In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.

Piccolo bestiario del razzismo nostrano

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Tragico viaggio nella xenofobia dopo la piazzata contro i profughi al Lido
Ovvero, quando leggere i commenti sui social ti fa cascare le palle che non le tiri più su

Son sette giorni che spalo letame. Non quello buono, quello dove "crescono i fior". Mi è toccato spalare quello cattivo, quello che gira nei social quando si toccano temi come "profughi" e "accoglienza". Un merdaio di bugie, veleni e carognate che ti schifa anche solo farci il "copie e incolla", perché quando leggi certe infamate capisci che non riuscirai mai a guardare nel fondo nero dell'abisso dell'umana miseria senza che questo cerchi di specchiarsi dentro di te. E ti senti pure tu sporco dentro perché, alla fin fine, sai di appartenere allo stesso consesso umano.
L'ho fatto non per masochismo ma per contribuire ad un lavoro lanciato dalle ragazze e dai ragazzi di Tra Le Righe Project - seguitele su Facebook! -. Un neo nato gruppo universitario impegnato sui temi legati alla comunicazione e ai media. Concentrandosi, in particolare, sulla disinformazione, la strumentalizzazione mediatica e le sue conseguenze.
Dopo l’arrivo dei 37 profughi al Lido e alle contestazioni che ne sono seguite, Tra Le Righe ha monitorato i post razzisti e xenofobi che sono girati non solo tra le bacheche di tanti gruppi Fb, ma anche negli spazi dedicati ai commenti dei lettori nelle pagine on line dei quotidiani locali. L’obiettivo che il gruppo si è dato è quello di segnalare gli abusi al Collegio di Disciplina dell'Ordine dei Giornalisti del Veneto per quanto riguarda gli spazi giornalistici, e alla magistratura ordinaria per quanto concerne le istigazioni alla violenza xenofoba.
Perché il razzismo non è una opinione ma un reato.
Il materiale raccolto da Tra Le Righe, lo potete visionare prossimamente su queste pagine (se ne avrete il coraggio). Per quanto mi riguarda, solo per averle aiutate a spalare, ho sentito la necessità di disintossicarmi con un po' di ironia, che poi è la qualità che ci distingue dalle bestie. Mi sono accorto che tutti i post razzisti possono venir classificati in un numero limitato di categorie. Ne ho contate sette. Eccole qua. Ci si può giocare come con i segni zodiacali. Tu di che razzismo sei?



Il razzista disinformato
Studiare, leggere, informarsi… che fatica inutile! Il razzista disinformato ha troppo cose per la testa - troppe cose più serie - come il lavoro, la famiglia, il Milan che quest'anno fa proprio cagare, per trovare il tempo di leggere tutte quelle righe scritte sotto il titolone del quotidiano che spulcia quando fa colazione al Bar Sport. La totale disinformazione non solo lo stimola, ma anche lo favorisce nel filosofare su qualsivoglia questione che spazi dal cambio di allenatore del Portosummaga ai bosoni vettori intermedi, passando per la dubbia esistenza di dio sino all'accoglienza dei profughi. Su ogni tema lui ha la sua brava ricetta: facile, immediata, semplice da capire e da spiegare. Solo... completamente sbagliata. Una "perla" l'ho letta in calce ad un articolo della Nuova Venezia. In fondo alla pagina del sito web del quotidiano, vi trovate la finestra "Commenti dei lettori". Cliccate a vostro rischio e pericolo. Vi si aprirà un vero museo degli orrori come questo: "Dico io, se non volevano fare i clandestini perché han voluto salire sul barcone e non hanno preso un regolare volo di linea?" E sotto c'è pure chi gli dà ragione! Mi è venuta la tentazione di rispondere: "Per il brivido della traversata" ma ho lasciato perdere perché il razzista disinformato non conosce il significato della parola "sarcasmo" ed era capace di regalarmi qualche commento sugli sport estremi di cui è sicuramente appassionato.
Proprio del razzista disinformato è aver litigato con la grammatica da piccolo e di non averci mai fatto pace. Per risolvere i dubbi linguistici che incontra nei suoi post fa gran sfoggio di fantasia. "C'e n'e", "cè n'é", "cè ne è", "c'e nè"... Neanche il correttore automatico di Word è capace di mettere sull’On. Ma l'importante è capirsi, giusto?

Il razzista che proprio gli tocca di esserlo, poveretto!
Questo tipo di razzista è serenamente convinto che non sarebbe razzista se gli altri non fossero bestie assassine ed esseri biologicamente inferiori. Si vanta di essere l'unico che ha il coraggio di dire le cose come stanno e di non cedere nulla al buonismo di regime che impera nell'attuale società. Che poi è una cosa che vede solo lui.
Il razzista suo malgrado ha la capacità di immaginare che certe sue affermazioni, del tipo "Lasciamoli in mare che è anche per il loro bene", potrebbero risultare antipatiche ai più, ma ciò non lo distoglie dalla sua santa missione di dire sempre la verità. Tutti i suoi post cominciano con una esortazione a leggerlo senza pregiudizi, superando i luoghi comuni per cui dovremmo sentirci obbligati "ad aiutare tutti. Tutti quelli che se lo meritano, casomai. Ma questi cosa hanno fatto per meritarselo?" Il suo ragionamento tocca sempre il tasto economico "quanto ci costa, in tempi di crisi, pagargli l'albergo a cinque stelle e regalare loro 79 euro al giorno?" (le cifre le spare sempre a caso, come si ricorda, per sentito dire). Il suo post finisce immancabilmente con l'identica domanda: "Sono razzista se affermo che bisognerebbe prima aiutare gli italiani poveri? Eh?" Sì che sei razzista. E pure stronzo.

Il razzista che non sa neanche di esserlo
Qui bisogna partire dalla triste e drammatica considerazione che nemmeno un Santo del Paradiso riuscirebbe a convincere il razzista che non sa di esserlo che in realtà è razzista. E pure tanto. Cito il Santo del Paradiso perché solitamente a questa categoria appartengono molti cattolici, di quelli che comprano il rosario di papa Francesco all'edicola. La sua principale considerazione sull'accoglienza è pressapoco questa: "Se proprio dobbiamo farli entrare tutti, non è meglio dare la precedenza ai cattolici che si adattano di più? Io non sono razzista ma i musulmani hanno una religione troppo violenta". A questa categoria senza speranza di redenzione appartengono tutti i "io non sono razzista ma..." che poi vanno di una sparata che ti fa girare lo stomaco. Il razzista che non sa di esserlo non è contrario all'accoglienza per principio. Solo che ci vuole sempre mettere un "ma". Una delle più divertenti (o tristi) che mi è toccato leggere è di una signora che plaude, "perché non se ne può fare a meno", l'accoglienza alla Morosini ma poi aggiunge "facciamoli lavorare però! E' sacrosanto insegnargli che il pane si guadagna col sudore della fronte!" Sant'iddio... questa è sinceramente convinta che nei barconi ci salgano tutti gli scansafatiche figli di lord che non hanno mai lavorato in vita loro e che siano sempre vissuti mantenuti dai genitori tra rose e fiori! Tocca spiegarle che, dopo la caccia alla volpe, lo sport che va più di moda tra i vip miliardari non è ancora la traversata del Mediterraneo in gommone.

