutto bene non ti preoccupare solo un piccolo trucco".
"Un piccolo trucco?"
"Posso entrare?"
L'accompagnatore si schiacciò contro la porta, che si aprì stridendo contro il pavimento. Stava cedendo un cardine. Stava cascando tutto a pezzi.
Non solo il suo palazzo: anche Bottai sembrava invecchiato improvvisamente dall'ultima volta. Rughe, occhiaie, tutto il repertorio. Di fianco a lui, un coetaneo di Lampo vestito in borghese ostentò indifferenza al saluto militare. Scuro di capelli e di incarnato, labbra piene, un levantino. L'hanno preso a Tripoli, questo?
"Camerata Lampo, non ti ho convocato per il rapporto".
Sta parlando con le virgole, buon segno. Ma potrò usarle anch'io?
"Non credo tu abbia già conosciuto il professor Majorana".
Per un attimo Lampo fu tentato di porgergli la mano - si usava ancora tra borghesi? Qualcosa lo bloccò. Quel ragazzo sembrava tutto fuorché ansioso di toccare un suo simile.
"Il professore è un fisico di fama internazionale... non fare quella smorfia, Ettore, è così. Di recente è stato nominato a capo di un progetto coperto da segreto militare. Non posso spiegarti altro. Ettore pensa che non ne sarei nemmeno capace".
Il professore continuava a fare smorfie e a guardarsi intorno disgustato. Lampo cominciava ad averlo in simpatia. Per arrivare al dodicesimo piano bisognava eccellere in qualcosa. La maggior parte - compreso il Lampo ventenne - eccelleva in leccaculismo. Non era, con tutte le evidenze, la specialità del professore.
"Abbiamo bisogno di un sito per condurre esperimenti molto complessi - e potenzialmente devastanti. Il professore aveva proposto l'entroterra libico, ma al momento..."
(I beduini ci stanno facendo il culo).
"...non è possibile per motivi di sicurezza nazionale".
Così avete pensato all'Irpinia.
"Sai cos'è l'uranio?"
Un elemento radioattivo. Numero atomico 92. "Un dio del pantheon greco?"
"Ottima risposta. Da te non voglio sentirne altre".
Che vogliono fare con l'uranio Bottai e Majorana nel meridione traboccante di futuristica gioia di vivere? Sarà senz'altro qualcosa di arricchente. Per saperlo occorrerà votare per Anno 11 dell'era futurista, che oggi se la gioca contro Il futuro non è nano, un quarto di finale che vale una finale. Puoi cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o scrivere nei commenti che questo pezzo ti è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo massacro.
http://atkinson-and-company.co.uk/futurism/ |
Il tizio aveva fatto il possibile per scandire la frase nello stile ardito della cancelleria, senza la pausa prevista dalla virgola tra "dispiace" e "l'ascensore", ma un'esitazione passatista lo aveva tradito. Quanto tempo perdiamo con queste scemenze, pensò Lampo.
Fino a pochi mesi prima non avrebbe esitato a rispondere: "Me ne frego l'impeto futurista non ammette attese al cospetto di un loculo asfittico impiccato al soffitto schiavo della gravità dodici rampe non sono che una gradita ginnastica". Grazie al cielo aveva oltrepassato quel livello. Disse solo: "Normale. Se la prenda comoda, conosco la strada".
Schizzò sulla rampa saltando i gradini a due a due. Appena ebbe seminato l'accompagnatore, riprese un andamento borghese. Non sapeva ancora cosa avrebbe detto allo Stimolatore, ma non intendeva dirlo col fiatone. Se volevano davvero lavorare con lui, che fosse chiaro sin dall'inizio che non era più un ragazzino. Se invece preferivano le pagliacciate, le Scuole di Coraggio traboccavano di coglioni caricati a molla.
(Che roba è? È un pezzo che sviluppa le premesse di Il chiar di luna non passerà, e partecipa ai quarti di finale della Grande Gara degli Spunti! Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone).
Il pianerottolo del quarto piano offriva il panorama su un cantiere abbandonato. Lampo si fermò a prendere fiato. Stava andando a farsi ammazzare?
Di lì a pochi minuti sarebbe stato a cospetto dello Stimolatore. Gli avrebbe fatto le domande di prammatica. Lampo avrebbe potuto rispondere che tutto andava per il meglio nel migliore dei futuri possibili. Che Campofuturo, nuovo capoluogo irpino, splendeva radiosa sulle macerie del terremoto. Che la popolazione aveva accolto con entusiasmo l'abolizione della pastasciutta e la riconversione dei campi dal frumento al mais per mangimi animali; che tutto era andato per il meglio e non era morto di fame nessuno, quasi nessuno, solo qualche migliaia di inguaribili passatisti. Che le organizzazioni malavitose erano state represse col pugno d'acciaio e non contrabbandavano spaghetti agli indigenti. Che la single-tax era stata un successo, la quota 110 aveva portato prosperità e mantenuto a galla l'Italia Futurista mentre le altre cosiddette potenze sprofondavano nelle procelle della crisi originatasi oltre l'Atlantico.
Oppure avrebbe potuto dire la verità, e che l'ammazzassero, che gli fotteva. A venticinque anni lo avevano nominato Eccitatore Straordinario per tutta l'area del terremoto. In campana, gli avevano detto, il Capo vuole vendere Roma alla Chiesa e fare di Napoli la capitale invernale. Non possiamo avere un deserto di ruderi a un centinaio di km distanza, avrai risorse illimitate. Risorse illimitate. Aveva visto bambini morire di malaria e dissenteria in ospedali da campo. Che l'ammazzassero. Del resto non era più un ragazzino, il suo serbatoio di eccitante entusiasmo si era esaurito. Era tempo di raccattare qualche altro giovane fanatico di belle speranze e mandarlo allo sbaraglio al posto suo.
Dal decimo piano si vedeva il cupolone. Alla fine il capo si era tenuto Roma, anche se non gli piaceva. Non aveva nemmeno sventrato la spina del Borgo per costruire quell'Arco del Futuro che all'orizzonte avrebbe fatto da ponte tra Castel Sant'Angelo e la cupola di Michelangelo, eclissandole. Aveva preferito costruire un quartiere completamente nuovo sulla Pontina, l'ennesimo tributo a quell'architetto che era morto prima di vedere come potevano diventare brutti i suoi palazzi sotto la pioggia. Non era sopravvissuto a quella guerra che aveva fatto impazzire tutti, Capo compreso.
Sul dodicesimo pianerottolo lo aspettava l'accompagnatore, sempre più costernato. "L'ascensore in realtà funziona me lo hanno detto solo quando sono arrivato al quinto".
"Va tutto bene non ti preoccupare solo un piccolo trucco".
"Un piccolo trucco?"
"Posso entrare?"
L'accompagnatore si schiacciò contro la porta, che si aprì stridendo contro il pavimento. Stava cedendo un cardine. Stava cascando tutto a pezzi.
Non solo il suo palazzo: anche Bottai sembrava invecchiato improvvisamente dall'ultima volta. Rughe, occhiaie, tutto il repertorio. Di fianco a lui, un coetaneo di Lampo vestito in borghese ostentò indifferenza al saluto militare. Scuro di capelli e di incarnato, labbra piene, un levantino. L'hanno preso a Tripoli, questo?
"Camerata Lampo, non ti ho convocato per il rapporto".
Sta parlando con le virgole, buon segno. Ma potrò usarle anch'io?
"Non credo tu abbia già conosciuto il professor Majorana".
Per un attimo Lampo fu tentato di porgergli la mano - si usava ancora tra borghesi? Qualcosa lo bloccò. Quel ragazzo sembrava tutto fuorché ansioso di toccare un suo simile.
"Il professore è un fisico di fama internazionale... non fare quella smorfia, Ettore, è così. Di recente è stato nominato a capo di un progetto coperto da segreto militare. Non posso spiegarti altro. Ettore pensa che non ne sarei nemmeno capace".
Il professore continuava a fare smorfie e a guardarsi intorno disgustato. Lampo cominciava ad averlo in simpatia. Per arrivare al dodicesimo piano bisognava eccellere in qualcosa. La maggior parte - compreso il Lampo ventenne - eccelleva in leccaculismo. Non era, con tutte le evidenze, la specialità del professore.
"Abbiamo bisogno di un sito per condurre esperimenti molto complessi - e potenzialmente devastanti. Il professore aveva proposto l'entroterra libico, ma al momento..."
(I beduini ci stanno facendo il culo).
"...non è possibile per motivi di sicurezza nazionale".
Così avete pensato all'Irpinia.
"Sai cos'è l'uranio?"
Un elemento radioattivo. Numero atomico 92. "Un dio del pantheon greco?"
"Ottima risposta. Da te non voglio sentirne altre".
Che vogliono fare con l'uranio Bottai e Majorana nel meridione traboccante di futuristica gioia di vivere? Sarà senz'altro qualcosa di arricchente. Per saperlo occorrerà votare per Anno 11 dell'era futurista, che oggi se la gioca contro Il futuro non è nano, un quarto di finale che vale una finale. Puoi cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o scrivere nei commenti che questo pezzo ti è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo massacro.
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Quanto era buona Evangelina
27-08-2015, 19:41La grande gara di spuntiPermalink
Benvenuti all'appuntamento serale con la Grande Gara degli Spunti! Dove eravamo rimasti? Dunque. Dovete sapere che qualche settimana fa stavano per finire i sedicesimi di finale e avevo ancora tre o quattro idee non sviluppate.
- Cosa sarebbe successo se l'autrice della Sfumature di Grigio dopo due volumi si fosse montata la testa, e invece di scrivere fan-fiction ispirate ai vampiri di Twilight avesse deciso di scrivere una fan-fiction ispirata ai libertini di Sade? Consegnando alle lettrici impazienti un terzo volume orripilante in cui la protagonista scivolava in un vortice di depravazione e torture atroci al termine delle quali incontrava una morte orribile mentre il milionario belloccio cominciava a stalkerare qualche altra signorina ingenua? La casa editrice lo avrebbe disconosciuto, ma tanta gente lo avrebbe voluto leggere lo stesso, e ne sarebbe stata segnata per il resto della vita, ecc.
- Una distopia su un popolo che ha perso la facoltà di comprendere l'ironia. Ogni parola che usano ha un solo significato. Un simile linguaggio è veramente praticabile? Boh.
- Perché gli zombie moderni mangiano le persone? Quelli originali delle leggende voodoo non lo facevano. E se fosse tutta propaganda? Se fossimo noi che diamo la caccia agli zombie perché sono buoni da mangiare?
- Una distopia naturalista-vegan. Stanno discutendo di dare il voto ad altre forme viventi. Considerano Reagan peggio di Hitler perché gli americani del XX secolo massacravano un sacco di animali e - orrore degli orrori - li mangiavano.
Vabbe', mi sono detto, le mescolo tutte assieme. Ci verrà fuori una schifezza, ma tanto la metto in tabellone contro una testa di serie.
Ed eccoci qua, miei cari e stimati lettori. Il mostro di spunti tritati ha già fatto fuori due spunti promettentissimi. Che vogliamo fare? Andiamo avanti? Andiamo avanti. Dove eravamo rimasti?
III VOLUME - EVANGELINA CAPEGGIA LA RIVOLUZIONE degli zombi contro i vegan, che però finisce malissimo. La fanteria degli scimpanzè infatti ha facile ragione di questi sfigati con gli archi e le frecce. Vengono tutti catturati, torturati e fatti in padella. Ma proprio quando sembra che Evangelina stia per morire malissimo...
...niente, la catturano, la curano, si ristabilisce, e poi la rinchiudono in un castello coi suoi amici e torturano tutti a morte. Il terzo volume consta esclusivamente di torture prese di pacca da Justine o dalle 120 giornate. Un aguzzino ogni tanto le spiega che era tutto previsto, sin dalla sua infanzia le hanno fatto credere di essere diversa dagli altri perché volevano farle organizzare una rivolta degli zombie in grande stile e divertirsi un po'. Alla fine la tritano con un minipeamer.
Nell'ultima scena due ricchi anziani stanno sorseggiando del soylent. "Assaggia questo, cara. È diverso, è... speciale".
Questo è il pezzo che avete mandato ai quarti di finale. Se la gioca contro i Catari. Fate un po' voi.
- Cosa sarebbe successo se l'autrice della Sfumature di Grigio dopo due volumi si fosse montata la testa, e invece di scrivere fan-fiction ispirate ai vampiri di Twilight avesse deciso di scrivere una fan-fiction ispirata ai libertini di Sade? Consegnando alle lettrici impazienti un terzo volume orripilante in cui la protagonista scivolava in un vortice di depravazione e torture atroci al termine delle quali incontrava una morte orribile mentre il milionario belloccio cominciava a stalkerare qualche altra signorina ingenua? La casa editrice lo avrebbe disconosciuto, ma tanta gente lo avrebbe voluto leggere lo stesso, e ne sarebbe stata segnata per il resto della vita, ecc.
- Una distopia su un popolo che ha perso la facoltà di comprendere l'ironia. Ogni parola che usano ha un solo significato. Un simile linguaggio è veramente praticabile? Boh.
- Perché gli zombie moderni mangiano le persone? Quelli originali delle leggende voodoo non lo facevano. E se fosse tutta propaganda? Se fossimo noi che diamo la caccia agli zombie perché sono buoni da mangiare?
- Una distopia naturalista-vegan. Stanno discutendo di dare il voto ad altre forme viventi. Considerano Reagan peggio di Hitler perché gli americani del XX secolo massacravano un sacco di animali e - orrore degli orrori - li mangiavano.
Vabbe', mi sono detto, le mescolo tutte assieme. Ci verrà fuori una schifezza, ma tanto la metto in tabellone contro una testa di serie.
Ed eccoci qua, miei cari e stimati lettori. Il mostro di spunti tritati ha già fatto fuori due spunti promettentissimi. Che vogliamo fare? Andiamo avanti? Andiamo avanti. Dove eravamo rimasti?
III VOLUME - EVANGELINA CAPEGGIA LA RIVOLUZIONE degli zombi contro i vegan, che però finisce malissimo. La fanteria degli scimpanzè infatti ha facile ragione di questi sfigati con gli archi e le frecce. Vengono tutti catturati, torturati e fatti in padella. Ma proprio quando sembra che Evangelina stia per morire malissimo...
