In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.

Cemento Arricchito, un viaggio dall’altra parte del Veneto

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Immaginiamo un lungo viaggio a tappe. Un viaggio al di fuori delle rotte turistiche che ci conduca verso quel Veneto che in tanti, troppi, fanno finta di non vedere. Immaginiamo di viaggiare attraverso un paesaggio letto nella sua fragilità ambientale, tra devastazioni passate, devastazioni presenti e devastazioni future. Un viaggio che ci racconti storie di corruzione, cementificazioni, mafie e tangenti, ma anche storie di donne e uomini che hanno avuto il coraggio di opporsi, di resistere e di urlare a tutti,  anche a chi questo coraggio non lo avuto, che un altro Veneto, un altro mondo, non solo è possibile ma è anche necessario.
Questo viaggio è Cemento Arricchito. Un progetto nato dalla giornalista vicentina Chiara Spadaro che si è meritato il premio istituito dall’Ordine dei giornalisti del Veneto in memoria di Massimiliano Goattin. Non senza soddisfazione, possiamo annunciare che Cemento Arricchito uscirà in anteprima su EcoMagazine in una serie di puntate a cadenza bisettimanale.


Il progetto coordinato da Chiara, si avvarrà della collaborazioni di altri giornalisti come Ernesto Milanesi e Sebastiano Canetta. L’obiettivo è di tracciare una mappa dei conflitti ambientali in atto nella nostra Regione, con un occhio nel passato e lo sguardo nel futuro. Reportage, inchieste, articoli a tutto tondo per esplorare assieme a noi quel Veneto che i media tradizionali tendono volentieri ad ignorare.
Come è caratteristica del giornalismo on line, Chiara e il suo gruppo utilizzeranno per questo nostro viaggio/inchiesta tutte le tecniche multimediali, dai filmati in esclusiva alle gallerie fotografiche, dalle geolocalizzazioni alle mappature, dai documenti in pdf per approfondimenti ai link ad altri siti, sino agli ebook scaricabili ed agli oramai inevitabili social network. E senza neppure trascurare la buona, vecchia, tradizionale… scrittura!
Che altro dirvi se non “seguiteci nel nostro viaggio!” Partiremo come si conviene da Venezia, in prossimità della manifestazione di sabato 9 maggio, col primo reportage dedicato alle Grandi Navi (a proposito di devastazioni… che altro non sono questi aborti di nave se non  speculazioni edilizie galleggianti?) Altre tappe seguiranno a cadenza bisettimanale.
Dimentico qualcosa? Ah sì, l’hashtag!
Sarà #CementoArricchito naturalmente!

Festa d’Aprile a Venezia! Occupata la paratia del Mose

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E' festa d'Aprile in Italia. Festa della Liberazione da un regime fascista, dittatoriale, corrotto e violento. Anche Venezia ha voluto celebrare il suo 25 aprile con un segnale forte: liberiamo la nostra città da mafia e corruzione preparando la manifestazione del 9 maggio.
Questo pomeriggio, una cinquantina di attivisti ha pacificamente occupato la paratoia di quella fabbrica di corruzione che è stato ed è tutt’ora il Mose. Perché gli arresti pur eccellenti e le inchieste tutt’ora in corso non hanno cambiato niente: la macchina della corruzione continua a macinare tangenti e conserva tutto il suo potere decisionale sulla laguna alla faccia dei veneziani e della stessa amministrazione comunale democraticamente eletta. Alzare sulla paratia la bandiera “No Mose”, significa alzare la bandiera della democrazia e del diritto dei cittadini di decidere sulla loro città. Occupare la paratia che il Consorzio ha portato all’Arsenale significa ribadire al Consorzio che nessuno oramai a Venezia è tanto fesso da cascare nella sua propaganda patinata e che tutti oramai hanno chiaro che altro il Mose non è che un furto alla città, alla legge Speciale e alle casse dello Stato. Un furto consumato tra appalti truccati e criminalità organizzata per realizzare un’opera distruttiva, da sempre osteggiata tanto dai cittadini quanto dagli scienziati esperti nell’idrodinamica lagunare. Un furto consumato tra tangenti e sprechi vergognosi, non ultimo quello di trasportare una paratia con tre rimorchiatori sino all’Arsenale per mostrarla a turisti e cittadini. Ma anche stavolta, il Consorzio ha fatto male i suoi conti. Più che stupore, tra i visitatori si respirava rabbia ed indignazione. Quella stessa rabbia ed indignazione che è esplosa nella simbolica occupazione della paratia dei ragazzi e delle ragazze degli spazi sociali.
No Mose, quindi, e No mafia. Per un 25 aprile di Liberazione. In attesa della manifestazione del 9 maggio.

L’Ispra stronca il Progetto Contorta

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Stavolta ci siamo. La stroncatura è di quelle definitive. Definitive perché non viene dai “soliti” ambientalisti. Non viene neppure dai “soliti” scienziati che si sono rifiutati di entrare nel “libro paga” del Consorzio. A stabilire che il progetto dello scavo del Contorta per farci passare le Grandi Navi è una porcheria (termine poco scientifico ma senz’altro adeguato alla questione) è l’Ispra, l’istituto superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, l’autorevole ente di ricerca che fa capo al ministero dell’Ambiente. La relazione che potete leggere in allegato, affonda il ventilato scavo del Contorta sotto tutti i profili: ambientale, idraulico, morfologico, ecotossicologico. Per non parlare dei conflitti normativi con la legislazione speciale per Venezia e le direttive europee. Nessuno via di uscita viena lasciata al proponente del progetto (tanto per cambiare, l’Autorità Portuale di Paolo Costa). Tutte le 134 osservazioni avanzate per soddisfare la procedura Via vengono bocciate con gudizi come “insufficiente”, “non esaustiva”, “non soddisfa la domanda”, “incompleta ed incoerente”. Una bocciatura che in un qualsiasi Paese civile, dove il parere dei tecnici e dei ricercatori, viene tenuto in giusta considerazione, significherebbe l’abbandono del progetto. In Italia, purtroppo, siamo abituati in tutt’altra maniera. La politica, ma forse sarebbe meglio scrivere, il sistema di malaffare mafioso che sovrintende le Grandi Opere – e lo scavo del Contorta, rientra a buon diritto in questa categoria – ci ha insegnato che più della logica, della salvaguardia e della scienza pesa la tangente.
Ed è per questo che il senatore Felice Casson e la senatrice Laura Puppato, a proposito di questa relazione dell’Ispra in procinto di arrivare in commissione Via, chiedono al Governo con una interpellanza di adoperarsi per garantire “trasparenza e correttezza” nella procedura di valutazione ambientale (cosa che quasi mai si è vista a quei piani del palazzo) e soprattutto “di assicurare l’assoluta indipendenza dei membri della commissione Via, evitando ogni indebita ingerenza nella decisione finale”. Cosa che si è vista ancora meno, sempre in quei famosi piani del palazzo.


Gli ambientalisti intanto stiano in campana e ricordino che anche il Mose ce lo hanno fatto senza neppure passare per la Via! La definitiva bocciatura dell’Ispra dello scavo del Contorta è certo un rigore a nostro favore ma adesso bisogna buttare la palla dentro e lo faremo sabato 9 maggio, a Venezia, se saremo in tanti a manifestare contro le Grandi Navi, contro la mafia e il sistema corrotto che ci sta sotto. E’ il momento giusto per chiudere la partita. Non lasciamoci sfuggire l’occasione.
 
