18. Avrete visto anche voi camminare le aquile
03-06-2022, 08:02Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è la Gara di canzoni di Battiato, anche se oggi per la prima volta si incontrano quattro brani di cui Battiato non ha scritto il testo – o quasi]
1980: Le aquile (#68)
Il vento gonfiava le mie vesti: di veramente stabile? Non ho mai capito cosa significhi e se significhi qualcosa (però suona bene). Anche in questi giorni ho provato a capire se "stabile" può essere una marca di cavigliere ortopediche e non ho trovato risultati; in compenso ho scoperto finalmente, e mi vergogno del ritardo, che il testo delle Aquile *non* è una poesia di Fleur Jaeggy. Benché il testo le sia ufficialmente attribuito, il brano da cui sarebbe estrapolato è una prosa e somiglia solo vagamente al testo delle Aquile. Lo trovate per esempio qui, è un brano dalle Statue d'acqua. La Jaeggy poi avrebbe concesso a Battiato altri testi (Atlantide, Shackleton), ma a questo punto mi viene il dubbio che anche in questi casi si sia trattato più di un'ispirazione che di un testo pronto a essere messo in musica come li forniva invece Sgalambro (e anche nel suo caso, Battiato qualcosa modificava). Questo attenua la sensazione di snobismo che avevo sempre avvertito nel verso finale: no Battiato, io le aquile camminare non le ho mai viste, dovrei?
Anche dopo questa revisione, la lirica delle Aquile rimane sensibilmente diversa da quelle del resto di Patriots, che sembrano tutte più o meno prodotte da un generatore automatico di testi ironici postmoderni: niente cut and paste qui, niente namedropping: quella che Battiato vuole descrivere (ispirandosi alla Jaeggy) è un'esperienza epifanica, una rivelazione contenuta in un episodio del suo passato. È una corrente sotterranea della sua ispirazione che avevamo visto affiorare per la prima volta con Aries, e che a partire dall'Era del cinghiale bianco può scorrere indisturbata e regalarci alcune delle migliori canzoni del periodo, così come Le aquile è una delle migliori canzoni di Patriots. Il segreto del fascino non è tanto nell'epifania in sé, quanto nello scontro tra il sublime della rivelazione e i dettagli prosaici che la circondano, e che Battiato annota con un gusto crepuscolare (se non già montaliano): le cavigliere ortopediche, le ore in palestra. Musicalmente, è la cavalcata a cui il violino di Giusto Pio si allenava dai tempi di Adieu.
1991: Oh Sweet Were the Hours (#196)
E pur se furtivo, il sole d'autunno / è assai più prezioso del sole di giugno. L'ultima traccia di Come un cammello in una grondaia è un Lied di Beethoven, ma alla fine Lied vuol dire "canzone" e in particolare Oh Sweet Were the Hours è tratta dall'Opera 108, una raccolta di venticinque canzoni scozzesi. Perché oltre alle sinfonie e alle sonate che tutti sappiamo, Beethoven si era anche posto il problema di riscoprire e tramandare le tradizioni musicali popolari, da bravo romantico: i fratelli Grimm raccoglievano le fiabe, lui raccoglieva le canzoni. Duecento scarsi anni dopo, invitato a un festival di musica classica a Fermo, Battiato riprende il mano il Lied e con il coraggio spudorato del neofita ne scrive una nuova orchestrazione (quella di Beethoven era troppo intima, una cosa per pianoforte violino e violoncello, lui voleva più archi). Cosa gli stava dicendo il cervello? Se voleva dimostrare al pubblico di essere un musicista colto, una canzone scozzese su quant'è buono il vino non era la scelta migliore. Ha più senso il contrario: Battiato vuole giustificare a sé stesso il fatto che Gilgamesh non gli sta venendo un granché e alla fine tra la musica colta e le canzoni sta scegliendo queste ultime. Coi Lied del Cammello è come se Battiato spiegasse al suo Superego, lo vedi? Anche Wagner scriveva canzoni, anche Brahms, Beethoven addirittura le scopiazzava agli scozzesi avvinazzati: se le facevano loro, anche noi due possiamo. Da qui in poi i riferimenti alla musica romantica non serviranno più per spiazzare l'ascoltatore (come ai tempi di Per Elisa), ma per garantirgli di trovarsi di fronte a un'esperienza culturale con tutti i crismi. C'è una luce in fondo alla grondaia, ma purtroppo è una lampada Biedermeier. Franco Battiato sta per entrare nella sua fase Kitsch.
1995: Gesualdo da Venosa (#189)
Io, contemporaneo della fine del mondo non vedo il bagliore, né il buio che segue, né lo schianto, né il piagnisteo, ma la verità da miliardi di anni farsi lampo. Sotto gli stucchi Sgalambro non è poi così enigmatico, ovvero se qualcuno non si è fatto un po' di ossa con la vera poesia del '900 può anche spaventarsi ma davvero: qui dopo questa bella introduzione c'è un vero e proprio tropo della letteratura pop postmoderna, la "lista di Isaac": un elenco di manufatti artistici che rendono la vita degna di essere vissuta. Il rischio – se non si possiede la leggerezza del Woody Allen di Manhattan – è quello di apparire dei pretenziosi collezionisti di esperienze estetiche e Sgalambro ci casca in pieno: si parte col Concerto n, 4 in Do minore di Baldassarre Galuppi, si prosegue con Ornithology di Charlie Parker, si finisce con i madrigali di Gesualdo di Venosa, che certo ha ucciso la moglie, ma "cosa / importa? Scocca la sua nota, dolce come rosa". Questa, se a qualcuno interessa, è l'opinione di Sgalambro su come si debba fruire delle opere d'arte dei femminicidi, un argomento che ci appassiona molto più oggi che nel 1995. Nell'Ombrello e la macchina da cucire Battiato sembra fin troppo contento di scaricare su Sgalambro l'incombenza delle liriche: lui è interessato ad altro, nel suo studio di casa si è rimesso a fare elettronica e (per fortuna) non ha intenzione di trasformare il namedropping di Sgalambro in una vera insalata musicale: niente Galuppi, niente Parker, niente Venosa, la canzone segue il pattern tipico dell'Ombrello, prima entra il solista, poi la sezione ritmica e il coro, e a volte, come in questo caso, il soprano Hiroko Saito aggiunge una coloritura estremo-orientale.