...niente, la catturano, la curano, si ristabilisce, e poi la rinchiudono in un castello coi suoi amici e torturano tutti a morte. Il terzo volume consta esclusivamente di torture prese di pacca da Justine o dalle 120 giornate. Un aguzzino ogni tanto le spiega che era tutto previsto, sin dalla sua infanzia le hanno fatto credere di essere diversa dagli altri perché volevano farle organizzare una rivolta degli zombie in grande stile e divertirsi un po'. Alla fine la tritano con un minipeamer.
Nell'ultima scena due ricchi anziani stanno sorseggiando del soylent. "Assaggia questo, cara. È diverso, è... speciale".
Questo è il pezzo che avete mandato ai quarti di finale. Se la gioca contro i Catari. Fate un po' voi.
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L'impatto ambientale del nazismo, e altre tesi interessanti
27-08-2015, 11:20La grande gara di spunti, nazismo, raccontiPermalink
Estat ai en greu cossirier
per un cavallier q'ai agut,
e voill sia totz temps saubut
cum eu l'ai amat a sobrier...
L'incubo iniziò un paio d'anni fa. Mi sentivo così giovane e cinico. Stavo cercando di vincere una borsa di studio con un progetto che mi sembrava geniale: una proiezione distopica su un'Europa nazista di fine XX secolo. Hitler aveva vinto, ma ormai era solo un ricordo. Quello che invece non era più nemmeno un ricordo, era la storia dei popoli che aveva sterminato. Ebrei, Rom, Sinti, scomparsi da tutti i documenti. Una cosa del genere era fattibile, da un punto di vista tecnico?
Mi ero tappato in casa per tre mesi, mi ero fatto sbloccare l'accesso a paper dimenticati di oscure facoltà della bassa Sassonia e della Cisgiordania. E un radioso mattino d'aprile ero andato a presentare il progetto al professor Arci. Avevo riempito la borsa di scartoffie più o meno pleonastiche, per darmi un tono - in realtà il grosso dei documenti era on line, ma non era escluso che il professore volesse dare un'occhiata.
Non volle.
(Questo pezzo potrebbe essere considerato persino offensivo se non partecipasse, come fa, alla Grande Gara degli Spunti! - prosegue la traccia di Nessuno si ricorda dei Catari. Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone).
"Molto interessante", disse, con l'aria di chi guarda per la terza volta il film delle vacanze del cognato. "Ma se vuole approfondire l'argomento, c'è un lavoro che potrebbe esserle d'aiuto... credo sia dietro di lei".
Mi stava indicando una pila di tomi sulla mensola di fronte a lui. Una tesi in tre volumi. Il titolo sulla costa: L'EUROPA NAZISTA NEL 2000: UN'IPOTESI ECOLOGICA, mi colpì come un gancio allo stomaco. Soffocai un gemito a stento.
"È un lavoro molto serio, l'abbiamo discusso lo scorso semestre".
"Cioè in pratica la mia idea... è già stata presa".
"Beh, sì, come tutte le idee del resto. Non faccia quella faccia. E comunque no, ora che ci penso non è proprio la stessa idea, l'autore si soffermava soprattutto sull'impatto ambientale del nazismo. L'idea centrale è: se avessero vinto, i nazisti avrebbero distrutto il loro habitat naturale più o meno di quanto abbiamo fatto noi? In altre parole: dal punto di vista della natura, chi avrebbe dovuto vincere la guerra? Una domanda molto cinica, ma anche molto interessante".
Ogni volta che diceva "interessante", sembrava perdere qualche anno di vita. In uno dei WC del dipartimento c'era una sua caricatura che fissava lo scarico. Era impossibile pisciare senza leggere ogni volta la nuvoletta che diceva: "molto interessante".
"E la risposta?"
"Mah".
"La risposta è Mah?"
"Certo, che si aspettava?"
"Un sì o un no".
"Capisco. Ma un Mah è già parecchio, considerata la domanda. Lei pensa sul serio che un dottorando possa sostenere una tesi in cui dice: sì, l'impatto ambientale del nazismo sarebbe stato inferiore a quello dell'American Way of Life, dal momento che prevedeva la reintroduzione della schiavitù e una classe media di dimensioni assai più ristrette e dallo stile di vita più spartano? Meno automobili, meno bistecche, meno campi da golf, meno monossido di carbonio..."
"Ma le autostrade tedesche..."
"Ottima obiezione. Hitler partì dalle autostrade. Ed era culo e camicia con gli industriali. Per cui in effetti forse l'Europa nazista si sarebbe motorizzata peggio della nostra, va' a sapere. Quindi la migliore risposta al nostro interrogativo è: mah. Invece la tesi che dovrebbe consultare è di un paio di anni fa, la trova due mensole più in alto".
(STORIA DELL'EUROPA SENZA EBREI: UN'IPOTESI DISTOPICA).
"Un lavoro mirabile", continuò. "L'autore ha finto, con indubbio cinismo, di essere uno storico nazista alle prese col problema di cancellare le tracce di presenza ebraica in Europa dal Rinascimento in poi. Se n'è uscito con un paio di soluzioni veramente brillanti. Non credo che un nazista vero ne avrebbe trovate di migliori".
"Questa è... è esattamente la tesi che volevo scrivere io".
"Ma no, non esattamente. Lei ha menzionato anche i Rom e i Sinti, se non erro".
"Sì, ma..."
"E la consiglio di aggiungere anche qualche altro dettaglio, che so, gli affetti da sindrome di Down. I nazisti avrebbero fatto perdere ogni traccia della loro esistenza, ci rifletta".
"Ma in generale non è che abbiamo tantissime tracce della loro esistenza, nei secoli precedenti".
"Già. E comunque se ricordo bene una tesi del genere l'abbiamo discussa tre anni fa..."
"È sulla mensola più in alto?"
"No, no. Ma non si abbatta così. Pensava sul serio di avere avuto un'idea originale sul nazismo? Tutti vogliono fare i nazisti alla sua età. È una gara a chi è più cinico. Immagino che funzioni con le ragazze".
"Io ero soprattutto affascinato dall'idea che la Storia si possa riscrivere".
"Già, beh, ripartiamo da qui. Potremmo invertire i fattori. Immaginiamo per una volta che la guerra l'abbiano vinta gli Alleati..."
"Professore..."
"Lo so. È esattamente quello che è successo. Ma immaginiamo che ne abbiano profittato per cancellare qualche genocidio, proprio come avrebbero fatto i nazi".
"Un genocidio? Ma chi avrebbero dovuto massacrare, scusi".
"Ovviamente non lo sappiamo. È un popolo completamente cancellato dalla nostra Storia. Le sembra assurdo?"
"Sì, abbastanza assurdo".
"Ma mi stava per proporre una tesi in cui i nazisti facevano la stessa cosa".
"Beh, ma i nazisti..."
"Non erano superuomini. Non avevano basi sul lato oscuro della luna. Vuole essere cinico davvero? Immagini che i nemici dei nazisti siano stronzi quanto loro. Che la storia dei genocidi l'abbiano iniziata loro, prima del Quaranta. Trovi qualche popolo svanito nelle pieghe della Storia, che so, i Circassi".
"I circassi sono stati massacrati dallo Zar".
"Ah davvero? Va bene, s'inventi un popolo. Gli iperborei. Una minoranza etnica da qualche parte in Europa".
La strana filastrocca di mia nonna mi tornò in mente in quell'esatto momento.
"Gli occitani".
"Perché no? Salvo il piccolo particolare che esistono ancora, e quindi non possono essere stati sterminati".
"Quelli che esistono ancora hanno rimosso. Sono stati sterminati i loro... i loro nemici di sempre".
"Questo è interessante".
Lo disse con un tono completamente diverso.
"Gli occitani di fede catara", continuai.
"A quelli ha pensato l'Inquisizione, no? Nel tredicesimo secolo".
"Questo è quello che ci hanno fatto credere".
"Ecco. Questo è davvero interessante".
"In realtà erano sopravvissuti. In alcune roccheforti tra le Alpi e i Pirenei".
"E poi?"
"E poi... la Guerra dei Cent'Anni".
"Saranno stati dalla parte degli inglesi".
"E poi con gli ugonotti".
"In realtà una buona parte di quelli che chiamiamo "ugonotti" erano Catari".
"E la Rivoluzione francese?"
"Erano girondini ovviamente. Ma in Vandea esagerarono".
"C'è una tesi sull'argomento che posso consultare?"
"No, che io sappia. Nessuno dei miei studenti mi ha mai proposto una tesi del genere".
"Dovrebbe proporgliela".
"Già, sarebbe finalmente qualcosa di diverso",
"Di interessante".
"Ci pensi su. La vedrei volentieri la prossima settimana".
"Non sapevo che ricevesse anche la prossima settimana".
"Non lo sa nessuno. E se lo tenga per lei".
Il mio incubo iniziò così.
...ara vei q'ieu sui trahida
car eu non li donei m'amor,
don ai estat en gran error
en lieig e qand sui vestida...
Se vuoi proseguire in questo futuro distopico in cui i nazisti hanno perso contro nemici persino più stronzi di loro, assumitene le responsabilità e vota per L'impatto ambientale del nazismo, che oggi si batte ai quarti contro quella schifezza zombovegetariana. Puoi cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o scrivere nei commenti che questo pezzo ti è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.
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Le domande più frequenti sul mondo dei procioni
26-08-2015, 19:30deliri, La grande gara di spuntiPermalink1. Dobbiamo avere paura di loro?
No. Vivevano a un migliaio di anni luce da noi. Si sono estinti prima di captare o decifrare le nostre prime trasmissioni.
2. Se si sono estinti, perché ogni giorno ci arrivano nuove trasmissioni?
Sono i programmi che loro inviavano nello spazio circa un migliaio di anni fa. Sappiamo che hanno smesso di mandarceli, ma ne riceveremo ancora per un secolo o più.
(Questo pezzo non avrebbe molto senso se non partecipasse, come fa, alla Grande Gara degli Spunti! - prosegue la traccia di La fine del mondo dei procioni! Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone).
3. Come facciamo a essere sicuri che si siano estinti?
Abbiamo captato perturbazioni negli sciami tachionici che...
4. Eh?
Ok. Tutte le informazioni che ci arrivano dal loro pianeta viaggiano alla velocità della luce. C'è una sola particella che riusciamo a percepire anche se viaggia a velocità superiore, e si chiama tachione. Gli sciami di questi tachioni ci portano informazioni di qualche secolo più recenti rispetto alle loro trasmissioni televisive. E non sono informazioni buone.
5. Cosa potrebbe essere successo?
Non è che i tachioni ci possano dire tanto, ma di solito perturbazioni del genere ci arrivano da stelle che stanno per esplodere o collidere. Anche se la loro stella non sembrava così instabile. Quindi in effetti non sappiamo cosa sia successo, ma sappiamo che dev'essere stato un disastro per tutto il loro sistema stellare.
6. Qualche procione potrebbe essere sopravvissuto, magari in una stazione spaziale o su un altro Pianeta...
Ho detto: tutto il loro sistema stellare. Se esplode la stella, non sopravvive un bel niente.
7. In un'astronave uscita dal loro sistema...
Tieni conto che noi umani, con tutta la nostra tecnologia, non siamo ancora riusciti a portare un uomo più in là della Luna. Per uscire dal loro sistema avrebbero dovuto iniziare a programmare la missione secoli prima, e dalle trasmissioni che riceviamo non ci risulta. Quindi è molto improbabile che siano riusciti a uscire dal nostro sistema.
8. Quanto improbabile?
Ti do una possibilità su diecimila.
9. Quindi sono tutti morti al 99,99%.
Sì.
10. Dev'essere successo un bel casino. Potrebbero essere stati loro?
La prima risposta che mi viene è: no, perché avrebbero dovuto fare qualcosa di così stupido?
11. Anche noi umani siamo stati a un passo dall'autodistruzione, con gli ordigni nucleari e coi gas serra.
Ma alla fine siamo ancora qui. E comunque si parla di una catastrofe di proporzioni immensamente più grandi. Quindi dovrei dirti di no: oltre a non avere nessun motivo plausibile, non avrebbero mai potuto avere l'energia sufficiente.
12. E invece?
Per quanto sia folle, non possiamo del tutto escludere questa possibilità. Vedi, abbiamo davanti a noi due eventi eccezionalmente rari. Un sistema solare che ospita forme di vita e intelligenza, e una stella che esplode o comunque perturba i tachioni in modo molto strano. Possibile che non siano in qualche modo correlati?
13. Riusciremo mai a capire cos'è successo?
Da qui a cento, duecento anni cominceremo a captare le trasmissioni in cui loro si accorgono che qualcosa non va - e forse così capiremo. Prima è impossibile sapere.
14. Torniamo alle loro trasmissioni. Perché inviavano nello spazio cose tanto stupide? Telenovelas e festival canori? Non avevano niente di più interessante da offrire alla Galassia?
Ci sono un paio di equivoci. Primo: quelle che noi abbiamo subito identificato come "telenovelas", non sono affatto stupide - quello che le rende così ridicole ai nostri occhi è dovuto soprattutto allo straniamento di vedere procioni in pose melodrammatiche. Abbiamo diversi elementi per ritenere che in realtà si tratti di materiale di alto interesse culturale per i procionidi, qualcosa di simile all'epica omerica o alle tragedie shakespeariane. Se loro avessero potuto vedere degli ominidi del XXI secolo recitare Shakespeare (ma non possono), probabilmente li avrebbero trovato demenziali. Anche i festival canori in realtà sono qualcosa di vagamente equiparabile alla nostra opera lirica.
Secondo equivoco: telenovelas e festival non sono che una minima parte delle trasmissioni che abbiamo ricevuto - ma sono state tra le prime che siamo riusciti a decifrare, e soprattutto quelle che hanno avuto una straordinaria popolarità sulla Terra. Gran parte delle trasmissioni erano a contenuto più 'serio', e proprio per questo molto meno decifrabile (stiamo facendo grossi passi avanti con i programmi didattici riservati ai cuccioli, che però l'Agenzia preferisce non divulgare per i contenuti piuttosto impressionanti - la pedagogia procionide è radicalmente diversa dalla nostra).
15. Perché le loro canzoni sono così orribili?
Ci perdiamo tutti gli infrasuoni. Ora stiamo provando ad abbassare tutto di diverse ottave, e poi accelerare senza aumentare la frequenza. Secondo alcuni dovremmo riuscire a percepire le canzoni come le percepivano loro. Ne ho ascoltato un paio giusto ieri.
16. Come sono?
Ancora orribili. Probabilmente ci sono cose che non abbiamo ancora capito.
