87. Città nascoste di lingua persiana

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[Benvenuti alla Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi col derby dell'esotismo. Chi vincerà tra Kurdistan e Algeria? Strade dell'est o ferrovie berbere? Da dove la fine?] 

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1979: Strade dell'est (Battiato/Pio, #55).


"Nell'Era del cinghiale bianco c'era sempre un misto di elettronico e acustico, in dosi uguali [???]. Queste canzoni sono state poi arrangiate in maniera diversa. Allora c'erano tutte le sonorità di moda negli anni Settanta: la chitarra elettrica, il basso, la batteria, il solito gruppo strumentale pop. Adesso le ho depurate, le ho rese più classiche. Mi sono accorto che alcuni brani sono ritornati a essere come forse erano in origine. Capita: scrivi una cosa, la arrangi; poi togli l'arrangiamento, e questa cosa ritorna com'era inizialmente. Queste canzoni, come Il re del mondo, sono forse più originali adesso, nella loro purezza classica, di come erano allora, un po' agghindate di questi suoni elettronici. Accade anche a Strade dell'est, che è più bella adesso che nella prima versione". Siccome Battiato queste cose le dice nel 1992 (Tecnica mista su tappeto), la Strade dell'est "classica" dovrebbe essere più o meno quella del live Unprotected, e che in effetti somiglia più alla versione demo pre-Radius che a quella incisa nel Cinghiale col power trio Radius-De Piscopo-Farmer. Anche se nel frattempo molta musica è passata sotto i ponti: la sequela interminabile di cinque minuti è diventata una cosa più rapida e snella di tre; il terzinato frenetico è lo stesso di altri brani misticheggianti del periodo (Mesopotamia, Caffè de la Paix). Ma insomma la canzone si è evoluta quasi ignorando la versione rock incisa nel 1979. Che invece credo che sia quella a cui siano affezionati molti ascoltatori di Battiato, per via di quel suono tardo-prog pre-new-wave che oggi è più esotico di un armonium sfiatato. 
Ancora una nota sul nominalismo di Battiato, ovvero la tendenza a interrompere le frasi prima di averle fornite di un predicato che sia. Cosa avrà mai voluto dire con "E Leningrado oggi"? Per qualche anno ho creduto che fosse l'inizio della frase che veniva dopo l'intermezzo strumentale: "di notte ancora ti può capitare di udire il suono di armonium sfiatati". Ma poi parla di curdi che offrono il petto a novene da mille anni, e questo non credo che potesse avvenire a Leningrado.  

1984: I treni di Tozeur (Battiato/Pio, #10)


– Il 1984 non è soltanto l'anno in cui Battiato e Alice portano I treni di Tozeur all'Eurovision; il 1984 è anche l'anno dell'unica vittoria di Albano e Romina a Sanremo con Ci sarà. Come talvolta succede, la vittoria non ricompensa il brano migliore o di maggior successo: a vincere, più che la canzone, è la coppia che da Felicità aveva fatto della canzone sanremese un sottogenere del pop italiano, qualcosa che riconosciamo ancora oggi a colpo sicuro, non solo in Italia. E ora il grande interrogativo:
– posta la definizione labranchiana di trash come "emulazione fallita di un modello alto", possiamo definire Albano e Romina il risultato trash di un'emulazione fallita di Battiato & Alice?
– o assumendo la definizione di midcult come riciclo piccolo-borghese delle tendenze artistiche genuine, non dobbiamo piuttosto definire Battiato & Alice come la versione midcult di Albano e Romina?
Decidete voi, ma nel frattempo nella vostra testa state già pensando a una versione dei Treni di Tozeur con Albano che attacca "E per un istante ritorna la voglia di rimanere a un'altra velocità".

– Era da parecchio che non guardavo il videoclip, non me lo ricordavo così peculiarmente emiliano-romagnolo: ai tempi non ci facevo caso, come il pesce non fa caso all'acqua. Il lato B del singolo è una composizione strumentale di Alice intitolata Le biciclette di Forlì: sembra una parodia, e invece in un certo senso è la stessa cosa; il sogno di una vita a una velocità inferiore. Erano i primi passi di quella sensibilità antimoderna che oggi ispira quei film in cui vanno tutti ad abitare in un casolare, mentre in tv è rappresentata da personaggi come Mauro Corona. A questo punto formulo l'ipotesi che citando la "Via Emilia" in Campane tibetane, Battiato stesse scrivendo con in mente Alice, o magari un altro duetto. 

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86. Un viaggio con la mescalina che finisce male

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[Questo, per chi non osa chiedere, è un altro episodio dell'interminabile Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con una sfida tutta anni '90 che metterà a dura prova gli eventuali discepoli di Gurdjieff: choc emozionali contro Caffè de la Paix, mi sa che è un altro viaggio che finisce male]. 

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1993: Caffè de la Paix (#39)

– Ho dato un'occhiata su wiki, certo che questo Gurdjieff si trattava bene eh?, cioè non è esattamente come invitare qualcuno a pigliarsi un caffè al bar sottocasa. Come minimo è indizio di una tendenza a selezionare i discepoli in base al censo, per dire Gesù Cristo andava al porto a pigliarsi i pescatori, Gurdjieff aveva un target diverso.  

– Il torneo è lungo, l'estate torrida, comincio a sviluppare teorie dal nulla, ad esempio Caffè mi sembra parte di una famiglia di canzoni terzinate di cui farebbe parte, ad esempio, No Time No Space (ma molto più veloce) e in parte Mesopotamia, quest'ultima oscillante tra 3/4 e 4/4. Nella mia testa queste terzine frenetiche le ho sempre associate alla rotazione dei dervisci, ma perché poi? In realtà non ho la minima idea di che musica usino i dervisci; diciamo che il ritmo ternario mi suggerisce una rotazione incessante, ma appunto, la suggerisce a me. 