1999: Aria di neve (testo e musica di Sergio Endrigo, #61)
17. Da quando sei andata via non esisto più
02-06-2022, 07:35Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è La Gara delle canzoni di Battiato, con una delle sfide più combattute fin qui: non solo tra Sesso e Castità, ma tra Sesso, Castità e Cuccurucucù. Chi vincerà?]
1978: San Marco (#253)
2004: Tra sesso e castità (#125)
Scorrono gli anni, nascosti dal fatto che c'è sempre molto da fare. Questo è un colpo basso, vero? Tra sesso e castità è uno dei brani più forti di Dieci stratagemmi, il disco probabilmente più interessante del tardo Battiato. Ha un testo che se non dice davvero niente di nuovo – il conflitto tra il desiderio e lo spirito, lo struggimento per un perduto amore e la necessità di astrarsi – lo dice proprio bene, con quell'ardimento lessicale che sulle labbra di chiunque altro suonerebbe ridicolo e invece sulle sue è necessario ("chissà perché avrò abdicato") e poi ha quel rivestimento rock che piace a noi giovani (del futuro). Quale bizzarria del destino, quale buco nell'algoritmo manda a sbattere un brano del genere contro un pezzo inaffondabile come Cuccurucucù? Allora, ecco, vi ricordo che l'algoritmo si basa sul ranking, e che quest'ultimo, in mancanza di altri dati, è basato esclusivamente sul numero di ascolti di Spotify. Capita dunque che mentre Cuccurucucù risulti la quarta canzone di Battiato più ascoltata dagli spotiffari (e non sorprende), Tra sesso e castità, che ai tempi dell'uscita ebbe un discreto airplay, si ritrovi alla... centoventicinquesima posizione. Sì, è abbastanza strano. Ingiusto, anche. Probabilmente Tra sesso si è ritrovata esclusa dalla heavy rotation che Spotify programma quando l'utente medio chiede brani a caso di Battiato. (Che c'entri la parola "sesso"? Gli algoritmi a volte sono bacchettoni). Ma in linea di massima il dato conferma una sensazione, ovvero che il tardo Battiato, per quanto celebrato dai media tradizionali e trattato con una certa deferenza persino dalle radio commerciali, alla fine fosse poco ascoltato. Non poco apprezzato: quando usciva con un disco nuovo eravamo tutti contenti e lo trovavamo sempre generalmente in forma. In particolare ammiravamo il coraggio con cui continuava a circondarsi di giovani (qui i padovani FSC) e a giocare con lo stereotipo che si era ritrovato addosso. Era ormai un rito applaudire fino a spellarsi le mani. E rimettersi quasi subito ad ascoltare la Voce del padrone.
2012: Il serpente (#132)
Il denaro striscia come il serpente nelle città d'occidente. Così si celebra: ma da qualche parte un uomo nuovo sta nascendo. Apriti sesamo è un disco testamentario e soprattutto verso la fine si avverte quanto sia faticoso per FB doverci lasciare almeno una nota di speranza. Il serpente è uno dei brani più intimi dell'album – uno di quelli che FB potrebbe essersi composto e arrangiato in casa. Con voce tremante – e toccante – Battiato racconta una visione che purtroppo, come succede ai predicatori new age, assume colori e forme un po' naif ("Un raggio di luce attraversò un cielo nero e minaccioso andando a illuminare un albero di ciliegio in fiore").
16. E tu passavi appena le sottili dita sul prepuzio
01-06-2022, 07:56Battiato, la Gara, musicaPermalink[Benvenuti alla Gara delle canzoni di Battiato, oggi col Battiato prog più bombastico, col Battiato avanguardista più minimale, col Battiato erotico più spinto, col Battiato interprete più ridondante].
1973: Areknames (#41)
Pianeta Terra: le nuove metamorfosi, frontiere della mente. Ami, se mancherà (il testo di Areknames, cantato al contrario, o perlomeno la parte che qualcuno è riuscito a decifrare). Areknames è il riff più bombastico del Battiato '70, il brano che che lo conduce a un bivio: ora che ha domato quella belva che è il VCS3, ora che è in grado di tirarne fuori riff orecchiabili e maestosi, cosa deve fare: diventare la star del prog italiano, la variante locale dei Pink Floyd, o continuare a spiazzare il pubblico sperimentando altre cose? Battiato prenderà la seconda strada senza esitazioni, e Pollution rimane paradossalmente sia il suo disco '70 più accessibile, sia il più datato: Areknames è veramente un brano che doveva avere un effetto potente ai concerti del periodo, ma che oggi soffre molto più di altri l'obsolescenza degli strumenti elettronici. A meno di non far parte di quel tipo di ascoltatore che, scoprendo Pollution almeno 15 anni più tardi, non lo apprezzava proprio a causa di questa obsolescenza, che conferiva ad Areknames, ristampato con tanto fruscio su una musicassetta Ricordi, il fascino dei reperti archeologici (per molto tempo devo aver pensato che fosse il nome di un faraone, e che Battiato stesse cantando in geroglifico o in caldeo).
