78. Sta frevi mi trasi 'nda lI'ossa

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[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, featuring Roberto "Juri" Camisasca].

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1979: Stranizza d'amuri (#28)


Franco Battiato, come tutti i veri boomer, è stato concepito durante la guerra. Se tutti noi passiamo la vita a ignorare accuratamente l'evidenza di essere il frutto di un atto sessuale commesso da due persone che abbiamo conosciuto solo in seguito, e che non amiamo associare a immagini sessuali, nei boomer oltre a un padre e una madre c'è da negare una guerra: non solo hanno fatto sesso, ma sotto le bombe, e magari avevano fretta, paura ecc. C'è chi a un certo punto accetta questa cosa e si mette a cantare solo di questo (Roger Waters il primo esempio). C'è chi lo fa senza accorgersene, ma insomma Stranizza d'amuri è una storia d'amore in tempi di guerra che Battiato ha scritto non si sa bene come e quando. L'ipotesi che sia un'evoluzione di Agnus, uno dei brani di Juke-Box, s'infrange quando nel 2002 Pino Massara riesce a pubblicare una strana raccolta in CD, La convenzione, magari approfittando del fatto che Battiato durante il tour di Gommalacca aveva rispolverato il suo vecchio singolo del 1972, La convenzione appunto. Il CD mette assieme senza troppi scrupoli materiale di Battiato, Camisasca e Osage Tribe, e sul finale un'inedita take di Stranizza d'amuri datata... 1975! Quindi sarebbe Agnus ad aver attinto da Stranizza d'amuri, e non viceversa. Secondo Zuffanti (2020) ciò è impossibile – e non posso che concordare, dal momento che al violino c'è già Giusto Pio: Battiato nel 1975 non lo conosceva. Ma anche postdatando la versione di almeno due anni (quindi 1977) qualcosa non torna. Bisogna ipotizzare che ancora prima del progetto Astra (quello di Adieu), e ben prima di incontrare Radius, Battiato e Pio avessero già messo un passo molto deciso in una direzione new wave (in un momento in cui collaboravano ancora con Massara). Ma bisognerebbe davvero riscrivere tutta la storia e non è nemmeno escluso che la versione contenuta nel CD non sia stata rimaneggiata in seguito da Massara per creare un falso d'autore (lo stesso CD contiene una versione hard rock della Convenzione completamente implausibile, benché divertente). 

C'è poi la questione del testo: Stranizza, qualcuno lo avrà notato, è in dialetto siciliano. In quanto canzone d'amore (e di guerra) non è molto compatibile con tutto il repertorio battiatesco da Fetus in poi – Cinghiale compreso. Quand'è che Battiato componeva canzoni in siciliano ambientate in un passato indistinto? Negli anni '60, quando si esibiva con Gregorio Alicata nel duo Gli ambulanti. Il repertorio consisteva in canzoni in siciliano scritte da FB e spacciate per tradizionali. Battiato non lo ha mai detto, ma sia Stranizza che Veni l'autunno potrebbero venire da lì (se non persino qualcosa del Cammino interminabile). Si tratterebbe insomma di una canzone dalla lunghissima incubazione. Se però si sente la versione del Cinghiale – magari dopo aver sentito quella della Convenzione – si capisce quanto sia fondamentale incubare, a volte.     


1988: Nomadi (Camisasca, #37)


A quante persone Battiato ha cambiato davvero la vita? Impossibile saperlo, tranne nel caso di Juri Camisasca, a cui Battiato ha cambiato persino il nome (prima si chiamava Roberto). Dà la vertigine pensare che si siano incontrati a servizio militare – sarebbe bastato un niente, un numero, una linea, e Camisasca non sarebbe mai stato Juri. Per un significativo paradosso, Nomadi, la canzone che segna il suo ritorno alla musica, è stata composta durante i dieci anni in cui Camisasca è stato confinato in un monastero: il nomadismo di cui si parla è quindi solo spirituale, intellettuale? Sì e no, pochi mesi dopo il successo di Nomadi (in Italia con Alice, in Spagna con Battiato) Camisasca ha abbandonato la clausura. Nomadi è uno dei casi più eclatanti di parodia battiatesca, tanto più interessante quanto completamente involontaria: in Fisiognomica era il brano che suonava più 'Battiato' di tutti, proprio perché non l'aveva scritto lui ma un volonterosissimo discepolo che non ha bisogno di alcuno sforzo per imitarne gli stilemi: gli vengono naturali. Quel che distingue un'ottima copia da un originale è proprio la necessità del copista di mantenersi aderente al modello, ad esempio Camisasca costruisce tutta la canzone su una progressione armonica che Battiato aveva effettivamente usato con risultati mirabili negli Uccelli o nella coda di Cuccurucucù, ma sempre alternandola con altre: Camisasca invece la adopera dall'inizio alla fine della composizione, il che forse suona un po' stucchevole all'ascoltatore di Battiato (perché appunto, è un Battiato alla massima potenza), ma intercetta la passione smodata degli ascoltatori di metà anni '80 per una progressione (I-V-vi-IV) che stava diventando ubiqua e non ci ha più abbandonato. 

