Perché Stoccolma è Stoccolma

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Fai finta di essere un intellettuale. Uno di quelli che s'intendono di tutto e niente, dai, puoi farcela.

Immagina che un giornale ti chieda un pezzo sul premio Nobel alla letteratura. Una cosina da mettere in prima pagina, in cui dovresti spiegare perché il Nobel lo vincano spesso insigni sconosciuti, mentre i grandi scrittori che compriamo e leggiamo volentieri (quasi sempre anglosassoni) restano a bocca asciutta. Ecco, a quel punto cosa faresti?

Per prima cosa ti renderesti conto che dei Nobel non sai poi molto. Allora faresti una ricerchina su internet, e da wiki risaliresti al sito dell'Accademia di Svezia, (non che strabordi d'informazioni, eh). Già così, comunque, riusciresti a farti un'opinione.

E allora scriveresti che il premio Nobel non è, non ha mai preteso di essere, il premio alla Carriera del Migliore Scrittore. Quella che Alfred Nobel ha lasciato è una specie di borsa, che doveva consentire “all'autore dell'opera letteraria più considerevole d'ispirazione idealista” (en del som inom litteraturen har produceradt det utmärktaste i idealisk rigtning) di continuare a scrivere senza preoccuparsi troppo delle scarse vendite. È chiaro che una borsa si conferisce a chi ne ha bisogno, non agli scrittori di successo e da hit parade: anche se sono bravi. Ed è inutile conferirla alla memoria: le grandi opere incompiute mica possono continuarle gli eredi. Il fatto che Alfred Nobel concepisse la scienza al servizio del progresso dell'umanità ha spinto i giurati di Stoccolma a dare spesso (non sempre) un'interpretazione politica del premio, che è stato più spesso assegnato a scrittori di ispirazione progressista, con un senso altamente civile della loro attività letteraria: anche se non erano quasi mai i migliori poeti o prosatori in circolazione. Ma erano quelli che difendevano una concezione sociale e militante della letteratura che l'Accademia svedese aveva deciso di sostenere.

Così, dopo la guerra, era forse più facile premiare un ex ermetico come Salvatore Quasimodo, che si era riciclato come dettatore di lapidi e si era messo a scrivere poesie civili dignitose, leggibilissime e traducibilissime, piuttosto che Montale con tutto il suo metafisico male di vivere (anche se dopo un po' l'ha vinto anche lui: bastava impuntarsi). Per questo motivo Dario Fo aveva molte più ragioni per piacere ai giurati che non Mario Luzi; per lo stesso motivo, è facile immaginare tra i prossimi candidati italiani al Nobel Roberto Saviano. In generale, chi ha un libro tradotto in svedese (Fo ne aveva parecchi) parte avvantaggiato. E se la cosa non vi va, il problema è vostro, e tipicamente italiano: nessuno ha mai parlato di superiorità di Fo rispetto a Luzi; siamo solo noi ad avere questa mania del Grande Premio Universale. Per esempio, noi siamo quelli che hanno inventato il Festival di Sanremo, con una canzone che vince e tutte le altre che perdono. Eppure i gusti musicali sono tantissimi: che senso ha discuterne? Che senso ha mettere tutto nello stesso calderone ed estrarre un vincitore? Nessun senso. Ecco, noi italiani abbiamo l'idea che il Nobel della letteratura sia una specie di Sanremo letteraria: dovrebbe vincere il Migliore Scrittore, e se non vince lui, è colpa dei giurati. Ma il Nobel, semplicemente, non è questo. Bisognerebbe farsene una ragione.

Ecco, questo è più o meno il modo in cui ti comporteresti, se qualcuno chiedesse il tuo parere.

Questo invece è il modo in cui ha risposto Piero Citati.

«Repubblica» mi chiede di spiegare secondo quali criteri, ogni anno, vengono attribuiti i Premi Nobel.

E probabilmente ti pagherà bene per il servizio...

Non ne so molto.

Beh, questa è un'ammissione importante: sai di non sapere. C'è una sola cosa che a questo punto dovrebbe fare un uomo di cultura, su un quotidiano progressista: documentarsi. Lo farai? Dopotutto ti pagano...

In primo luogo, bisogna tener conto che attribuire dei premi internazionali di letteratura, specie in un paese piccolo come la Svezia, non è cosa facile. Un giurato deve conoscere le letterature francese, inglese, americana, tedesca, italiana, austriaca, polacca, russa, danese, slovacca, maltese, bulgara, araba, rumena, boema, norvegese, finlandese, lituana, lettone, estone, albanese, ungherese, serba, kosovara, greca, pachistana, indiana, uigura, uzbeca, cinese, giapponese, argentina, nicaraguense, costaricana, brasiliana, vietnamita, peruviana, colombiana, boliviana, cambogiana e del Turkmenistan e dell' Antartide e dell' Africa equatoriale e del Bangla-desh e dello Sri-Lanka.