– Di queste tre Caffè è la più lenta ma è anche la più 'etnica', con la terzina sottolineata da quel suono che sinceramente non ho capito che strumento sia (probabilmente un synth), ma che le conferisce un'identità particolare, insomma Caffè non somiglia a niente se non a una canzone di Battiato, e non a qualsiasi canzone di Battiato, ma a un tipo di canzone tra i tardi '80 e i primi '90 che sta cercando una sua strada completamente personale alla world music. Ricerca assolutamente lodevole, se solo lo avesse portato da qualche parte, e invece temo che il senso di insoddisfazione che l'ascoltatore ricava da Caffè sia stato condiviso anche dall'autore. 


1998: Shock in my town (Battiato/Sgalambro, #26)

"Battiato, invece, quando sente qualcosa che funziona, sa da subito che quella è la cosa migliore che può fare. E che, da lì in poi, sarà solo una parabola discendente. La differenza di fondo tra me e lui è che lui dice: "Bata così". Io invece dico sempre: "Proviamone un'altra". E quel "proviamone un'altra" è puntualmente una cosa fallimentare. A un certo punto bisogna fermarsi. Questa voragine tra me e lui l'ho toccata con mano con Shock in My Town, quando Battiato ha chiesto a me di scrivere la parte di basso. [...] Ecco, quel pezzo è praticamente tutto basso. Io avevo fatto un sacco di riff, che mi sembravano tutti più o meno validi, ma lui ha scelto subito quello che poi sarebbe diventato il giro del pezzo. Se fosse stato per me avrei scelto il giro di basso sbagliato. O più probabilmente, mi sarei impantanato nel limbo delle possibilità, senza riuscire a decidermi". È un passo del Libro di Morgan (Io, l'amore, la musica, gli stronzi e Dio), firmato da Marco Castoldi, Einaudi 2014, e non chiedetemi perché ce l'ho in casa. 

In questo libro c'è tra gli altri un capitolo che si chiama Padri, un plurale abbastanza eufemistico perché il capitolo parla per dieci righe della morte del padre naturale e per altre cinque pagine, esclusivamente, di Franco Battiato. Al quale il buon Morgan a un certo punto chiede letteralmente di essere adottato, e nel capitolo è anche riportata la risposta: "Anni dopo, ho intervistato Battiato per una rivista [...] Mi ero preparato molto bene, avevo tutte le domande in testa. E guarda caso la prima era questa: "Ti sei mai visto come un padre?" [...] Risposta di Battiato: "Non mi sono mai sentito un padre. Sono ancora un figlio". 

È facile ridere di Morgan – nel libro lui stesso descrive il meccanismo mediatico che a un certo punto lo ha trasformato nel personaggio da cui è semplice e liberatorio prendere le distanze. Ma in fondo qui Morgan non fa che dare voce nel modo più spudorato a un desiderio che è stato comune a migliaia di persone: vedere in Battiato un padre saggio e infallibile, perlomeno un po' più saggio e un po' meno fallibile dei padri che ci siamo ritrovati in casa. A questa richiesta, Battiato pacatamente ma fermamente ha risposto: no. Gli errori di percorso, le esitazioni che Morgan non voleva o poteva vedere, noi qua sopra con pazienza le annotiamo, perché degli artisti è bello documentare non solo i completi successi, ma anche la fatica e gli innumerevoli errori che hanno dovuto commettere e risolvere per conseguirli. Prendi Shock in My Town: ha un sacco di cose che lasciano perplessi e la linea di basso, mi dicono, non è davvero un granché, magari Morgan ne aveva una migliore e Battiato non l'ha trovata. 

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85. Against the sea, le grand Hotel Seagull Magique

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[Sapete cos'è questa? È proprio la Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con due canzoni cui Battiato nel 2015 diede una nuova sistemazione, non necessariamente migliore della precedente]. 

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1981: Summer on a Solitary Beach (Battiato/Pio, #7)

"Anche Summer on a Solitary Beach" mi sembrava bella appena l'avevo scritta (1992).

– In Summer a Battiato riesce finalmente quel trucco che aveva iniziato a provare nel 1968, di rallentare il tempo quando si passa dalla strofa al ritornello. Un'idea affatto originale che Battiato aveva perseguito con testardaggine con... risultati disastrosi per la sua carriera di canzonettista. Col senno del poi, era il primo indizio di una originalità compositiva che sfidava il buon senso (e il buon gusto?) In Summer invece il trucco funziona, forse proprio perché è un trucco: non è che il ritornello sia veramente più lento: è la sospensione del ritmo (come nel Vento caldo dell'estate) a darci questa sensazione. È come se ci fossimo immersi in un un mare che non ci fa più sentire la pulsazione terrestre: ma là fuori c'è ancora, e infatti quando riemergiamo la strofa riparte, e anche questo fa piacere. Il trucco è riuscito così bene che nel secondo ritornello Battiato si compiace di svelarcelo, facendoci sentire la batteria anche durante la strofa. A meno che non sia il Mix del 2015, quello dell'antologia Le vostre anime, in cui Battiato decide di eliminare il ritmo anche nel secondo ritornello, per quanto possibile. Ma taglia anche preziosi secondi della coda, perché Le nostre anime è pur sempre un cofanetto di CD, e nei cofanetti questa cosa accadeva invariabilmente, che si rubassero secondi dalle code – se c'è una cosa che non rimpiango, ecco, sono i cofanetti. 

– Ho controllato sullo Webster, pare che "solitary beach" non sia proprio un errore. Sì, "solitary" di solito è riferito a esseri animati o azioni, non a oggetti o luoghi, ma può anche essere un sinonimo di "desolate" o "unfrequented", e il primo esempio è proprio "a solitary seashore". Anche in italiano, non è molto frequente l'uso di "solitario" riferito a un luogo ma... c'è in Petrarca. E se c'è in Petrarca, la questione è chiusa. Persino quell'against the sea che ho sempre trovato tremendo forse, dico forse, è consentito dall'Oxford Dictionary. 

– "Sono nato in un paese di mare. A quattro anni nuotavo. Vivevamo in spiaggia dal mattino alla sera. Andavamo al mare anche in ottobre. Ora mi basta guardarlo. Anche se non lo frequento, lo devo avere sotto gli occhi. Da Milo lo vedo sempre" (1992). 

