Il referendum tiepido di Matteo Renzi

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Io conosco le tue opere: tu non sei né freddo né fervente. Oh, fossi tu pur freddo o fervente! Così, perché sei tiepido e non sei né freddo né fervente io ti vomiterò dalla mia bocca. (Apocalisse, 3,15-16)

È indetto referendum popolare per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente forza di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali (dall'art. 75 della Costituzione).

In Italia si fanno troppi referendum abrogativi. Sono consultazioni costose, che il più delle volte non portano a nessun risultato apparente (il quorum non viene raggiunto). Servono a movimenti minoritari e iper-minoritari per dimostrare a sé stessi e agli altri la propria vitalità; diffondono l'idea che l'attività legislativa del parlamento possa essere superata da periodiche consultazioni popolari - col piccolo problema che il popolo a queste consultazioni non si fa più vivo, o quasi. Però almeno gli scolari stanno a casa il lunedì (io odio i referendum abrogativi).

I critici del referendum abrogativo di solito si dividono in due frange: li chiameremo per comodità referendumari e antireferendumari. I primi ne vorrebbero di più (o almeno vorrebbero che funzionassero, abrogando leggi a tutto spiano); i secondi ne vorrebbero di meno, come probabilmente avevano previsto i padri costituenti, ai tempi in cui raccogliere 500mila firme doveva sembrare molto difficile. I referendumari spesso propongono l'abolizione del quorum: idea dissennata e irrealizzabile che annuncerebbe la fine della democrazia parlamentare, e che infatti Grillo, grande referendumaro, ha rilanciato più volte. I secondi, più timidi, hanno spesso suggerito di alzare l'asticella del numero di firme da raccogliere. Evidentemente 500mila sono poche; oggi c'è tutta un'industria della raccolta che è destinata ad affinarsi con le nuove tecnologie.

E Renzi? È un referendumaro o un antireferendumaro? Eh. Ne vuole di più o ne vuole pochi, ma veramente importanti? Eh, eh.

Decidete voi:

La proposta soggetta a referendum [abrogativo] è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto o, se avanzata da ottocentomila elettori, la maggioranza dei votanti alle ultime elezioni della Camera dei deputati, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi (dall'art. 75 della Costituzione riformata).

Renzi cerca di tenere il piede in entrambe le staffe - non importa che appartengano a cavalli che tirano in direzioni divergenti. Renzi doveva decidersi: se voleva meno referendum, avrebbero dovuto portare il numero di firme a 800mila o un milione; se ne voleva di più, avrebbe dovuto abbassare il quorum. Incredibilmente - ma non inaspettatamente - ha provato a fare entrambe le cose. Un po' grillino e un po' casta. Il tetto delle firme resta a 500mila: indire referendum dunque continua a essere facile come adesso. E i referendum continueranno a essere inutili come adesso, a meno che le firme raccolte non siano 800mila.

In questo caso il quorum si ridurrà un poco: non si fermerà al 50%+1 degli aventi diritto, ma al 50%+1 di chi ha votato alle elezioni precedenti. Mi piacerebbe tanto conoscere il costituzionalista che ha suggerito questa cosa un po' folle - ma è quel tipo di follia in cui si intravvede un metodo, insomma, bisognava trovare un numero più basso di 50%, ma almeno non si è fissato un numero a caso come 40% - no, il numero lo estrarranno a sorte gli elettori, ogni volta che andranno a votare per la Camera: se ci vanno in 35 milioni, il quorum sarà 17,4 milioni; se ci vanno in 30, sarà 15, e così via. Ha un senso, no?

Sì, un pazzo senso ce l'ha (ho qualche sospetto su Calderoli, è quel tipo di cosa contorta che a lui piace). Siccome le leggi le scrive il parlamento, possono essere abrogate soltanto da una volontà popolare che sorpassi quella che ha eletto la maggioranza parlamentare. Metti che il parlamento voti a maggioranza una legge che introduce, boh, il casco ai ciclisti; il popolo la può abrogare. Ma se il parlamento è stato eletto da 35 milioni di italiani, ci si aspetta che al referendum vadano a votare altrettanti; sennò nisba. Ribadisco, un senso ce l'ha. Magari a quel punto non si capisce perché questa logica scatti solo oltre le 800mila firme: come mai si istituiscono dei referendum di serie A e dei referendum di serie B? (tra questi ultimi vanno inclusi i referendum richiesti da almeno cinque consigli regionali, come quello che c'è stato in primavera sulle trivellazioni: per quelli il quorum resta fisso al 50%+1 degli aventi diritto).

L'affluenza ai referendum abrogativi, dal '74 a oggi.
Io sono un convinto antireferendumaro: credo che i padri costituenti considerassero il referendum abrogativo come un evento eccezionale, di quelli che capitano una volta al massimo per generazione, come le guerre o le epidemie. Non immaginavano che i cattolici avrebbero cercato di usarlo per chiamare la maggioranza silenziosa alla conta dopo che il divorzio era passato alle camere (fallendo); non immaginavano la nascita di micro-movimenti parassitari dediti alla raccolta di firme, alla pubblicizzazione di sé stessi e all'incasso di contributi (però grazie ai radicali non abbiamo più il ministero dell'agricoltura, è un risultato importante). Non potevano pensare che i referendum sarebbero stati usati per dare una spallata impropria alla partitocrazia (legge elettorale nel 1991) o al berlusconismo (abrogazione del legittimo impedimento nel 2011). Non potevano pensare che a un certo punto il referendum sarebbe diventato un momento rituale, un gioco delle parti che il più delle volte rafforza lo status quo. Non potevano immaginare tutto questo e un po' li invidio.

L'illusione che il popolo si possa sostituire al parlamento e farsi legislatore diretto, scolpendosi le leggi a piacimento col martello pneumatico del referendum, non mi sembra soltanto pericolosa, ma anche ridicola. Nei fatti non funziona: se abolisci un ministero, lo riaprono con un nome diverso; se abolisci i finanziamenti ai partiti, in seguito dovrai abolire i rimborsi. Il fatto che questa riforma non faccia nulla per combattere questa illusione - anzi la lusinghi con l'idea di un super-referendum a quorum abbassato - mi sembra un buon motivo per votare No.

Grillo e gli altri referendumari invece voteranno No perché Renzi non ha fatto abbastanza per rendere i referendum più efficienti - anzi non ha proprio fatto nulla: ha solo introdotto una clausola che probabilmente non scatterà mai. E dunque vedete come funziona la cosiddetta accozzaglia antirenziana? Se Renzi non piace né agli uni né agli altri, è perché ha cercato in tante cose una via di mezzo. Non è né caldo né freddo, e come mandò a dire l'Angelo alla chiesa di Laodicea: se non sei né caldo né freddo, fai vomitare. Io voterò No, Grillo voterà No. Ma se il No vincerà non ci metteremo d'accordo. È più probabile che i renziani - che stanno in mezzo - vengano a patti: o coi referendumari, o con gli anti. Io credo nella seconda eventualità, e quindi voto No.

(Gli altri motivi:
1. Non si riscrive la carta costituzionale col martello pneumatico.
2. Non si usa una brutta legge elettorale come moneta di scambio.
3. Non mi piacciono le riforme semipresidenziali.
4. Meglio un Renzi sconfitto oggi che un Renzi sconfitto domani
5. Mandare 21 sindaci al senato è una stronzata pazzesca
6. Mandare sindaci al senato è davvero una stronzata pazzesca.
7. Nel nuovo Senato alcune Regioni saranno super-rappresentate, ai danni di altre
8. Si poteva scrivere meglio, ma non hanno voluto.
9. Di leggi ne scriviamo già troppe: non abbiamo bisogno di scriverne di più e più in fretta, ma di farle rispettare
10. Il numero di firme necessarie per richiedere un referendum abrogativo va aumentato e basta).
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Scriviamo già troppe leggi col bicameralismo perfetto (figuratevi senza)

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In Italia ci sono tanti problemi, e lo sappiamo. La corruzione, l'inquinamento, la crisi economica, il debito, le mafie, il traffico; e poi quello che per Renzi e gli altri ispiratori della riforma è il problema più grave di tutti, quello che una volta risolto ci consentirà di risolvere anche gli altri, ovvero che non si legifera abbastanza in fretta.