 
Di seguito il comunicato di Ambiente Venezia
Ecco il Documento ISPRA che analizza le Risposte dell’Autorità Portuale alle richieste di Integrazioni della Commissione VIA – e Rileva una marea di Criticità residue del Progetto Contorta
In allegato anche un’ interrogazione dei senatori  Casson e Puppato sull’argomento
L’associazione Ambiente Venezia ritiene utile rendere noto un documento dell’ ISPRA ( Istituto Superiore per la Protezione e per la Ricerca Ambientale ) da cui emerge un articolato giudizio decisamente negativo sul progetto di  “Adeguamento via acquea di accesso alla stazione marittima di Venezia e riqualificazione delle aree limitrofe al canale  Contorta- S.Angelo “.
Con una rigorosa analisi l’Istituto relaziona su ognuna delle 134 richieste che nel corso della procedura la commissione VIA ha formulato all’ Autorità Portuale di Venezia mettendone in evidenza tutti gli aspetti critici ( le cosiddette “ criticità residue “ ) che  connotano inequivocabilmente ed in modo definitivo la condanna del progetto in esame.
Vengono vagliati nel dettaglio  i vari temi quali: – il quadro progettuale,-la modellistica impiegata,-gli aspetti dell’idrodinamica e della morfologia,-lo stato dei sedimenti e delle opere di mitigazione e compensazione per la realizzazione di velme e barene,-i vari tipi di inquinamento e la salute pubblica,- la perdita di habitat prioritario e il conflitto con le direttive europee ,-le componenti della vegetazione,  flora, fauna ,pesca e molluschicoltura,- l’aggiornamento della Valutazione di Incidenza,-ecc.
Gli elementi valutati per la loro valenza  riconosciuta “ importante e significativa  “ pongono  questioni irrisolvibili di carattere ambientale e rendono così il progetto irrealizzabile: in oltre l’80% delle componenti si riscontrano giudizi di “insufficienza”, “ la risposta non è esaustiva” , “la risposta non soddisfa la domanda”, “elementi incompleti ed incoerenti “,  ecc. In termini meno tecnici ciò significa la pietra tombale del Contorta-S.Angelo.
Si confermano così, e per alcuni versi si esaltano, i contenuti di tante osservazioni già inviate alla commissione Via dal mondo civile e scientifico ( tra cui la scrivente associazione )  e soprattutto si deve subito ottemperare al volere della cittadinanza  che ha sempre contrastato questo disastro lagunare e indica realisticamente quella soluzione alternativa alla bocca di Lido già definita progettualmente che nel mantenere l’attività crocieristica a Venezia riesce a coniugare lavoro e salvaguardia dell’ecosistema lagunare.
In tale contesto si ringrazia il senatore Casson e la senatrice Puppato che hanno presentato prontamente una interrogazione in materia che trovate in allegato e che provvederemo a diffondere via e-mail e via facebook negli indirizzari con i quali siamo collegati.
Allegati:
ISPRA – Istogramma sulle criticità residue – Progetto Contorta
Relazione ISPRA su Contorta Integrazioni
Interrogazione Senatori Casson e Puppato su Progetto Contorta S

Una malora da mezzo miliardo. Viaggio nella Ghost Town di un G8 nato morto

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Non vogliono giornalisti tra le palle al super ultra mega lussuoso grand hotel La Maddalena (con annesso Yacht Club). Faccio appena in tempo a buttare un occhio sullo spettacolare lampadario firmato dalla Zaha Hadid, quello che da solo è costato - ci è costato - 110 mila euro, che il guardiano mi caccia via. Dice che non c'è niente da vedere. E, da un certo punto di vista, ci ha pure ragione! E' tutto vuoto, tutto spento, tutto abbandonato, tutto buttato là alla va la che va bene. Non fosse che tutto l'ambaradan è costato - ci è costato - mezzo miliardo di euro, ci sarebbe pure da ridere.
Invece c'è solo da incazzarsi.
Ed i primi ad incazzarsi sono loro, gli abitanti dell'isola che ha la disgrazia di trovarsi, sia pure di poco, più vicina alla Sardegna italiana che alla Corsica francese. "Perché in Corsica non si fanno mettere i piedi in testa dallo Stato centrale come da noi - mi racconta un'amica sarda - Là han messo le bombe e si sono conquistati una forte autonomia, così che possono decidere loro sulla loro terra. Cosa che da noi è impossibile. Guarda quello che è successo qui, alla Maddalena. il Governo ci ha messo nelle peste realizzando strutture inutilizzabili per un G8 mai arrivato e poi ha lasciato la gatta da pelare alla Regione Sardegna che non ha i soldi per ristrutturare tutto ma deve comunque spenderci perlomeno 3 milioni all'anno per la manutenzione minima e, addirittura, per pagare l'Imu a quello stesso Stato che l'ha messa nelle peste".

G8, Grandi Opere, Basi militari e altre porcherie
Quella che andiamo a raccontare è una brutta storia che ci ha dentro un po' di tutto il pattume che sta infangando anche il Continente (come da queste parti chiamano il resto d'Italia). Ci sono le tangenti, il malaffare, il G8, la corruzione, lo spreco di denaro pubblico, la malapolitica, l'inquinamento, la devastazione ambientale, il ricatto "lavoro o ambiente", le Grandi Opere e pure la base americana. E partiamo proprio dalle Stelle e Strisce.
Finita la guerra, la marina Usa si insedia alla Maddalena e in alcune isole circostanti per impiantare una base super segreta. Non nel senso che nessuno sa dove sia, ma che non si ha idea di quello che ci fanno dentro. Tanto è vero che i rilievi ambientali sulla qualità dell'acqua che sono stati eseguiti, non all'interno delle basi top secret, ovviamente, ma nelle prospicienti coste sarde, hanno sempre rilevato una forte contaminazione da mercurio e idrocarburi. Una indagine di Legambiente nei primi anni del 2000 ha confermato valori di radioattività di gran lunga superiori alla norma e ha rilevato nelle acque tracce di plutonio.
Eppure, più che gli italiani, a preoccuparsi e ad incavolarsi sono i francesi. Nei giornali transalpini, trova grande eco la notizia delle tracce di torio 234 rilevate in quantità anomala, in campioni di alghe raccolte lungo le sponde corse. Il torio, ricordiamolo, è una sostanza inquinante e radioattiva, figlia dell’uranio impoverito per le armi nucleari. Il tutto alla faccia dello Stato Italiano che casca dalle nuvole. Interrogazioni e richieste di spiegazioni da parte di deputati e senatori più francesi che italiani, ottengono soltanto un netto "no comment" da parte della marina Usa che a casa sua, anche quando sarebbe casa degli altri, è abituata a fare quel cavolo che gli pare.



Dollari e bistecche
Fatto sta, che la base e la forte presenza di militari nordamericani condizionano pesantemente l'economia dell'isola, abitata da poco più di 10 mila persone. Tutti alla Maddalena lavorano per gli americani e nelle edicole è più facile trovare il Washington Post che il Corriere della Sera. I marinai pagano in dollari e nessuno si sogna di protestare per il torio. Arriviamo al 2007. Gli scenari della guerra globale sono cambiati e anche la Casa Bianca si accorge che una base navale nel canale di Bonifacio non serve più a un beato cazzo. Così, gli Usa ringraziano e se ne vanno. Senza peraltro curasi di lasciare i cessi puliti o di bonificare l'area inquinata. Di più, senza neppure spiegare cosa e come aveva causato l'inquinamento.
Se per tanti sardi al di là del canale, la partenza delle navi di Zio Sam è un sollievo, per i maddalenini è la crisi nera. Tutta l'isola si ritrova improvvisamente nelle proverbiali braghe di tela. "Tutti noi lavoravamo con i soldati americani - mi spiega una ragazza che oggi gestisce un b&b -. Io facevo la cameriera in un locale. I soldati ordinavano solo bistecche e patatine, ma pagavano senza fiatare e tutte le sere c'era il pienone nel mio come negli altri locali. Oggi non sono rimasti in piedi neppure un quarto dei ristoranti che c'erano allora. Tanti della mia generazione sono dovuti partire per il continente. Il turismo locale non è bastato a coprire l'uscita di scena dei militari. Anche perché tutte le nostre strutture turistiche erano conformate a quel tipo di clientela. Gli yacht poi, non arrivano perché le acque sono inquinate e piene di barriere sommerse".

