96. Chi stranu e cumplicatu sintimentu

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[Questo è l'ultimo trentaduesimo di finale della Gara delle canzoni di Franco Battiato, con due canzoni che stanno appena a quattro anni di distanza, ma in mezzo c'è la Milano-Napoli e la Salerno-ReggioCalabria, e un oceano (di silenzio)].

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1984: Temporary Road (#107)

Vigilesse all'erta come teddy boys. Che La voce del padrone riuscisse a portare tutte le sue sette canzoni al secondo turno era abbastanza prevedibile. Che ci riuscisse anche Patriots, un po' più sorprendente. Ma che il disco con più superstiti in assoluto fosse Mondi lontanissimi (otto brani su nove) ecco, questo non me lo aspettavo. L'unico brano che non ce l'ha fatta è la povera Personal Computer, che ha questo punto mi fa pure tenerezza, perché lei no e Temporary Road sì? E possibile che Campane tibetane sia stata mandata a casa da quest'ultima, più che una canzone uno scherzo dettato dalle frustrazioni del traffico milanese e dalla necessità di portare in tv qualcosa di leggero? (i pezzi dell'Arca di Noè non si prestavano più di tanto). Poi bisogna dire che la melodia iniziale è proprio piacevole, anche se non sono del tutto sicuro che sia farina del suo sacco (sprecarla per un pezzo così?)

Quello di Mondi è un primato abbastanza discutibile, non solo perché "otto su nove" non suona come "sette su sette", ma anche perché un titolo (Il re del mondo) è in comproprietà col Cinghiale bianco, e in generale si tratta di un LP a metà strada tra l'album e la raccolta, con alcuni brani che il turno l'hanno passato nonostante la versione di Mondi (Tozeur, ad esempio, e la stessa Re del mondo). È un disco che somiglia molto alla lontana ai dischi che in quegli anni mandava fuori Dylan, con tante cose diverse messe assieme all'ultimo momento quando compariva all'orizzonte la scadenza contrattuale. Ci sono gli abbozzi 'spaziali' che ruotano già intorno all'opera Genesi, le tracce di un lavoro di riarrangiamento del suo catalogo che sta facendo per i mercati esteri (un progetto portato avanti con scarsa convinzione e una strumentazione che in tempi brevissimi sarebbe risultata datata: non è nemmeno del tutto colpa sua, tutti i suoni che produceva la Roland ci stancarono all'improvviso, come un giocattolo stanca il bambino). Battiato non è sicuro di voler continuare questa cosa della popstar, e nemmeno di voler restare a Milano. Per cui è abbastanza bizzarro che i brani di questo periodo di crisi alla fine ci piacciano di più di quelli composti in altri periodi assai più pacifici, in cui Battiato sapeva cosa voleva fare e dove voleva stare. O no? In realtà no, le cose migliori le fai ti escono quando sei sotto pressione e vorresti/dovresti fare qualcos'altro. È il motivo per cui esiste Milano, probabilmente. L'hanno proprio costruita apposta.


1988: Veni l'autunnu (#86).

Scura cchiù prestu. L'albiri perdunu i fogghi e accumincia a scola. Mi piace pensare che non sia un autunno qualsiasi, ma il primo che Battiato decide di passare in Sicilia: prima l'autunno era la stagione milanese per eccellenza ("Torneranno di nuovo le piogge, riapriranno le scuole, cadranno foglie lungo i viali...") La fine di una transumanza più che ventennale – che purtroppo coincide con il periodo creativo più interessante. Abbiamo già notato come il procedimento del collage (che però Battiato rifiutava di chiamare così) resista, da Fisiognomica in poi, solo nei rari brani in vernacolo siciliano che somigliano in questo a certe raccolte di modi di dire dialettali che dalle mie parti occupano uno scaffale apposito delle librerie, spesso il più vicino alla cassa. Per cui alla fine non è così semplice distinguere l'avanguardia dalle manifestazioni di folklore più ingenuo. Battiato ha nei confronti della cultura orale tradizionale un'ammirazione che lo colloca a colpo sicuro in un filone neoprimitivista che dobbiamo ancora formalizzare ma che a un certo punto in Italia è diventato una cosa importante: non ci sono solo personaggi mediatici alla Mauro Corona, c'è Ermanno Olmi, per dire, ma in un certo senso pure Pasolini, autori che Battiato non cita assolutamente mai ma con cui condivide una diffidenza per il progresso che forse è un tratto distintivo della nostra cultura nazionale: la rivoluzione industriale noi non l'abbiamo mai veramente accettata, è una cosa che viene da fuori e siamo convinti che prima o poi se ne dovrà andare. 

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95. Tutti i muscoli del corpo pronti per l'accoppiamento

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[Siete pronti al 95mo incontro della Gara delle canzoni di Franco Battiato?, oggi con una canzone scritta per tappare un buco che è una delle sue più ascoltate, e con Mal d'Africa che alla fine ha prevalso su Scalo a Grado per un voto appena, sì, il mio].

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1981: Sentimiento nuevo (#11)

"A volte capita di dover completare un lp. Hai scritto sei canzoni che ritieni riuscite e te ne manca una sola per arrivare alla conclusione. Allora non aspetti l’ispirazione, ti metti d’impegno e ne vieni a capo. Quando l'hai finita senti che non è una canzone riuscitissima, al livello delle altre. Poi esce il disco, e quella canzone, a cui tu avevi dato meno peso, ha un suo successo, forse proprio perché l'hai scritto con più superficialità. L'hai scritta in fretta, pensavi che fosse così-così, e invece è solo un po' leggera, e anche la leggerezza può essere un pregio. Ne ricordo una, inserita nell'lp La Voce del Padrone, che s'intitolava Il sentimiento nuevo: ebbe un grandissimo successo. Per me era stato un riempitivo divertente. L’avevo composta con una certa spensieratezza, ma anche con freschezza, era una cosettina leggera. Ma quando la cantavo, il pubblico rispondeva". La cosa più incredibile di questo passo di Tecnica mista su tappeto, per me, è che Battiato afferma candidamente che quando ha inciso La Voce aveva pronte sei canzoni. E basta. Non le ha scelte da una rosa, non ha dovuto selezionare le migliori, anzi gliene mancava persino una, l'ha scritta all'ultimo momento e gli è venuta meglio di interi dischi suoi. Per dire lo stato di grazia di quel 1981.

Anni passati ad ammirare il finale della Voce, l'eleganza di finire con un inno all'amore corporeo, come dire: avete ascoltato abbastanza musica, ora è tempo di darsi da fare – e invece niente, è l'ultimo brano semplicemente perché l'ha scritto per ultimo e lo considerava meno riuscito. 