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77. Dovrei cambiare l'oggetto dei miei desideri

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[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con due canzoni scritte completamente da lui].

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1985: Via Lattea (#60)


"Via Lattea è piena di simboli esoterici" (Tecnica mista su tappeto, 1992). Una cosa che mi sarebbe piaciuto che qualcuno chiedesse a Battiato con più insistenza: chi è il capitano del centro impressioni colto da esaurimento che venne presto mandato in esilio? Chi è così indegno di prepararsi al lungo viaggio in cui ci si perde? Mondi lontanissimi comincia in modo non troppo dissimile dall'Arca di Noè: un ritmo lento, ipnotico, su cui si riversano improvvisi lampi sinfonici: e un risveglio improvviso. Là i cittadini attoniti erano in pigiama, qua ci si alza che non è ancora l'alba. Stavolta l'orchestra non è campionata, Battiato ormai ha più in mente la musica classica che il pop. L'idea di un concept album sull'esplorazione spaziale probabilmente è naufragata dopo No Time No Space e si fatica a rimpiangerla: tutto un disco di riferimenti esoterici contrabbandati per space opera forse non lo avremmo digerito, Battiato per primo. Rimane un certo incanto temperato da un senso d'incompletezza, una storia interrotta sulla rampa di lancio. Del resto, se un giorno avremo esploratori interstellari, li vedremo partire così, magari riappariranno dall'altra parte della galassia ma sarà tra centinaia di anni e noi non ci saremo più.

1988: E ti vengo a cercare (#5)


Come ormai tutti sanno, E ti vengo a cercare è la canzone che passerà alla storia non tanto per essere stata eseguita davanti a Giovanni Paolo II, non tanto per essere stata ripresa da Lindo Ferretti (capirai che onore, nella stessa teca di Voulez-vous un rendez-vous tomorrow...) ma per aver dato il titolo a una monografia di Scanzi su Battiato. Una cosa che forse interessa più gli appassionati del primo che quelli del secondo, ma insomma anche questi ultimi potrebbero essere curiosi di sapere cosa dice Scanzi di questa canzone così importante da essere degna di intitolare un volume della sua prestigiosa bibliografia, ebbene:


I lettori di Barthes staranno già pensando Racine est Racine... agli altri spieghiamo: l'ineffabile, l'indicibile, è il trucco dei commentatori pigri. Questo salvo poche eccezioni – la prima che mi viene in mente è la fine del Paradiso di Dante, dove quest'ultimo ammette di non avere parole per descrivere quel che ha visto, ma siccome (1) quel che ha visto è Dio, non una canzone di quattro minuti, Dio; e soprattutto (2) prima di arrivare a Dio, Dante è comunque riuscito a parlare di cielo e terra per tre cantiche, possiamo accettare che a un certo punto si fermi e dica no, questo io veramente non riesco a dirvelo. Ma "oltre, troppo oltre" per una canzone, no. "Avanti, troppo avanti", manco fosse dodecafonia, ma sapete qual è il problema? Che Scanzi, prima di essere Scanzi, era un giornalista musicale. Cioè uno che di musica, in teoria, dovrebbe saper parlare, senza rifugiarsi nel "sublime" o nell'"oltre, troppo oltre". Ma appunto, in teoria. Io invece che giornalista musicale non ci tengo e non ci tesi mai, annoto che col tempo E ti vengo a cercare è diventata una canzone che parla di sé stessa: intercettando una grande voglia di trovare maestri di vita che poi è una costante da mezzo secolo, Battiato alla fine ha scritto la canzone che viene in mente a tutti i suoi fan quando hanno voglia di risentirlo, rileggerlo, rivederlo: di andarlo a cercare, appunto. Quel che bisogna concedergli è che non ha mai approfittato del suo status di Maestro, non  ha sedotto e abbandonato nessuno che si sappia, e non si è mai rifugiato in tautologie o proteste di ineffabilità. Le sei o sette cose che pensava di avere imparato sulla vita e l'universo, cercava di spiegarle senza chiedere più soldi di qualsiasi altro cantante di canzoni qualsiasi. "Chissà se Battiato lo ha mai capito davvero e fino in fondo", conclude Scanzi, "quanto in tanti avessero bisogno della sua presenza". Quanto in tanti? Maccheccazzo. Cioè gli sta dando del deficiente, ché non lo capiva fino in fondo? Uno che non stava mai fermo e ha fatto concerti fino a frantumarsi il femore, dopodiché ha continuato a incidere finché gli reggeva la voce? Ma vabbe'.