1991: Le sacre sinfonie del tempo (#59)

Io su Le sacre sinfonie ho un'ipotesi indimostrabile, che sia una hit mancata. Cioè, diciamo che è una hit che Battiato si ritrova tra i piedi in un momento in cui non vuole scriverne, è nel suo periodo Cammello-nella-grondaia, vuole solo intonare canti dolenti su dolci tappeti orchestrali, ma cosa succede se proprio in una fase del genere ti scappa invece di scrivere una potenziale hit con una melodia accattivante? Che invece di agghindarla con tutti gli ornamenti di una hit, le infili un saio di meditazione e speri che nessuno ne noti le forme comunque appariscenti. Come posso dimostrare questa cosa? I primi quaranta secondi sono un depistaggio completo: un'introduzione lentissima di archi che richiama alla mente l'Oceano di silenzio (e infatti nelle Nostre anime Battiato accosterà i due brani). A quel punto abbiamo già l'animo predisposto alla lagn... alla preghiera, e forse non ci accorgiamo che quando Battiato comincia a cantare, la melodia è davvero un po' più catchy di quanto non dovrebbe essere: archi e tastiere indugiano su una scala molto semplice. E alla fine funziona così bene che nel cofanetto Le nostre anime Battiato non tocca una virgola, ma si preoccupa piuttosto di adunare tutte le preghiere nella prima parte del sesto CD – sentite che scaletta: L'oceano di silenzio, Le sacre sinfonie del tempo, L'ombra della luce, Sui giardini della preesistenza, Lode all'inviolato, Haiku, Stati di gioia. Non cala già la palpebra solo a leggere i titoli? E mi domando se qualcuno è riuscito ad ascoltare davvero quel CD e a svegliarsi per raccontarlo.  

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84. Keep your feelings in memory

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[Potreste chiedervi cos'è questa, ebbene si tratta della Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con due canzoni che quando uscirono sembravano fantascienza, ognuna a suo modo, e che Battiato ha continuato a rimaneggiare fino agli ultimi anni]. 

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1974: Propriedad prohibida (#175)

Propriedad prohibida è stata, nel tempo, un brano di musica sperimentale, poi una sigletta televisiva, poi un ballabile techno.  

"Anzitutto cominciamo col dire che siamo tutti compositori, e che è proibita la proprietà acustica nel senso stretto del termine: se io, per esempio, scrivo un pezzo e lo sottopongo al tuo ascolto, dal momento che siamo diversi e molto anche (per interessi, per educazione, per neuroni eccetera eccetera) la mia musica, dentro il tuo io, cambia completamente. A questo punto sei tu il compositore, io ti ho fornito solamente il materiale sonoro, più o meno stimolante, ma le tue elaborazioni (almeno per adesso) sono diverse dalle mie". Questa concezione super-relativistica della musica, per cui siamo tutti compositori e il musicista è solo un tizio che raduna un po' di materiale e te lo mette in favore di orecchie, Battiato la esprime nel libretto allegato al 33 giri di Clic, che però sparirà dalla circolazione molto presto e Battiato non sentirà la necessità né di ristampare né di confermare: anzi quando nel 1992 Pulcini gli chiede conto in Tecnica mista su tappeto di quel brano di Clic che faceva da sigla televisiva, Battiato, che fino a quel momento non ha corretto degli evidenti errori dell'interlocutore su Aries – come se tutti questi vecchi dischi fossero ormai cose di poco conto – taglia la testa molto recisamente al toro: Propriedad era proprio una sigletta, tutto qui ("uno di quei tipici "stacchetti elettronici che abbiamo inventato agli inizi degli anni Settanta e che oggi hanno invaso tutto il mondo"). Non solo rinnega tutta la complessità di un brano che conteneva momenti per niente elettronici, ma introduce un paragone intrigante con "la musica sinfonica utilizzata nei film western. Apparentemente l'uso può sembrare scorretto. Eppure, se funziona, significa che qualcosa in quella musica giustificava quella certa utilizzazione. Non era una musica sinfonica dagli alti ideali, ma una musica violenta, tutta spari e cavalcate". 

Ricapitolando: gli "alti ideali" della musica sperimentale che Battiato tentava di fare nel 1974, non si sono infranti contro la loro irrealizzazione pratica. Tutto il contrario: è proprio quando Battiato ha visto la Rai impadronirsi di Propriedad prohibida e trasformarla così efficacemente in uno stacchetto televisivo, che ha intravisto il lato oscuro delle sue teorie. Un'utopia che si realizza è sempre deludente, e oggi noi ascoltiamo senza battere ciglio musica che negli anni '70 sarebbe sembrata avanguardia pura. È una cosa che lo stesso Battiato nota nel 1997. "Il primo posto in classifica dei Prodigy mi ha lasciato di stucco. Tre minuti di rumori assolutamente identici, senza nessun cambiamento, ossessione pura. Un disco che in Italia nessuna etichetta discografica avrebbe mai accettato di pubblicare. Qualcosa di simile ai miei lavori degli anni Settanta, con in più la ritmica, quel quid che oggi rende digeribile alle masse qualsiasi sperimentazione" (in Battiato. Niente è come sembra, 2017). Così, quando nel 2014 decide di riprendere in mano qualche vecchio pezzo elettronico, Propriedad diventa Proprietà proibita, un brano che dopo avere esibito l'accordo iniziale ormai iconico (come tale aveva fatto capolino anche nel 2008 in La musica muore) svela una ritmica ossessiva che evidentemente serve a rendere "digeribile alle masse" una musica che però 40 anni prima aveva il suo punto di forza proprio nell'ambiguità ritmica: come nota Boccadoro (2022), in Propriedad si realizzava "l'idea di musica a più velocità, teorizzata dal compositore americano Steve Reich, dove è l'ascoltatore a dover stabilire a quale di questi diversi livelli dare la propria attenzione". Per sopravvivere, Propriedad ha dovuto tradire sé stessa, come succede ad altre canzoni e a tante persone, se vivono abbastanza da sopravvivere ai loro ideali. 