(Tom Waits, parlando di In the Wee Small Hours, il primo vero LP 12 pollici americano, lo considerava anche il primo concept album perché "lo metti sul piatto dopo cena e alla fine sei esattamente dove dovresti essere". Ecco, non credo che nessuno abbia mai messo sul piatto La voce del padrone per lo stesso motivo, ma forse è un esperimento che andrebbe fatto).

Mi pare che Sentimiento sia l'unico titolo spagnolo del suo catalogo italiano. Battiato, com'è noto, amava sfoggiare lingue straniere con notevole sprezzo del ridicolo. Ogni lingua evoca una cultura abbastanza delimitata: l'inglese è la modernità, l'arabo le radici ancestrali, il tedesco la cultura europea, il greco antico la cultura classica, il francese le belle canzoni di una volta. Lo spagnolo non è associato a niente. Non è nemmeno una delle lingue che Battiato incontra nei suoi viaggi, come il portoghese o il mongolo; lo spagnolo è neutro. Forse non è una coincidenza che sia anche l'unica lingua – oltre all'italiano – in cui Battiato è riuscito a essere un interprete credibile.


1983: Mal d'Africa (#75) 

MIKE BONGIORNO: "È un po' come l'ultima cena, eh?"
FRANCO BATTIATO: "No, per carità!"

"Qualcuno", ammette Battiato in Tecnica mista, lo "considera uno dei pezzi più belli della mia carriera. In effetti, il testo soprattutto, ha qualcosa di toccante, di speciale". Non sapremo mai chi è quel qualcuno, ma in testa abbiamo tutti Pippo Baudo che per qualche settimana volle il video di Mal d'Africa come sigla finale di Domenica In, in quello slot preziosissimo dopo il termine di 90° Minuto. Sul rapporto tra Baudo e Battiato si potrebbe scrivere un libro, qui annoto soltanto il mio stupore per il fatto che Mal d'Africa fosse considerata la canzone-traino di Orizzonti perduti: non il singolo perché Battiato e/o la Emi non ritenevano che valesse la pena farne uscire, ma il brano da portare in tv, da Baudo o da Bongiorno. Il sospetto è che non fosse la canzone più accessibile, ma quella con cui Battiato si sentiva più a suo agio: con La stagione dell'amore avrebbe dovuto atteggiarsi a crooner, magari replicare dal vivo la buffa coreografia del videoclip. Mal d'Africa era meno catchy ma consentiva messe in scena come "l'ultima cena" di Superflash, un'idea semplicissima ma abbastanza efficace. E intanto si portava in tv un po' di vagheggiamento dei vecchi tempi preindustriali di grandi famiglie patriarcali al tavolo della domenica, qualcosa che sia Baudo sia Bongiorno non avevano ancora idea di quanto sarebbe piaciuto ai telespettatori. Nell'intervista Battiato riesce a rispondere a Bongiorno senza sembrare detestabile: spiega che oltre al nuovo disco ha in cantiere l'Eurofestival in coppia con Alice e poi un tour negli USA (Bongiorno ha il guizzo di specificare che non è un tour dedicato agli emigrati italofoni). Dalla Voce del padrone sono passati due anni, Battiato in mezzo ci ha messo altri due dischi diversissimi tra loro. Continua a sorprendere, non si ferma, sembra inarrestabile.

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94. Quanti perfetti e inutili buffoni

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[Benvenuti alla Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con il trentaduesimo di finale più pesante, nel senso che la somma del ranking dei due brani è la più alta di tutti gli altri trentaduesimi – tenete conto che la somma minima di un trentaduesimo è 65; ebbene questo fa 27+219= 246, ed è tutta colpa della Convenzione].

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1972: La convenzione (#219)

Nella discografia di Battiato, La convenzione è sempre stata un brano a parte; per lunghe ere dimenticato, poi riscoperto e rivalutato magari oltre i suoi limiti. Situazione ribadita in questo torneo, di cui è l'unico brano sotto il #200 ad aver passato il turno. Quindi il brano superstite col ranking più basso, ma non solo: anche il più antico, visto che nessuna canzone dei '60 né di Fetus è riuscita ad arrivare fin qui. È anche il solo a non essere contenuto in nessun album ufficiale (Stage Door è un caso un po' particolare). Si tratta di un brano che sviluppa le premesse prog di Fetus in un senso più commerciale, preannunciando i temi di Pollution ma al contempo lasciandoci immaginare che Pollution avrebbe potuto essere un disco molto diverso e forse molto più venduto. È l'espressione di un personaggio di cui FB si disfa completamente interrompendo il tour di Pollution, e di cui negli anni Ottanta resistevano soltanto memorie inattendibili e foto inspiegabili – il singolo, come ogni cosa BlaBla, era fuori catalogo e introvabile. Ci vorrà il tour di Gommalacca, un mezzo secolo dopo, perché Battiato si decida a rispolverare un passato che non lo imbarazzava più. A questo punto succede però una delle cose più bizzarre della sua discografia, ovvero Pino Massara, ancora custode di un po' di materiale inedito di casa BlaBla, decide di ripubblicare il brano nel 2002 in un CD molto ambiguo, che sfruttando proprio il minimo ritorno d'interesse s'intitola La convenzione. Benché il nome più in evidenza sulla copertina sia "Franco Battiato", Massara non ha abbastanza materiale e così allunga il brodo con brani di Camisasca e Osage Tribe, in cui Battiato non sempre è presente. Una versione inedita di Stranizza d'amuri è retrodatata al 1975, magari per confondere gli avvocati della Emi; La convenzione è pubblicata nella versione del singolo promozionale per la stampa con una strofa bisbigliata in più, che oggi è quella che tutti possiamo trovare su Spotify; ma alla fine del CD viene allegata una "nuova versione 1997" che purtroppo su Youtube viene da molti scambiata per quella originale e non può francamente esserlo, con quell'arrangiamento vistosamente hard rock. Ma non può nemmeno essere una versione del 1997, visto che la traccia cantata è la stessa dell'originale 1972. E allora cos'è? Ha tutta l'aria di essere un Battiato remixato abusivamente, un Battiato taroccato messo in giro da Massara nel tentativo di ottenere qualcosa di trasmettibile in radio nel 2002, e nell'auspicio che il Battiato autentico sia troppo buono da mandargli gli avvocati (auspicio probabilmente avveratosi, visto che la versione è ancora in circolazione). Un Battiato alternativo, in un universo parallelo in cui si è lasciato macinare dalla macchina per il successo progettata da Massara e Gianni Sassi, e dopo qualche singolaccio come La convenzione sia rapidamente finito nel dimenticatoio insieme al Balletto di Bronzo o agli Osanna; salvo rispuntando ogni tanto con versioni riarrangiate degli stessi pezzi, come fanno le meteore per rimanere in orbita (vedi Cugini di campagna). Un Battiato di cui francamente non avevamo bisogno, anche se forse ce lo saremmo meritato. 


