Come ti pacifico la favela, la storia di Rocinha
Rio de Janeiro - Per darvi un’idea dell’ostello dove la carovana di Ya Basta ha preso alloggio, potreste pensare ad un quadro di Escher. Uno di quelli con le scale “matte” che si accavallano in tutte le direzioni. Solo, dovete immaginarlo dipinto con tutti i colori di un mercato della frutta!
E se la cosa vi sembra un controsenso, non dimenticatevi che siamo in Brasile. L’Art Hostel si trova nel nel mezzo di Rio de Janeiro - ammesso e non concesso che una città come Rio posso avere qualcosa che si possa definire “centro” - nel quartiere di Catete. Per raggiungere Ipanema, prima tappa di questa prima giornata di carovana, dobbiamo prendere la metropolitana e scendere nella Rio sud, superando i quartieri di Botofago e Capocabana. Poi tocca salire su un autobus che si fa strada, chissà come ci riesce? tra stradine traboccanti di bancarelle che vendono frutta, strette tra canyon di eleganti grattacieli. La nostra meta è la favela di Rocinha, la più grande delle 1024 (sì, avete letto bene, mille e ventiquattro) favele di Rio de Janeiro
. Rocinha è anche la più grande del sudamerica. 60 mila abitanti secondo l’ultimo censimento. Ma “censimento” è una parola che in una favela non significa proprio niente perché presuppone una sorta di ordine o di legalità che in una favela proprio non c’è. Una stima più plausibile fatta dalle associazioni che a Rochina ci lavorano, parla di 150, forse 200 mila abitanti. Di sicuro, è un numero in continua crescita. La favela comincia improvvisamente dove cessano i grattacieli di Ipanema. Mi aspettavo una sorta di “zona franca”. Ed invece il taglio è netto. Di qua la ricchezza e di là la miseria.
Nel cuore di Rochina ci attende Barbara Olivi. Una volta, Barbara, aveva un’agenzia immobiliare a Milano. Poi, una ventina di anni fa, ha venduto tutto, ha sposato un brasiliano e si è trasferita qui per portare avanti una serie di progetti rivolti in particolare ai minori. Se glielo chiedete, l’unico rimpianto che ha è di non essere partita prima. E’ lei che ci racconta la storia di questa favela, una sorta di “discarica degli indesiderati”. I primi a costruirci la casa sono stati proprio gli italiani. Anarchici, per lo più, che nei primi anni del ‘900, varcavano l’oceano da perseguitati politici e che quando guardavano l’oceano dalle grandi onde che si frangono sui Dois Irmãos, immaginavano di vederci sorgere il Sol dell’Avvenir. E intanto che aspettavano, coltivavano frutta e verdura e la vendevano al mercato di Rio. Rocinha significa per l’appunto “il mio orticello”.
Anche la tortuosa strada che si inerpica per la favela si chiama Rua La Via Appia, strada La Via Appia. Pure i locali ricordano nei nomi l’Italia. Pranziamo in uno strano posto dove il cibo viene venduto solo a peso. Lo hanno chiamato La Roma.
Finalmente raggiungiamo Barbara nella sede della sua associazione. Un’ingarbugliata casa a più piani con stanze piccole distribuite in altezza. Ci sono ragazzi e ragazze di ogni età in ogni stanzetta che parlano, mangiano e smanettano ai computer. Nella terrazza dove è stata improvvisata una scuola di ballo (samba, mano a dirlo), chiacchieriamo con Barbara e suo marito. Che ragazzi vengono qua? Come li contattate? “Sono loro che vengono da noi - mi spiega -. Nella favela tutto sanno tutto di tutti. Voi, ad esempio, non siete certo passati inosservati. Tutti sanno dove siamo e chi ha bisogno entra. Sono ragazzi cui è stato rubato tutto. Nessuno gli ha mai dato niente. Né affetto, né cultura ma neppure cibo. Sai quanti di loro hanno carenze vitaminiche? Ti pare possibile in un Paese come il Brasile dove la frutta la trovi in ogni angolo? Ma un arancio costa come un piatto di fagioli e se hai fame scegli il secondo che ti riempie di più. E una economia diversa quella che vige qui dentro. A fianco della povertà, c’è anche un ceto medio. Intendo... medio per i criteri di Rocinha. Qui nessuno paga le tasse e c’è chi ha messo su piccole attività familiari con cui campa. Attività che però non gli consentono di cambiare vita e quartiere!”