1985: No Time No Space (#18)

Seguimmo per istinto le scie delle comete. Scusate, ho finalmente fatto due più due e capito quello che per alcuni di voi sarà stato ovvio dall'inizio, ovvero: la space opera adombrata da Battiato in Via Lattea e No Time No Space non è un progetto abortito. Essa esiste, ed è nientemeno che la prima opera del compositore Franco Battiato: la Genesi. Se l'avessi voluta ascoltare una seconda o terza volta mi sarebbe risultato evidente, diciamo che mi sono lasciato fuorviare dal titolo e mi sono dimenticato che non si tratta di un'opera sulla creazione del mondo, ma di un viaggio "metascientifico e allucinogeno" di quattro arcangeli inviati dagli Dei per salvare il genere umano da una decadenza quasi irreversibile "per ottenere così una nuova comprensione del mondo" (cito da... da Wikipedia). Con loro viaggiano alcuni Illuminati, tra cui un cantore che potrebbe benissimo essere la voce narrante dei due brani spaziali di Mondi lontanissimi. Ecco risolto il mistero, rimane soltanto da riascoltare la Genesi e controllare se in qualche modo somiglia a questi due brani, e forse un giorno lo farò (se NTNS passa il turno lo farò sicuramente). Succede probabilmente in questi casi quello che si verifica di nuovo tre anni dopo con Fisiognomica: mentre è assorbito dalla composizione di un lavoro più organico e complesso, Battiato si lascia sfuggire frammenti che assomigliano più a canzoni, e decide di inciderle a parte. Col tempo forse si rende conto che funzionavano meglio le canzoni che l'opera, perlomeno a un certo punto opere ha smesso di scriverne, mentre No Time No Space l'ha reincisa anche in Inneres Auge potenziando addirittura il groove, togliendo i violini straussiani che facevano così tanto melodramma, ma senza minimamente correggere l'inglese maccheronico, ormai assurto allo status di lingua autonoma, il battiatese. 

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83. Codici di geometria esistenziale

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[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con due canzoni molto belle tra cui decidere non sarà forse così difficile, ma abbastanza doloroso].

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1981: Gli uccelli (Battiato/Pio, #15)


Cioè che rende Gli uccelli una canzone diversa da tutte le altre – comprese quelle scritte per assomigliare agli Uccelli – è probabilmente la progressione armonica (oppure no, ma io ho il pallino delle progressioni, scusate, fossi stato un pessimo pianista forse avrei il pallino delle scale e perderei il tempo a dire quelle cose che dicono i fulminati modali, tipo "misolidia!" "ma anche un po' eolia!", "senti senti, questa è chiaramente la scala laodicea!", invece fui pessimo chitarrista ritmico, e quindi anche oggi vi intratterrò su una progressione). Come in Stranizza d'amuri, ma con più raffinatezza, scatta l'effetto "insegna del barbiere", ovvero abbiamo sempre la sensazione di salire e invece torniamo al punto di partenza. Il punto di partenza è in Mi minore: la prima progressione è molto semplice (Mi-Do, Sol, Re, sottolineata dagli archi nell'introduzione. Dopo due giri assistiamo a quel cambio così battiatesco da Re a La-, e dopo un attimo di sospensione a quello che in seguito identificheremo col ritornello strumentale (anche se all'inizio Battiato ci canticchia sopra), sulla famigerata progressione I-V-iv-IV partendo dal Sol, quindi Sol, Re, Mi-, Do. Dopo due giri così, un Mi maggiore che ci prende di sorpresa (si fa per dire, la conosciamo a memoria – però un po' ci sorprende lo stesso – in cui per la prima volta nella canzone Battiato usa il procedimento di trasformare un accordo da minore a maggiore, creando una sensazione di liberazione che qui è soltanto pregustata, perché l'introduzione è finita e la strofa parte subito col Mi minore: Volano gli uccelli volano. 

La progressione è di nuovo quella iniziale (Mi-, Do, Sol, Re); dopo due giri c'è la transazione già introdotta all'inizio, da Re a La- ("A questa parte di universo, al nostro..."): quello che invece non ci aspettavamo è che il La-, stavolta, diventi maggiore. Il passaggio da minore e maggiore è un avvenimento abbastanza singolare in una canzone pop, che a volte ci si tiene per la coda finale: qui invece arriva al termine della strofa ("...sistema solare). A questo punto entra la chitarra acustica, con accordi nuovi che fin qui non abbiamo sentito (possiamo considerarlo un ponte). Questo ponte sembra volare un po' più in alto ma in realtà rimane sulla stessa quota: ciò che è cambiato davvero è che se la strofa iniziava col Mi minore, il ponte inizia con un Mi maggiore: è il punto in cui è più facile steccare. Notate come questo passaggio al maggiore assecondi una rivelazione: gli uccelli "aprono le ali". Il ponte è anch'esso abbastanza semplice, giocato sull'intervallo di quinta, tra mi maggiore e si maggiore. Dopodiché, ed è il vero momento in cui la canzone prende il volo, ci si sposta sul tono: la sensazione è quella di un tipico cambio di tonalità, invece la progressione cambia e diventa la famigerata I-V-vi-IV, ma in Do (Do, Sol, La-, Fa), dopodiché Battiato approfitta ancora della possibilità di trasformare un minore in maggiore e dopo due giri di I-V-vi-IV ci regala un imprevisto la maggiore subito dopo "geometria esistenziale". È solo un gradino per spiccare un volo più in alto: un intervallo di quinta e siamo in Re, con cui riprende la famigerata I-V-vi-IV che però adesso fa Re, La, Si-, Sol (mentre i violini propongono il riff iniziale della canzone, che è il vero ritornello). Poi si torna in Re, ci aspetteremmo un altro giro e invece ancora un tono più in alto: a questo punto però dove siamo? Siamo al Mi maggiore: basta rifarlo in minore e siamo tornati alla strofa. Ecco qui. E anche se nel frattempo vi siete persi, capite che questo non è esattamente come attaccarsi a un giro e ripeterlo per tutta la canzone, magari alzandolo di tono per ottenere un facile effetto "wow": no, qui c'è una sapienza compositiva che Battiato forse non ha saputo più eguagliare. 