1991: Povera patria (#27)

A un certo punto, senza che lui facesse il minimo sforzo, le coordinate politico-ideologiche di Franco Battiato si sono di colpo chiarite. Non era ancora così nel 1991: la chiacchiera che fosse un cantante di destra, già smentita, non era così facilmente liquidabile. Anche solo per il ricorso alla parola "patria", che Battiato recuperava per la seconda volta dopo Patriots: si trattava di una parola ancora piuttosto pesante nei primi anni Novanta (forse più a nord che in meridione), che nessun cantautore di sinistra avrebbe mai usato in senso non ironico. Battiato sembrava apolitico, ma sdegnato; rispettava le istituzioni, ma diffidava degli uomini che le impersonavano; non faceva nessuno sforzo per non apparire elitario, e proprio per questo non lo si riusciva a liquidare come un esponente del progressismo urbano che Montanelli aveva insegnato a etichettare come "radical chic": a ben vedere restava un autodidatta con riferimenti assolutamente personali, assai lontani dalla sinistra tradizionale ma anche dalla destra (che poi tre anni prima dell'avvento di Berlusconi era ancora un ghetto ben poco invitante). Il punto è che Battiato, scusate se insisto, era già grillino, molto prima che a Grillo venisse in mente di fondare un movimento. Un cognitario sradicato della diaspora meridionale, sedotto dalla grande città ma tentato dal ritorno alla campagna; da sempre diffidente nei confronti della civiltà dei consumi e portato a vagheggiare di età dell'oro pre o post industriali. In Povera patria c'è tutto questo, compresa l'idea, ingenua ma potente, che il Cambiamento possa muovere da un grande processo di risveglio collettivo. Certo, "Cambierà, forse cambierà" suona molto più conciliante di "Svegliaaaaaa!" Ma l'idea di fondo non è molto diversa. 

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93. A Beethoven e Sinatra preferisco l'insalata

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[Benvenuti alla Gara delle canzoni di Franco Battiato, con due brani in cui Battiato entra esce in personaggi inutili]. 

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1981: Bandiera bianca (Battiato/Pio, #6)

Alla fine è notevole questa cosa, no? Che per trent'anni i giornalisti hanno continuato a chiedergli: ma davvero preferisci l'insalata a Beethoven, e lui ogni volta, pazientemente: no, scherzavo. Come se non fosse stato chiaro fin da subito – non è come chiedere oggi ai Kraftwerk superstiti: ma è vero che siete robot? O a Fortis se odia davvero i romani? E magari qualcuno glielo chiede ancora, i giornalisti sono tipi, come dire, prevedibili. 

In parte è persino responsabilità di Battiato, che il dispositivo ironico non lo ha usato sempre in modo coerente – prendi proprio Bandiera bianca. Forse non abbiamo davvero capito cosa intendesse fare con questa canzone che probabilmente all'inizio era uno dei suoi tentativi più radicali di scrivere qualcosa di brutto – più brutto di Up Patriots to Arms, che malgrado l'inflessione disco non gli era riuscita così male, meno brutto di La musica è stanca, che sarà il coronamento finale di questo tipo di sforzo punk: ma comunque brutto. Vedi la testimonianza di Eugenio Finardi: "Ricordo di essere entrato nello studio di Alberto Radius mentre Franco, Titti Denna, Giusto Pio e Filippo Destrieri si esaltavano cercando il suono "più brutto" per la iconica frase di Bandiera bianca..." Alla fine il suono peggiore che questi turnisti riescono a trovare è il riff suonato da Destrieri sull'organo Hammond, che poi Battiato riprende nel cantato, tutto giocato su un'oscillazione di un solo semitono. Variare di appena un semitono, in molti casi, significa steccare, e Battiato l'idea della stecca la suggerisce in tutte le strofe: e se non riesce comunque a produrre qualcosa di veramente dissonante, è perché è più forte di lui. Il riff è anche una parodia, non so quanto consapevole, della Bagatella n. 25 (Für Elise) di Beethoven, insomma della stessa Per Elisa che Battiato aveva appena evocato nel riff con cui Alice aveva espugnato Sanremo. È la stessa oscillazione tra bequadro e bemolle, ma ora ripetuta ossessivamente da uno studente che si rifiuti di imparare il resto, perché appunto, preferisce l'insalata. 

All'"immondizia musicale", dovrebbe corrispondere a livello di testo un'immondizia etica, ma così com'è incapace di stonare apposta, allo stesso modo Battiato non ce la fa ad apparire uno yuppie milanese tutto insalatine, occhiali da sole e menefreghismo. Certo, là fuori ci sono ancora brigatisti che sparano e liquidarli come "stupide galline che si azzuffano per niente" è abbastanza forte: ma troppo spesso sotto gli occhiali intravediamo il cipiglio del moralista incline all'invettiva ("quante squallide figure attraversano il paese..."). Per cui davvero è lecito domandarsi a ogni verso se Battiato stia scherzando o no, se sia nel personaggio o no – almeno era lecito domandarselo diciamo fino a tutto il 1982; vent'anni dopo solo un santo avrebbe trovato ancora una risposta simpatica alla domanda "preferisci l'insalata". Battiato era quel tipo di santo. 


1991: Lode all'inviolato (#70).

Il fatto che Lode all'inviolato sia passata al secondo turno mi consente se non altro di correggere tutte le fregnacce che ho scritto l'altra volta: parlavo di progressione ascendente, dove avevo le orecchie? Lode all'inviolato è una canzone che scende, anzi rotola in perpetuo. Quasi il contrario di Delenda Carthago, anch'essa costruita su quattro accordi ripetuti incessantemente. Ma mentre gli accordi di Delenda ascendono, incalzano, quelli della Lode prima scendono (La-, Sol, Fa), poi forse si rialzano (Sol), ma proprio quest'unica risalita della progressione è occultata all'orecchio dell'ascoltatore dalla scala discendente di note che in quel momento ha la funzione di ricondurlo al primo accordo della ruota. In certe canzoni di FB si ha la sensazione di crescere sempre più in alto anche se si rimane sui propri passi; qui l'esatto contrario, si può scendere all'infinito. Il che forse avvalora l'ardita ipotesi di qualche lettore: e se l'"inviolato" stavolta fosse il diavolo? Dopotutto lo sapeva bene Paganini che egli suona il violino (e nella Lode FB fa ampio uso di archi). Onestamente non penso il Battiato di Caffè de la Paix capace di tanta doppiezza, anche se per quanto mi riguarda non l'avrei disdegnata. È ormai un artista consacrato alla sua idea della verità (un'idea completamente diuturna, luminosa) che non ha difficoltà a parlare di quello in cui crede, rifiutando ogni tipo di ipocrisia e ironia – anche quel minimo sindacale con cui noi poveri mortali ci schermiamo in società. 