1977: Zâ (#216)
Zâ è il primo lato di un disco che secondo alcuni si chiama proprio Zâ, e secondo altri Battiato, ed è forse il suo disco più... stavo per scrivere difficile, ma è poi così difficile capire un pezzo come Zâ? Un pianista (Antonio Ballista) suona un accordo a intervalli regolari: lo suona così forte che si può dire stia percuotendo il pianoforte (che è anche questo: uno strumento a percussione). Lo suona in modo così metodico e regolare che ben presto quello che diventa più interessante non è il suono della percussione primaria, ma quello del rilascio, ovvero la vibrazione che rimane sui martelletti nel momento in cui Ballista stacca la mano dai tasti. A volte (di rado) cambia il tempo, a volte (di rado) cambia l'accordo. Battiato nelle note di copertina si spiega così: "Apparentemente povero. Quasi completamente formato da un accordo. Volutamente percussivo (non viene mai usato il pedale di destra), divide e sottrae risonanze, con una tecnica di rilascio. Ha bisogno di un ascolto che definirei meta analitico, a favore di una non spazialità atemporale". Quest'ultima cosa rimane un po' ostica, ma Zâ non è un'opera enigmatica. FB non vuole stupirci, non vuole scioccarci, né prendere in giro le nostre attese di ascoltatori. Vuole soltanto far battere dei martelletti e sentire il suono che fanno quando si rilasciano. Zâ, se vuol dire qualcosa, probabilmente vuol dire: fine e inizio. Per molto tempo Battiato è andato in giro con un ritaglio di una rivista nel portafogli, un'intervista a Stockhausen in cui il compositore avanguardista faceva il nome di Battiato come di un giovane da tener d'occhio. Poi finalmente lo ha incontrato e qualcosa non è girato per il verso giusto: il maestro d'elezione ha scoperto che l'allievo non sapeva leggere una partitura. Battiato, che fino a quel momento aveva testardamente perseguito una carriera da autodidatta, decide di studiare solfeggio, armonia e composizione perché (gli aveva detto Stockhausen) non avrebbe potuto continuare a fare del "pop" a quarant'anni. In effetti Zâ è il primo vero brano in cui Battiato non suona nulla: ma se l'esecuzione è demandata a Ballista, evidentemente esiste una partitura, una delle prime scritte da Battiato. Il minimalismo di Zâ va incontro a un certo gusto del tempo – FB ha ascoltato Einstein on the Beach di Wilson e Glass alla Biennale del 1976 – ma è anche una scelta obbligata per un compositore che sta ancora imparando a comporre. La sua prima opera è poco più di una riga ritmata su una pagina bianca.
2002: Come un sigillo (con Alice, testo di Manlio Sgalambro, #169)
E tu passavi appena le sottili dita sul prepuzio, poi sfioravi il glande e i sensi celebravano il loro splendore. Ok, questo Battiato senza Sgalambro non l'avrebbe fatto: descrivere una sega nel modo più delicato possibile. E allo stesso tempo Sgalambro non sarebbe mai riuscito a rendere credibile la cosa, se a cantarla non fosse stato Battiato con quel timbro nasale e rapito che depura ogni verso dalle sue morbosità – Battiato è l'anti-macho per eccellenza, solo lui poteva essere protagonista di quel famoso aneddoto in cui Loredana Berté in aeroplano gli mostra le tette e lui: "Loredana, ti dirò la verità, sono bellissime", Battiato è libero di celebrare l'erotismo perché ha vinto in sé la concupiscenza, o almeno è riuscito a darci questa impressione.
L'erotismo letterario poi molto spesso calca la mano, si dà per scontato che il sesso sia un'impresa muscolare e che la scrittura debba trattenere questo sforzo o mimarlo, laddove a volte sono proprio certe esperienze acerbe, e brevi, e delicate, a restare impresse per tutta la vita. Come un sigillo è l'unico brano inedito di Fleurs 3 e serve come trait d'union tra due brani che non si potrebbero immaginare più diversi: Sigillata con un bacio, da cui si riprende il tema del sigillo che però qui Sgalambro ricollega al Cantico dei Cantici di Re Salomone ("mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio") e Beim Schlafengehen, un Lied di Richard Strauss con testo di Herman Hesse. Il che ci autorizza una volta di più a usare per quest'area della produzione di Battiato il termine midcult: è lo stesso Battiato a porsi a metà tra una canzone per teenager su un amorazzo estivo e un Lied di Strauss. La cosa più interessante del brano è l'impasto delle voci di FB e Alice, che qui si dimostrano realmente complementari: a una voce maschile alta risponde una voce femminile bassa (in certi punti veramente Alice è il basso e Battiato il falsetto). Cantano perlopiù all'unisono, creando davanti all'ascoltatore l'illusione dell'ermafrodito platonico che rimpiange l'era in cui Zeus ancora non l'aveva spezzato.
2008: Era d'estate (Endrigo-Bardotti, #88)
15. L'abisso non mi chiama, sto sul ciglio
31-05-2022, 07:17Battiato, la Gara, musicaPermalink[Benvenuti alla Gara, il più grande torneo di canzoni di Battiato mai disputato e mai disputabile, oggi con Brunelleschi, Rodolfo Graziani, Isidore Ducasse e Paolo Conte. Ma anche con Giusto Pio, Giuni Russo, Manlio Sgalambro e Caterina Caselli].
1978: Su scale (per voce, coro e due pianoforti) (#233)
Su scale comincia con una cascata di scale pianistiche che ci ricordano due cose: (1) in quel periodo FB stava re-imparando la musica, nel senso che dopo l'incontro con Stockhausen aveva accettato di dover almeno capire come si legge uno spartito, farsi un minimo di cultura convenzionale e (2) Juke-box era nato come una colonna sonora di un film di Brunelleschi, per cui è inevitabile immaginare le "scale" non solo come quelle interminabili impartite agli studenti, ma come quelle delle ciclopiche impalcature di Santa Maria del Fiore, la prima sfida al cielo del Rinascimento. Nella seconda parte entrano le voci, e se quelle in sottofondo tutto sommato sembrano rispettare le convenzioni della musica occidentale, il solista è evidentemente in un altro mondo: si tratta forse del primo tentativo di Battiato di introdurre nella sua musica un tipo di vocalità orientale.
FB non ha mai smesso di ricordare che Juke-box era da considerarsi una colonna sonora: persino nel suo sito internet, messo on line molti anni dopo, si legge a chiare lettere che l'album era nato per questo motivo. Qualcun altro avrebbe avuto tutto l'interesse a far passare il rifiuto sotto silenzio, ma per Battiato evidentemente l'unico senso dell'album era questo.