Ci sarà un'altra strofa (con l'ingresso di basso e batteria ad accrescere la sensazione che la canzone stia decollando, anche se alla fine accordi e melodia sono gli stessi), un altro ponte, un altro ritornello... e di nuovo un altra strofa. Qui Battiato ritiene di averne abbastanza, e siccome la strofa finisce col La maggiore, alza di nuovo di un torno e inserisce una coda strumentale (quella coi trilli un po' vivaldiani) che è sempre la famigerata I-V-iv-IV, ma stavolta in Sol, come nell'introduzione: Sol, Re, Mi-, Do. Per cui negli Uccelli torna questa progressione, se ho contato bene, in sei momenti diversi e in tre tonalità diverse, e mai con il banale salto di tonalità, espediente tipico della canzone pop. Non troverete molte altre canzoni dove succede questa cosa. Forse nessuna. 


1991: L'ombra della luce (#50)


Che anche la luce abbia un'ombra è un paradosso semplice e sublime e forse c'è bisogno di poeti un po' ingenui e incespicanti, come era FB, per notarlo. L'ombra della luce assomiglia a certi luoghi di raccoglimento e meditazione che nelle grandi città europee vengono adibiti in ospedali, aeroporti, stazioni, ecc.: luoghi aconfessionali dove ognuno, in teoria, può andare a pregare il Dio che vuole. È un'idea molto postmoderna ma anche un po' ingenua, che presume che alla fine tutti i culti si somiglino o che comunque abbia un senso identificare un minimo comune identificatore: ci sarà silenzio, perché molti culti lo richiedono ma soprattutto perché qualsiasi musica porterebbe una connotazione troppo marcata, e quindi il silenzio è meglio della musica: allo stesso tempo la penombra è meglio dei colori, visto che ogni religione ha i suoi: alcune detestano le immagini di Dio, quindi niente immagini in generale... proseguendo per questa strada si arriva più o meno a quella stanza spoglia e a quelle parole vuote in cui consiste la religiosità new age: L'ombra della luce ci si avvicina. Dopodiché, ripeto, ci vuole ispirazione per scrivere qualcosa del genere senza apparire ridicoli o invasati. "L'ho scritta in stato di meditazione e nell'arco di sei mesi. Ogni giorno cresceva, aumentava. È un caso raro, simile a Oceano di silenzio" (Tecnica mista su tappeto, 1992).

"Credo che la canzone L'ombra della luce sia la vetta della mia produzione. E non media, come l'ascolti è. Faccio un grande sforzo a raccontare cose delle quali di solito non parlo, ma è la mia vita. Non voglio dire di essere sereno, ma ho dedicato il mio tempo alla contemplazione, non potrei scrivere e comporre in uno stato di nevrosi". Quest'ultima è una citazione che si trova nel volume della Kaos edizioni Battiato. Niente è come sembra (a cura di Gianni Castiglioni, 2017), e siccome la citazione è datata "1992" molti credono che sia in Tecnica mista, ma io non l'ho trovata. 

Paolo Jachia in Voglio vederti danzare nota almeno nei versi "Ricordami, come sono infelice / lontano dalle tue leggi" qualche assonanza col Salmo 119

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82. È colpa dei pensieri associativi

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[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con il brano apparentemente più debole della Voce del padrone contro una delle rivelazioni del torneo, un outsider da Gommalacca].

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1981: Segnali di vita (Battiato/Pio, #31)

L’idea del pensiero automatico, o appunto associativo, pregna tutta la psicologia gurdjieffiana, collegandosi direttamente al concetto di presenza: la possibilità di essere qui e ora, liberi dalla prigionia del pensiero associativo e automatico. Mentre la psicanalisi cercava uno spiraglio verso l'inconscio attraverso i pensieri associativi, Gurdjieff suggerisce di coprirsi, di concentrarsi. Non poteva che godere di un grande successo postumo oggi che dichiariamo tutti un deficit di attenzione, ma può darsi che la sua non fosse una proposta così dissennata. Insomma Freud voleva scoperchiare l'inconscio così come gli europei della sua generazione pensavano di poter colonizzare il mondo preindustriale. Gurdjieff alla fine era più guardingo, la sua diffidenza armena è forse più facile da capire oggi che sentiamo di vivere tutti sul confine, in una linea d'ombra che può spostarsi da un momento all'altro. Mi sono sempre chiesto perché è così difficile da cantare Segnali di vita: perché sale molto in alto, ok, ma non era questo il mio problema, semplicemente una volta su due non azzeccavo la nota giusta e non mi succede praticamente mai con brani pop (Sting escluso). Oggi che finalmente riesco a concentrarmi abbastanza da dare un'occhiata agli accordi, ebbene, può darsi che il problema sia quell'alternanza tutt'altro che banale tra Re maggiore e Re minore. Non capita molto spesso di trovare nella progressione di una strofa lo stesso accordo in minore e maggiore (e non accostati, notate). Per chi canta è un tranello: tra l'accordo maggiore e quello minore c'è appena un semitono di differenza, ma come sa chiunque abbia messo la mano su una tastiera in vita sua, è proprio la differenza più piccola (un semitono) a garantirti le stecche più atroci. Mentre canti devi stare attento a mettere un diesis, poi un bequadro, poi un diesis, poi un altro bequadro, eh sì non è una cosa che succeda molto spesso in ambito pop.  

1998: La preda (Battiato/Sgalambro, #162)

"Cerca di stare immobile, non parlare" ecco non è proprio la prima cosa che direi a una partner per invitarla alla fornicazione, ma che ne so alla fine io di queste cose. La sensazione è proprio che Sgalambro copuli in un modo diverso, di solito uno pensa di arrivare all'estasi accelerando sempre più (maledetta educazione pornografica) e invece lui si immobilizza come ho visto fare una volta a due piovre in un documentario, piano... e poi c'è un lento rilascio. Bravo, ma non credo che ci proverò.