Non si legifera abbastanza in fretta.

È un punto di vista condiviso da esperti e studiosi, per esempio l'altro giorno sul Corriere Franco Bassanini spiegava che "la storia ha subito in questi anni un’accelerazione straordinaria". Adesso i legislatori devono scontrarsi con realtà nuove come "Globalizzazione, climate change, terrorismo globale, internet, digitalizzazione e cybersecurity". Non si può più perder tempo a rimpallare leggi tra Camera e Senato: non si può. Vedi cosa fanno all'estero. Cosa fanno all'estero?

Da: Valerio Di Porto, I numeri delle leggi. Un percorso
tra le statistiche delle legislature repubblicane.

Scrivono meno leggi di noi.

Il nostro bicameralismo perfetto, che senza dubbio ha tanti difetti e si poteva riformare (ma con un testo decente, non con questo sbrago) produce più leggi dei bicameralismi imperfetti di altri Paesi. Nota che anche loro stanno scoprendo la globalizzazione, i cambiamenti climatici, il terrorismo, e addirittura l'internet. Ma legiferano meno di noi. Come spiegare questo fatto?

Comincerei intanto a levarci le maschere. Quello che sta chiedendo Bassanini, dal Corriere, è un regime emergenziale. La Storia è di fronte a un'accelerazione improvvisa: da qui in poi ogni mese, ogni settimana, ogni giorno richiederà leggi nuove, e quindi è irrealistico immaginare di farle scrivere a due camere, a centinaia di persone. Quanto durerà quest'emergenza? Siccome quando la Storia accelera poi difficilmente rallenta, temo che per Bassanini i regimi parlamentari siano un relitto del passato da superare di slancio.

Quello che in generale né Bassanini né molti di noi sembra cogliere con chiarezza è la differenza tra potere legislativo ed esecutivo. Confesso, è sempre stato il concetto più ostico quando mi interrogavano su Montesquieu. Tra giudiziario e legislativo non avevo difficoltà, ma la differenza tra le mansioni di governo e parlamento mi ha sempre lasciato un po' perplesso: alla fine la mandavo a memoria e amen. Ho il sospetto di non essere stato l'unico - forse è una tendenza storica. Pensate a quanto ci siamo rimasti male perché Obama non ha rivoltato gli USA come un calzino. Non poteva: era esecutivo, non legislativo. Ci sembra un'ingiustizia. In Europa del resto abbiamo sempre pensato che l'esecutivo debba avere la fiducia della maggioranza del parlamento. Non solo, ma in Italia a un certo punto abbiamo dato per scontato che uno dei compiti più importanti del governo fosse inviare al parlamento decreti legge da approvare con una certa urgenza. È una tendenza che addirittura la riforma cerca di contrastare - però l'idea rimane potente: le leggi vanno scritte in fretta. Forse non è giusto che le scriva direttamente il governo, ma allora il parlamento deve darsi una mossa, perdio, basta ping pong.

Anche qui i numeri ci dicono una cosa diversa. Il ping pong si sta sensibilmente riducendo: le leggi che hanno il sostegno di una solida maggioranza vanno abbastanza spedite. Se invece questa maggioranza non c'è (vedi il ddl Cirinnà, o quello della Kyenge sulla cittadinanza), la legge si blocca. Senza dubbio togliere una camera risolverebbe il problema, ma non nel modo in cui a volte ci auguriamo: ovvero, senza Senato certe leggi non partirebbero nemmeno. Quelle leggi che magari all'inizio alla Camera lasciano perplessi i cani più sciolti di una maggioranza, che però alla fine la votano lo stesso perché "tanto poi la cassano al Senato"; al Senato invece ne riscrivono un pezzo e alla fine quando torna alla Camera è diventata una legge più votabile. Quelle leggi a volte diventano leggi grazie al ping pong, non malgrado il ping pong. È una mia sensazione e magari mi sbaglio; ma poi uno va a vedere e scopre che l'Italia produce più leggi di altre nazioni. Forse semplicemente perché abbiamo più parlamentari, e più camere dove proporle?

(Taciamo qui di tutti i disegni di legge che alla prima approvazione della Camera erano indecenti: tutti quei casi in cui il ping pong ci ha salvato da leggi scritte coi piedi e altri organi del corpo).

Ma facciamola più semplice. Nel Regno Unito legiferano meno di noi. Nel Regno Unito stanno peggio? Hanno il fianco più scoperto nei confonti di Globalizzazione, climate change, terrorismo globale, internet, digitalizzazione e cybersecurity? In un libro di qualche secolo fa, meno conosciuto di quanto dovrebbe essere, un romanziere con la stoffa di storico si perdeva in una lunga digressione sul proliferare di editti e di grida nella Milano spagnola del Seicento. C'era in quel periodo un'emergenza criminalità: le strade pullulavano di bande armate, perlopiù assoldate da nobili per difendersi da altre bande armate assoldate da altri nobili. Di fronte a una situazione del genere, l'autorità costituita reagiva prontamente emanando non una ma due, tre, quattro, sei leggi, tutte un po' diverse, tutte un po' uguali.

Se ne doveva dedurre - sosteneva il romanziere - che nessuna di queste leggi era stata applicata. A volte si legifera molto perché non si esegue niente. Se fossi ministro dell'istruzione renderei quel libro obbligatorio nelle scuole, perché è davvero molto chiaro e istruttivo. A un certo punto c'è un avvocato che solleva dalla sua caotica scrivania un foglio appena stampato e dice al suo cliente: ecco. Questa è la legge che fa al caso nostro: è la migliore perché è la più recente. Le leggi più fresche fanno più paura. Lo rileggevo un mese fa, nel mio comune era appena passata un'ordinanza molto restrittiva sulla circolazione delle automobili nel centro - del resto abbiamo più piombo nell'aria che a Città del Messico. Stavamo quasi pensando di rottamare una vecchia utilitaria. Poi ci siamo accorti che nessuno fa le multe e niente, ce la siamo tenuta. Però vedete com'è rapido il mio comune a legiferare quando c'è un'emergenza.

Per farla breve: pur concedendo che la Storia stia accelerando, io non credo che un regime emergenziale sia una buona idea; non penso che nel futuro ci serviranno continuamente leggi nuove, leggi fresche, leggi che fanno più paura perché quelle vecchie non le rispetta nessuno. Penso che abbiamo bisogno di poche leggi e buone, scritte bene ed eseguite con fermezza. Non sono un fanatico del bicameralismo perfetto, ma quello imperfetto disegnato dalla riforma non mi piace, e in generale trovo la Fretta una consigliera troppo ascoltata da Matteo Renzi. Senza contare che dopo di lui verranno altri, e chissà che leggi manderanno alla Camera, chissà che roba ne salterà fuori. Mi sembra un rischio da evitare e quindi voto No.

(Gli altri motivi:
1. Non si riscrive la carta costituzionale col martello pneumatico.
2. Non si usa una brutta legge elettorale come moneta di scambio.
3. Non mi piacciono le riforme semipresidenziali.
4. Meglio un Renzi sconfitto oggi che un Renzi sconfitto domani
5. Mandare 21 sindaci al senato è una stronzata pazzesca
6. Mandare sindaci al senato è davvero una stronzata pazzesca.
7. Nel nuovo Senato alcune Regioni saranno super-rappresentate, ai danni di altre
8. Si poteva scrivere meglio, ma non hanno voluto.
9. Di leggi ne scriviamo già troppe: non abbiamo bisogno di scriverne di più e più in fretta, ma di farle rispettare).
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Davvero l'articolo 70 non si poteva riscrivere meglio?