Il razzista politico
E' una delle categorie più fetenti. Più il razzismo sale di livello sociale e più si copre di cinismo e ipocrisia. Il razzista politico apre bocca solo in virtù del suo tornaconto personale. Non ragiona di pancia ma con criteri legati al consenso elettorale. "Se dico questo - pensa - otterrò più voti e visibilità? Le mie dichiarazioni troveranno più spazio nei giornali? Mi chiameranno in tv?" Il resto è una conseguenza, con i giornalisti che ci cascano sempre e, invece di togliere il microfono a queste fogne, più le loro "sparate" sono becere e xenofobe, più le fanno rimbalzare.
C’è chi, tipo il Salvini, con la xenofobia e le provocazioni semplicemente ci campa. C’è chi fa il falegname, chi fa l’idraulico, lui va in tv a dire che bisogna affogare i profughi. Lui entra nella pagina Fb degli studenti universitari di arabo per esortarli con “Studiate l’italiano, invece che l’arabo!” Se la tira dietro, la sfilza di vaffanculo lunga come la bibbia. Come quelle spalle nei film di Stanlio e Olio messe là solo per ricevere la torta in faccia. E’ il suo mestiere. Lui ci mantiene la famiglia col razzismo.
Ma è un errore credere che il razzista politico sia solo a destra. Per meglio dire, è vero che tutta la destra italiota precipita sul razzistoide, ma non tutti i razzistoidi precipitano a destra. Per nostra sfortuna, ce n'è un bel mucchio anche nel centro sinistra, per tacere dei Grillini che continuano ad adopera il termine "clandestini" al posto di “profughi" come neanche Forza Nuova. Se è comunque vero che non campano mestieranti del razzismo come Salvini nel centro sinistra, è anche vero che le dichiarazioni di troppi suoi personaggi si salvano dal forcaiolese solo per cascare nell’idiozia (lo fanno apposta per non perdere consenso tra i "moderati"). Un bell'esempio ce lo offre, ahimè, la candidata alle prossime regionali Alessandra Moretti. "Va bene l'accoglimento dei profughi, ma solo nel rispetto delle nostre leggi". Qualcuno ha mai detto il contrario? "Chiederò che queste persone vengano identificate anche con le impronte digitali". Ma tu guarda... io pensavo che la polizia di frontiera regalasse a tutti un bel passaporto con su scritto "John Smith"! Con queste uscite, non si può certo affermare che la candidata del Pd sia razzista. E ci mancherebbe. Ma qualcuno dovrebbe spiegarle che la testa non serve solo per portarla dal parrucchiere due volte alla settimana.

Il razzista Nimby
"Non nel mio cortile" è una patologia alquanto diffusa in tutte le buone famiglie, non ultima quella dei comitati ambientalisti. “No alla discarica a Portella di Sopra” significa spesso: “Fatela a Portella di Sotto sennò mi rompete le balle con la raccolta differenziata”. La scienza purtroppo non ha ancora trovato una cura. Essenzialmente, il razzista Nimby se ne strafrega fottutamente di qualsiasi cosa accada a più di cento metri dal suo tratto casa-lavoro. "Se vogliono ospitarli, perché proprio al Lido che già ci abbiamo i nostri problemi?" Se tu hai i tuoi problemi al Lido, pensa un po' a quelli che ci avevano loro in patria. Oppure: "Nessuno ci ha detto niente, nessuno ci ha avvisato". Il fatto che la notizia giri da settimane in tutti i quotidiani non vale per il razzista Nimby che vuole essere sempre interpellato di persona dal presidente della Repubblica. La soluzione che propone alla fine del discorso è sempre questa: "Perché quelli del centro sociale i clandestini non se li tengono a casa loro?" ma vale solo se la dimora del razzista Nimby dista a più di cento metri dal centro sociale in questione. Il fatto che giri un mondo anche oltre il cortile di casa sua, al razzista Nimby interessa solo perché ogni sera se lo trova davanti in televisione. "Ma guarda te tutti quei disgraziati su quei barconi... perché qualcuno non fa qualcosa?" Prima che li portino qua, si intende.

Il razzista complottardo
Unico tra la fauna razzista, il razzista complottardo adora informarsi. Legge e rilegge quotidiani e riviste, bazzica decine di forum, clicca su pagine e pagine di blog e siti. Uno più balordo dell'altro. Poi se ne esce con verità del tipo: "Questi clandestini sono tutti dell'Isis. Lo ha detto anche la Bbc che però poi hanno cancellato il servizio perché non vogliono che la gente lo sappia. Vengono con i barconi per poi farsi esplodere nelle nostre scuole". Sull'islam ha le sue brave teorie che stanno tutte a destra di Magdi Cristiano Allam. Solitamente vota Grillo ed è convinto che le guerre in Medio Oriente le facciano scoppiare apposta, così che la "ggente" non si accorge delle scie chimiche che le sparano apposta per cambiare il clima e farci il lavaggio del cervello. Col razzista complottardo c'è ben poco da discutere. Se obietti ad una sua sacrosanta considerazione sei in malafede e pagato profumatamente dal Nuovo Ordine Mondiale. Lo dimostra lo stesso fatto che obietti ad una sua sacrosanta considerazione.
Ma adesso consentitemi una supplica tutta personale: se c'è qualcuno del Nuovo Ordine Mondiale che mi legge e che paga, anche non profumatamente... io son qui, eh?

Il razzista infame
Qui non c'è ironia che tenga. Solo schifo. Come si può giustificare una "opinione" del tipo "Bruciateli vivi tutti"? Non riesco neppure a scherzarci su. Il razzista infame urla rabbia usando dozzine di punti esclamativi, il maiuscolo sempre inserito, frasi volutamente irrazionali riempite di odio e ferocia. Scrive per far male, stimolare reazioni violente e se la gode se trova qualcuno che gli dà corda. Possiamo pensare a persone sole e malate mentalmente. Ma questo non scagiona i giornali che danno spazio a queste sparate, pure confinandole negli spazi dei commenti. Il direttore, per legge, è comunque responsabile di tutto quanto viene scritto nella sua testata. I commenti infami debbono venire immediatamente bannati, anche se fanno “audience”, anche se la colonnina di pubblicità a ridosso guadagna un sacco di click. La deontologia non è un optional per un giornalista. E neppure il rispetto della legge. Come abbiamo scritto in apertura: il razzismo non è una opinione ma un reato che non ha diritto di cittadinanza.

