Per favore, Angelina Mango, rinuncia all'Eurovision Song Contest

Permalink

Cara Angelina Mango

per prima cosa, complimenti: hai vinto il festival della canzone italiana, al termine di una delle edizioni più seguite e più combattute. Con la tua vittoria hai probabilmente scritto una pagina della storia della musica italiana, e tante altre frasi fatte che potrei scriverti, prima di passare al dunque. Perché alla fine, se ti scrivo, è soltanto perché devo chiederti un favore. Molto grande.

Cara Angelina Mango, 

in quanto vincitrice del festival, hai il diritto di partecipare all'Eurovision Song Contest. Immagino che si tratti di un'occasione non piccola per far conoscere il tuo brano e la tua bravura anche all'estero. Ecco il motivo per cui ti scrivo. 

Devo chiederti di non partecipare: di boicottare l'Eurovision Song Contest. 

Sì, lo so, non sono cose da chiedere a un'artista.  

Ma non so a chi altro rivolgermi, sono abbastanza disperato. Proprio in questi giorni in cui tu hai avuto altre cose cui pensare, il governo israeliano ha chiesto ai civili palestinesi di evacuare Rafah, perché deve smantellare le basi di Hamas che a quanto pare adesso si troverebbero lì – è tre mesi che le cerca, devastando la Striscia nel processo. In queste ore l'esercito israeliano sta già bombardando Rafah. I civili dovrebbero andarsene, ma c'è un problema: Rafah è l'ultima città della Striscia. La gente che tre mesi fa ha accolto un simile invito ad andarsene da Gaza, è scappata più a sud, a Khan Younis – salvo che gli israeliani hanno bombardato e occupato anche Khan Younis, invitando la popolazione ad andare ancora più a sud, appunto a Rafah. Più a sud di così non possono andare, c'è solo il confine egiziano, che rimane chiuso. Ci sono centinaia di migliaia di civili in trappola, a Rafah. Negli ultimi tre mesi ne sono morti più di 25.000, uccisi dalle bombe e dai fucili dell'esercito israeliano. Più di un terzo erano minori. Sono numeri che il governo israeliano non contesta. È chiaro che tu non hai nessuna responsabilità di tutto questo.

Però all'Eurovision gareggerai contro gli artisti di altri Paesi, tra cui Israele, che ha già ufficialmente presentato la cantante che difenderà i suoi colori. Ora, parliamoci chiaro: l'Eurovision è una baracconata al quadrato, che moltiplica due cose che sono già baracconate in sé: le competizioni tra canzoni e le competizioni per nazioni. Tu ci vai a promuovere la tua canzone, non a difendere l'Italia; e allo stesso modo la tua collega non andrà a difendere Israele, né a rappresentare le decisioni del governo o i bombardamenti dell'esercito. E però ci andrà. Come se non stesse succedendo niente. 

Questa cosa, perdonami, la trovo insopportabile. Non è vero che non sta succedendo niente. Due anni fa, come sai, la Russia è stata esclusa dall'Eurovision in seguito all'invasione dell'Ucraina. I rappresentanti di diverse nazioni (non l'Italia) avevano annunciato che se la Russia restava in gara, loro non avrebbero partecipato. A tutti gli osservatori non filorussi sembrò una decisione ragionevole, un modo per dare un segnale al governo e alla popolazione russa: non possiamo tollerare un'invasione a poche centinaia di km da casa nostra, non possiamo giocare assieme a votare il cantante mentre c'è chi bombarda e uccide. Ecco. Due anni dopo il messaggio che rischia di passare è l'opposto: che il governo israeliano può fare quello che vuole senza che nessuno, almeno in Europa, si opponga. E cosa vuole fare il governo israeliano?

Youtube

C'è una sentenza provvisoria della Corte di Giustizia Internazionale dell'Aja che lo mette nero su bianco: Israele deve prevenire qualunque atto che possa essere ricondotto a genocidio. Il che significa quanto meno che il rischio di genocidio c'è. Dopo averla recintata e isolata dal mondo per decenni, l'esercito israeliano sta distruggendo la Striscia. I soldati stanno uccidendo migliaia di palestinesi, cercando di forzarne l'esodo in Egitto. Ufficialmente lo fanno per eliminare i guerriglieri di Hamas e ritrovare gli ostaggi, ma non sembra che stia funzionando. Inoltre compiono azioni che non sembrano avere molto a che fare con l'antiguerriglia. Ad esempio, distruggono gli archivi. e smantellano i cimiteri. Per quale motivo al mondo un esercito in guerra può perdere tempo a eliminare tombe e documenti? Mi viene in mente un solo motivo: cancellare la storia degli abitanti di Gaza, impedire che in futuro qualcuno possa dimostrare l'entità di quello che è successo. Ma come (potresti obiettare), sappiamo bene cosa sta succedendo: ci sono i giornalisti sul posto. Ormai non più, dall'inizio della crisi ne sono morti più di cento, sotto i bombardamenti o colpiti da armi da fuoco. È un numero assolutamente eccezionale, per un teatro di guerra così circoscritto. Sembra proprio che i giornalisti siano presi di mira dai militari israeliani. 

È come se in gioco non ci fosse soltanto la vita di centinaia di migliaia di persone (il che già basterebbe) ma la nostra oggettività. Israele è un Paese nostro amico, e quindi può riscrivere la sua storia a piacimento, e noi dobbiamo far fingere che sia tutto ok, che un tentativo di genocidio sia semplicemente un'operazione antiterroristica. Dobbiamo continuare a raccontarci questa cosa finché non cominceremo a crederci. Scrivere nei nostri libri che i palestinesi erano una sparuta minoranza che a un certo punto si è dileguata per cause naturali, e poi farli leggere ai nostri figli finché non si convinceranno che sia andata così. Questa normalizzazione comincia oggi, quando un tuo collega dice "stop genocidio" e la Rai taglia la frase dal video dell'esibizione; quando si parla dell'Eurovision e diamo tutti per scontato che ci saremo noi e ci sarà anche Israele.

Cara Angelina Mango, il giorno del tuo trionfo a Sanremo ha coinciso con il giorno del ricordo dei massacri delle foibe, forse hai sentito a un certo punto Amadeus che ne parlava. Si tratta di un episodio storico molto controverso; ti basti pensare che su wikipedia le stime dei morti infoibati oscillano tra le tre e le undici migliaia. Anche volendo prendere il numero più alto, si tratta di un massacro inferiore a quello che è avvenuto a Gaza negli ultimi mesi. Da cui la solita domanda: a cosa serve ricordare un episodio di 80 anni fa, se non a impedire che cose simili succedano? E se lasciamo che cose simili succedano senza opporre nemmeno la nostra coscienza, a che ci serve ricordare episodi di 80 anni fa?

Cara Angelina Mango,

probabilmente sto sbagliando tutto. Il conteggio dei morti non è mai un argomento efficace. La fantasia umana ha dei limiti oltre ai quali non riesce più a concepire l'orrore: tremila, trentamila, non fa nessuna differenza. Per questo motivo i comunicatori più abili di solito si concentrano sui casi singoli. Forse avrei dovuto parlarti semplicemente di Hind Rajab, la bambina di sei anni che è sopravvissuta per qualche ora al bombardamento che aveva ucciso la sua famiglia. Stavano scappando da Gaza in automobile, quando è stata presa di mira. La cugina quindicenne è riuscita a chiamato la Mezzaluna Rossa prima di morire. La Mezzaluna Rossa ha richiamato e solo Hind poteva rispondere, così ha risposto. Ha implorato che la venissero a prendere, era lì nascosta tra i cadaveri dei parenti e aveva paura del buio. Il personale della Mezzaluna Rossa ha contattato l'esercito israeliano, ha chiesto di poter accedere all'area. Ha aspettato per ore. Finalmente un'ambulanza è potuta partire, ma non è mai arrivata. L'esercito ha sparato anche all'ambulanza. Non è così raro laggiù. I volontari che partivano, sapevano che il rischio c'era. Ma c'era una bambina sola al buio, e così sono andati. Tutto questo non è normale, non dovrebbe succedere. Se abbiamo la minima possibilità di impedirlo, dobbiamo utilizzare quella minima possibilità. 

Così la mia minima possibilità, stasera, è domandarti questa cosa: per favore, prendi almeno in considerazione l'idea di non partecipare all'Eurovision. Che poi diciamocelo, hai già vinto Sanremo, cosa dovresti dimostrare all'Eurovision? Tutti gli anni una canzone vince l'Eurovision: di solito è un ritornello scemo e ce ne dimentichiamo la settimana dopo. Ma se tu riuscissi a dire, nei prossimi giorni: preferirei non andare, mi sento a disagio a partecipare; vorrei che prima di partecipare Israele si attenesse alla sentenza della Corte Internazionale di Giustizia e prevenisse un genocidio, ecco, credo che milioni di persone in Italia, e in Palestina, e in tutto il mondo (persino in Israele) non ti dimenticheranno più. Scriverai un'altra pagina di storia, persino più nitida di quella che hai scritto ieri.  

E poi certo, qualcuno se la prenderà. C'è gente che non sopporta nemmeno di sentire le parole "stop genocidio": le considera offensive, forse non sa cosa significa genocidio, oppure pensa che è una buona cosa, non lo so. Esiste gente così, e se tu dici che non vuoi andare all'Eurovision, si offenderà molto. Ma è gente che non ti avrebbe ascoltato comunque. E siccome non si può piacere a tutti, probabilmente la cosa migliore è scegliere di non piacere a chi difende i genocidi. Scusami, sono stato troppo lungo. Grazie. E ancora complimenti.

Comments (3)

Tutto intorno a Fiorello (che non ne può più)

Permalink

Ci sono cose molto più orribili che succedono tutti i giorni, ma parliamo pure di Fiorello. È più interessante di quanto sembri, giuro. 

La tv ormai è un medium anziano, con una terribile sensibilità per la storia, la tradizione, e per il Canone – non quello che si paga, ma una galleria di artisti e contenuti il cui valore dovrebbe essere tramandato di generazione in generazione. Per cui il banale format falloniano – prendi una celebrità, costringila bonariamente a fare qualcosa di molto stupido – doveva comunque essere intinto in una soluzione di malinconia. In effetti se vi ricordate, io inspiegabilmente me lo ricordo, John Travolta a Sanremo ci era già andato e credo con Victoria Cabello aveva già fatto lo stesso inutile siparietto di coreografie: Stayin' Alive, Grease e Pulp Fiction. Che altro fargli fare, del resto. Ecco, se lo domandi a qualsiasi autore di media sensibilità, probabilmente scuoterà la testa: nient'altro. 

