Leone l'incoronatore
12-06-2023, 02:10pontefici, santi, StoriaPermalink12 giugno: San Leone III Papa (dal 795 all'816), l'incoronatore di Carlo Magno
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Sorpresa! |
Non c'è aneddoto tramandato dai manuali scolastici che, a guardarlo un po' da vicino, non mostri qualcosa di completamente diverso. Può darsi che abbiate letto, al tempo, che Carlo Magno fu incoronato Sacro Romano Imperatore nella notte di Natale dell'anno 800, da un papa che in quell'occasione gli fece una sorpresa. Del resto che Carlo non fosse informato – e neanche troppo entusiasta – della nuova corona lo riferiscono sia le fonti pontificie che quelle carolinge, e quindi perché non crederci?
Perché, semplicemente, non è realistico che un sovrano che è già l'uomo potente d'Europa, una notte di Natale, si lasci appoggiare un'altra corona in testa a sua insaputa. Certo, le fonti pontificie hanno tutto l'interesse a ribadire che fu un'iniziativa del papa, visto che da quel momento si stabilisce il principio che il Sacro Romano Imperatore sarà incoronato a Roma; e anche i cronisti di corte, da Eginardo in poi, avevano buon gioco a raccontare di un monarca poco interessato all'ennesima corona, magari pure infastidito di doversi sobbarcare anche il retaggio di quegli imperatori che benché si definissero romani, a Roma non si vedevano da quasi quattro secoli. Ma davvero possiamo credere che fosse una decisione autonoma del papa? E a proposito, che papa era, che margini di iniziativa poteva avere, rispetto al suo imperiale protettore?
Nessuno. Leone III, a quel punto della sua carriera, era una pedina di Carlo Magno, al quale doveva non solo la sua carica, ma anche la vita. Avrebbe fatto tutto quello che Carlo gli chiedeva; difficilmente gli avrebbe messo in testa una corona che Carlo non voleva. Facciamo un passo indietro.
Leone a quel punto era papa da cinque anni, l'ultimo dei quali piuttosto turbolento. Era succeduto ad Adriano, il papa che alleandosi con i Franchi contro i Longobardi, e sollecitando l'intervento di Carlo nella penisola, aveva reso in sostanza quest'ultimo il signore di tutta l'Italia fino a Roma. I possedimenti longobardi in Italia settentrionale e centrale erano stati incamerati da Carlo; quanto a Roma, teoricamente era ancora un ducato dipendente dall'Impero Romano (quello con capitale Costantinopoli), ma in pratica era il papa a essere considerato la massima autorità in città. Più che normale che la carica facesse gola alle famiglie più importanti; e tuttavia questo non impedì l'elezione all'unanimità di Leone, un cardinale di origini umili o comunque oscure che aveva fatto carriera nella cancelleria del Laterano. Qualcuno evidentemente in città non era così contento, e così nell'aprile del 799, mentre si recava in un monastero per attendere a una funzione religiosa, Leone fu rapito da due patrizi. Uno dei due, Pascale, era nipote di Adriano, e con tutta probabilità credeva che il Soglio spettasse a lui; non voleva però uccidere per forza Leone, si sarebbe contentato di cavargli gli occhi o mozzargli la lingua, mutilazioni che forse pensava fossero sufficienti per far decadere un papa dal suo ruolo. A quanto pare però non ci riuscì e la scelta di non ucciderlo sul posto si sarebbe rivelata un grave errore, perché in un qualche modo Leone riuscì a evadere dalla cella dove era rinchiuso (calandosi con una corda), riparando prima in Vaticano e poi, scortato da un messo imperiale, a Paderborn, Sassonia, dove Carlo teneva corte in quel periodo. Una scelta arrischiata perché gli attentatori, per quanto dalle cronache non sembrassero così organizzati, erano comunque convinti di avere Carlo dalla loro, forse in forza del buon rapporto che quest'ultimo aveva avuto con Adriano. E se l'attentato fosse riuscito, se Leone fosse stato tolto di mezzo senza che Carlo avesse avuto da ridire, probabilmente Leone sarebbe stato liquidato come un usurpatore, un antipapa; radiato dal canone dei pontefici, e oggi non ne parleremmo più. Invece Leone ebbe la buona idea di recarsi direttamente da Carlo, e forse in quell'occasione fece conoscenza con l'eminenza grigia del re, Alcuino di York.
Alcuino è il più probabile responsabile delle scelte che furono prese allora, e che portarono alla nascita di un nuovo impero. A Paderborn non era arrivato soltanto Leone, ma anche i congiurati erano riusciti a recapitare dei messaggi in cui cercavano di far sentire la loro campana. A Leone venivano attribuiti comportamenti scandalosi i cui dettagli sono stati poi omessi dalle cronache, per via che la Storia la scrive sempre il vincitore. Carlo si ritrovava insomma a dover giudicare la condotta di un pontefice, una grana che avrebbe preferito evitare. Alcuino nell'occasione gli raccomandò la massima prudenza: in quanto detentore di un potere che derivava direttamente da Dio, il papa non poteva essere giudicato da nessun'autorità superiore a lui, ovvero da nessuno se non da Dio. Liquidare il papa fuggitivo sarebbe sembrato un atto di prevaricazione; Carlo decise di scendere a Roma a dirimere la questione.
A Roma si tenne un vero e proprio processo, che dimostra come il diritto romano aveva ormai ceduto il passo all'ordalia medievale. Gli accusatori del papa poterono riferire le loro accuse, ma non portarono prove; in compenso Leone giurò solennemente sul vangelo di essere innocente. Si trattava in sostanza di una versione ecclesiastica del giudizio di Dio; solo Dio aveva un'autorità superiore a quella di Leone, solo lui avrebbe potuto punirlo incenerendolo se giurava il falso. Leone giurò e non fu incenerito, quindi era innocente e poteva continuare a essere papa. I suoi rapitori invece furono condannati a morte; pena che Leone commutò subito in ergastolo perché avevano ancora troppi amici in città. Leone invece aveva un solo grande protettore: Carlo, che per rimetterlo sul Soglio era venuto fino a Roma, interrompendo chissà quale guerra di conquista o massacro di Avari. È abbastanza chiaro che Leone avrebbe fatto qualsiasi cosa gli chiedeva.
Nel frattempo anche a Costantinopoli non è che stessero fermi ad aspettare; Irene d'Atene, la basilissa che per anni aveva regnato come reggente del figlio Costantino VI; quando questo aveva finalmente raggiunto la maggiore età, aveva tramato per prendergli il posto e siccome anche lei non era un mostro invece di ucciderlo si era accontentato di farlo accecare – senonché, come spesso succedeva in questi casi, Costantino era comunque morto poco dopo a causa delle ferite. A quel punto Irene si era proclamata basileus, avete capito bene, al maschile: le basilisse erano le mogli o le madri dell'imperatore, ma Irene non si considerava più né madre né vedova né reggente: l'imperatore era lei, punto, forse aa Meloni pensava a questo precedente quando ha chiesto di farsi chiamare Signor Presidente der Consiglio, ma non tergiversiamo. Un imperatore donna non si era ancora esattamente visto, e questo forse diede ad Alcuino o ad altri l'idea per il regalo da fare a Carlo nella notte di Natale dell'anno 800; facciamo proclamare dal tuo papa che d'ora in poi l'imperatore sei tu, che ne pensi? Se Carlo fosse stato contrario, difficilmente ne staremmo parlando oggi. Nella pratica si trattava di un escamotage per dichiarare che Roma non dipendeva più da Costantinopoli, bensì da un altro imperatore che di romano aveva ancora meno, ma che di fatto la controllava già da anni.
Anche nelle beghe teologiche, Leone si trovò a barcamenarsi in una situazione in cui la priorità dei nuovi padroni carolingi era isolare Roma da Costantinopoli. Per questo motivo Carlo aveva fatto penare non poco Adriano ai tempi della questione iconoclastica; ora invece la tensione tra oriente e occidente aveva messo a fuoco la questione che poi sarà quella dello scisma definitivo, duecento anni dopo: il filioque. In molte chiese occidentali (non a Roma) il Credo niceno veniva recitato durante la messa, il che dava l'occasione a tutti i fedeli di ribadire che lo Spirito procede "dal padre e dal figlio". Questo nella versione latina: quella greca è un po' diversa, manca una congiunzione, insomma sembra che lo Spirito proceda solo dal padre. Come ammetteranno diversi teologi nei secoli successivi, si tratta di una questione fondamentale soltanto se si ha molta voglia di litigare. I carolingi evidentemente ne avevano; Carlo convocò un sinodo ad Aquisgrana che stabilì che il Credo latino con il suo bel filioque andava recitato in tutte le messe. Leone ratificò il decreto, ma solo per le chiese di rito latino; non che i greci gli avrebbero dato retta, ma voleva evitare di rompere con loro: a Roma ancora per più di un secolo si continuò a omettere il filioque.