Prima Prodi e poi Berlusconi. Le disgrazie non vengono mai da sole
I maddalenini si sono accorti di punto in bianco, sulle loro tasche, che una economia incentrata su una presenza militare alla lunga non paga. Alla fine dei conti, si sono trovati a gestire isole impestate di caserme e mega strutture di guerra, un mare inquinato da non-si-è-ancora-capito-bene-cosa, senza prospettive future e senza più entrate presenti. Come si dice: cornuti e mazziati.
Come se non bastassero le disgrazie, ci si mette pure Romano Prodi che nel 2008 è presidente del Consiglio. Ecco la sua soluzione: "Risarciremo i maddalenini trasformano le strutture Usa in grandi alberghi per ospitare il G8 del 2009. Finito il summit, alberghi e yacht club saranno il volano per far ripartire l'economia dell'isola". Evviva, evviva.
Prodi non lo sapeva, ma qualcuno nel suo stesso Governo lavorava per fargli le scarpe, e non toccherà a lui concludere l'operazione Maddalena. A Palazzo Chigi sale tale Silvio Berlusconi, la corruzione fatta uomo, che coglie la palla al balzo e, con la scusa di velocizzare i lavori per il G8, vara una leggina che avrebbe fatto arrossire di vergogna anche la Repubblica Popolare della Corea del Nord: la gestione degli appalti per il G8 viene affidare alla... Protezione Civile! Non vi sto a dire che era il capo della Protezione Civile all'epoca. Anzi, ve lo dico: tale Guido Bortolaso che riesce a spendere in un anno o poco più 470 milioni di euro, lampadario di Zaha Hadid compreso.
Con la regia di Bortolaso, i costi lievitano come una torta paradiso in forno di circa il 60 per cento del previsto. In campo scende anche la Mita Resort, una società che fa riferimento ad Emma Marcegaglia che era appena diventata primo presidente donna di Confindustria. La Mita si aggiudica l'appalto col collaudato sistema del "un solo partecipante, vittoria sicura, nessuno protesta e tutti contenti".

Lo scippo del G8
C'è da dire, rispetto alle perennemente inconcluse Grandi Opere dai Grandi Crolli cui siamo abituati negli ultimi tempi, che alla fine la premiata ditta Bortolaso&cricca riesce a sistemare tutto per la partenza in grande stile. Soltanto che il G8 non si farà più alla Maddalena.
Il 6 aprile del 2009 un terremoto devasta l'Umbria. Il Berlusca coglie la palla al balzo. Alla Maddalena oramai i soldi pubblici erano stati spesi, le tangenti distribuite, la cricca dei Grandi Eventi accontentata. Non c'era quindi motivo di continuare un progetto che, tra le altre cose, era stato voluto dall'odiato predecessore Romano Prodi. All'Aquila, al contrario, con la ricostruzione si apre un'altra mangiatoia mica da ridere (e questa è un'altra storia). Così, all'ultimo momento, il G8 viene deviato verso il capoluogo umbro.

Per i maddalenini è un'altra mazzata. Il Berlusconi prova a tranquillizzarli (ed a tranquillizzare la Marcegaglia che già minacciava di levare l'appoggio di Confindustria al Governo). "Faremo alla Maddalena una decina di grandi eventi all'anno" dice. Non dice però quali. Nel 2011, parte una specie di "stagione turistica d'apertura" ma le mega strutture rimangono vuote. Al Grand Hotel Carlo Felice si sono dimenticati di fare il parcheggio, non c'è la piscina ma in compenso hanno lasciato i muri alti circondati da filo spinato da caserma. Il posto era un ex ospedale militare e le ristrutturazioni fatte alla cazzo di cane non sono riuscite a cambiarne l'aspetto inquietante. Di clienti non si vede neppure l'ombra. Un po' meglio al super ultra mega hotel La Maddalena, gestito dalla Mita (che si è guardata bene in fase di concessione da accollarsi quella bruttura dell'ex ospedale). Ma anche qui la clientela ricca preferisce frequentare la vicina e più esclusiva Costa Smeralda, senza sbattersi in scomodi traghetti, per frequentare i poveri - dal loro punto di vista - locali maddalenini ancora tarati sul gusto "bistecche e patatine" dei marinai Usa. Senza contare che nessuno è tanto fesso da ancorare la sua barca allo Yacht Club sempre in attesa di bonifiche dove rischio, oltre alla salute, anche la chiglia della barca sui dissuasori sommersi che gli americani han lasciato in eredità.
Per farvela breve, la stagione d'apertura è un fallimento completo. Gli hotel aprono e chiudono subito.

Arrivano puntuali gli scandali. E che altro?
E questo è anche l'ultimo tentativo di rilanciare le mega strutture realizzate per quel G8 fantasma. In quello stesso anno, gli scandali investono Bortolaso. Viene a galla il marciume nascosto sotto i Grandi Eventi. Anche il Berlusca se ne va.
A finir nelle rogne è pure la Mita Resort che, oltre all'inchiesta della magistrature, si trova a gestire una serie di strutture non soltanto inutilizzabili ma anche costosissime da mantenere. L'azienda fa causa alla Protezione Civile per i mancati guadagni e il tribunale accoglie in parte le sue richieste, condannando l'ente che non ha soldi neppure per salvare i paesi delle frane, a pagarle 39 milioni di risarcimenti. Per adesso, perché altre cause sono in corso. Intanto, la Mita Resort si guarda bene dal pagare la concessione di 65 mila euro all'anno pattuita con la Regione, sostenendo che le strutture sono impraticabili per via della mancata bonifica. La faccenda tra corsi, ricorsi e vari gradi di giudizio è ancora in mano agli avvocati. Categoria questa, che non conosce crisi soprattutto in tempi di crisi.

Come se non bastasse, cala la scure del patto di stabilità
Qualche anima candida tra i lettori potrebbe obiettare: "Ma non sarebbe una mossa intelligente completare le bonifiche così da far ripartire perlomeno il porto? Per non parlare della salvaguardia della salute di isolani e turisti". Giusto. Ed è per questo che nel 2013 lo Stato ha designato il Comune della Maddalena come soggetto attuatore delle bonifiche, stanziandogli il ragguardevole finanziamento di 11 milioni di euro. Finanziamento di cui il Comune ha sentito appena l'odore, perché il patto di stabilità gli ha chiuso i cordoni della borsa meglio di una cassaforte svizzera. I soldi ci sono ma non ci sono.
Senza le indispensabili bonifiche, chi ci rimette economicamente, maddalenini a parte, è soprattutto la Regione Sardegna che, tra Imu allo Stato e le pur minime manutenzioni alle enormi strutture, che ugualmente cadono a pezzi giorno dopo giorno, butta ogni anno 3 milioni di euro. Senza contare gli stipendi al personale - una dozzina di persone - impegnato a sorvegliare alberghi, moli e club.
Anche se tutto sta andando alla malora, una guardia è comunque necessaria. Ci sono i gruppi elettrici da far funzionare, i giornalisti da allontanare, le ricche attrezzature turistiche da sorvegliare. Beni di ultra lusso per circa 9 milioni di euro.
Senza contare l'immenso quanto assurdo lampadario firmato dalla Zaha Hadid che non deve mai essere perso d'occhio. Fosse mai che qualche maddalenino se lo volesse appendere in camera sua.