Ma se lo domandi a Fiorello (o ai suoi autori), il risultato è qualcosa che può indurre a vergognarsi persino l'immortale interprete di Senti chi parla 3 e il produttore di Battaglia per la terra. Il ballo del qua qua è oltre, ma perché? Una chiave ce l'ha data lo stesso Fiorello (Fiorello queste chiavi le fornisce sempre, perché parla molto): noi oggi qui ti roviniamo la carriera. Stava scherzando, ma Fiorello ha questo modo di scherzare, lasciatemelo dire, siciliano, che a me dà spesso un brivido. Non perché Fiorello possa veramente rovinare la carriera di JT (più di quanto non se la sia già JT complicata da solo). Ma perché non gli dispiace veramente farci capire che ne sarebbe capace. Scherzandoci su, per carità. Che poi davvero ha mai rovinato la carriera di qualcuno, Fiorello? Mi vengono in mente solo personaggi che ha aiutato. Magari quelli che cancella lui scompaiono sul serio, anche dalla mia memoria. O forse sotto quella bonarietà da imbonitore che mi induce sempre a diffidare, Fiorello non è una persona cattiva. Vuole solo che ogni tanto lo sospettiamo.  

Da giovane Fiorello è diventato molto famoso e molto in fretta, al punto che è quasi un caso se non ci è rimasto secco. Da lì in poi ha goduto di una specie di rendita di posizione. Mentre tutti davano per scontato che fosse il mattatore che avrebbe salvato la tv generalista, Fiorello ha avuto un po' di tempo e di agio per capire i suoi limiti. Fiorello voleva fare il cantante, ma avrebbe dovuto lavorarci di più. La tv lo voleva come Grande Presentatore di Varietà, l'unico degno successore di Pippo Baudo: ma avrebbe dovuto fare quel passo indietro che non è mai stato in grado di fare. Baudo sapeva far brillare gli ospiti, e ai comici faceva da spalla; Fiorello vuole essere capocomico e gli ospiti tende a eclissarli, ormai lo sa e ci scherza sopra: se vai ospite nel suo programma ti può capitare di esibirti ai semafori. Rispetto a Fallon c'è una punta di cattiveria che rivela una mentalità più feudale: Fiorello nel suo spazio televisivo è signore assoluto, se lo è conquistato vincendo determinate battaglie e cedendo soltanto ad alcuni compromessi, e se vuoi essere suo ospite devi svegliarti all'ora che piace a lui, giocare al gioco che ha scelto lui. Lui suona e tu balli e chissenefrega se sei Hollywood (la solita Hollywood a cui Sanremo chiede una scintilla consunta di internazionalità): qui comando io e questo è il ballo del qua qua, John, balla.

Per un'ironia della situazione (la situazione è quella di una regressione culturale pluridecennale) il feudo personale di baron Fiorello è comunque il programma più innovativo di tutti i palinsesti Rai, se non l'unico. Se ci pensate è una cosa di cui nessuno sentiva l'esigenza – un varietà alle sette del mattino – e che mescola con una fluidità impressionante il linguaggio radiofonico e quello dei social. A riprova del fatto che ogni innovazione nasce da un errore di percorso, da una mutazione imprevista che si dimostra più efficace nell'adattarsi all'ambiente, Viva Rai 2 non è nata a tavolino come uno spazio per la sperimentazione, ma è semplicemente quel che è successo quando hanno chiesto a Fiorello: va bene, il varietà tradizionale no, e allora cosa ti piace fare? e lui deve aver risposto: mi piace svegliarmi presto. E si sono tutti messi a svegliarsi presto per adattarsi al bioritmo di Fiorello. Il programma è centrato su di lui al punto che letteralmente si mangia l'inquadratura: non gli basta essere il centro, a volte gioca col chroma key per fare anche da sfondo. Tutto è basato su di lui, va bene, e allora qual è la novità?

Che lui è stanco. Non ne fa mistero: ha sessant'anni, una paura sincera di perdere il filo mentre parla (le due spalle dovrebbero aiutarlo in questo, ma fanno comunque fatica a reggere il ritmo). Come è tipico di chi fa lo stesso mestiere da troppi anni, si è rotto i coglioni soprattutto di provare: gli sketch con Biggio sono sotto il livello delle scenette dei turisti ai villaggi, non tanto per i testi ma perché questi due professionisti non riescono a stare seri per due minuti, non gliene potrebbe fregar di meno, buona la prima e vai con lo stacchetto. Qualcuno ogni tanto tira fuori Arbore, ecco, la prima differenza è che dopo una stagione Arbore salutava, passava in cassa e andava a inventarsi qualcos'altro. Fiorello non ce la fa, gli piace troppo presentare, invitare gli ospiti e cantarci sopra, e soprattutto, sospetto, gli piace comandare. Ogni tanto ci mostra il telefono e ci fa vedere che può chiamare chiunque, in qualsiasi momento: anche alle sette del mattino. L'agente del tal cantante gli manda una canzone pregandolo di non farla ascoltare entro la tal data, come è prassi nell'ambiente: lui ridacchia e la mette su il giorno prima, tanto è Fiorello, chi è che può permettersi di litigare con Fiorello? 

Un'altra differenza con Arbore è che quest'ultimo veniva dal jazz: l'idea era imparare un tema, chiamare dei professionisti che l'avrebbero saputo suonare a occhi chiusi, e farli improvvisare. Fiorello viene dai villaggi, infierisce ancora sugli ospiti come gli animatori sui turisti: dai, balla il ballo del qua qua che è divertente. Gli altri turisti in effetti in quel momento ridono: tu no ma vabbe', riderai domani, e poi non si può piacere a tutti. 
Comments (2)

Il papa più sconfitto (ma infallibile)

Permalink

7 febbraio: beato Pio IX (1792-1878), papa sconfitto

Pio IX è stato il primo papa a essere
fotografato (questa è del 1864 e non è
la prima). 
Quant'è difficile scrivere un pezzo su Pio IX senza indulgere in retorica papalina o anticlericale. Ne abbiamo già parlato: i santi più difficili sono quelli dell'Ottocento. I santi del secolo precedente tutto sommato sono ancora variazioni roccocò sui modelli antichi o medievali. Quelli del Novecento sono alieni, ucronie ambulanti, personaggi di fatti di cronaca o agghiaccianti film di guerra, i pezzi quasi si scrivono da soli. Il fatto è che dopo aver forgiato il nostro immaginario per millenni, da cento e qualche anno la Chiesa è diventata qualcosa di esotico, che merita rispetto come tutte le culture in via di estinzione. In mezzo c'è questo secolo complicato in cui è avvenuta la transizione, un secolo in cui la Chiesa ha combattuto una guerra per l'egemonia culturale, ed evidentemente l'ha persa: e nessun uomo rappresenta questa sconfitta meglio di Pio IX. Nessuno ha regnato quanto lui (tradizionalmente lo si considera il pontificato più lungo dopo quello di Pietro, del quale però non abbiamo vere notizie), per 31 anni. Nessuno ha acceso speranze tanto vive nei contemporanei, e provocato tanta delusione. 

Giovanni Maria Battista Pietro Pellegrino Isidoro Mastai-Ferretti nasce a Senigallia nel 1792, nono figlio del conte Girolamo Benedetto Gaspare. Nella giovinezza è soggetto a crisi epilettiche che in famiglia vengono fatte risalire a un trauma cranico riportato a cinque anni a causa di una caduta in un torrente. Oltre a interrompere gli studi regolari presso il collegio degli Scolopi, le crisi non gli consentono di assolvere il servizio di leva presso l'esercito del napoleonico Regno d'Italia; anche dopo la Restaurazione la nuova Guardia Pontificia lo congeda quasi subito, dopodiché Giovan Maria Battista guarisce e non avrà più crisi epilettiche in vita sua. Il miracolo viene collegato al primo incontro che avrebbe avuto con Pio VII, presso il santuario di Loreto: il papa gli avrebbe detto semplicemente "Crediamo che questo crudele male non vi tormenterà mai più". Detto, fatto. Invece di riprovare con la carriera militare, Giovan Maria scopre la vocazione ecclesiastica, che nello Stato Pontificio corrispondeva con quella burocratico-amministrativa. Il primo incarico, presso un'istituzione di orfanotrofi, non sembra molto prestigioso, e dovrebbe corrispondere a un'umile predisposizione all'apostolato e alla beneficienza che lo avrebbe portato a rifuggire cariche più importanti. Potrebbe anche essere andata così, ma parliamo di un uomo che ha avuto trent'anni di tempo per aggiustare la sua biografia/agiografia. A trent'anni partecipa a una missione diplomatica in Cile e in Uruguay, terre al tempo lontanissime: è il primo papa ad aver messo piede in Sudamerica. A trentacinque è già vescovo di Spoleto, dove accade un altro episodio leggendario: durante i moti del 1831 avrebbe salvato la vita a un facinoroso carbonaro dal cognome illustre, Luigi Napoleone Bonaparte. Di vero c'è che durante i moti Giovan Maria riuscì a trattare una resa pacifica degli insorti ed evitare uno spargimento di sangue. Un'altra occasione di dimostrare sangue freddo e senso pratico è il terremoto dell'anno successivo; nel 1840 è già cardinale.