17. Come spieghi il fenomeno del prock?
È tutto un equivoco. I ragazzi ascoltano suoni distorti e privi di tutti gli infrasuoni, si convincono che quella sia la musica dei procionidi, si mettono a rifarla con gli strumenti umani, e dopo un po' qualcuno - dotato di un gran masochismo, come accade spesso nelle comunità giovanili - comincia ad apprezzarla. Evidentemente c'era in giro un gran bisogno di input nuovi, ma ti garantisco che se un procionide di Brahe sentisse un pezzo prock non ci capirebbe nulla.
18. Ma è vera questa cosa della stagione degli amori?
Non sappiamo quanto sia vera e quanto ritualizzata o drammatizzata. Partiamo da un presupposto: la vita quotidiana dei procionidi è molto diversa da quella che mostrano nelle loro trasmissioni. I procionidi 'veri' non vivono nelle foreste - anche se la loro architettura cerca di ricreare spazi simili. Hanno un pelo molto meno folto e indossano quasi sempre vestiti. Effettivamente hanno un mese di vacanza in primavera che è consacrato ai rituali dell'accoppiamento, ma secondo la maggior parte degli esperti si tratta solo di un retaggio culturale.
19. Aspetta. Mi stai dicendo che i procioni si vestono?
Nelle zone temperate sono vestiti per la maggior parte del tempo.
20. Ma in tv sono sempre nudi!
È una convenzione. Noi umani ci trucchiamo quando andiamo in tv. Loro si spogliano - in certi casi abbiamo la sensazione che alcuni indossino pellicce. C'è un nesso forte tra qualità del manto e carriera nel mondo dello spettacolo - insomma in tv ci va solo chi ha un manto fuori dal normale. Gli altri si vedono di rado. E tieni sempre conto che il modo in cui usano loro la tv è leggermente diverso dal nostro: per loro serve a trasmettere una visione ideale del mondo, non a specchiare la realtà.
Se vuoi andare avanti e scoprire cosa abbiamo capito della pornografia procionide (non molto), muovi quelle zampette e vota per Le domande più frequenti sul mondo dei procioni, che oggi si batte ai quarti contro Il notebook del nonno. Puoi cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o scrivere nei commenti che questo pezzo ti è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.
No. Vivevano a un migliaio di anni luce da noi. Si sono estinti prima di captare o decifrare le nostre prime trasmissioni.
2. Se si sono estinti, perché ogni giorno ci arrivano nuove trasmissioni?
Sono i programmi che loro inviavano nello spazio circa un migliaio di anni fa. Sappiamo che hanno smesso di mandarceli, ma ne riceveremo ancora per un secolo o più.
(Questo pezzo non avrebbe molto senso se non partecipasse, come fa, alla Grande Gara degli Spunti! - prosegue la traccia di La fine del mondo dei procioni! Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone).
3. Come facciamo a essere sicuri che si siano estinti?
Abbiamo captato perturbazioni negli sciami tachionici che...
4. Eh?
Ok. Tutte le informazioni che ci arrivano dal loro pianeta viaggiano alla velocità della luce. C'è una sola particella che riusciamo a percepire anche se viaggia a velocità superiore, e si chiama tachione. Gli sciami di questi tachioni ci portano informazioni di qualche secolo più recenti rispetto alle loro trasmissioni televisive. E non sono informazioni buone.
5. Cosa potrebbe essere successo?
Non è che i tachioni ci possano dire tanto, ma di solito perturbazioni del genere ci arrivano da stelle che stanno per esplodere o collidere. Anche se la loro stella non sembrava così instabile. Quindi in effetti non sappiamo cosa sia successo, ma sappiamo che dev'essere stato un disastro per tutto il loro sistema stellare.
6. Qualche procione potrebbe essere sopravvissuto, magari in una stazione spaziale o su un altro Pianeta...
Ho detto: tutto il loro sistema stellare. Se esplode la stella, non sopravvive un bel niente.
7. In un'astronave uscita dal loro sistema...
Tieni conto che noi umani, con tutta la nostra tecnologia, non siamo ancora riusciti a portare un uomo più in là della Luna. Per uscire dal loro sistema avrebbero dovuto iniziare a programmare la missione secoli prima, e dalle trasmissioni che riceviamo non ci risulta. Quindi è molto improbabile che siano riusciti a uscire dal nostro sistema.
8. Quanto improbabile?
Ti do una possibilità su diecimila.
9. Quindi sono tutti morti al 99,99%.
Sì.
10. Dev'essere successo un bel casino. Potrebbero essere stati loro?
La prima risposta che mi viene è: no, perché avrebbero dovuto fare qualcosa di così stupido?
11. Anche noi umani siamo stati a un passo dall'autodistruzione, con gli ordigni nucleari e coi gas serra.
Ma alla fine siamo ancora qui. E comunque si parla di una catastrofe di proporzioni immensamente più grandi. Quindi dovrei dirti di no: oltre a non avere nessun motivo plausibile, non avrebbero mai potuto avere l'energia sufficiente.
12. E invece?
Per quanto sia folle, non possiamo del tutto escludere questa possibilità. Vedi, abbiamo davanti a noi due eventi eccezionalmente rari. Un sistema solare che ospita forme di vita e intelligenza, e una stella che esplode o comunque perturba i tachioni in modo molto strano. Possibile che non siano in qualche modo correlati?
13. Riusciremo mai a capire cos'è successo?
Da qui a cento, duecento anni cominceremo a captare le trasmissioni in cui loro si accorgono che qualcosa non va - e forse così capiremo. Prima è impossibile sapere.
14. Torniamo alle loro trasmissioni. Perché inviavano nello spazio cose tanto stupide? Telenovelas e festival canori? Non avevano niente di più interessante da offrire alla Galassia?
Ci sono un paio di equivoci. Primo: quelle che noi abbiamo subito identificato come "telenovelas", non sono affatto stupide - quello che le rende così ridicole ai nostri occhi è dovuto soprattutto allo straniamento di vedere procioni in pose melodrammatiche. Abbiamo diversi elementi per ritenere che in realtà si tratti di materiale di alto interesse culturale per i procionidi, qualcosa di simile all'epica omerica o alle tragedie shakespeariane. Se loro avessero potuto vedere degli ominidi del XXI secolo recitare Shakespeare (ma non possono), probabilmente li avrebbero trovato demenziali. Anche i festival canori in realtà sono qualcosa di vagamente equiparabile alla nostra opera lirica.
Secondo equivoco: telenovelas e festival non sono che una minima parte delle trasmissioni che abbiamo ricevuto - ma sono state tra le prime che siamo riusciti a decifrare, e soprattutto quelle che hanno avuto una straordinaria popolarità sulla Terra. Gran parte delle trasmissioni erano a contenuto più 'serio', e proprio per questo molto meno decifrabile (stiamo facendo grossi passi avanti con i programmi didattici riservati ai cuccioli, che però l'Agenzia preferisce non divulgare per i contenuti piuttosto impressionanti - la pedagogia procionide è radicalmente diversa dalla nostra).
15. Perché le loro canzoni sono così orribili?
Ci perdiamo tutti gli infrasuoni. Ora stiamo provando ad abbassare tutto di diverse ottave, e poi accelerare senza aumentare la frequenza. Secondo alcuni dovremmo riuscire a percepire le canzoni come le percepivano loro. Ne ho ascoltato un paio giusto ieri.
16. Come sono?
Ancora orribili. Probabilmente ci sono cose che non abbiamo ancora capito.
17. Come spieghi il fenomeno del prock?
È tutto un equivoco. I ragazzi ascoltano suoni distorti e privi di tutti gli infrasuoni, si convincono che quella sia la musica dei procionidi, si mettono a rifarla con gli strumenti umani, e dopo un po' qualcuno - dotato di un gran masochismo, come accade spesso nelle comunità giovanili - comincia ad apprezzarla. Evidentemente c'era in giro un gran bisogno di input nuovi, ma ti garantisco che se un procionide di Brahe sentisse un pezzo prock non ci capirebbe nulla.
18. Ma è vera questa cosa della stagione degli amori?
Non sappiamo quanto sia vera e quanto ritualizzata o drammatizzata. Partiamo da un presupposto: la vita quotidiana dei procionidi è molto diversa da quella che mostrano nelle loro trasmissioni. I procionidi 'veri' non vivono nelle foreste - anche se la loro architettura cerca di ricreare spazi simili. Hanno un pelo molto meno folto e indossano quasi sempre vestiti. Effettivamente hanno un mese di vacanza in primavera che è consacrato ai rituali dell'accoppiamento, ma secondo la maggior parte degli esperti si tratta solo di un retaggio culturale.
19. Aspetta. Mi stai dicendo che i procioni si vestono?
Nelle zone temperate sono vestiti per la maggior parte del tempo.
20. Ma in tv sono sempre nudi!
È una convenzione. Noi umani ci trucchiamo quando andiamo in tv. Loro si spogliano - in certi casi abbiamo la sensazione che alcuni indossino pellicce. C'è un nesso forte tra qualità del manto e carriera nel mondo dello spettacolo - insomma in tv ci va solo chi ha un manto fuori dal normale. Gli altri si vedono di rado. E tieni sempre conto che il modo in cui usano loro la tv è leggermente diverso dal nostro: per loro serve a trasmettere una visione ideale del mondo, non a specchiare la realtà.
Se vuoi andare avanti e scoprire cosa abbiamo capito della pornografia procionide (non molto), muovi quelle zampette e vota per Le domande più frequenti sul mondo dei procioni, che oggi si batte ai quarti contro Il notebook del nonno. Puoi cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o scrivere nei commenti che questo pezzo ti è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.
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Il notebook del nonno
26-08-2015, 11:37La grande gara di spuntiPermalink
Alcuni amici del nonno si erano trattenuti nella camera ardente oltre le undici. Arno non aveva trovato le parole giuste per congedarli. Alla fine era stata sua madre, esausta, a stringere loro le mani un'ennesima volta e a spingerli fisicamente verso la porta.
"Ora andrò a letto", annunciò, dopo averla richiusa. "E anche tu dovresti".
"Potrei tornare al campus".
"A quest'ora? Che assurdità. Domattina devi essere di nuovo qui. Dormirai qua sopra".
"Nella sua stanza?"
"L'ho preparata oggi".
"Ma è la sua stanza".
"Ti spaventa? Non ci dormiva da mesi. C'è anche un notebook, se vuoi lavorare".
"Sarà protetto".
"La password è scritta sul coperchio".
(Questo pezzo partecipa alla Grande Gara degli Spunti! - prosegue la traccia di Tutto quello che sai è vero! Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone).
Arno in realtà non aveva nessuna intenzione di "lavorare". Aveva in testa un lungo messaggio da inviare a Viole - composto mentalmente nelle ore in cui era rimasto in quella stanza, a fare arredamento. Ma l'idea di scriverlo sullo strumento del nonno lo ripugnava.
Per quanto fosse una buona macchina. Dieci terabyte di memoria fissa. Processore di ultima generazione - per "ultima" si intendeva quella realizzata ottant'anni prima, che in teoria aveva raggiunto il limite atomico di miniaturizzazione. Da lì in poi la ricerca e l'industria si erano concentrate su altri aspetti - la robustezza, il risparmio energetico. L'Olidata del nonno di Arno aveva un'autonomia di una settimana. La marca era l'unico dettaglio un po' originale, una concessione alle origini italiane del nonno. Arno conosceva vagamente la storia dell'Olivetti, e sapeva che di italiano quella macchina aveva soltanto il nome. Ma per quanto poteva ricordarsi, sapeva che il nonno aveva sempre usato prodotti Olidata. Era peraltro impossibile che quello fosse il modello su cui da piccolo gli aveva mostrato i primi cortometraggi Pixar - uno dei ricordi più vividi della sua infanzia. Ma era più o meno lo stesso modello. Lo stesso che attendeva Arno sulla sua scrivania al campus. Si distrasse un attimo a contemplare la pergamena della laurea. Scienze della comunicazione. Come sua madre. Come lui. Stessi gusti, stesse scelte, stessi risultati. Ottenuti battendo gli stessi tasti degli stessi notebook.
La password era ___ARNO___33
La lacrima che non era riuscito a esibire per tutto il giorno scese in un attimo, senza preavviso. A quel punto doveva entrare. Immaginò che si trattasse di un account per gli ospiti, senz'altro suo nonno non lasciava spalancato il suo computer su... no. Il desktop era pieno di appunti. Il più recente era di quattro mesi prima, quando era andato in clinica per una visita di controllo e... e non l'avevano dimesso più.
Una spia avvertiva che era disponibile l'ultimo film ordinato: Terminator 2. Arno sorrise, la vecchia saga di Schwarzenegger era una passione comune in famiglia. Arno ricordava diversi reboot e sequel, ma non aveva mai visto uno dei film originali, finché non era uscito nelle sale quattro mesi prima, in un edizione restaurata per il Bicentenario. Era stato indeciso se portarci la madre o Viole, alla fine aveva scelto Viole. Pessima scelta, lei preferiva Stallone.
"Ma hai mai veramente visto un film di Stallone?"
"No, ma mi piace il franchise".
La Fox continuava a fare uscire film su Rambo e Rocky, interpretati da attori che assomigliavano all'originale. "Stallone" era diventato un genere, apprezzato anche da chi ignorava l'origine del nome. Mentre pensava a tutto questo, Arno continuava a sfogliare sovrappensiero il notebook del nonno. Doveva ormai aver dimenticato che non era il suo, perché a un certo punto digitò sul browser le prime lettere del blog di una pornostar che consultava pigramente a tarda ora, nel dormitorio. Era una specie di buonanotte che si concedeva al termine dei giorni più difficili.
Fu questione di un istante. Non digitò più di due lettere: B,R.
Il browser completò l'indirizzo in automatico.
Brigid@Love non aveva aggiornato il blog. In compenso Arno aveva scoperto di avere un'altra cosa in comune col nonno. Va bene, e quindi? Doveva sentirsi scandalizzato? Turbato? O commuoversi per tanta familiarità? Tutto era in realtà spaventosamente normale. Arno amava gli stessi film del nonno, aveva studiato le stesse cose del nonno, usando gli stessi strumenti del nonno. Arno era suo nonno. Così andavano le cose, così dovevano andare.
Ma non era sempre andato così. Secoli prima era esistito un processo tecnologico. C'erano state epoche di intensa elaborazione creativa. Un decennio in cui non c'era ancora Rambo, e poi improvvisamente era arrivato Rambo, e all'inizio nessuno probabilmente si rendeva conto di trovarsi di fronte a qualcosa che avrebbe continuato a riempire le sale per secoli. Cosa era successo. Cosa stava succedendo.