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Fuori concorso (canzoni che non hanno partecipato alla gara per questo o quest'altro motivo).

Lo spirito degli abissi (2015)

Lo sapete che tutta la Gara è falsata, sì? Avevo completamente rimosso Lo spirito degli abissi, giuro, non sapevo che esistesse e invece non è neanche un brano così nascosto: sta all'inizio del secondo CD delle Nostre anime – il cofanetto testamentario del 2015 e quindi può essere considerata la penultima uscita inedita di Franco Battiato. È un brano che rivela la stessa lieve sconnessione dell'altro inedito del cofanetto (Le nostre anime) e di qualche brano di Apriti Sesamo, la tendenza a cominciare un discorso e passare ad altro con una noncuranza che non dovrebbe più di tanto sorprenderci – Battiato non è mai stato un campione di consequenzialità – ma intanto la voce si è fatta più faticosa e accresce la sensazione che cominci a essere difficile, per lui, tenere un filo. La prima cosa che salta alle orecchie è il riferimento alla Grande Guerra, nel quasi centenario, descritta in termini junghiani come un episodio di possessione dell'inconscio collettivo ("Lo spirito degli abissi si impadronì del nostro destino"). Anche questo non sorprende affatto chi ricorda passate interviste in cui Battiato aveva evocato simili categorie per descrivere i cambiamenti di Zeitgeist negli anni Settanta e Ottanta. Più singolare è il richiamo alla preghiera ("Mi è ritornata voglia di pregare"), in un senso esplicitamente cristiano: ("seguendo la tenacia dei padri del deserto"): non una meditazione rivolta a sé, come Battiato ha spesso praticato, ma un desiderio di intercessione rivolto agli altri: Battiato vuole pregare "per quelli che hanno perso da tempo la loro via, per chi non riesce a sopportare i dolori dell'esistenza". A intervalli regolari, torna la memoria paradisiaca di un giardino invaso dal sole. È difficile ascoltare senza commuoversi un brano concepito probabilmente per essere l'ultimo. 


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92. L'impero della musica è giunto fino a noi carico di menzogne

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[Benvenuti alla Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con molto più turpiloquio del solito, anche se Battiato poi nei dischi si autocensurava]. 

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1980: Up Patriots to Arms (Battiato/Pio, #19)

"Sono stato sempre assai poco geloso delle mie creazioni. Anni fa andai ad ascoltare un gruppo punk di Bologna [i Disciplinatha?] in un teatro milanese in Via Larga. Mi si avvicina il leader e fa: “Suoneremo una cover di Up patriots to arms, ti dispiace se cambiamo qualche parola?” “Ma cosa vuoi che me ne freghi?”. Detto fatto. Salgono sul palco e attaccano: “Mandiamole in pensione quelle facce di merda, ci hanno rotto i coglioni”.

Mi sono divertito più in quell’occasione che a cantare migliaia di volte l’originale”.

In linea di massima si nasce incendiari e si muore pompieri, poi ci sono casi particolari, ad es. Battiato ancora a 35 anni cantava "mandiamoli in pensione i direttori artistici, gli addetti alla cultura", a 67 si lasciava nominare assessore alla cultura della regione Sicilia "senza percepire compenso", a 68 si dimetteva dopo aver dichiarato "Queste troie che si trovano in Parlamento farebbero qualsiasi cosa. È una cosa inaccettabile, sarebbe meglio che aprissero un casino" (il problema politico, a quanto pare, non era l'equiparazione tra parlamentari e meretrici, ma il sessismo del termine "troie").

A riascoltarla con attenzione, la versione di Patriots è ancora molto fragile, sembra un demo (eppure la preferirò sempre alle successive, compresa quella di Echoes of Sufi Dances che ogni battiatista ascolta con dolore per via dell'introduzione). Il batterista ogni tanto è in anticipo. Il basso è spigoloso, new wave, con qualche sghiribizzo. Un pianoforte aggiunge una dimensione romantica completamente fuori contesto. Battiato canta in un falsetto molto alto, a conferma del fatto che abbia in mente una canzone disco – non necessariamente You Make Me Feel (Mighty Real) di Sylvester, anche se i ritornelli delle due canzoni sono intercambiabili. Come più tardi con La musica è stanca, Battiato non vuole solo denunciare il malcostume musicale: vuole anche commetterlo. Le pedane sono piene di scemi che si muovono, e Battiato sta iniziando a perfezionare i balletti che porterà in tv perché qualcosa deve pur fare mentre canta e lo inquadrano. Inoltre le panchine sono piene di gente che sta male: è il 1980, la prima dose d'eroina costa meno di un LP. 

 

1998: Stage Door (Battiato/Sgalambro, #174)

"Adesso arriva... [guarda il monitor], ah questa si chiama Stage Door, se qualche fanatico mi segue..." [qualche applauso].

Col tempo probabilmente Stage Door diventerà per i "fanatici" di Battiato quello che per i dylaniti è Blind Willie McTell – il brano prima escluso da un disco per ragioni incomprensibili, e che anche per questo motivo ormai è più famoso del disco stesso. La spiegazione più semplice è che Battiato abbia avuto pudore a incidere subito un brano che parla forse della sua depressione negli anni Settanta (anche se ne parla con accenti molto 'sgalambriani', per cui vale la pena di diffidare da una lettura troppo autobiografica). Di questo pudore però deve essersi pentito molto presto, visto che fece uscire due versioni diverse sia sul singolo di Shock in My Town che su quello del Ballo del potere, due singoli che secondo me non valgono Stage Door messi assieme. Ora, buttare una canzone come bonus di un singolo è peggio che lasciarla in un cassetto, secondo me – se avesse pazientato, sarebbe diventata il brano più forte di Ferro Battuto, e allora perché? Tutte le mie ipotesi su Stage Door partono da un punto fermo: è un brano che Battiato cantava dal vivo volentieri. Ecco perché non ha aspettato: l'ha incisa perché voleva cantarla dal vivo. 