A Rocinha tutto costa meno perché la gente non ha soldi. La favela, che qui chiamano “comunità”, è anche una discarica dell’economia globale. A pagarne le spese per primi sono i bambini. “Tra quelli che vedi ballare alle tue spalle - continua Barbara -, uno è mi è svenuto per la fame davanti alla porta, un altro non ha parlato con nessuno per anni. Poi mi ha raccontato che viveva accanto alla casa che i narcos usavano per le torture”. Rocinha infatti era gestita dai narcotrafficanti del cartello dell’Ada, Amigos dos Amigos. Il 13 novembre 2011, la favela è stata “pacificata”. Tremila soldati e 18 carri armati sono entrati e hanno cacciato i narcos che vi governavano. Ma si può davvero parlare di pacificazione? “Con 3000 soldati armati e 18 tank? Non farmi ridere! C’era da farsi addosso dalla paura! Per fortuna non ci sono stati morti e feriti come per la ‘pacificazione’ del Complexo Do Alemao (altra favela di Rio ndr). Ma non sono certo mancate le violenze gratuite! Per mesi avevamo paura ad uscire per le strade occupate da militari in divisa nera satinata che avevano come simbolo sulla divisa un teschio con un coltello infilato sul cranio e due mitra incrociati sotto! Avevano la licenza di uccidere e non si dimenticavano mai di ricordartelo. Se per te questo è pacificare... La verità è che le favele hanno sempre fatto comodo prima al potere dittatoriale e poi a tutti i governi. Ogni tanto fanno qualche progetto da campagna elettorale ma tutto resta come prima. Hanno cacciato il governo dei narcos e adesso son lì a chiedersi con cosa sostituirlo. Perché, ti ripeto, la verità è che le favele fanno comodo al potere politico ed economico”.
Salutiamo Barbara e scendiamo a Ipanema dove un gruppo di ragazzi da settimane sta bivaccando con tende e cartelloni d protesta nel bel mezzo della strada principale sul lungo mare, proprio davanti all’elegante palazzina del governatore dello Stato di Rio, Sergio Cabral. Qualche giorno fa, la polizia li ha sgomberati violentemente. Troppo violentemente anche per i criteri brasiliani che certo non sono teneri. Si è così creato un movimento di opinione che li ha sostenuti e li ha fatti scarcerare. La sera stessa, sono ritornati dove erano prima. Hanno messo anche qualche tenda in più.
. Rocinha è anche la più grande del sudamerica. 60 mila abitanti secondo l’ultimo censimento. Ma “censimento” è una parola che in una favela non significa proprio niente perché presuppone una sorta di ordine o di legalità che in una favela proprio non c’è. Una stima più plausibile fatta dalle associazioni che a Rochina ci lavorano, parla di 150, forse 200 mila abitanti. Di sicuro, è un numero in continua crescita. La favela comincia improvvisamente dove cessano i grattacieli di Ipanema. Mi aspettavo una sorta di “zona franca”. Ed invece il taglio è netto. Di qua la ricchezza e di là la miseria.
Nel cuore di Rochina ci attende Barbara Olivi. Una volta, Barbara, aveva un’agenzia immobiliare a Milano. Poi, una ventina di anni fa, ha venduto tutto, ha sposato un brasiliano e si è trasferita qui per portare avanti una serie di progetti rivolti in particolare ai minori. Se glielo chiedete, l’unico rimpianto che ha è di non essere partita prima. E’ lei che ci racconta la storia di questa favela, una sorta di “discarica degli indesiderati”. I primi a costruirci la casa sono stati proprio gli italiani. Anarchici, per lo più, che nei primi anni del ‘900, varcavano l’oceano da perseguitati politici e che quando guardavano l’oceano dalle grandi onde che si frangono sui Dois Irmãos, immaginavano di vederci sorgere il Sol dell’Avvenir. E intanto che aspettavano, coltivavano frutta e verdura e la vendevano al mercato di Rio. Rocinha significa per l’appunto “il mio orticello”.