Arno aveva studiato la storia dei supporti musicali, e conosceva bene la particolarità del supporto fisico più amato, il disco in vinile: ogni facciata del disco conteneva la musica su una traccia a spirale. Il disco veniva fatto ruotare su un piatto; la puntina leggeva il solco dall'esterno verso l'interno. Arno aveva sentito dire che certe puntine difettose, specie verso la fine, si incantavano sullo stesso solco, ed era così che era nato il concetto musicale di loop. Arno aveva la sensazione di trovarsi in un loop del genere: tra poche ore avrebbe assistito al suo stesso funerale.
Divertente, no? Beh, se è il tuo genere di divertimento, cosa aspetti a votare per Il notebook del nonno, che oggi se la gioca contro Le domande più frequenti sul mondo dei procioni? Puoi cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o scrivere nei commenti che questo pezzo ti è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.
"Ora andrò a letto", annunciò, dopo averla richiusa. "E anche tu dovresti".
"Potrei tornare al campus".
"A quest'ora? Che assurdità. Domattina devi essere di nuovo qui. Dormirai qua sopra".
"Nella sua stanza?"
"L'ho preparata oggi".
"Ma è la sua stanza".
"Ti spaventa? Non ci dormiva da mesi. C'è anche un notebook, se vuoi lavorare".
"Sarà protetto".
"La password è scritta sul coperchio".
(Questo pezzo partecipa alla Grande Gara degli Spunti! - prosegue la traccia di Tutto quello che sai è vero! Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone).
Arno in realtà non aveva nessuna intenzione di "lavorare". Aveva in testa un lungo messaggio da inviare a Viole - composto mentalmente nelle ore in cui era rimasto in quella stanza, a fare arredamento. Ma l'idea di scriverlo sullo strumento del nonno lo ripugnava.
Per quanto fosse una buona macchina. Dieci terabyte di memoria fissa. Processore di ultima generazione - per "ultima" si intendeva quella realizzata ottant'anni prima, che in teoria aveva raggiunto il limite atomico di miniaturizzazione. Da lì in poi la ricerca e l'industria si erano concentrate su altri aspetti - la robustezza, il risparmio energetico. L'Olidata del nonno di Arno aveva un'autonomia di una settimana. La marca era l'unico dettaglio un po' originale, una concessione alle origini italiane del nonno. Arno conosceva vagamente la storia dell'Olivetti, e sapeva che di italiano quella macchina aveva soltanto il nome. Ma per quanto poteva ricordarsi, sapeva che il nonno aveva sempre usato prodotti Olidata. Era peraltro impossibile che quello fosse il modello su cui da piccolo gli aveva mostrato i primi cortometraggi Pixar - uno dei ricordi più vividi della sua infanzia. Ma era più o meno lo stesso modello. Lo stesso che attendeva Arno sulla sua scrivania al campus. Si distrasse un attimo a contemplare la pergamena della laurea. Scienze della comunicazione. Come sua madre. Come lui. Stessi gusti, stesse scelte, stessi risultati. Ottenuti battendo gli stessi tasti degli stessi notebook.
La password era ___ARNO___33
La lacrima che non era riuscito a esibire per tutto il giorno scese in un attimo, senza preavviso. A quel punto doveva entrare. Immaginò che si trattasse di un account per gli ospiti, senz'altro suo nonno non lasciava spalancato il suo computer su... no. Il desktop era pieno di appunti. Il più recente era di quattro mesi prima, quando era andato in clinica per una visita di controllo e... e non l'avevano dimesso più.
Una spia avvertiva che era disponibile l'ultimo film ordinato: Terminator 2. Arno sorrise, la vecchia saga di Schwarzenegger era una passione comune in famiglia. Arno ricordava diversi reboot e sequel, ma non aveva mai visto uno dei film originali, finché non era uscito nelle sale quattro mesi prima, in un edizione restaurata per il Bicentenario. Era stato indeciso se portarci la madre o Viole, alla fine aveva scelto Viole. Pessima scelta, lei preferiva Stallone.
"Ma hai mai veramente visto un film di Stallone?"
"No, ma mi piace il franchise".
La Fox continuava a fare uscire film su Rambo e Rocky, interpretati da attori che assomigliavano all'originale. "Stallone" era diventato un genere, apprezzato anche da chi ignorava l'origine del nome. Mentre pensava a tutto questo, Arno continuava a sfogliare sovrappensiero il notebook del nonno. Doveva ormai aver dimenticato che non era il suo, perché a un certo punto digitò sul browser le prime lettere del blog di una pornostar che consultava pigramente a tarda ora, nel dormitorio. Era una specie di buonanotte che si concedeva al termine dei giorni più difficili.
Fu questione di un istante. Non digitò più di due lettere: B,R.
Il browser completò l'indirizzo in automatico.
Brigid@Love non aveva aggiornato il blog. In compenso Arno aveva scoperto di avere un'altra cosa in comune col nonno. Va bene, e quindi? Doveva sentirsi scandalizzato? Turbato? O commuoversi per tanta familiarità? Tutto era in realtà spaventosamente normale. Arno amava gli stessi film del nonno, aveva studiato le stesse cose del nonno, usando gli stessi strumenti del nonno. Arno era suo nonno. Così andavano le cose, così dovevano andare.
Ma non era sempre andato così. Secoli prima era esistito un processo tecnologico. C'erano state epoche di intensa elaborazione creativa. Un decennio in cui non c'era ancora Rambo, e poi improvvisamente era arrivato Rambo, e all'inizio nessuno probabilmente si rendeva conto di trovarsi di fronte a qualcosa che avrebbe continuato a riempire le sale per secoli. Cosa era successo. Cosa stava succedendo.
Arno aveva studiato la storia dei supporti musicali, e conosceva bene la particolarità del supporto fisico più amato, il disco in vinile: ogni facciata del disco conteneva la musica su una traccia a spirale. Il disco veniva fatto ruotare su un piatto; la puntina leggeva il solco dall'esterno verso l'interno. Arno aveva sentito dire che certe puntine difettose, specie verso la fine, si incantavano sullo stesso solco, ed era così che era nato il concetto musicale di loop. Arno aveva la sensazione di trovarsi in un loop del genere: tra poche ore avrebbe assistito al suo stesso funerale.
Divertente, no? Beh, se è il tuo genere di divertimento, cosa aspetti a votare per Il notebook del nonno, che oggi se la gioca contro Le domande più frequenti sul mondo dei procioni? Puoi cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o scrivere nei commenti che questo pezzo ti è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.
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La ritirata di Berto
25-08-2015, 20:19guerra, La grande gara di spunti, memoria del 900Permalink
"Torno a Majano con l'autoblindo il mattino del 30 ottobre. Gli austriaci se l'erano ripresa nottetempo. Avevano 6 pezzi mitragliatrici montate su biciclette".
"Su biciclette".
"Almeno tre in riga, stupidamente scoperte. Procedo in retromarcia e le punto con la mia mitragliatrice di culo a 50 metri di distanza. Una raffica e la mitragliatrice austriaca al centro è rovesciata. Vedo sollevarsi il mitragliere che era coricato dietro pancia a terra e tentare di alzarsi. Ha nel petto e nel ventre un buco enorme squarciato di 30 cm che schizza sangue a fiotti, a rivoli, destra, sinistra, inondando la strada piena d'acqua, che si arrossa tutta..."
(Questo pezzo riprende Fiume 1920, che si è qualificato agli ottavi della Grande Gara degli Spunti. Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone).
Al bar il comandante teneva banco con la storia della sua ritirata del Friuli - un'anabasi di epici conflitti a fuoco. Berto gliel'aveva sentita raccontare una dozzina di volte, sempre più fiorita di dettagli vividi, sempre più simile a un'avanzata vittoriosa. Non era del resto il solo, tutti avevano il loro aneddoto su Caporetto. Era curioso. Quel che era successo nel maledetto ottobre del 1917, per un anno nessuno aveva voluto raccontarlo. Tutta questa memorialistica da locanda, da bar, da caffè concerto, ci aveva messo almeno un anno a incubare. E adesso tutti avevano la loro storia.
"Il mitragliere morto impigliato sanguinosamente nel suo trepiede è schiacciato dalla mia blindata che passa sopra. L'altro tira pancia a terra. Ho le gomme sfasciate. Il mio sergente automobilista lo insegue e lo pugnala contro la porta chiusa d'una casa. Le altre 3 mitragliatrici che ci bersagliavano nascoste nel granoturco sulla destra tacciono. Il capitano del battaglione di fanteria è colpito a terra e cade morto...."
Solo a Berto non toccava nessuna storia. Lui a Caporetto si era messo in coda, semplicemente. All'inizio non si era nemmeno reso conto di dove stavano andando - era nuovo del fronte e non capiva quanto fosse eccezionale tutto quello che gli succedeva intorno. Solo dopo un paio d'ora, quando avevano superato un carro di profughi impantanato, e il sergente si era lasciato sfuggire una bestemmia in una varietà di lombardo mai udita prima. Sergente ma che succede, dove ci mandano?
"Ma non hai capito, gnàro? Abbiamo perso la guerra. A casa ci mandano".
Detta da lui, non era sembrata una buona notizia; a Berto però si era gonfiato il cuore, in quel momento, e da allora non riusciva a pensarci senza vergognarsene. Perché mentre quel metro e sessanta di sergente veterano tratteneva le lacrime per tre anni di battaglie sull'Isonzo mandati a puttane da quattro traditori infami, tre anni inutili a marcire in trincea mentre qualcuno a casa vendemmiava il suo e gli metteva incinta la figlia, Berto si era improvvisamente visto a casa, tutto intero, pronto per fidanzarsi a Natale e sposarsi entro Pasqua, senza che nessuno potesse permettersi di dirgli niente. In guerra non c'era andato? Appena era stato abbastanza grande da imbracciare il Novantuno. Mica era colpa sua se nel frattempo era finita. E Trento? E Trieste? Sarebbe stata per un'altra volta. Era senz'altro terribile perdere una guerra, ma almeno per un istante Berto ricordava di aver calcolato quanto gli convenisse.
Lo stesso pomeriggio aveva di nuovo incrociato Martone. Portava un fez verde mai visto, e coi suoi colleghi andava nella direzione contraria. Camerati buonasera! noi si va a Trieste! Nessuno rispondeva. Solo il sergente aveva reagito.
"Cosa dicono questi scriteriati".
Martone si era voltato, mostrando un ghigno che Berto conosceva (gli immaginava lo stesso ghigno addosso mentre rigirava coltelli tra le vertebre dei crauti).
"Non ha sentito le novità signor sergente? La Terza Armata ha sfondato. Sono a Trieste, adesso".
"Ma dove Trieste. Ma fatemi il piacere. Se volete andarvi ad ammazzare, almeno non raccontate storie ai ragazzini".
"Allora se non le dispiace sergente io vado".
"Chi vi ha dato l'ordine?"
"Non lo so, io seguo i miei?"
"E io non sono il tuo superiore, quindi vatti pure a farti inculare dove ti piace".
"Berto tu vieni?"
Berto si era immobilizzato. Prima gli avevano detto che la guerra era finita e persa. Poi vinta. Adesso gli offrivano un po' di gloria e lui non sapeva più cosa provare.
"Gnàro, se fai solo per seguire questo malmaturo ti fucilo seduta stante. Alle spalle".
Il sorriso di Martone si era appena incurvato. "Sergente io e voi a fine guerra abbiamo un appuntamento".
"Va bene, vediamo chi ci arriva".
Il sergente era morto un mese prima della vittoria, Martone si nascondeva da qualche parte nel Carnaro. La storia della liberazione di Trieste - Berto aveva saputo poi - era una bufala messa in giro dagli austriaci.
Se il baldo furor giovanile non ti manca, orsù, vota con entusiasmo questo spunto che compete con. Il mondo dei non-ancora-nati. Metti Mi piace su facebook, o esprimi il tuo ardimento nei commenti in calce al pezzo. Eja, carne del Carnaro! e arrivederci ai quarti di finale.
"Su biciclette".
"Almeno tre in riga, stupidamente scoperte. Procedo in retromarcia e le punto con la mia mitragliatrice di culo a 50 metri di distanza. Una raffica e la mitragliatrice austriaca al centro è rovesciata. Vedo sollevarsi il mitragliere che era coricato dietro pancia a terra e tentare di alzarsi. Ha nel petto e nel ventre un buco enorme squarciato di 30 cm che schizza sangue a fiotti, a rivoli, destra, sinistra, inondando la strada piena d'acqua, che si arrossa tutta..."
(Questo pezzo riprende Fiume 1920, che si è qualificato agli ottavi della Grande Gara degli Spunti. Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone).
Al bar il comandante teneva banco con la storia della sua ritirata del Friuli - un'anabasi di epici conflitti a fuoco. Berto gliel'aveva sentita raccontare una dozzina di volte, sempre più fiorita di dettagli vividi, sempre più simile a un'avanzata vittoriosa. Non era del resto il solo, tutti avevano il loro aneddoto su Caporetto. Era curioso. Quel che era successo nel maledetto ottobre del 1917, per un anno nessuno aveva voluto raccontarlo. Tutta questa memorialistica da locanda, da bar, da caffè concerto, ci aveva messo almeno un anno a incubare. E adesso tutti avevano la loro storia.
"Il mitragliere morto impigliato sanguinosamente nel suo trepiede è schiacciato dalla mia blindata che passa sopra. L'altro tira pancia a terra. Ho le gomme sfasciate. Il mio sergente automobilista lo insegue e lo pugnala contro la porta chiusa d'una casa. Le altre 3 mitragliatrici che ci bersagliavano nascoste nel granoturco sulla destra tacciono. Il capitano del battaglione di fanteria è colpito a terra e cade morto...."
Solo a Berto non toccava nessuna storia. Lui a Caporetto si era messo in coda, semplicemente. All'inizio non si era nemmeno reso conto di dove stavano andando - era nuovo del fronte e non capiva quanto fosse eccezionale tutto quello che gli succedeva intorno. Solo dopo un paio d'ora, quando avevano superato un carro di profughi impantanato, e il sergente si era lasciato sfuggire una bestemmia in una varietà di lombardo mai udita prima. Sergente ma che succede, dove ci mandano?
"Ma non hai capito, gnàro? Abbiamo perso la guerra. A casa ci mandano".