1989: Lettera al governatore della Libia (con Giuni Russo, #105)
Carico di lussuria si presentò l'autunno di Bengasi. La prima facciata di Giubbe rosse è anche un atlante del mondo battiatesco: al centro la Sicilia (Giubbe Rosse), a nord l'Europa (Alexander Platz), a est la Mesopotamia, al sud l'Africa coloniale che torna in tante canzoni di FB come una Sicilia aumentata, un luogo ambiguo di rimpianti e pulsioni inconfessabili. Sin dai tempi dell'autista dei camion in Abissinia di Aria di rivoluzione, figura evidentemente ispirata al padre, non è mai chiaro cosa voglia fare FB con questo album di ricordi non suoi, ricordi ereditati ai quali forse vorrebbe cambiare il significato. Lettera al governatore sembra il ricordo di una famiglia italiana che si trasferisce in un quartiere coloniale del capoluogo cirenaico aspirando al benessere della classe dominatrice, ma non può impedirsi di vedere la fragilità di tutto l'impianto. La versione di Giuni Russo del 1981 sprizza tuttora la vitalità di quel periodo particolare – la chitarra di Radius, il violino di Giusto Pio – la versione live del 1989 regge il confronto, anche perché la Russo è ancora dietro il microfono e può vocalizzare a piacere.
1995: L'ombrello e la macchina da cucire (testo di Sgalambro, #152)
Chiacchiero col vicino, lei non ha finezza: non sa sopportare l'ebbrezza. Sto riascoltando dopo anni L'ombrello e la macchina da cucire e devo dire che è una bella sorpresa, al tempo mi sembrava quasi inascoltabile e invece le basi elettroniche hanno retto il tempo molto bene: anche l'impasto tipicamente battiatesco coi cori campionati da quell'opera (Il cavaliere dell'intelletto) che non ha mai voluto incidere. La nota dolente sono sempre i testi di Sgalambro, quell'insalata di riferimenti colti di seconda mano che in fondo anche Battiato sapeva fare, salvo che a Battiato riusciva meglio, va' a capire il perché: forse perché era chiaro sin dall'inizio che non faceva sul serio, laddove Sgalambro sembra persuaso che cominciare con una citazione del conte di Lautreamont e finire con Joyce sia una buona idea per realizzare un testo ispirato. E sono quasi tutti riferimenti di seconda mano, ovvero citazioni che sono già state citate da qualcuno e che il lettore midcult sapeva riconoscere anche prima dell'avvento di google: di solito era sufficiente una saltuaria frequentazione degli inserti culturali sui quotidiani. Invece "Che cena infame stasera, che pessimo vino" mi ricorda una frase molto simile che in Boris (il film) veniva usata come esempio di scuola di cattiva scrittura cinematografica – ecco, appunto. Devo capire se Battiato ha registrato anche una versione spagnola del disco perché probabilmente l'ascolterei con meno fastidio (ed è già la seconda volta dopo Piccolo pub che Manlio "filosofo" Sgalambro compare alticcio a un tavolino).
2002: Insieme a te non ci sto più (Conte-Pallavicini, #24)
14. Io t'ho amato sempre non t'...
30-05-2022, 07:35Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è la Gara, ovvero una gara di canzoni di Franco Battiato. Oggi in lizza quattro brani tra cui due di Fabrizio De André, uno degli artisti che ha più amato e interpretato].
1995: Piccolo pub (testo di Manlio Sgalambro, #201)
"Nel '43, ero malato, vidi tutta la mia vita sudato, scorreva finita". Una cosa che tendo a dimenticare è che tra Sgalambro e Battiato c'erano pur sempre 21 anni di differenza, una generazione. Se la cosa si nota meno di quanto si potrebbe è anche perché dei due è spesso l'anziano a parlare più sboccato. È tipico associare Sgalambro a quel lessico barocco che però era un marchio di fabbrica del prodotto-Battiato molto prima che i due s'incontrassero – davvero, Battiato non aveva avuto bisogno di Sgalambro per cantare "codici di geometrie esistenziali" o "lo shivaismo tantrico di stile dionisiaco". Né la lirica sgalambriana ha mai raggiunto quei livelli: in compenso dopo averlo incontrato Battiato ha incluso nel suo lessico termini come "puttana", oppure in questa canzone si è concesso una divagazione filosofica sulla pisciata nel bagno di un esercizio pubblico. "Birra e urina si scambiano le parti: la latrina è il tuo caveau. Liquido vitale scorre in entrambe". Sembrano veramente i pensieri sciolti di un filosofo alticcio alla terza pinta, che si congeda dagli amici dicendo "ci vedremo domani se la notte non fa il suo colpo stanotte": un po' ridondante ma espressivo – se FB non scegliesse di ripetere il verso tre volte nella canzone, dando una sensazione come di rincoglionimento (la musica però è buona).
1999: Amore che vieni, amore che vai (De André, #56)
Il primo Fleurs è, tra le altre cose, un prodotto piazzato con un tempismo pauroso; certo, potrebbe anche essere successo per caso, ma è un fatto che le ceneri di Fabrizio De André erano ancora calde e milioni di italiani stavano giusto scoprendo di averlo sempre amato. Si erano messi a chiamarlo per nome, anzi "Faber", come l'amico-fragile che all'improvviso rimpiangevano. Terminava un processo di canonizzazione che era iniziato una decina d'anni prima, dalle Nuvole: perché fino a quel momento De André era sempre riuscito a eludere il passaggio da solito stronzo a venerato maestro. Pochi mesi dopo Battiato sceglie per il suo primo disco di cover due classici del De André più intimista (e meno controverso): giusto in tempo per prenotarne almeno uno per il concerto-tributo che si tiene a Genova il 12 marzo dell'anno successivo. Quando arriva sul palco Battiato insomma dovrebbe trovarsi in discesa: il brano lo conosce, lo ha appena inciso, e il pubblico lo ha già ascoltato nella sua versione: cosa può andare storto? Accade invece che a Battiato, un professionista con decenni di concerti alle spalle, si mozzi il fiato a metà di un verso, in un moto di commozione così spontaneo che il pubblico lo riconosce immediatamente (e applaude). Ed ecco un'altra ipotesi su Fleurs: invecchiando si diventa sentimentali, basta una vecchia canzone per spremerci una lacrima, la gente penserà che la colleghiamo a questo o quell'amore finito ma non è necessariamente così. A volte è la semplice verità del brano, così lucida che taglia: io ti ho amato sempre, non ti ho amato mai. L'amore è pensare per tutta la vita a una persona di cui non sai più niente da anni, a questo punto potresti persino telefonarle, non sarebbe certo molestia volerla sentire una volta in trent'anni ma ti rendi conto che no, in realtà tutto quello che vorresti dire a lei non lo vuoi dire alla lei di adesso, tutto questo amore che provi ha ormai ben poco a che fare con quella lei che risponderebbe al telefono, l'hai amata sempre, non l'hai amata mai, uno poi pensa che mentre piangiamo siamo buoni ma è il contrario, si è sempre soli con le proprie lacrime, è sempre e solo per noi stessi che piangiamo.