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76. E l'animale che mi porto dentro vuole te

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[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con il primo derby tra due canzoni dello stesso disco, Mondi lontanissimi. A tal proposito devo confessarvi di avere fatto qualche lieve ritocco al ranking – giusto qualche decina di punti qua e là – per scongiurare che si verificassero dei derby nel primo turno: Battiato ha pubblicato molti LP nella sua carriera e mi sembrava giusto che in ogni batteria ne fossero rappresentati almeno quattro. Questo a quanto pare sarà l'unico derby del secondo turno].

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1985: Risveglio di primavera (Battiato/Pio, #45)

"Se non ricordo male, Risveglio di primavera aveva un testo abbastanza interessante: storico e paesano. Si parla alle [?] danzatrici di flamenco. Torniamo sempre al movimento pelvico, alla danza con scuotimenti del bacino".
"Voglio raccontarti un aneddoto che può chiarire anche la mia idea della donna. In Occidente viviamo una vita in cui non c'è molta attrazione per un certo tipo di donna archetipica e sensuale. Fino a un certo punto almeno la pensavo così. Poi ebbi una folgorazione. Mi trovavo in Egitto con amici. Una sera siamo andati a vedere lo spettacolo delle cosiddette "zingare del deserto". Tutto quello che avevo criticato nei fans dei gruppi inglesi e americani, dalle braccia protese verso il palcoscenico, mi capitò di viverlo in prima persona. Sarà stato il modo che avevano di muovere le anche, o quella gestualità trascinante... Da allora sono diventato un ammiratore di quel genere di donna. L'ho sperimentato nella mia vita tante altre volte. Mi successe con una donna armena. Mi trovavo, se ben ricordo, in un ristorante georgiano. C'era un'orchestrina. Una donna che mangiava si alzò e cominciò a danzare. Mi fece morire! Mi è successo anche con donne giapponesi. Il mio ideale di donna è medio-orientale, ma anche dell'estremo oriente. Trovo la donna occidentale un po' troppo legnosa". (Tecnica mista su tappeto, 1992, chiedo scusa a tutte le donne occidentali). 

(Risveglio di primavera è uno dei quattro brani di Mondi lontanissimi a mantenere la firma di Giusto Pio. In un qualche modo si ha la sensazione che sia un brano più datato di altri, più legato a una fase che sta finendo). 


1985: L'animale (#20)

L'animale – brano scritto forse pensando a Giuni Russo – è una delle prime (e delle poche) canzoni italiane in cui un solitario fa il suo coming out: avrei voglia di dirti che è meglio se sto solo. Anche stavolta, Ferretti è arrivato secondo (sì, anche nel Battisti mogoliano c'è più di un sospetto, su questo uomo trasognato, insidiato da femmine di dubbia moralità che vogliono trascinarlo nelle vigne a copulare, ma c'è sempre il dubbio che Battisti ci stia ridendo sopra). È buffa questa cosa, no? Che abbiamo dovuto aspettare un cantautore diciamo a-cristiano, né cristiano né anticlericale, per ascoltare inni alla castità – purché temperati dalla consapevolezza che si tratta di una rinuncia molto difficile. L'animale è una bella canzone perché è orchestrata come un Lied ma si canta in coro ai concerti; perché prima di trascinarsi in una disquisizione un po' arcana sui quattro elementi, parla di cose che capiamo tutti al volo con parole che usiamo tutti i giorni: lo sappiamo bene che l'animale è quell'entità interiore che vuole tutto di noi e se lo prende, ma è geniale sottolineare che si prende anche i caffè, perché il caffè è quella piccola cosa quotidiana che tante volte vorremmo gustarci noi e invece lo mandiamo giù senza neanche accorgercene, maledetto, se l'è preso lui. 

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75. E avrei bisogno di tonnellate di idrogeno

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[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con due brani molto gurdjieffiani].