Detta da lui, non era sembrata una buona notizia; a Berto però si era gonfiato il cuore, in quel momento, e da allora non riusciva a pensarci senza vergognarsene. Perché mentre quel metro e sessanta di sergente veterano tratteneva le lacrime per tre anni di battaglie sull'Isonzo mandati a puttane da quattro traditori infami, tre anni inutili a marcire in trincea mentre qualcuno a casa vendemmiava il suo e gli metteva incinta la figlia, Berto si era improvvisamente visto a casa, tutto intero, pronto per fidanzarsi a Natale e sposarsi entro Pasqua, senza che nessuno potesse permettersi di dirgli niente. In guerra non c'era andato? Appena era stato abbastanza grande da imbracciare il Novantuno. Mica era colpa sua se nel frattempo era finita. E Trento? E Trieste? Sarebbe stata per un'altra volta. Era senz'altro terribile perdere una guerra, ma almeno per un istante Berto ricordava di aver calcolato quanto gli convenisse.
Lo stesso pomeriggio aveva di nuovo incrociato Martone. Portava un fez verde mai visto, e coi suoi colleghi andava nella direzione contraria. Camerati buonasera! noi si va a Trieste! Nessuno rispondeva. Solo il sergente aveva reagito.
"Cosa dicono questi scriteriati".
Martone si era voltato, mostrando un ghigno che Berto conosceva (gli immaginava lo stesso ghigno addosso mentre rigirava coltelli tra le vertebre dei crauti).
"Non ha sentito le novità signor sergente? La Terza Armata ha sfondato. Sono a Trieste, adesso".
"Ma dove Trieste. Ma fatemi il piacere. Se volete andarvi ad ammazzare, almeno non raccontate storie ai ragazzini".
"Allora se non le dispiace sergente io vado".
"Chi vi ha dato l'ordine?"
"Non lo so, io seguo i miei?"
"E io non sono il tuo superiore, quindi vatti pure a farti inculare dove ti piace".
"Berto tu vieni?"
Berto si era immobilizzato. Prima gli avevano detto che la guerra era finita e persa. Poi vinta. Adesso gli offrivano un po' di gloria e lui non sapeva più cosa provare.
"Gnàro, se fai solo per seguire questo malmaturo ti fucilo seduta stante. Alle spalle".
Il sorriso di Martone si era appena incurvato. "Sergente io e voi a fine guerra abbiamo un appuntamento".
"Va bene, vediamo chi ci arriva".
Il sergente era morto un mese prima della vittoria, Martone si nascondeva da qualche parte nel Carnaro. La storia della liberazione di Trieste - Berto aveva saputo poi - era una bufala messa in giro dagli austriaci.
Se il baldo furor giovanile non ti manca, orsù, vota con entusiasmo questo spunto che compete con. Il mondo dei non-ancora-nati. Metti Mi piace su facebook, o esprimi il tuo ardimento nei commenti in calce al pezzo. Eja, carne del Carnaro! e arrivederci ai quarti di finale.
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Il mondo dei non-ancora-nati
25-08-2015, 11:52cristianesimo, La grande gara di spuntiPermalink
"Provo a spiegartelo come fece lui con me, d'accordo? Pensa all'Odissea".
"Ci penso".
"Libro XI".
"Il viaggio nel mondo dei morti".
"Bravo".
"Beh, è l'Odissea, la sanno tutti".
"Lui per esempio no".
"Non conosceva l'Odissea?"
"Sì, ma non ricordava che libro fosse. Diceva che nel suo mondo di libri come l'Odissea ce n'erano tantissimi e non c'era tempo per ricordarseli a memoria. Diceva così. Comunque, nell'Odissea c'è un vivo che viaggia nel mondo dei morti".
"Sì, ma è una storia, cioè anche i Greci mica ci credono, la raccontano per divertirsi".
"Non importa. Immaginati la cosa. Immagina che un vivo possa viaggiare nel mondo dei morti. L'hai immaginato?"
"Certo".
"Adesso pensa al contrario".
"Un morto che viaggia nel mondo dei vivi?"
"Sì. Cioè no. Non proprio. Prova a pensare a tre mondi invece che due. I morti, i vivi e..."
"E cosa? O si è morti o si è vivi".
"I non-ancora-nati".
"Ma non esistono".
"Neanche i morti per quel che sappiamo. Li hai visti?"
"Ma..."
"Hai mai forse visto Giasone? Giuda Maccabeo? Tuo trisnonno? Non ci sono più. Puoi immaginare che siano in un altro mondo, ma in questo non ci sono più, d'accordo? Quindi, se puoi immaginare un mondo dove esistono, puoi anche immaginarne uno in cui esistono quelli che non sono ancora nati, no? Non è poi così difficile".
"Che sia esistito Giasone non saprei; sul Maccabeo ho già meno dubbi, quanto a un mio trisnonno, deve essere esistito per forza. Ma quelli che devono ancora nascere, nessuno li ha mai visti, nessuno li ricorda, come posso..."
"Ti devi fidare, perché lui veniva da là. Dal mondo dei non-ancora-nati, quelli che i latini chiamano posteri".
(Questo pezzo è il seguito di Lo spaziotempo in aramaico, che si è qualificato ai quarti di finale della Grande Gara degli Spunti. Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone).
"Cioè il Nazareno... non è ancora nato?"
"Verrà tra mille e più anni".
"Eppure è già morto".
"Viveva in quel mondo, ed è venuto nel nostro. Sperava di riuscire a tornare indietro, ma non è stato possibile".
"E questa cosa l'ha detta solo a te?"
"No, l'ha detta a tutti, migliaia di volte, nelle pubbliche piazze. Ma nessuno capiva, lui si scaldava, ma niente da fare. Più cercava di spiegarla, più si metteva nei guai. Lui cercava di fare esempi concreti, ma aveva questa difficoltà, che mentre è facilissimo citare una persona illustre già esistita, non esistono posteri già famosi tra noi. Per dire, se fosse venuto dal mondo dei morti, avrebbe potuto proclamare: io vengo dal medesimo luogo di Giasone! o del Maccabeo! Li conosco! Ecc. Ma venendo dal mondo dei non-ancora-nati, chi poteva citare?"
"Una sola persona".
"Certo che tu capisci al volo".
"Il Messia degli ebrei".
"È l'unico non-ancora-nato che tutti si aspettano. L'unico concetto che si avvicina a quello che lui chiamava "futuro""
"Così un bel giorno deve aver detto..."
"Io non sono di questo mondo. Vengo dal mondo donde viene il Messia!"
"E qualcuno ha equivocato".
"A quel punto l'equivoco faceva già comodo a molti. Aggiungi che lui il Messia diceva di averlo conosciuto".
"Ah sì?"
"Non di vista, no. Dice di essere vissuto almeno un millennio più tardi, ma che ai suoi tempi il Messia è adorato come un Dio, e su di lui sono stati scritti nuovi libri della legge".
"Interessante. E... non gli è mai venuto in mente di sostituirsi a lui?"
"Che cosa?"
"Di dire e fare le cose del Messia, in anticipo su di lui. Di rubargli il posto, insomma".
"È quello che tu avresti fatto al suo posto, immagino".
"A chi non verrebbe in mente, andiamo".
"Lui era diverso. Il suo piano originale era aspettare che il Messia si manifestasse e farlo fuori".
"Per sostituirsi a lui?
"No, per evitare che il Messia facesse proseliti. Diceva che a millenni di distanza, nel mondo dei posteri, la gente soffriva ancora a causa di quello che aveva fatto il Messia".
"Voleva contrastare la volontà di Dio?"
"Non credeva in Dio... non nel nostro, perlomeno".
"E allora come poteva credere nel Messia?"
"Questa era la tipica domanda che lo faceva infuriare. Stolto, ma è possibile che non capisci, non hai orecchie per intendere? Era insopportabile certe volte. Ci trattava tutti come se fossimo bambini".
"Mentre era il contrario".
"Cosa?"
"Stavo pensando. Se lui veniva dal mondo dei non-ancora-nati, noi eravamo tutti molto anziani per lui, e lui era il bambino. Avrebbe dovuto trattarvi con infinito rispetto",
"Lui non la vedeva così. E ormai troppa gente gli stava attorno, e non importa cosa dicesse o facesse: credevano in lui. A un certo punto si mise a dire e fare cose assurde, e quando gliene chiedevo il senso, mi rispondeva: visto che mi credono il Messia, sto facendo il contrario di quello che faceva lui. Per esempio, lui si farà chiamare figlio di Dio, ebbene, io dirò a tutti che sono solo il Figlio dell'Uomo".
"Ma al Sinedrio l'hanno accusato proprio di farsi chiamare..."
"Lo vedi? Era inutile. Da un certo momento in poi smise di guarire la gente. Scappò nel deserto, la gente lo seguiva anche lì. Allora se ne tornò a Gerusalemme. Voleva farla finita. Una volta mi pregò di ammazzarlo".
"E tu l'hai esaudito".
"È più complicata di così".
Se vuoi sapere quanto è complicata, puoi continuare a sostenere questo spunto, che oggi se la gioca contro Fiume 1920. Puoi fare le solite cose: mettere Mi piace su facebook, o esprimerti nei commenti. Grazie per l'attenzione e arrivederci al prossimo spunto.
"Ci penso".
"Libro XI".
"Il viaggio nel mondo dei morti".
"Bravo".
"Beh, è l'Odissea, la sanno tutti".
"Lui per esempio no".
"Non conosceva l'Odissea?"
"Sì, ma non ricordava che libro fosse. Diceva che nel suo mondo di libri come l'Odissea ce n'erano tantissimi e non c'era tempo per ricordarseli a memoria. Diceva così. Comunque, nell'Odissea c'è un vivo che viaggia nel mondo dei morti".
"Sì, ma è una storia, cioè anche i Greci mica ci credono, la raccontano per divertirsi".
"Non importa. Immaginati la cosa. Immagina che un vivo possa viaggiare nel mondo dei morti. L'hai immaginato?"
"Certo".
"Adesso pensa al contrario".
"Un morto che viaggia nel mondo dei vivi?"
"Sì. Cioè no. Non proprio. Prova a pensare a tre mondi invece che due. I morti, i vivi e..."
"E cosa? O si è morti o si è vivi".
"I non-ancora-nati".
"Ma non esistono".
"Neanche i morti per quel che sappiamo. Li hai visti?"
"Ma..."
"Hai mai forse visto Giasone? Giuda Maccabeo? Tuo trisnonno? Non ci sono più. Puoi immaginare che siano in un altro mondo, ma in questo non ci sono più, d'accordo? Quindi, se puoi immaginare un mondo dove esistono, puoi anche immaginarne uno in cui esistono quelli che non sono ancora nati, no? Non è poi così difficile".
"Che sia esistito Giasone non saprei; sul Maccabeo ho già meno dubbi, quanto a un mio trisnonno, deve essere esistito per forza. Ma quelli che devono ancora nascere, nessuno li ha mai visti, nessuno li ricorda, come posso..."
"Ti devi fidare, perché lui veniva da là. Dal mondo dei non-ancora-nati, quelli che i latini chiamano posteri".
(Questo pezzo è il seguito di Lo spaziotempo in aramaico, che si è qualificato ai quarti di finale della Grande Gara degli Spunti. Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone).
"Cioè il Nazareno... non è ancora nato?"
"Verrà tra mille e più anni".
"Eppure è già morto".
"Viveva in quel mondo, ed è venuto nel nostro. Sperava di riuscire a tornare indietro, ma non è stato possibile".
"E questa cosa l'ha detta solo a te?"
"No, l'ha detta a tutti, migliaia di volte, nelle pubbliche piazze. Ma nessuno capiva, lui si scaldava, ma niente da fare. Più cercava di spiegarla, più si metteva nei guai. Lui cercava di fare esempi concreti, ma aveva questa difficoltà, che mentre è facilissimo citare una persona illustre già esistita, non esistono posteri già famosi tra noi. Per dire, se fosse venuto dal mondo dei morti, avrebbe potuto proclamare: io vengo dal medesimo luogo di Giasone! o del Maccabeo! Li conosco! Ecc. Ma venendo dal mondo dei non-ancora-nati, chi poteva citare?"
"Una sola persona".
"Certo che tu capisci al volo".
"Il Messia degli ebrei".
"È l'unico non-ancora-nato che tutti si aspettano. L'unico concetto che si avvicina a quello che lui chiamava "futuro""
"Così un bel giorno deve aver detto..."
"Io non sono di questo mondo. Vengo dal mondo donde viene il Messia!"
"E qualcuno ha equivocato".
"A quel punto l'equivoco faceva già comodo a molti. Aggiungi che lui il Messia diceva di averlo conosciuto".
"Ah sì?"
"Non di vista, no. Dice di essere vissuto almeno un millennio più tardi, ma che ai suoi tempi il Messia è adorato come un Dio, e su di lui sono stati scritti nuovi libri della legge".
"Interessante. E... non gli è mai venuto in mente di sostituirsi a lui?"
"Che cosa?"
"Di dire e fare le cose del Messia, in anticipo su di lui. Di rubargli il posto, insomma".
"È quello che tu avresti fatto al suo posto, immagino".
"A chi non verrebbe in mente, andiamo".
"Lui era diverso. Il suo piano originale era aspettare che il Messia si manifestasse e farlo fuori".
"Per sostituirsi a lui?
"No, per evitare che il Messia facesse proseliti. Diceva che a millenni di distanza, nel mondo dei posteri, la gente soffriva ancora a causa di quello che aveva fatto il Messia".
"Voleva contrastare la volontà di Dio?"
"Non credeva in Dio... non nel nostro, perlomeno".
"E allora come poteva credere nel Messia?"
"Questa era la tipica domanda che lo faceva infuriare. Stolto, ma è possibile che non capisci, non hai orecchie per intendere? Era insopportabile certe volte. Ci trattava tutti come se fossimo bambini".
"Mentre era il contrario".
"Cosa?"
"Stavo pensando. Se lui veniva dal mondo dei non-ancora-nati, noi eravamo tutti molto anziani per lui, e lui era il bambino. Avrebbe dovuto trattarvi con infinito rispetto",
"Lui non la vedeva così. E ormai troppa gente gli stava attorno, e non importa cosa dicesse o facesse: credevano in lui. A un certo punto si mise a dire e fare cose assurde, e quando gliene chiedevo il senso, mi rispondeva: visto che mi credono il Messia, sto facendo il contrario di quello che faceva lui. Per esempio, lui si farà chiamare figlio di Dio, ebbene, io dirò a tutti che sono solo il Figlio dell'Uomo".
"Ma al Sinedrio l'hanno accusato proprio di farsi chiamare..."
"Lo vedi? Era inutile. Da un certo momento in poi smise di guarire la gente. Scappò nel deserto, la gente lo seguiva anche lì. Allora se ne tornò a Gerusalemme. Voleva farla finita. Una volta mi pregò di ammazzarlo".