Venezia, la laguna, lo scempio

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La mobilitazione del 9 maggio passa per San Leonardo. Un salone riempita di gente, quello di ieri pomeriggio; come sempre quando si discute in città su un tema come quello delle Grandi Navi. Tante associazioni, tanti comitati ma anche tanti cittadini perché è oramai chiaro a tutti che quando si parla di Grandi Navi non si parla solo di Grandi Navi ma di gigantismo, tangenti, mafia, grandi opere, devastazioni ambientali, economia insostenibile, profitti per pochi e danni per molti, gestione malavitosa del territorio... In altre parole, di una democrazia che ancora non c'è.


L'occasione dell'incontro, organizzato dal comitato No Grandi Navi - Laguna Bene Comune, è stata la presentazione del libro bianco "Venezia, la laguna, il porto e il gigantismo navale", Moretti & Vitali editore, scritto da Gianni Fabbri e Giuseppe Tattara. Più che un libro, una testimonianza ricca di dati, statistiche e studi scientifici sul terrificante impatto che queste specie di speculazioni edilizie galleggianti hanno sulla nostra laguna. O su quel che ne resta.
Proprio il grande divario tra saperi, studi scientifici e la retorica vuota, e qualche volta anche becera, dei portavoce stipendiati dalle multinazionali crocieristiche è stato sottolineato nell'intervento di Francesco Vallerani, docente di Ca' Foscari. Vallerani ha parlato con metafore molto convincenti di come sia indispensabile "decostruire una visione cornucopiana delle economia" e passare "all'estetica dell'etica" per combattere "lo sfregio, più che il consumo del suolo. Perché da certe devastazioni non si torna più indietro se non con una nuova glaciazione".
L'incontro è stato presentato dall'ambientalista Luciano Mazzolin che ha ricordato quanto è stato fatto, sia in termini di raccolta firme che di esposti alla magistratura e ricorsi al Tar, dai No Grandi Navi. Soprattutto, di quanto rimanga ancora da fare per tenere questi condomini galleggianti fuori della laguna, considerato che la nuova stagione crocieristica è già cominciata e puntualmente sono cominciati gli incidenti e l'inquinamento. Come quel cimaiolo rotto della Neo Classica, Costa Crociere, che è si è fatta tutto il canal della Giudecca sputando fumo nero come una carboniera di due secoli fa.

Una inutile e controproducente caduta di stile, va segnalata, invece nella scelta del relatore che ha introdotto il dibattito. Tale Domenico Luciani della Fondazione Benetton (avete letto bene! Benetton!) che, prima di pontificare sulla "vocazione acquatica" di Venezia - pensate un po' che novità! - con un chilometrico intervento non sappiamo dire se più banale o inutile, potrebbe anche farsi qualche domanda sulle violenze assassine che i suoi padroni stanno perpetrando contro i mapuche della Patagonia oppure sullo stupro di un palazzo storico come il Fondaco dei Turchi, nel cuore di Rialto, per farne un centro commerciale. E tutta la gente in sala a domandarsi "ma chi l'ha invitato 'sto trombone qua?"
In attesa di una risposta, la parola è passata all'economista di Ca' Foscari Jan van der Berg. Citando proprio gli studi di Paolo Costa, che ha fatto le pulci al "turismo povero" portato dalla Grandi Navi. "Un turismo che porta benefici a pochissimi contro rilevanti danni alla collettività". Un bilancio negativo che nessun economista serio potrebbe prendere in considerazione ma che è comunque figlio della stessa economia "cornucopiana", la definirebbe Vallerani, che genera le Grandi Opere. E pure la crisi.

Chiusura per Gianni Fabbri, coautore del volume. Nel suo appassionato intervento ha spiegato come il progetto Contorta preveda non solo lo scavo di un nuovo canale ma anche la sua arginizzazione per contenere la spinta idrodinamica delle navi. Unica soluzione accettabile, afferma, è tenere le Grandi Navi fuori dalla laguna. "Questi sono dati scientifici che nessuno mette in discussione ma che una politica schiava dell'economia preferisce ignorare".

La politica è proprio il punto cardine della questione. Una politica che deve slegarsi da una economia in crisi per non finire essa stessa in crisi. Una politica che deve tornare nella mani della cittadinanza attiva. In questo senso, chiudiamo con l'appello di Marta Canino del laboratorio Morion per la manifestazione del 9 maggio. "Il comitato No Grandi Navi ha saputo darsi in questi tre anni autorevolezza, conoscenze ed indipendenza. Tutto questo lo ha posto al servizio della città. Gli scandali come quello del Mose e del Consorzio che sin dall'inizio abbiamo denunciato, ora sono venuti a galla ma il ricatto cui Venezia è sottoposta è sempre lo stesso. Eppure, tutto il dibattito politico sembra adagiarsi su chi sarà il futuro sindaco. La manifestazione del 9 è l'occasione per riprendere voce ed aprire spazi al di là degli schieramenti dei partiti per dire quale è la democrazia e la Venezia che vogliamo costruire".

Idee a confronto per una politica che non sia più serva dell’economia

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Tante idee a confronto, tante battaglie da combattere, tante proposte da mettere in atto. Soprattutto, tanta gente, tanta voglia di fare e tanta voglia di resistere ad una economia che ogni giorno di più assume i contorni di una rapina a mano armata. La giornata di approfondimento organizzata oggi da EcoMagazine, in collaborazione con il cso Bocciodromo, ha offerto ai portavoce di comitati e di spazi sociali, giunti a Vicenza da tutto il nordest, una utile occasione per trovare un linguaggio comune su delle lotte che già sono comuni. Anche in previsione di appuntamenti determinanti come il prossimo Cop 21 di Parigi.

Mattinata dedicata agli approfondimenti con Gianfranco Poliandri (No Tav Brennero), Mattia Donadel (Opzione Zero) e i giornalisti Ernesto Milanesi e Sebastiano Canetta. Nel pomeriggio, spazio agli interventi dei presenti. Nel mezzo, un ottimo pranzo targato “genuino e clandestino” che certo non ha favorito la ripresa dei lavori.



Senza dilungarci sulle varie relazioni, a molte delle quali daremo spazio in questo nostro sito, sottolineiamo brevemente come la relazione di Poliandri abbia tracciato un esaustivo schema di funzionamento del perverso sistema delle Grandi Opere, mettendo in evidenza come non abbia fondamento alcuno la giustificazione secondo queste favoriscano gli investimenti dei privati. In realtà, il capitale privato è plurigarantito, non solo nelle perdite, ma anche nei mancati guadagni dal pubblico. “Un sistema di ingegneria finanziaria che non a caso è figlio di Tangentopoli e di una politica che ha legalizzato la tangente” ha concluso lo studioso.

Mattia Donadel si è soffermato sul concetto, che continuano a propinarci senza pietà, secondo il quale le grandi opere favorirebbero la ripresa economica. Niente di più falso. “I potentati multinazionali che traggono vantaggio da queste devastazioni ambientali sono solo scatole finanziarie vuote che non producono valore ma che speculano sul valore. Bolle bancarie che scaricano i rischi ed i costi verso il basso, verso le imprese che ancora lavorano con la produzione di opere o servizi e che, a loro volta, rispondono con precarizzazione sperando di riuscire a fagocitare perlomeno le briciole della commessa. Le grandi opere sono quindi funzionali a questo sistema malato che lo alimentano e se ne alimentano, trasformando in valore non più il lavoro o la produzione ma il patrimonio pubblico, l’ambiente, i diritti, il welfare”.