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Questa riforma è brutta. Mi sono accorto di averlo scritto spesso, richiesto o no, quando mi capitava di assistere a una conversazione sulla riforma: non dannosa, non inutile, non pericolosa: brutta. Come se fosse più grave, e magari non lo è.


Ma cosa significa "brutto", se si sta parlando di leggi? Forse cerco solo di spostare la discussione in un campo più congeniale, perché di leggi non mi intendo (di bruttezza invece sì?) Se dico che una ripartizione dei seggi mi sembra iniqua, sto giocando a fare il costituzionalista e non lo sono. Se dico che è brutta, beh, de gustibus. Ma in cosa consiste, per me, la bruttezza di una legge?

Sto per introdurre - qualcuno l'avrà già sospettato - il famigerato articolo 70: quello che nella stesura originale recitava semplicemente: La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere, e adesso dice così:

La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere per le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, e soltanto per le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche, i referendum popolari, le altre forme di consultazione di cui all’articolo 71, per le leggi che determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni, per la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea, per quella che determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di senatore di cui all’articolo 65, primo comma, e per le leggi di cui agli articoli 57, sesto comma, 80, secondo periodo, 114, terzo comma, 116, terzo comma, 117, quinto e nono comma, 119, sesto comma, 120, secondo comma, 122, primo comma, e 132, secondo comma. Le stesse leggi, ciascuna con oggetto proprio, possono essere abrogate, modificate o derogate solo in forma espressa e da leggi approvate a norma del presente comma.

(In realtà questo è solo il primo comma; ce ne sono altri sei, meno brutti: ma la visione d'insieme è, come dire, notevole).

In questi lunghi mesi di campagna l'articolo 70 comma 1 è stato spesso sbeffeggiato con quel genere di foga bullistica che in me ottiene sempre l'esatto contrario: mi fa venir voglia di intervenire in favore dello sgorbio. Lasciatelo stare, poverino, mica è colpa sua se l'hanno scritto così. C'è anche chi ha provato a difenderlo: per essere brutto è brutto, nessuno lo nega, ma c'è un motivo per cui non si poteva concepirlo meglio. Lo dice gente esperta di legge, e io non lo sono, per cui potrei fidarmi.

Ma non ci riesco. A me sembra davvero scritto brutto apposta. Guardate quel "soltanto" alla seconda riga. L'estensore ha appena iniziato un elenco di situazioni in cui le due Camere eserciteranno insieme la funzione legislativa. Si capisce che gli preme far notare che la cosa non succederà spesso, e quindi usa l'avverbio "soltanto". Seguono dodici righe di eccezioni. Evidentemente qualcosa non è andata per il verso giusto, ma a quel punto almeno si poteva togliere "soltanto". Non c'era nessun motivo di lasciarlo lì.

Da grafomane conosco bene la situazione. A volte mi metto a scrivere un'eccezione, poi ne trovo altre ventinove, nel frattempo si è fatto tardi e a volte nemmeno rileggo perché mi addormenterei. Quando mi capita di ridare un'occhiata mi faccio schifo, ma c'è da dire che tengo un blog: se mi capitasse di riscrivere la legge fondamentale della mia Repubblica, userei qualche attenzione in più. La farei rileggere ai miei amici, e colleghi, dieci volte, cento volte. Il tempo non dovrebbe essere il problema: non credo proprio che avrei qualcosa di più importante da fare nel frattempo.

Ecco, forse ho trovato la risposta. Cos'è il brutto per me? È qualcosa che non è semplicemente sgraziato, ma lo è volutamente, pervicacemente, come per attirare l'attenzione: non un difetto di natura, ma il difetto di natura messo in scena con fuori la fila per pagare il biglietto. Un articolo di legge può essere difficile da leggere; a volte è inevitabile che sia così. Ma questa volta era davvero così inevitabile?

Art. 70
Le due Camere esercitano insieme la funzione legislativa nei seguenti casi:
(a) eventuali leggi costituzionali o di revisione costituzionale;
(b) leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali in materia di tutela delle minoranze linguistiche;
(c) referendum popolari e altre forme di consultazione previste dall'art. 71;
(d) leggi relative ai Comuni e alle Città metropolitane (ordinamento, legislazione elettorale, organi di governo, funzioni fondamentali, disposizioni di principio sulle forme associative);
(e) leggi relative alle politiche comunitarie dell'Unione Europea (norme generali, forme e termini della partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche comunitarie);
(f) casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l'ufficio di senatore di cui all'articolo 65, primo comma, e per le leggi di cui agli articoli 57, sesto comma, 80, secondo periodo, 114, terzo comma, 116, terzo comma, 117, quinto e nono comma, 119, sesto comma, 120, secondo comma, 122, primo comma, e 132, secondo comma;
le stesse leggi, ciascuna con oggetto proprio, si possono abrogare, modificare o derogare solo in forma espressa e da leggi approvate a norma del presente comma.

Ecco qui. L'ho riscritto. Ci ho rimesso dieci minuti. È ancora brutto, ma almeno si intravede una sagoma, un senso. E ho tolto quel "soltanto", che sembra una presa in giro. Adesso non è più un brutto da circo; è un brutto noioso, è un bruttino che si impegna, che cerca di vestirsi bene ed essere simpatico a tutti, nella speranza che dopo un po' qualcuno si dimentichi che, in effetti, è pur sempre brutto.

È quel brutto che alla Boschi e a Renzi non interessa. Mi sembra che la loro filosofia, opposta alla mia, si possa sintetizzare così: se devi fare schifo, almeno fa' schifo alla grande. Fallo con arroganza, fallo che si veda da lontano. Fa' in modo che tutti sappiano non solo che fai schifo, ma anche che te lo puoi permettere. Guarda quanto siamo arrivati lontano, senza nemmeno sapere scrivere in italiano. E credi che impareremo adesso? No way, siete voi plebe che dovrete sforzarvi di capirci. Ora vi vandalizziamo la carta costituzionale e poi ve la facciamo votare col ricatto dello spread. Potremmo fare meglio di così? Certo. Non sarebbe neanche così difficile. Ma non sarebbe divertente, non saremmo noi.

Il comma 1 dell'articolo 70 sarebbe discutibile anche se a riscriverlo avessero resuscitato Italo Calvino. Potrebbe essere considerato il simbolo di una riforma che era partita per semplificare e si è complicata da sola strada facendo. Il fatto che sembri invece messo giù da uno stagista in affanno non è accidentale. Forse è inevitabile - la Fretta è un po' la grande ispiratrice di gran parte dell'azione di governo renziana. La traccia che la mia generazione lascerà sulla carta costituzionale sarà uno sbrago fatto in fretta e furia perché sennò l'Unione Europea, i mercati, Napolitano, le cavallette. E se non ci sbrighiamo poi non si potrà mai più far niente. Perché? Non si sa. I grillini, i fascisti, il riscaldamento globale, insomma o si cambia la costituzione in mezz'ora o non si cambia più. L'abbiamo riscritta male? Beh sì, ma prendere o lasciare.

Secondo me si poteva scrivere meglio, e quindi voto no.