Ehi, cos'abbiamo qui? Una lista inutile, una di quelle cose che fanno i bambini a scuola per prendere tempo e sprecare righe. Cos'è, Citati, non hai fatto i compiti? Non ti sei documentato? E dove sta scritto che un giurato svedese debba conoscere davvero tutte quelle lingue?

(aggiunta di Luigi dai commentiparte da inglese e francese, ma arriva fino al Turkmenistan, all'Antartide, all'Africa equatoriale, ed è un po' come se ci stesse dicendo, strizzando l'occhio agli altri padroncini bianchi annidati nei suoi lettori: "ma sì, dai, dove ci stanno gli zulù e i pinguini, e pensa tu se io devo perdermi dietro a quegli scarabocchi da selvaggi"). 

Non ne sarei mai capace. Temo che i giurati di Stoccolma non siano molto più bravi di me.

Finta modestia, abbastanza fuori luogo dal momento che nella giuria, oltre agli accademici svedesi (esperti di letteratura svedese e di null'altro), fanno parte membri di altre accademie nazionali, professori di letteratura e, soprattutto, tutti i Nobel della letteratura viventi. Possibile che non ce ne sia qualcuno molto più bravo di te? Magari anche una mezza dozzina, eh, Citati, cosa dici?

Purtroppo, come diceva Madame de Ségur, i giurati di Stoccolma «ont des idées».

Madame de Ségur diceva probabilmente così, ma forse qualcuno non capirà. Il francese ormai lo studiano in pochi, triste ma è così. Quei pochi poi rischiano di non capire lo stesso, perché la frase di Mme Ségur è estremamente evasiva. (“Hanno delle idee? Quali idee?”) Si tratta di un eufemismo, perfetto se pronunciato nel salotto giusto, ma non su un quotidiano, dove gli articoli dovrebbero avere un fine divulgativo.

Uno scrittore deve stare «per il progresso»:

Ah, ecco. Insomma, il premio Nobel è un premio progressista. Sicuro? L'espressione “per il progresso” è virgolettata: è una citazione? Da cosa? Da un documento dell'Accademia? No. Dal testamento di Alfred Nobel? Nemmeno.

quindi niente premi a Borges e a Nabokov, che hanno (per Stoccolma) opinioni singolari sulla storia umana. Nemmeno Kundera va bene, anche se ha scritto due capolavori, perché ha idee viziose sulla letteratura - e poi ci vuole misura, anche e soprattutto nel non amare il comunismo. Sebald era troppo triste. Alice Munro racconta storie troppo minime. Bisogna stare sempre dalla parte del bene.

Naturalmente l'accademia di Stoccolma non ha mai spiegato perché non ha premiato Borges o Nabokov: i giurati si limitano a spiegare perché premiano x, non perché al suo posto non hanno premiato y e z. Qui Citati si sta semplicemente togliendo qualche sassolino nella scarpa, perché i suoi scrittori preferiti non hanno mai vinto il Grande Premio, il che è evidentemente un'ingiustizia.

Se Pamuk ha avuto il Premio, non è stato per i suoi bellissimi romanzi (figurarsi, quelle mescolanze intollerabili di miniature persiane e assassinii), ma perché è anti-razzista.

...poi un bel giorno un autore che piace a Citati vince il Nobel: e lì cosa succede? Forse che Citati si rallegra? No: scuote la testa e dice: “Voi non siete in grado di tollerare quelle mescolanze di miniature persiane. Lo avete premiato solo perché è anti-razzista”.

Ed è anche consigliabile non essere troppo intelligente (peccato gravissimo).

Alè. Come dare in dieci mosse del fesso a un centinaio di scrittori del Novecento. Ammirate e imparate.

Non saprei esattamente quali e quante siano le dosi che compongono lo scrittore-Nobel. Probabilmente, qualche dose di Gunther Grass, di Pearl Puck, di Quasimodo, di Giosuè Carducci, di Hemingway, tagliate, oliate e frullate da un cuoco di vaglia.

Altri autori che non piacciono a Citati. Avete presente quei blogger sedicenni che sotto la testata spiegano quali sono i divi preferiti e quelli detestati? Citati è così, sixteen forever. (Da notare anche la sciattezza formale: tre refusi su cinque nomi! “Gunther Grass” si scrive Günter Grass, “Pearl Puck” è in realtà Pearl S. Buck, e persino Giosue Carducci sarebbe meglio scriverlo senz'accento! Citati non lo sa, ma è sopravvissuto all'ultima generazione di correttori di bozze competenti, e da qui in poi commetterà errori imbarazzanti).