Adriatico “No Oil”

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Il Governo Renzi le sbandiera come “strategiche”. In realtà le trivellazioni petrolifere nell’alto Adriatico non coprirebbe il fabbisogno nazionale che per poche settimane, perché il greggio sotto il nostro mare è scarso e di bassa qualità. Senza considerare che - e la crisi economica dovrebbe avercelo insegnato! - il futuro corre verso le rinnovabili. Una politica perdente anche dal punto di vista economico quindi, questa che vuole devastare l’Adriatico, mettendo a rischio l’ambiente e le attività come il turismo che ad esso sono legate, solo per pagar dazio alle compagnie petrolifere.
Per ribadire un netto “no” alle trivellazioni in mare, un centinaio di attivisti si è radunato in piazza San Marco per colorare uno striscione con la scritta “Italia - No Oil - Croazia”. Ovvero: niente estrazioni tra la le due sponde del mare. La manifestazione è stata organizzata da Legambiente, Wwf e Greenpeace e vi hanno aderito Vas, associazione Balcani Caucaso, Movimento 5 Stelle, Verdi Green Italia e Verdi Europei (che in questi giorni sono a Venezia per il direttivo europeo).


“Le trivelle appartengono ad una logica di sviluppo a discapito dell’ambiente che non ha futuro - ha spiegato Davide Sabbadin di Legambiente -. I vantaggi sarebbero pochissimi e solo per i petrolieri, i rischi tantissimi e tutti nostri. Cosa succederebbe alla pesca, al turismo nel caso si ripetesse anche qui uno di quei disastri che si sono già verificati in altre parti del mondo? Oramai il 40 per cento dell’energia che si consuma in Italia viene da fonti rinnovabili. In Europa questa percentuale è ancora più alta. Invece di investire in questa direzione e in quella del risparmio energetico, in Italia si preferisce ripercorrere la vecchia strada del combustibile fossile. Che poi è la strada che ci ha portato alla crisi economica, regalandoci in cambio solo devastazioni ecologiche”.
Tanta solidarietà ai manifestanti dai turisti che, in piazza San Marco, non mancano mai. Molti si sono avvicinati per contribuire a colorare lo striscione, Altri hanno chiesto informazioni sulle trivellazioni. Tutti si sono stupiti che un Governo accettasse di metter a repentaglio la straordinaria bellezza di una città come Venezia per pochi barili di petrolio di cattiva qualità.

Ambientalisti europei per Casson sindaco
In Comune

I verdi d’europa sostengono la candidatura a sindaco dell’“ambientalista” Felice Casson. Una scelta naturale per una città come Venezia che è stata travolta dallo scandalo del Mose - ha spiegato Angelo Bonelli, presidente dei Verdi italiani -. Una scelta che, ne sono sicuro, i veneziani in cerca di un riscatto politico non potranno non sostenere. Felice Casson è l’uomo giusto perché, tanto come magistrato che come politico, si è sempre speso a difesa del popolo inquinato”.
Proprio per sostenere Casson, i nove componenti del direttivo dei Verdi Europei si sono dati appuntamento a Venezia, nella sede della Fondazione Levi. Dopo un incontro con la stampa, al quale ha partecipato anche il candidato sindaco, i verdi europei hanno tenuto il direttivo mensile, quindi la giornata si è conclusa con un seminario sulle strategie di riconversione ecologica delle industrie inquinanti. Un tema che da queste parti significa: Porto Marghera. Significativa in questo senso la presenza di tanti eurodeputati ambientalisti. “Venezia è un patrimonio dell’umanità - ha spiegato il tedesco Reinhard Bütikofer, copresidente dei verdi europei - ed è un dovere dell’Europa non lasciarla sola e non abbandonarla alle speculazioni”.
Per una giornata, la nostra città ha ospitato il ghota dell’ambientalismo europeo e personaggi come Maurizia Giusti, Davide Sabbadin, Domenico Finiguerra, Bartolomeo Pepe, Francesco Ferrante, Luigi Lazzaro, Claudia Bettiol, Monica Frassoni, Annalisa Corrado, Oliviero Alotto. A far gli onori di casa, Luana Zanella. Tra i vari ospiti nostrani, ricordiamo solo Maria Rosa Vittadini che ha garantiamo Casson il personale sostegno.


Awakening risveglia Venezia

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L'iniziativa messa in campo, e pure in calle, dai ragazzi del collettivo Awakening, un paio di di notti fa, non è solo la più bella sorpresa di carnevale che un veneziano potesse aspettarsi ma è addirittura un qualcosa che ha dato un senso ad un festa tanto tradizionale quanto svilita, oramai ridotto a parata per turisti o al solito concerto all'arsenale.
Un po' come, per altri versi, sarà la sfilata di barche volta a denunciare le devastazioni perpetrate in laguna che ci attende questo pomeriggio. Questo è il carnevale tradizionale che vogliamo perché non c'è nulla di più tradizionale, per un abitante delle calli, che difendere la sua laguna.
Possiamo stare certi che quegli enormi pannelli fotografici che hanno inaspettatamente tappezzato mezza città hanno fatto sgranare gli occhi a più di una addormentata coscienza per cui "le grandi navi? sì... sono brutte e pericolose... ma io che ci posso fare?"



Ed invece possiamo farci tutti qualcosa. Anche chi non ha più il fisico o l'età per buttarsi in acqua davanti alla Giudecca (spettacolari le immagini che ricordano l'impresa del settembre 2013!). Se non altro, possiamo, dobbiamo capire da che parte stare. E capire soprattutto come mobilitarci per allontanare definitivamente queste specie di speculazioni edilizie galleggianti dalla nostra laguna.
I ragazzi di Awakening, che non a caso significa "risveglio", lo hanno fatto a modo loro, da quegli autentici "fotoreporter di strada" che sono. Senza bisogno di pagar dazio al riverito Ordine dei Giornalisti. Senza chiedere permessi e senza danneggiare Venezia (le foto sono solo incollate sulle recinzioni in legno dei vari cantieri), hanno letto la città come un enorme giornale cartaceo, "pubblicando" nei suoi muri, come in una prima pagina, le foto che denunciano lo svilimento di una laguna oramai quotidianamente stuprata dal passaggio di questi assurdi condomini naviganti. Che a chiamarli "navi" si fa un affronto al vocabolario e un torto ai libri di Conrad.
Foto bellissime e coinvolgenti. Tutte in bianco e nero. E non solo perché stamparle a colori sarebbe costato un fottio, ma anche perché, come ben sanno tutti i fotografi - intendo i veri fotografi, come sono le ragazze e i ragazzi del collettivo Awakening, e non quelli incapaci come me che vanno sempre giù con il luccichio dell'Hdr! - nel bianco e nero ci sono tutti i colori del sole. Ma non solo. Nelle loro grandi immagini c'è qualcosa in più di tutti i colori del sole. Nei loro "bianco e nero" ci trovate tutti i colori della lotta.