"E tu l'hai esaudito".
"È più complicata di così".
Se vuoi sapere quanto è complicata, puoi continuare a sostenere questo spunto, che oggi se la gioca contro Fiume 1920. Puoi fare le solite cose: mettere Mi piace su facebook, o esprimerti nei commenti. Grazie per l'attenzione e arrivederci al prossimo spunto.
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REPLAY: I procioni contro tutte le ex
25-08-2015, 08:37La grande gara di spuntiPermalink
Come forse qualcuno avrà già saputo, in questo blog stiamo facendo un piccolo giochino, un torneo alla buona, che oggi entra nei quarti di finale. (Qui c'è un post col tabellone) (Qui c'è il tabellone vero in un foglio di google, coi risultati più aggiornati).
Gli ottavi di finale sono ancora sostanzialmente aperti, tranne quello che si disputerà oggi: nel senso che se qualcuno vuole ancora dare voti nei commenti o su facebook, si faccia avanti. In particolare c'è uno scontro che si è concluso in sostanziale parità, ed è quello tra i procioni e tutte le ex.
A questo punto si fa il replay, come in Coppa d'Inghilterra: ovvero vi chiedo di rivotare qui sotto per lo spunto che più vi piace e vi convince. Se volete votare per i procioni, propongo che scriviate "PROCIONI". Se invece volete uccidere le ex, "UCCIDI LE EX" (in quest'ultima eventualità, non dovrebbe esservi attribuita nessuna complicità in sede processuale) (credo).
Ovviamente in questo caso se mettete "mi piace" su Facebook non vale: anche laggiù, vi toccherà scrivere "PROCIONI" o "UCCIDI! UCCIDI!", o qualche formula consimile. Spero di aver fugato tutti i dubbi.
Per chi non li avesse letti, gli spunti erano questi (al primo turno)...
La fine del mondo (dei procioni)
Qualcuno sta uccidendo le mie ex
...e questi (al secondo turno):
Cosa ci insegnano i procioni
Qualcuno continua a uccidere le mie ex (e io non ho un alibi).
Grazie per l'attenzione e arrivederci ai quarti di finale (oppure a settembre, per chi non ne può più).
Gli ottavi di finale sono ancora sostanzialmente aperti, tranne quello che si disputerà oggi: nel senso che se qualcuno vuole ancora dare voti nei commenti o su facebook, si faccia avanti. In particolare c'è uno scontro che si è concluso in sostanziale parità, ed è quello tra i procioni e tutte le ex.
A questo punto si fa il replay, come in Coppa d'Inghilterra: ovvero vi chiedo di rivotare qui sotto per lo spunto che più vi piace e vi convince. Se volete votare per i procioni, propongo che scriviate "PROCIONI". Se invece volete uccidere le ex, "UCCIDI LE EX" (in quest'ultima eventualità, non dovrebbe esservi attribuita nessuna complicità in sede processuale) (credo).
Ovviamente in questo caso se mettete "mi piace" su Facebook non vale: anche laggiù, vi toccherà scrivere "PROCIONI" o "UCCIDI! UCCIDI!", o qualche formula consimile. Spero di aver fugato tutti i dubbi.
Per chi non li avesse letti, gli spunti erano questi (al primo turno)...
La fine del mondo (dei procioni)
Qualcuno sta uccidendo le mie ex
...e questi (al secondo turno):
Cosa ci insegnano i procioni
Qualcuno continua a uccidere le mie ex (e io non ho un alibi).
Grazie per l'attenzione e arrivederci ai quarti di finale (oppure a settembre, per chi non ne può più).
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Proemio
24-08-2015, 19:35La grande gara di spunti, repliche, sessoPermalink
Era Carola una giovane di nobili natali a cui la Natura, così parca abitualmente, così prudente nel dispensare i suoi doni ai mortali, aveva viceversa profuso un'avvenenza e un fascino senza pari: e tutto questo senza volerla sprovvista di un'intelligenza acutissima e viva, e di quel buon senso senza il quale tutte le altre doti e talenti non sono che spinte scomposte in ogni direzione, che tirandoci di qua e di là non ci portano veramente in nessun luogo, incatenandoci viceversa ai nostri fallimenti, quando non sono talmente violente da dilaniarci. Non così per Carola, la quale, al culmine di una carriera ricca di soddisfazioni professionali, dopo essere stata lungamente corteggiata da uomini d'arte e di potere, aveva preso in isposo il Presidente di un reame ricco e potente, il cui popolo l'amava e invidiava con alternante intensità.
Un giorno, mentre nel Palazzo presidenziale ella disbrigava gli affari correnti, gettando uno sguardo distratto a una finestra invasa da un cielo insolitamente sereno, Carola si sentì pungere dal cocente desiderio di rivedere la sorella maggiore, con cui madre Natura non era stata meno generosa, e che aveva sposato l'anziano Presidente del reame confinante. Senza indugio ordinò che fossero preparati i bagagli, e si avvertisse l'augusto marito che sarebbe stata assente tutta la settimana. Ma poi, quando già il convoglio presidenziale era a un buon punto sulla strada dell'aeroporto, si accorse di aver dimenticato una spilla che Verola, la sorella maggiore, le aveva regalato in occasione del suo matrimonio, e che nel trasporto degli addii aveva giurato di portare sempre con sé (ma poi aveva chiuso nel penultimo cassetto a partire dal basso del terzo comò della seconda cabina armadio). Ordinato dunque agli autisti e alla scorta un repentino dietrofront, Carola giunse al palazzo presidenziale ben oltre l'ora del tramonto: credette tuttavia che introducendosi con discrezione nei suoi appartamenti non avrebbe disturbato il diletto marito, il quale era solito lavorare fino a tardi ai suoi decreti nella sala del consiglio. Quale fu dunque lo stupore della povera Carola, quando, penetrata nell'alcova presidenziale, vi trovò il coniuge abbrancato a una robusta domestica circassa?
(Questo pezzo era l'inizio originale delle 1+2+3+4+5+6 notti, che si è qualificato agli ottavi della Grande Gara degli Spunti. Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone).
Sconvolta da ciò a cui il suo cuore non voleva credere, e di cui pure i suoi occhi non potevano negarle la visione, nulla seppe fare nell'orgasmo del momento, fuorché chiudere la porta sulla scena penosa e grottesca insieme, ripartendo nottetempo senza far parola con nessuno di quanto visto e sentito, e senza aver recuperato la spilla fatale. L'episodio non cessò tuttavia di tormentarla per tutta la durata del viaggio. “Non è tanto il tradimento” (pensava, dibattendosi sulla poltroncina di prima classe) “in somma, siamo uomini e donne di mondo, ma proprio sul nostro talamo nuziale? E il mio aereo non era nemmeno partito! Che razza di uomo è mio marito? Vi è mai stato qualcuno al mondo meno provvisto di rispetto per sé stesso, per la carica che ricopre, e per me? E vi è mai stata al mondo moglie di presidente più vilipesa?”
Di un simile tenore erano ancora i suoi pensieri quando finalmente fu ricevuta da Verola, la quale, pur nell'allegrezza per l'incontro lungamente agognato, non impiegò molto tempo ad accorgersi che un'ombra ostinata di malinconia raffreddava l'umore della sorella adorata. Ma per quanto ripetutamente le chiedesse il motivo di questa tristezza, non ebbe da Carola che vaghe risposte sull'insostenibile vanità degli uomini e blablà. “Non vuoi veramente saperlo, sorella: contentati di riconoscere in me la più triste e insultata delle donne”. Andarono avanti così per due o tre giorni, dopodiché Verola, molto presa dalla sua agenda istituzionale, dovette recarsi da qualche parte a tagliare un nastro o consegnare un premio. “Sorella diletta”, le disse allora, “nel tempo che hai trascorso qui tra noi non hai ancora visitato i giardini presidenziali, luogo di delizie se mai ve ne fu uno in questo Reame. Ora che debbo assentarmi per qualche giorno, te li raccomando fortemente: chi sa che una breve passeggiata nell'ora del crepuscolo, quando spira una lieve tramontana e il sole all'orizzonte incendia le nubi più basse e lontane, non possa in qualche modo lenire le tue pene segrete”. “Ci credo poco, mia cara sorella; comunque grazie”, le rispose Carola, e proseguì a soffiarsi il naso. L'indomani, tuttavia, ella si recò davvero nei giardini, dove ebbe modo di verificare che né gli esemplari botanici unici al mondo, né i cespugli dalle forme bizzarre e favolose, né i leggiadri getti d'acqua avevano il potere di rimettere in sincrono il suo cuore intermittente.
Immersa in pensieri di disprezzo e vaghi propositi di vendetta, Carola non aveva prestato attenzione al trascorrere del tempo: grande fu perciò il suo stupore quando – il sole stava per calare – vide entrare dal lato opposto del giardino una trentina e più di servitori provvisti di torce, al centro dei quali distinse una sagoma tracagnotta nella quale riconobbe immediatamente il Presidente marito di sua sorella, che pure sapeva in missione all'estero. Incuriosita dalla situazione, ma tutt'altro che ansiosa di farsi riconoscere dall'ospite di cui non apprezzava i modi un po' villani, né l'umorismo greve, si nascose dietro un cespuglio, verso il quale tuttavia il gruppetto convergeva: sicché la prudente Carola poté osservare la scena che qui sotto racconto quasi come se vi partecipasse.
Man mano che vedeva i servitori avanzare ignari verso di lei, scopriva che si trattava piuttosto di servitrici: alcune nella livrea della Presidenza, altre fasciate da un'uniforme di crocerossina che appariva tuttavia troppo stretta per risultare pratica; altre le si sarebbe dette, dalla divisa ugualmente discinta, agenti delle forze della pubblica sicurezza o delle forze armate; altre ancora, e non erano le più coperte, vestivano in borghese, e dall'acconciatura o dalla montatura degli occhiali si sarebbero dette istitutrici, se il trucco pesante e le movenze non avessero smentito questa prima impressione nel modo più spettacolare. Tutte quante apparivano poi troppo giovani per le professioni che i loro costumi denunciavano, e per qualsiasi altra professione che non fosse illegale ed esecranda; e tuttavia Carola, da donna di mondo quale in effetti era, non poteva negare una certa dose di professionalità ai loro movimenti (che del resto non rimasero impediti dai vestiti per molto tempo ancora). In mezzo a loro, rosso e tronfio, troneggiava il Presidente marito di Verola, come un fiore che non smettesse di attirare a sé farfalle e api danzanti e frementi; anche se Carola trovava più congruo pensare a una piccola pallina di sterco di cervo o cinghiale, rinvenuta in mezzo al bosco durante una battuta di caccia e sfiorata e baciata da cento moscerini e parassiti.
Capita a volte anche al più giudizioso degli automobilisti di non riuscire a distogliere lo sguardo da un catastrofico incidente avvenuto nella corsia contigua: vuoi per quella morbosa curiosità che ci suscitano gli orrori, vuoi per la torva soddisfazione di non farne parte. Similmente, per quanto trovasse ripugnante e osceno lo spettacolo che si dipanava dinanzi a lei, Carola non trovava modo di saziarsene gli occhi. Ad animarla non era certo un lubrico interesse per gli amplessi, il cui ritmo artificialmente sostenuto conosceva fin troppo bene, quanto un senso di distacco, che man mano che la serata andava avanti si impadroniva sempre più del suo cuore. “Ecco dunque”, si diceva, “un uomo che un tempo fu ambizioso e capace di ogni impresa, e oggi è potente e anziano, ricco di ogni cosa al mondo fuorché di giorni da vivere; che realmente potrebbe realizzare ogni suo residuo desiderio: e quello che desidera a quanto pare è essere lo zimbello di giovinette fatue e inconsistenti, parassiti persino troppo piccine per succhiare realmente, intendo per saper trovare la vena giusta. Cosa può trovarvi in loro, di paragonabile ai trionfi dei suoi giorni più verdi? E che fine ha fatto la sua esperienza del mondo, che lo soccorse in cento e più battaglie e rovesci di fortuna, e ora lo abbandona ai capricci di una scolaresca ginnasiale? Come può non rendersi conto che fingendo un vigore impossibile non si prende gioco del Tempo, ma si rende suo zimbello? Ma è dunque questo il destino dei più dotati fra gli uomini: lottare per tutta la vita per traguardi sempre più ambiziosi, per poi cedere alla più banale e bestiale delle pulsioni?”, e altre simili filosofiche riflessioni con le quali forse Carola nascondeva a sé stessa la ragione più segreta del suo cambio d'umore: la sorella Verola era da compatire quanto e più di lei, e il pensiero, anziché colmarla della necessaria compassione, la consolava: la catastrofe che si annunciava era avvenuta nella corsia opposta alla sua, e un così esibito disprezzo della fedeltà coniugale da parte del cognato non poteva che derubricare il fugace amplesso del marito a banale scappatella, comprensibile, perdonabile e anzi già perdonata, prima che la luce dell'alba venisse a rischiarare la comitiva esausta, che col favore delle tenebre Carola aveva già abbandonato...
Non è che debba andare avanti così per tutto il tempo, ma se questo è lo spunto che più ti interpella, non avere remore a mettere Mi piace su facebook, o a esprimerti con eloquenza nei commenti. Grazie per l'attenzione così strenuamente mantenuta a dispetto delle avversità, e arrivederci ai quarti di finale.
Un giorno, mentre nel Palazzo presidenziale ella disbrigava gli affari correnti, gettando uno sguardo distratto a una finestra invasa da un cielo insolitamente sereno, Carola si sentì pungere dal cocente desiderio di rivedere la sorella maggiore, con cui madre Natura non era stata meno generosa, e che aveva sposato l'anziano Presidente del reame confinante. Senza indugio ordinò che fossero preparati i bagagli, e si avvertisse l'augusto marito che sarebbe stata assente tutta la settimana. Ma poi, quando già il convoglio presidenziale era a un buon punto sulla strada dell'aeroporto, si accorse di aver dimenticato una spilla che Verola, la sorella maggiore, le aveva regalato in occasione del suo matrimonio, e che nel trasporto degli addii aveva giurato di portare sempre con sé (ma poi aveva chiuso nel penultimo cassetto a partire dal basso del terzo comò della seconda cabina armadio). Ordinato dunque agli autisti e alla scorta un repentino dietrofront, Carola giunse al palazzo presidenziale ben oltre l'ora del tramonto: credette tuttavia che introducendosi con discrezione nei suoi appartamenti non avrebbe disturbato il diletto marito, il quale era solito lavorare fino a tardi ai suoi decreti nella sala del consiglio. Quale fu dunque lo stupore della povera Carola, quando, penetrata nell'alcova presidenziale, vi trovò il coniuge abbrancato a una robusta domestica circassa?