Quando viene eletto papa (1846), Pio IX ha appena 54 anni ed è il candidato della fazione più liberale del conclave. È un liberalismo molto relativo: Mastai-Ferretti esalta i neoguelfi che immaginano una federazione delle monarchie italiane guidate dal Papa, piace al popolo che lo ha visto amministrare Spoleto e Imola e ne apprezza la sensibilità filantropica, ma nemmeno dispiace a Metternich che intuisce in lui un uomo d'ordine: e si sbaglia meno degli altri. Il papa appena incoronato deve promulgare un'amnistia che rimette in circolo diversi carbonari democratici e liberali: è la prassi, ma democratici e liberali la vedono come una scelta di campo. Pio IX arriva al fatidico 1848 acclamato come il Papa Liberale, ma la situazione gli sfugge di mano. Quando Milano e Venezia si liberano degli austriaci, il nuovo re di Sardegna dichiara guerra all'Impero e attacca la Lombardia. Sull'onda dell'entusiasmo anche nello Stato della Chiesa si forma un esercito di volontari antiaustriaci: il papa li lascia partire, poi forse si rende conto che l'Austria potrebbe ancora vincere e prova a richiamarli – col risultato di scontentare tutti. Quando il suo primo ministro, Pellegrino Rossi, viene assassinato dai democratici che osteggiano il progetto federativo, Pio IX teme di essere il secondo della lista e scappa a Gaeta, ospite del re delle Due Sicilie. A Roma si proclama la Repubblica; arrivano Mazzini e Garibaldi; poco dopo però arrivano anche i soldati francesi, questi ultimi inviati proprio da quel Luigi Napoleone che Mastai-Ferretti aveva salvato a Spoleto e che era appena diventato il Presidente della Seconda Repubblica. Agli elettori cattolici, Luigi aveva promesso di rimettere il papa al suo posto. La resistenza è vana; Garibaldi guida i volontari fuggitivi in direzione di Venezia in una trafila estenuante durante la quale perderà, tra gli altri, la compagna Anita: dal 1849 in poi per lui l'ex papa liberale sarà il "metro cubo di letame".

(Bellocchio, 2023)

Reinstallatosi a Roma, non più al Quirinale ma nel Vaticano che dava più sicurezza in caso di tumulti, Pio IX revoca la costituzione, rimette gli ebrei nel ghetto, ripristina la pena di morte, insomma fa tutto quello che i re assoluti facevano dopo che le rivoluzioni ottocentesche esaurivano le fiammate. Quelli che non abdicavano: ma lui, l'aveva spiegato prima di fuggire a Gaeta, non aveva "il diritto di abdicare": doveva essere papa fino in fondo, anche se questo significava ormai abbracciare la Reazione. Quando l'Inquisizione a Bologna sottrae a una famiglia ebraica un bambino di sei anni, Edgardo Mortara, Pio IX non ha nulla da obiettare: una cameriera lo aveva battezzato di nascosto per salvarlo dal limbo, e per la legge chi era battezzato non poteva crescere in una famiglia ebraica. Il caso fa molto clamore anche all'estero, ma Pio IX si dimostrerà, in questo e in altri casi, completamente tetragono alla nuova opinione pubblica. Succede a molti supposti liberali, di rinnegare il proprio progressismo non appena si raggiunge una posizione di potere: e la posizione di Pio IX era ancora quella di un sovrano assoluto. Modernismo, liberalismo, socialismo e in sostanza qualsiasi -ismo di cui si fosse sentito parlare vengono condannati nel Sillabo (1864). Il rinnovamento tecnologico, non ufficialmente osteggiato, va a rilento; strade e ferrovie rischiano di facilitare traffici e contatti con territori e popoli più liberi; il fisco è leggero e alle grandi famiglie nobiliari piace così, anche perché attira grandi turisti e capitali. Il popolo non è così contento ma ribellarsi non conviene. A Roma mastro Titta è ancora attivo: qualcuno nota l'ironia di un regime che ha rinnegato ogni scoperta rivoluzionaria tranne la ghigliottina, ma se vogliamo essere precisi i romani avevano cominciato a usare un supplizio simile prima dei francesi, durante l'ancien régime, dimostrandosi almeno in questo campo all'avanguardia. 

Quando nel 1859, allo scoppio della Seconda Guerra d'Indipendenza, Perugia insorge, un reggimento di soldati pontifici riporta l'ordine in città con un massacro di civili. La situazione è delicata: l'integrità dello Stato della Chiesa dipende sempre da Luigi Bonaparte, ora non più presidente ma imperatore Napoleone III. Quest'ultimo però sta giocando una partita complessa su due tavoli diversi: ha infatti deciso di appoggiare anche l'espansione del Regno di Sardegna nel nord Italia, sorprendendo gli austriaci ma scatenando quelle forze democratiche che a Pio IX l'avevano giurata. Tra questi in particolare Garibaldi, che sbarcato in Sicilia con poco più di mille uomini sta risalendo la penisola col chiaro intento di arrivare a Roma; a fermarlo accorre lo stesso re di Sardegna, ma il prezzo da pagare per salvare il Lazio è la cessione di Umbria, Marche e Romagna. A partire dal 1861 lo Stato della Chiesa è circondato dal nuovo Regno d'Italia; Vittorio Emanuele II promette che non toccherà Roma, ma Garibaldi continua a provarci finché non gli sparano a una gamba. A Caprera battezza un asino Pionono, così può bastonarlo a suo piacimento.

Francesco Podesti, musei vaticani. Gli affreschi della sala dell'Immacolata
sono l'ultimo kolossal pittorico romano, prima del grigio diluvio democratico.

Mentre vede il suo potere temporale assottigliarsi, Pio IX cerca di puntellare il suo potere spirituale, con un'iniziativa arrischiata. Nel 1854, con la costituzione apostolica Ineffabilis Deus, mette una pietra sul millenario dibattito tra maculisti e immaculisti. Questi ultimi sostenevano che Maria di Nazareth era stata concepita senza peccato originale, per poter ospitare in grembo il figlio di Dio; i primi obiettavano che Maria aveva scelto di essere madre di Gesù, esercitando il libero arbitrio. Pio IX, da sempre devoto all'Immacolata Concezione, decide di proclamare la tesi degli immaculisti come dogma di fede. C'è però un problema non piccolo: fino a quel momento i dogmi non erano stati proclamati dai pontefici, ma dai Concili. Pio IX convocherà effettivamente un concilio, non per confermare il dogma dell'Immacolata Concezione, bensì per sancire il principio dell'infallibilità del pontefice ex cathedra, cioè in materia di fede. È il Concilio Vaticano I, che si apre nel 1869: a questo punto Mastai-Ferretti è papa da un quarto di secolo, eppure non tutti i vescovi accorsi dall'Europa sono pronti ad accettare un concetto (l'infallibilità) che teoricamente potrebbe porre fine alla storia dei concili. 

Si consuma anche un piccolo scisma con i cosiddetti veterocattolici; il Concilio poi si scioglie precipitosamente (e non ufficialmente) perché nel frattempo Napoleone III ha avuto l'idea di dichiarare guerra ai prussiani e le cose non sono andate come prevedeva. Il Secondo Impero francese crolla di schianto: il papato perde il suo protettore internazionale. A Vittorio Emanuele II che cerca di spiegargli che ormai è questione di giorni, Pio IX scrive "Vi dico che non entrerete a Roma". La resistenza nei fatti è impossibile, ma il papa ordina ai suoi uomini di non arrendersi senza combattere un po', giusto per ribadire di fronte all'opinione pubblica internazionale che non si tratta di un'annessione, ma di un'invasione. Ne risulterà una sessantina di morti, dopodiché il papa rifiuterà l'offerta di rimanere re di una porzione dell'Oltretevere e si dichiarerà prigioniero politico del regno d'Italia. 

Ai sudditi cattolici del regno la sua bolla Non expedit domanderà la non-partecipazione alla vita politica. Una richiesta che introdurrà nella coscienza di tanti italiani una lieve forma di bipolarità: come se essere contemporaneamente buoni cittadini e buoni cristiani non fosse del tutto possibile, e in effetti forse non lo è.   

Pio IX morirà nel 1878, quattro anni prima di Garibaldi. È stato beatificato nel 2000 da Giovanni Paolo II, il papa che per appena cinque anni non è riuscito a battere il suo record di permanenza. La beatificazione riaprì le polemiche, soprattutto con la comunità ebraica e la famiglia Mortara. Oggi come oggi è difficile immaginare che un nuovo miracolo schiuda le porte a un iter di canonizzazione, ma dipenderà anche dal taglio che vorranno dare al loro pontificato i successori di Francesco. Non è difficile immaginare che a un papa sensibilmente più progressista dei due precedenti possa seguirne un altro più conservatore, qualcuno che in Pio IX possa riconoscere un simbolo della lotta alla modernità e dell'infallibilità del magistero. Vedremo. Agli osservatori consiglierei prudenza, Mastai-Ferretti nel 1846 sembrava davvero un papa avanti; ma a volte la Storia soffia troppo forte, e nel panico l'unica soluzione sembra ammainare le vele prima che si strappino. 

Comments (1)

I palloni di Hamas

Permalink


Avvertenza: questo pezzo contiene descrizioni di atti di violenza che possono impressionare il lettore, così come hanno impressionato me. 

Il 5 febbraio è la festa di Sant'Agata, la martire siciliana a cui il Signore avrebbe fatto ricrescere il seno, dopo che i carnefici glielo avevano amputato. Dunque se devo scrivere un pezzo sui seni-pallone amputati da Hamas, lo farò oggi. 

Ma devo proprio? Su un argomento così macabro, col rischio di indugiare in dettagli morbosi o mancare di rispetto alle vittime di una strage? Scrivere un pezzo che nessun algoritmo si filerà, che ben pochi verranno a leggersi, e quei pochi magari proprio per notarne i difetti, perché?

Pare sia terapeutico. Ho sentito dire che le fobie si superano parlandone. Inoltre ho la sensazione di essere stato preso in giro, da qualcuno che sapeva esattamente come spaventarmi, e mi ha raccontato una storia orribile ben sapendo che i dettagli più sanguinosi mi avrebbero tenuto lontano. Cedere a un trucco simile significa ammettere le proprie debolezze, per cui non lo farò. Siccome ho paura delle mutilazioni, ora scriverò un pezzo lungo e disteso sulle mutilazioni. Chi sperava di impressionarmi col sangue almeno saprà che non funziona.

È stata soprattutto questa fobia a tenermi lontano dai primi resoconti che apparivano sui media immediatamente dopo il 7 ottobre. I dettagli ultraviolenti mi turbano in modo particolare: mi restano in mente e non riesco a liberarmene, è come se contagiassero la mia fantasia. Forse si tratta di una mia fragilità, il motivo per cui ancora oggi ho grossi problemi a guardare film dell'orrore che i miei studenti minorenni mandano giù come Biancaneve. Oppure i miei studenti hanno capito che mandar giù film dell'orrore è un sistema efficace per non invecchiare fragili come sta succedendo a me. Non lo so, né mi ponevo il problema: i più prestigiosi organi di informazione riportavano che in quei giorni erano avvenute cose orribili, che i colpevoli erano i miliziani di Hamas, e io lo ritenevo assodato: senza troppo preoccuparmi di quanto orribili fossero. 