A chiudere la mattinata, i due giornalisti che sono entrati nella notizia citando fatti, storie e nomi di un sistema che, a differenza dei tempi di Tangentopoli, oggi lavora alla luce del sole protetto da una legge che colpisce - ogni tanto e sempre in ritardo - le cosiddette “mele marce” ma non sfiora mai l’albero che le produce.

Amministratori locali sempre più nel mirino del crimine. Ne parliamo con Gianfranco Bettin, uno di quelli sotto tiro

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Gli amministratori pubblici non sono tutti uguali. Ce ne sono di capaci e incapaci. Attivi e indolenti. Corruttibili e no. Ignavi, complici, o concretamente e direttamente impegnati contro la criminalità di ogni tipo e livello. Al punto da “meritarsi” attacchi, minacce, intimidazioni, violenze da parte di quest’ultima. E’ quanto emerge da due indagini recenti. E’ di qualche giorno fa il Rapporto della Commissione straordinaria d’inchiesta del Senato sul “fenomeno delle intimidazioni nei confronti degli amministratori locali”. Sono centinaia gli atti contro gli amministratori locali che si perpetrano ogni anno. Tra 2013 e 2014 sono stati oltre 1200, con una media di 2,6 denunce al giorno. Il fenomeno interessa per il 35% sindaci, per il 17% assessori, per il 17% consiglieri comunali e per il resto dirigenti, funzionari e dipendenti degli enti locali. Si tratta di “un fenomeno poco conosciuto” scrive la Commissione d’inchiesta e che dovrebbe esserlo molto di più, il cui fine è il “condizionamento dell’attività amministrativa” (per influire su scelte urbanistiche e ambientali, interferire su appalti e servizi erogati, reagire a iniziative contro il crimine e altro).
Anche “Avviso Pubblico”, l’associazione tra amministrazioni pubbliche che promuovono la legalità e la lotta alle mafie, registra il preoccupante fenomeno. L’ultimo Rapporto, del 2014, registra un aumento del 66% rispetto al 2010 degli atti intimidatori. L’80% avviene al sud ma anche al nord ormai il problema si pone in modo inquietante. Nel Veneto sono 9 i casi censiti. Di questo quadro allarmante parliamo con Gianfranco Bettin, sociologo e scrittore, attivista politico e ambientalista ma anche più volte amministratore pubblico a Venezia con deleghe alle politiche sociali e all’ambiente, uno degli amministratori del Nord più sotto attacco, per anni sotto scorta, definito da “Avviso Pubblico” nel suo ultimo rapporto “un amministratore storicamente impegnato nella difesa dell’ambiente e contro la criminalità”.

Sono dati molto preoccupanti, no? Anche per la “risalita” al Nord e nel nostro Veneto di questa escalation di attacchi e intimidazioni.
Secondo me, il dato è ancora sottostimato. Credo che si basi su ciò che viene segnalato da interrogazioni parlamentari. Ma molto sfugge. Mi baso sulla mia esperienza: dagli atti citati nei report che mi riguardano mancano diversi episodi: le minacce contro mia madre, scritte intimidatorie apparse in varie parti della città, diverse intimidazioni a domicilio. Certo, quelle registrate bastano a farmi entrare in classifica, diciamo così, per sdrammatizzare. In realtà, voglio dire che molto probabilmente il fenomeno generale è più esteso e, dunque, più preoccupante.



A cosa pensi sia dovuto?
Intanto al fatto che molti amministratori locali fanno il loro dovere. A fronte di qualcuno che, qualità del lavoro amministrativo a parte, si comporta da disonesto, ce ne sono moltissimi che fanno il loro dovere anche rischiando. Bisognerebbe rammentarlo a chi blatera contro la politica e gli amministratori in generale. Anche a Venezia. Poi c’è il fatto che, oggi, gli amministratori sono in prima linea comunque, sul fronte dei bisogni dei cittadini, con scelte difficili e cruciali da assumere, con interessi potenti da contrastare. Lo Stato li lascia spesso soli, togliendo risorse e poteri, e facendone dei capri espiatori (pensiamo al feroce Patto di stabilità che devasta i bilanci comunali o alle regole farraginose che imbrigliano l’azione amministrativa e la subordinano a pareri e poteri sovradeterminati, spesso opachi, sempre autoreferenziali).

Ma c’entra anche la crescita dei poteri criminali, no? La loro risalita al Nord.
Certo. Sia quelli “in guanti bianchi”, e qui a Venezia e nel Veneto, ne abbiamo avuto un esempio lampante con le vicende del Mose e delle truffe sulle bonifiche a Marghera (il capitolo più infame di quella storia infame), sia quelli “senza guanti”, anche se spesso tendenti a mimetizzarsi. Qui da noi, ad esempio, la gang del Tronchetto, e i suoi possibili ammanicamenti mafiosi, o quella degli appalti, con sicuri legami mafiosi, come nel settore dello smaltimento rifiuti e terre di scavo, o del riciclaggio nell’edilizia, nel turismo e nel commercio. Oltre, ovviamente, ai racket del narcotraffico e dello spaccio di strada, della prostituzione e perfino dello sfruttamento dei mendicanti e alle più ovvie rapine, scippi, furti, prepotenze varie.

Tu hai avuto e hai a che fare un po’ con tutti costoro. E’ inevitabile?
E’ inevitabile se entri a fondo nelle dinamiche della città, se non ti limiti ad agire in superficie. Se non chiudi gli occhi o non giri lo sguardo da un’altra parte. Un amministratore locale non lo deve fare. ma con questi ambienti loschi mi sono scontrato anche prima e dopo aver avuto ruoli amministrativi e istituzionali. Anche da semplice cittadino o da attivista ci si può impegnare contro questi nemici della sicurezza, della legalità e della convivenza civile. Tra costoro, beninteso, ci metto anche fascisti e razzisti.

Te ne sei mai pentito?
No.

Tempo fa, dopo qualche ennesimo attacco, hai dichiarato di non volere la scorta. Perché?
L’ho avuta per diversi anni, è pesante. In Italia, poi, se proprio non ti ammazzano (e anche in quel caso…), dopo il primo momento di solidarietà, si comincia a malignare, a guardare male gli stessi agenti che ti tutelano. Mi era diventato insopportabile, per il rispetto e la gratitudine che provavo per il loro lavoro. Piuttosto, mi chiedo se vale la pena di rischiare, di mettere in pericolo te stesso e chi ti sta vicino, in un paese di ciarlatani maligni capaci di dire che perfino Falcone l’attentato all’Addaura se lo era fatto da solo, o che Saviano è un mitomane, e via infamando. Non sto parlando dei fuori di testa che impestano il web, o dei calunniatori da mouse, o dei buontemponi che buttano tutto in vacca, disgustosi comunque. Sto parlando di chi fa finta di non vedere il tuo lavoro, il tuo rischio, e sparge veleni e allusioni e quando può ti calunnia. Accade a tutti gli amministratori esposti al pericolo, oggetto di campagne di delegittimazione.

Come mai?
Per interesse, da parte dei nemici politici (o dei loro nemici criminali o malavitosi). O perché essi sono la prova vivente dell’ignavia e a volte del fallimento di chi è bravo solo a cianciare e quindi vorrebbe denigrarli, ucciderne immagine e reputazione. Lo ha ben documentato proprio Roberto Saviano, ma è esperienza corrente di chiunque si trovi esposto da un lato agli attacchi dei criminali o dei fuori di testa e dall’altro all’azione denigratoria di questi cialtroni. Scarabei stercorari, senza la bellezza e l’ingegno di quegli ottimi insetti (pure buoni astronomi, si muovono seguendo la traccia in cielo della Via Lattea, lo sapevi?). Di essi - degli umani stercorari, intendo - potremmo dimenticarcene, se non fosse che il loro sporco lavorìo mette ancor più in difficoltà chi lavora onestamente nelle istituzioni e sul territorio e coerentemente contrasta malavita e crimine organizzato così come i poteri forti e loschi.