(Questo pezzo era l'inizio originale delle 1+2+3+4+5+6 notti, che si è qualificato agli ottavi della Grande Gara degli Spunti. Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone).
Sconvolta da ciò a cui il suo cuore non voleva credere, e di cui pure i suoi occhi non potevano negarle la visione, nulla seppe fare nell'orgasmo del momento, fuorché chiudere la porta sulla scena penosa e grottesca insieme, ripartendo nottetempo senza far parola con nessuno di quanto visto e sentito, e senza aver recuperato la spilla fatale. L'episodio non cessò tuttavia di tormentarla per tutta la durata del viaggio. “Non è tanto il tradimento” (pensava, dibattendosi sulla poltroncina di prima classe) “in somma, siamo uomini e donne di mondo, ma proprio sul nostro talamo nuziale? E il mio aereo non era nemmeno partito! Che razza di uomo è mio marito? Vi è mai stato qualcuno al mondo meno provvisto di rispetto per sé stesso, per la carica che ricopre, e per me? E vi è mai stata al mondo moglie di presidente più vilipesa?”
Di un simile tenore erano ancora i suoi pensieri quando finalmente fu ricevuta da Verola, la quale, pur nell'allegrezza per l'incontro lungamente agognato, non impiegò molto tempo ad accorgersi che un'ombra ostinata di malinconia raffreddava l'umore della sorella adorata. Ma per quanto ripetutamente le chiedesse il motivo di questa tristezza, non ebbe da Carola che vaghe risposte sull'insostenibile vanità degli uomini e blablà. “Non vuoi veramente saperlo, sorella: contentati di riconoscere in me la più triste e insultata delle donne”. Andarono avanti così per due o tre giorni, dopodiché Verola, molto presa dalla sua agenda istituzionale, dovette recarsi da qualche parte a tagliare un nastro o consegnare un premio. “Sorella diletta”, le disse allora, “nel tempo che hai trascorso qui tra noi non hai ancora visitato i giardini presidenziali, luogo di delizie se mai ve ne fu uno in questo Reame. Ora che debbo assentarmi per qualche giorno, te li raccomando fortemente: chi sa che una breve passeggiata nell'ora del crepuscolo, quando spira una lieve tramontana e il sole all'orizzonte incendia le nubi più basse e lontane, non possa in qualche modo lenire le tue pene segrete”. “Ci credo poco, mia cara sorella; comunque grazie”, le rispose Carola, e proseguì a soffiarsi il naso. L'indomani, tuttavia, ella si recò davvero nei giardini, dove ebbe modo di verificare che né gli esemplari botanici unici al mondo, né i cespugli dalle forme bizzarre e favolose, né i leggiadri getti d'acqua avevano il potere di rimettere in sincrono il suo cuore intermittente.
Immersa in pensieri di disprezzo e vaghi propositi di vendetta, Carola non aveva prestato attenzione al trascorrere del tempo: grande fu perciò il suo stupore quando – il sole stava per calare – vide entrare dal lato opposto del giardino una trentina e più di servitori provvisti di torce, al centro dei quali distinse una sagoma tracagnotta nella quale riconobbe immediatamente il Presidente marito di sua sorella, che pure sapeva in missione all'estero. Incuriosita dalla situazione, ma tutt'altro che ansiosa di farsi riconoscere dall'ospite di cui non apprezzava i modi un po' villani, né l'umorismo greve, si nascose dietro un cespuglio, verso il quale tuttavia il gruppetto convergeva: sicché la prudente Carola poté osservare la scena che qui sotto racconto quasi come se vi partecipasse.
Man mano che vedeva i servitori avanzare ignari verso di lei, scopriva che si trattava piuttosto di servitrici: alcune nella livrea della Presidenza, altre fasciate da un'uniforme di crocerossina che appariva tuttavia troppo stretta per risultare pratica; altre le si sarebbe dette, dalla divisa ugualmente discinta, agenti delle forze della pubblica sicurezza o delle forze armate; altre ancora, e non erano le più coperte, vestivano in borghese, e dall'acconciatura o dalla montatura degli occhiali si sarebbero dette istitutrici, se il trucco pesante e le movenze non avessero smentito questa prima impressione nel modo più spettacolare. Tutte quante apparivano poi troppo giovani per le professioni che i loro costumi denunciavano, e per qualsiasi altra professione che non fosse illegale ed esecranda; e tuttavia Carola, da donna di mondo quale in effetti era, non poteva negare una certa dose di professionalità ai loro movimenti (che del resto non rimasero impediti dai vestiti per molto tempo ancora). In mezzo a loro, rosso e tronfio, troneggiava il Presidente marito di Verola, come un fiore che non smettesse di attirare a sé farfalle e api danzanti e frementi; anche se Carola trovava più congruo pensare a una piccola pallina di sterco di cervo o cinghiale, rinvenuta in mezzo al bosco durante una battuta di caccia e sfiorata e baciata da cento moscerini e parassiti.
Capita a volte anche al più giudizioso degli automobilisti di non riuscire a distogliere lo sguardo da un catastrofico incidente avvenuto nella corsia contigua: vuoi per quella morbosa curiosità che ci suscitano gli orrori, vuoi per la torva soddisfazione di non farne parte. Similmente, per quanto trovasse ripugnante e osceno lo spettacolo che si dipanava dinanzi a lei, Carola non trovava modo di saziarsene gli occhi. Ad animarla non era certo un lubrico interesse per gli amplessi, il cui ritmo artificialmente sostenuto conosceva fin troppo bene, quanto un senso di distacco, che man mano che la serata andava avanti si impadroniva sempre più del suo cuore. “Ecco dunque”, si diceva, “un uomo che un tempo fu ambizioso e capace di ogni impresa, e oggi è potente e anziano, ricco di ogni cosa al mondo fuorché di giorni da vivere; che realmente potrebbe realizzare ogni suo residuo desiderio: e quello che desidera a quanto pare è essere lo zimbello di giovinette fatue e inconsistenti, parassiti persino troppo piccine per succhiare realmente, intendo per saper trovare la vena giusta. Cosa può trovarvi in loro, di paragonabile ai trionfi dei suoi giorni più verdi? E che fine ha fatto la sua esperienza del mondo, che lo soccorse in cento e più battaglie e rovesci di fortuna, e ora lo abbandona ai capricci di una scolaresca ginnasiale? Come può non rendersi conto che fingendo un vigore impossibile non si prende gioco del Tempo, ma si rende suo zimbello? Ma è dunque questo il destino dei più dotati fra gli uomini: lottare per tutta la vita per traguardi sempre più ambiziosi, per poi cedere alla più banale e bestiale delle pulsioni?”, e altre simili filosofiche riflessioni con le quali forse Carola nascondeva a sé stessa la ragione più segreta del suo cambio d'umore: la sorella Verola era da compatire quanto e più di lei, e il pensiero, anziché colmarla della necessaria compassione, la consolava: la catastrofe che si annunciava era avvenuta nella corsia opposta alla sua, e un così esibito disprezzo della fedeltà coniugale da parte del cognato non poteva che derubricare il fugace amplesso del marito a banale scappatella, comprensibile, perdonabile e anzi già perdonata, prima che la luce dell'alba venisse a rischiarare la comitiva esausta, che col favore delle tenebre Carola aveva già abbandonato...
Non è che debba andare avanti così per tutto il tempo, ma se questo è lo spunto che più ti interpella, non avere remore a mettere Mi piace su facebook, o a esprimerti con eloquenza nei commenti. Grazie per l'attenzione così strenuamente mantenuta a dispetto delle avversità, e arrivederci ai quarti di finale.
Comments (8)
Anno 800 ab exitu de Aegypto
24-08-2015, 11:52futurismi, La grande gara di spuntiPermalink
Gli avevano spiegato tante cose. Che si sarebbe svegliato ogni settimana in un secolo diverso; che si sarebbe sentito unico e solo, e non avrebbe potuto fidarsi di nessuno; che volti e voci sarebbero cambiati a ogni risveglio; non avrebbe potuto affezionarsi, né deviare da quell'Obiettivo che non avrebbe comunque mai raggiunto; che molto presto avrebbe dubitato di tutto, e si sarebbe sentito semplicemente perso, un atomo alla deriva nel vuoto cosmico; e forse un po' più tardi si sarebbe affezionato al suo destino di profeta nel deserto. E che di sette giorni di veglia, due li avrebbe passati a inveire contro il mal di testa.
(Questo pezzo partecipa alla Grande Gara degli Spunti (è uno sviluppo di Copernico). Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone).
Ma non gli avevano detto quanto sarebbe stato difficile rimettersi a respirare. La prima mezz'ora i bronchi sembravano prendergli fuoco in petto, mentre Salem boccheggiava e si convinceva, ogni volta, che sarebbe morto asfissiato. La bella abitudine di riceverlo con un respiratore si era interrotta 500 anni prima - quando la scarsità di ossigeno sulla Stazione l'avrebbe resa un lusso sibaritico. Quella bella bombola in acciaio, qualcuno doveva averla venduta al mercato nero e Salem non ne aveva più viste - qualcuna dovevano pure tenerla per gli interventi esterni di manutenzione - penseranno che se fin qui sono sopravvissuto, ce la posso fare anche stavolta.
I Risveglianti stavolta non avevano nulla per aiutarlo. Salem tendeva a dare una certa importanza alla prima impressione che ne riceveva, quando gli occhi cominciavano ad abituarsi alla luce, e in questo caso l'impressione fu pessima. Non solo non avevano nessuno strumento per aiutarlo, ma si stringevano a lui invece di lasciargli un po' di spazio. Sicuramente non facevano parte di un team medico. Prima brutta notizia. In compenso erano giovani. Questa era una notizia né buona né cattiva - di solito i regimi castali selezionavano Risveglianti anziani, quindi le caste forse erano state superate. Il che era un problema, in teoria - ma in pratica Salem ne era contento, non ne poteva più di vecchie barbe sagge convinte di saperne più di lui. In certi casi i giovani si erano rivelati più malleabili.
Questi però oltre che giovani erano anche incapaci - era evidente che non erano equipaggiati per un Risveglio. L'accappatoio era tarmato. Non avevano respiratore, nessun tipo di medicina, per quel che gli riusciva di vedere non c'erano nemmeno generi di conforto, una caraffa di tè, qualcosa. Il minimo richiesto per un ospite importante che si attende da un secolo. Salem cacciò un urlo. Serviva a schiarire le corde vocali, ma anche ad allontanare gli imbecilli, che in effetti fecero un passo indietro, spaventati. L'aria cominciava ad arrivare. A tastoni, Salem procedette fino al trono. Sedersi non lo avrebbe aiutato a inspirare, ma sentiva la necessità di stabilire le distanze. In fondo quella era la sua stanza, il posto in cui più si sentiva a casa. Lui era il Testimone della stazione, riaffiorato dal coma criogenico dopo un altro secolo. E loro chi cazzo erano?
Il più alto stava dicendo qualcosa - Salem non capiva una parola. Rimase affascinato dal grosso ninnolo di ferro che gli ostruiva parte di una narice. Che moda curiosa. Indica quanto meno che i metalli non scarseggiano. Buono a sapersi. Oppure il contrario, è un gioiello prezioso proprio a causa della scarsità, e indica l'alto lignaggio di chi lo porta - una specie di capo. Ecco perché mi parla anche se sa che non posso capirlo. Deve mostrare chi comanda?
Salem non aveva mai avuto molto tempo per ascoltare i dialetti sviluppati a ogni livello della Stazione, ma orecchio sentiva di trovarsi davanti a qualcosa di nuovo. Quel tizio non aveva certo l'accento dei Meccanici, ma neanche quello degli Intoccabili. Cosa poteva essere successo - avevano trovato una lingua strana nell'archivio e avevano deciso di impararla tutti, perché? Un modo per segnare una frattura col passato, oppure per riallacciarsi a un passato ancora più... cristo santo, sta parlando in ebraico?
Improvvisamente sentì una voce di ragazza comporre frasi in un inglese stentato. Era l'interprete.
"Dottor Salem, lei è sotto la custodia dell'Agenzia di Sicurezza dello Stato Libero delle Pleiadi".
Uno Stato. Curioso. Avevano recuperato la nozione di Stato. Nessuno ci aveva ancora pensato. Salem era passato nelle mani di Governi, Comitati, Assemblee, ma uno Stato era qualcosa di nuovo. Per quale motivo avrebbero dovuto fondarne uno, se non per...
"Lei è accusato di... di complicità in... un massacro; l'Agenzia ha intenzione di processarla davanti al Popolo. Trecento anni fa, come sa, la Stazione si divise in due fazioni, e una sterminò l'altra utilizzando l'agente x. Questo avvenne pochi giorni dopo il suo ritorno al sonno".
Non mi stanno chiedendo nulla. Dicono tutto loro. Pessimo segno.
"Riteniamo di avere le prove necessarie a dimostrare che fu lei a svelare ai membri di una delle due fazioni la formula dell'agente x".
Salem non aveva mai sentito parlare di "agente x" - non era il modo in cui l'aveva chiamato tre risvegli prima. Tutto il resto lo ricordava bene. Quel che era straordinario, è che se ne ricordassero loro. Si era già svegliato altre due volte senza che nessun abitante della Stazione gliene parlasse, non la minima allusione - ne aveva concluso che l'episodio era stato eliminato dai resoconti ufficiali. E invece in qualche modo il ricordo era sopravvissuto, probabilmente ai livelli più bassi, una leggenda che ingigantiva col tempo; poi c'era stata una rivoluzione e adesso qualcuno pretendeva di mostrargli il conto. Brutta storia.
"Posso... posso dire qualcosa?" Salem si era rivolto all'interprete. Il tizio col gioiello alla narice non apprezzò. Disse qualcosa di probabilmente ingiurioso che non fu tradotta.
"Dottore, non è questo il momento per invocare le sue... le sue obiezioni".
"Intendete processarmi per una cosa successa trecento anni fa?"
Parlò un altro uomo, in un inglese un po' più confortevole. Vestiva una tuta un po' più lunga degli altri che poteva essere un camice.
"Per noi sono passati trecento anni, per lei pochi giorni. Se era pericoloso pochi giorni fa, perché non dovrebbe esserlo adesso?"