Insomma, lo scrittore-Nobel è identico allo scrittore-Campiello.

Vedete, è in queste piccole cose che si rivela la grandezza (o la piccolezza) di uno scrittore. C'è gente che parlandoti di un chicco di grano riesce a farti vedere l'universo: a Citati invece danno da spiegare come funziona il più prestigioso premio letterario mondiale, e finisce per produrre una frecciatina da salotto italiano rivolta a cinque, sei persone.


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e dimezzare i compensi a Citati?

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Non è (più) un mestiere per Signorine

Uno fa il possibile per riuscire gentile e simpatico con tutti, o almeno con le signore, i bambini e gli anziani. Però non è sempre possibile.

A volte uno deve parlare chiaro, a costo di sembrare sgradevole. La verità è sgradevole. La verità è che Pietro Citati non ha capito nulla della scuola, della società e dell’Italia. Proprio lui, che vorrebbe raddoppiarmi lo stipendio? Proprio lui.

La sua totale ignoranza, nel senso etimologico naturalmente, il suo totale non capirci nulla di quello che gli succedeva 70 anni fa e di quanto gli sta succedendo oggi, getta un’ombra inquietante sulla cultura. Se avesse passato 70 anni legato in una grotta – ma no, Citati ha studiato, ha viaggiato, ha letto, ha scritto. Possibile che non sia servito a nulla?

Citati ha la sua ricetta per salvare la scuola in Italia. Ce l’abbiamo tutti. Siamo tutti esperti, dal momento che in una scuola italiana ci siamo pur entrati, anche se è stato 60 anni fa. Ma la scuola che descrive il pregiato critico è una decalcomania imbarazzante. Ci siamo tutti innamorati di una brava insegnante al ginnasio: ma appunto, è stato il ginnasio. La vita poi ci prende a ceffoni quanto basta per farci scoprire che dietro spiegazioni che sembravano chiare stanno fenomeni tutt’altro che semplici; che Machiavelli o Guicciardini non sono amici nostri, ma personaggi storici che vivevano in un mondo radicalmente diverso dal nostro. Perlomeno, oggi la nostra scuola lo fa, o ci prova. Citati no. Lui è rimasto al ginnasio. Lui gli autori li ama. Ci parla, li sogna, "si identifica", ci scrive le letterine.

Citati non è che abbia un progetto di scuola futura da proporre. Ci mancherebbe. Ha solo un’età dell’oro da rammentare. Indovinate un po’: è la sua infanzia. Le maestre erano più amorevoli, Machiavelli e Guicciardini due simpatici compagni di gioco, e probabilmente anche la marmellata nei panini imbottiti era di qualità superiore. Sì. Il mondo era veramente stupendo. In questo mondo, badate bene, le maestre venivano pagate male come adesso, ma erano brave lo stesso, perché… non c’è un perché, è così è basta.

Esisteva l'inconscia convinzione che i professori non appartenessero a nessuna classe sociale: ma ad uno strano regno, dove né danari né vestiti né vacanze costose avevano importanza.

Tutto questo sarebbe naturalmente durato per sempre, se l’armonia universale non fosse stata turbata da un mostro immateriale, chiamato da alcuni “Ministero” e da altri “politica”.

Ci furono periodi relativamente decorosi. Quello, per esempio, nel quale l'insegnamento nelle medie e nei licei fu assunto, quasi esclusivamente, dalle donne: lo stipendio era basso, ma integrava quello del marito; e poi rimaneva tutto il pomeriggio libero da dedicare ai figli. Ma questo interludio non fu lungo. Presto il Ministero elaborò una quantità mostruosa di materiale burocratico o semiburocratico e paraburocratico - riunioni, commissioni, moduli, discussioni, aggiornamenti, delirii - che distrussero i bei pomeriggi liberi, nei quali passeggiare o giocare con i figli.

La prima caduta dall’età dell’Oro, secondo Citati, fu il momento in cui l’insegnamento smise di essere una professione part time per diventare un delirio burocratico. E si capisce. Perché l’insegnante che amoreggia con Guicciardini dovrebbe “aggiornarsi”? Forse che Guicciardini ha pubblicato qualcosa di nuovo? Perché dovrebbe partecipare a riunioni coi colleghi sull’andamento della classe? Perché dovrebbe convocare genitori o essere convocato da psicologi? Citati non sa, non immagina, che anche nella sua epoca felice il pomeriggio delle brave maestrine era spesso consacrato alla correzione dei compiti, e non alle passeggiate al parco coi bambini.