Alla morte di Carlo, nell'814, forse Leone rischiò di essere vittima di un secondo attentato; stavolta non ebbe bisogno di sollecitare i messi del nuovo imperatore (Ludovico), che quando arrivarono trovarono la situazione già normalizzata. Leone sarebbe morto due anni dopo Carlo; in generale non è ricordato come un grande papa. Fu beatificato solo nel Seicento, e canonizzato nel secolo successivo. Addirittura negli anni Sessanta il suo nome era stato espunto dal Martirologio romano; poi è stato reinserito. Non è considerato patrono di nulla in particolare, ma se quando cercano di farvi fuori voi scappate dal vostro boss, Leone sa come vi sentite in quel momento.
L'apostolo dietro le quinte
11-06-2023, 02:55Bibbia, Chiesa, cristianesimo, santiPermalink11 giugno: San Barnaba, apostolo e fundraiser (I secolo)
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Paolo e Barnaba a Listra vengono scambiati per Hermes e Zeus (Nicolaes Pietersz) |
Barnaba è quel tipo di personaggio che vive tra le righe: in un libro non vengono quasi mai nominati, eppure senza di loro la trama non andrebbe avanti. Il libro in questo caso sono gli Atti degli Apostoli di Luca evangelista, in cui Barnaba viene nominato una ventina di volte, che non sono poi così poche. È uno dei rari personaggi che compare sia nella prima parte (ambientata a Gerusalemme, racconta la nascita di una setta basata sulla fede negli insegnamenti e nella resurrezione di Gesù di Nazareth), sia nella seconda, quella che racconta dei viaggi e della predicazione di Paolo di Tarso. Barnaba è il trait d'union: fu uno dei primi aderenti (e contribuenti) della comunità di Gerusalemme, e poi fu il mentore e il compagno di Paolo nei suoi primi viaggi. Di lui non viene riportato nessun discorso diretto: a differenza di Pietro e di Paolo, non è davvero importante quello che dice. L'importante è sempre quello che fa: le persone e le comunità che sceglie di appoggiare, nonché i soldi; sin dalla prima volta in cui compare, Barnaba si trova coinvolto in questioni di soldi. L'ipotesi è che l'economia fosse il suo campo specifico: altri parlavano, Barnaba decideva quanti soldi raccogliere, quanti soldi riscuotere. Pietro e Paolo erano star, Barnaba il loro procuratore? È solo un'ipotesi perché Luca, quando si parla di soldi, si muove sempre un po' a disagio e tende a riportare ricostruzioni improbabili. Altri avrebbero semplicemente rimosso l'argomento; in fondo se stai raccontando la nascita di un culto a chi vuoi che interessi l'economia? E invece a noi, duemila anni dopo, un po' interessa.
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La lettera agli Ebrei, attribuita da Tertulliano a Barnaba |
Quando nelle sue lettere Paolo parla di queste raccolte fondi, lo fa con un certo disagio – più che comprensibile in un teologo che preferirebbe toccare argomenti più alti. Si capisce che le ritiene necessarie, che non può esimersi dal sollecitarle, ma anche che non vorrebbe essere preso per il destinatario delle offerte o peggio, per un mero riscossore. Può darsi che a occuparsi più concretamente delle collette fosse il suo collega Barnaba, e questo spiegherebbe il senso del suo soprannome: l'"esortazione" riguarderebbe l'invito evangelico a donare tutto ai poveri, o almeno qualcosa (a proposito: ricordate che mestiere faceva Matteo-Levi prima di incontrare Gesù? Il riscossore, esatto).
Astrud Gilberto, punk prima di te
09-06-2023, 08:46coccodrilli, musicaPermalinkLa leggenda è talmente famosa che mi vergogno quasi a ripeterla, insomma nel 1963 Stan Getz vola a Rio perché ha sentito dire che laggiù è stato scoperto tutto un nuovo filone di musica che potrebbe essere quella del futuro (di tutti gli anni in cui ciò poteva succedere, è esattamente il 1963: i Beatles atterreranno negli USA l'anno dopo). Getz è un sax di buone speranze che si muove già in un mondo saturo di proposte musicali; qualche collega probabilmente si stava già lamentando che ormai tutta la musica buona era stata già composta e incisa, insomma alla fine le note sono sette, ecc. E in effetti quello che Getz trova a Rio è una musica strana e dissonante, anche se al nostro orecchio oggi non suona più così; ma se oggi noi non troviamo più così dissonante la bossanova è proprio perché Stan Getz ce l'ha portata, dopo essere andato a prenderla direttamente dalla spiaggia di Ipanema e dalla chitarra di Joao Gilberto che suonava quegli accordi che la prima volta che li vedi dici no, dev'esserci un errore di stampa, non si possono suonare queste corde insieme, ecco: anche la prima volta che i nostri nonni hanno ascoltato Garota de Ipanema avranno detto no, c'è qualcosa che non va, qualcuno sta stonando; probabilmente la ragazza. Invece per noi è normale.
Noi bisogna dire che ormai ascoltiamo di tutto senza più battere ciglio; quando ci imbattiamo in un oggetto che suona più dissonante del solito, alziamo le spalle e pensiamo che sia roba dei giovani, e ci difendiamo ricordando che comunque abbiamo ascoltato anche di peggio, in certi casi continuiamo a farlo. Ultimamente in Italia c'è un ritorno della melodia ma camuffata da rap di strada (davvero, non hanno vergogna, ormai gli basta cominciare con eh, eh oh, uh, poi parte la base e potrebbero essere i Ricchi e Poveri). Il brano di Sanremo che si è ascoltato più in giro quest'anno lo ha scritto un rapper di Carpenedolo (BS) in pieno ritorno del rimosso, che nel caso suo e dei suoi ascoltatori è lo Zecchino d'Oro; era abbastanza prevedibile, per parecchi anni lo Zecchino ha prodotto musica migliore di Sanremo e chi ha avuto la fortuna di essere cresciuto in quegli anni probabilmente manterrà un certo debole per le melodie molto cantabili e i cori bianchi; però quand'è successo che abbiamo accettato le voci dei bambini nella musica leggera? Ogni luogo comune ci proviene da una tradizione, ogni tradizione ha iniziato con un'innovazione, e forse la madrina di tutti i bambini che fanno tenerezza perché suonano quasi stonato è stata Astrud Gilberto. La leggenda dice che Astrud cantò Garota de Ipanema quasi per caso, siccome Getz voleva inciderne una strofa in inglese e l'unica che sapesse l'inglese quel giorno, in sala d'incisione, era la moglie di Joao. Quest'ultimo, secondo la leggenda, non era affatto entusiasta dell'idea che Astrud impallasse la sua melodia con quella vocina simpatica ma non troppo educata. Oggi siamo abituati a considerare la lieve dissonanza della voce di Astrud una parte integrante di quell'universo musicale che chiamiamo bossanova; il fatto che Joao Gilberto non la pensasse così lo troviamo deliziosamente ironico, del resto capita a molti rivoluzionari di venire travolti dalla rivoluzione che scatenano; questo ci impedisce di credere ad altre versioni, come a quella della stessa Astrud secondo la quale fu proprio Joao a suggerire a Getz di farle cantare la parte inglese. In effetti è più probabile che la contrarietà di Joao fosse di natura economica, perché la versione di Garota che alla fine fu promossa negli USA era quella che ometteva la sua parte di cantato (in portoghese). Quindi meno royalties per lui; quanto ad Astrud, sappiamo che per la sua prestazione fu pagata 120$, e poteva andarle peggio, poteva incontrare i Pink Floyd. A quanto pare Getz continuò ad abusare di lei sia economicamente sia umanamente anche durante il successivo tour nordamericano, una circostanza che ogni tanto riscopro e ridimentico perché forse non mi piace sapere queste cose quando ascolto Garota de Ipanema.