Anche la tortuosa strada che si inerpica per la favela si chiama Rua La Via Appia, strada La Via Appia. Pure i locali ricordano nei nomi l’Italia. Pranziamo in uno strano posto dove il cibo viene venduto solo a peso. Lo hanno chiamato La Roma.
Finalmente raggiungiamo Barbara nella sede della sua associazione. Un’ingarbugliata casa a più piani con stanze piccole distribuite in altezza. Ci sono ragazzi e ragazze di ogni età in ogni stanzetta che parlano, mangiano e smanettano ai computer. Nella terrazza dove è stata improvvisata una scuola di ballo (samba, mano a dirlo), chiacchieriamo con Barbara e suo marito. Che ragazzi vengono qua? Come li contattate? “Sono loro che vengono da noi - mi spiega -. Nella favela tutto sanno tutto di tutti. Voi, ad esempio, non siete certo passati inosservati. Tutti sanno dove siamo e chi ha bisogno entra. Sono ragazzi cui è stato rubato tutto. Nessuno gli ha mai dato niente. Né affetto, né cultura ma neppure cibo. Sai quanti di loro hanno carenze vitaminiche? Ti pare possibile in un Paese come il Brasile dove la frutta la trovi in ogni angolo? Ma un arancio costa come un piatto di fagioli e se hai fame scegli il secondo che ti riempie di più. E una economia diversa quella che vige qui dentro. A fianco della povertà, c’è anche un ceto medio. Intendo... medio per i criteri di Rocinha. Qui nessuno paga le tasse e c’è chi ha messo su piccole attività familiari con cui campa. Attività che però non gli consentono di cambiare vita e quartiere!”
A Rocinha tutto costa meno perché la gente non ha soldi. La favela, che qui chiamano “comunità”, è anche una discarica dell’economia globale. A pagarne le spese per primi sono i bambini. “Tra quelli che vedi ballare alle tue spalle - continua Barbara -, uno è mi è svenuto per la fame davanti alla porta, un altro non ha parlato con nessuno per anni. Poi mi ha raccontato che viveva accanto alla casa che i narcos usavano per le torture”. Rocinha infatti era gestita dai narcotrafficanti del cartello dell’Ada, Amigos dos Amigos. Il 13 novembre 2011, la favela è stata “pacificata”. Tremila soldati e 18 carri armati sono entrati e hanno cacciato i narcos che vi governavano. Ma si può davvero parlare di pacificazione? “Con 3000 soldati armati e 18 tank? Non farmi ridere! C’era da farsi addosso dalla paura! Per fortuna non ci sono stati morti e feriti come per la ‘pacificazione’ del Complexo Do Alemao (altra favela di Rio ndr). Ma non sono certo mancate le violenze gratuite! Per mesi avevamo paura ad uscire per le strade occupate da militari in divisa nera satinata che avevano come simbolo sulla divisa un teschio con un coltello infilato sul cranio e due mitra incrociati sotto! Avevano la licenza di uccidere e non si dimenticavano mai di ricordartelo. Se per te questo è pacificare... La verità è che le favele hanno sempre fatto comodo prima al potere dittatoriale e poi a tutti i governi. Ogni tanto fanno qualche progetto da campagna elettorale ma tutto resta come prima. Hanno cacciato il governo dei narcos e adesso son lì a chiedersi con cosa sostituirlo. Perché, ti ripeto, la verità è che le favele fanno comodo al potere politico ed economico”.
Salutiamo Barbara e scendiamo a Ipanema dove un gruppo di ragazzi da settimane sta bivaccando con tende e cartelloni d protesta nel bel mezzo della strada principale sul lungo mare, proprio davanti all’elegante palazzina del governatore dello Stato di Rio, Sergio Cabral. Qualche giorno fa, la polizia li ha sgomberati violentemente. Troppo violentemente anche per i criteri brasiliani che certo non sono teneri. Si è così creato un movimento di opinione che li ha sostenuti e li ha fatti scarcerare. La sera stessa, sono ritornati dove erano prima. Hanno messo anche qualche tenda in più.