Finché – ma erano già i primi di gennaio, e un pool legale sudafricano stava per accusare all'Aja il governo israeliano di genocidio – lessi che i seni delle vittime erano stati "asportati e usati per giocare a pallone". Lo lessi in questo bizzarro appello, pubblicato su diversi quotidiani:

Trovate il testo per esempio qui.
Ma a chi sono state consegnate le firme?
Chi dovrebbe dichiarare il "femminicidio di massa"? 

E non ci ho creduto. 

Forse era troppo terribile per me, forse c'è un limite all'orrore che riesco a provare: un mostro con otto occhi mi farebbe paura, con cento occhi mi farebbe ridere? Oppure semplicemente il seno-pallone non è plausibile, è qualcosa di cartoonesco, completamente fuori dall'uncanny valley che sfida il mio senso critico. I seni non sono sferici (specie una volta asportati) né rimbalzano; per quello che ne so. E ho la sensazione di saperne di più, sui seni, di chi ha messo in giro questa storia. In mezzo a un resoconto di fatti orripilanti, è un dettaglio che manda in tilt la mia fantasia e sembra messo apposta per farmi dubitare di tutto il resto. Forse da un diabolico antisemita infiltrato che vuole prendersi gioco di chi in buona fede legge e firma... Oppure è una provocazione messa lì perché qualcuno ci caschi. Quel qualcuno sono io? È l'antisemitismo a farmi dubitare dell'equipollenza tra un pallone e un seno umano?

Va bene. Se qualcuno deve, ci cascherò io. Non rappresento nessuno oltre me stesso, non sono un esperto di nulla (senz'altro non sono un esperto di seni), ma ho una certa dimestichezza con le leggende di martiri ormai, e questa ha tutta l'aria di essere una leggenda. 

A dire il vero la prima analogia che mi è venuta in mente, per una pura associazione di idee, è assai più recente: 24 anni fa, alla vigilia delle manifestazioni genovesi anti-G8, i membri delle forze dell'ordine furono informati che i manifestanti li aspettavano al varco con "palloncini di sangue infetto". Era una leggenda metropolitana altrettanto implausibile e cartoonesca: anche in quel caso mescolava subdolamente l'idea del sangue coi liberi giochi all'aria aperta: non si capiva come adulti responsabili avrebbero mai potuto credere in qualcosa del genere. E però può anche darsi che abbia funzionato: in quei giorni poliziotti e carabinieri sembravano spiritati, animati da una furia che non aveva giustificazioni razionali. Magari era paura.

Allo stesso modo, ogni volta che un breve video dell'IDF ci mostra soldati sorridenti che si aggirano in mezzo alle macerie; o cittadini allegri che fanno cordone per non far passare gli aiuti umanitari, e ci domandiamo: ma cosa sta succedendo a tutta questa gente? Ci vorrà molto tempo per capirlo, sempre che qualcuno vorrà dedicarcisi; può darsi che in parte sia quello che succede a normali individui quando persone degne di fede ti raccontano che ci sono uomini cattivi che giocano a pallone con i seni umani. 

La propaganda ha le sue leggi che la ragione non conosce, ma qualcuno le ha studiate e le sa applicare. Quello che inorridisce me, può animare la furia cieca di un soldato di leva. La storia dei seni-palloni faceva parte di un un repertorio di testimonianze che arrivò sui media prestissimo, soprattutto in Israele dove per qualche giorno chiunque si sentiva in dovere di raccontare le peggio cose che gli venivano in mente, che le avesse viste o no. Non lo dico io, lo dicono i giornalisti israeliani sionisti: e non solo quegli eterni brontoloni di Haaretz, ma anche canali generalisti. Nelle ultime settimane quasi tutte le storie più raccapriccianti sono state debunkate (malgrado qualcuno le ripeta ancora ad alta voce, e forse ci creda ancora). Abbiamo saputo abbastanza presto che i miliziani non avevano decapitato quaranta bambini; che non hanno strappato un feto a una donna incinta (quest'ultimo è un vero topos: ricorre nelle testimonianze di molti eccidi in tempo di guerra). Soprattutto Haaretz ci ha raccontato che nei primi giorni l'IDF appaltò la raccolta dei cadaveri del 7 ottobre a un'organizzazione ultrasionista, Zaka, che definire controversa è un eufemismo. Molti dettagli truculenti sono stati forniti proprio dagli operatori di Zaka, che purtroppo hanno mostrato nell'occasione più fantasia nell'inventare mutilazioni non dimostrabili che perizia nella gestione dei corpi delle vittime. E tuttavia la storia dei seni-palloni non proviene da Zaka. Non potrebbe: per assistere a un'amputazione e vedere miliziani giocare a pallone bisognava essere lì durante il fatto. Questa storia richiede dei testimoni oculari. Ci sono?

Ce n'è uno. 

Questo è un problema, per più di un motivo. Nell'appello riportato sopra avete letto di "seni asportati e usati per giocare a pallone". È già una forzatura. L'appello tradisce la volontà di far apparire come sistematica una pratica di mutilazione cui la testimone avrebbe assistito una volta sola, e che difficilmente avrebbe potuto essere ripetuta durante un blitz che sappiamo essere stato molto concitato. I miliziani stavano cercando di tornare nella Striscia portando con sé più ostaggi possibile, e a partire da un certo punto hanno dovuto difendersi dall'esercito che stava intervenendo con gli elicotteri. Che abbiano perso tempo a giocare torturare sadicamente ostaggi che avrebbero dovuto usare come moneta di scambio sembra assurdo, ma è anche vero che in battaglia la gente perde la testa e fa le cose più assurde. 

Comunque la testimone c'è. È una donna – il che è cruciale – ha 22 anni, fa un lavoro di ufficio ("accountant") e si fa chiamare Sapir; non vuole rivelare la sua identità perché, scrive il New York Times, "sarebbe braccata per tutta la vita". La polizia la ritiene una teste chiave e ha divulgato quasi subito un video in cui il suo volto sfuocato racconta la storia che più tardi ha ripetuto al NYT, e che riporto qui

She said that at 8 a.m. on Oct. 7, she was hiding under the low branches of a bushy tamarisk tree, just off Route 232, about four miles southwest of the party. She had been shot in the back. She felt faint. She covered herself in dry grass and lay as still as she could.

Ecco. Non solo è l'unica testimone, ma era ferita alla schiena. Si sentiva debole. Ciononostante, dal suo nascondiglio (un cespuglio sotto un tamarindo) avrebbe assistito a una scena molto lunga e complessa, di fronte alla quale altri avrebbero certamente distolto lo sguardo.

About 15 meters from her hiding place, she said, she saw motorcycles, cars and trucks pulling up. She said that she saw “about 100 men,” most of them dressed in military fatigues and combat boots, a few in dark sweatsuits, getting in and out of the vehicles. She said the men congregated along the road and passed between them assault rifles, grenades, small missiles — and badly wounded women.

“It was like an assembly point,” she said.

The first victim she said she saw was a young woman with copper-color hair, blood running down her back, pants pushed down to her knees. One man pulled her by the hair and made her bend over. Another penetrated her, Sapir said, and every time she flinched, he plunged a knife into her back.

She said she then watched another woman “shredded into pieces.” While one terrorist raped her, she said, another pulled out a box cutter and sliced off her breast.

“One continues to rape her, and the other throws her breast to someone else, and they play with it, throw it, and it falls on the road,” Sapir said.

She said the men sliced her face and then the woman fell out of view. Around the same time, she said, she saw three other women raped and terrorists carrying the severed heads of three more women.

Le tre teste non sono state trovate – ma è anche vero che i volontari di Zaka raccolsero i cadaveri in modo molto approssimativo, e che in certi bodybag furono trovate più teste. Non sono stati trovati nemmeno i seni, né il taglierino da cartone ("box cutter") che Sapir sostiene essere stato adoperato per asportarli. Per ora non è stato trovato niente di quello che racconta Sapir, la quale del resto era ferita alla schiena mentre osservava una scena che sembra presa da un torture porn. 

Per credere che tutto questo sia successo dobbiamo prendere per buona una testimone unica,  probabilmente sotto choc, che era ferita alla schiena e nascosta in un cespuglio, che ha fotografato il cespuglio in cui era nascosta ma non i resti delle mutilazioni che racconta di avere visto. In coscienza, non posso dimostrare che sia una storia falsa: ma è una storia a cui non credo. Non credo che tagliare i seni con un taglierino (durante uno stupro) sia così facile. Non posso escludere che una persona ferita e sotto choc sia vittima di allucinazioni, o che subisca la pressione di organi di propaganda che sin dall'inizio della crisi erano determinati a far funzionare l'equazione Hamas=Isis. Giova ricordare che la mutilazione dei seni delle vittime era praticata dai miliziani di Isis in Siria, e che foto e resoconti delle loro torture rimbalzavano con gli smartphone negli anni in cui "Sapir" era adolescente. Per noi l'Isis ormai è una sigla lontana, ma per i giovani che stanno minando la striscia di Gaza è stato un incubo concreto, che ha nutrito la loro fantasia negli anni della formazione.  

Allo stesso momento, non posso escludere che la storia sia vera. Improbabile, ma non impossibile. Ci sono persone che in stato di choc dimostrano lucidità e presenza di spirito; un taglierino, se è abbastanza grosso, può anche recidere muscoli; se poi la vittima aveva protesi, ecco, si tratta di sacchetti di silicone che i miliziani avrebbero anche potuto lanciarsi per scherno. Forse il vero motivo per cui non voglio crederci è quello per cui fatico a credere alle leggende di santi torturati e mutilati. Se non ci credo, smetto di essere vero. Quei seni non sono mai stati tagliati: come il Salvatore, li faccio ricrescere. Forse sto scrivendo la mia leggenda anch'io... (continua) .