Occupata Ca' Farsetti

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Senza sindaco, senza assessori ma, in compenso, sull'orlo della bancarotta. Tira brutta aria sul Comune di Venezia, commissariato dopo lo scandalo del Mose. E poco importa chi sederà sulla poltrona di Primo cittadino, dopo le elezioni primaverile. Stavolta non ci sono conigli da estrarre dal capello, stavolta. Far quadrare il cerchio attorno ad un bilancio stretto nel nodo scorsoio del Patto di Stabilità è una operazione impossibile. Si rischia di chiudere baracca e burattini. Anche perché, nonostante una marea di promesse di vari ministri, deputati e senatori, Matteo Renzi ha annunciato che il Governo non varerà nessun decreto Salva Venezia.
Un default annunciato quindi, che, come prime vittime, mieterà i lavoratori comunali.



Ecco il perché dell'iniziativa di ieri sera quando, in pieno carnevale, i lavoratori auto organizzati Cobas hanno deciso di occupare Ca' Farsetti per costringere il Governo a gettare la maschera. A poco è valso il grosso cordone di polizia a presidio del portone del palazzo. Un centinaio di lavoratori è entrato per la porta sul retro e si è accampato nel bel mezzo della sala del consiglio comunale, decisa a tener duro sino ad una assemblea cittadina prevista per questo pomeriggio.
Una assemblea cittadina, per l'appunto, perché un Comune in bancarotta non riguarda solo i dipendenti pubblici ma l'intera Venezia che si troverà a non avere più quei servizi essenziali che già sono stati ridotti all'osso dal commissario Vittorio Zappalorto. Da ieri Ca' Farsetti è tornata ad essere la casa dei veneziani aprendo uno spazio per un confronto aperto non solo al dipendenti ma anche alla cittadinanza attiva, ai movimenti ambientalisti, agli spazi sociali. A tutti coloro insomma che sin dall'inizio hanno denunciato lo scandalo di un'opera come il Mose che non ha portato nessun beneficio alla laguna e alla sua gente ma è servita solo a dirottare i fondi per la salvaguardia nelle tasche di politici tangentari e di aziende in odor di mafia.
"Non parlateci della crisi che i soldi ci sono - ha commentato Mattia Donadel, uno dei portavoce degli occupanti -. Spendiamoli per il welfare, per la tutela dell'ambiente, per il lavoro, invece di continuare a finanziare una politica delle Grandi Opere che non ha devastato solo l'ambiente e l'economia ma anche la stessa democrazia italiana".

Naomi Klein: la rivoluzione che ci salverà parte parte da noi

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Diamoci da fare. La conclusioni che l'autrice di No Logo tira al termine dell'incontro svoltosi nella serata di oggi all'auditorium di Santa Margherita, potrebbero essere condensate in queste tre parole. Diamoci tutti quanti da fare perché il mutamento del clima è oramai una verità accettata da tutti gli scienziati. Un cambiamento ci sarà. E sarà un cambiamento inevitabile perché il modello economico imposto dal capitalismo non è più sostenibile dalle risorse di cui dispone la terra. Eppure, nonostante sia ancora il sistema neoliberista a dettare i paradigmi sui quali corre l'informazione dominante, la consapevolezza che questa crisi non sia come ce la raccontano le banche si sta facendo strada tra la gente. Lo dimostra il successo di Podemos in Spagna e di Syriza in Grecia. E in Italia? "In Italia - scherza Naomi Klein - avete l'Expo sponsorizzato dalla Coca Cola".



L'incontro organizzato dall'associazione In Comune in collaborazione con Ca' Foscari e la Rizzoli Libri è stato un successo annunciato, considerato che questa veneziana è stata una delle tre sole tappe che la scrittrice canadese ha tenuto nel nostro Paese per presentare il suo ultimo libro "Una rivoluzione ci salverà", sottotitolo "Perché il capitalismo non è più sostenibile". Tutti 237 posti a sedere occupati, tanta gente, giovani soprattutto, in piedi o seduta per terra. Tanti altri fuori a masticare delusione perché, per ragioni di sicurezza, i responsabili della sala sono stati costretti a chiudere le porte.

Ad introdurre il dibattito, dopo l'inevitabile rito dei saluti del magnifico rettore, Michele Bugliesi, è stato il politologo Beppe Caccia, che ha ricordato come proprio la nostra città sia particolarmente toccata dai cambiamenti climatici e come tutti i veneziani, sulla loro pelle, hanno vissuto la storiaccia brutta del Mose. La grande opere salvifica che alla fin fine ha dirottato i fondi per la salvaguardia nel baratro della corruzione e della devastazione ambientale.

La Klein ha cominciato il suo intervento proprio da questa suggestione, ricordando come proprio a Venezia, una quindicina di anni or sono, venuta a presentare il suo libro "No Logo", abbia sentito per la prima volta la parola "precarietà" dagli attivisti dei centri sociali. "Un termine che oggi potrebbe essere esteso a tutto il mondo - ha sottolineato -. Il fatto è che non esistono risposte non radicali al problemi che ci pone l'ambiente. La scienza ci dice che entro i prossimi anni la temperatura crescerà di un valore tra i quattro e i cinque gradi. Questo cambiamento può forse essere evitato ma solo con una altro cambiamento radicale che investa la società, la cultura la produzione. Non illudiamoci che il neo liberalismo posso affrontare questo problema perché la sua agenda va in direzione completamente diversa. Un programma finalizzato al taglio delle emissioni è improponibile semplicemente perché il loro progetto è di aumentare le emissioni".

Il compito di stimolare Naomi Klein, è toccato all'ambientalista Gianfranco Bettin. L'incontro poi si è chiuso gli interventi del pubblico coordinati dal docente Duccio Basosi. Ma è proprio Bettin a buttare benzina sul fuoco sottolineando come, nel libro della Klein, vengano mosse pesanti critiche anche un certo ambientalismo non radicale ed alle sinistre di governo che, pur con sensibilità ben diverse rispetto alle destre, continuano a non mettere l'ambiente al primo posto delle loro agende, perseverando, alle fin fine, nel sostenere una politica neo liberista che, allo stato attuale delle cose, non può più essere riformata. Un esempio è stata l'Unione Sovietica con il suo capitalismo di Stato che ha devastato tutto il devastabile ed oltre. Oppure la Cina di Mao con la sua dottrina di "guerra alla natura" in nome della quale, tra le altre cose, ha cercato di sterminare tutti i passeri del continente. Un altro esempio sono le democrazie di sinistra dell'America latina: il Brasile, l'Ecuador, il Venezuela di Chavez. Paesi che, pur con atteggiamento diverso rispetto alle dittature, hanno comunque continuato l'attività estrattiva del greggio a spese dei popoli indigeni che dalla foresta ricavavano sostentamento.