Gran parte delle leggende nascono per spiegare com'è nato qualcosa che prima non c'era. Quelle che funzionano di solito ci confortano sulla natura fortuita delle innovazioni. È abbastanza improbabile che Oldham si sia imbattuto per caso nei Beatles proprio mentre usciva dalla sala di registrazione dove gli Stones annaspavano senza trovare una canzone da incidere – proprio mentre Lennon e McCartney avevano in canna I Wanna Be Your Man. Ma è una bella storia, funziona, significa che gli Stones sono diventati famosi per un puro colpo di fortuna (e l'ha messa in giro il loro manager!) Così, a rifletterci bene, anche la leggenda di Garota è un po' sospetta. Io ho sempre voluto crederci, ho sempre dato per scontato che Astrud Gilberto sia stata la prima vera voce dissonante della musica brasiliana, ma in effetti che ne so? magari ce n'erano delle altre. Senz'altro lei ha cambiato tutto. Un po' prima dei Beatles (che erano dissonanti in un modo molto diverso), un po' dopo Dylan (più gracchiante che dissonante, ma comunque un prodotto di nicchia), ha mostrato agli americani che si poteva cantare in un modo diverso, meno formale, più familiare. Possiamo dire che è stata punk, Astrud Gilberto, in un momento in cui era punk sfondare nelle frequenze AM con una vocina. E osservare ancora una volta quanto rapidamente il punk si trasforma in maniera, in stereotipo: quanto presto le frequenze AM e FM si sono riempite di vocine che oggi non consideriamo nemmeno più dissonanti, non abbiamo più l'orecchio abbastanza allenato per farci caso. Se ogni innovazione è uno steccato che cede, col tempo ormai non dovrebbe più esserne rimasto uno solo, insomma già da una ventina d'anni dovremmo trovare ascoltabile e gradevole qualsiasi sequenza di rumori – e non è detto che non sia così, probabilmente è quello che penserebbe Mozart di noi se potesse ascoltarci, insomma che differenza c'è tra un pezzo noise e un frullatore in funzione, tra una base hip hop e un muratore col trapano, tra un pezzo trap e un ubriaco sotto casa stanotte che urla al telefono. Ma non è proprio così, quasi per ogni steccato che cede ce n'è un altro che rispunta un po' più dietro, spesso oltre l'orizzonte, per cui abbiamo sempre la sensazione che ormai si possa fare di tutto ma anche che alla fine si facciano sempre le solite cose. Non abbiamo idea di che regalo ci abbia fatto Astrud Gilberto, cantando quella canzone e tante altre. Per capire quanto sia stata punk, dobbiamo smettere di esserlo, ovvero farci una cultura musicale, approfondire il contesto, capire quanto era diverso il mondo in cui si è ritrovata per caso o per calcolo davanti a quel microfono. Poi certo, ci sarà sempre qualcuno che ti dice che la vera musica oltrepassa i generi, gli stili, le generazioni, se ne va dritta nell'iperuranio o tra le pure idee di Benedetto Croce. Non escludo che sia così, alla fine a chi è che non piace Garota de Ipanema? Ma trovo più conveniente illudermi del contrario, pensare che tanti anni passati ad ascoltare e a studiare abbiano fatto di me una persona più raffinata. Anche se questa raffinatezza mi serve per apprezzare l'esatto contrario; per capire quanto siano stati rivoluzionari dei ragazzini che il più delle volte non sapevano cosa stavano facendo, cosa stavano suonando, cosa stavano cantando.
Perché poi alla fine la musica leggera è stata questa cosa, un mondo a parte in cui comandano i giovani. Non è che se invecchi sei per forza fuori; ma devi accettare che comandano loro. Astrud Gilberto ha continuato a far musica di ottimo livello, ma è rimasta per sempre legata a quel momento primigenio in cui ha insegnato al mondo come si canta la bossanova. È assolutamente normale: tutti gli artisti di quel settore hanno una carriera che comincia con un picco e poi una lenta discesa; quando hanno dato il Nobel a Dylan per la carriera, lui ha mandato Patti Smith a cantare una canzone scritta quando aveva vent'anni. Ne aveva già settanta e non ha mai smesso di scriverne; eppure ha scelto quella giusta. La musica leggera è un mondo alla rovescia, per viverci bisogna accettarlo. Oppure morire giovani. Io preferisco accettarlo.
San Giusto sui monti profumati
28-05-2023, 00:00Bibbia, leggere, santiPermalink28 maggio: San Giusto di Urgell, glossatore cattolico di poesie d'amore
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Biblioteca universitaria di Bologna |
Un disco embrione
25-05-2023, 01:22Battiato, musicaPermalink(Discografia di Franco Battiato, #3)
Episodio precedente: Il periodo Polydor
Fetus (registrato entro il novembre 1971, pubblicato da Bla Bla nel gennaio 1972).
Il disco-embrione
Fetus è il disco con cui Franco Battiato decide di nascere: tutto quello che aveva tentato prima è rimosso, relegato in una condizione pre-natale. Altri artisti in quegli anni mutano bruscamente traiettoria, cambiando immagine pubblica e nome d'arte: Battiato mantiene il suo, ma cancella tutto quello che ha significato in quel momento. È difficile pensare che non ne fosse consapevole, ma la simbologia fetale che domina il disco sin dal titolo richiama questa sua condizione: l'artista è appena nato, è un embrione. In quanto tale contiene già tutte le potenzialità che svilupperà da lì in poi – l'elettronica, Bach, le ballate, la tarantella, i campionamenti – ma in una forma, va da sé, embrionale. Tra i solchi c'è anche qualche possibilità che Battiato scarterà subito: un po' d'improvvisazione quasi jazz e qualcosa che richiama il Bowie di quegli anni (convergenza evolutiva)?
Quando compone Fetus, Battiato ha alle spalle più di un lustro di esperienza da compositore e performer. Altri approfitterebbero della prima possibilità di incidere un 33 giri per mettere assieme un repertorio di canzoni accumulato negli anni. Battiato, che un po' di canzoni da parte ne aveva, con Fetus fa quasi tabula rasa. Il passato cantautoriale/canzonettistico non sparisce del tutto, ma è fatto a brandelli e riciclato in montaggi di mini-brani giustapposti. Fetus da questo punto di vista è il disco in cui la forma canzone viene sottoposta alle maggiori torsioni, al punto che nel secondo lato è davvero arbitrario decidere quando finisce un brano e ne comincia un altro. Il "concept" è ispirato al Mondo nuovo di Huxley, ma sviluppato in modo vago ed enigmatico, non dissimilmente a quanto succedeva nei concept album del periodo.
Può darsi che Fetus sia invecchiato peggio di altri dischi di FB. Quando uscì, sorprese gli ascoltatori più smaliziati (tra cui a quanto pare Frank Zappa, a cui sarebbe sfuggito quel famoso "Battiato is a genius": la fonte però è Pino Massara). Persino negli anni più creativi del prog, Fetus suonava come qualcosa di strano e originale. Lo è tuttora, anche se forse come ascoltatori siamo meno disponibili a lasciarci sconvolgere dalle arcane incursioni del sintetizzatore VCS3, qualcosa che non si era ancora ascoltato neanche nei dischi inglesi e americani.
1972: Fetus (#98)
Non ero ancora nato che già sentivo il cuore che la mia vita nasceva senza amore. È abbastanza clamoroso che un autore apprezzato per le sue esuberanze lessicali esordisca proprio con la rima cuore / amore, e con una sintassi così incespicante – sarebbe stato sufficiente cantare "già sentivo in cuore" perché la frase filasse liscia: sì, ma Battiato non resiste, con la fatica che deve aver fatto a incidere su vinile nel 1972 un realistico battito di un cuore in anticipo su The Dark Side of the Moon, lui vuole proprio dirci che lo sente, sente "il" cuore (musicalmente la primissima frase somiglia già parecchio all'introduzione di Stranizza d'amuri).