Comments (1)

Conosci il tuo ultrasionista

Permalink

The Guardian
Ogni tanto li incroci, e sempre più spesso alla rabbia cede il passo lo stupore: i sionisti riescono sempre a sorprenderti. Non per i loro argomentazioni (anzi molto prevedibili), quanto per la foga con cui li portano avanti, che comunica sempre più forte la sensazione di un cedimento all'irrazionale. È come se fossero sotto choc – ma perché dico fossero: è chiaro che sono sotto choc. Si sentono accerchiati, in una situazione in cui l'unica via di fuga è fuori dalla realtà: e la prendono. Quel che è più pericoloso, è che pretendono che il mondo intero li segua, a partire da te. 

Devi credere che sotto l'ospedale ci fosse il bunker di Hamas, che durante le sparatorie del 7/10 i miliziani si fossero messi pazientemente a decapitare bambini; che travestirsi da personale sanitario per uccidere nemici feriti sia assolutamente ok (se lo fa l'IDF; se invece Hamas si traveste da personale sanitario, occorre bombardare il personale sanitario). Devi cominciare a pensare che gli abitanti di Gaza potrebbero andarsene, da qualche parte, ovviamente non a spese della potenza occupante che tra l'altro non si sa bene come farà a smaltire i rottami. C'è una sentenza di una corte di giustizia internazionale che dice che Israele deve smetterla perché il rischio di genocidio è concreto – ma non c'è scritto "cease fire", quindi tutto ok, la sentenza non dice quello che tutto il resto del mondo ci legge, il resto del mondo ha capito male perché è antisemita. Come andrà a finire?

Non lo sai. Quel che puoi fare è prendere appunti, magari qualcuno li leggerà e capirà un paio di cose in più su quello che ci stava succedendo. L'aspetto più doloroso della faccenda è che in questa catastrofe morale ci siamo infilati con le migliori intenzioni del mondo: difendere un popolo storicamente perseguitato da millenni. Per quanto ti riguarda, non solo trovi ributtante e ridicola ogni accusa di antisemitismo, ma odi anche essere chiamato antisionista. Hai sempre avuto un grande rispetto per il sionismo storico, per quello che si proponeva di fare e per come è riuscito, in parte, a realizzarlo. Che ci fosse del nazionalismo, non potevi negartelo; ma se c'era un nazionalismo che poteva avere un senso storico, questo era il nazionalismo ebraico – soprattutto dopo la Seconda Guerra Mondiale. Ecco, quello che sta succedendo in questi mesi se non altro dimostra inoppugnabilmente che no, non può esistere un nazionalismo buono. Prendi anche il popolo più perseguitato, dagli un nazionalismo, agita un po', aspetta un secolo, guarda cosa succede.

A dire il vero di sionisti ragionevoli in giro ce n'è ancora, anche se nel baccano si sentono sempre meno. Definirai dunque i sionisti impazziti che incontri in questi giorni 'ultrasionisti', e farai lo sforzo di ricordare, ogni volta che assisti ai loro siparietti, che dietro alla tracotanza e al pensiero magico c'è un uomo o una donna che sta lottando per difendere il sistema di valori in cui è cresciuto – e che gli sta collassando addosso. Puoi capire come si sente? Forse sì, ma è meno semplice di quel che appare. Ormai parlate lingue diverse. Ad esempio: 

– Tu celebri la Giornata della Memoria domandandoti: può succedere anche a noi, di essere i carnefici? L'ultrasionista celebra la Giornata domandandosi: può succedere anche a me, di essere di nuovo la vittima?

– Tu pensi che la Shoah sia una tragedia per l'umanità. L'ultrasionista pensa che sia la tragedia del suo popolo. Avete entrambi ragione, in un certo senso, ma non potete andare d'accordo. Tu pensi che bisogna organizzarsi affinché non succeda mai più; lui pensa che bisogna lottare affinché non succeda mai più a lui.
(Questo gli consente di intervenire con maggiore efficienza; tu non sapresi da che parte iniziare, lui ha obiettivi precisi, anche se in ogni direzione).

Se ne occupa.

– Tu ti senti responsabile di quanto potrà succedere in futuro. L'ultrasionista ti ritiene connivente per quanto è stato commesso nel passato. 

– Tu, se senti parlare di "colpe", ritieni che si tratti di un concetto più religioso che giuridico, e comunque stai pensando a colpe individuali. Se è stato commesso un genocidio, la colpa sarà di chi l'ha ideato, gestito, chi ha dato gli ordini, chi li ha eseguiti. L'ultrasionista ormai tende a non riconoscere più molte differenze tra religione e legge, e nella colpa collettiva ci crede eccome. È colpa anche tua, chi ha eseguito gli ordini non era forse un tuo bisnonno? No? Avrebbe potuto esserlo. 

– Per te la memoria coincide con lo studio: vuoi capire, nei limiti del possibile, quanto è successo. Per l'ultrasionista la memoria è funzionale alla vittoria: se non sta vincendo abbastanza, si può cambiare la memoria. I palestinesi possono diventare nazisti, il Gran Muftì può diventare l'ispiratore di Hitler, non è un problema. Per l'ultrasionista la memoria coincide con la propaganda. 


– La tua 'civiltà' è per te l'ambiente in cui sei nato e cresciuto: ne conosci quanto basta per vivere coi tuoi simili, a volte la detesti come si detesta la propria famiglia. La civiltà dell'ultrasionista rischia quotidianamente l'estinzione, deve conoscerne quanto basta per farla sopravvivere, chi la detesta se sta fuori è un nemico, se sta dentro un traditore.  

– Tu pensi di poter distinguere ebrei, israeliani, e governo di Israele; così come pensi di poter distinguere palestinesi e Hamas; gli ultrasionisti non riconoscono più nessuna differenza: tutti gli ebrei devono stare con Israele (chi non lo fa è un traditore) e tutti i palestinesi sono Hamas. Anche chi aiuta i palestinesi è Hamas. Anche tu sei Hamas, lo era probabilmente anche il tuo bisnonno: ecco perché è diventato nazista.

– Per te la questione palestinese è cruciale nella misura in cui rischia di destabilizzare il Medio Oriente e quindi il mondo; per l'ultrasionista il mondo, e quindi il Medio Oriente, è interessante in quanto circonda Israele: e dovrà essere destabilizzato fin quando non lo circonderà volentieri.

– I tuoi politici, se si attentano a citare la Bibbia, devono cercare versetti che si confacciano al senso comune umanitario per come si è costituito dopo la Seconda Guerra Mondiale: non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te, chi è senza peccato scagli la prima pietra, ecc. ecc. L'ultrasionista, nella Bibbia, tenderà a cercare qualcosa che possa sorreggere il proprio nazionalismo (e ne troverà, oh se ne troverà): Amalek, Giosuè, Sansone, Davide, Ester...

È il tweet di un vicesindaco di Gerusalemme, poi cancellato.
Ora hanno trovato una fossa comune.

– Tu pensi che non ci possa essere pace senza compromesso; lui crede che non può esserci pace senza vittoria. Entrambi avete torto: i compromessi non durano per sempre e le vittorie non sono mai finali. 

– Tu vivi in uno Stato che la comunità internazionale ha riconosciuto così tanto tempo fa che nemmeno ti poni il problema. Anche quando questo Stato è stato complice di crimini contro l'umanità, nessuno ha veramente proposto di eliminarlo (al massimo è stato messo in una condizione di sovranità limitata, di cui preferisci non accorgerti). L'ultrasionista vive in uno Stato che si è imposto al mondo da solo, vincendo delle guerre e coltivando delle alleanze. Continuerà a esistere finché continuerà a vincere guerre e mantenere le sue alleanze. Chiedergli di smettere di combattere è chiedere di smettere di esistere.

– Tu puoi perdere una battaglia (in effetti ne perdi continuamente), lui non può permetterselo mai. Lui non capisce come mai dopo tante delusioni sei ancora in piedi. Tu non capisci come mai, se vince sempre, è ancora così arrabbiato.

– Tu questi problemi te li fai ogni tanto, quando l'attualità te li sbatte in faccia: l'ultrasionista ci pensa tutti i giorni. Per te è una questione di principio, per lui di sopravvivenza. Tu sei preoccupato per il futuro, lui è preoccupato per il presente.

– Nel tempo che ti ci metti a elaborare un argomento, lui ha già raccolto una serie di risposte preconfezionate agli argomenti che tu elaborerai la settimana prossima. Per te è una questione tra tante, per lui è un mestiere, o un'ossessione.

– Tu lo ascolti per cercare di capire come la pensa. Lui ti ascolta per trovare i punti che più facilmente possono denunciare il tuo antisemitismo. Facile che in questo pezzo ne abbia già trovati molti.

(Ma ormai non leggono più – con tutti quei video trucidi da guardare...)

***

In questi mesi siamo giunti a un bivio: o l'Occidente sceglie di difendere Israele sempre e comunque, accettando la sua narrazione anche negli aspetti meno verosimili, imponendola a chi come te non riesce a non vedere il massacro, facendo strame del diritto internazionale e aprendo le ostilità coi Paesi che lo impugnano... oppure lentamente, ma inesorabilmente, nei prossimi mesi il governo israeliano sarà messo di fronte alle sue responsabilità e chi l'ha appoggiato (anche tra noi) dovrà cominciare a spiegare cosa gli stava dicendo il cervello. In sostanza ci stiamo giocando l'anima, e non credi che vinceremo. Troppa gente ha troppo finto di non guardare: troppe parole sono state scritte, per poter essere rimangiate. Chi ha detto bugie non ha più altra scelta che dirle sempre più grandi. Così forse il bivio è già alle tue spalle. Del resto lo sai, che nessuno ti avrebbe mai chiesto un parere. Ti resterà la consolazione di poter dire: io non ero d'accordo. Ma a chi lo dirai? Per ora scrivilo qui, vediamo se dura.

Comments (1)

La festa della vergine, o anche no

Permalink

2 febbraio:  Presentazione del Signore, già purificazione della Vergine, insomma Candelora


Candelora è una festa intrisa di misteri, o perlomeno così mi suggeriscono di cominciare il pezzo. Nessuno è veramente sicuro di quel che si dovrebbe festeggiare. Il popolo l'ha sempre chiamata così, dal rito della benedizione delle candele che si compie durante le celebrazioni, e che forse, dico forse, ha un'origine pre-cristiana, ma soprattutto pre-elettrica, ai tempi in cui le candele erano un oggetto diffusissimo e a tutti familiare. Nella Germania medievale era l'ultimo giorno in cui si accendevano per i lavori domestici: dal 3 febbraio ci si sarebbe dovuti arrangiare con la luce del sole, ancora bassa all'orizzonte ma ormai decisamente trionfante sulle tenebre. Forse la festa aveva un senso anche economico: così come a Pasqua ci si disfaceva degli agnelli di troppo, a Candelora si finivano i mozziconi di candela che non aveva senso conservare per l'anno seguente.  