2007: Stati di gioia (#184)
"Era l'estate del '63, un pomeriggio assolato. Da un juke-box di un bar completamente vuoto: She loves you ye ye ye. Ommmm". È un tratto comune a molti della sua generazione: l'ascolto dei Beatles come uno choc primario, qualcosa che modifica per sempre la percezione. Succede a Bob Dylan (classe 1941) e succede a FB (1945). Il primo era già un folksinger affermato, il secondo un diciottenne che nella vita avrebbe suonato tutt'altro (ma lascia perplessi che i jukebox siciliani fossero già aggiornati alle novità inglesi). Eppure per entrambi – e tanti altri – i Beatles tracciano un solco. Posto che per apprezzare Stati di gioia conviene comunque ascoltare la versione studio del Vuoto, stavolta preferisco mostrare questo video di uno spettatore che è riuscito a inquadrare Battiato da vicino mentre la canta. Non per come la canta – il fiato cominciava a mancargli – ma perché, accidenti, è felice. È una persona che ha scoperto la gioia da ragazzino ed è riuscito a non dimenticarsene, a mettere insieme gli indizi finché non l'ha ritrovata, e quando l'ha ritrovata ha cercato di spiegare a tutti come si fa. Ha a che vedere con la meditazione ma anche con una canzoncina per teen-ager. Io non so nemmeno se mi piaccia, una canzone come Stati di gioia, e in generale sui suoi ultimi dischi sospendo il giudizio, era ancora bravo, ispirato? Era felice, questo importa. Forse a un certo punto non lo ascoltavamo nemmeno più: non importava cosa cantasse, l'importante era vederlo felice, saperlo felice.
2009: Inverno (#73)
13. Coatti nella convivenza affrontiamo il progresso
29-05-2022, 07:53Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è La Gara, una competizione di canzoni di Battiato, cioè tipo che siete in cima a una torre con quattro canzoni di Battiato e dovete buttarne giù tre. Meno divertente di quel che sembra, in effetti]
1967: La torre (#248)
GABER: Ma insomma, si può sapere cosa vuoi tu?
BATTIATO: Cosa voglio? Sbattervi giù dalla torre!
La storia è ormai nota: quella sera a Diamoci del tu Caterina Caselli presentava un artista promettente, relativamente conosciuto per le canzoni che aveva scritto per l'Equipe '84, di taglio cantautorale, molto riconoscibili rispetto al resto del loro repertorio: Auschwitz, Dio è morto (quando sente i titoli il pubblico applaude). Si chiamava semplicemente Francesco, come oggi i concorrenti a X Factor, e la Caselli spiega che il suo genere è la "folksong". Ma nella stessa puntata anche Gaber, il copresentatore, aveva una sua giovane promessa da presentare: un giovanotto dinoccolato che per l'occasione deve rinunciare al suo nome di battesimo, dato che si chiamava Francesco pure lui. Da lì in poi si chiamerà Franco Battiato, anche per sua madre. A differenza dell'altro Francesco, Battiato non ha nessun titolo con cui impressionare il pubblico: gli unici dischi che ha inciso sono un paio di 45 giri di cover per una rivista enigmistica che li acclude al numero in edicola; Gaber l'ha scovato in un'osteria dove cantava canzoni siciliane spacciandole per medievali. La torre è un brano molto acerbo, che declina un certo atteggiamento scostante di marca esistenziale con un ritmo trascinante da marcetta, alla Anthony: insomma due tendenze di segno opposto, ma entrambe di provenienza francese, mescolate assieme nella speranza che funzionino e col senno del poi sembra abbastanza chiaro che no, non possono funzionare le lagne e le marcette nello stesso brano. Era un esperimento, in quegli anni le si provavano un po' tutte e anche un buco dell'acqua non era una tragedia. Battiato avrebbe potuto scomparire di lì a poco come centinaia di altri. Persino l'altro Francesco (Guccini) avrebbe potuto scomparire: malgrado gli applausi, il suo primo album da folksinger (per la Voce del padrone!) vendette 500 copie, oggi ci vai in top100 ma ai tempi erano pochissime. Conteneva tra l'altro un brano che sembra la parodia del Battiato della Torre, l'Asociale: "sono un tipo antisociale / non m'importa mai di niente / non m'importa del giudizio della gente... in un'isola deserta / voglio andare ad abitare / e nessuno mi potrà più disturbare". Cioè è davvero la stessa cosa che canta Battiato, ma senza marcette fuori luogo e con tanta ironia in più. Però il brano era già uscito su un 45 giri l'anno prima, quindi no, Guccini non stava prendendo in giro Battiato. Al massimo stava canzonando un atteggiamento, un mood che al tempo di Battiato era già un luogo comune.