(Gli altri motivi:
1. Non si riscrive la carta costituzionale col martello pneumatico.
2. Non si usa una brutta legge elettorale come moneta di scambio.
3. Non mi piacciono le riforme semipresidenziali.
4. Meglio un Renzi sconfitto oggi che un Renzi sconfitto domani
5. Mandare 21 sindaci al senato è una stronzata pazzesca
6. Mandare sindaci al senato è davvero una stronzata pazzesca.
7. Nel nuovo Senato alcune Regioni saranno super-rappresentate, ai danni di altre
8. Si poteva scrivere meglio, ma non hanno voluto.
).
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Un molisano, nel nuovo Senato, varrà cinque marchigiani (ma perché?)

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Premessa inutile: vi capita mai di accendere la tv, trovare Affari Tuoi e domandarvi dove riescono a trovare ancora concorrenti valdostani? Una volta ho cercato di fare il calcolo - non ci sono riuscito - in ogni caso Affari Tuoi va in onda da più di dieci anni e calcolando in media un concorrente valdostano ogni venti puntate (tre settimane), ormai tutti i paesi della piccola regione dovrebbero avere la loro quota di veterani dei pacchi. L'idea che ogni sera il concorrente valdostano abbia le stesse chance di giocare di quello della Lombardia, dove abitano quasi 10 milioni di persone, non è bizzarra ai limiti dell'iniquità? Non lo so. Ma so che chiunque abbia scritto la riforma costituzionale, una domanda del genere non se l'è mai posta. Eh, beh, certo, aveva di meglio da fare. Ma giudichiamo dai risultati.

Il modello del nuovo Senato.
Nel nuovo Senato post-riforma, che dovrà rappresentare "le istituzioni territoriali ed esercita[re] funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica", le istituzioni territoriali saranno rappresentate in modo approssimativo e bislacco. Della bizzarra idea di mandare un sindaco per regione abbiamo già diffusamente parlato: per come la giri non ha senso, è un capriccio di un ex sindaco e del suo staff che nessuno è riuscito a far ragionare. In una prima fase c'era anche l'idea molto americana di assegnare a ogni regione lo stesso numero di senatori, alla Lombardia come al Molise: poi si sono accorti che i lombardi sono 30 volte più dei molisani e che a quel punto certe loro tentazioni secessionistiche sarebbero più che motivate (persino io andrei a iscrivermi alla Lega la sera stessa), e finalmente fu reintrodotto nella bozza il sacrosanto principio della proporzionalità, in questo comma (art. 2 della riforma, 57 del nuovo testo costituzionale:)

La ripartizione dei seggi tra le Regioni si effettua, previa applicazione delle disposizioni del precedente comma, in proporzione alla loro popolazione, quale risulta dall’ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.

Questo è molto buffo, perché non è vero. Cioè se leggi qui sembra che ogni regione avrà un numero di senatori proporzionato agli abitanti. In ogni parte d'Italia, a tot abitanti dovrebbe corrispondere un senatore. Giustissimo principio, che però viene completamente falsato dall'"applicazione delle disposizioni del precedente comma" che precisa:

Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a due; ciascuna delle Province autonome di Trento e di Bolzano ne ha due.

Che è come scrivere, in un comma: "il prossimo senato sarà tondo", e nel comma precendente: "il prossimo senato deve avere almeno tre angoli". Cioè se hai 100 senatori da assegnare - anzi 95 perché gli altri li nomina il Presidente della Repubblica, e due li devi dare a tutti, comprese alle regioni che non arrivano all'1% della popolazione, come Val d'Aosta e Molise, e le province di Trento e Bolzano... che senso ha parlare di "proporzione"? Sarà una proporzione completamente falsata. Eccola qui (rubo i dati da http://politics.ildavid.com/23)

RegioneabitantiPercentuale sulla popolazionesenatoriAbitanti per ogni senatore
Valle d’Aosta1268060,11%263403
Molise3136600,53%2156830
Prov. Bolzano5046430,85%2252322
Prov. Trento5248320,88%2262416
Basilicata5780360,97%2289018
Umbria8842681,49%2442134
Sardegna16393622,76%3546454
Friuli-VG12189852,05%2609493
Piemonte43639167,34%7623417
Campania57668109,70%9640757
Calabria19590503,30%3653017
Abruzzo13073092,20%2653655
Puglia40525666,82%6675428
Lazio55028869,26%8687861
Lombardia970415116,33%14693154
Veneto48572108,17%7693887
Sicilia50029048,42%7714701
Emilia-Rom43421357,31%6723689
Toscana36722026,18%5734440
Marche15413192,59%2770660
Liguria15706942,64%2785347

Il prossimo senato sarà talmente proporzionato che un senatore valdostano rappresenterà 63mila concittadini - gli abitanti di una piccola cittadina; un senatore ligure ne rappresenterà quasi 800mila. Avranno entrambi un voto al Senato. Se vi sembra equo, proporzionale, sensato, votate pure Sì a questa riforma, che posso dirvi.

Vedi tu a volte un confine che può fare: se nasci a San Severo di Puglia hai diritto a un senatore ogni 670mila abitanti; se nasci 30 km più a nord, in Molise, puoi godere di un senatore ogni 150mila abitanti. Perché? Non c'è un perché, o almeno non c'è un perché che sia decente spiegare. Volevano il senato leggero e ci hanno messo cento sedie; però gli altoatesini - meno dell'1% della popolazione - volevano almeno due posti, e chi era Renzi per privare gli altoatesini delle loro due seggioline? La minoranza linguistica, sai. Ma a quel punto però bisogna darle anche ai trentini, a cui sin dai tempi di De Gasperi spetta tutto ciò che spetta agli altoatesini - è il trauma di essere stati austriaci fino al 1918, che non passa e a questo punto non passerà mai - ed ecco che quattro posti già sono riempiti. Ma a quel punto vuoi non darne un numero eguale anche ai valdostani, ai lucani? E i friulani-giuliani che sono, i figli delle serve? Con tanti saluti al principio di proporzionalità.

Michele Ainis ritiene che l'articolo 39 possa rendere gli Statuti speciali delle regioni autonome "più garantiti della Costituzione medesima" (creando di fatto cinque Stati nello Stato, con un'autonomia a prova di revisione parlamentare). Mettiamo che si sbagli. Possiamo comunque accettare che i privilegi di trentini, altoatesini, valdostani, ecc., non saranno ritoccati mai più: anzi, la riforma va in senso contrario, assicurando a quei due milioni scarsi di cittadini che il loro status di italiani di serie A è riconosciuto da una quota blindata di seggi nel Senato; e i liguri, con tutti i loro problemi di dissesto idrogeologico che renderanno nei prossimi anni necessari interventi emergenziali col benestare dell'Unione Europea, se ne possono pure sprofondare nell'omonimo mare, o votare il demagogo locale che comunque difficilmente potrà rifare il Senato da capo.

Nel caso ci provasse, però, io sarò con lui. Le autonomie che avevano un senso e una necessità nel 1945, andavano ridiscusse già trent'anni fa; se passa questa riforma le consegneremo ai posteri che un paio di domande se le faranno, e si daranno anche un paio di risposte. Mi sembra un altro valido motivo per votare No al referendum. 

7. Nel nuovo Senato alcune Regioni saranno super-rappresentate, ai danni di altre).
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Altri ragionevoli motivi per cui mandare 21 sindaci in Senato è davvero una stronzata pazzesca

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L'Amleto di Gorgonzola. 

Ancora sull'elezione in Senato dei 21 sindaci, perché davvero, è una cosa che più ci rifletti meno senso ha. Per quanto io possa capire le obiezioni: in fondo ci sono un sacco di sindaci che vanno a Roma per curare gli interessi del loro comune.