C'è poi la questione dell'autocensura. La versione di Shock in My Town è bollata come "demo" ed è interessante questa cosa, che un demo casalingo di Battiato del 1998 suoni più professionale dell'arrangiamento definitivo di Up Patriots to Arms del 1980. Col tempo Battiato stava diventando veramente raffinato nelle sue produzioni casalinghe. Nel Ballo del potere compare di nuovo il demo, ma anche una versione più lavorata, senza l'inciso molto drammatico e... un po' sboccato ("Perché noi siamo liberi di fare quello che vogliamo, di uccidere, stuprare e rapinare e vomitare critiche insensate, parlare e dire solo sempre inutili cazzate"). Quando finalmente decide di pubblicare il brano in un album ufficiale, Inneres Auge, Battiato taglia di nuovo l'inciso. Da cui l'impressione, difficile da confutare, che FB volesse smussare gli angoli di una canzone un po' più personale ed emotiva del solito. Io però continuo a partire dallo stesso punto fermo: le esecuzioni dal vivo. Stage Door è un brano che funziona molto bene dal vivo, ma quell'inciso è piuttosto difficile, quasi più parlato che cantato, ma comunque richiede fiato, intonazione e sentimento. Durante il tour di Gommalacca, Battiato lo eseguiva (vedi il video qua sopra, con una prestazione veramente notevole): in seguito no, a un certo punto ha smesso. La versione di Inneres Auge non fa che ratificare una semplificazione che era già avvenuta nelle esecuzioni dal vivo. E a proposito, forse dovremmo domandarci perché Stage Door si chiami così. Io un'idea me la sono fatta, ma me la tengo per il prossimo turno (nel caso che passi Stage Door, altrimenti... me la terrò per me ahahahAHAH).

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91. E sulle biciclette verso casa, la vita ci sfiorò

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[Benvenuti alla Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con una sfida tutta anni Settanta]. 

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1973: Plancton (#142)


A questo punto ho letto Nove, ho letto Zuffanti, Pulcini, Boccadoro, Morgan, un minimo di battiatistica ormai ce l'ho presente. Nessuno parla davvero di Plancton, uno dei momenti più significativi della fase prog. Del resto è un brano di cui non risultano esecuzioni live dal '74 in poi. Plancton non ha goduto di seconde o terze vite, come Areknames o Propriedad Prohibida. Era una musica che aveva un senso in quella fase e muoveva corde che Battiato in seguito si è rifiutato di toccare. Plancton faceva paura, forse è per questo che nessuno ama parlarne. Un po' perché la paura è una fragilità; un po' perché è una delle cose che invecchia più facilmente – è probabile che il film dell'orrore che più vi terrorizza sia successivo al 1973. Per quel che mi riguarda, Plancton, come tutto il Battiato prog, mi ricorda le paure assurde che mi capitava di provare negli anni Settanta davanti a programmi televisivi che non capivo. A volte bastava uno stacco, una voce fuori campo un po' inquietante, qualche immagine a cui non riuscivo a dare un senso, o una sigla – come Propriedad Prohibida. Non credo di aver realmente ascoltato Pollution in quegli anni, ma quando l'ho recuperato vi ho trovato quel tipo di atmosfera, quella paura abissale e senza senso, la materia lattiginosa dei miei incubi infantili. Battiato questo tipo di cose le aveva rinnegate – quando nelle interviste insisteva sulla propria solarità, sul fatto di amare il giorno e non fidarsi della notte (e rinnegava la vita notturna della sua gioventù), credo che si riferisse anche a questo. 

Plancton è costruita per far paura, dopodiché certo, ascoltarla oggi può fare lo stesso effetto che riguardarsi Belfagor: ma il fatto che non funzioni più non significa che al tempo non funzionasse. Facevano paura i suoni del sintetizzatore, che sembrano davvero propagarsi attraverso l'acqua. Fa paura l'arpeggio di chitarra, fanno paura i cori riverberati. Fa paura il testo: le metamorfosi destano sempre in noi un orrore ancestrale, la diffidenza della preda nei confronti del mimetismo che spesso cela il predatore. Fa paura la tarantella finale, durante la quale immaginavo sempre la creatura affiorare e incappare in una tonnara selvaggia, durante una festa di paese. Su Youtube ho trovato il reperto di un'esecuzione live, che ci fa capire quanto suonasse prog il "Battiato Pollution"; al posto della tarantella finale c'è una versione hard rock di Meccanica. C'era d'aver paura, davvero. Anche Battiato deve averne avuta.  


1979: Il re del mondo (Battiato/Pio, #51)


Il re del mondo è una delle canzoni che Battiato ha cercato più spesso di riarrangiare, il che tradisce una certa insoddisfazione. Dopo la versione 'new wave' del Cinghiale Bianco (ma possiamo presumere che ce ne fosse una precedente nel demo che aveva lasciato insoddisfatti i discografici EMI), abbiamo quella elettronica di Mondi lontanissimi, che è poi la The King of the World del disco con cui cercava di esportare il suo repertorio nei Paesi anglosassoni, Echoes of Sufi Dances; e quella sinfonica di Unprotected, di cui allego più volentieri il video perché sullo spotiffo non lo troverete. Quando però nel 2015 pubblica il suo cofanetto 'testamentario', Le nostre anime, non sceglie nessuna delle tre versioni, bensì quella live del 2013 all'Arena di Verona, che è una specie di sintesi della versione Cinghiale e di quella sinfonica. L'elettronica del 1985 è completamente rinnegata. Insomma dobbiamo pensare che alla fine Battiato un arrangiamento soddisfacente lo avesse trovato, almeno dal vivo; quanto a me, non solo continuo a preferire la versione 1979, ma mi domando: come mai nessun autore di canzoni, quando prova a riarrangiarle, ottiene un risultato migliore del precedente? A me non viene in mente un solo caso. Questo è curioso, perché in teoria un autore, crescendo in esperienza, e portandosi con sé la canzone nei tour, dovrebbe essere sempre in grado di migliorarla un po': e invece non succede praticamente mai. Quando proprio ci si mettono di buzzo buono al massimo finiscono per comporre una canzone diversa (Don't Stand So Close to Me '86...) Ma in linea di massima non c'è un riarrangiamento a cui io non preferisca un brano originale. Questo potrebbe dipendere da me, e dal fatto che tendo ad affezionarmi alla prima versione che ascolto (la musica non essendo che un veicolo per le emozioni che per caso o per scelta le affidiamo, una spugna per le nostre memorie e i nostri sentimenti)... ma non è questo il caso, visto che ho ascoltato Il re del mondo dell'85 molto prima di incontrare quella del '79. E allora? 