Battiato, dicevamo, nasce con Fetus, e cioè con un'incertezza fondamentale: perché non si è mai capito con quale brano Fetus dovesse cominciare. Nella copertina della prima edizione si legge che il primo brano è l'omonimo Fetus: il disco inizierebbe dunque con il cuore pulsante. Si tratta però di un errore, perché a mettere il disco sul piatto si scopre che il primo brano è Energia, come è anche scritto sulla label: un inizio ancora più suggestivo, con le voci dei bambini di una scuola materna di Milano e le prime ipnotiche sequenze di note sintetizzate. La discrepanza tra la scaletta della copertina e quella del disco ci fa pensare che Battiato abbia cambiato idea all'ultimo momento, magari consigliato da un collaboratore che trovava l'attacco di Energia più appropriato. O forse ha prevalso la coerenza narrativa: Fetus racconta la storia di un embrione a cui comincia a battere il cuore, ma Energia risale a un livello ancora precedente: è una canzone, come dire, sulle emissioni spermatiche. La scelta di cominciare con Energia viene ribadita nella versione inglese, Foetus, che però resta inedita. Invece, quando nel 1998 Fetus viene finalmente ristampato su CD, la scaletta è di nuovo cambiata. Ora il primo brano è Fetus, il che farebbe pensare che chi ha curato la ristampa si sia sbrigativamente basato sulla scaletta della copertina del LP. Ma non è esattamente così, perché Energia, che sulla copertina stava al secondo posto, ora sta addirittura al quarto (tra Cariocinesi e Fenomenologia), in una posizione che nella scaletta originale avrebbe potuto occupare l'ultimo brano del primo lato. Che Battiato avesse cambiato idea? A conoscerlo, è difficile immaginare che volesse ritoccare un disco per lui così remoto (e dal quale non attingeva più materiale nemmeno per i concerti). Nel frattempo, appunto, i suoni del VCS30 non sembravano più così fantascientifici, ma ormai modernariato, il che appannava un po' l'attacco di Energia; mentre il battito del cuore di Fetus faceva ancora il suo effetto – e Dark Side of the Moon continuava a vendere come il pane, per cui non è nemmeno impossibile che qualcuno abbia pensato di riconfezionare Fetus per renderlo un po' più pinkfloydiano.
Nella seconda parte il brano diventa un campionario dei suoni che Battiato è riuscito a estrarre dal VCS3, il pioneristico sintetizzatore su cui era riuscito a mettere le mani, primo in Italia (e terzo nel mondo, a detta di Pino Massara). Sono suoni ancora molto suggestivi, anche se nel finale FB sembra dominato dalla volontà di stupire con effetti speciali. Entusiasmo puerile, più che comprensibile in un embrione. Prima dell'esplosione finale di suoni, compare il fraseggio che risentiremo più tardi in Energia.
1972: Energia (#130)
Più tardi Franco Battiato riuscirà ad accreditarsi presso il pubblico italiano come l'anti-macho, colui che non può essere sospettato non già di concupire, ma di consentire che qualche sua occasionale concupiscenza si tramuti in azione prevaricatrice o anche solo vagamente maliziosa nei confronti di una persona concupita. Proprio per questo è curioso che la sua carriera 'seria' cominci con un'affermazione incredibilmente bomberistica: "Ho avuto molte donne in vita mia, e in ogni camera ho lasciato qualche mia energia". Nientemeno. Ma appunto, solo a Franco Battiato poteva essere consentito di cantare una cosa del genere senza suggerire nessuna velleità da sex machine.
Per Fetus provo qualcosa di molto particolare: è un disco del 1972, quando ero un feto anch'io, insomma siamo coetanei. Certi suoni di questo disco li sento in un modo particolare – solo certi dischi prog anni '70 mi danno questa sensazione, l'illusione di averli sentiti in un passato remotissimo e in bianco e nero. Potrebbe essere perfino successo, perché no? Potrei essere rimasto davanti al vecchio televisore con quattro tasti e senza telecomando mentre in Rai passava un'intervista al giovane Battiato inframezzata da suoni presi da Fetus. In particolare potrei avere ascoltato i primi secondi di Energia, che fino all'edizione in CD del 1998 era il primo brano del disco ed è qualcosa che a distanza di tanti anni mi dà ancora i brividi, il fraseggio ipnotico del sintetizzatore VCS3 che copre le voci dei "Bambini della Scuola Materna Istituto San Vincenzo di Milano". Nella mia memoria c'è appena l'ombra di un ricordo, è come se quei bambini che parlano li avessi visti giocare e guardare in camera mentre l'immagine si satura di luce come una foto troppo sviluppata. Potrei aver persino provato paura di fronte a una combinazione mai sentita prima di suoni e voci.
La canzone vera e propria invece no, credo proprio di averla ascoltata già adulto. Tratta di un argomento che nel 1972 doveva suonare davvero scabroso – l'eiaculazione, e la vertigine che il maschio sperimenta quando ci riflette, cosa che avviene (quando avviene) sempre soltanto dopo, prima riflettere è impossibile. Ma dopo a volte ti coglie questo pensiero tremendo, che ti sei liberato in un colpo di migliaia di potenziali vite, diomio sono un mostro, ma che colpa ne ho, la natura è così. “Quanti figli dell’amore ho sprecato io / racchiusi in quattro mura ormai saranno spazzatura”. Di emissioni spermatiche metaforiche o reali Battiato continuerà a cantare per tutta la sua carriera, malgrado la rivendicata castità: in Mesopotamia "la prima goccia bianca che spavento", e come dimenticare l'incipit di Dieci stratagemmi, "eiacula precocemente l'impero" (viene il sospetto che persino il titolo del secondo album, Pollution, sia un tremendo gioco di parole). Ma già nel 1972 la sua concezione del liquido seminale come "energia" che non si dovrebbe sprecare si avvicina più alla trattatistica indù che al mondo morale cattolico.
Sarò una cellula tra i motori. Battiato ha inciso Fetus mentre era in servizio militare, anzi ricoverato all'ospedale militare perché fisicamente "incompatibile" alla vita in caserma (la sera evadeva saltando un cancello, probabilmente aveva corrotto una guardia o due). La cartolina lo ha sorpreso a metà di una delle sue metamorfosi più delicate, da aspirante cantautore ad artista di avanguardia. Il carattere peculiare di Fetus è proprio in questa natura stratificata: è un disco che vuole assolutamente essere un'opera prima, qualcosa di mai sentito e appena nato, eppure tra i motori smaglianti c'è ancora qualche cellula del vecchio organismo. Una cellula è uno dei brani che più somiglia a una canzone tradizionale: c'è la melodia accattivante, una progressione armonica ben riconoscibile, addirittura il ritornello. Poi, certo, il VCS3 suonato a tutto volume garantisce una carenatura sperimentale: ma dentro a cercare bene c'è ancora il vecchio Francesco Battiato.
1972: Cariocinesi (#153)
Un nucleo si divide, l'errore lo interrompe. Il fascino particolare di certe opere prime risiede anche negli errori di percorso, in tutti gli esperimenti non riusciti e da lì in poi accantonati che ci fanno per un attimo immaginare che lo stesso artista avrebbe potuto prendere strade completamente diverse, ci è mancato pochissimo. Ad esempio Cariocinesi è un intermezzo jazz nel bel mezzo di Fetus – ok, è un jazz sui generis, una specie di swing con in evidenza il violino di Sergio Almangano, una batteria elettronica usata per la prima volta in un disco italiano e una chitarra ritmica forsennata. Non è certo il momento più innovativo di Fetus, ma è qualcosa di divertente che Battiato non tenterà (quasi) mai più: da lì in poi, pur percorrendo innumerevoli e apparentemente incompatibili universi musicali, dal jazz si terrà sempre a rispettosa distanza: anche nella fase della sua carriera più orientata all'improvvisazione, che sta per cominciare.
1972: Fenomenologia (#128)
Rispetto ai due dischi successivi, a Fetus manca un vero leitmotiv, ovvero ce n'è più di uno ma sono meno ricorrenti e riconoscibili. Del resto è un'opera prima, quel tipo di disco in cui ci sono sempre più idee del necessario: in seguito gli artisti imparano come economizzarle. E c'è ancora molta chitarra acustica, uno strumento che FB maneggia con più sicurezza del synth, per cui c'è questa curiosa inversione: quando si tratta di fare atmosfera, Battiato ricorre alla chitarra arpeggiata (qui all'inizio e alla fine del brano), mentre dal synth tira fuori i riff più rumorosi e in generale il baccano. Riflettendoci, forse una specie di leitmotiv sono le scale discendenti, suonate in momenti diversi sia con la chitarra (qui all'inizio) sia col synth. In Fenomenologia compare anche il primo ritornello mutuato dal lessico scientifico: qui FB mette in musica la formula geometrica della doppia spirale, ovvero "x1 = a*sen (ωt), x2 = a*sen (ωt + γ)".
