Economia vs umanità. La catastrofe di Bento Rodriguez
Le catastrofi non sono mai naturali. Meno che meno, appare naturale quanto accaduto al villaggio di Bento Rodrigues, che giovedì 5 novembre è stato letteralmente spazzato dal mondo da uno tsunami di acqua, fango e rifiuti tossici, causato dal crollo di una diga mineraria.
Siamo nello stato brasiliano di Minas Gerais, 300 chilometri a nord di Rio de Janeiro. Una regione in cui la tradizionale economia agricola basata sulla soia, sul caffè, sulla frutta e sulla canna da zucchero è stata via via rimpiazzata da uno “sviluppo” devastante costruito sullo sfruttamento della manodopera e delle risorse minerarie presenti, come il ferro e l’alluminio. Nell’ultimo ventennio, la regione ha visto la nascita di industrie di siderurgia, trasformazione dei minerali, elettronica e automobili (anche la Fiat, così come la Iveco e la Mercedes Benz hanno trasferito qui alcune fabbriche) così che lo Stato, secondo uno studio datato 2015 del Ministero del Lavoro brasiliano (fonte: il Sole24Ore) risulta il secondo, dopo quello di San Paolo, nella classifica 2015 delle “opportunità lavorative”.
Ciò che lo studio del Ministero non dice, è il prezzo pagato per tutto questo “benessere”. Benessere - va puntualizzato - riservato a pochi, perché a fronte di una occupazione di 161 mila e 103 persone nell’industria e nelle miniere, si è registrato come attestano i contro-dati diffusi dalla lega dei contadini poveri, un aumento esponenziale della povertà nelle aree rurali dove chi non riesce ad arrivare ai sussidi statali (vere e proprie elemosine) non ha altra strada davanti che quella che porta alla favella per vivere degli scarti della grande metropoli. Ben lontano dall’attuare la promessa riforma agraria, il Pt (partito dei lavoratori - quello di “sinistra”) che governa anche nello Stato di Minas Gerais, ha scatenato, come si legge in una nota della lega dei contadini poveri, “una politica di governo delle campagne è fatta di repressione: si susseguono come mai violenti sfratti, arresti, torture e uccisioni di dirigenti contadini, ‘quilombolas’ e indigeni a livello nazionale”.
Una “guerra per la terra” tra i contadini che vorrebbero trarne sussistenza e i latifondisti che preferiscono darla in gestione alle grandi compagnie minerarie. Miseria, fame, massacri di indigeni, sparizione della foresta pluviale, devastazioni ambientali, rapine di beni comuni, inquinamenti delle acque, diritti violati, desaparecidos… eccola qua l’altra faccia della medaglia delle “opportunità lavorative” legate allo sfruttamento minerario.
La catastrofe di Bento Rodrigues non ha proprio niente di naturale. Il crollo della diga di proprietà della compagnia mineraria Samarco (una joint venture tra la multinazionale brasiliana Vele - compagnia tristemente nota e sulla quale vi rimando a questo articolo di Peacelink perché dovrei scriverci un libro - e l’anglo australiana Bhp Billiton) è soltanto l’ultima battaglia di una guerra globale: quella dell’economia contro ogni forma di vita su questa terra.
Non è neppure un caso che a travolgere il villaggio di 600 anime, causando 11 morti accertati e una dozzina di dispersi, non sia stata soltanto l’acqua o il fango che hanno travolto le pareti della diga, costruita al solo scopo di contenere le acqua reflue della vicina miniera di ferro. Tra i 500 milioni di metri cubi di liquami (la cui eccessiva pressione sulle pareti della diga era stata segnalata dai tecnici ma ignorata dai dirigenti aziendali) sono stati trovati quintali di rifiuti tossici che, in spregio alla legislazione di tutela ambientale e di smaltimento dei residui di lavorazione, la Samarco travasava nel “suo” lago.
Una catastrofe nella catastrofe. Le acque inquinate (purtroppo non si sa ancora quanto e come, considerato che l’azienda continua a negare anche l’evidenza), oltre a compromettere la fertilità dei terreni agricoli sottostanti, stanno confluendo nel grande rio Doce che è una dei principali rifornitori d’acqua della Regione, dalla foresta amazzonica alla sponda atlantica. Alcuni siti giornalistici brasiliani, parlano già di cadaveri di animali avvelenati, trovati sulla sponde del fiume. Ma possiamo stare tranquilli che le compagnia che privatizzano dell’acqua, aumenteranno il loro fatturato grazie a questo “incidente”.