A volte si collega candelora ai lupercalia, la festa del dio Luperco/Fauno, protettore delle greggi, che però cadeva a metà febbraio ed è già un rito di fecondità (che ha lasciato tracce in altre due feste: carnevale e San Valentino). Candelora somiglia più a un rito di purificazione. All'inizio di febbraio i Romani festeggiavano in effetti i februalia in onore di Giunone, che nell'occasione si sovrapponeva alla dea Febris o Februa, e assumeva una funzione purificatrice (februare = "purificare"). Questo ci fa sospettare che almeno in Occidente i cristiani abbiano sostituito Giunone con la solita Maria di Nazareth: per molto tempo in effetti Candelora fu ricordata nei calendari come la festa della Purificazione della Vergine. Oggi non più, ed è interessante cercare di capire il perché. 

Una delle cose più curiose del calendario cattolico è che non esiste una festa di Maria in quanto vergine. Maria è festeggiata tutti i mesi, per tantissimi motivi, ma mai per la sua verginità. Al massimo come "Beata Vergine Maria Regina" (22 agosto), ma anche in quel caso l'enfasi è sul concetto di regalità, che condivide col figlio (San Cristo Re). Il primo gennaio la celebriamo come Madre di Dio, a ferragosto come Assunta in cielo, l'8 dicembre come Immacolata Concezione, ovviamente nove mesi prima il suo compleanno (8 settembre). Il 12 settembre festeggiamo il suo Santissimo Nome, mentre il secondo sabato dopo la Pentecoste è dedicato al suo Immacolato Cuore. Senza contare i tanti altri anniversari dei giorni in cui è apparsa in questo o quel santuario, o ha fatto questo o quel miracolo. Ad esempio in ottobre ha vinto contro i Turchi a Lepanto, da cui la Madonna del Rosario. E in dicembre è apparsa agli aztechi, da cui la Madonna della Guadalupe. Insomma le occasioni non mancano, ma una festa della vergine in quanto vergine non c'è. Vuoi vedere che fosse Candelora? E perché non la festeggiamo più? 

In effetti la Purificazione della Vergine è sempre stato un concetto problematico: una contraddizione in termini. Il significato di "vergine" è molto oscillato nei secoli – il che vedremo è parte del problema – ma credo siamo tutti d'accordo sul fatto che contenga in sé un'idea di purezza. Dunque che bisogno avrebbe avuto, una vergine, di essere purificata? Nessun bisogno. Le stesse Scritture non ne parlano – come del resto non parlano di tanti altri dettagli che all'inizio non sembravano importanti e su cui nei secoli si sono combattute battaglie teologiche che oggi osserviamo perplessi. L'unico appiglio era il vangelo di Luca, che nel secondo capitolo sembra voler rassicurare sul fatto che la Sacra Famiglia stesse osservando tutti i precetti della legge ebraica: all'ottavo giorno della nascita Gesù viene circonciso, e "quando venne il tempo della purificazione secondo la Legge di Mosè", portato a Gerusalemme per essere "offerto al Signore". 

Presentazione di Gesù al tempio, Giovanni Bellini

Luca non dice quando sia nato Gesù – tra parentesi, è curioso che un cronista così attento al dettaglio non sia riuscito ad accedere un'informazione del genere: forse era una data che non si accordava con nessuna profezia e quindi ha preferito lasciarla perdere. Però se si decide, come fecero i cristiani a un certo punto, di festeggiarne il compleanno il terzo giorno dopo il solstizio d'inverno, i conti sembrano miracolosamente tornare: non solo la circoncisione viene a cadere proprio alle calende di Gennaio, ma anche la presentazione di Gesù al tempio arriverebbe proprio il due febbraio (sappiamo però che la festa oscillò nel calendario, e che fino al VI secolo si sovrapponeva ai lupercalia più che ai februalia). La legge di Mosè, che Luca cita senza avventurarsi in dettagli, prescrive appunto un appuntamento al tempio dopo quaranta giorni dalla nascita, e trentatré dalla circoncisione. 

Luca utilizza l'episodio per raccontare l'incontro della Famiglia con due profeti, Simeone e Anna, che confermano la natura messianica del neonato. In Oriente sin dall'inizio Candelora veniva chiamata Hypapante, "incontro", ed era associata appunto all'incontro con Simeone e Anna. Sappiamo che era una festa molto importante già nel V secolo, dal resoconto della pellegrina Egeria, che racconta come a Gerusalemme "si accendano tutte le lampade e i ceri, facendo così una luce grandissima". Il racconto di Luca però fa a pugni con quello di Matteo, secondo il quale la Famiglia sarebbe scappata immediatamente in Egitto dopo l'Epifania. Inoltre Luca, per quanto interessato a includere le liturgie ebraiche nella sua narrazione, non è che le conosca benissimo: la Famiglia doveva tornare al tempio non tanto per presentare il figlio, quanto perché la madre doveva sottoporsi a un rito di purificazione: nei quaranta giorni precedenti infatti era considerata impura, e sottoposta a una serie di limitazioni sociali (tra cui l'astensione dai rapporti). Maria non era però una madre come tutte le altre: di purificarsi non avrebbe avuto bisogno. O no? 

Vuoi vedere che in quei primi secoli Maria non fosse considerata una vergine 'vergine', e che 'vergine' fosse solo un modo iperbolico di alludere alla sua giovinezza, alla sua innocenza, così come se dico a una persona che è un angelo non intendo che gli sono spuntate le ali? Non sarebbe la prima volta che un'iperbole, un modo di dire, un errore, vengono male interpretati e diventano articoli di fede: sarebbe però il caso più spettacolare. L'errore qui lo avrebbero fatto i Settanta, leggendari traduttori della Bibbia dall'ebraico al Greco nel III secolo aC. La Lettera di Aristea racconta che fossero chiusi in settanta celle diverse, senza comunicazione; e nonostante ciò avrebbero prodotto settanta traduzioni assolutamente identiche. Se lo chiedete a me, faccio meno fatica a credere ad Adamo ed Eva e all'arca di Noè, comunque i Settanta traducendo una profezia di Isaia, scrivono che "una vergine (parthénos) concepirà e darà alla luce un figlio, e gli porrà il nome di Emanuele". Emanuele significa "Dio con noi": si tratta del Messia. Nell'originale greco però la vergine era "'almah", giovane donna: non necessariamente vergine. Da cui l'equivoco.

Ogni scusa è buona per rimettere questa foto

L'ossessione per la verginità fisica di Maria di Nazareth è in realtà un fenomeno relativamente moderno. Nei primi secoli la teologia era ancora abbastanza fluida, il che avrebbe consentito ai cristiani d'Occidente di immaginare un episodio in cui Maria viene purificata al tempio. Questo offriva un'occasione per riprendere la festa di Febris/Giunone purificatrice, cambiandone il significato, proprio come era successo il 25 dicembre con la festa del Sole Vincitore. È un'ipotesi. Quando poi cominciarono le guerre sulla natura del Cristo (solo umano, solo divino, più umano che divino, ecc.), a vincere fu un compromesso che, come molti compromessi, scontentava un po' tutti e soprattutto sfidava la verosimiglianza: Cristo era sia Dio sia uomo; in quanto uomo però era diverso da tutti gli altri, poiché privo di peccato originale. Nato da una donna, ma senza contributo dell'uomo, e soprattutto (ma questo nessuno osava metterlo nero su bianco) senza amplesso carnale: Maria non aveva avuto un rapporto sessuale con uno di quegli dei mascalzoni dell'Olimpo che si travestivano da uomini; in quel senso era da considerarsi vergine. Questo lasciava lo spazio ad altri interrogativi (ma era rimasta vergine anche dopo la nascita? Ed era nata con o senza il peccato originale?) che in millecinquecento anni poi i teologi si adoperarono a sbrigliare.

Nel frattempo non è che non ci siamo preoccupati di altre cose. In Francia hanno inventato le crêpes, il dolce tradizionale di Candelora. In Belgio i pancakes, un tipico caso di emulazione fallita ma comunque interessante. Da qualche parte in Germania si dava un'occhiata alla tana del riccio: se il sole era uscito da consentire all'erinaceida di proiettare la sua ombra, vi sarebbe stato un secondo inverno. Questa tradizione, trapiantata da immigrati tedeschi nel nuovo continente, avrebbe dato vita al Giorno della Marmotta: una celebrazione che ai miei coetanei è più familiare della Candelora.

La festa della purificazione della Vergine è resistita sul calendario fino al Concilio Vaticano II. La contraddizione in termini era risolta in modo abbastanza ragionevole: no, Maria non avrebbe avuto bisogno di purificarsi, ma c'era andata lo stesso perché la legge diceva così e le leggi vanno rispettate: non succede anche Gesù, pur concepito senza peccato originale, di farsi battezzare da Giovanni? Il catechismo di Pio X proponeva di leggere nell'episodio un "esempio di umiltà e obbedienza alla legge di Dio". La questione, come tutte quelle aventi a che fare col concetto di verginità della Madonna, a metà Novecento è stata insabbiata: nel Martirologio Romano non si legge più "Purificazione della Vergine", ma "Presentazione del Signore": insomma alla fine gli occidentali hanno dato ragione agli orientali, almeno su questo.

Comments

Alla presidente dei post-servi

Permalink
L'Italia ha sospeso i fondi a Gaza,
tu no. 

Presidente Giorgia Meloni,

devo confessare che avevo basse aspettative, e tuttavia.

Da un tweet del suo ministro degli esteri di venerdì scorso (venerdì scorso!) scopro che l'Italia non sta più assolvendo ai suoi doveri di solidarietà nei confronti della popolazione palestinese – gli aiuti all'UNRWA sono "congelati" non si sa bene da quando, forse da cento giorni. Nel frattempo la striscia di Gaza è stata quasi completamente rasa al suolo: le vittime dei bombardamenti e dei combattimenti sono più di ventimila, in gran parte civili (lo stesso esercito israeliano riconosce che Hamas è ancora operativo). Intere famiglie sono state spazzate via dalla guerra; gli israeliani ostacolano l'accesso di aiuti alimentari e sanitari a Gaza e venerdì abbiamo scoperto che comunque tra quegli aiuti nulla più viene dall'Italia.