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1980: Prospettiva Nevski (Battiato/Pio, #13)

"Spesso nelle canzoni uso dei trucchetti "di sostituzione". Mi può succedere di raccontare una cosa in prima persona che in realtà non mi appartiene ed è invece ispirata a un racconto che mi hanno fatto. È un pretesto, un prestito, ma è molto più interessante che non averlo fatto in prima persona. I maestri sono le tante persone che, a un certo punto, ho conosciuto nel corso della vita. Sono presone che, a una certa età, hanno trovato la forza di ricominciare. Una donna che a settantacinque anni si diploma in clavicembalo è un maestro.
È difficile trovare "l'alba dentro l'imbrunire", però ci si può riuscire. L'alba è la gioventù, la capacità di cambiare, di evolvere, e l'imbrunire è la vecchiaia" (Tecnica mista su tappeto, 1992. Quindi, al netto di tutti i mascheramenti, Prospettiva Nevski avrebbe un messaggio non troppo diverso dalla Stagione dell'amore: ancora un altro entusiasmo deve tornare a farci pulsare il cuore. Non solo non nasciamo e non moriamo mai, ma in un qualche modo dovremmo riuscire a non invecchiare).

[Sull'impresario di Nižinskij]: "È una vicenda accaduta realmente, ma pare un racconto. Mi aveva appassionato l'idea di un impresario che delira d'amore per una stella che egli stesso ha creato. E quella stella declina quando s'incrina il loro amore. La fine dell'amore è la pazzia per lo stesso Nižinskij. Un amore omosessuale cieco. Lo stesso Djagilev non ha retto all'idea che Nižinskij si fosse sposato" 

1982: Clamori (Battiato/Pio/Tramonti, #52)

Clamori comincia con una specie di clarino computerizzato che suona una scala: Zuffanti (2020) suggerisce che sia un riferimento alla Legge dell'Ottava di Gurdjeff, e siccome il testo di Clamori è attribuito a "Tommaso Tramonti", ovvero Henri Thomasson, discepolo gurdjieffano, l'ipotesi è molto buona. Spero soltanto che la Legge dell'Ottava di Gurdjieff non sia proprio quella che ho capito io leggiucchiando qua e là su internet, perché la mia becera impressione è che il maestro si sia fatto un viaggio enorme su questa cosa che al Mi e al Si manchino i tasti neri, una lacuna che risuonerebbe a livello cosmico e causerebbe dei ritardi di vibrazione che influenzerebbero persino il nostro comportamento, ma possibile che nessuno abbia mai alzato la mano per dire scusi, maestro, ma è una questione puramente arbitraria, se ci fossimo messi d'accordo diversamente potevamo mettere i tasti neri in altre posizioni, alla fine i semitoni sono pur sempre 12, un tizio ha anche inventato un pianoforte senza tasti neri, pare che a modo suo sia anche più facile da suonare, il problema è che la lobby dei costruttori di organi e clavicembali coi tasti neri si è imposta nel Seicento e non si smuove, domina i conservatori di tutto il mondo e così... ehi, maestro? maestro? Ok, probabilmente sono troppo rompiballe per capire le sfumature iniziatiche. In compenso mi sono reso conto che la progressione armonica di Clamori è lontanamente imparentata con Cuccurucucù, mentre l'assolo finale (di synth e poi di sax, ma il sax ha un timbro felpato che ricorda il clarino computerizzato iniziale) è un passo di danza sulle note dell'Ottava che aggiunge un vago sapore di estremo oriente. 

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74. Su divani abbandonati a telecomandi in mano

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[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi intorno al quesito fondamentale: vivere o togliersi di mezzo? Battiato dopo qualche esitazione ha scelto di vivere, purché fuori Milano].

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1983: Un'altra vita (Battiato/Pio, #29)

Una cosa che nessuno mi sembra notare di Un'altra vita è quella nota pulsante a inizio strofa – in Inneres Auge decisamente un Re# – assomiglia davvero molto al Do altrettanto pulsante di voce sintetizzata con cui comincia Oh Superman di Laurie Anderson, il brano di musica sperimentale che per qualche ragione tuttora non trovata nel 1982 aveva ipnotizzato gli acquirenti britannici di dischi al punto che l'avevano mandata al primo posto in classifica. Non mi pare che Battiato ne parli mai; mi sembra improbabile che Battiato non la conoscesse e non sia stato anche lui in parte conquistato, se non ipnotizzato, da un brano che scende nell'uncanny valley tra la voce umana e la sintesi digitale. Non è soltanto Un'altra vita a portarne i segni: per più di dieci anni abbiamo avuto jingle e canzoni in cui tornava a un certo punto una nota pulsante e inquietante. In Un'altra vita sembra segnalare il momento in cui il disagio della civiltà viene alla superficie: nel giro di qualche battuta gli altri strumenti troveranno un modo per coprirlo, armonizzandoci intorno, perché vivere pure bisogna. Ma in sottofondo il disagio resta. 