1972: Meccanica (#126)
Nel secondo lato di Fetus distinguere le tracce comincia a essere complicato. Più di un brano è composto da movimenti diversi e giustapposti, che svelano l'aspetto più sperimentale nel puro senso della parola (FB sta veramente imparando a suonare il nuovissimo synth VCS3) tra cui si distinguono i primi tentativi di trovare un leitmotiv. In Meccanica debuttano alcuni stilemi del Battiato '70: ad esempio il momento in cui il riff elettronico si trasforma in una specie di tarantella. E soprattutto c'è il primo collage di oggetti trovati, anche questo ancora embrionale ma promettente: una discussione tra gli astronauti dell'Apollo 11 montata sul sottofondo dell'Aria sulla Quarta Corda di Bach, rallentata da Battiato (perché nella sua testa la sentiva "più lenta") appesantendo il disco con una peso. È un momento che doveva suonare particolarmente suggestivo agli ascoltatori del tempo, per una serie di effetti che forse oggi facciamo più fatica a percepire: non soltanto montaggi sonori di questo tipo sono diventati molto più semplici da realizzare e ascoltare, ma l'associazione tra spazio interplanetario e Aria sulla Quarta Corda è diventata un po' banale, dopo decenni di Quark e Superquark. A dire il vero quando Battiato incise Fetus, Piero Angela aveva già portato in tv la versione dell'Aria degli Swingle Singers da cui non si sarebbe mai più separato, in una trasmissione che non si chiamava ancora Quark ma Dimensione uomo (1971). È difficile che Battiato non conoscesse la trasmissione – ma magari l'aveva vista distrattamente, al bar, e il collegamento tra Bach e astronauti gli era rimasto impigliato nell'inconscio. E due anni prima, comunque, tutti sono andati al cinema a vedere e ascoltare 2001 Odissea nello spazio, con tutti quegli Strauss suonati nello spazio profondo.
1972: Anafase (#178)
In biologia l'anafase è "la terza fase della divisione del nucleo cellulare caratterizzata dalla scissione dei centromeri presenti nei cromosomi, dalla separazione dei due cromatidi che vi erano attaccati e dalla loro migrazione ai poli del fuso". Musicalmente, Anafase comincia come un brano cantautoriale per voce e chitarra che riprende sottilmente l'Aria sulla Quarta Corda che abbiamo intrasentito in Meccanica. È il momento più davidbowieano di tutto Fetus, anzi di tutta la carriera di Battiato: si respira la fragranza di quella miscela particolare tra ballata acustica e suggestioni cosmiche che ci obbligano a domandarci se non si tratti di una convergenza evolutiva: cioè Battiato stava per inventare Ziggy Stardust con qualche mese d'anticipo? o non piuttosto un'influenza diretta: possibile che Battiato conoscesse Bowie, negli anni in cui quest'ultimo, dopo il successo di Space Oddity, faticava a farsi conoscere anche in patria? Di Bowie, Battiato non aveva praticamente mai parlato: solo dopo la sua morte consegnò ai giornalisti un ricordo un po' confuso in cui ammetteva di aver amato "da pazzi" Space Oddity e non solo. "Hunky Dory i biondi capelli, una femminilità fotografica, alla Greta Garbo. Aveva già rinnegato il passato, per il futuro. Londra era una polveriera. La droga imperversava. Io volevo vedere e capire quello che capitava. La mia paura era di passare di fianco a una nuova moda che stava per arrivare. Non desideravo altro che locali..." Dunque Battiato potrebbe in effetti avere ascoltato già nel 1971 Hunky Dory, un disco che prima del successo di Ziggy Stardust (uscito sei mesi dopo Fetus) era sconosciuto anche a gran parte del pubblico inglese? Non so quanto questo sia compatibile col servizio militare che Battiato avrebbe assolto (faticosamente) proprio nel 1971. Del resto si tratta di un momento brevissimo, una strofa appena dopodiché la canzone prende una svolta completamente imprevista, lasciando spazio ai synth che stavolta dovrebbero suggerire una fase di quiete (forse l'ibernazione per un viaggio spaziale, dal testo si intuisce qualcosa del genere). È davvero come assistere alla terza fase della divisione del nucleo cellulare di FB: da un cantautore si separa l'avanguardista. Proprio nel momento in cui il cantautore poteva diventare il Bowie italiano... troppo tardi.
1972: Mutazione (#183)
Fetus era anche, in qualche modo, un concept album, con una storia che aveva a che fare con un feto (o più di uno) e un viaggio interstellare. Nell'ultimo brano il feto si risveglia appunto dopo migliaia di anni e avverte le vibrazioni di non ulteriormente specificati "corpi di pietra" che stanno per arrivare. Potrebbero essere anche i "motori" di cui parlava all'inizio dell'album ("sarò una cellula / tra i motori") e quindi la storia tratterebbe di un eterno ritorno. Anche da un punto di vista musicale Mutazione è più simile a una canzone tradizionale e termina con un coro cantato sull'ennesima scala discendente – FB le usa tantissimo su Fetus, per scelta o perché gli vengono spontanee. È una soluzione un po' naif, ma ricordiamo sempre che è ancora poco più che un embrione.
Non lo ucciderete neanche morto
23-05-2023, 19:45generazione di fenomeni, tvPermalinkNon sono più sicuro che mi piaccia Succession. Probabilmente capita a tutti di seguire una serie per inerzia, però questo mi sembra un caso più complicato. All'inizio c'erano gli intrighi di tre fratelli e altri parenti/cortigiani per succedere al padre; l'elemento di novità è che a turno tutti i protagonisti si rivelavano dei deficienti. Ogni volta che uno dei tre sembrava finalmente fare la mossa giusta, riscattarsi, diventare adulto, magari pure uccidendo il padre – niente da fare, subito dopo inciampava nei lacci di scarpe. È un meccanismo che distingue Succession da tanta altra fiction, dove bene o male un eroe c'è: avrà dei difetti e potrebbero anche essere terribili, e forse nemmeno si emenderà, ma a un certo punto la storia viene a coincidere con un suo percorso verso il riscatto, la maturità. Succession non esclude mai che questo prima o poi succeda – il caso più eclatante mi sembra il finale della seconda stagione, quando Kendall fa una mossa veramente arrischiata che ci lascia sospettare che possa essere il Successore, per un attimo, anzi per un anno: dopodiché quando riparte ci accorgiamo in pochi minuti che è il solito pirla, niente da fare.
Esiste sempre un punto in cui ogni fiction avrebbe dovuto fermarsi per non ripetersi, e probabilmente anche in Succession questo punto è stato superato: il meccanismo continua a ripetersi, episodio dopo episodio, in modo sempre più automatico: pensiamo che Kendall/Roman/Shiv finalmente abbia in pugno la situazione, ma nella puntata seguente, a volte ormai nella scena seguente, ha in mano un pugno di mosche: la situazione era più complessa, la situazione continua a complicarsi e quei tre a girare a vuoto. Succession si ripete come tutte le fiction, ma somiglia meno a una fiction e più alla vita, dove malgrado tutti i momenti topici in cui pensi di aver finalmente capito e di essere cambiato, ti svegli il giorno dopo e sei esattamente il pirla di prima, in affanno dietro a un progetto che cambia tutti i giorni, una volta si trattava di ereditare, poi di vendere, poi di comprare, anzi di vendere per comprare un'altra cosa che alla fine è la stessa cosa, ma forse è meglio non vendere e non comprare, e intanto il tempo passa, i vecchi muoiono o si ammucchiano sullo sfondo ma continuano a guardarti scuotendo la testa, you're not serious people. I love you, but you're not serious people.Se l'Ucraina stesse perdendo, cosa ci racconteremmo?
22-05-2023, 00:36fascismo, guerra, Russia-UcrainaPermalinkTra i libri che mi piacerebbe riuscire a salvare dalla muffa anche quest'anno (ma è sempre più difficile) c'è un classico dei mercatini dell'usato che potrebbe anche essere usato contro di me. S'intitola La nostra guerra ed è stato pubblicato nel 1942-XX dalla "Consociazione turistica italiana" (in seguito si sarebbe di nuovo chiamato Touring Club Italia).
Si tratta di un agile volumetto, dalla grafica razionale e pulitissima (c'è un font meraviglioso, il Semplicità) che spiega tutti i motivi per cui Italia Germania e Giappone, che proprio non avrebbero voluto fare la guerra, oh, alla fine si erano trovati praticamente costretti dal blocco plutodemobolscevico che li stritolava, e che comunque meglio così perché stavano vincendo tutto – l'Italia in particolare passava di trionfo in trionfo, con giusto qualche ripiego strategico in Africa – e che l'Eurasia del futuro sarebbe stata un luogo di pace e civile rispetto per i popoli. Un'ucronia, però non cupa e angosciosa alla Dick: una cosa molto istruttiva. La gente che la scrisse – e sapeva scrivere – viveva già in quell'eclissi della coscienza individuale descritta pochi anni dopo da Orwell: riuscivano a raccontare tutto come se tutto avesse un senso e mentre leggi per un attimo anche tu trovi che due più due faccia cinque. È solo un attimo, ma capisci che funziona, e che quindi può funzionare anche oggi: e che quindi ti conviene stare attento. Ho sempre avuto la tentazione di mostrarlo in classe, ho sempre avuto la paura di essere frainteso.