Il blocco degli aiuti quindi sarebbe persino precedente al cosiddetto scandalo UNRWA, ovvero alla scoperta che alcuni dipendenti UNRWA avrebbero collaborato agli eccidi di Hamas del 7 ottobre scorso; il che sarebbe gravissimo se si potesse dimostrare. Senz'altro ci tiene molto il governo israeliano: probabilmente è un modo per spostare l'attenzione dalla sentenza preliminare della Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja, che rappresenta già una severa censura del comportamento assunto dall'esercito israeliano in questi mesi nei confronti della popolazione civile della Striscia. Ma prendendo anche per vero quel che avrebbero confessato dodici dipendenti su tredicimila (interrogati dall'intelligence israeliana e dallo Shin Bet); considerata la penetrazione capillare di Hamas nella società gazawi, un numero così esiguo di sospettati è quasi un'indiretta conferma dell'autonomia dell'UNRWA rispetto ad Hamas.

Insomma qualsiasi governo sovrano attenderebbe prima di prendere per fondate le accuse mosse da Israele all'UNRWA, ma per il nostro governo il problema non si pone: a quanto pare i fondi li avevamo sospesi già, molto prima che qualche nostro importante alleato ci imponesse di farlo. O forse ce l'hanno imposto prima, come fanno i padroni ai servi un po' rintronati e noi questo siamo evidentemente, presidente. Altri governi, in queste ore, stanno mostrando un atteggiamento meno servile e più consono alle rappresentanze democratiche di Paesi sovrani: la Spagna, l'Irlanda, non stanno sospendendo gli aiuti, nemmeno la Scozia: noi sì. 

Presidente Meloni: il sospetto di essere cittadino di un Paese che non stava facendo praticamente nulla per evitare un genocidio lo nutrivo anche prima di venerdì; ma non immaginavo in che misura lei, in che misura noi fossimo già complici. Il nostro sostegno a Israele, mai così esplicito, è un incoraggiamento a proseguire nella direzione in cui sta andando, e la direzione in cui sta andando non è solo quella di una catastrofe umanitaria nella Striscia di Gaza. È anche un disastro morale per Israele, e per la complessa e struggente storia che rappresenta.   

Presidente Meloni, so che senza essersi mai definita fascista, non è mai nemmeno riuscita a dichiararsi antifascista – nemmeno adesso che ormai ha vinto tutto quello che poteva vincere, e nessuno può più scavalcarla: nemmeno adesso. E va bene. I fascisti si sa, facevano i gradassi in tempo di pace; quando scoppia la guerra annusavano il vento per capire dove stesse passando il sedere del più forte, e lì si attaccavano. Lei in teoria non fa così, lei è post. 

Io, l'avrà capito, non ho nessun rispetto per il partito che lei dirige, per la storia che c'è dietro, per il suo Almirante e il suo Berlusconi. Il giorno in cui ha vinto le elezioni è per me uno dei momenti più bui della storia della Repubblica. E però anche in quel momento mi restava la curiosità: cos'avrebbe fatto una gregaria di formazione, nel momento in cui saliva sul gradino più alto? Avrebbe forse scoperto la sua personalità, svelato finalmente un pensiero autonomo, qualcosa di simile a una volontà propria? Quanto meno me l'auguravo, sarebbe stata una bella sorpresa per tutti. E invece non c'è niente da fare: eccola al postservizio dei primi che le hanno mostrato i muscoli. 

Io non sono veramente nessuno e questo mio sfogo non è un granché, ma confesso che mi piacerebbe che le mie parole in un qualche modo si scavassero un sentiero tra la selva retorica che la circonda, e la pungessero in una qualche regione dove altre persone hanno una coscienza. Lei i palestinesi li conosce, è stata a Betlemme; quando Renzi era al governo chiedeva i Due Stati per Due Popoli: ora vede un popolo affamare l'altro e gli dà una mano. E quando al prossimo comizio ciancerà di orgoglio nazionale, di sovranità e di altre sciocchezze, lo so che è impossibile, ma vorrei che un poco si vergognasse, sarebbe ora: per lei e per noi. Postservi, non siamo altro che postservi: il postpadrone ordina e lei ha già eseguito. 

Comments (1)

Benigni e la Shoahsploitation

Permalink


Un giorno o l'altro, non necessariamente un Giorno del Ricordo, dovrei mettere per iscritto la mia annosa diffidenza nei confronti di La vita è bella. Ha a che vedere col concetto di Shoahsploitation, parola che mi sono inventato e non ne vado fiero, anche perché alla fine è inutile prendersela: se imponi un momento di approfondimento tutti gli anni in tutte le scuole è inevitabile che nascano prodotti che servono esattamente a questo – magari si può rimarcare che Benigni/Cerami sono stati tra i primi a capire che razza di mercato si stava aprendo. Cruciale fu l'incontro con Mihăileanu, che aveva già in mente il concept di Train de vie e pensava a Benigni un protagonista: forse non capiva di avere davanti anche un produttore abbastanza scafato che poteva copiargli l'idea. 

La mia diffidenza ha a che vedere con l'equivoco per cui quello che chiediamo a questi prodotti 'leggeri' a tema Shoah è uno spunto per parlare di Shoah a un'età in cui rischiamo di scioccare i bambini. Servono a questo. Il problema è che forse li scambiamo per punti d'accesso all'argomento, laddove manco ci provano: La vita è bella non "spiega" la Shoah, non introduce alla Shoah (neanche Train de vie, neanche Jojo Rabbit). Sono film che rimangono nei dintorni, raccontano episodi quasi sempre inventati intorno all'argomento, cercano di non risultare troppo depressivi o disturbanti e ti danno la sensazione che hai passato un paio d'ore a ricordare la Shoah. Nel frattempo i ragazzi crescono, un 27 gennaio dopo l'altro hanno effettivamente il tempo per imparare qualcosa, per cui alla fine qualcosa passa: è più liturgia che didattica, comunque.

Di tutti questi film La vita è bella è il più pervasivo, al punto che alla fine della scuola dell'obbligo i ragazzi rischiano di averlo già visto due o tre volte, di associare per sempre la faccia grulla di Benigni all'ebraismo, che già tante offese ha patito e sopravvivrà indubbiamente anche a questa, però forse il mio fastidio parte proprio da Benigni, e dal concetto del film, che non riesco ad accettare (non da un punto di vista morale, è proprio la sospensione dell'incredulità che non mi scatta): un padre che convince un bambino che Auschwitz è un gioco a premi. Questo pone tutta una serie di problemi.

a) Non si ingannano i bambini – cioè, succede spesso, ma costruirci sopra un film è discutibile. Proporre poi questo film ai bambini è proprio un corto circuito che m'infastidisce.

b) I bambini non sono mica deficienti, cioè come fai a credere che Auschwitz sia Takeshi's Castle (se tra l'altro non hai mai visto Takeshi's Castle). Davvero quel bambino non può crederci davvero, l'unica strategia che trovo per reggere la visione è immaginare che sia lui che sta prendendo suo padre per scemo, gli regga la candela perché altrimenti suo padre non potrebbe fare più il pagliaccio, e a quel punto gli prenderebbe la depressione.

c) Questa finzione dipende tutta appunto dalla capacità di Benigni di fare il pagliaccio. Tutto il film posa sulle spalle di questo tizio che manco fosse Charlie Chaplin, cioè se chiedevano a Charlie Chaplin lui probabilmente gli avrebbe detto no, guardate, neanche io riuscirei a rendere credibile una situazione del genere, e sono il più grande pagliaccio del mondo, ma se potessi fare un film del genere l'avrei fatto, e se non l'ho fatto c'è un motivo (anche Jerry Lewis all'ultimo momento ha bloccato tutto, vi ricordo). Benigni osa dove non ha osato Jerry Lewis, e il problema è che non è nemmeno il Benigni al top della forma, cioè per gran parte del film è il Benigni al minimo sindacale che ti ride in faccia e si aspetta che ridi anche tu per simpatia. 

d) L'idea del campo come concorso a premi mi sembra anacronistica, anche se capisco che in epoca di Squid Game possa ritornare interessante (e qui potremmo aprire una digressione su quanto sia disumano il concetto di concorso a premi, e in generale la gamification della realtà che proprio nei Paesi dove è più avanzata ha prodotto fiction come Battle Royale o Squid Game).

Beh alla fine forse ce l'ho fatta, ho messo per iscritto quasi tutti i problemi che ho con la Vita è bella, senza nemmeno toccare l'annoso problema dei carri armati, che quando finalmente arrivano, sono quelli americani. Ma davvero mi sembra l'ultimo dei problemi, anche gli americani qualche campo l'hanno liberato. Ne approfitto per dire che per quanto m'infastidisca La vita è bella, forse funziona meglio di altri prodotti pensati per la scuola e più nobili, come La tregua di Rosi che in teoria non ha niente che non va e in pratica non gira, non saprei dire il perché, io alla fine quando vedo che un film non gira non lo guardo più e dopo un po' mi dimentico il perché.

Comments (2)

Prima ricordare

Permalink


Vorrei rassicurare chi se ne preoccupasse sul fatto che io oggi, 27 gennaio, parlerò ai miei studenti della Shoah, che è "lo sterminio del popolo ebraico". A seconda del tempo e dei mezzi che avrò a disposizione, ricorderò "le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati". I virgolettati sono ovviamente presi dagli articoli 1 e 2 della legge 211 del 20 luglio 2000, che istituiva la Giornata della memoria. E basta.

Non paragonerò la Shoah ad altre stragi passate, future o presenti; non emetterò un giudizio su chi pensa che basta farsi fotografare ad Auschwitz per lavar via l'antisemitismo disseminato qua e là per anni; non approfitterò per entrare in polemica con governanti che non hanno ancora del tutto rinnegato il loro Almirante (e il loro Mussolini). Come ho scritto altre volte, sono convinto che la Shoah sia un evento assolutamente eccezionale, per modalità e per dimensioni. Non sono del tutto sicuro che il modo migliore di studiarlo sia la liturgia scolastica della Giornata, per come si è evoluta in questi 24 anni, ma se c'è un evento storico che merita almeno di essere ricordato un giorno all'anno, credo che si tratti questo. E la legge è molto chiara, quindi la osservo. Anche qui sopra, per oggi eviterò di entrare in esplicita polemica con chi non accetta altri paragoni con la Shoah tranne i propri.