Che ci fa La preda ancora in giro? Beh, per appena due voti ha mandato a casa Segunda-Feira, in una batteria in cui nessuna delle due era testa di serie (quest'ultima era Del suo veloce volo, decisamente sopravvalutata dagli ascoltatori su Spotify, o magari c'è un sacco di estimatori di Antony/Anhoni curiosi di sentirla cantare in italiano). Per la prima volta mi trovo costretto a ripubblicare lo stesso video perché non riesco a trovare esibizioni dal vivo, evidentemente non la faceva in concerto, forse per la scabrosità del testo (per carità siamo tutti adulti ma appunto: siamo un po' troppo adulti, dopo i 50 cantare di sesso diventa imbarazzante). Con Shock in My Town l'ars amandi sgalambriana costituisce tutto quello che resta del contingente di Gommalacca, al quale possiamo aggiungere Stage Door che è dello stesso periodo ma per qualche pazzo motivo non ha voluto mettere in scaletta. Così alla fine la sfida con L'imboscata è ancora in parità: tre brani contro tre brani. Sono gli ultimi due dischi con un certo peso: Ferro Battuto è già completamente scomparso, di Dieci stratagemmi ne resta in lizza una sola. Mi rifugio in questi fattoidi perché non ho molto da dire sulla Preda, parlare di sesso si sa non è il mio forte (preferisco i fatti ahr ahr), e comunque più del sesso questo brano mi fa venire in mente altri dello stesso disco più meritevoli che non ce l'hanno fatta, ma i tornei sono così. Al primo turno ci sono ancora molte magagne, poi progressivamente quasi tutto si sistema, chi doveva prevalere prevale. È un sistema infallibile per trovare il n.1, ma già molto discutibile anche solo per identificare il n. 2. Comunque è solo un gioco. Non è assolutamente meglio del sesso, è solo più socializzabile on line.

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81. A quei tempi in Europa c'era un'altra guerra

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[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con un brano che senza volere parla del padre e un brano che senza spiegarlo parla della madre].

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1974: Aria di rivoluzione (#63)

La canzone che parla di rivoluzione – e ne parla in modo abbastanza ambiguo – comincia con un'evocazione indebita della figura del padre: l'"autista che guida il camion". Ogni volta che ne ha parlato (poco), Battiato ha sempre qualificato suo padre in quanto camionista, specificando di solito che trasportava botti di vino (Battiato non beveva vino), e che è emigrato in America, quando Battiato aveva "sei o sette anni", quindi nei primi anni Cinquanta. Dunque non può essere il personaggio di Aria di rivoluzione. E allo stesso tempo, perché evocare proprio un camionista. E perché proprio in Abissinia. Ipotizziamo che l'Africa, nei testi di Battiato, sia sempre una Sicilia potenziata, ancora più arcaica. Battiato sta immaginando suo padre negli anni, nei mesi precedenti alla sua nascita. È una fantasia che non va da nessuna parte ("si riunivano": chi? altri camionisti? Oppositori al regime) e così si interrompe bruscamente. Passa il tempo, sembra non cambi niente, c'è una generazione che vuole "nuovi valori". Qualcuno sarà fucilato. Anche qui, non si dice chi. Forse non si sa chi. Ma di tanti personaggi che poteva evocare, all'inizio di questa canzone Battiato ha evocato un camionista.

In Tecnica mista su tappeto c'è uno scambio che la prima volta che lo leggi è esilarante. La seconda dà un brivido, specie se nel frattempo abbiamo riascoltato Aria di rivoluzione

"Che rapporto hai con tuo padre?"

"Non ottimo. Dopo la sua morte è molto cambiato".


1996: La cura (Battiato/Sgalambro, #2)


Perché odio tanto La cura? Perché avevo deciso che Battiato finisce nel momento in cui adotta Sgalambro, e questo super-successo mi smentisce platealmente? Perché mi vanto di aver capito Battiato negli anni '80 e di avere riscoperto quello anni '70, e questi fan che sbavano per un pezzo dei secondi anni '90 mi piace liquidarli come poser? Perché ok, non è una brutta canzone, ma non è neanche questo capolavoro che tutti pensano? No, non credo.
Pensavo di odiare La cura perché pensavo che Battiato mi prendesse in giro. In un modo diverso dal solito, e per la prima volta (per me) fastidioso. Pensavo di odiare La cura perché non è una cura, come si odia l'omeopatia. Nessuno può superare le correnti gravitazionali, e men che meno per non farmi invecchiare. Nessuno può guarirmi da ogni malattia, Battiato cosa stai dicendo. Nessuno può farmi dono delle leggi del mondo e soprattutto, soprattutto, io non sono un essere speciale: chiunque lo dica vuole solo fregarmi, vendermi un abbonamento o scucirmi una sottoscrizione. 
Oppure è la mamma.
Ecco perché detesto La cura: perché è la canzone della mamma. Quella di Battiato era appena scomparsa. Battiato non l'ha scritta pensando a lei: l'ha scritta pensando in lei, figurandosi tutto quello che una madre vorrebbe fare per un figlio. Forse la canzone più materna di tutte l'ha scritta un uomo, scapolo per di più, che mai ha voluto avere figli ma qui miracolosamente mostra di aver capito cosa vorrebbe essere un genitore per suo figlio. Io detesto La cura perché è come sentire mia madre al telefono che ha paura che non mangio abbastanza: e negli  ultimi anni la detesto ancora di più perché vorrei anch'io proteggere qualcuno dalle paure e dagli sbalzi d'umore – ci fosse un tasto che si potesse premere per superare le famose correnti gravitazionali, un milione che si potesse pagare, un braccio, un occhio, un'anima, e invece le onde gravitazionali non s'increspano nemmeno, e m'incazzo perché ha perso un'altra borraccia di alluminio. Detesto La cura perché non riesco a essere felice come vorrebbe mia madre e non riesco a far crescere felice la mia prole. Nelle canzoni è sempre tutto così facile, gli scapoli le scrivono e poi dormono contenti, senza sensi di colpa. 