Ma lo fanno anche a Cuneo dunque, non sapevo.
Sì. Del loro comune, non della loro regione. Metti che il sindaco di Gorgonzola si ritrovi a dover deliberare in fatto di formaggi DOP. Difenderà gli interessi del suo specifico comune o di quello di un eventuale gruppo di comuni limitrofi che richiede all'Unione Europea il permesso di produrre un formaggio molto simile con la stessa denominazione - danneggiando Gorgonzola? Capite che c'è almeno un conflitto di interessi qui? (Siamo passati dalla fase in cui li ignoravamo alla fase in cui li stiamo coltivando, questi conflitti).

Un sindaco che si trovi in una situazione del genere rappresenta gli elettori che lo hanno installato nel suo municipio o i consiglieri regionali che l'hanno portato a Roma? Dite: in questo caso dovrebbe rappresentare i secondi, che lo hanno portato a Roma. Certo. Peccato che

1. I consiglieri regionali, una volta che lo hanno mandato a Roma, non lo possono far decadere; i suoi consiglieri comunali sì!
2. Chi lo paga? Ops! Non lo pagano per stare a Roma. Lo pagano per fare il sindaco di Gorgonzola. E quindi perché gli dovrebbe fregare qualcosa degli incliti abitanti di Orio al Serio? Li rappresenta solo part-time, ed è quella part del suo time che al limite gli vale un rimborso spese.


Trasformismo 2.0

Una volta installato, il nuovo Senato non si dovrebbe sciogliere più. Sindaci e consiglieri che rappresentano una regione si rinnovano a ogni elezione regionale. Se in mezzo un sindaco decade, dovrebbe essere rimpiazzato da un sindaco dello stesso schieramento - ma gli schieramenti possono cambiare, chi è berlusconiano può diventare verdiniano può diventare renziano può diventare qualsiasi cosa. Trasformismo è parola ottocentesca, c'era ai tempi dello Statuto Albertino. Forse è possibile combatterlo per via legislativa, ma la riforma Boschi-Renzi non fa questo. La riforma Boschi-Renzi col trasformismo ci va a nozze. Sentite questa.

Decade un sindaco di centrosinistra. Il consiglio regionale che dovrebbe eleggere il rimpiazzo ha una solida maggioranza di centrodestra, però per rispettare lo "spirito dell'articolo 57" deve eleggerne uno di centrosinistra. A quel punto un qualunque sindaco di centrodestra convoca una conferenza stampa e dice: ho cambiato idea, adesso sono un sindaco di centrosinistra. Straccia una tessera, se ne fa dare un'altra: chi può impedirglielo?

E chi può impedire ai consiglieri di quella regione di mandarlo al Senato?

E chi può impedire allo stesso sindaco di cambiare idea il giorno dopo? C'è il vincolo di mandato? Se c'è dove sta? Magari c'è e me ne sono accorto, non chiedo di meglio. Sul serio, spero di sbagliarmi, perché al di là che vinca il Sì o il No, l'idea che in parlamento siedano simili legislatori mi inquieta e non poco.


Il presidente si elegge a Forlimpopoli

Come vedremo forse più in là, la riforma introduce qualche bizantinismo anche nell'elezione del Presidente della Repubblica, che a un certo punto (dopo il settimo scrutinio) non richiede più la maggioranza assoluta dei parlamentari (in realtà i tre quinti), ma la maggioranza assoluta dei votanti. Quindi un presidente inviso ai più potrebbe comunque essere eletto col tacito consenso di parlamentari che invece di votare si assentassero, abbassando il quorum necessario. Chiunque abbia scritto tutto questo aveva in mente scenari di crisi da risolvere con tatticismi sfrenati, più che con l'elezione di figure super partes. Ma tant'è.

Mettiamo che neanche così un presidente si riesca a trovare: un altro modo di abbassare il quorum è mandare all'aria il consiglio comunale di qualche sindaco-senatore riottoso, che so, di Forlimpopoli, e poi andare a votare svelti prima che il consiglio regionale mandi un rimpiazzo. Sembrano cose assurde finché un giorno non succedono. Il vizio è in partenza: mandare in Senato persone che possono essere sfiduciate a Forlimpopoli. Dite: ci sono già sindaci senatori col doppio incarico. Vero. Ma se li sfiduciano a Forlimpopoli, restano senatori. E se si scioglie il Senato, restano sindaci. No, voi volete mandare a Palazzo Madama qualcuno che può essere licenziato a Forlimpopoli, con una spada di Damocle che può dipendere dall'umore di un qualsiasi centro abitato. In Germania fanno così, dite. Natürlich. Allora, magari non succederà così spesso che un presidente della Repubblica si elegga grazie a una crisi municipale a Forlimpopoli. È solo un'ipotesi. D'accordo.

La cialtronaggine di chi ha scritto questa roba non è un'ipotesi. È un dato acquisito. Magari l'acqua non uscirà proprio da questo buco, ma mi posso fidare di chi cerca di vendermi un testo con tutti questi buchi? Credo proprio sia necessario votare no al referendum.

(Gli altri motivi:
1. Non si riscrive la carta costituzionale col martello pneumatico.
2. Non si usa una brutta legge elettorale come moneta di scambio.
3. Non mi piacciono le riforme semipresidenziali.
4. Meglio un Renzi sconfitto oggi che un Renzi sconfitto domani
5. Mandare 21 sindaci al senato è una stronzata pazzesca
6. Mandare sindaci al senato è davvero una stronzata pazzesca).
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Mandare 21 sindaci al Senato è una stronzata pazzesca

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Dopodiché, ok, entriamo nel merito.

Il Senato della Repubblica è composto da novantacinque senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali e da cinque senatori che possono essere nominati dal Presidente della Repubblica. I Consigli regionali e i Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano eleggono, con metodo proporzionale, i senatori fra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, fra i sindaci dei comuni dei rispettivi territori. (Articolo 57 della Costituzione secondo l'articolo 2 della riforma Boschi/Renzi).

Avrete sentito dire che proprio nel giorno in cui Salvini cercava visibilità a Roma, a Padova gli siluravano il sindaco, uno dei suoi fedelissimi. Lo avrete sentito dire anche se non siete padovani né veneti, perché in Italia spesso funziona così: la lotta politica nazionale si conduce quartiere per quartiere, ente locale per ente locale. Magari c'erano localissimi motivi per togliere la fiducia a quel sindaco; magari qualche consigliere seguiva anche istruzioni che venivano da Roma o Milano. Insomma succede spesso, in Italia, che l'esigenza dei cittadini di scegliere un sindaco che sappia interpretare le loro richiesta passi in secondo piano rispetto a quella di mandare segnali a Salvini, o a Renzi, persino a Grillo. Ed è un peccato, perché l'Italia non ha solo bisogno di un buon governo, ma anche (e soprattutto) di migliaia di sindaci che sappiano fare il loro mestiere, restando il più possibile vicini ai cittadini e indifferenti alle beghe di palazzo. Renzi questa cosa dovrebbe saperla, Renzi è stato sindaco e metteva piede a Roma lo stretto necessario.

Invece Renzi ha deciso che, su 100 senatori, 21 saranno sindaci. Non ex sindaci: primi cittadini, eletti nei loro comuni, e poi elevati al rango di senatori dal loro consiglio regionale. Potrebbero essere sindaci di una grande città o di un paesino di campagna; potrebbero rappresentare la maggioranza o la minoranza presso il rispettivo consiglio regionale; non importa tutto ciò, l'importante è che siano sindaci pagati con i soldi con cui si pagano i sindaci: così si risparmia.

Non è mia intenzione fare satira adesso qui: vorrei semplicemente cercare di spiegarmi e spiegare i punti che ritengo più controversi di un articolo di legge che forse tra un mese sarà nella Costituzione del mio Paese. Però non intendo nemmeno abusare in diplomazia: questa è una delle cose più cretine che io abbia mai sentito in vita mia. Pescare un sindaco a regione. Uno solo. Perché?