Insomma, vale la pena.
Non lo so, se ne vale la pena. So che è giusto.

Da Atene a Venezia. La sfida dell'Europa democratica alla Troika

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Tutta l'Europa, e non solo la Grecia, è in bilico tra democrazia e capitalismo. I giornali raccontano balle e giocano a spostare il problema. Dicono che la Grecia non vuole onorare il debito (ma non spiegano come sia stato contratto questo debito), che la Grecia vuole uscire dall'euro (che è l'ultima cosa che vuole Alexis Tsipras), che la Grecia rischia di trascinare l'Europa nel baratro della crisi (ma non ci siamo già dentro, la crisi?). Non dicono, i giornali, che la Grecia, e non solo la Grecia, vuole solamente ricordare all'Europa che la democrazia conta più dell'economia. Che è la seconda che deve seguire la prima e non viceversa. Che i mercati non sono più importanti delle persone.
Di tutto questo si discusso nell'incontro svoltosi ieri sera al Palco di Mestre. ospite d'onore il giornalista greco Dimitri Deliolanes che ha presentato il suo libro "La sfida di Atene", Fandango Editore. Sul palco, a dialogare con Deliolanes, il candidato sindaco Felice Casson e l'ambientalista Gianfranco Bettin. A presentare la serata organizzata da 2020Venezia e In Comune, Beppe Caccia. Il compito di fare domande e di stimolare il dibattito è toccato a Silvia Zanini (Verdi Green Italia), Federico Camporese (Sel) con Barbara Del Mercato e Federico Della Puppa per 2020Ve.



"Perché a poche ore dalle primarie presentiamo un libro sulla Grecia? - si interroga Beppe Caccia - Perché anche nella nostra città stiamo sperimentando sulla nostra pelle le stesse politiche che la troika ha imposto alla Grecia".
Anche l'ambientalista Gianfranco Bettin sottolinea il filo che lega Venezia ad Atene. "Un filo che ha la capacità di aiutarci a districare quel groviglio che è diventata la politica italiana. Quello che c'è in ballo ad Atene non è solo la negoziazione di alcuni vincoli economici ma il futuro stesso della democrazia in Europa. Se fallisce Tsipras, sia per problemi interni al suo partito che per gli ostacoli che i poteri forti gli stanno parando davanti, non perde solo la Grecia ma perdiamo tutti. La vera sconfitta sarà la nostra idea di un'altra Europa e di una economia diversa".
Sul tema dei rapporti tra economia e politica si è soffermato anche Felice Casson: "Torno adesso da un incontro con i lavoratori di Porto Marghera. Là si sono visti gli effetti di una politica che ha rinunciato al suo ruolo demandando la programmazione agli industriali con il risultato di aumentare disoccupazione e consumo del territorio". Casson ricorda di non aver votato né lo Jobs Act né il decreto sull'Ilva. Sulla Grecia sottolinea che la vera partita "non è la politica economica di questo Stato ma la democrazia" e lancia un appello alla città perché trovi la forza di ripartire "da quanto di buono si è fatto in questi anni anche da ottimi amministratori, come troviamo esempi in questo stesso palco".

Microfono infine a Deliolanes che ha raccontato come proprio la crisi abbia spazzato via il centrosinistra e spinto verso le svastiche della destra estrema un centrodestra che qualche anno fa si poteva definire moderato. "Questo ha aiutato il formarsi di una sinistra radicale che è riuscita però, grazie ad Alexis Tsipras, a dialogare con tutto il Paese. Una sinistra che ha creato una rete di sostegno che per tanti greci è stata la sopravvivenza. La vera sfida di Atene non è l'uscita dell'euro. Nessuno di noi lo vuole e sappiamo bene che ne usciremmo massacrati. La nostra vera sfida è riportare la democrazia in Europa superando la dittatura dei mercati. Se vince Tsipras, vincerà tutta l'Europa, se perde Tsipras, perderemo tutti".

La domanda inevitabile a questo punto è: perché in Italia non si riesce a creare una sinistra simile e l'unico risultato ottenuto dalla crisi è il grillismo? "Domanda difficile -ammette Deliolanes -. In Grecia, dove è stata inventata la parola 'politica', trovo difficoltà anche a spiegare cosa sia il grillismo. Lo stesso concetto di 'antipolitica' non ha traduzione nella mia lingua. La politica è una cosa di tutti. Come si fa a starne fuori? E come faccio a spiegare che un comico si è stufato di fare il comico e vuole fare politica partendo dall'antipolitica? Così come è difficile spiegare in greco che un imprenditore scende in campo a fare politica attaccando proprio la politica..."
E' una questione di lingua, dice Deliolanes.
E' anche una questione di cultura politica, diciamo noi. Che la democrazia sia nata in Grecia non è un caso. Che tocchi oggi alla Grecia difenderla dalla dittatura dei mercati, non è un caso neppure questo.

Venezia è arcobaleno

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La Venezia partigiana, la Venezia arcobaleno, la Venezia che non ci sta a far passivamente da palcoscenico a rigurgiti neofascisti, si è raccolta tutta in campo Santa Margherita. E, come da programma, ha dato vita ad un pomeriggio di festa. E, sempre come da programma, ha smentito con i fatti quei terroristici titoloni dei quotidiani locali che paventavano scontri e calli blindate. Quella che si è svolta in campo Santa Margherita è stata solo una grande festa resistente, multiculturale e antirazzista. Una festa piena di canzoni, di interventi di comitati popolari e di associazioni, di rinfreschi, di giochi per grandi e per bimbi.
Questa è la Venezia popolare che, con una iniziativa messa in piedi in nemmeno una settimana, ha risposto alla manifestazione nazionale indetta dalla destra xenofoba di Giorgia Meloni e di Matteo Salvini (che comunque ha disertato la sua annunciata presenza in laguna).
Con buona pace di tutti colleghi giornalisti che dalle pagine dei quotidiani locali hanno sparato a cinque colonne contro i “no global” che - lontani da qualsiasi logica di confronto democratico con i “democratici” razzisti - avrebbero alzato barricate pur di non lasciare il passo ai militanti di destra. E qui ci sta la prima riflessione. L’amore per il titolo ad effetto è un male della categoria. Un male incurabile, probabilmente. Ed a poco è valsa una recente lettera del presidente dell’Ordine, Gianluca Amadori, che ha invitato gli iscritti ad attenersi ai fatti e a lasciare a casa le iperboli.