1995: Breve invito a rinviare il suicidio (Battiato/Sgalambro, #164)

"Procurerò dunque di rispondervi, brevemente com'è decenza in queste cose. Capisco il vostro giovanile wertherismo. Ma rispondetemi: sino a che punto c'è causalità nel dolore? Ricordatevi, il dolore è una cosa passata. Il segno che resta nella coscienza mentre il corpo ha già dimenticato. Ascoltatemi, trattate i moti dell'animo come i moti dell'intestino. Un giorno bisognerà certo spararsi, ma per intanto viviamo" (se questo è veramente il brano di Anatol di Sgalambro da cui Battiato ha desunto il testo di Breve invito, bisogna concludere che S. qui più che co-autore è un ispiratore). Forse Breve invito è l'unica delle 64 canzoni sopravvissute di cui non riesco a ricordare la melodia. Le parole sì – questo è interessante, vale più o meno per tutte le canzoni dell'Ombrello e mi porta a pensare che l'Ombrello sia il disco in cui testi e musiche sembrano procedere in parallelo, senza scontrarsi ma anche senza amalgamarsi. In particolare il riff di tastiera è una follia che forse rimanda più al Battiato prog che al Battiato sperimentale; la si direbbe una sequenza di note casuali, non fosse che viene ripetuta fedelmente anche dall'orchestra sintetizzata. Breve invito è una delle canzoni col ranking più basso ad aver passato il turno (ma non la più bassa); le è capitata forse una batteria semplice, con due cover (Impressioni di settembre e L'addio, quest'ultima magari più meritevole).  

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73. L'ira funesta dei profughi afgani

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[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con due brani importanti con due code importanti. Fin qui tutti i brani della Voce del padrone e di Patriots hanno vinto contro tutti gli altri: stavolta no, uno solo può vincere, chi sarà? Seh vabbe' non è che accetterei scommesse].

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1980: Le aquile (Battiato/Pio/Jaeggy, #68)

"È una scrittrice e poetessa sublime. Il suo libro recente I beati anni del castigo ha avuto una accoglienza trionfale da parte della critica. Si è gridato al miracolo. Il suo stile assomiglia a quello che per un musicista è la musica pura. La sua letteratura è così illuminante, così ripulita da qualsiasi ridondanza. Ogni aggettivo è perfetto. Una bellezza di scrittura meditativa, pur non essendolo apparentemente". Battiato non ha parlato spesso di Fleur Jaeggy, ma quando lo ha fatto (Tecnica mista sul tappeto, 1992) ha espresso un entusiasmo da stamparci fascette editoriali per due o tre uscite. 

Una cosa particolare dei pezzi pop primi anni Ottanta è la coda. Non so esattamente come andò, ma a un certo punto tutti i compositori di canzonette decisero che ci stava bene la coda, così improvvisamente arrivarono queste lunghe code che sfumavano non prima di aver trasformato la canzone in qualcos'altro (che è poi la poesia particolare delle code: farti intravedere che la canzone potrebbe diventare qualcos'altro). Anche Battiato, tra le regole che aveva introiettato per "avere successo", c'era evidentemente questa cosa delle code soprattutto tra Patriots e L'arca di Noè, già in Orizzonti cominciano a sembrargli orpelli inutili. Una delle sue code migliori è quella delle Aquile, che poi a ben vedere è una riproposizione del ritornello, in cui Giusto Pio cambia completamente marcia al violino che aveva scandito velocissimo la strofa e Battiato intona i suoi canti "mantrici" (Zuffanti) uno dei rari momenti in cui riusciamo a riconoscere nel Battiato pop di quegli anni una traccia dei vocalismi bizzarri di Juke Box o di dischi ancora precedenti.


1981: Cuccurucucù (Battiato/Pio, #4)

"Penso sia una canzone dotata di una certa poesia" (Tecnica mista, 1992). Si parlava di code: nel caso di Cuccurucucù la coda diventa veramente un'altra canzone, segnalata dalla progressione I-V-vi-IV che ritorna qui per la seconda volta nella Voce del padrone dopo gli Uccelli: e come negli Uccelli, Battiato si guarda bene dall'usarla massicciamente, come stavano cominciando a fare un po' tutti (e come farà Camisasca in Nomadi), ma la alterna al secondo giro con una più struggente I-V-ii-ii. Quest'alternanza tra vi e ii, fa diesis minore e si minore, che si avverte già nell'introduzione vocale e prosegue nelle strofe, è credo quello che rende Cuccurucucù la canzone straziante che riesce a essere malgrado sia suonata a razzo e freddamente concepita per far sbracciare i trentenni in discoteca. Il fa diesis minore introduce la gravità, la tragedia del tempo che passa, l'ira funesta, Lady Madonna e Ruby Tuesday; il si minore la tempera con la dolcezza, le ore di ginnastica, le gesta erotiche di Squaw Pelle-di-Luna, il twist.  