È come se le canzoni pop avessero una ineludibile qualità effimera: come gli affreschi, possono durare per secoli, ma li devi fare in poche ore perché sennò l'intonaco si asciuga e dopo non c'è più niente da fare. Qualsiasi intervento sembrerà qualcosa di più o qualcosa di meno. Quel che è affascinante, nella versione del '79, è che senza quasi elettronica è già un congegno meccanico, correlativo oggettivo della subordinazione di ogni volontà umana ai disegni del Re del Mondo. Il passaggio dal prog alla new wave sta proprio nella legnosità con cui i turnisti (e che turnisti!) suonano impettiti le loro parti senza sgarrare. È già un congegno, ma se la Re del mondo dell'85 è un congegno di plastica, quella del 1979 è uno di quei meccanismi di legno che a guardarli funzionare ti lasciano ipnotizzato. 

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90. Che gran comodità le segretarie che parlano più lingue

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[Benvenuti alla Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con la più giovane delle canzoni rimaste in gara]. 

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1980: Frammenti (Battiato/Pio, #94)

Pulcini: "Potremmo forse dire che all'inizio della tua carriera hai fatto dei collage con le musiche, e nell'età della canzone, non avendolo più fatto con le musiche, hai fatto i collage con le parole".

Battiato: "Solo che la differenza tra i due periodi è sostanziale. Nel periodo della canzone ci sono una consapevolezza e una lucidità di gran lunga superiori. Il gioco è molto più padroneggiato e non è sterile come nel periodo che lo precede. E non li definirei collage di testi – ciò che in letteratura e in poesia qualche volta è stato definito non-consequenzialità logica – quanto un fatto sintetico di un pensiero. È piuttosto un mondo in cui ogni frase non proviene da quella precedente, né conduce a quella successiva. Apparentemente sembrano collage, ma in effetti ogni frase è compiuta, e in sé finita: sono le frasi ad essere accostate come un collage".

(Questa è Tecnica mista su tappeto, 1991. Ci avete capito qualcosa? Io sinceramente non tanto. Nello stesso libro, Battiato si vanta di non scrivere mai, nemmeno cartoline: e infatti quasi tutto quello che sappiamo di lui lo deduciamo da interviste dove FB tante volte riesce a dribblare gli argomenti lasciando intervistatore e lettore un po' di stucco: insomma, le frasi sono accostate come un collage ma non è un collage, perché? Cos'è "un fatto sintetico di un pensiero"? L'unica cosa che forse ho capito è che Battiato, se pure riconosce una continuità tra i testi "frammentari" delle canzoni di Patriots e gli esperimenti sonori basati sul montaggio che aveva condotto da Ethika fon ethica a Coffee-Table Musik, considera le sue canzoni pop molto più consapevoli e meno "sterili". Nota che questo giudizio negativo nei confronti della sua produzione sperimentale non si estende all'altro filone di quegli anni, la musica minimale di Za e L'Egitto prima delle sabbie: quella, ancora negli anni Novanta, la considerava la sua produzione più 'alta'). 

Liriche a parte, Frammenti è frammentaria anche dal punto di vista musicale: una canzone lasciata a bella posta senza ritornello, che sembra inseguirlo per tre minuti e non lo trova.


2009: Inneres Auge (Battiato/Sgalambro, #30)

Uno dice: che male c'è a organizzare feste private con delle belle ragazze per allietare primari e servitori dello Stato? Si parlava della necessità di contestualizzare, che stranamente si avverte più per le canzoni degli ultimi decenni che per quelle dei precedenti – il che forse non significa nient'altro che non un rincoglionimento mio, si sa che i ricordi recenti sono quelli che si slabbrano prima. Ad esempio: ero convinto che Inneres Auge fosse una voce dal sen fuggita a Battiato ai tempi dello scandalo Ruby, ma non è così, Ruby in quel periodo non era ancora stata fermata dalla polizia per furto e a quanto pare frequentava liberamente l'entourage di Berlusconi. A mia discolpa, devo dire che in quegli anni Berlusconi stava dando veramente del suo meglio per svagare giornalisti ed elettori (e su ditelo che era più divertente trovare in prima pagina le olgettine che siccità carestia e guerra), comunque lo scandalo in questione era il caso D'Addario, quello che è rimasto un po' in ombra, probabilmente perché la protagonista, a differenza di Noemi Letizia e Karima El Mahroug, era decisamente maggiorenne e professionista. Così che appunto, la reazione di molti quell'estate era sintonizzata su: che male c'è? Che il capo del governo avesse una vita sessuale esuberante ormai si sapeva, e ci si interrogava su quanto questo fosse politicamente rilevante. Anche l'argomento, da molti invocato (me compreso) della ricattabilità, lasciava un po' il tempo che trovava: che Berlusconi si intrattenesse con signore maggiorenni, davvero non sembrava più questo grande scoop. Battiato gioca invece la carta dell'economia: "perché mai dovremmo pagare anche gli extra a dei rincoglioniti?" È un'affermazione che ai concerti strappava invariabilmente l'applauso, non solo perché è abbastanza raro che un cantautore dia del rincoglionito al capo del governo, ma anche in quanto riconduce la corruttibilità al malaffare: la D'Addario non era che una pedina di una questione di appalti che un intermediario voleva sbloccare. Con questo approccio, Battiato si candidava davvero a diventare il cantautore organico del Fatto Quotidiano e più in là del Movimento Cinque Stelle: gli mancò più il tempo che la volontà. A livello musicale, una spia di questa volontà di propaganda è nel ritmo, mai così dritto e volgare: perché evidentemente c'è un tempo per le sonate di Corelli, ma anche un tempo per sporcarsi le mani con la politica e gli scandali. 

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89. Tutte le macchine al potere gli uomini a pane ed acqua

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[Benvenuti alla Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi per il vostro ludibrio si sfidano l'Ermeneutica e la Danza. Chi prevarrà? Avete qualche dubbio?] 

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1982: Voglio vederti danzare (Battiato/Pio, #3)

– Ok, è ancora il terzo brano più ascoltato su Spotify, ma Voglio vederti danzare  potrebbe nei prossimi anni diventare un ascolto difficile tanto quanto i Watussi di Vianello e per un motivo molto simile: contiene, ben due volte, una parola che oggi è ritenuta stigmatizzante. Da chi? beh per esempio dall’Ordine nazionale dei giornalisti e dalla Federazione nazionale della stampa. "Questa indicazione prende atto della posizione dei diretti interessati, cioè di molte voci autorevoli di origine Rom, ma anche di associazioni che operano nel campo e di studiosi non Rom. “La parola zingaro è diventata offensiva, per cui essi stessi e i loro amici evitano di pronunciarla. Una volta non lo era…”, scrive Predrag Matvejevic, professore di letterature slave alla Sorbona di Parigi e all’Università La Sapienza di Roma" (la pagina è molto interessante ed esauriente, non la copio tutta ma consiglio di leggerla). 