Ma la passione per il titolone non può essere la sola spiegazione di quanto è stato scritto in questi giorni. Da parte di tanti organi di stampa è in atto un tentativo di delegittimare quanti fanno politica al di là degli schieramenti di partito. Tanto dai giornali di destra, quanto da quelli di centrosinistra, per tacere delle tv, si cerca di bollare con aggettivi quantomeno imprecisi e tendenzialmente caricati di violenza (come “antagonisti”, per fare un esempio) tutti quei soggetti che non si rassegnano ad inscatolare la loro voglia di partecipazione nelle urne elettorali e non vogliono ridurre la politica alle santissime primarie del centrosinistra.
Eccoli qua allora gli “antagonisti” di Santa Margherita: i ragazzi di Emergency che hanno raccontato dei loro ospedali in Afghanistan, i comitati ambientalisti che hanno denunciato il quotidiano stupro di Venezia per opera delle Grandi Navi, le donne palestinesi che hanno denunciato le continue violazioni dei diritti umani perpetrate dai soldati israeliani, i bambini che giocavano con la palla e che coloravamo per terra con gessetti biodegradabili.
Dall’altra parte del canale, in capo San Geremia, invece, andava in scena la “democrazia”. “Gente di partiti che hanno speculato sulla pelle dei migranti, che hanno rubato a man bassa dal nord al sud d’Italia nella maniera più vergognosa e che ora vengono qui a vomitare odio razziale per cercare di darci a bere che i ladri sono i migranti” si indigna dal palco Marta del Sale.
Dall’altra parte dell’arcobaleno, alla grande manifestazione nazionale della Meloni che la vedi ogni sera in tv su due canali contemporaneamente, non c’era neppure un migliaio di partecipanti. Per onestà, c’è da dire che ci sarebbero state due persone in più se non avessi imbarcato su un vaporetto per Torcello quei due sventurati che alle Fondamente Nuove mi hanno chiesto una indicazione per campo San Geremia. (Si son goduti comunque un bel week end sulle isole).
Sotto il palco della Meloni, tutte le sfaccettature del razzismo. Un “melting pot” di indipendentisti padani, scissionisti friulani e nazionalisti fascisti. Saluti al duce e cappelli vikinghi. “Roma capitale” e “Roma ladrona” confluite insieme per urlare slogan razzisti, così come insieme confluisce quella roba che ogni giorno scarichiamo nelle fogne. Facce tristi e scure. Musi incattiviti ed ingrugniti.
L’allegria stava tutta dall’altra parte del canale. Noi eravamo più molto più sorridenti. E anche più belli. E pure più sexy!
E, alla fin fine, ci siamo divertiti anche di più.

Piccolo bestiario del razzismo nostrano

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Tragico viaggio nella xenofobia dopo la piazzata contro i profughi al Lido
Ovvero, quando leggere i commenti sui social ti fa cascare le palle che non le tiri più su

Son sette giorni che spalo letame. Non quello buono, quello dove "crescono i fior". Mi è toccato spalare quello cattivo, quello che gira nei social quando si toccano temi come "profughi" e "accoglienza". Un merdaio di bugie, veleni e carognate che ti schifa anche solo farci il "copie e incolla", perché quando leggi certe infamate capisci che non riuscirai mai a guardare nel fondo nero dell'abisso dell'umana miseria senza che questo cerchi di specchiarsi dentro di te. E ti senti pure tu sporco dentro perché, alla fin fine, sai di appartenere allo stesso consesso umano.
L'ho fatto non per masochismo ma per contribuire ad un lavoro lanciato dalle ragazze e dai ragazzi di Tra Le Righe Project - seguitele su Facebook! -. Un neo nato gruppo universitario impegnato sui temi legati alla comunicazione e ai media. Concentrandosi, in particolare, sulla disinformazione, la strumentalizzazione mediatica e le sue conseguenze.
Dopo l’arrivo dei 37 profughi al Lido e alle contestazioni che ne sono seguite, Tra Le Righe ha monitorato i post razzisti e xenofobi che sono girati non solo tra le bacheche di tanti gruppi Fb, ma anche negli spazi dedicati ai commenti dei lettori nelle pagine on line dei quotidiani locali. L’obiettivo che il gruppo si è dato è quello di segnalare gli abusi al Collegio di Disciplina dell'Ordine dei Giornalisti del Veneto per quanto riguarda gli spazi giornalistici, e alla magistratura ordinaria per quanto concerne le istigazioni alla violenza xenofoba.
Perché il razzismo non è una opinione ma un reato.
Il materiale raccolto da Tra Le Righe, lo potete visionare prossimamente su queste pagine (se ne avrete il coraggio). Per quanto mi riguarda, solo per averle aiutate a spalare, ho sentito la necessità di disintossicarmi con un po' di ironia, che poi è la qualità che ci distingue dalle bestie. Mi sono accorto che tutti i post razzisti possono venir classificati in un numero limitato di categorie. Ne ho contate sette. Eccole qua. Ci si può giocare come con i segni zodiacali. Tu di che razzismo sei?



Il razzista disinformato
Studiare, leggere, informarsi… che fatica inutile! Il razzista disinformato ha troppo cose per la testa - troppe cose più serie - come il lavoro, la famiglia, il Milan che quest'anno fa proprio cagare, per trovare il tempo di leggere tutte quelle righe scritte sotto il titolone del quotidiano che spulcia quando fa colazione al Bar Sport. La totale disinformazione non solo lo stimola, ma anche lo favorisce nel filosofare su qualsivoglia questione che spazi dal cambio di allenatore del Portosummaga ai bosoni vettori intermedi, passando per la dubbia esistenza di dio sino all'accoglienza dei profughi. Su ogni tema lui ha la sua brava ricetta: facile, immediata, semplice da capire e da spiegare. Solo... completamente sbagliata. Una "perla" l'ho letta in calce ad un articolo della Nuova Venezia. In fondo alla pagina del sito web del quotidiano, vi trovate la finestra "Commenti dei lettori". Cliccate a vostro rischio e pericolo. Vi si aprirà un vero museo degli orrori come questo: "Dico io, se non volevano fare i clandestini perché han voluto salire sul barcone e non hanno preso un regolare volo di linea?" E sotto c'è pure chi gli dà ragione! Mi è venuta la tentazione di rispondere: "Per il brivido della traversata" ma ho lasciato perdere perché il razzista disinformato non conosce il significato della parola "sarcasmo" ed era capace di regalarmi qualche commento sugli sport estremi di cui è sicuramente appassionato.
Proprio del razzista disinformato è aver litigato con la grammatica da piccolo e di non averci mai fatto pace. Per risolvere i dubbi linguistici che incontra nei suoi post fa gran sfoggio di fantasia. "C'e n'e", "cè n'é", "cè ne è", "c'e nè"... Neanche il correttore automatico di Word è capace di mettere sull’On. Ma l'importante è capirsi, giusto?

Il razzista che proprio gli tocca di esserlo, poveretto!
Questo tipo di razzista è serenamente convinto che non sarebbe razzista se gli altri non fossero bestie assassine ed esseri biologicamente inferiori. Si vanta di essere l'unico che ha il coraggio di dire le cose come stanno e di non cedere nulla al buonismo di regime che impera nell'attuale società. Che poi è una cosa che vede solo lui.
Il razzista suo malgrado ha la capacità di immaginare che certe sue affermazioni, del tipo "Lasciamoli in mare che è anche per il loro bene", potrebbero risultare antipatiche ai più, ma ciò non lo distoglie dalla sua santa missione di dire sempre la verità. Tutti i suoi post cominciano con una esortazione a leggerlo senza pregiudizi, superando i luoghi comuni per cui dovremmo sentirci obbligati "ad aiutare tutti. Tutti quelli che se lo meritano, casomai. Ma questi cosa hanno fatto per meritarselo?" Il suo ragionamento tocca sempre il tasto economico "quanto ci costa, in tempi di crisi, pagargli l'albergo a cinque stelle e regalare loro 79 euro al giorno?" (le cifre le spare sempre a caso, come si ricorda, per sentito dire). Il suo post finisce immancabilmente con l'identica domanda: "Sono razzista se affermo che bisognerebbe prima aiutare gli italiani poveri? Eh?" Sì che sei razzista. E pure stronzo.