1982: Radio Varsavia (#9)
L'ultimo appello è da dimenticare. Nel 1982 Battiato è letteralmente la Voce del padrone. Ha osato tanto, ha vinto il banco, ha venduto più dischi di tutti e ora può fare quel che vuole. Quel che vuole è prendere immediatamente le distanze da quel tipo di successo: gli artisti a volte fanno questo tipo di cose, all'inizio sembra un impulso autodistruttivo ma sulla media-lunga distanza ti impedisce di diventare schiavo di un trend o legato a un singolo momento della storia del costume. Il nuovo disco deve assolutamente suonare diverso dalla Voce del padrone, anche se tutto questo tempo per inventarsi cose nuove non c'è e quelle vecchie continuano a vendere e a farsi sentire in radio. Tutto questo sin dai primi subliminali istanti: La voce cominciava con un rumore di onde, L'arca col fruscio del vento nel deserto su cui incombe per un magico istante un suono di fine del mondo, forse un campionamento orchestrale del Fairlight sovrapposto a un coro dei Madrigalisti di Milano. La voce ti sparava subito un 5/4 disorientante: L'arca inchioda l'ascoltatore a un più tetragono 4/4. La voce cominciava col miraggio di un'estate infinita, l'arca con le istantanee notturne di qualcosa di un colpo di Stato: i volontari laici scendevano in pigiama per le scale per aiutare i disertori. Questa non è la Mesopotamia o Atlantide, questo è il colpo di Stato di Jaruzelski del 1981, è cronaca ancora fresca di stampa: qualcosa che i cantautori di quel periodo avevano imparato a rifuggire come la peste perché allontanava sia i clienti moderati che quelli radicali. E malgrado nella terza strofa FB rimescoli le carte cianciando di commercianti punici e di Abissinia, il senso è molto più chiaro del solito ed è ribadito alla quarta stanza: la Cina era lontana, l'entusiasmo per il movimento operaio non è più sostenibile, il comunismo ha smarrito la sua spinta propulsiva, se non nell'economia almeno nell'immaginario. Questo nel 1982 non era poi così facile da accettare: qualche anno prima Battisti si era guadagnato una nomea di cantante di destra per molto meno. La stessa nomea, puntualmente, piombò su FB, che da un punto di vista ideologico sembrava già compromesso: un lettore di Gurdjieff e Guenon, un frequentatore di Calasso, nel 1982 non poteva che appartenere alla "nuova destra". Forse anche per questo motivo l'Arca incassò molto meno, e se oggi Radio Varsavia sembra una canzone molto meno ambigua, ed è una delle sue più apprezzate (su Spotify è la nona canzone di Battiato più ascoltata in assoluto) è perché abbiamo accettato che il comunismo reale negli anni '80 era davvero una grondaia arrugginita pronta a cadere di schianto, inoltre abbiamo fatto la pace con le ambiguità ideologiche dei cantautori, e soprattutto un certo modo di abbellire le canzoni evocando souvenir delle ideologie del passato dopo Radio Varsavia ha fatto scuola: nello stesso 1982 dell'Arca di Noè compare in qualche negozio di dischi un oggetto strano, non si capisce se il gruppo si chiama CCCP o Fedeli alla linea.
1983: Gente in progresso (musica di Battiato e G. Pio, #120)
Secondo Giulia Cavaliere, Orizzonti perduti è "l’album più profondamente milanese della storia della musica italiana" e io le credo. È senz'altro un disco sospeso tra sede e fuorisede, tra "il nord" e "giù", un presente frenetico e un passato idealizzato. Alla pendolarità geografica corrisponde quella stagionale e non è un caso che Gente in progresso, la canzone più milanese del mazzo, cominci in settembre e finisca in primavera: è il calendario della gente "che lavora per avere un mese all'anno di ferie". Il mantra Hare Krishna che spunta tra un ritornello e la strofa non sconfigge quella sensazione asettica, ambulatoriale, evocata dall'arrangiamento elettronico: più di un canto di liberazione sembra la litania di qualcuno che "nelle fabbriche, nei negozi, dietro a scrivanie" cerca di lenire l'alienazione con la meditazione. In tanti altri momenti della carriera di Battiato, Gente in progresso sarebbe diventato un classico. Ma nell'83/84 non fa nemmeno uscire un singolo, e poi comunque in tv vanno i videoclip della Stagione dell'amore e di Mal d'Africa. Negletta anche dalle scalette dei concerti, Gente in progresso resta uno dei migliori risultati del Battiato elettropop che riesce a insufflarci una sottile nostalgia anche per quei settembri dolceamari in cui proviamo ogni volta a programmare un anno migliore, prima che la pioggia e la routine prendano il sopravvento.
1988: Zai saman (#137)
"Come una volta andiamo a visitare la famiglia, guarda com'è grande il ragazzo, guarda la gente come raccoglie i fiori" (traduzione del ritornello). In un disco complessivamente tranquillo e delicato come Fisiognomica (a un certo punto stava per chiamarsi L'Oceano di silenzio), Zai Saman è di gran lunga il momento più frastornante, quello in cui FB si alza dal tappeto di preghiera e ordina agli orchestrali: 1,2,3, casino. Gli orchestrali nel frattempo sono tutti cambiati e Zai Saman è forse il brano in cui più rimpiangiamo i vecchi, perché il nuovo casino non ha la brillantezza dei momenti più giocosi di Patriots o dell'Arca, e nemmeno di Mondi lontanissimi. Cambi di tempo, cambi di lingua, cori e chitarre in fiamme (ma i cori non sono più i Madrigalisti e si sente, le chitarre non sono più di Radius e si sente), ogni senso della misura è allegramento abolito e per almeno tre minuti sembriamo di nuovo in presenza del Battiato giocoso e scavezzacollo. Anche il testo non sa bene dove andare: un ricordo del passato, un ricordo dell'amore, o un compianto per la fine dell'occidente? E almeno stavolta lo ammette: sì, l'occidente soffocherà "per ingordigia e assurda sete di potere", ma dall'Oriente non aspettiamoci che "orde di fanatici".
12. Non si erano mai viste code tanto grandi, tanto lunghe
28-05-2022, 07:41Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è La Gara, questo è un torneo di canzoni di Battiato. Qualcuno ne ha sentito il bisogno. Voi no? Cliccate altrove. Se invece volete votare, si vota qui].