– Non ho tantissima voglia di controllare, ma direi che VVD sia il brano più rappresentato su Mappiato (un sito che comunque andrebbe aggiornato: manca Tibet...)

– A rileggere Tecnica mista su tappeto l'impressione è che Battiato abbia concepito Voglio vederti danzare come punto di accesso dell'Arca di Noè, un disco che si presentava da subito più difficile della Voce del padrone ma doveva comunque mantenere un minimo di attese: da qui una certa ambivalenza di Battiato nelle interviste, che da una parte deve ostentare un sovrano distacco per l'enorme successo della Voce e dall'altra reagisce immediatamente quando qualcuno parla di flop per l'Arca: non è vero, vendette bene. Certo un po' meno, ma comunque bene. È in fondo la stessa ambivalenza di Voglio vederti, un brano che parla di danza e riti tribali ma decide di fare a meno della batteria. Una scelta apparentemente autolesionista, ma col tempo è lecito domandarsi se non sia stata proprio questa ricorrente tendenza a complicarsi la vita a evitare che il nome di Battiato rimanesse legato a una singola stagione.   


2004: Ermeneutica (Battiato/Sgalambro, #190).

– L'unico brano superstite di Dieci stratagemmi, e in generale uno dei due sopravvissuti di tutti gli anni Zero, è anche uno dei brani meno ascoltati su Spotify (190esimo posto...) e soprattutto uno dei più folli! Ok, gli è capitata la batteria facile, anche rispetto ad altri brani dello stesso disco molto più accessibili. Ma è un'occasione per esprimere un rimpianto: per quanto Battiato abbia osato molto negli ultimi anni della sua carriera, forse avremmo preferito che osasse ancora di più. Se ormai i grandi classici li aveva già scritti, poteva ancora scrivere cose bizzarre come Ermeneutica che avremmo ascoltato comunque più volentieri di certe divagazioni sulle stagioni o memorie amorose non facili da condividere, specie se a metterci le parole era Sgalambro. 

– Ermeneutica, l'ultima volta che ho controllato, significava "interpretazione", poi purtroppo ci si è messo in mezzo Heidegger e adesso in molti circoli significa "devi leggere Heidegger per capire". Io non posso leggerlo Heidagger perché... sono allergico. Giuro. Mi vengono le bolle. Devo mostrarvele? Ho le foto eh. Heidagger e le noccioline. Sgalambro ha appunto la faccia di uno che ha cercato di assumere Heidagger senza fare un rash test. 

Ermeneutica è chiaramente ispirata, se non proprio scatenata, dalla seconda Guerra del Golfo. Battiato alla fine della prima era stato ospite a Baghdad, per lui non era un conflitto astratto e lontano. Scrivo queste cose perché col tempo non è così facile recuperare i contesti, a volte ci si confonde, di guerre ce ne sono state più di una, ad esempio nel suo Franco Battiato (Speriling & Kupfer, 2020) a un certo punto Aldo Nove scrive che Tariq Aziz, braccio destro di Saddam Hussein, sarebbe stato "arrestato e ucciso dalle forze d'invasione americane" poco dopo il concerto del 1993. È scritto a pagina 169 ed è un dettaglio strano – se non altro perché nella nostra sezione del multiverso, Tariq Aziz risulta morto a 79 anni, nel 2015, per un attacco cardiaco, in una cella di Nassiryia. E ora giù la maschera Aldo Nove: dicci da che universo vieni.   

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88. Come ti trovi a Berlino Est?

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[Benvenuti alla Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi tutto anni Ottanta: del resto più della metà dei brani passati al secondo turno sono di questo decennio]. 

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1988: Fisiognomica (#42)

Tra Mondi lontanissimi Fisiognomica ci sono tre anni che per me valgono venti. Battiato nel 1985 è il mio eroe pronto a partire per una missione extraplanetaria: quando torna nel 1988 è un parente lontano che si ascolta alle feste comandate con simpatia venata d'imbarazzo. Davvero, quando attacca con le sue teorie sulla fisiognomica non sai dove guardare, ti versi da bere, giochi col tovagliolo, ti versi di nuovo da bere. E però forse non sono soltanto io, forse è anche lui che in quegli anni compie una rivoluzione copernicana.
Più che la musica, è cambiata l'attitudine: Battiato ha smesso gli occhiali scuri, ci guarda senza ostilità e soprattutto si lascia guardare senza paura di svelare le sue fragilità. Lui capisce il destino delle persone dai tratti del volto, dice, beh un po' ci crediamo tutti, e allo stesso tempo non avremmo mai il coraggio di ammetterlo in una conversazione, cioè Lombroso davvero non si porta molto in società. La mia ipotesi è che mentre componeva le sue Genesi e i suoi Gilgamesh, Franco Compositore Colto Battiato a un certo punto si sia annoiato, si sia accorto che alla fine scrivere canzoni è un sistema di esprimersi altrettanto degno e molto più diretto. Per cui quando si rimette a scriverle gli è scesa la maschera da provocatore intellettuale: non è più qui per spremerci soldi e snobbarci mentre glieli diamo. È qui perché ha capito che gli piace stare qui: a 42 anni ha deciso che, siccome sa scrivere canzoni, vuole usarle per spiegare chi è (con tutti i rischi che questo comporta) e come si sente, e se qualcuno riderà di lui pazienza. Per cui davvero se vi piace la sincerità, la schiettezza, può darsi che il Battiato tra Fisiognomica Café de la Paix sia il vostro preferito. A me dice poco, ma è più colpa mia che sua (sì, lo preferivo postmoderno quando ci sfotteva col megafono).

1989*: Alexander Platz (Battiato/Cohen/Pio, #23) (*: ma composta nel 1982 per Milva, su un'aria già usata per Valery di Alfredo Cohen, 1977).

"Quando visitai Berlino Est rimasi affascinato dalla mancanza di pubblicità. Non c'era un manifesto in giro! Mi dava un grande senso di pulizia e di serietà. Nello stesso tempo ero impressionato dalla tristezza della gente e dal grigiore sociale. Dovendo scrivere la canzone pilota del disco di Milva, pensai subito a Alexander Platz. Milva, per un certo periodo, è stata un'artista più tedesca che italiana in quanto a popolarità. Era, ed è, veramente molto nota in Germania. La immaginai a Berlino Est: un'italiana che lavorava a Berlino Est e che non riusciva ad accettare l'idea del muro. Desiderava fuggire verso una vita diversa" (Tecnica mista su tappeto, 1992). (Lo riporto perché da qualche parte, non ricordo più dove, ho letto che Battiato non rinnegherebbe con Alexander Platz il tema di Valery di Alfredo Cohen, beh, a quanto pare no).