"I cambiamenti climatici - ha risposto la scrittrice canadese - pongono in discussione tutte la nostra civiltà, dalla nascita della società industriale, quando si vendevano le macchine a vapore sostenendo che con questa avremmo sconfitto la natura, ad oggi dove il capitalismo è addirittura capace di proporsi come unica via di uscita ai danni che egli stesso ha causato. I cambiamenti climatici, in fondo, altro non sono che una risposta a scoppio ritardato a questo atteggiamento di scontro che l'uomo ha avuto nei confronti della natura. Come se ne esce? Con una sorta di, come l'ho chiamato, nuovo Piano Marshall. Non aspettiamoci che siano i Governi a farlo per noi. Neppure i Governi di sinistra. E' il momento di scendere in piazza e non solo per bloccare le grandi opere devastanti ma anche per proporre con forza progetti alternativi, cosa che non sempre siamo stati capaci di fare. Progetti che siano allo stesso tempo credibili, entusiasmanti e coinvolgenti. Perché il capitalismo è bravo a smuovere le acque della paura. Ma l'unica cosa di cui dobbiamo avere paura è che sia il capitalismo a governare i cambiamenti che, inevitabilmente, stanno arrivando".
Diamoci da fare, dunque.

Corruzione a norma di legge. Così il Bel Paese è stato svenduto alla lobby mafiosa delle Grandi Opere

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La prima osservazione da fare è tutta positiva: tanta, tantissima gente. In sala San Leonardo, questo pomeriggio, non si trovava un posto a sedere neppure a pagarlo. E questo, per una città che sta cercando di riscattarsi da quel sistema corrotto e corruttore legato al Mose che l'ha tenuta in scacco per tanti anni, è senz'altro un sintomo positivo. "Tanti anticorpi per far da antidoto al veleno che ha intossicato il nostro tessuto sociale" ha sottolineato Beppe Caccia in apertura del dibattito sul tema "Come liberare Venezia dal sistema Mose?" augurandosi che "la comunità sappia trovare la strada per ribaltare un sistema legato alla concessionaria unica capace solo di generare corruzione, ridando spazio alla buona politica".

L'incontro promosso dall'associazione In Comune aveva lo scopo di presentare il libro di Giorgio Barbieri e Francesco Giavazzi, "Corruzione a norma di legge", edito da Rizzoli. Sottotitolo da sottolineare: "La lobby delle grandi opere che affonda l'Italia". Nel volume si sostiene la tesi che ci siano due tipi di corruzione: quella in aperta violazione delle leggi e quella, molto più subdola e pericolosa, che viene portata avanti a norma di legge con meccanismi come la concessione unica. "Corruzione a norma di legge", appunto, è una inchiesta giornalistica come non se ne fanno tante in Italia, tanto più apprezzabile in quanto firmata da un economista come Giavazzi che, in passato, certo non è mai stato critico nei confronti di quella Grande Opera chiamata Mose.


Ed proprio l'ambientalista Armando Danella, primo ospite della serata, che non esita a dichiarare il suo disagio nel parlare di un libro che, quando parla del Mose, evita di affrontare l'aspetto ecologico per focalizzarsi su quello della corruzione. "A mio avviso è un errore - spiega - perché la tragedia del Mose non sta solo sulla corruzione ma anche sulla devastazione ambientale che ha portato con sé. Ancora oggi non sappiamo se le paratoie funzioneranno o no. Studi terzi ne hanno evidenziato la criticità strutturale in condizioni particolari. Prima di proseguire, dobbiamo essere certi quanto meno che l'opera funzioni e che non ci sia pericolo per la città".

Roberto d'Agostino ha sottolineato come, con un giro d'affari di oltre 10 miliardi di euro, il Mose sia stato il più grande trasferimento di denaro dal pubblico al privato del Dopoguerra.  "Di solito si corrompe per far cambiare le leggi, il sistema Mose pagava perché tutto continuasse così. Adesso è necessario fare pulizia. I politici che hanno preso soldi dal Consorzio perché non sapevano chi fosse se ne devono andare. E se lo sapevano debbono andarsene lo stesso. E così le imprese che sono state sorprese a rubare, non debbono più continuare ad occuparsi della Salvaguardia".




Corruzione sì, ma una corruzione che viene da lontano e che, come ha spiegato Luana Zanella, è cominciata con la Legge Obiettivo, fortemente voluta dal Governo Berlusconi, che ha abbassato i controlli antimafia e favorito procedure semplificate per bypassare le verifiche ambientali ed i controlli democratici. "Tutt'oggi non vedo la volontà politica di uscire da questo sistema che genera solo corruzione e devastazione - ha spiegato l'ex senatrice verde - Il decreto Sblocca Italia varato dal Governo Renzi continua ad andare proprio in questa direzione. La stessa legislazione speciale per Venezia nel corso degli anni è degenerata sino a dirottare i fondi solo al Consorzio Venezia Nuova, sostenendo che anche questa è Salvaguardia".

Proprio la Salvaguardia con le Bonifiche di Porto Marghera sono stati i capitoli di finanziamento che hanno portato più denaro in laguna. Denaro che, come ha spiegato Gianfranco Bettin, è finito dritto dritto nelle casseforti della criminalità organizzata. "Perché in altro modo non riesco a definire il Mose e il Consorzio Venezia Nuova. Anche la terza voce in classifica, il turismo, ha seguito questo esempio, pure se, in questo caso, la corruzione non è ancora classificabile come a norma di legge". Lo dimostrano i fatti legati alle infiltrazioni di Cosa Nostra al Tronchetto. "La tragedia raccontata nel libro sta nel fatto che non tratta solo della corruzione del corrotto, che sarebbe facile da affrontare con l'aiuto della magistratura, ma della corruzione delle regole. Su questo punto, i magistrati non possono aiutarci. Questa corruzione avvelena lo stesso tessuto sociale e politico della città perché porta voti, denaro facile, potere". In questo stato di cose, ben pochi possono dichiararsi davvero estranei. "Non assolviamo i tecnici che si sono fatti corrompere ma non assolviamo neppure tutta la città. Rendiamoci conto che una parte della società civile con la corruzione ci marciava bene e, per vantaggi o per paura, era ben contenta di rintanarsi nel grembo accogliente del Consorzio. Non crediamo quindi, che basti gettare le mele marce per bonificare la politica. E' necessario andare molto più in profondità e cambiare l sistema".