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72. Carico di lussuria si presentò l'autunno di Bengasi

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[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con una sfida insolita tra uno dei più antichi brani rimasti in lizza, contro un'autocover].

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1973: Areknames (#41)

Ogni tanto bisogna ricordare che mettere in gara le canzoni è cosa assurda, non solo perché le canzoni non sono biglie o automobiline (ma se mi trovassero a giocare con le mie biglie e le mie automobiline mi ricovererebbero), ma anche perché le canzoni col tempo cambiano, si evolvono, noi insistiamo ad ascoltarle nella versione originale ma nel frattempo loro sono diventate tutt'altro, ad esempio Areknames ai tempi del tour dell'Imboscata era diventata questa cosa che forse si chiama Canzone chimica e oltre all'immancabile Sgalambro che lancia lessemi a caso, ci mostra un Battiato chitarra solista che si diverte troppo, cioè è buffissimo, e pensare che non volevo andare ai concerti perché credevo di beccarmi un guru sul tappeto e intanto lui faceva queste cose, prendeva i brani più inquietanti del suo passato lacerato da crisi esistenziali e ci ballava sopra con la chitarra a tracolla, le canzoni sono questo, noi le vediamo sempre congelate nel momento in cui fioriscono ma loro nel frattempo sono diventate frutto, pianta, un sacco di altre cose. 


1988: Lettera al governatore della Libia (Battiato/Pio, #105)

Molto più di Mesopotamia Alexander Platz, Lettera si adattava al mood complessivo di Giubbe Rosse, un disco festoso e mediterraneo. Anche se la festosità di Lettera è quella di chi balla su una polveriera, qualcosa che dovremmo sentire sempre più congeniale. "Quell'idiota di Graziani" non avrebbe fatto una brutta fine tutto sommato: condannato nel 1949 a 19 anni di carcere, fu amnistiato nel 1950 e divenne presidente onorario del Movimento Sociale Italiano. Nel 2012 ad Affile hanno inaugurato un sacrario in suo onore. Nel 2017 il sindaco di Affile è stato condannato a otto mesi per apologia di fascismo, per via di questo sacrario. Nel 2019 la condanna è stata confermata in appello. Nel 2020 è stata cassata in cassazione. 

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71. L'ultimo appello è da dimenticare

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[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, un prolisso torneo di canzoni con cui attoniti fingiamo di non capire niente, mentre radio Varsavia dice che tutto va bene e che l'ultimo amore è da dimenticare].

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1982: Radio Varsavia (Battiato/Pio, #9)

Chi considerava Battiato un post-moderno, maestro della citazione «al di fuori del contesto» e seminatore ironico di codici non ideologici, dovrà ricredersi: questo disco è un manifesto serissimo. E veniamo cosi a dire «tutto il male possibile»: proprio perché dai solchi, pezzo dopo pezzo, viene fuori il «Battiato-pensiero», è bene dire una volta per tutte di che pensiero si tratta. È un vero Bignami di stimabilissima cultura da Nuova Destra, quella che alletta Cacciari e molti altri. Gli ammiccamenti si sprecano: si ritorna a parlare di «chi scappa in Occidente», degli appelli di «Radio Varsavia»; si mette in prima fila «l'imperialismo degli invasori russi» (davanti a inglesi e americani si intende) (Esodo), si apprezza da veri snob la nuova cultura penitenziale cattolica (Scalo a Grado); si affonda nel narcisismo della propria diversità modellando le proprie fantasie sessuali sulle movenze dei danzatori dervisci: la distinzione del linguaggio sembra voler far dire all'ascoltatore: «Euh! Ma com'è colto il Battiato». Gianfranco Manfredi, Sull’arca di Battiato c’è la cultura della nuova destra, "Tutto Libri" (supplemento della Stampa), 11 dicembre 1982. Alla fine non è che Manfredi avesse proprio tutti i torti – certo, fa sorridere che tipo di cultura sembrasse "nuova destra" nel 1982: ma cominciando il nuovo disco con un'istantanea dal golpe di Jaruzelski, Battiato giocava veramente con un fuoco a cui i cantautori non osavano più avvicinarsi. L'idea che nel collage postmoderno potesse rientrare anche la cronaca più recente e più drammatica faceva fatica a passare – forse è più semplice oggi, da una ragionevole distanza. L'altissima posizione di Radio Varsavia nel ranking non credo dipenda da ascoltatori di (nuova) destra: il brano è anche nella colonna sonora di un film di Guadagnino, forse sarà quello. 