Poi ovviamente l'anno è fatto di altri 365 giorni (è bisestile), e da domani fino al 26 gennaio 2025 ci sarà tempo per qualsiasi altra riflessione – talvolta stimolata da studenti che di quel che succede qua fuori sentono parlare, sia a casa sia sullo smartphone, così che se pensate che io abbia mai la tentazione di incitarli a boicottaggi o lotta armata ebbene è l'esatto contrario: mi tocca smentire tante storie deformate, leggende metropolitane, savi di Sion e quant'altro. Per cui di fronte all'eterno dibattito: è ammissibile paragonare la Shoah ad altri fenomeni? La mia risposta oggi è che per stabilirlo come minimo prima dobbiamo capire cos'è stata la Shoah, percepire la sua eccezionalità: prima studiare, poi paragonare.  

Questo è il modo in cui passerò il 27 gennaio al lavoro e in questo spazio. Altri hanno deciso diversamente, e ne approfitteranno per manifestare contro Israele. È una scelta che non condivido, ma non posso nemmeno fare nulla per impedirla. Con buona pace di chi in questi casi se la prende, la legge dice semplicemente che dobbiamo ricordare degli avvenimenti. Non proibisce a nessuno di istituire paragoni (anche sballati), né di manifestare per altre cause che hanno più o meno a che fare con la Shoah. Un'eventuale legge che includesse questi divieti sarebbe, temo, incostituzionale: tutti infatti hanno "diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione", articolo 21. Poi certo, magari non sarà sempre così, specie coi riformatori costituzionali che girano oggigiorno. Ma per quest'anno è andata, inutile prendersela. Specie in un giorno così importante, con tante cose più gravi da ricordare.

(Vabbe' alla fine un po' di polemica forse l'ho fatta, mi dispiace, sono umano).

Comments (2)

Dante potrebbe offendervi, attenzione

Permalink

Dicevamo qualche giorno fa: sul Post qualcuno ha denunciato "il sessismo, i pregiudizi di genere, le vittimizzazioni secondarie" che sarebbero "una costante" nella letteratura italiana che compare sui manuali scolastici. Questo mi ha fatto arrabbiare, un po' più del necessario, per motivi che sto ancora cercando di spiegarmi. Nel frattempo le autrici hanno ribadito che era una provocazione, avremmo dovuto farci una risata, ecc. Ora non m'interessa ribattere punto per punto che no, i manuali non sono fatti così, la letteratura a scuola non si insegna così. Galatea Vaglio su Valigiablu lo ha fatto, e mi sembra che possa bastare. 

Vorrei riflettere su un piano diverso: cosa porta persone non stupide, non incolte, scrittrici, laureate, a produrre un tipo di testo del genere, una specie di parodia in cui una serie di autori e personaggi di epoche molto lontane dalla nostra vengono fotografati nella situazione che possa apparire più scorretta a un lettore contemporaneo? E cosa porta centinaia di lettori altrettanto colti e sensibili ad apprezzare il testo? Potrebbe essere semplicemente una pagina divertente e scritta bene, ma credo che ci sia di più: è una di quelle pagine che prima o poi su internet qualcuno doveva scrivere, come se troppo forte fosse l'esigenza di certi lettori di leggerla. Che tipo di lettori?

Nel pezzo c'è una "doverosa precisazione" in cui spiegano che non vogliono assolutamente cancellare Dante o Ariosto – ci mancherebbe – ma promuovere "uno sforzo di consapevolezza": il che poi implica che questa consapevolezza sui manuali non ci sia, e che a scuola gli insegnanti non si sforzino in tal senso. Questa è una delle cose che mi ha fatto più arrabbiare (cioè secondo voi esorto i ragazzini a trattare le coetanee come le trattava Nastagio degli Onesti?), ma effettivamente se vado a controllare nei manuali per la scuola media, non è che trabocchino di avvertenze sul fatto che Dante e Ariosto vivessero in epoche diverse con morali molto diverse che potrebbero risultare offensive ai giovani lettori. Quel tipo di disclaimer che la Disney sta mettendo su certi vecchi film, ecco, nei libri di scuola ancora non ci sono, è come se li dessimo per scontati perché insomma, Disney+ è alla portata del telecomando di qualsiasi bambino, mentre Dante deve per forza passare attraverso la mediazione di un insegnante. Insomma tutto dipende dall'insegnante e non posso escludere che ne esistano di quelli che approfittano dell'episodio di Paolo e Francesca per esortare i giovani alla continenza. Voglio sperare che non siano in tanti. Forse alla fine avevo torto ad arrabbiarmi così tanto, perché a loro modo le autrici segnalavano un problema: manuali e insegnanti dovrebbero essere più attenti a fornire, per ogni autore, il contesto storico. E però.

E però non mi pare che le autrici stiano chiedendo questo tipo di contestualizzazione. Anzi il loro "sforzo di consapevolezza" va verso l'esatto opposto: personaggi e autori vengono strappati dai rispettivi contesti storici e trattati da contemporanei (altrimenti come faremmo a scandalizzarcene?): ci viene proposto di riconoscere in Orlando il Vasco Rossi di Colpa d'Alfredo, in Leopardi un incel. 

Il mio fastidio forse nasce da qui: ho un problema con chi ostenta intolleranza per il passato, come se non fosse la terra più straniera di tutte. A Dante credo si debba lo stesso rispetto che dobbiamo all'indigeno dell'Amazzonia: non gli spieghiamo che i suoi usi e i suoi costumi sono sbagliati; anche quando ci ripugnano dobbiamo accettare che sono il risultato di un adattamento al suo ambiente, di una civiltà la cui complessità potrebbe sfuggirci. Se leggiamo Dante, tra le altre cose è per imparare cose su di lui e sul mondo in cui ha vissuto; un mondo interessante anche solo perché era diverso dal nostro. Di sicuro non leggiamo Dante per spiegargli che si sbaglia, e che avrebbe dovuto comportarsi come ci comportiamo noi. Né per sentirci migliori di lui. O lo facciamo?

Mettiamola così. È noto che da quando su internet siamo tutti diventati i promoter di noi stessi, l'esigenza di esibire le nostre virtù è cresciuta in modo geometrico. Dobbiamo tutti dimostrare di essere in grado di sconfiggere le ingiustizie, o almeno di segnalarle; e siccome non sempre la cronaca ci provvede di ingiustizie fresche di giornata (e comunque la gara a chi le segnala per primo è molto serrata) ripiegare sui libri di Storia diventa un'alternativa comoda e a costi irrisori. Praticamente tutto quello che è successo prima del 2018 è discutibile, qualsiasi manuale è già un libro nero dei crimini dell'uomo bianco. Razzismi, prevaricazioni, femminicidi a ogni pagina. Prima o poi qualcuno doveva denunciare il sessismo di Boccaccio o di Petrarca, era inevitabile: e infatti non è stato evitato. Ovviamente non per cancellarli, no. Per far discutere, questo sì. Creare un po' di attenzione – e chi sono io per giudicare, davvero.

Si tratta di una mossa facile, ma forse più pericolosa di quel che sembra, perché... ma lo avete capito chi c'è là fuori? 

Ci sono gli studenti.

Quelli veri, quelli giovani. Voi siete woke per modo di dire: eravate svegli/sveglie anche venti anni fa. Siete andati tutti a scuola, e per quanto possa essere stato mediocre il vostro insegnante, difficilmente vi ha minacciato di andare all'inferno se commettevate adulterio perché l'Inferno dantesco lo prevedeva. Questa cosa che scrittori di epoche diverse risentano di sistemi di valori molto diversi, l'avete sempre saputa. Fingere all'improvviso di accorgersene, di dover denunciare le pagine più tossiche, può far nascere un'accesa discussione, che è il motivo per cui si scrivono le cose. Ma accendere una discussione del genere in un ambiente dove passano gli studenti, è come lanciare fuochi artificiali a un benzinaio. Voi non volete veramente cancellare Dante e Ariosto, ho capito. Magari gli volete ancora un po' di bene, a quei due. Volete solo provocare una conversazione. Ma là fuori non c'è gente che vuole conversare: c'è gente che vuole leggere meno, o leggere altre cose, più attuali, più facili. Loro Dante e Ariosto non li hanno ancora letti, e se c'è in giro una clausola per non leggerli più, perché non dovrebbero attaccarcisi?   

E non perché siano giovinastri deficienti tutti droga play e netflix – o forse sì, ma la loro ansia cancellatoria ha ragioni molto più serie delle vostre. Tutti gli organismi viventi tendono a minimizzare gli sforzi, e gli studenti sono organismi molto viventi. Potrebbe essere uno dei motivi per cui negli ultimi anni la prima domanda che si fa un giovane lettore davanti a un testo non è più "cosa sta cercando di dirmi questo testo", ma "c'è qualcosa in questo testo che potrebbe offendere me? o qualche altra minoranza sensibile?" Perché se c'è qualcosa, anche solo una parola, il problema è finito: il testo si cancella e si passa ad altro. Io capisco ormai che la parola con la N non sia più presentabile, ma immaginate di leggere una pagina dell'Autobiografia di Malcolm X a una classe che sonnecchia, quand'ecco che echeggia la parola con la N e li vedi svegliarsi di botto, scandalizzati: ehi, ma cosa stiamo leggendo? In realtà niente, non hanno letto niente. Hanno sentito solo la parola N risuonare nel silenzio. Hanno antenne per queste cose, che non percepiscono ciò che noi percepiamo con gli altri cinque sensi. L'indignazione è il sesto senso: riescono a indignarsi per quel che c'è scritto su un libro senza neanche averlo aperto, a volte appena dopo averlo intravisto dalla vetrina della libreria, sono incredibili. 

Non ditemi che un po' non li invidiate. Una certa cultura cancellatoria può anche nascere dall'ansia che i giovani provano di fronte allo scibile umano: quanti libri bisognerebbe leggere prima di capirci qualcosa, non possiamo cominciare a buttarne via un po'? (continua) 

Comments (3)
See Older Posts ...