Messico - Continuano le mobilitazioni contro la Riforma Educativa
Dieci anni dopo la battaglia di Oaxaca, la rivolta dei maestri torna ad infiammare le strade del Messico.
Ad un Governo che risponde con sanguinose cariche militari e minaccia licenziamenti in massa, los Trabajadores de la Educación rilanciano la mobilitazione e da oltre un mese continuano a bloccare strade, presidiare piazze ed occupare istituzioni pubbliche nei municipi del Chiapas, del Michoacán, del Guerrero, fino allo stesso Stato di Oaxaca. Più di 24 mila nel Chiapas, 80mila nella sola Oaxaca, secondo fonti sindacali, i maestri che non hanno esitato ad alzare barricate, letteralmente, contro la riforma della scuola varata dal governo neoliberale del presidente Enrique Peña Nieto.
A scatenare la protesta è stata l’istituzione di un esame obbligatorio valutativo per tutti i maestri, compresi coloro che sono già in attività. Esame che, col pretesto di valutare le competenze educative del candidato, altro non è che uno efficace sbarramento per allontanare dall’insegnamento quanti sono sgraditi al regime. In particolare, a pagare le spese della riforma, sarebbero los maestros delle normali rurali come la ben nota scuola di Ayotzinapa.
Più in generale, la Riforma Educativa fortemente sostenuta dal Governo Nieto, altro non è che una radicale pulizia con il detersivo del neo liberalismo delle ultime resistenti macchie di scuola pubblica nel Messico.
Quella stessa scuola che era nata sotto la spinta della rivoluzione del 1910 e sostenuta da Emiliano Zapata con l’obiettivo di alfabetizzare i popoli originari e le classi più povere dalla popolazione.
Scuole immediatamente attaccate da latifondisti (“covi di guerriglieri”, le hanno definite) e dall’alta gerarchia cattolica (“escuelas del diablo”) ma strenuamente difese dalla popolazione che vedeva nei loro “maestros” non solo dei semplici maestri elementari ma degli autentici avvocati dei diritti, donne e uomini capaci di insegnare ai loro figli che l’unica cosa alla quale non si possa mai rinunciare è la dignità. Nelle scuole popolari, come quella di Ayotzinapa, i campesinos indigeni imparano che quella terra che lavorano è la loro terra, un bene che non si vende e non si compra. Una terra che va difesa con tutti i mezzi necessari tanto dai narcos quanto dal mal gobierno. Le due facce, neppure contrapposte, dello stesso feroce sistema neoliberista che sta sbranando il Messico e il Sudamerica. Non è un caso che, nel solo Stato del Guerrero, dei 17 civili uccisi dai narcos nel 2014, nessuno era un poliziotto o un politico, ma 15 di loro erano studenti o maestri delle scuole popolari. Dei 33 desaparecidos, 28 frequentavano, o avevano frequentato, le rurali. Sono loro, i maestri delle scuole popolari e i loro studenti, il cuore, l’anima ed il sangue dei movimenti di resistenza popolare al neo capitalismo in Messico. Questo è il motivo per il quale la mobilitazione dei maestros delle scuole pubbliche suscita una tale eco nel Paese centroamericano e riesce sempre a trascinare nella protesta interi strati di popolazione, in particolare di origine indigena.
Proprio come successe ad Oaxaca nel giugno del 2006, quando l’intera città e i paesi limitrofi cominciarono una occupazione ad oltranza e senza bandiere di partito, a sostegno dei maestros e, sopratutto, di quanto questi rappresentavano. Una occupazione comunitaria che si concluse nel sangue dopo quattro mesi di assedio e di durissimi scontri con polizia, esercito e squadracce di paramilitari che lasciarono sulla strada, assassinati, quattro compagni, tra i quali un giornalista di IndyMedia, Brad Will. Oggi, dieci anni dopo la caduta della Comuna, lo zocalo - la piazza principale di Oaxaca - è ancora occupata dai maestros.
Chi pensava che della rabbia di dieci anni fa fossero rimasti solo pochi murales che turisti frettolosi fotografavano senza sapere cosa raccontavano, si sbagliava di grosso.