No, non importa il perché, davvero: la genesi di questa scemissima idea, partorita in una di quelle leopolde traboccanti di acritico entusiasmo in cui contava più la musica che le parole; sopravvissuta a una lunga scrematura di stronzate (per un po' i senatori dovevano essere due per regione, indifferentemente dalla popolazione, una roba che avrebbe fatto votare Lega Nord persino a me), e alla fine stampata ben bene in una legge approvata da una piccola maggioranza parlamentare che alla fine mi vergogno ugualmente di aver sostenuto. Un quinto dei senatori saranno sindaci: gente che dovrebbe svegliarsi ogni mattina nel proprio territorio, guardarsi attorno, discutere con gli abitanti, eh no; devono andare a Roma a fare cose per ora nemmeno molto definite, come partecipare "alle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione degli atti normativi e delle politiche dell’Unione europea" (cioè?), valutare "le politiche pubbliche e l’attività delle pubbliche amministrazioni e verifica l’impatto delle politiche dell’Unione europea sui territori": a Bruxelles staranno tremando, ma lo sapete che a Roma stanno facendo un'assemblea che ci valuta, tutta di gente che in quel momento dovrebbe essere altrove?

A chiunque ha scritto questa roba, e ha continuato a difenderla in questi mesi, manca una delle fondamentali dimensioni dell'intelligenza, ovvero la fantasia. Cioè non ha passato neanche cinque minuti a provare a immaginare questi sindaci divisi tra la loro città e un Senato in cui per la maggior parte del tempo si discute oziosamente di regolamenti UE. O saranno buoni sindaci o saranno buoni senatori, e in molti casi non saranno nessuna delle due cose. (Come se non sapessimo che super-impegnarsi è l'alibi di qualsiasi mentecatto che, non sapendo finire nulla, almeno ha la scusa di essere indaffarato in due o tre cose diverse: come se non lo vivessimo ogni giorno sulla nostra pelle).

"Tanto che importa, no? Quel senato è perlopiù inutile" (ma allora perché non l'hanno abolito?)

Eh, invece no. Per la maggior parte del tempo, concedo, sarà inutile: una cosa che sembra lasciata aperta perché chiuderla avrebbe richiesto uno sforzo in più. Poi, quando meno te lo aspetti diventa fondamentale. Per esempio, ha voce in capitolo nelle proposte di riforma costituzionale: quindi o prima o poi voterà per abolire sé stesso, o ce lo terremo per sempre come esce da questa riforma, deforme e insensato. E poi il senatore vota per il presidente della Repubblica, non dimentichiamo. E mettiamo che un partito stia cercando i numeri per eleggere un presidente della Repubblica. Gliene manca una manciata: non sarebbe la prima volta, no? Ci sono due o tre sindaci che proprio non collaborano. Che si fa?

Possiamo telefonare ai loro consiglieri comunali e farli sfiduciare da loro.
Proprio così? La prosecuzione della politica nazionale sul territorio?
Proprio così. Se un senatore decade da sindaco, decade anche da senatore.
"Cioè mi stai dicendo che da qui in poi l'elezione del presidente della Repubblica potrebbe passare dal consiglio comunale di Ladispoli?"
Te lo sto dicendo. E non solo il Quirinale: anche le leggi di riforma costituzionale. Mancano due voti per il quorum? Mandiamo a casa due giunte.
"No, no, aspetta. Quando un sindaco decade, che succede?"
Il consiglio regionale dovrebbe eleggerne un altro.
"Ma ne eleggerà un altro dello stesso schieramento politico, no? Dovrebbe essere tenuto a farlo da... da..."

Da questo comma: Con legge approvata da entrambe le Camere sono regolate le modalità di
attribuzione dei seggi e di elezione dei membri del Senato della Repubblica tra i consiglieri e i sindaci, nonché quelle per la loro sostituzione, in caso di cessazione dalla carica elettiva regionale o locale. I seggi sono attribuiti in ragione dei voti espressi e della composizione di ciascun Consiglio.

"Vedi? Quindi se fai dimettere un sindaco leghista, il consiglio regionale deve rinominare senatore un altro sindaco leghista".
Vedo. E mi sembra assai bislacco. Inoltre siamo in Italia: metti che per eleggere, che so, Violante al Quirinale, manchi alla conta un senatore/sindaco di centrodestra che Violante assolutamente no. Lo fai dimettere. Vuoi non trovare un altro senatore/sindaco del centrodestra che invece Violante lo vuole? Sarà così difficile? I sindaci grillini sono sempre esattamente d'accordo su tutto? Se un giorno un sindaco grillino decade, lo puoi sostituire con Pizzarotti? tecnicamente la cosa si può fare o no? Non si sa. Forse che sì, forse che no.
"Ma quindi..."
"È una stronzata pazzesca, esatto".

Un altro (ottimo) motivo per votare no al referendum

(Gli altri motivi:
1. Non si riscrive la carta costituzionale col martello pneumatico.
2. Non si usa una brutta legge elettorale come moneta di scambio.
3. Non mi piacciono le riforme semipresidenziali.
4. Meglio un Renzi sconfitto oggi che un Renzi sconfitto domani
5. Mandare 21 sindaci al senato è una stronzata pazzesca).
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(35 anni fa) Simon Le Bon ci ha salvato la vita

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Sing Street (John Carney, 2016)

C'è stato un momento - mica come adesso sapete. C'è stato un periodo in cui truccarsi non era una scemenza vanitosa come adesso, c'è stato un momento in cui era questione di vita o di morte. Ti mettevano in un angolo e te ne davano finché il trucco non ti serviva davvero a qualcosa. C'è stato in un periodo in cui non andavi ai talent a farti compatire, c'è stato un momento in cui dovevi farti compatire in casa, girarti un video e mandarlo in giro nella speranza che qualcuno dall'altra parte del mondo volesse perdere un po' di tempo e denaro per compatirti. C'è stato un momento in cui Simon Le Bon era avanguardia, in cui gli Spandau Ballett erano la ribellione, in cui i Cure potevano servirti con le ragazze. Ci sono stati gli anni Ottanta ma non erano la favola di plastica che vi raccontano adesso; erano ormoni, sangue, nicotina, brufoli, disperazione, e in mezzo a tutto questo, per quanto assurdo potesse sembrare, un George Michael.

A metà anni Ottanta, Cosmo piove dallo spazio in un sordido liceo di Dublino (nei titoli finali ci avvertono che adesso invece è una scuola bellissima che diploma tantissimi ragazzi successful: andateci). Due genitori che litigano, un fratellone depresso che passa il tempo a girare canne e 33giri, un compagno bullo che ha intenzione di sodomizzarlo entro gli esami. Bisogna avere un progetto, anche solo far colpo su una ragazza. Bisogna mettere su una band, girare un video, far finta finché non funziona (continua su +eventi!). Il successo sembra un traguardo impossibile, eppure la terra promessa è solo a un braccio di mare. Il film più autobiografico di John Carney non è probabilmente il suo meglio riuscito: la necessità di rendere un tributo a chi lo ha aiutato e a chi è rimasto indietro gli impedisce forse di guardarsi indietro col distacco necessario. Coi metri che usiamo da vent'anni, il suo eroe non è che un poser: si esprime per citazioni che ha appena mandato a memoria, cambia look a seconda del videoclip che è riuscito a guardare il giorno prima. Il suo stesso immaginario è poco più elaborato di una mensola di videocassette. Cosa dire, salvo che negli anni Ottanta eravamo davvero così: ignoranti, superficiali, disperati, determinati. Ci esprimevamo per versi malintesi di canzoni, e sognavamo per videoclip. Ne abbiamo copiata di roba prima di trovare una voce personale, ammesso che l'abbiamo trovata e che interessi a qualcuno. Del resto avevamo quindici anni: e il suono più meraviglioso del mondo non era la campana della scuola e neanche il rullante della batteria. Era la voce gracchiante al citofono del tuo migliore amico appena conosciuto, che ti chiedeva se avevi voglia di andare al parco a scrivere una canzone. Sempre.