Alexander Platz credo illustri le luci e le ombre del Battiato paroliere – piccolo inciso: a rileggerle con il metro di oggi, tutte le canzoni dei cantautori Guccini escluso sembrano brevi – ormai pure i Måneskin devono scrivere testi di tre pagine. C'è stato un vero e proprio boom di eloquenza rispetto al quale un Dalla, persino un De Gregori ormai sembrano asciutti epigrafisti. Battiato è ancora più asciutto e lavora soprattutto per suggestioni, epifanie che a rileggerle a freddo ti rendi conto che non è che dicano molto. Ma funzionano. Per esempio: "E di colpo venne il mese di febbraio". Perché di colpo? Cosa rende il febbraio più improvviso del gennaio precedente? E allo stesso tempo ti fa entrare subito in un'atmosfera gelida, con quel passato remoto che ti dà assieme la distanza e la dinamicità (è un tempo verbale momentaneo, descrive azioni che si compiono all'improvviso). A quel punto ti aspetti che debba succedere qualcosa, in quel febbraio improvviso , e invece no, non succederà niente. "La bidella ritornava dalla scuola un po' più presto per aiutarmi". Per qual motivo al mondo una collaboratrice scolastica avrebbe dovuto venir meno ai suoi obblighi per aiutare te, che a proposito, chi sei? Un'insegnante? E allo stesso tempo basta la parola, "bidella", per evocare un particolare grigiore che è quello che serve alla canzone. Una curiosità: il testo della versione di Milva è tutto alla prima persona, Battiato nella sua versione canta alla terza persona solo la seconda strofa: cioè che la bidella potesse rientrare prima per aiutarlo non gli crea difficoltà, ma "mi piaceva spolverare, fare i letti, poi restarmene in disparte come vera principessa prigioniera del suo film che aspetta all'angolo come Marlene", questo no, da questo deve prendere le distanze. 

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87. Città nascoste di lingua persiana

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[Benvenuti alla Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi col derby dell'esotismo. Chi vincerà tra Kurdistan e Algeria? Strade dell'est o ferrovie berbere? Da dove la fine?] 

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1979: Strade dell'est (Battiato/Pio, #55).


"Nell'Era del cinghiale bianco c'era sempre un misto di elettronico e acustico, in dosi uguali [???]. Queste canzoni sono state poi arrangiate in maniera diversa. Allora c'erano tutte le sonorità di moda negli anni Settanta: la chitarra elettrica, il basso, la batteria, il solito gruppo strumentale pop. Adesso le ho depurate, le ho rese più classiche. Mi sono accorto che alcuni brani sono ritornati a essere come forse erano in origine. Capita: scrivi una cosa, la arrangi; poi togli l'arrangiamento, e questa cosa ritorna com'era inizialmente. Queste canzoni, come Il re del mondo, sono forse più originali adesso, nella loro purezza classica, di come erano allora, un po' agghindate di questi suoni elettronici. Accade anche a Strade dell'est, che è più bella adesso che nella prima versione". Siccome Battiato queste cose le dice nel 1992 (Tecnica mista su tappeto), la Strade dell'est "classica" dovrebbe essere più o meno quella del live Unprotected, e che in effetti somiglia più alla versione demo pre-Radius che a quella incisa nel Cinghiale col power trio Radius-De Piscopo-Farmer. Anche se nel frattempo molta musica è passata sotto i ponti: la sequela interminabile di cinque minuti è diventata una cosa più rapida e snella di tre; il terzinato frenetico è lo stesso di altri brani misticheggianti del periodo (Mesopotamia, Caffè de la Paix). Ma insomma la canzone si è evoluta quasi ignorando la versione rock incisa nel 1979. Che invece credo che sia quella a cui siano affezionati molti ascoltatori di Battiato, per via di quel suono tardo-prog pre-new-wave che oggi è più esotico di un armonium sfiatato. 
Ancora una nota sul nominalismo di Battiato, ovvero la tendenza a interrompere le frasi prima di averle fornite di un predicato che sia. Cosa avrà mai voluto dire con "E Leningrado oggi"? Per qualche anno ho creduto che fosse l'inizio della frase che veniva dopo l'intermezzo strumentale: "di notte ancora ti può capitare di udire il suono di armonium sfiatati". Ma poi parla di curdi che offrono il petto a novene da mille anni, e questo non credo che potesse avvenire a Leningrado.  

1984: I treni di Tozeur (Battiato/Pio, #10)


– Il 1984 non è soltanto l'anno in cui Battiato e Alice portano I treni di Tozeur all'Eurovision; il 1984 è anche l'anno dell'unica vittoria di Albano e Romina a Sanremo con Ci sarà. Come talvolta succede, la vittoria non ricompensa il brano migliore o di maggior successo: a vincere, più che la canzone, è la coppia che da Felicità aveva fatto della canzone sanremese un sottogenere del pop italiano, qualcosa che riconosciamo ancora oggi a colpo sicuro, non solo in Italia. E ora il grande interrogativo:
– posta la definizione labranchiana di trash come "emulazione fallita di un modello alto", possiamo definire Albano e Romina il risultato trash di un'emulazione fallita di Battiato & Alice?
– o assumendo la definizione di midcult come riciclo piccolo-borghese delle tendenze artistiche genuine, non dobbiamo piuttosto definire Battiato & Alice come la versione midcult di Albano e Romina?
Decidete voi, ma nel frattempo nella vostra testa state già pensando a una versione dei Treni di Tozeur con Albano che attacca "E per un istante ritorna la voglia di rimanere a un'altra velocità".

– Era da parecchio che non guardavo il videoclip, non me lo ricordavo così peculiarmente emiliano-romagnolo: ai tempi non ci facevo caso, come il pesce non fa caso all'acqua. Il lato B del singolo è una composizione strumentale di Alice intitolata Le biciclette di Forlì: sembra una parodia, e invece in un certo senso è la stessa cosa; il sogno di una vita a una velocità inferiore. Erano i primi passi di quella sensibilità antimoderna che oggi ispira quei film in cui vanno tutti ad abitare in un casolare, mentre in tv è rappresentata da personaggi come Mauro Corona. A questo punto formulo l'ipotesi che citando la "Via Emilia" in Campane tibetane, Battiato stesse scrivendo con in mente Alice, o magari un altro duetto. 

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