Segue la descrizione del “rapido disastro” della scuola negli ultimi trent'anni. Le cause furono innumerevoli: le conseguenze del voto politico negli anni dopo il 1968 (Citati, che in quegli anni viveva sul pianeta Goethe, è convinto che gli insegnanti abbiano dato “voti politici” per lunghi anni: ci sarebbe da mettersi a ridere, se non ci si trovasse davanti a uno dei protagonisti della nostra cultura) la riforma della scuola elementare, che vide la dissennata suddivisione tra i maestri (come se un solo maestro non fosse capace di insegnare sia aritmetica sia italiano) (qui evidentemente il pregiato critico sta parlando di una riforma che non conosce; del resto, come si vedrà, la sua conoscenza dell’aritmetica è molto approssimativa, e forse la sua maestra delle elementari c’entra per qualcosa). L'immissione, per motivi politici, di moltissimi pessimi insegnanti: la conseguente mancanza di posti per i giovani laureati. Ecco.

Quando parlate di egemonia marxista nella cultura italiana, ricordatevi di Citati. Spiegatevi com’è possibile che in decenni di egemonia culturale questo personaggio abbia potuto sopravvivere, scrivere, vendere, farsi apprezzare, dal momento che la sua visione del mondo è quanto di meno marxiano si possa immaginare. Per lui le classi sociali non esistono: esistono solo maestre appassionate che vivevano in un mondo a parte dove potevano amare il loro lavoro, passare pomeriggi nelle panchine coi figli, e guadagnare nulla. I conflitti degli anni Sessanta non nascono dall’avvento della scuola e dell’università di massa; è solo stata una fase infelice segnata da cortei di ragazzacci che chiedevano il sei politico. Non ci sono nemmeno conflitti generazionali, no; la “Politica”, un mostro tritacarne, genera dal nulla “moltissimi pessimi insegnanti” e li immette nel mercato del lavoro per pura cattiveria. Don Milani non è nemmeno il simpatico prete veltroniano: Don Milani semplicemente non è mai esistito.

Così decrepito da avercela ancora con gli strutturalisti, Citati è convinto che i libri di testo siano infestati dai seguaci di Gérard Genette. E poi ce l’ha con Svevo. Secondo lui i quindicenni non lo possono capire, devono leggere Delitto e Castigo. Io l’ho letto, a 15, Delitto e Castigo. Parlava della Russia: mi ricordo un mazzo di chiavi un’accetta e poco altro. Della Coscienza di Zeno, a 16, ho un ricordo fulgido. È uno dei libri che mi hanno fatto capire cos’è l’uomo. Ricordo il mio compagno di banco, che non sottolineava mai nulla (disegnava soltanto qualche pisello con la matita nei momenti di stress), ma che in uno spazio bianco sotto al finale della Coscienza di Zeno aveva scritto SACROSANTO: a caratteri di scatola, come se si trattasse di scrivere Juve Merda. Lo avete presente tutti il finale di Svevo, no? Il pazzo un po' più ammalato degli altri che si arrampica al centro della terra e la fa esplodere.

(“Perché hai scritto questa cosa?”
“Perché è... sacrosanto”.)

Il pazzo un po' più ammalato degli altri che fa esplodere il mondo, e tutto torna pulito. C’è qualcosa che un quindicenne di oggi non possa capire? La scuola ha tanti problemi, ma Citati non è la soluzione. Al massimo è uno dei problemi.

Citati in realtà è il migliore rappresentante dei difetti della nostra scuola: difetti non sessantottardi, ma gentiliani. Le sue stime tese a dimostrare che economizzando qua e là si potrebbe raddoppiare il salario agli insegnanti testimoniano le carenze di una scuola tutta Latino e Greco, che partorisce ignoranti di matematica ed economia. La sua riduzione della Storia a grandi personaggi, la sua riduzione della Letteratura a grandi scrittori, la sua incapacità di vedere i problemi e le evoluzioni del mondo, testimoniano i ritardi di un sistema scolastico più vicino a Plutarco che a Foucault. È un mondo col quale dobbiamo chiudere, prima o poi. A costo di essere un po’ sgradevoli – del resto la vita è sgradevole.

Non è un sogno Biedermeier, con lungi pomeriggi tra passeggini e panchine; il lavello è pieno e non verrà nessun domestico a rigovernare. La cultura non è un'attività di lusso della classe agiata: è un lavoro che crea un valore, per una società che ne ha più o meno bisogno. E lo è sempre stato. E Citati dov'era? In casa sua, a identificarsi con Kafka e Proust. Va bene. Ma che non salti fuori adesso: senza offesa, è un po' tardi.

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