1999: Amore che vieni, amore che vai (De André, #56)

Fa un po' strano che tra De André e Battiato alla fine vi fossero soltanto cinque anni di distanza: la sensazione è che il secondo abbia cominciato a brillare soltanto quando il primo cominciava a offuscarsi. In ogni caso, fino a Fleurs una convergenza tra i due sembrava impensabile: tutto li separava. Amore che vieni e La canzone dell'amore perduto ci hanno mostrato un punto di contatto che alla fine avremmo potuto trovare da solo, unendo i puntini: entrambi partono da radici europee che includono il repertorio classico, che sia il De André degli anni '60 che il Battiato dei Lied saccheggiano senza quel senso di deferenza che sembra necessario ostentare quando si ascolta la musica del passato. Per De André e Battiato (e per il Bennato di Dotti medici e sapienti), la classica può benissimo servire a far canzoni d'amore. Il fatto che Amore che vieni non sia esattamente una canzone d'amore, anzi, una riflessione sulla natura effimera di questo sentimento, non fa che renderla ancor più congeniale a Battiato. 

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Fuori concorso (canzoni che non hanno partecipato alla gara per questo o quest'altro motivo).

1972: Giorno d'estate (Genco Puro & co.)

Come spiega Battiato in questa intervista telefonica che ho molto faticosamente rintracciato (non è vero, c'è il link su wikipedia), il disco di Genco Puro & co. è quel che succede quando un'etichetta ha bisogno di tot uscite per motivi burocratici, sicché Pino Massara dice a Franco Battiato: prendi la sala di registrazione e fammi un disco in due giorni. Benché le maggiori incombenze ricadano su Riccardo Pirolli, tecnico del suono che si improvvisa per l'occasione cantautore, secondo l'opinione comune i due brani più convincenti sono quelli cantati da FB: Nebbia e Giorno d'estate. Alla vigilia di Pollution, Genco Puro è un Battiato anti-Pollution: solare, sereno. Anche il fedele synth che in Pollution pulsa l'ora della fine del mondo, qui riscopre certi fraseggi barocchi dei tempi delle canzonette. 

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70. Nelle vie calde la temperatura si alzerà

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[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, un futile torneo di canzoni con cui inganniamo il tempo mentre nelle vie calde la temperatura si alza, e Battiato ce l'aveva ben detto. E che siamo solo di passaggio].

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1982: L'esodo (Battiato/Pio/Tramonti, #89)

L'esodo probabilmente non vincerà la Gara; ma se invece succedesse, non sarebbe appropriato, nell'estate più calda di sempre e più fresca della prossima? Quando la incide, nel 1982, in un album che sembra voler deludere le aspettative, le correnti migratorie dal sud del mondo stanno ancora per lo più ignorando la penisola. Il muro di Berlino sembra ben saldo, la guerra fredda mantiene il pianeta a una temperatura ideologica costante, le distopie desertiche sono materiale per film di fantascienza a basso budget (anche Mad Max non è ancora mainstream). Battiato, vuoi per la frequentazione di Nordafrica e Levante, vuoi per un suo barometro interiore, ha già un'idea della Fine che molti intellettuali faticano ad accettare quarant'anni dopo, quarant'anni dopo. Nell'Esodo si incastrano mirabilmente tante idee con cui Battiato sembrava essersi trastullato in precedenza senza apparente costrutto: è l'ultima grande composizione per sintetizzatori a valvole, i violini e i cori sembrano già campionati. Io poi ci sento, malgrado tutto, qualcosa di triviale, di esibitamente commerciale: ci sento la disco, come se di questa fine del mondo Battiato volesse accreditarsi come DJ, se non come MC. Quel beffardo "mamma mia che festa" me lo immagino sul cartiglio di una totentanz medievale.   


1996: Di passaggio (Battiato/Sgalambro, #104). 

 

