Contra el terricidio está la vida
Un capitolo questo, particolarmente sentito a tutti i livelli dalla società civile della Patagonia. Tanto è vero che le scritte che inneggiano “no alla mina” sono appesi in bella vista, oltre che nei muri, anche nei negozi di Esquel, così come nei bar e nei locali turistici. Le “mina” sono l’aspetto più evidente di un “terricidio” che è tanto più evidente in una terra come questa in cui la “naturaleza” viene percepita in ogni momento della vita ed è parte integrante dell’essere indigeni.
Combattere le “mina”, recuperare le terre ancestrali agli sfruttamenti intensivi del latifondisti, significa per un mapuche, non soltanto appropriarsi dei mezzi necessari ed indispensabili a garantirsi una vita degna, ma anche ritrovare una identità che “conquistadores” e governo argentino ha inutilmente tentato di spezzare. Il terricidio, come è stato ripetuto al camp che era proprio dedicato a questo tema, uccide non solo la terra ma anche i suoi figli. Perché i popoli indigeni sono parte integrante ed indivisibile della terra.
Tre giorni di campeggio. Tanto è durato il Campamento che le Mujeres hanno costruito in una della tante terre recuperate a Benetton, ad una decina di chilometri sterrati da Corcovado. Tre giorni immersi in quella “cosa” immensa ed indescrivibile che è la Patagonia. O, meglio, Walmapu: la terra.
Tre giorni in cui nelle assemblee e nei vari workshop, o taller, come dicono qui, si sono susseguiti racconti, storie ed esperienze talmente coinvolgenti che non avevi neppure il coraggio di scriverle sul taccuino degli appunti. Come le denunce della del “chineo”. Una “tradizione” - così viene definita da chi la pratica - ancora attiva nelle regioni del nord dell’Argentina che prevede la vendita delle bambine indigene tra gli otto e i dieci anni a ricchi imprenditori bianchi per sfruttamento sessuale. Una pratica che non viene ancora perseguita dalla legge perché classificata come “costume indigeno”.
Anche questo è terricidio.
Combattere le “mina”, recuperare le terre ancestrali agli sfruttamenti intensivi del latifondisti, significa per un mapuche, non soltanto appropriarsi dei mezzi necessari ed indispensabili a garantirsi una vita degna, ma anche ritrovare una identità che “conquistadores” e governo argentino ha inutilmente tentato di spezzare. Il terricidio, come è stato ripetuto al camp che era proprio dedicato a questo tema, uccide non solo la terra ma anche i suoi figli. Perché i popoli indigeni sono parte integrante ed indivisibile della terra.
Tre giorni di campeggio. Tanto è durato il Campamento che le Mujeres hanno costruito in una della tante terre recuperate a Benetton, ad una decina di chilometri sterrati da Corcovado. Tre giorni immersi in quella “cosa” immensa ed indescrivibile che è la Patagonia. O, meglio, Walmapu: la terra.
Tre giorni in cui nelle assemblee e nei vari workshop, o taller, come dicono qui, si sono susseguiti racconti, storie ed esperienze talmente coinvolgenti che non avevi neppure il coraggio di scriverle sul taccuino degli appunti. Come le denunce della del “chineo”. Una “tradizione” - così viene definita da chi la pratica - ancora attiva nelle regioni del nord dell’Argentina che prevede la vendita delle bambine indigene tra gli otto e i dieci anni a ricchi imprenditori bianchi per sfruttamento sessuale. Una pratica che non viene ancora perseguita dalla legge perché classificata come “costume indigeno”.
Anche questo è terricidio.