Spazio quindi a Felice Casson, senatore e candidato alle primarie per il centrosinistra. L'ex magistrato comincia con una battuta al suo compagno di partito, nonché presidente del Consiglio, Matteo Renzi che recentemente ha presentato a Roma il libro di Giavazzi e Barbieri: "Chissà se lo ha letto? Probabilmente no, ma gli farebbe bene impararselo a memoria". Casson raconta le difficoltà che ci sono a far passare in parlamento una legge anticorruzione o una normativa a tutela dell'ambiente. "Ci troviamo davanti un fronte
comune pronto a fare opposizione ad oltranza. Un fronte composto non solo dalle destre, che in questo caso dimenticano tutte le divergenze interne, ma anche da elementi del mio partito che certo mi guardo bene dall'assolvere". La chiusura è tutta elettorale: "Mi auguro che Venezia sia un punto di partenza per mettere definitivamente all'angolo questo sistema corruttivo e ridare voce ai veri valori del centrosinistra".


Chiusura per i due autori, Giorgio Barbieri e Francesco Giavazzi. "Nel nostro libro, affrontando il tema della corruzione, abbiamo cercato di fare un passo in avanti - ha dichiarato Giavazzi - esplorando quel meccanismo che, dal Mose all'Expo, viene ripetuto ogni volta dalla lobby politica ed affarista delle grandi opere. I problemi non vengono mai affrontati se non quando si può parlare di emergenza. Allora appare un solo progetto in campo ed su questo vengono dirottate tutte le risorse. Con la scusa di 'fare presto' vengono sospese le misure cautelari antimafia, le norme a tutela dell'ambiente. Tutto viene affidato ad un concessionario unico e spariscono gli attori politici che dovrebbero fare da controllori. Anche quando scoppia lo scandalo ed interviene la magistratura, i mass media parlano del corrotto e dimenticano di riferire che lo scandalo più grande, la corruzione più grave, è sempre quella delle leggi. Che poi è la corruzione della democrazia".

La retata. Il libro sullo scandalo del Mose presentato alle Prigioni

mose

Vien da chiedersi se la location era davvero casuale. Magari anche sì. Certo è che parlare del Mose e del sistema di malaffare ad esso connesso, proprio dentro il palazzo delle Prigioni, è stata una istigazione ai nostri peggiori istinti giustizialisti. A cominciare da quel Maurizio Dianese che, nel suo ruolo di moderatore oltre che di autore del libro, non ha fatto altro che chiedere a tutti - come provocazione, per carità! - cosa ne pensavano di quell’antica usanza non soltanto islamica di tagliare le mani ai malfattori. Amputazioni o no, qualche piano sotto i famigerati Piombi, ai veneziani di oggi scappava di pensare ai veneziani di ieri ed a quali supplizi avrebbero condannato tali corrotti e corruttori, rei di peculato con la pesante aggravante, che all’epoca da sola giustificava la decapitazione, di aver devastato madre laguna per interessi privati.
Ma torniamo al nostro triste presente in cui i reati ambientali non sono neppure presi in considerazione dal codice penale. Corruzione, concussione, riciclaggio, turbativa d’asta, evasione fiscale - tanto per citare alcuni capi d’accusa mossi alla cricca del Mose - ancora sì. Ed è proprio questo aspetto che viene affrontato nel libro presentato ieri sera alle Prigioni di Palazzo Ducale: “Mose. La retata storica”, pubblicato dal Gazzettino e scritto da tre suoi giornalisti, Gianluca Amadori, Monica Andolfatto e, per l’appunto, Maurizio Dianese.



Ospiti d’eccezione, Carlo Nordico, procuratore aggiunto di Venezia, e due dei magistrati che hanno coordinato l’inchiesta: Stefano Ancilotto e Stefano Buccini. Dietro il tavolo dei relatori, anche il direttore del Gazzettino, Roberto Papetti. Unico politico e componente dell’ex Giunta invitato agli organizzatori, Gianfranco Bettin, che anche in tempi non sospetti ha sempre denunciato il malaffare legato al “sistema Mose”.
Un malaffare che, spiega Dianese, permeava l’intera società veneziana. Il giornalista dipinge lo scandalo Mose come il più grande dell’intera storia Repubblicana: “Tanto per fare un esempio,la maxi tangente Eni che ha dato il via a Tangentopoli era di 70 milioni di euro, mentre il Mose ha fruttato perlomeno un miliardi di euro in 10 anni”. Dianese racconta di gente con sporte piene di denaro in giro per le calli e di come “il Consorzio abbia pagato politici, società di calcio, partiti, associazioni, consulenti, finanzieri, amministratori… tutti, tutti a Venezia sono stati pagati dal Consorzio”.


Si vede che frequento la gente sbagliata. Quali che conosco io, dal Consorzio hanno avuto solo querele, denunce e calci in culo. E mettiamoci anche qualche manganellata dalla Celere perché sventolavano striscioni con scritto “A Venezia la mafia si chiama Consorzio Venezia Nuova”.
Che non siamo tutti uguali, al Dianese, gliela canta pure Bettin: “Ti passo quel ‘tutti’ come una licenza poetica. C’è tanta gente, anche in questa sala, che il malaffare del Consorzio lo ha sempre denunciato”. Il sociologo è l’unico a sottolineare che il danno operato dalla cricca del Mose non può essere confinato nell’ambito delle ruberie, sia pure miliardarie, ma investe l’ambiente e, più generale, la stessa democrazia. “Col Consorzio non è mai stato possibile discutere o sollevare obiezioni. Il Mose ha avuto una sola Via ed è stata negativa. Ma i lavori sono partiti ugualmente sotto il segno della prepotenza. Inutile il voto contrario del sindaco e del consiglio comunale. Un sistema delinquenziale che non è stato ancora sconfitto e che è tutt’ora in mano a malfattori che hanno lucrato sulla salvaguardia e anche sulle bonifiche di porto Marghera. Crimine questo, particolarmente odioso perché hanno approfittato anche dei finanziamenti che sequestrati dalla magistratura e destinati al recupero di aree dove la gente muore avvelenata”.
Come era prevedibile, i tre magistrati spostano il discorso sulla legalità. Al Dianese che gli chiede “Che fare?”, Nordio sottolinea come l’inasprimento delle pene non sia una soluzione al “mal di tangente” che permea la politica italiana. Non è sufficiente neppure migliorare gli strumenti processuali. “Bisogna piuttosto intervenire sugli strumenti che il corrotto adopera: semplificare le leggi, individuare le competenze. Così si tagliano gli artigli al corrotto. Ma questa è una soluzione che il nostro Governo non intende prendere in considerazione”.
C’è anche un aspetto culturale, come sottolinea Buccini: “La soluzione del problema non può essere solo giudiziaria. La scelta di legalità è una scelta individuale e non di sistema. Chi rispetta le regole lo fa a suo giudizio e non viene mai premiato dal sistema che invece elogia i corrotti”. Ne sono un esempio i funzionari pluricondannati che l’assessore regionale Renato Chisso promuoveva ai vertici dei servizi regionali.
E il famoso taglio della mano? Non serve, spiegano i magistrati. Chi delinque, dà sempre per scontato di farla franca e non si fa spaventare dalle pene pur se truculente.
Certo che, quando scopri che corrotti come Giancarlo Mazzacurati dopo l’arresto, la confessione ed il patteggiamento si recano a cena da Paolo Costa per chiedere lo scavo del Contorta, cominci a sospettare che nel sistema qualcosa non funziona. E se poi leggi che dei No Tav rischiano un’accusa di terrorismo e la galera a vita per aver tagliato una rete, allora sei sicuro, che qualcosa nel sistema non funziona. Ma questi sono gli amici nostri. Quelli che Dianese non prende neppure in considerazione. Quelli che dal Consorzio (o dalla Tav, o dall’Expo o fate voi…) non hanno mai avuto niente se non querele, denunce e calci in culo.
Frequento proprio la gente sbagliata.