Sing Street è al Moretta di Alba lunedì e martedì alle 21; al Fiamma di Cuneo alle 21:10 fino a mercoledì.
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Meglio un Renzi sconfitto oggi (che un Salvini domani)

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(Anche Trump sembrava un candidato improbabile).
Molti sostenitori di questa riforma costituzionale sono più profondamente sostenitori di Renzi. Magari l'hanno letta, e la condividono in buona fede; ma la condividerebbero anche se fosse completamente diversa, purché l'avesse scritta Renzi. A volte ti chiedono di giudicarla "nel merito", senza preoccuparti di tutte le cose contingenti che le girano intorno - l'italicum, la carriera politica di Renzi, ecc. A volte sembrano più spaventati: ma insomma, ti dicono, non capisci che ne va della carriera di Renzi? E del destino dell'Italia tutta, naturalmente, che senza Renzi come farà? Ora, bisogna essere onesti: se mi guardo attorno, una figura che nel breve termine possa subentrare a Renzi e interpretare lo stesso ruolo in modo più progressista non la vedo. Alternative di sinistra a Renzi per parecchio ancora non ci saranno, mentre da destra arrivano nubi minacciose - magari non Salvini, ma prima o poi qualcosa erutterà. Mi è già capitato di votare Renzi in passato, perché in quel momento era il meno peggio, e potrà accadermi in futuro: specie se continua a essere l'unico intenzionato a gestire la crisi dei profughi in modo umano. Ma la sua riforma costituzionale non mi piace, e soprattutto credo che Renzi potrà sopravvivere a una sua eventuale sconfitta referendaria. Ho detto credo. Non ne sono sicuro.

Invece molti sostenitori di Renzi sembrano sicuri che un successo del Sì proietterà il loro beniamino verso un trionfo elettorale - dopodiché, senza l'impiccio degli imbarazzanti alleati di centrodestra, dei riottosi rimasugli del vecchio Pd e di un senato eletto ancora dai cittadini, finalmente potrà gestire l'Italia come vuole e non potrà che gestirla bene. Ora, questo futuro luminoso è appena a un passo da noi, ma solo se votiamo Sì al referendum: altrimenti tenebre, caos, Bersani e Matteo Salvini. Come tutte le prospettive apocalittiche, anche questa sembra più la proiezione di un desiderio che un'analisi realistica della situazione. Nessuno sa cosa succederà il quattro dicembre: se Renzi perde, potrebbe abbandonare il governo? È possibile (ma non esistono ancora alternative serie a lui, soprattutto nel suo partito).

Se invece vince, continuerà a vincere anche alle prossime elezioni politiche, al più tardi nella primavera 2018? Chi lo pensa sembra sottovalutare il logoramento inevitabile di chi si trova al governo, in anni di crisi. La vittoria dei brexiters, quella di Trump, sembrano puntare in quella direzione. La figura di Renzi appare già abbastanza logorata, eppure chi lo sostiene sembra voler credere che basta fargli vincere un referendum ogni tanto per ringiovanirlo. Soprattutto non mostrano di capire quello che a me sembra un dato di fatto: più vince, meno Renzi è sopportabile. Magari tra un mese vince di nuovo, ma a quel punto a chi non gli vuole bene sembrerà ancora più arrogante. E non può vincere sempre.

Mi rendo conto di essere, tra i sostenitori del No, un caso molto particolare: per molti si tratta solo di mandare a casa Renzi. Per me il contrario: forse è l'ultima occasione che ho per dare un segnale a Renzi senza mandarlo a casa. Molti sostenitori del Sì sanno benissimo che questa riforma contiene diverse magagne, ma se la fanno piacere perché, dopotutto, se si tratta di salvare Renzi si può anche vandalizzare qualche articolo di Costituzione. Ma rischiamo di ritrovarci nella situazione peggiore: costituzione vandalizzata e, due anni dopo, un Salvini o peggio al governo. Con maggioranza blindata per cinque anni. E un senato irrilevante. Questo per me è un altro grosso motivo per votare No.

(Gli altri motivi:
1. Non si riscrive la carta costituzionale col martello pneumatico.
2. Non si usa una brutta legge elettorale come moneta di scambio.
3. Non mi piacciono le riforme semipresidenziali.
4. Meglio un Renzi sconfitto oggi che un Renzi sconfitto domani).
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Su Leonard Cohen, dieci posizioni

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Senza Dylan gente come Cohen non avrebbe mai preso sul serio la chitarra e avrebbe continuato a scrivere noiosi romanzi: quindi vedi quanto se lo merita, Dylan, quel Nobel? Non solo per i libri che non ha scritto, ma per quelli che non ha fatto scrivere agli altri. 



10. Cohen è stato abbastanza grande non solo da aver scritto Chelsea Hotel (I don't mean to suggest that I loved you the best), ma anche da essersene vergognato.



Ci hanno scritto un libro,
su una canzone.
9. "Il maestro dice che è Mozart, ma suona come bubblegum" (Waiting for The Miracle).

8. Well I live here with a woman and a child, the situation makes me kind of nervous.
Yes, I rise up from her arms, she says "I guess you call this love"; I call it service.
(Funziona benissimo anche se chiudi le virgolette dopo "service"). (There is a War).

7. Il bizzarro complotto tra lui, Jeff Buckley e i realizzatori di Shrek per far sì che al termine di milioni di matrimoni si intonasse una canzone sull'orgasmo, esatto, Hallelujah parla di quello, Cohen ci ha messo anni a scriverla e non l'ha nemmeno incisa così bene. Però il mio verso preferito resta "Well it goes like this, the fourth, the fifth, the minor fall, and the major lift", il grado zero del genere "testo musicale".

(La penultima volta che ho suonato a un matrimonio abbiamo fatto Hallelujah, e a un certo punto ti capita proprio di dire, vedi, c'è un do, un fa, un sol, poi in minore, e così via).

6. Quando guardi un uomo di mezza età un po' sbattuto allo specchio e sei indeciso se farti la barba o tagliarti la gola.




5. La psicologia di un terrorista si capisce meglio leggendo il Corano o ascoltando First We Take Manhattan?




4. La psicologia di un partigiano si capisce meglio leggendo Fenoglio, però chi non ha tempo può ascoltare The Partisan (non l'ha scritta lui, e tuttavia). Eravate tre stamattina, n'è rimasto uno stasera. Chi ti ha nascosto nel fienile è morto senza dire una parola.



3. Nella vostra Bibbia, tra i Profeti e i libri sapienziali, potrebbe benissimo esserci un Libro di Cohen. Non dev'essere per forza molto lungo - certi profeti minori hanno solo due o tre paginette. Potrebbe anche solo contenere Story of Isaac.

2. Quando ti diranno, figliolo, che non esiste la destra e la sinistra; il neoliberismo e il populismo, ricorda sempre che "C'è una guerra tra quelli che dicono che c'è una guerra e quelli che dicono che non c'è". (There is a War).



1. Cohen è l'uomo abbastanza uomo da accettare che probabilmente non è l'uomo migliore per te. Da qualche parte c'è qualcuno che ti ha fatto stare meglio e non importa quante promesse abbia spezzato e se si è davvero disintossicato. Un giorno tornerà a prenderti, quel giorno Cohen sarà abbastanza uomo da restare a letto a dormire.


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Sei sicuro che vuoi fare come gli americani, Matteo Renzi?