Ci ho ripensato un poco in queste ore, quando in capo a un mese in cui mi era capitato di leggere come i russi si fossero impantanati a Bakhmut, di come la Wagner si ritrovasse disperata senza più munizioni a Bakhmut, di come gli ucraini stavano eroicamente resistendo a Bakhmut, di come i russi con la loro economia devastata ormai non avessero più le risorse per prendere Bakhmhut e stessero abbandonando Bakhmut, ecco, sugli stessi organi di stampa ho letto per la prima volta che può darsi che gli ucraini si siano ritirati da Bakhmut – la quale Bakhmut poi, diciamolo, è un obiettivo assolutamente secondario che non senso intestardirsi a difendere, tanto più che è tutto macerie.
Tutto questo è probabilmente vero; non voglio dare l'impressione di essere quello che la sa più lunga semplicemente perché diffida delle uniche informazioni che trova: è un atteggiamento che ho visto dilagare sui social e decisamente crea dei mostri. Non ho seri motivi per dubitare che a un certo punto la Wagner fosse in difficoltà, a Bakhmut, né che gli ucraini non vi abbiano resistito eroicamente, fino al momento in cui non restavano che macerie e non valeva la pena andare avanti. E che si trattasse di un obiettivo più simbolico che tattico ce lo diciamo da mesi, dopodiché magari ucraini e russi sanno cose che noi non sappiamo, ma se non le sappiamo è inutile fantasticarne.
Prendiamo atto che anche sul fronte a vincere è per ora il pantano; l'offensiva russa è stata lenta e deludente, e quella ucraina per ora non si è vista: magari parte domani, capacissimo. Non posso comunque impedirmi di pensare – sono stato allenato a pensare – che se questa guerra la stessimo perdendo, le notizie che ci arriverebbero dal fronte non sarebbero molto diverse da quelle che leggiamo: i russi fanno fatica, i russi si ritirano, i russi non ce la fanno, i russi in effetti si sono presi una città ma era una città inutile, ormai sono spacciati. Significa che invece stiamo perdendo? Non necessariamente, ma nemmeno si può escludere. Zelensky è molto attivo in questi giorni, ha bisogno del nostro aiuto e non ha pudore a chiederne di più. Non è un fatto nuovo. È anche stato dal papa, e questo forse sì, è un fatto nuovo, perché Francesco in quest'anno è riuscito a mantenere, non senza fatica, una posizione terza che potrebbe tornare utile nel momento in cui si cominciasse a parlare di pace. Forse si sta cominciando a parlare di pace, il che però significa anche che non stiamo vincendo.
Sulla guerra in Ucraina esistono sostanzialmente due narrazioni. Quella russa somiglia abbastanza a quella che troviamo sui vecchi libretti fascisti che conserviamo per capire come riuscivano a raccontarsela: è il solito imperialismo che quando è frustrato assume sempre tinte paranoiche. Gli ucraini erano russi, poi la Nato li ha corrotti, ma molti ancora vorrebbero essere russi, specie in Donbass, e i fascisti ucraini li hanno bombardati finché non siamo entrati per difenderli. È un copione che la Russia è pronta a recitare in tutti i Paesi confinanti e non vassalli: gli abcasi vorrebbero essere russi ma i georgiani glielo impediscono, i transnistriani vorrebbero essere russi ma i moldavi glielo impediscono, ecc. ecc. Giova ricordare che sia Abcasia sia Transnistria sono militarmente (non ufficialmente) occupate da militari russi. È il vittimismo tipico dei prepotenti sulla difensiva, in Italia lo conosciamo bene, lo abbiamo quasi inventato e continuiamo a praticarlo. Questa per quanto riguarda la narrazione russa.
Poi c'è la narrazione della Nato, che più o meno corrisponde a quella dell'Ucraina, e che per quanto possa avvicinarsi alla realtà in campo più di quella russa, non può per definizione essere la realtà oggettiva: questo per vari motivi. Il primo motivo che mi viene in mente è che l'oggettività non esiste, possiamo soltanto tirare una media di tante osservazioni soggettive, Pirandello, Heisenberg, e così via. Il secondo motivo è che la Nato ha i suoi interessi strategici, non è che appoggia le nazioni gratis et amore libertatis. Il terzo motivo è che nessuno in guerra dice solo la "verità". Se poi si passa ai giornali italiani, è molto improbabile che dicano la verità anche in tempo di pace, e quindi insomma è chiaro che non possiamo fidarci al 100% di Zelensky – che comunque, per tanti motivi, consideriamo assai più affidabile di Putin. Dobbiamo allenarci a fare la tara a tutto quello che sentiamo, senza scadere nel complottismo, e non è facile. Come facevano i nostri bisnonni? Ascoltavano l'Eiar, poi Radio Londra, e poi? Probabilmente stavano attenti soprattutto alle posizioni. A El Alamein, se avessimo vinto come titolavano i giornali, non ci saremmo ritirati. Allo stesso modo, a chi ci ripete che la guerra è necessaria e che la Russia va ricacciata dietro i confini del 1992, bisogna far presente con molto tatto che i russi oggi sono su posizioni più avanzate che un anno fa. Magari domattina comincia la controffensiva, magari Zelensky che oggi chiede armi a tutti dopodomani sarà a Mariupol e in giugno a Sebastopoli. Magari. Oggi no. L'economia russa che doveva cascare più di una volta, in un qualche modo tiene: se i cinesi si sfilano, gli indiani comprano di più e questo forse è sufficiente perché la situazione arrivi a uno stallo, uno stallo costosissimo sia in termini di risorse (russe e Nato) sia di vite umane (russe e ucraine). Uno stallo che potrebbe anche andare avanti fino all'autunno, cioè per un altro anno, e poi? È chiaro che noi avremo ancora per molto armi da buttare nel piatto – per qualcuno è anche un affare, teniamone conto. Anche i russi probabilmente avranno per molto tempo effettivi da mandare al fronte. Il primo serbatoio che potrebbe esaurirsi, a occhio, è quello degli ucraini: per quanto continuiamo ad armarli, non è che possano reggere all'infinito.
A volte mi chiedo cosa succederà a molti attivisti pro-Nato quando all'improvviso la narrazione smetterà di dire "confini del '92" e si sposterà su "trattative di pace". È una domanda retorica: molte persone cominceranno non solo a chiedere la pace, ma anche a credere di averla sempre chiesta; perché è l'unica opzione logica, perché le vittime sono troppe, perché protrarre un conflitto di queste proporzioni sul suolo europeo è terribilmente pericoloso, e per tanti altri motivi che diventeranno improvvisamente ragionevoli tanto quanto era ragionevole, fino a poche ore fa, chiedere ai soldati ucraini di resistere tra le macerie di Bakhmut. Certo, è lecito cambiare le proprie opinioni. Spesso è indizio di spirito critico. A tal proposito, vorrei proporre a molti alfieri della Nato un esercizio: provate per una volta ad avere un'idea che non corrisponda a quella del Dipartimento di Stato USA. Anche solo per un istante, come in quei film di androidi in cui a un certo punto il protagonista umano si stagliuzza il braccio per essere sicuro di non essere, a sua insaputa, un androide; voi invece alla terza guerra che vi sembra giusto combatterla mentre i pacifisti sono tutti automaticamente Chamberlain; alla terza guerra che a un certo punto finisce in un mezzo disastro e non non se ne parla più, provate a formulare un'opinione su voi stessi, ci riuscite? I bot non è detto che ci riescano.
Verso il Grande Ventilatore
20-05-2023, 03:35catastrofi, Emilia paranoica, internetPermalinkUna tempesta di merda è sempre interessante in quanto choc culturale: una persona scrive qualcosa che dal suo punto di vista non si discosta molto dalle cose che scrive abitualmente. Questa cosa, inserita nel contesto in cui la scrive, presentata al pubblico abituale, ha perfettamente senso e anche quando è controversa può suscitare al massimo un'animata discussione: che è poi il motivo per cui sui social non usiamo tutta la prudenza con cui ci difendiamo in altri ambiti pubblici. Un po' di pepe lo sai che è necessario, senza un po' di polemica non ti legge neanche la mamma (ciao mamma). La tempesta di merda, se ne avete viste, è un'altra cosa. Qualcosa che hai scritto improvvisamente sbalza fuori dal circolo abituale, attirata da un'energia oscura che la guida verso il Grande Ventilatore. Improvvisamente centinaia di perfetti sconosciuti vengono a insultarti: tra di loro c'è persino gente che ha argomenti sensati perché, alla fine il tuo piccolo contenuto, completamente ritagliato ed estrapolato dal suo contesto, è davvero discutibile. Che un'emergenza ambientale con morti e feriti e centinaia di case allagate si possa liquidare in tre righe è odioso. E allo stesso tempo, Raimo non stava liquidando un bel niente: le tre righe che ha scritto non sono diverse da quelle che ha scritto altre volte, con più tempo e più spazio, o che hanno scritto altri ideologicamente affini ma anche più competenti sull'argomento. Il motivo per cui ha scritto tre righe è proprio che nel suo contesto, di fronte al suo pubblico abituale, quelle righe bastavano. Chi leggeva sapeva già di cosa si parlava: esaltazione della motoristica, turistificazione selvaggia, allevamenti intensivi, sono tutte definizioni che rimandano a lunghi discorsi già fatti e dati per acquisiti, in un circolo neanche così ristretto.