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80. I treni di una volta trasportavano le spie

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[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con una delle ultime cover rimaste in gara].

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1980: Passaggi a livello (Battiato/Pio, #85)

Correvano veloci lungo le gallerie. Tra L'era del cinghiale bianco e L'arca di Noè, i brani conclusivi hanno in comune una tensione all'erotismo e al viaggio. Si comincia con Stranizza d'amuri (l'unica vera canzone d'amore del Cinghiale bianco, ma forse anche di tutti e quattro i dischi), si prosegue con Passaggi a livello col brio avventuroso di quella prima strofa, gli sposini che fanno l'amore con l'ausilio del motore; poi verrà il viaggio nella sessualità di Sentimento nuevo e quello nella coreografia di Voglio vederti danzare. I finali dei dischi di Battiato vogliono veramente essere finali, ascoltandoli non viene voglia di girare il disco e riascoltarlo da capo, ma piuttosto di spegnere tutto, aprire la porta e andarsene, conoscere gente, ballarci, e poi da cosa nasce cosa. La vita ci prende con strana frenesia. È un'abitudine che si interrompe bruscamente con Orizzonti perduti, che invece finisce con la promessa di un ritorno a casa.  


1999: Te lo leggo negli occhi (Bardotti/Endrigo, #21)

A questo punto del torneo Te lo leggo negli occhi è credo l'unica canzone superstite a non avere Battiato tra gli autori, e il dislivello di ranking con la contendente mi fa pensare che possa essere la sola ad avere una chance di arrivare al terzo turno. Da cui la domanda: cosa rende Te lo leggo negli occhi una canzone così piacevole per gli appassionati di Battiato, una canzone quasi battiatesca anche se non assomiglia apparentemente molto a quanto Battiato ha composto almeno dal 1970 in poi? Qui credo che siamo al nucleo di tutto il concetto dei Fleurs: soprattutto nella prima fase (che è la più interessante), Battiato si rifugia nelle cover non per mascherarsi, ma per potersi concedere delle possibilità, sia musicali che liriche, che a un cantautore del 1999 non sarebbero più concesse. Come l'innamorato postmoderno delle Postille al Nome della Rosa (e qui mi scuso perché davvero, sembra che io abbia letto solo due libri in tutta la mia vita ed entrambi di Eco, giuro che non è vero ma è vero che alla fine cito sempre quelli) (e non li cito neanche tutti, ma sempre gli stessi passaggi) come l'innamorato, dicevo, che per confessare il suo amore si ritrovi a pronunciare la frase "Come direbbe Liala, ti amo disperatamente": il citazionismo è necessario non per occultare, ma per veicolare un sentimento sincero. Battiato non può più scrivere canzoni d'amore spudorate come si scrivevano negli anni Sessanta (è anche discutibile che ci sia mai riuscito, ci vuole talento, Liala non si nasce), e allo stesso tempo vuole farlo e anche noi scopriamo di voler ascoltare questo materiale da lui. Una cosa che forse non ha nessuna importanza: la progressione di Te lo leggo negli occhi, nella strofa, è quasi sovrapponibile a quella di Sentimento nuevo. Può essere una coincidenza, ma nei miei anni di chitarrismo casuale mi ero un po' abituato a riconoscere una certa sequenza (I-V-IV-I, oppure I-V-ii) come "quella di Battiato". È una progressione con un sapore schiettamente continentale, in cui è abbastanza facile riconoscere una matrice barocca. Sono accordi che Battiato ha amato sin da bambino e che ritrova istintivamente in qualsiasi musica incontri. 

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79. Cosa avrei visto del mondo

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[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, con una sfida molto difficile: ma la vera sfida di ogni canzone è il Silenzio].

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1979: L'era del cinghiale bianco (Battiato/Pio, #12)

"Era il simbolo dell'autorità spirituale presso i Celti. Infatti nella canzone canto: "Spero che ritorni presto l'era del cinghiale bianco", per sottolineare il fatto che, fin da quando è caduto il mondo, vi è sempre stato il conflitto tra autorità spirituale e autorità temporale, per il predominio di una sull'altra. L'autorità temporale non ha mai accettato l'autorità spirituale e ciò ha provocato sempre questa caduta" (Tecnica mista su Tappeto, 1992, insomma la prossima volta che ascoltate L'era del cinghiale bianco, ricordate che il ritornello auspica il ripristino di una teocrazia. Per fortuna che la strofa parla d'altro).

Motivi per cui L'era del cinghiale, anche se è il primo tentativo di hit del Battiato anni '80, può essere ancora considerato un brano anni '70, una hit prog fuori tempo massimo.

– Banalmente, è del 1979.

– È l'unico vero brano di Battiato in cui assistiamo a qualcosa di simile, attenzione, solo di simile a un virtuosismo: un fraseggio di violino che magari per Giusto Pio era un normale sgranchirsi le dita, ma che è esibito come il riff di un pezzo prog.

– Misticismi celtici. E tra parentesi, è un peccato che Battiato non si sia spinto un po' più in là con la cultura celtica, perché c'è un universo musicale là in fondo.

– Violino in evidenza. Ne abbiamo già parlato: sono gli anni di Branduardi, del tour di De André con la PFM, ogni radio appena l'accendi per prima cosa ti fa sentire Samarcanda, poi magari il traffico e il meteo, ma prima ridere ridere ridere ancora ora la guerra paura non fa.  