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Riportando tutto a casa, sarà interessante capire cosa succede ai renziani ora che Obama se ne va, e con lui forse si dissolve quel campo di distorsione che li ha portati a immaginare per l'Italia un assetto simil-presidenziale. Ovviamente c'è già in giro chi trae dalla vittoria di Trump auspici per la vittoria del Sì o del No al referendum: ognuno cerca di inquadrarla con le cornici che si trova in casa - due in particolare non le reggo in più, la cornicetta che si chiama "cambiamento" e quella che si chiama "anti-establishment". Non vogliono più dire nulla: quale cambiamento? Quale estabishment?

Io non ho la minima idea di chi vincerà il quattro dicembre, ma penso che la riforma sia brutta, e che fosse ancora più brutta nelle prime stesure, quando ancora il Senato delle Regioni era concepito come l'assurdo Senato Americano: quello in cui tutti gli Stati eleggono lo stesso numero di senatori, compreso il Vermont dove sono bastati 190.000 voti; in California ce ne sono voluti 4.800.000, venticinque volte tanto. Si tratta evidentemente di un sistema iniquo e arcaico, ma è difficile rinunciarvi dopo due secoli di successi; più difficile è capire perché in Italia qualcuno lo volesse introdurre, offrendo a trecentomila molisani la stessa rappresentanza di dieci milioni di lombardi - dopo vent'anni di leghismo! Ci scrissi qualcosa sul sito dell'Unità - pazzesco quel che pubblicava una volta il sito dell'Unità.

Poi magari la Boschi si accorse che qualcosa non andava e cambiò di nuovo la bozza; ma il solo fatto che l'abbiano proposta e divulgata lascia sgomenti - è come l'inglese di Renzi, anzi, molto peggio: da una parte sei contento che Renzi stia migliorando la sua pronunzia e che la Boschi abbia scoperto che in Italia la densità di popolazione varia sensibilmente di regione in regione; dall'altra è un po' imbarazzante veder crescere in diretta questi aspiranti riformatori e statisti: cioè per carità bravini, la stoffa c'è, ma non siamo a un talent show, bisognava arrivare già preparati.

È dal dopoguerra che gli italiani guardano con ammirazione agli USA - i democristiani più di altri. Fino a un certo punto qualsiasi ipotesi di modificare la costituzione in senso americano rimane comunque circoscritta alle fantasie di un Pannella o un Almirante. Quand'è che la passione per le cose di Washington si trasforma in una vera e propria tensione riformatrice che contagia persone altrimenti ragionevoli? Il 2008 mi sembra un ottimo termine a quo. A primavera, la sconfitta del Pd di Veltroni - non fu per la verità una sorpresa, quella volta forse persino i sondaggi ci azzeccarono: ma ci si aspettava senz'altro qualche punto percentuale di più e soprattutto nessuno immaginava la completa sparizione della sinistra. Delusi da un bipartitismo ancora molto imperfetto, diversi elettori italiani del PD si appassionano alla più emozionante campagna elettorale statunitense, quella con Obama prima contro la Cinton e poi in finale contro McCain (con la Palin spalla comica). C'è una vignetta dell'allora sconosciuto Makkox che esprime il lato patetico di quell'entusiasmo. L'ipotesi veltroniana, qui ho cercato di spiegarlo, proponeva una interiorizzazione dell'antiberlusconismo: visto che sconfiggere il Berlusconi reale sembrava per il momento impossibile, occorreva eliminare il berlusconismo dentro di noi. Smettere di nominarlo, smettere di pensarci, purificarsi. Guardare all'estero era l'unica possibilità, e all'estero quella di Obama era l'unica favola a lieto fine. Alcuni non hanno distolto lo sguardo per otto anni, e sì che molti dettagli non tornavano; le tensioni razziali, le stragi a mano armata a cui il POTUS ha assistito indignato e impotente, l'approccio un po' dilettantesco alla crisi in Medio Oriente, lo scandalo della NSA e il trattamento riservato ai whistleblower. Tutto questo non ha impedito a Obama di essere straordinariamente cool fino all'ultimo, e tanto bastava. Veniva bene in tutte le foto, faceva battute divertenti, è stato un presidente fantastico.

Negli stessi anni prende piede in Italia un timido tentativo di riformare l'Italia in senso semipresidenziale - senza avvertire i cittadini, il che è un problema a parte: cioè se almeno lo avessero detto chiaramente, si sarebbe potuta apprezzare la franchezza. Non è a dire il vero il primo e forse nemmeno il più sostanziale: già l'introduzione dell'uninominale del 1993 - e soprattutto l'abitudine di Berlusconi di mettere il suo cognome bene in evidenza sul simbolo - avevano preparato il terreno. Tuttora, chi si lamenta che Renzi non sia stato "eletto dal popolo", ha probabilmente in mente il modo in cui Berlusconi e Prodi sono usciti vincitori dalle elezioni tra '94 e '08: molti elettori avevano la sensazione di votare per l'inquilino di Palazzo Chigi oltre che per il parlamento (avevano torto?) La riforma Renzi e Boschi non fa che proseguire la tendenza: l'idea che la sera delle elezioni si debba conoscere il vincitore è una suggestione quasi hollywoodiana - se socchiudi gli occhi ti sembra di vedere i coriandoli rossi e blu. Renzi si allena a fare i discorsi, tutti lodano il suo Concession Speech alle primarie del 2012, sembra di stare in uno di quei videoclip di Vasco Rossi o Ligabue che giravano negli USA per darsi un tono - non importa dove, bastava un incrocio qualsiasi, il primo parcheggio con un concessionario appena fuori dall'aeroporto.

A un certo punto tutti si mettono a parlare di Accountability, che viene molto imprecisamente tradotto "votami per cinque anni e se faccio un disastro ne discuteremo poi". L'obiezione che l'Italia non è una repubblica presidenziale, che è il parlamento a nominare il capo del governo, a concedergli la fiducia e a potergliela ritirare in qualsiasi momento, viene liquidata con fastidio: roba da vecchi! Vecchi! Guarda invece Obama quanto è cool. Nel frattempo Obama aveva perso da un pezzo la maggioranza del Congresso, e dopo aver faticato a varare una riforma sanitaria, non ha più potuto far nulla per limitare la vendità delle armi da fuoco - solo dei discorsi accoratissimi all'indomani di ogni strage. Fantastici discorsi. Renzi & co. avranno senz'altro preso appunti.

Ieri un'elezione ha regalato a Trump la presidenza (malgrado la Clinton abbia avuto più voti) e un'ampia maggioranza al congresso e al senato. Per molti è stata una doccia freddissima; magari salutare. L'uomo più cool del mondo sta lasciando la Casa Bianca: forse è l'occasione per maturare un minimo distacco critico. Obama non ha rottamato la vecchia America; non ha mai avuto i numeri per farlo; per gran parte del suo doppio mandato è stato poco più che un'anatra zoppa. Adesso la palla passa a Trump, che avrà almeno all'inizio molto più margine d'azione. Certo, dopo quattro anni gli americani giudicheranno. Sono comunque notevoli i disastri che un capo del governo, attorniato da un parlamento plaudente, può fare in quattro anni. L'Italia è una cosa molto diversa, ma appunto: siamo sicuri di voler fare come loro o addirittura peggio di loro? Il fatto che presto o tardi qualche populista pericoloso possa aggiudicarsi il 41% dei suffragi è un buon motivo per regalargli un premio alla Camera, eliminargli il contrappeso del Senato, e aspettare cinque anni per vedere come va? Ammesso che gli americani si possano permettere questo tipo di accountability, noi possiamo?

Questo mi sembra un terzo buon motivo per votare No al referendum.

Gli altri motivi:

1. Non si riscrive la carta costituzionale col martello pneumatico.
2. Non si usa una brutta legge elettorale come moneta di scambio.
3. Non mi piacciono le riforme semipresidenziali.
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