Immaginare la città come esercizio di democrazia e speranza. Salvatore Settis a Marghera

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Salvatore Settis sull'altra faccia della luna. Dopo l'affollato incontro di martedì a palazzo Franchetti, in pieno centro storico, l'autore di "Se Venezia muore" ha superato il Ponte per presentare questo pomeriggio il suo libro in una biblioteca di Marghera colma di gente. Con un relatore così, puoi mettere quante sedie vuoi che la maggior parte della gente deve rassegnarsi a stare in piedi. Un incontro, questo di Marghera, particolarmente interessante perché lo storico dell'arte che ha invitato i suoi lettori ad "immaginare la città" come esercizio di democrazia applicata, si è messo a confronto con le varie realtà del territorio che costruiscono percorsi di appartenenza sociale ad un luogo, riconquistando spazi pubblici e applicando quel "diritto alla città" che costituisce il leitmotiv del suo pensiero. Associazioni come In Comune, Airis, Comitato Marghera Libera e Pensante, I Celestini, e spazi sociali come il Loco che nasce proprio da uno spazio destinato alla vendita in nome di quello "scellerato patto di stabilità" come lo ha definito lo stesso Settis. Ma anche singoli personaggi come l'urbanista Maria Chiara Tosi, l'economista territoriale Federico Della Puppa, il parroco della Resurrezione Nandino Capovilla, rappresentanti di istituzioni come il presidente della municipalità Flavio Del Corso. A far gli onori di casa, il sociologo Gianfranco Bettin che ha introdotto il dibattito sul tema "Far vivere la città" ricordando come proprio il patto di stabilità, che vincola le amministrazioni pubbliche, sia uno dei principali motori della devastazione delle nostre città.



Opinione condivisa da Salvatore Settis che nel suo intervento ha meticolosamente risposto alle domande ed alle suggestioni che gli sono state poste dagli altri relatori. Venezia, ha spiegato lo scrittore, è il paradigma insuperabile della città d'arte. "Le nostre città sono state storicamente il teatro della democrazia. Democrazia che si è sviluppata grazie al luogo e non al prezzo. Chiediamoci, se dobbiamo prezzare ogni cosa, quando costa la nostra libertà?" Settis si riferisce alla lunga lista di beni che la legge sul federalismo demaniale ha elencato come "alianabili". Dentro ci si trova mezza Venezia. "Ci hanno detto che questi beni vengono venduti come merce al supermercato per risanare il bilancio, ma il debito ha continuato a crescere ugualmente. La verità che che questi beni pubblici vengono svenduti a prezzo di regalo per favorire chi li compera. E con loro, viene svenduta anche la nostra democrazia. Il diritto alla città, come hanno compreso bene queste persone che hanno parlato prima di me, è sinonimo di democrazia".
Impossibile non chiedere allo storico il perché di quel "Se" che mette angoscia sul titolo del libro. "Grandi navi, assurdi progetti di grattacieli in stile Dubai, turismo di massa, cementificazione del territorio ancora sole esempi della nuova peste che affligge Venezia. Possiamo fermarli? Io credo di sì se riusciamo a recuperare una idea di città che tragga forza della sua memoria. Il mio titolo vuole essere una speranza. Se uniamo progetto, responsabilità e anche speranza, fermeremo la peste".

All'Ilva arriva la "soluzione Alitalia": privatizzare i profitti e statalizzare le perdite

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Si è preso pure il plauso della Cgil, il presidente del consiglio Matteo Renzi quando ha annunciato, in una intervista a Repubblica, di voler "nazionalizzare" l'Ilva di Taranto. "Da lungo tempo diciamo che la siderurgia è un settore strategico per il nostro Paese - ha dichiarato la segretaria sindacale Susanna Camusso-. Non si può perderla, e questa è un'ottima ragione per prevedere un intervento pubblico".
Una "corrispondenza d'amorosi sensi" quantomeno singolare, considerato che di questi tempi Governo e Cgil si guardano come cane e gatto. Ma sul tema del mantenimento nel Golfo di una industria che, più che inquinante, è corretto definire assassina, si sono trovati completamente d'accordo.
Su come arrivare a questo risultato invece, le strade si dividono. "Non facciamone un'altra Alitalia" avverte la Camusso. Una soluzione che però andrebbe incontro ai possibili acquirenti perché, in definitiva, la formula è sempre quella "privatizzare i profitti, statalizzare le perdite". A sentire odore di fregatura è anche il leader della Fiom, Maurizio Landini che sottolinea come serva "un'operazione vera di politica industriale. Non si può pensare di scaricare ancora i debiti di una società su tutta la collettività per regalare agli stranieri di turno un' impresa strategica".



Ma è proprio al modello Alitalia che Renzi sta pensando per rendere appetibile ai grandi gruppi industriali stranieri, su tutti il colosso dell'acciaio Arcelor Mittal, lo stabilimento tarantino che dà lavoro, diretto o indiretto, a circa 20 mila operai,
In poche parole, l'idea sulla quale sta lavorando Renzi è di modificare ad hoc la legge Marzano, che adesso consente di imporre una amministrazione straordinaria solo alle aziende insolventi, e "commissariare" l'Ilva che ora appartiene quasi interamente alla famiglia Riva. A questo, punto, in virtù dei poteri straordinari del commissario, l'azienda sarebbe smembrata in due: una "bad company" che si farebbe carico di debiti e strascichi giudiziari, e nuova società ripulita per bene grazia agli investimenti della Cassa Depositi e Prestiti da mettere immediatamente sul mercato in nome di quei principi di privatizzazione che Renzi non tradisce neppure quando parla prima di "nazionalizzare".
Un'altra Alitalia, insomma. In Francia e in Germania, l'industria pubblica esiste e prospera. In Italia, una Ilva pubblica non è neppure pensabile se non per lo stretto necessario a risanarne, a spese nostre, perdite e danni, in vista di farne omaggio a qualche potentato economico. "Eppure - conclude Landini - anche la nostra Costituzione prevede l'intervento pubblico nell'economia. La verità è che non se ne esce fuori senza una vera strategia di politica industriale". Cosa che questo Governo, come i precedenti, certo non ha.