1988: L'oceano di silenzio (#53)

Che la musica di FB sia propedeutica al silenzio è un paradosso che l'autore ha ribadito più volte. L'oceano di silenzio è forse il momento in cui Battiato affronta il paradosso più direttamente: deve descrivere il silenzio con la musica. Ci riesce? Suppongo di sì. Confesso di avere trovato in passato abbastanza irritante il ritornello col soprano che canta tedesco, una lingua che in Battiato spesso segnala l'insorgere di pretese intellettuali. Però alla fine suona bene, e non è così strano che sulla strada verso il Silenzio totale FB punti verso il Nord, l'Europa. Viene in mente l'episodio, descritto in Tecnica mista su tappeto, in cui Battiato racconta la sua partecipazione a un festival musicale in Turchia. Dopo ore di musica ritmicamente ossessiva, Battiato sentiva "la necessità di depurare l'ambiente" e quindi si fissa su un accordo e non si smuove. Passa qualche minuto, Battiato rialza la testa: dei 2500 spettatori non è rimasto nessuno. "Loro avevano interpretato quell'accordo come saluto della buonanotte e se ne erano andati. Credo che il loro codice sia il ritmo. Quel suono tenuto a lungo non fa parte del loro linguaggio: a loro non dice niente".  

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78. Sta frevi mi trasi 'nda lI'ossa

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[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, featuring Roberto "Juri" Camisasca].

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1979: Stranizza d'amuri (#28)


Franco Battiato, come tutti i veri boomer, è stato concepito durante la guerra. Se tutti noi passiamo la vita a ignorare accuratamente l'evidenza di essere il frutto di un atto sessuale commesso da due persone che abbiamo conosciuto solo in seguito, e che non amiamo associare a immagini sessuali, nei boomer oltre a un padre e una madre c'è da negare una guerra: non solo hanno fatto sesso, ma sotto le bombe, e magari avevano fretta, paura ecc. C'è chi a un certo punto accetta questa cosa e si mette a cantare solo di questo (Roger Waters il primo esempio). C'è chi lo fa senza accorgersene, ma insomma Stranizza d'amuri è una storia d'amore in tempi di guerra che Battiato ha scritto non si sa bene come e quando. L'ipotesi che sia un'evoluzione di Agnus, uno dei brani di Juke-Box, s'infrange quando nel 2002 Pino Massara riesce a pubblicare una strana raccolta in CD, La convenzione, magari approfittando del fatto che Battiato durante il tour di Gommalacca aveva rispolverato il suo vecchio singolo del 1972, La convenzione appunto. Il CD mette assieme senza troppi scrupoli materiale di Battiato, Camisasca e Osage Tribe, e sul finale un'inedita take di Stranizza d'amuri datata... 1975! Quindi sarebbe Agnus ad aver attinto da Stranizza d'amuri, e non viceversa. Secondo Zuffanti (2020) ciò è impossibile – e non posso che concordare, dal momento che al violino c'è già Giusto Pio: Battiato nel 1975 non lo conosceva. Ma anche postdatando la versione di almeno due anni (quindi 1977) qualcosa non torna. Bisogna ipotizzare che ancora prima del progetto Astra (quello di Adieu), e ben prima di incontrare Radius, Battiato e Pio avessero già messo un passo molto deciso in una direzione new wave (in un momento in cui collaboravano ancora con Massara). Ma bisognerebbe davvero riscrivere tutta la storia e non è nemmeno escluso che la versione contenuta nel CD non sia stata rimaneggiata in seguito da Massara per creare un falso d'autore (lo stesso CD contiene una versione hard rock della Convenzione completamente implausibile, benché divertente). 

C'è poi la questione del testo: Stranizza, qualcuno lo avrà notato, è in dialetto siciliano. In quanto canzone d'amore (e di guerra) non è molto compatibile con tutto il repertorio battiatesco da Fetus in poi – Cinghiale compreso. Quand'è che Battiato componeva canzoni in siciliano ambientate in un passato indistinto? Negli anni '60, quando si esibiva con Gregorio Alicata nel duo Gli ambulanti. Il repertorio consisteva in canzoni in siciliano scritte da FB e spacciate per tradizionali. Battiato non lo ha mai detto, ma sia Stranizza che Veni l'autunno potrebbero venire da lì (se non persino qualcosa del Cammino interminabile). Si tratterebbe insomma di una canzone dalla lunghissima incubazione. Se però si sente la versione del Cinghiale – magari dopo aver sentito quella della Convenzione – si capisce quanto sia fondamentale incubare, a volte.     


1988: Nomadi (Camisasca, #37)


A quante persone Battiato ha cambiato davvero la vita? Impossibile saperlo, tranne nel caso di Juri Camisasca, a cui Battiato ha cambiato persino il nome (prima si chiamava Roberto). Dà la vertigine pensare che si siano incontrati a servizio militare – sarebbe bastato un niente, un numero, una linea, e Camisasca non sarebbe mai stato Juri. Per un significativo paradosso, Nomadi, la canzone che segna il suo ritorno alla musica, è stata composta durante i dieci anni in cui Camisasca è stato confinato in un monastero: il nomadismo di cui si parla è quindi solo spirituale, intellettuale? Sì e no, pochi mesi dopo il successo di Nomadi (in Italia con Alice, in Spagna con Battiato) Camisasca ha abbandonato la clausura. Nomadi è uno dei casi più eclatanti di parodia battiatesca, tanto più interessante quanto completamente involontaria: in Fisiognomica era il brano che suonava più 'Battiato' di tutti, proprio perché non l'aveva scritto lui ma un volonterosissimo discepolo che non ha bisogno di alcuno sforzo per imitarne gli stilemi: gli vengono naturali. Quel che distingue un'ottima copia da un originale è proprio la necessità del copista di mantenersi aderente al modello, ad esempio Camisasca costruisce tutta la canzone su una progressione armonica che Battiato aveva effettivamente usato con risultati mirabili negli Uccelli o nella coda di Cuccurucucù, ma sempre alternandola con altre: Camisasca invece la adopera dall'inizio alla fine della composizione, il che forse suona un po' stucchevole all'ascoltatore di Battiato (perché appunto, è un Battiato alla massima potenza), ma intercetta la passione smodata degli ascoltatori di metà anni '80 per una progressione (I-V-vi-IV) che stava diventando ubiqua e non ci ha più abbandonato. 

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