Salem capiva benissimo il punto di vista. Anche ai suoi tempi, se Hernán Cortés fosse ritornato in vita, l'autorità costituita non avrebbe resistito all'impulso di processarlo. Quale occasione migliore di esibire i propri principi morali. D'altro canto - Salem lo sapeva - dietro a un'esibizione di principi morali c'è sempre qualche brutto segreto da occultare. Coraggio, vediamo il bluff di questi ipocriti. Se solo non dovessi ricordare al mio diaframma di respirare ogni tanto.
"Chi è il capo qui?"
Si guardarono tra loro. Alcuni capivano l'inglese al volo, altri no. Rappresentavano evidentemente gruppi diversi, fazioni concorrenti. Alcuni erano tecnici, altri rappresentanti politici. Alcuni portavano sulla tuta di fibra una giacca blu che avrebbe potuto essere un uniforme. Tutti in generale davano l'idea di essere dei dilettanti allo sbaraglio. Alla fine a parlare fu il solito tizio col monile al naso. Salem aspettò pazientemente la versione dell'interprete.
"Noi siamo i... i facenti parte dell'Agenzia di Sicurezza dello Stato Libero. Non abbiamo capi, noi..."
"Giusto per curiosità, il suo boss sta parlando in ebraico?"
L'interprete represse un sorriso. La domanda era rivolta esclusivamente a lei. Rispose istintivamente, senza consultarsi col superiore.
"Lei è veramente dotato per le lingue, dottor Salem".
"In realtà non sto capendo una parola. Ma c'era un piccolo circolo di cultori dell'ebraico al piano intermedio della Stazione cent'anni fa. Come hanno fatto a diventare egemoni?"
"Non siamo qui per rispondere alle sue domande".
"Vi converrebbe. È una specie di culto? Vi siete immedesimati nel popolo eletto smarrito nel deserto, una cosa del genere?"
"Dottore..."
"Va bene, avete fretta di processarmi. È contemplata la pena di morte? Perché a parte la vita, non ho molto da perdere, come sapete. O volete semplicemente sapere come si distilla il cosiddetto agente x? Il fatto che vi identifichiate come uno Stato mi lascia immaginare che ne esistano altri nella Stazione, magari in guerra tra loro. Pensate che il fatto di controllare la Sala al momento del mio risveglio vi dia un vantaggio tattico?"
Mentre l'interprete traduceva, con qualche difficoltà, qualcuno si stava già scambiando occhiate. Bisognava sempre spiazzarli, era l'unico modo di rendersi indispensabile. Si misero a confabulare - alcuni erano visibilmente preoccupati. Salem cominciava a sentire le fitte dell'emicrania. Era stanco. Viveva in quel secolo da pochi minuti e già non ne poteva più. Ebbe il pensiero folle di rientrare nella vasca e rifarsi una pennichella. Ci pensassero loro alle loro beghe. L'ebraico, tu pensa. Magari raccontano ai bambini che sono scappati dal Faraone. La prossima volta cosa? Klingoniano?
"Potrei almeno sapere con chi siete in guerra? Coi livelli più bassi?" La domanda era volutamente provocatoria. Era molto probabile che quei signori venissero dai livelli più bassi.
"Non ci sono più veri e propri livelli, dottore".
"Piani. Classi. Caste. Anelli. Ogni generazione li chiama in un modo diverso. Ma non è che si possano smontare".
"Dottore", parlò di nuovo il tizio in camice. "Può darsi che lei non abbia le... le categorie per capire quel che sta succedendo nella stazione. Quella che lei chiama 'guerra' è una cosa che ci siamo lasciati alle spalle molto tempo fa".
Eccone un altro convinto di aver trovato il sole dell'avvenire, Gesù, che palle.
"Lo Stato libero delle Pleiadi non è effettivamente l'unica forma di governo autonomo in tutta la Stazione - anche se è l'unico a garantire la libertà ai suoi abitanti".
Parlava lentamente, scegliendo le parole con attenzione. Salem pensò che non si sarebbero mai sbottonati finché erano così tanti. Si controllavano a vicenda. Doveva trovare un modo per farne uscire un po'.
(Se tutto ciò non non ti ha ancora addormentato, non lasciar passare 100 anni prima di votare per Anno 800 ab exitu de Aegypto. Se la gioca contro il Proemio delle 1+2+3+4+5+6+... notti. Puoi farlo mettendo Mi piace su facebook, o esprimendoti nei commenti. Grazie per l'attenzione e arrivederci al prossimo spunto).
(Questo pezzo partecipa alla Grande Gara degli Spunti (è uno sviluppo di Copernico). Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone).
Ma non gli avevano detto quanto sarebbe stato difficile rimettersi a respirare. La prima mezz'ora i bronchi sembravano prendergli fuoco in petto, mentre Salem boccheggiava e si convinceva, ogni volta, che sarebbe morto asfissiato. La bella abitudine di riceverlo con un respiratore si era interrotta 500 anni prima - quando la scarsità di ossigeno sulla Stazione l'avrebbe resa un lusso sibaritico. Quella bella bombola in acciaio, qualcuno doveva averla venduta al mercato nero e Salem non ne aveva più viste - qualcuna dovevano pure tenerla per gli interventi esterni di manutenzione - penseranno che se fin qui sono sopravvissuto, ce la posso fare anche stavolta.
I Risveglianti stavolta non avevano nulla per aiutarlo. Salem tendeva a dare una certa importanza alla prima impressione che ne riceveva, quando gli occhi cominciavano ad abituarsi alla luce, e in questo caso l'impressione fu pessima. Non solo non avevano nessuno strumento per aiutarlo, ma si stringevano a lui invece di lasciargli un po' di spazio. Sicuramente non facevano parte di un team medico. Prima brutta notizia. In compenso erano giovani. Questa era una notizia né buona né cattiva - di solito i regimi castali selezionavano Risveglianti anziani, quindi le caste forse erano state superate. Il che era un problema, in teoria - ma in pratica Salem ne era contento, non ne poteva più di vecchie barbe sagge convinte di saperne più di lui. In certi casi i giovani si erano rivelati più malleabili.
Questi però oltre che giovani erano anche incapaci - era evidente che non erano equipaggiati per un Risveglio. L'accappatoio era tarmato. Non avevano respiratore, nessun tipo di medicina, per quel che gli riusciva di vedere non c'erano nemmeno generi di conforto, una caraffa di tè, qualcosa. Il minimo richiesto per un ospite importante che si attende da un secolo. Salem cacciò un urlo. Serviva a schiarire le corde vocali, ma anche ad allontanare gli imbecilli, che in effetti fecero un passo indietro, spaventati. L'aria cominciava ad arrivare. A tastoni, Salem procedette fino al trono. Sedersi non lo avrebbe aiutato a inspirare, ma sentiva la necessità di stabilire le distanze. In fondo quella era la sua stanza, il posto in cui più si sentiva a casa. Lui era il Testimone della stazione, riaffiorato dal coma criogenico dopo un altro secolo. E loro chi cazzo erano?
Il più alto stava dicendo qualcosa - Salem non capiva una parola. Rimase affascinato dal grosso ninnolo di ferro che gli ostruiva parte di una narice. Che moda curiosa. Indica quanto meno che i metalli non scarseggiano. Buono a sapersi. Oppure il contrario, è un gioiello prezioso proprio a causa della scarsità, e indica l'alto lignaggio di chi lo porta - una specie di capo. Ecco perché mi parla anche se sa che non posso capirlo. Deve mostrare chi comanda?
Salem non aveva mai avuto molto tempo per ascoltare i dialetti sviluppati a ogni livello della Stazione, ma orecchio sentiva di trovarsi davanti a qualcosa di nuovo. Quel tizio non aveva certo l'accento dei Meccanici, ma neanche quello degli Intoccabili. Cosa poteva essere successo - avevano trovato una lingua strana nell'archivio e avevano deciso di impararla tutti, perché? Un modo per segnare una frattura col passato, oppure per riallacciarsi a un passato ancora più... cristo santo, sta parlando in ebraico?
Improvvisamente sentì una voce di ragazza comporre frasi in un inglese stentato. Era l'interprete.
"Dottor Salem, lei è sotto la custodia dell'Agenzia di Sicurezza dello Stato Libero delle Pleiadi".
Uno Stato. Curioso. Avevano recuperato la nozione di Stato. Nessuno ci aveva ancora pensato. Salem era passato nelle mani di Governi, Comitati, Assemblee, ma uno Stato era qualcosa di nuovo. Per quale motivo avrebbero dovuto fondarne uno, se non per...
"Lei è accusato di... di complicità in... un massacro; l'Agenzia ha intenzione di processarla davanti al Popolo. Trecento anni fa, come sa, la Stazione si divise in due fazioni, e una sterminò l'altra utilizzando l'agente x. Questo avvenne pochi giorni dopo il suo ritorno al sonno".
Non mi stanno chiedendo nulla. Dicono tutto loro. Pessimo segno.
"Riteniamo di avere le prove necessarie a dimostrare che fu lei a svelare ai membri di una delle due fazioni la formula dell'agente x".
Salem non aveva mai sentito parlare di "agente x" - non era il modo in cui l'aveva chiamato tre risvegli prima. Tutto il resto lo ricordava bene. Quel che era straordinario, è che se ne ricordassero loro. Si era già svegliato altre due volte senza che nessun abitante della Stazione gliene parlasse, non la minima allusione - ne aveva concluso che l'episodio era stato eliminato dai resoconti ufficiali. E invece in qualche modo il ricordo era sopravvissuto, probabilmente ai livelli più bassi, una leggenda che ingigantiva col tempo; poi c'era stata una rivoluzione e adesso qualcuno pretendeva di mostrargli il conto. Brutta storia.
"Posso... posso dire qualcosa?" Salem si era rivolto all'interprete. Il tizio col gioiello alla narice non apprezzò. Disse qualcosa di probabilmente ingiurioso che non fu tradotta.
"Dottore, non è questo il momento per invocare le sue... le sue obiezioni".
"Intendete processarmi per una cosa successa trecento anni fa?"
Parlò un altro uomo, in un inglese un po' più confortevole. Vestiva una tuta un po' più lunga degli altri che poteva essere un camice.
"Per noi sono passati trecento anni, per lei pochi giorni. Se era pericoloso pochi giorni fa, perché non dovrebbe esserlo adesso?"
Salem capiva benissimo il punto di vista. Anche ai suoi tempi, se Hernán Cortés fosse ritornato in vita, l'autorità costituita non avrebbe resistito all'impulso di processarlo. Quale occasione migliore di esibire i propri principi morali. D'altro canto - Salem lo sapeva - dietro a un'esibizione di principi morali c'è sempre qualche brutto segreto da occultare. Coraggio, vediamo il bluff di questi ipocriti. Se solo non dovessi ricordare al mio diaframma di respirare ogni tanto.
"Chi è il capo qui?"
Si guardarono tra loro. Alcuni capivano l'inglese al volo, altri no. Rappresentavano evidentemente gruppi diversi, fazioni concorrenti. Alcuni erano tecnici, altri rappresentanti politici. Alcuni portavano sulla tuta di fibra una giacca blu che avrebbe potuto essere un uniforme. Tutti in generale davano l'idea di essere dei dilettanti allo sbaraglio. Alla fine a parlare fu il solito tizio col monile al naso. Salem aspettò pazientemente la versione dell'interprete.
"Noi siamo i... i facenti parte dell'Agenzia di Sicurezza dello Stato Libero. Non abbiamo capi, noi..."
"Giusto per curiosità, il suo boss sta parlando in ebraico?"
L'interprete represse un sorriso. La domanda era rivolta esclusivamente a lei. Rispose istintivamente, senza consultarsi col superiore.
"Lei è veramente dotato per le lingue, dottor Salem".
"In realtà non sto capendo una parola. Ma c'era un piccolo circolo di cultori dell'ebraico al piano intermedio della Stazione cent'anni fa. Come hanno fatto a diventare egemoni?"
"Non siamo qui per rispondere alle sue domande".
"Vi converrebbe. È una specie di culto? Vi siete immedesimati nel popolo eletto smarrito nel deserto, una cosa del genere?"
"Dottore..."
"Va bene, avete fretta di processarmi. È contemplata la pena di morte? Perché a parte la vita, non ho molto da perdere, come sapete. O volete semplicemente sapere come si distilla il cosiddetto agente x? Il fatto che vi identifichiate come uno Stato mi lascia immaginare che ne esistano altri nella Stazione, magari in guerra tra loro. Pensate che il fatto di controllare la Sala al momento del mio risveglio vi dia un vantaggio tattico?"
Mentre l'interprete traduceva, con qualche difficoltà, qualcuno si stava già scambiando occhiate. Bisognava sempre spiazzarli, era l'unico modo di rendersi indispensabile. Si misero a confabulare - alcuni erano visibilmente preoccupati. Salem cominciava a sentire le fitte dell'emicrania. Era stanco. Viveva in quel secolo da pochi minuti e già non ne poteva più. Ebbe il pensiero folle di rientrare nella vasca e rifarsi una pennichella. Ci pensassero loro alle loro beghe. L'ebraico, tu pensa. Magari raccontano ai bambini che sono scappati dal Faraone. La prossima volta cosa? Klingoniano?
"Potrei almeno sapere con chi siete in guerra? Coi livelli più bassi?" La domanda era volutamente provocatoria. Era molto probabile che quei signori venissero dai livelli più bassi.
"Non ci sono più veri e propri livelli, dottore".
"Piani. Classi. Caste. Anelli. Ogni generazione li chiama in un modo diverso. Ma non è che si possano smontare".
"Dottore", parlò di nuovo il tizio in camice. "Può darsi che lei non abbia le... le categorie per capire quel che sta succedendo nella stazione. Quella che lei chiama 'guerra' è una cosa che ci siamo lasciati alle spalle molto tempo fa".
Eccone un altro convinto di aver trovato il sole dell'avvenire, Gesù, che palle.
"Lo Stato libero delle Pleiadi non è effettivamente l'unica forma di governo autonomo in tutta la Stazione - anche se è l'unico a garantire la libertà ai suoi abitanti".
Parlava lentamente, scegliendo le parole con attenzione. Salem pensò che non si sarebbero mai sbottonati finché erano così tanti. Si controllavano a vicenda. Doveva trovare un modo per farne uscire un po'.
(Se tutto ciò non non ti ha ancora addormentato, non lasciar passare 100 anni prima di votare per Anno 800 ab exitu de Aegypto. Se la gioca contro il Proemio delle 1+2+3+4+5+6+... notti. Puoi farlo mettendo Mi piace su facebook, o esprimendoti nei commenti. Grazie per l'attenzione e arrivederci al prossimo spunto).
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