Ταὐτὸ τ΄ἔνι ζῶν καὶ τεθνηκὸς καὶ ἐγρηγορὸς καὶ καθεῦδον καὶ νέον. Non è fantastico questo greco, che malgrado milioni di italiani lo studino alla media superiore, basta copia-incollarne un po' per sembrare persone più colte? Essendo generosamente accreditato come coautore di praticamente tutti i brani originali di Battiato dal 1995 in poi, Sgalambro firma una sessantina di canzoni: un quarto di tutto il catalogo. Di queste, quante hanno passato il primo turno? Nove. Su 64 sono abbastanza poche – diciamo poco più della metà di quante statisticamente avrebbero dovuto essere. Ora, questa non è necessariamente più responsabilità dei testi di Sgalambro che di una certa flessione qualitativa della produzione musicale di Battiato, flessione occultata dalla quantità di materiale che continuava a pubblicare, comunque sempre più che dignitoso. Di passaggio è quasi il manifesto del Nuovo Battiato anni '90, quello che senza rinnegare la sua componente mistica (il testo sta tra Eraclito e l'Ecclesiaste) cerca di rinnovare l'immagine attraverso gli arrangiamenti; il paradosso è che questo rinnovamento, che ottenne un notevole riscontro commerciale, tutto sommato si poggia su ingredienti non così nuovi: qui soprattutto la chitarra di David Rhodes, un'aria più 'rock' che per un miraggio tutto italiano suonava in qualche modo più contemporanea dei tappeti digitali dell'Ombrello. È anche il brano in cui Battiato spreca un featuring del livello di Antonella Ruggiero per farle leggere un'epigramma di Callimaco sul suicidio di Cleombroto d'Ambracia. L'espediente di cantare gli stessi versi all'unisono non ottiene il sortilegio ermafrodita che avviene con Alice: la Ruggiero ha un timbro troppo diverso. L'epigramma è comunque interessante e ve lo riporto dalla mia edizione dei versi di Call... ok da wikipedia: "Dicendo «Addio sole!», Cleombroto d'Ambracia da un alto muro si gettò nell'Ade: non gli era capitato alcun male degno di morte; aveva solo letto uno scritto, quello di Platone sull'anima". Ecco quindi andateci piano a leggere Platone, e tutti gli scrittori di anima in generale: è un argomento pericoloso. 

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69. I desideri non invecchiano quasi mai

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[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, un futile torneo di canzoni con cui inganniamo il tempo mentre l'Italia s'inabissa come Atlantide – cosa resterà di noi? Del transito terrestre? Magari una o due belle canzoni].

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1983: La stagione dell'amore (#8)  


Riflettendoci, La stagione dell'amore potrebbe essere "la" canzone di Battiato. Che ne ha scritte di più popolari, ma non poi così tante di più, e soprattutto le altre canzoni sono famose per un arrangiamento, per un ritornello, per il lessico peculiare, per i toni d'invettiva, ecc. La stagione dell'amore non ha un lessico peculiare, non è famosa per l'arrangiamento ma nonostante l'arrangiamento – non posso dimostrarlo, ma credo che l'idea mentale che l'ascoltatore ha della Stagione dell'amore somiglia più alla versione live di Unprotected che a quella elettropop di Orizzonti perduti: anzi a una certa distanza la prima sembra una cover situazionista della seconda. La stagione dell'amore è famosa perché è una bella canzone con un bel testo, fine. Quando altre canzoni di Battiato avranno bisogno di essere contestualizzate per essere apprezzate, credo che La stagione dell'amore continuerà a piacere per un po' perché è fatta di cose semplici dosate con molta cura, cose che funzionano per secoli – l'accenno di 50's progression nella strofa, e poi quel passaggio dal Re al La- sul "Non rimpiangerle" che è in effetti una delle cose che rimpiango di più di Battiato, un salto di accordo che con me funziona sempre benissimo e ogni volta che funziona mi ricorda Battiato. Molto più curioso l'inserimento dell'inciso ("Ancora un altro entusiasmo...", che parte da un Si bemolle piuttosto inatteso ed è costruita attorno a una progressione I-II-III (Sib-Do-Re) che correggetemi se sbaglio, ma non è affatto tipica né nella tradizione melodica italiana, né nel rock e men che meno nella musica classica, ma ha un caratteristico sapore disco-music. Questa cosa a livello subliminale ci fa immaginare che il protagonista della canzone (una persona che non vuole accettare l'invecchiamento dei suoi desideri) si imbuchi in una discoteca per clientela un po' agée, se non proprio un nightclub, magari per scoprirvi che gli orizzonti perduti non ritornano mai. Il che contraddice meravigliosamente l'assunto di partenza: come ogni grande canzone, La stagione è un meccanismo ambiguo. 


1993: Atlantide (Battiato/Wieck, #72)


A volte mi domando se non sto influenzando il torneo, che in effetti fin qui vede una netta prevalenza del Battiato postmoderno che mi piace di più (1979-1985) a scapito di quello precedente e successivo. Può benissimo darsi (così come può darsi che io abbia semplicemente i gusti della maggior parte degli ascoltatori) ma ecco un'eccezione che conferma la regola: Atlantide in assoluto è uno dei suoi brani che capisco di meno, e che a ogni ascolto mi fa domandare: ma perché? Che bisogno c'era di incidere questa cosa? Su un accordo solo, Battiato perfeziona il suo stile salmodiante raccontando la storia di un continente perduto e terribile si insinua nell'ascoltatore razionalista il sospetto che per lui non sia una leggenda ma una cosa successa davvero. Lascia perplessi anche il video ufficiale, in cui Battiato anima i suoi ritratti con una tecnica digitale che anche nel 1993 non doveva apparire lo stato dell'arte, diciamo. 

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