Frattanto, nel momento in cui scrivo, nel sito della Samarco non trovo una parola su quanto accaduto a Bento Rodrigues. In compenso, ci sono un bel po’ di articoli che spiegano quanto investono nel loro Plano de Recuperação Ambiental e nelle loro Ações (azioni) Humanitárias.
Dei veri benefattori dell’umanità.
Ciò che lo studio del Ministero non dice, è il prezzo pagato per tutto questo “benessere”. Benessere - va puntualizzato - riservato a pochi, perché a fronte di una occupazione di 161 mila e 103 persone nell’industria e nelle miniere, si è registrato come attestano i contro-dati diffusi dalla lega dei contadini poveri, un aumento esponenziale della povertà nelle aree rurali dove chi non riesce ad arrivare ai sussidi statali (vere e proprie elemosine) non ha altra strada davanti che quella che porta alla favella per vivere degli scarti della grande metropoli. Ben lontano dall’attuare la promessa riforma agraria, il Pt (partito dei lavoratori - quello di “sinistra”) che governa anche nello Stato di Minas Gerais, ha scatenato, come si legge in una nota della lega dei contadini poveri, “una politica di governo delle campagne è fatta di repressione: si susseguono come mai violenti sfratti, arresti, torture e uccisioni di dirigenti contadini, ‘quilombolas’ e indigeni a livello nazionale”.
Una “guerra per la terra” tra i contadini che vorrebbero trarne sussistenza e i latifondisti che preferiscono darla in gestione alle grandi compagnie minerarie. Miseria, fame, massacri di indigeni, sparizione della foresta pluviale, devastazioni ambientali, rapine di beni comuni, inquinamenti delle acque, diritti violati, desaparecidos… eccola qua l’altra faccia della medaglia delle “opportunità lavorative” legate allo sfruttamento minerario.
La catastrofe di Bento Rodrigues non ha proprio niente di naturale. Il crollo della diga di proprietà della compagnia mineraria Samarco (una joint venture tra la multinazionale brasiliana Vele - compagnia tristemente nota e sulla quale vi rimando a questo articolo di Peacelink perché dovrei scriverci un libro - e l’anglo australiana Bhp Billiton) è soltanto l’ultima battaglia di una guerra globale: quella dell’economia contro ogni forma di vita su questa terra.
Non è neppure un caso che a travolgere il villaggio di 600 anime, causando 11 morti accertati e una dozzina di dispersi, non sia stata soltanto l’acqua o il fango che hanno travolto le pareti della diga, costruita al solo scopo di contenere le acqua reflue della vicina miniera di ferro. Tra i 500 milioni di metri cubi di liquami (la cui eccessiva pressione sulle pareti della diga era stata segnalata dai tecnici ma ignorata dai dirigenti aziendali) sono stati trovati quintali di rifiuti tossici che, in spregio alla legislazione di tutela ambientale e di smaltimento dei residui di lavorazione, la Samarco travasava nel “suo” lago.
Una catastrofe nella catastrofe. Le acque inquinate (purtroppo non si sa ancora quanto e come, considerato che l’azienda continua a negare anche l’evidenza), oltre a compromettere la fertilità dei terreni agricoli sottostanti, stanno confluendo nel grande rio Doce che è una dei principali rifornitori d’acqua della Regione, dalla foresta amazzonica alla sponda atlantica. Alcuni siti giornalistici brasiliani, parlano già di cadaveri di animali avvelenati, trovati sulla sponde del fiume. Ma possiamo stare tranquilli che le compagnia che privatizzano dell’acqua, aumenteranno il loro fatturato grazie a questo “incidente”.
Frattanto, nel momento in cui scrivo, nel sito della Samarco non trovo una parola su quanto accaduto a Bento Rodrigues. In compenso, ci sono un bel po’ di articoli che spiegano quanto investono nel loro Plano de Recuperação Ambiental e nelle loro Ações (azioni) Humanitárias.
Dei veri benefattori dell’umanità.