Il razzista che non sa neanche di esserlo
Qui bisogna partire dalla triste e drammatica considerazione che nemmeno un Santo del Paradiso riuscirebbe a convincere il razzista che non sa di esserlo che in realtà è razzista. E pure tanto. Cito il Santo del Paradiso perché solitamente a questa categoria appartengono molti cattolici, di quelli che comprano il rosario di papa Francesco all'edicola. La sua principale considerazione sull'accoglienza è pressapoco questa: "Se proprio dobbiamo farli entrare tutti, non è meglio dare la precedenza ai cattolici che si adattano di più? Io non sono razzista ma i musulmani hanno una religione troppo violenta". A questa categoria senza speranza di redenzione appartengono tutti i "io non sono razzista ma..." che poi vanno di una sparata che ti fa girare lo stomaco. Il razzista che non sa di esserlo non è contrario all'accoglienza per principio. Solo che ci vuole sempre mettere un "ma". Una delle più divertenti (o tristi) che mi è toccato leggere è di una signora che plaude, "perché non se ne può fare a meno", l'accoglienza alla Morosini ma poi aggiunge "facciamoli lavorare però! E' sacrosanto insegnargli che il pane si guadagna col sudore della fronte!" Sant'iddio... questa è sinceramente convinta che nei barconi ci salgano tutti gli scansafatiche figli di lord che non hanno mai lavorato in vita loro e che siano sempre vissuti mantenuti dai genitori tra rose e fiori! Tocca spiegarle che, dopo la caccia alla volpe, lo sport che va più di moda tra i vip miliardari non è ancora la traversata del Mediterraneo in gommone.

Il razzista politico
E' una delle categorie più fetenti. Più il razzismo sale di livello sociale e più si copre di cinismo e ipocrisia. Il razzista politico apre bocca solo in virtù del suo tornaconto personale. Non ragiona di pancia ma con criteri legati al consenso elettorale. "Se dico questo - pensa - otterrò più voti e visibilità? Le mie dichiarazioni troveranno più spazio nei giornali? Mi chiameranno in tv?" Il resto è una conseguenza, con i giornalisti che ci cascano sempre e, invece di togliere il microfono a queste fogne, più le loro "sparate" sono becere e xenofobe, più le fanno rimbalzare.
C’è chi, tipo il Salvini, con la xenofobia e le provocazioni semplicemente ci campa. C’è chi fa il falegname, chi fa l’idraulico, lui va in tv a dire che bisogna affogare i profughi. Lui entra nella pagina Fb degli studenti universitari di arabo per esortarli con “Studiate l’italiano, invece che l’arabo!” Se la tira dietro, la sfilza di vaffanculo lunga come la bibbia. Come quelle spalle nei film di Stanlio e Olio messe là solo per ricevere la torta in faccia. E’ il suo mestiere. Lui ci mantiene la famiglia col razzismo.
Ma è un errore credere che il razzista politico sia solo a destra. Per meglio dire, è vero che tutta la destra italiota precipita sul razzistoide, ma non tutti i razzistoidi precipitano a destra. Per nostra sfortuna, ce n'è un bel mucchio anche nel centro sinistra, per tacere dei Grillini che continuano ad adopera il termine "clandestini" al posto di “profughi" come neanche Forza Nuova. Se è comunque vero che non campano mestieranti del razzismo come Salvini nel centro sinistra, è anche vero che le dichiarazioni di troppi suoi personaggi si salvano dal forcaiolese solo per cascare nell’idiozia (lo fanno apposta per non perdere consenso tra i "moderati"). Un bell'esempio ce lo offre, ahimè, la candidata alle prossime regionali Alessandra Moretti. "Va bene l'accoglimento dei profughi, ma solo nel rispetto delle nostre leggi". Qualcuno ha mai detto il contrario? "Chiederò che queste persone vengano identificate anche con le impronte digitali". Ma tu guarda... io pensavo che la polizia di frontiera regalasse a tutti un bel passaporto con su scritto "John Smith"! Con queste uscite, non si può certo affermare che la candidata del Pd sia razzista. E ci mancherebbe. Ma qualcuno dovrebbe spiegarle che la testa non serve solo per portarla dal parrucchiere due volte alla settimana.

Il razzista Nimby
"Non nel mio cortile" è una patologia alquanto diffusa in tutte le buone famiglie, non ultima quella dei comitati ambientalisti. “No alla discarica a Portella di Sopra” significa spesso: “Fatela a Portella di Sotto sennò mi rompete le balle con la raccolta differenziata”. La scienza purtroppo non ha ancora trovato una cura. Essenzialmente, il razzista Nimby se ne strafrega fottutamente di qualsiasi cosa accada a più di cento metri dal suo tratto casa-lavoro. "Se vogliono ospitarli, perché proprio al Lido che già ci abbiamo i nostri problemi?" Se tu hai i tuoi problemi al Lido, pensa un po' a quelli che ci avevano loro in patria. Oppure: "Nessuno ci ha detto niente, nessuno ci ha avvisato". Il fatto che la notizia giri da settimane in tutti i quotidiani non vale per il razzista Nimby che vuole essere sempre interpellato di persona dal presidente della Repubblica. La soluzione che propone alla fine del discorso è sempre questa: "Perché quelli del centro sociale i clandestini non se li tengono a casa loro?" ma vale solo se la dimora del razzista Nimby dista a più di cento metri dal centro sociale in questione. Il fatto che giri un mondo anche oltre il cortile di casa sua, al razzista Nimby interessa solo perché ogni sera se lo trova davanti in televisione. "Ma guarda te tutti quei disgraziati su quei barconi... perché qualcuno non fa qualcosa?" Prima che li portino qua, si intende.

Il razzista complottardo
Unico tra la fauna razzista, il razzista complottardo adora informarsi. Legge e rilegge quotidiani e riviste, bazzica decine di forum, clicca su pagine e pagine di blog e siti. Uno più balordo dell'altro. Poi se ne esce con verità del tipo: "Questi clandestini sono tutti dell'Isis. Lo ha detto anche la Bbc che però poi hanno cancellato il servizio perché non vogliono che la gente lo sappia. Vengono con i barconi per poi farsi esplodere nelle nostre scuole". Sull'islam ha le sue brave teorie che stanno tutte a destra di Magdi Cristiano Allam. Solitamente vota Grillo ed è convinto che le guerre in Medio Oriente le facciano scoppiare apposta, così che la "ggente" non si accorge delle scie chimiche che le sparano apposta per cambiare il clima e farci il lavaggio del cervello. Col razzista complottardo c'è ben poco da discutere. Se obietti ad una sua sacrosanta considerazione sei in malafede e pagato profumatamente dal Nuovo Ordine Mondiale. Lo dimostra lo stesso fatto che obietti ad una sua sacrosanta considerazione.
Ma adesso consentitemi una supplica tutta personale: se c'è qualcuno del Nuovo Ordine Mondiale che mi legge e che paga, anche non profumatamente... io son qui, eh?

Il razzista infame
Qui non c'è ironia che tenga. Solo schifo. Come si può giustificare una "opinione" del tipo "Bruciateli vivi tutti"? Non riesco neppure a scherzarci su. Il razzista infame urla rabbia usando dozzine di punti esclamativi, il maiuscolo sempre inserito, frasi volutamente irrazionali riempite di odio e ferocia. Scrive per far male, stimolare reazioni violente e se la gode se trova qualcuno che gli dà corda. Possiamo pensare a persone sole e malate mentalmente. Ma questo non scagiona i giornali che danno spazio a queste sparate, pure confinandole negli spazi dei commenti. Il direttore, per legge, è comunque responsabile di tutto quanto viene scritto nella sua testata. I commenti infami debbono venire immediatamente bannati, anche se fanno “audience”, anche se la colonnina di pubblicità a ridosso guadagna un sacco di click. La deontologia non è un optional per un giornalista. E neppure il rispetto della legge. Come abbiamo scritto in apertura: il razzismo non è una opinione ma un reato che non ha diritto di cittadinanza.
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