1973: Beta (#40)
Son felice di essere un Beta. Il mio giorno non è duro. Dentro il mare mi posso vestire, dai Gamma e dai Delta farmi ubbidire. Nel Mondo Nuovo i Beta sono gli impiegati, il ceto medio che deve convincersi di essere felice (questa cosa che sia in Orwell sia in Huxley lo Stato sia totalitario nella misura in cui mesmerizza il ceto medio meriterebbe un ulteriore approfondimento, ma non è questa la sede). Per questo i Beta vengono condizionati sin dalla culla, anche mediante l'ascolto di nastri registrati che Battiato qui tenta di riprodurre – perché i Beta alla fine sono anche il target della musica leggera anni '70, una massa di sedicenti rivoluzionari che non vedono l'ora di infilarsi nella nicchia di un posto fisso. (Qualche anno più tardi, agli stessi Beta mezzi addormentati Battiato canterà, subdolamente: sei un essere speciale e io avrò cura di te). È interessante che la prima volta che Battiato mette per iscritto un mantra, questo consista in una serie di frasi mistificanti. Poi parte una improvvisazione intorno al tema di Areknames, con basso batteria e pianoforte e Battiato che fa versi inquietanti con l'eco, una cosa che potrebbe veramente stare in Ummagamma e nessuno noterebbe una grande differenza – nessuno è previsto che rimanga sveglio mentre ascolta Ummagamma e forse anche Beta era concepito da Battiato per addormentarci e continuare a ipnotizzarci subliminalmente. Fino al recitativo finale, una domanda che mi tormenta da ancora prima che l'ascoltassi: "Dentro di me vivono la mia identica vita dei microrganismi che non sanno di appartenere al mio corpo... Io a quale corpo appartengo?"
1982: L'esodo (testo di Tommaso Tramonti (Henri Thomasson) #89)
Fine dell'imperialismo degli invasori russi, e del colonialismo inglese e americano. Dalla prima volta che ho ascoltato quella canzone formarsi all'orizzonte del mio udito (attraverso le pareti che mi separavano dal ghettoblaster di mio cugino), spuntare come dalla nebbia di quell'accordo infinito di synth, L'esodo è stata la mia canzone. Di fini del mondo Battiato ne ha scritte tante, ma questa è la più precisa e contingente, questo è come il mondo potrebbe davvero finire: non con un bang ma con una coda immensa (moltitudini, moltitudini) che si perde nella polvere, nella nebbia, nell'accordo dell'armageddon. I madrigalisti di Milano sembrano sospesi sull'arrangiamento come gli angeli dell'apocalisse in un angolo del quadro. Mamma mia che festa. Mantengo la mia posizione: L'arca di Noè è il più grande disco di Franco Battiato. Non che questo avrà importanza, nel giorno della fine.
1996: Serial Killer (#168)
No non voglio farti del male, fratello mio, non credere perché ho un coltello in mano e tu mi vedi quest'arma a tracolla e le bombe che pendono dal mio vestito come bizzarri ornamenti, collane di scomparse tribù. Non avere paura perché porto il coltello tra i denti e agito il fucile come emblema virile. Non avere paura della mia trentotto che porto qui sul petto... Allora, Sgalambro, questo è ridicolo. Cioè lo so dove vuoi andare a parare, lo capisco, posso anche apprezzare l'idea complessiva, il finalino a sorpresa e a morale (Di questo invece devi avere paura: io sono un uomo come te), però questo personaggio di sogno col coltello, e le bombe che pendono, e il coltello tra i denti, e il fucile, se uno ha una fantasia un minimo visiva come se lo deve immaginare, se non come un bozzetto di Andrea Pazienza, ma di quelli disegnati col pennarello grosso per farsi una risata? Io veramente non ci riesco, non riesco a prenderti sul serio, e nemmeno a ridere quando scherzi, e tutti questi tuoi rimandi culturali che servono a far capire che non sei un signor nessuno, che hai studiato, a mettere in soggezione l'ascoltatore, cioè me? Cioè io dovrei nutrire soggezione perché se dici "sogno pomeridiano" soggiungi subito "di un fauno"? Ma per favore: e quel che mi fa più rabbia è che la musica qui c'è, Battiato sembra in forma, si capisce che vuole fare qualcosa di complesso ma popolare, tentare nuove strade ma ascoltabili, aggirare la dittatura contemporanea della dinamica schiacciata, cominciare piano, esplodere e smorzarsi, tutto molto interessante ma non riesco ad ascoltarlo, ti giuro, per vent'anni non sono riuscito ad ascoltare L'imboscata perché le tue poesie sono stuccatissimi specchietti per allodole e io non dico di essere un'aquila, neanche un falco, ma un'allodola no. Quanta musica buona ha buttato via FB cercando di musicare le tue cianfrusaglie, non ti perdonerò mai, non me lo spiegherò mai. Scusate.
2011: Svegliami domani (con Cinzia Fontana #217)
Uno degli episodi meno noti della carriera di Franco Battiato è questo featuring del 2011 con la cantautrice padovana Cinzia Fontana, che per l'occasione sfoggia nelle strofe un timbro rauco che non può ricordare quello di Alice. Più in generale siamo davanti a un caso da scuola di Battiato-exploitation, ovvero di un brano costruito per attirare l'ascoltatore di Battiato, con una serie di stilemi che lo faranno sentire a casa. È uno stratagemma a cui FB si presta con generosità ma la canzone ha comunque qualcosa che non va – un evidente sbilanciamento tra le strofe e il reiteratissimo ritornello. Sono canzoni che vale la pena di osservare, ogni tanto, per capire quant'è difficile ottenere quell'equilibrio che quando ascolti un Battiato sembra sempre così naturale e spontaneo. Dopodiché mi sono già pentito di averla inserita, ho scartato altre canzoni molto più battiatesche (anche se non attribuite ufficialmente a lui: niente Osage Tribe, niente Genco Puro); ho scartato Joe Patti perché pur essendo un esperimento interessante è troppo spesso un doppione di cose che Battiato aveva già fatto; ho scartato cose anche pregevoli che davvero era impossibile considerare canzoni: tutto Gilgamesh, tutta la Genesi, la Messa Arcaica, tutto Cellini, tutto Telesio, e però mi sono tenuto Campi magnetici e Juke Box e l'Egitto dopo le sabbie, perché? Non c'è un vero perché, bisognava arrivare a 256 pezzi, qualcosa è entrato qualcosa no. Svegliami domani non doveva entrare, siamo d'accordo, ma era su Spotify e se l'avessi tolta avrei dovuto ricalcolare le ultime 40 posizioni, rifare tutti i gironi, insomma è andata così. Tanto il turno non lo passa, no?