Il contenuto però è uscito dal circolo, e fuori dal circolo no, quel che scrive Raimo è scioccante e inaccettabile. Vale la pena filtrare gli insulti più o meno prevedibili, i Vai-a-spalare-il-fango (scritti da gente che, voglio sperare, aveva appena posato la pala per un rapido coffee break), il campanilismo bieco, quei discorsini sull'eccellenza regionale che chi ha vissuto il terremoto ricorda con un certo fastidio, eccetera. Al netto di tutto questo, un sacco di brava gente è semplicemente convinta di vivere nella migliore regione possibile. Abbiamo tante piste ciclabili, rispondono. Nessuno ne ha come noi. Questa tetragona convinzione di costituire un modello di sviluppo invidiabile e imitabile è purtroppo ancora considerata la soluzione, invece che il problema. Raimo forse avrebbe potuto aggiungere un cenno alla cementificazione che ha reso il territorio più friabile ed esposto alle alluvioni, e magari aggiungere qualche numero sulle oggettive responsabilità di chi ha amministrato comuni e province (mica soltanto il Pd). Lo avrebbero insultato lo stesso, ma valeva la pena. Le sue tre righe sono finite in prima pagina sul Giornale come esempio di sciacallaggio politico – a pochi centimetri da un articolo in cui si accusava il Pd di non aver fatto casse di espansione larghe come quelle che la Lega ha realizzato in Veneto, ma che c'entra, quello è sciacallaggio professionale, Raimo è un free rider, va abbattuto. Sempre in homepage sul Giornale c'è l'intervista a un climatologo: gli chiedono se l'economia green basterà a invertire il riscaldamento globale, lui che può rispondere? Ovviamente risponde di no, ormai nessun intervento umano potrà più di tanto riportare Groenlandia e Antartide ai livelli del 1980. E anche questa constatazione terribile e banale, estrapolata dal contesto dove io e te che la leggiamo sappiamo che significa "estinzione", in homepage sul Giornale significa: l'economia green è una perdita di tempo, cosa stai a comprare la macchina elettrica, facciamo piuttosto il ponte sullo Stretto, sì, c'è anche un'intervista a un onorevole leghista che vuole assolutamente farlo, pensate cosa sono diventati i leghisti col tempo. La pianura padana sprofonda e loro vogliono il ponte sullo Stretto di Messina (costruire una macchina del tempo, spiegarlo a Bossi nel 1986).
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Contro il coro mi raccomando tutti assieme Buuuu Raimo |
La tempesta di Raimo me ne ha ricordato una molto più circoscritta che capitò a me, e alla fine a tutt'oggi è l'unico vero episodio che si possa catalogare come shitstorm. Fu tantissimo tempo fa (2010); anche in quel caso si parlava di alluvioni e mi capitò di scrivere (sull'Unità on line), un apologo abbastanza superficiale su un problema che però per me era cruciale. Il problema è questo: in democrazia, l'amministrazione emergenziale rende meglio di quella ordinaria. Chi si trova a governare un'emergenza riuscirà non solo a ottenere più fondi per rimediare, ma anche a conquistare il consenso degli elettori. Il che, portato nella realtà padana, significa che nel medio-lungo termine a un'amministrazione non conviene davvero costruire una cassa d'espansione quando il fiume è tranquillo e nessuno ha voglia di sborsare dei soldi. Persino l'amministratore avveduto potrebbe concludere che è meglio aspettare il disastro, e poi cavalcarlo: quando arriva il disastro è più facile non solo chiedere soldi a Roma e Bruxelles, ma anche ai concittadini – che in molti casi si metteranno pure a spalare fango gratis. È quello che secondo me stava succedendo in quel momento in Veneto, ma un po' di veneti si arrabbiò e me lo scrisse. In effetti, rileggendo il pezzo dal loro punto di vista, era abbastanza odioso: e addirittura autorizzava una lettura campanilista (in Emilia le casse di espansione funzionavano, in Veneto no?) che già allora mi sembrava fuori fuoco. Poi ci fu il terremoto, poi ruppe l'argine del Secchia, insomma anche se fossi stato un appassionato cantore delle amministrazioni emiliane, avrei avuto abbastanza tempo per ricredermi. Oggi proprio Libero e il Giornale ci informano che la pioggia caduta in Romagna, per quanto eccezionale, è inferiore a quella caduta qualche anno fa in Veneto, dove le casse di espansione (costruite dopo il disastro del 2010) hanno retto abbastanza bene. E quindi, insomma, avevo torto o ragione? A parte che non ha nessuna importanza, in mezzo a tutto questo fango, e che nessuna ragione mi solleverà quando sarà l'ora mia di sprofondare, probabilmente avevo torto a scrivere cose fastidiose su un giornale che veniva letto da gente che non mi conosceva, liberissima di fraintendermi: e avevo ragione, per fare delle buone casse di espansione in Veneto gli amministratori hanno dovuto aspettare l'emergenza che mostrasse a tutta la popolazione che le casse erano assolutamente necessarie. Tutta la brava gente che obietta a Raimo che non si può fare del moralismo in caso di eventi eccezionali, in generale ha ragione: il moralismo suona sempre fastidioso, e gli eventi di questi giorni sono davvero eccezionali. Ma ha anche torto, perché ciò che oggi è eccezionale diventerà la norma, e prima accettiamo questa cosa, meglio è. Raimo avrebbe dovuto spiegarsi meglio, cercare di trovare un modo simpatico di dire questa cosa, che il nostro stile di vita è insostenibile, che l'urbanizzazione romagnola (ed emiliana, e padana) è insostenibile, e che se al posto della primavera di qui in poi avremo un monsone, le piste ciclabili non ci salveranno. Ma esiste un modo simpatico di dire questa cosa? Chi lo trovasse, ce lo faccia sapere, ne abbiamo molto bisogno.
Siamo tutti Salvini (e sprofondiamo)
18-05-2023, 01:27catastrofi, come diventare leghisti, governo MeloniPermalinkChe Salvini troppo spesso twitti prima di pensare non lo scopriamo oggi – certo, un ministro che riesce a mettere insieme il Milan e una calamità naturale nello stesso messaggino segna comunque un record, qualcosa che vale la pena appuntarsi, anche solo per evitare che i posteri liquidino l'episodio come una leggenda: no, Maria Antonietta non disse mai quella cosa delle brioches ma sì, Salvini disse quella cosa del Milan.
E potremmo andare avanti ancora un poco a prendercela con lui. Certo, potrebbe essere interpretato come un espediente per distogliere l'attenzione dalle responsabilità di una classe dirigente locale e sul suo ormai ottantennale modello di sviluppo, che in soldoni consisteva nel cementificare una palude sperando che andasse tutto bene. Non andrà tutto bene. Facile dirlo oggi – ma si poteva dire con una certa sicurezza vent'anni fa, e c'è invece ancora chi non vuole ammetterlo. Del resto in Emilia-Romagna lo sappiamo, sensibilità green e speculazione sui lotti edificabili vanno a braccetto, e Salvini non c'entra un granché: parliamo dell'avvoltoio che viene a vedere se nella catastrofe c'è qualcosa da guadagnarci, non dell'istrice che la catastrofe l'ha pazientemente scavata.
Siccome comunque Salvini la gogna se la merita (non fosse altro perché dopo una settimana di alluvioni il governo non ha ancora varato lo stato di emergenza), propongo di farne almeno una figura sacrificale; di riconoscere nella sua colpa quella di tutti noi. Siamo tutti Salvini – certo, nessuno è Salvini quanto lui, ma siamo tutti un po' Salvini, ogni volta che commentiamo il disastro del giorno con una botta di benpensantismo e un colpetto di benaltrismo. Siamo tutti Salvini, sempre alla ricerca del primo facile colpevole, anche se non ci crediamo neanche noi: ma abbiamo un profilo pubblico, insomma non possiamo mica far finta di niente anche se non abbiamo niente da dire; vogliamo semplicemente far notare che ci siamo, ci preoccupiamo, invece di pensare ai fatti nostri o al Milan.