Contrario alla soluzione "Alitalia", anche Angelo Bonelli, portavoce del comitato Taranto Respira. "Significherebbe lasciare la città a convivere con i veleni senza che nessuno paghi per i danni subiti dalla popolazione. Una 'bad company' violerebbe la direttiva comunitaria sul principio chi inquina paga e non sarebbe etico nei confronti della popolazione tarantina che aspetta di vedere il suo territorio bonificato dai veleni e di avere il giusto risarcimento per i gravi danni subiti".

Parallelamente, la vicenda Ilva continua a trascinarsi nelle aule giudiziarie. Il sistema tumorale creatosi attorno all'acciaieria avvelenava l'ambiente come la politica. Oltre a quelle del governatore Niki Vendola e di tre componenti della famiglia Riva, sono in corso una 50ina di rinvii a giudizio per accuse che spaziano dall'associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, all'avvelenamento di sostanze alimentari e all'omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro. I sei "decreti Ilva" varati dagli ultimi Governi non hanno ottenuto altro che sommare disastri a disastri.
Intanto, la gente a Taranto continua a morire avvelenata.

Eternit. Tremila morti e nessun colpevole

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Tremila morti e nessun colpevole. La sentenza della Cassazione sul caso Eternit è una vigliaccata bella e buona. Né più né meno di quella d’appello su Stefano Cucchi. Tutti omicidi coperti dallo Stato. Ieri mattina, con sentenza definitiva, la Corte ha assolto l’industriale svizzero Stephan Schmidheiny, precedentemente condannato a 18 anni per disastro ambientale. Come conseguenza sono state annullate tutte le richieste di risarcimento dei familiari delle vittime che ammontavano a 90 milioni di euro. Tutto annullato perché il reato è caduto in prescrizione. E non perché il magnate svizzero non sia colpevole dei reati imputatigli. Lo ha confermato lo stesso Francesco Iacovelli, il procuratore della Corte Suprema che ha firmato la sentenza. “Stephan Schmidheiny è responsabile di tutte le condotte che gli sono state ascritte - ha sottolineato - ma tra diritto e giustizia il giudice deve sempre scegliere il diritto, anche quando vanno su strade opposte”. Una ulteriore conferma, proprio come nel caso Cucchi, che giustizia e tribunali non sono parenti neppure alla lontana.
E intanto, gli operai continuano a morire.



L’industria Eternit per la lavorazione dell’amianto, era arrivata in Italia nel 1906 con quattro stabilimenti, a Cavagnolo, Rubiera, Bagnoli e, il più importante, a Casale Monferrato. Chi andò a lavorare in quei capannoni di morte, imparò ben presto a chiamare la merda che gli toccava respirare la “malapolvere”. La scienza ci mise qualche decennio in più per arrivare alla stessa conclusione. Già negli anni ’30 però, alcuni studi medici pioneristici dimostrarono che la lavorazione dell’amianto causava un fortissimo incremento di patologie tumorali.
La prima nazione a prevedere condotti di sfogo nei capannoni per facilitare l’areazione fu l’Inghilterra. Successivamente, negli anni ’40, la Germania per prima riconobbe che l’inalazione di particelle di asbesto causavano il cancro al polmone. Ma mentre studi scientifici sempre più accurati dimostravano una indiscutibile correlazione tra l’amianto e i tumori, la grande industria faceva pressione nelle redazioni dei giornali, comprava politici e sindacalisti, e diffondeva rassicuranti comunicati nei quali si negava tutto. Anche e soprattutto l’evidenza.
E intanto, gli operai continuavano a morire.

Negli anni ’50 però nessuno però poteva più sostenere che l’amianto non fosse pericoloso per la salute anche se, in Italia, bisognerà attendere il ’92 perché ne fosse vietato l’uso. Ci sono voluti quarant’anni di omicidi bianchi. Quarant’anni di bugie. Quelle degli industriale certo, ma anche quelle altrettanto sporche di quelle “coscienze in prestito” che altro non sono i loro avvocati. Quelle di tanti “scienziati” che si sono fatti pagare per confutare tesi abbondantemente dimostrate, e pure quelle di qualche sindacalista preoccupato di non far chiudere la fabbrica che, alla fin fine, “dà pane a tante famiglie”. Tutti quanti a sostenere in coro che l’amianto non causava danni alla salute. Tutti a mentire spudoratamente.
E intanto, gli operai continuavano a morire.

Alla fine degli anni ’50, per l’Eternit cominciò una inesorabile crisi che portò alla chiusura definitiva dell’ultimo stabilimento di Casale nell’86.
La causa penale però, era già cominciata 10 anni prima su iniziativa di circa 6mila parenti di operai morti d’amianto che accusavano Schmidheiny e il suo socio, un nobile belga ultranovantenne dal nome altisonante di Louis De Cartier De Marchienne che ha pensato bene di rendere l’anima al diavolo nel 2013, giusto per vedersi condannare dalla Corte d’Appello a 18 anni.

Poi, è tutta storia di ieri. La sentenza della Cassazione ha ribaltato il verdetto, assolvendo l’imputato rimasto per prescrizione del reato.
Come sia possibile che tremila morti ammazzati possano essere considerati un “reato soggetto a prescrizione” è una anomalia tutta italiana. Proprio così. Il fatto è che il disastro ambientale, in Italia e solo in Italia, non è considerato un reato grave, ma viene annoverato tra quelli di natura contravvenzionale. Un disegno di legge che integra i reati contro l’ambiente nel codice penale è stato recentemente votato dalla Camera ma si è perso da qualche parte negli scaffali della commissioni Ambiente e Giustizia del Senato. E intanto i reati cadono in prescrizione e chi avvelena e distrugge paga, se gli va male, una multa neppure salata. E spesso, come nel caso dell’Eternit, neppure quella.
Come è stata accolta la sentenza sull’Eternit? Come è prevedibile, con infinita rabbia dai parenti delle vittime di ieri e dei malati di oggi, perché a Casale l’amianto non ha ancora finito di uccidere. Le lacrime di dolore si sono mescolate alle lacrime di rabbia per l’ingiustizia sofferta.
Come un inno alla giustizia dai legali di Schmidheiny che, dalla sua villa di Zurigo, che non ha perso l’occasione di ribadire che “l’amianto è inoffensivo”.
E intanto, gli operai continuano a morire.
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