11. Passano gli anni, i treni, i topi per le fogne, i pezzi in radio
27-05-2022, 07:33Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è sempre La Gara, una competizione di canzoni di Franco Battiato. Oggi abbiamo un jazz sperimentale per chitarra e violino, un rock postmoderno con Eraclito in sottofondo, una canzone d'amore barocca e un tappeto di suoni elettronici per un balletto. Poi è vero che certe volte Battiato dava la sensazione di ripetersi un po', però insomma, ecco, dai].
1972: Cariocinesi (#153)
Un nucleo si divide, l'errore lo interrompe. Il fascino particolare di certe opere prime risiede anche negli errori di percorso, in tutti gli esperimenti non riusciti e da lì in poi accantonati che ci fanno per un attimo immaginare che lo stesso artista avrebbe potuto prendere strade completamente diverse, ci è mancato pochissimo. Ad esempio Cariocinesi è un intermezzo jazz nel bel mezzo di Fetus – ok, è un jazz sui generis, una specie di swing con un violino in evidenza, e una chitarra ritmica forsennata. Non è certo il momento più innovativo di Fetus, ma è qualcosa di divertente che Battiato non tenterà (quasi) mai più: da lì in poi, pur percorrendo innumerevoli e apparentemente incompatibili universi musicali, dal jazz si terrà sempre a rispettosa distanza: anche nella fase della sua carriera più orientata all'improvvisazione, che sta per cominciare.
1996: Di passaggio (con Manlio Sgalambro, #104)
Passa la gioventù, non te ne fare un vanto. Devo confessare di avere ingiustamente detestato Di passaggio quando uscì, per un motivo abbastanza sciocco, ovvero quella citazione di Eraclito piazzata lì da Sgalambro con la mano leggera di un liceale che cerca un frontespizio ad effetto per la sua tesina di quinta. Quant'ero geloso, no? Battiato aveva sempre ficcato riferimenti culturali di seconda mano nelle sue canzoni, e non ci avevo mai trovato niente di male, avevo sempre pensato che fosse un procedimento ironico. Ma appena compare il vocione di Sgalambro, l'alibi dell'ironia sembra crollare. A riascoltarla Di passaggio è una canzone trascinante, soprattutto grazie all'epica chitarra di David Rhodes, che conferisce una credibilità rock a un riff che grida: ouverture! (davvero, immaginatelo orchestrato per violini). Il ritornello spostato di un semitono ("Siamo solo di passaggio") ci ricorda che sotto a tutto questo rock'n'roll c'è sempre il tappeto di preghiera di un guru: Di passaggio è una delle sue prime meditazioni sulla caducità dell'esistenza (ne seguiranno molte altre negli anni a venire).
1999: La canzone dell'amore perduto (Fabrizio De André, Georg Philipp Telemann, #25)
Ricordi? Sbocciavano le viole. La canzone dell'amore perduto sembra fatta apposta per Fleurs – e questo magari è un suo limite, in una raccolta che funziona in parte anche grazie all'effetto sorpresa. In ognuno di queste canzoni, Battiato cerca qualcosa di fuori del tempo, la classicità: ma è più curioso vederlo mentre le trova in brani del repertorio pop o rock piuttosto che in una canzone che alla musica classica si rifaceva già in partenza. E in effetti qui la cura di Battiato sta nell'attenuare per quanto possibile il riferimento barocco dell'originale (l'originale era arrangiato da Gian Piero Reverberi, che più tardi avrebbe inventato il Rondò Veneziano, ovvero un altro esempio di commistione tra musica classica e pop che partì proprio nello stesso periodo in cui Battiato portava il violino di Giusto Pio in classifica, e che non poteva non avere presente, se non altro per scansarlo come la peste).
2000: La corrente delle stelle (#232)
Campi Magnetici è un'uscita di Battiato che potreste esservi persi. Secondo Onda Rock è il suo "lavoro più inascoltabile", giudizio apparentemente ingeneroso se si pensa a quante cose davvero poco ascoltabili aveva realizzato nel suo periodo più oltranzista. Non solo Campi Magnetici non è una tortura per l'orecchio come Oriental Effects o Juke-box, ma in queste sere afose lo sto ascoltando più volentieri dei suoi dischi cantautorali dello stesso periodo: non dico sia migliore di Gommalacca o Ferro battuto, ma mi imbarazza meno tenerlo acceso mentre faccio altre cose. Il che ci pone più di un problema: è ancora musica d'avanguardia se la fruisco come muzak di sottofondo? E cosa è successo alle mie orecchie, quale bomba sonora li ha devastati nella jungla triphoppara degli anni Novanta perché esse possano trovare rassicurante un collage di suoni e rumori inquietanti?
10. E cominci a detestare i processi meccanici e i tuoi comportamenti
26-05-2022, 07:33Battiato, la Gara, musicaPermalinkBattiato nella sua vita da performer non è che si sia tirato indietro. Ha suonato ai festival di Re Nudo, tenendo una nota sola per minuti e minuti in mezzo ai freak, ha suonato in Iraq e all'Eurovision ma se dovessi dire la cosa più coraggiosa che gli è capitato di fare, secondo me ha duettato in tv con Massimo Ranieri. E non una canzone qualsiasi, ma un classico della canzone napoletana, Era de maggio, già incisa in Fleurs. Il duetto in sé va come era prevedibile che andasse: Battiato non era nemmeno troppo in forma e Ranieri appena entra lo distrugge, che altro può fare Massimo Ranieri? Ma il contrasto può servire per farci capire cosa stava cercando di fare in Fleurs: essiccare le canzoni, strapparle al loro contesto specifico e metterle sotto vetro; nel caso di Era de maggio denapoletanizzarle, eliminando quell'enfasi teatrale che ha senso quando una canzone deve difendersi nei vichi, ma che rischia di distrarci dalla pura bellezza di un testo e una musica, che io in effetti senza Battiato probabilmente non avrei ascoltato. È in effetti lo stesso procedimento che porta Battiato a cantare Lied con la sua voce educata ma non impostata: i puristi non ci troveranno niente di interessante; chi non si era mai interessato scopre un mondo.
9. Ne abbiamo avute di occasioni, perdendole
25-05-2022, 07:18Battiato, la Gara, musicaPermalink1967: Le reazioni (#249)
1974: No U Turn (#136)