Siamo tutti Salvini, nel senso che l'apocalisse ci troverà in mutande sul divano e contrariati perché insomma, certo, il settimo sigillo e i quattro cavalieri e tutto il resto, ma noi volevamo sapere chi vinceva la Champions. Siamo spettatori, da che siamo nati; da quando c'è internet siamo pure commentatori; di qualsiasi cosa succeda ci piacerebbe trovare un colpevole alla svelta, che sia un istrice o uno speculatore edilizio; così possiamo cambiare canale rapidamente e trovare un'altra cosa più interessante, le alluvioni non sono così interessanti. Siamo tutti Salvini perché, in definitiva, non tolleriamo che il mondo cambi. Benché il mondo cambi da sempre, e molti di noi vivano e lavorino da sempre immersi nelle correnti di questo movimento: lo stesso Salvini, in epoche più stabili si sarebbe ritrovato commesso viaggiatore. Proprio perché tutto cambia, in modi che per lo più non ci piacciono, S. si è ritrovato bello pronto il suo prodotto da smerciare, il suo malcontento quotidiano da assecondare.
Siamo tutti Salvini ogni volta che ci guardiamo indietro come se indietro ci fosse un equilibrio che pensiamo di aver perso, un'età dell'oro che non tornerà mai, probabilmente a causa di un complotto di persone malvagie che ce l'hanno esattamente con noi. Siamo tutti Salvini, pronti a puntare il dito, verso chi? Non è così importante: l'essenziale è puntare, catalizzare l'attenzione e spostarla in un punto X che può cambiare a piacere – Putin può diventare in pochi mesi da alfiere dei valori tradizionali a orco assassino nemico dell'occidente. L'importante è puntare, magari non essere i primi a estrarre il dito perché poi tocca a te scegliere l'obiettivo e se non trovi il più adatto al momento rischi una brutta figura. Ma se calcoli bene i tempi, se sfoderi l'indice né troppo svelto né troppo tardi, qualche altro intorno a te ti avrà già suggerito una direzione, un obiettivo: a questo punto basta imitarlo, qualcun altro lo sta già imitando, e se in tanti puntano verso lo stesso obiettivo un motivo ci sarà: fino a quella volta, che prima o poi ci capita, quella volta in cui ti accorgi che tocca te, è su di te che stiamo tutti puntando.
Il santo che non sbatteva le uova
16-05-2023, 18:08santiPermalinkLa gloria degli uomini è in molti casi una sciocchezza, un equivoco, una parola capita male da gente che non capisce molto in generale. Avrete sentito di quella politica che ha dato un'intervista di quattro pagine su tanti temi, e alla fine le hanno chiesto come abbina i colori e ha detto mah, mi dà dei consigli un armocromista, ecco, fine, l'unica cosa che la gente ha letto è armocromista, e continueranno a menarsela con l'armocromia finché non trovano qualcosa di più sciocco, uno dice vabbe', è la propaganda politica, un agone senza scrupoli – no, macché, la gente fa così da sempre: capisce male una cosa, se la lega al dito e decide di ricordarsi quella singola cosa; non importa cosa abbiate fatto di bene o di male perché tanto si ricorderanno di voi per una cazzata che avete detto ma in realtà intendevate un'altra cosa, oppure nemmeno l'avete detta: così come Maria Antonietta non ha mai detto Che mangino brioches, Galileo non ha mai detto Eppur si muove, Voltaire non avrebbe mosso un dito per difendere le opinioni dei fanatici religiosi, anzi proponeva di schiacciarli come infami, e lo stesso Brecht, non fatemi nemmeno cominciare con Brecht, se la gente sapesse cosa scriveva davvero ammutolirebbe di schianto – parliamo piuttosto di San Pasquale Baylon.
Sapete per cosa è famoso?
Beh oddio, non è così famoso.
Ma sapete qual è l'unica cosa per cui è ricordato, almeno qui in Italia?
Ha inventato lo zabaione.
Sul serio? No. La Treccani dà l'etimologia più probabile dal tardo latino "sabaia" ("bevanda d'orzo"), da cui per estensione sarebbe stato il nome a tutta una serie di zuppette, compresa quella con l'uovo e il marsala, magari attraverso il veneziano "zabaja". Un'altra ipotesi la ricollega a un capitano di ventura del quattrocento, Giampaolo ("Zan") Baglioni ("Baion"): ma al mio naso sa già di paretimologia. Anzi è uno di quei casi in cui è davvero più felice il termine tedesco Volksetymologie, etimologia popolare: ovvero le situazioni in cui è il popolo a non capire da dove viene un termine e a costruirci sopra una leggenda più o meno balzana.
In Piemonte a inizio Novecento era già effettivamente possibile ordinare un "sambayon", così chiamato in onore di San Pasquale Baylon patrono dei pasticcieri, ma sembra una classica inversione di causa ed effetto, ovvero perché un digiunatore incallito come San Pasquale si è ritrovato patrono di chi sforna dolci tutte le mattine? Per via di una leggenda che lo voleva, appunto, inventore dello zabaione: ma è una leggenda sciocca come poche.
Zabaione verrebbe da "San Baylonne", perché così si pronunciava il nome del santo a Trastevere nel Settecento, quando gli fu dedicata una chiesa che in precedenza si chiamava dei Quaranta martiri. Dunque non può essere prima del 1740. In precedenza Baylone, un frate dell'ordine alcantarino vissuto per lo più in Spagna, non era molto conosciuto a Roma. Nel settecento però gli alcantarini si espandono nei regni di Sicilia e anche nello Stato della Chiesa, e Pasquale Baylon entra in una litania popolare che più che nelle chiese probabilmente si recitava nei collegi: una filastrocca che appioppa a ogni santo un patronato a seconda della rima del cognome; per cui Ignazio di Loyola è il "protettore della scuola", mentre San Pasquale Baylonne si ritrova "protettore delle donne". Da qui la strofetta che le donne nubili reciterebbero per allontanare lo spettro dello zitellaggio:
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A me più che bianco e rosso sembra giallino |
San Pasquale Baylonne
deh, trovatemi un marito
bianco, rosso e colorito
ma di certo a voi uguale
o glorioso san Pasquale.
Le donne a dire il vero di protettrici ne hanno finché ne vogliono, ma l'idea audace che un frate possa essere d'aiuto alle fedeli dell'altro sesso deve aver solleticato la fantasia di qualche contafrottole, magari nei pressi di una pasticceria che doveva lanciare un prodotto. Insomma a un certo punto qualcuno si inventa la storia di una donna disperata perché il marito ha un problema di virilità; questa invoca San Pasquale, il quale a mo' di rimedio in sogno le propone la ricetta dello zabaione al marsala. Vero che sembra la trama di un film scritto da Castellano e Pipolo con Lando Buzzanca? Infatti lo è.
Questo episodio non solo è completamente apocrifo, ma smentisce tutto quello che sappiamo del santo vero, un asceta del XVI secolo particolarmente devoto al santissimo sacramento dell'eucarestia – tanto che durante una missione in Francia, malgrado i superiori gli avessero raccomandato un profilo basso, a Pasquale capitò di accapigliarsi sull'argomento con un gruppo di ugonotti e pare che ci abbia rischiato la pelle. Una cosa che può sfuggire è che fino al Vaticano II, l'eucarestia poteva essere somministrata ai fedeli solo dopo 12 ore di digiuno, il che comportava per i devoti che cercavamo di comunicarsi più volte a settimana un regime alimentare molto frugale e faticoso; le stesse fonti cattoliche ammettono che possono essere state le privazioni autoinferte ad accorciare la vita di Pascual Baylón Yubero, il quale morì a 52 anni lasciando qualche opuscolo con le sue massime e riflessioni sul sacramento e la pietà cristiana. Non devono essere dei capolavori (Pasquale si considerava un illetterato, e nessuno ci ha tenuto a smentirlo), ma ci mise l'anima: imparò a scrivere per cercare di spiegare le cose in cui credeva e che gli premevano al punto di digiunare e morirne.
Ma noi ci ricordiamo di lui per una filastrocca sulle donne in cerca di marito e una leggenda stupida sulle uova sbattute. Questa è la gloria degli uomini: una sciocchezza, un equivoco, una parola capita male da gente che non capisce molto in generale.