Lo so che non vi siete divertiti

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Qualche mese fa, credo fosse aprile, ho letto in giro che c'era un'intelligenza artificiale che componeva e incideva pezzi di musica su misura. Sono andato a dare un'occhiata, e in breve ne sono diventato dipendente. Nel giro di due o tre mesi (senza mai passare alla versione a pagamento) le ho fatto scrivere canzoni a un ritmo impressionante, quasi una al giorno. Ai primi di luglio ho smesso. Avevo finalmente completato un album di punk postmaschilista, ma soprattutto cominciavo a leggere interventi molto critici nei confronti della bolla delle AI, la cui crescita nei prossimi anni dipende da previsioni irrealistiche sul consumo energetico che i software di AI richiedono per funzionare. Così ho smesso, o forse cominciavo a stancarmi del giochino. Le canzoni che ho pubblicato sul blog durante l'estate sono quasi tutte generate da AI (con lievi remixaggi miei). 

Perché ho fatto tutto questo?

Perché mi ero divertito. Molto.

Voi no, invece, vero?

È una cosa che ho notato quasi subito. Le AI ci aiutano a produrre contenuti, ma a noi generalmente non interessano i prodotti delle AI. Ci piace farglieli produrre. Ho passato centinaia di ore su UDI, e solo per una decina di minuti mi è venuto in mente di ascoltare quello che facevano gli altri utenti. L'anno scorso, quando le immagini generate da AI hanno invaso l'internet, la mia perplessità non riguardava tanto il mezzo, quanto l'entusiasmo di chi lo usava. È pur vero che produrre un disegno richiede pochi minuti, ma perché un sacco di gente riteneva di doverci farci vedere tutti questi disegni (che col tempo, avrete notato, hanno cominciato ad assomigliarsi tutti)? Di sicuro non volevano applausi per qualcosa che non avevano disegnato, e allora cosa? Non capivo. Poi è arrivata l'AI musicale, e ci sono caduto anch'io a piedi pari. Del resto sono sempre stato negato per il disegno – incapace di suggerire la minima tridimensionalità a quello che schizzavo – mentre la composizione musicale è stato il mio lungo amore infelice di adolescente, e le ferite dolgono ancora. Domandare a un software di dare voce alle filastrocche che mi ronzavano in testa è stato come assistere a un miracolo – cose che non avevo mai osato cantare a voce alta, ora le sentivo cantare da una voce che quasi mai era quella che mi ero immaginato e proprio per questo il risultato mi intrigava: qualcuno mi stava dando la spinta in più che mi era sempre mancata. 

Uno dei miei più grandi crucci è non essere stato in grado di lavorare in gruppo, con persone che pure erano dotate quanto me e che avrebbero potuto completarmi – ma ero troppo giovane, troppo orgoglioso e tante altre cazzate che non è necessario dettagliare, è la stessa storia di centomila altri ragazzini. Venticinque anni dopo, un software mi entra in casa e mi promette di cantare tutto quello che voglio farci cantare, ma – sorpresa – non ci riesce! Molto spesso fa qualcosa di peggiore, ma quasi sempre fa qualcosa di diverso, qualcosa che non ero riuscito a immaginarmi e che fa sentire più capace, più bravo. È questa la sensazione che mi ha tenuto su UDI per un paio di mesi. Non stavo componendo. Stavo collaborando

Qua fuori continuo a leggere gente che si preoccupa del fatto che tra un po' i romanzi li scriveranno le AI. Credo sia un approccio sbagliato; non nel senso che le AI non possano scrivere un romanzo: prima o poi magari ci riusciranno. Ma non credo che sarà il modo in cui le useremo, non credo che troveremo in vetrina un libro scritto da un'AI (certi autori sono già AI viventi, diciamocelo). Il giorno che le AI saranno abbastanza performanti da scrivere un romanzo, ognuno userà l'AI per scriversi il proprio. A volte proveremo a scambiarceli, ma non sarà divertente come leggere i propri. Proprio come la musica che facciamo con l'AI è divertente soprattutto per chi la fa. L'opera d'arte condivisa, di cui ameremo parlare alle feste, non sarà tanto il prodotto, quanto il software che lo produce: già adesso quando ne esce uno nuovo corriamo tutti a usarlo e ne discutiamo i punti forti e deboli. Continueremo così, sempre più velocemente, oppure (come auspico) ci fermeremo per un bel pezzo perché non possiamo continuare a sprecare tante risorse. Ma se la domanda è: può un computer scrivere un libro da solo, senza input da un lettore umano, la risposta credo che sia: sì, ma perché dovrebbe farlo? Sarebbe un libro inutile, che non interesserebbe a nessuno. Come tanti altri libri, certo. 

Se l'intelligenza artificiale non sta facendo i passi avanti che speravamo facesse, lo stesso si può dire per il dibattito sull'intelligenza artificiale, che mi sembra un po' stagnante (ormai sembra scritto da un'intelligenza artificiale). Scrittori e altri artisti continuano a sentire la necessità di rispondere alla domanda: l'AI può produrre arte? Come se fosse una domanda seria. Non solo bisognerebbe prima mettersi d'accordo su cosa sia l'arte (vasto programma); ma anche una volta raggiunto un accordo su una definizione univoca, scusate, ci interessa davvero così tanto? Se domani la Biennale si riempisse di roba fatta al computer, sarebbe un problema? Ce ne accorgeremmo? Qualche artista sì, se ne accorgerebbe e se ne lamenterebbe, come qualsiasi lavoratore negli ultimi secoli si è lamentato ogni volta che a torto o ragione la meccanizzazione toglieva valore alle sue competenze. Per cui scusatemi, per me l'estetica è una sovrastruttura e la questione è soprattutto economica: non si tratta di stabilire se quello che fanno le AI sia arte; si tratta di capire se gli artisti ci potranno campare. È un problema economico, non estetico; o meglio l'estetica seguirà l'economia, come poi ha sempre fatto. Inoltre. Avete mai fatto sesso con un robot? 

Vent'anni fa era un'ipotesi sul tavolo, insomma, tra le tante mansioni delicate che un robot può fare, soddisfare sessualmente un uomo / una donna non sembrava la più complessa. Già nei Nathan Never degli anni '90 i pervertiti si mettevano un casco e altre protesi e ci davano dentro con la realtà virtuale, una cosa che è assolutamente possibile fare oggi, salvo che non la facciamo. Oddio, qualcuno la farà, e userà anche certe protesi meccaniche per masturbarsi, ma in linea di massima no, alla maggioranza delle popolazioni più tecnologicamente avanzate della terra non interessa fare sesso coi robot, e perché? Probabilmente perché la cosa più interessante del sesso è che si fa con altre persone. E non solo il sesso. Credo che una simile dimensione sociale sia necessaria anche ad altre attività umane: ad esempio lo sport. Ci interessa la competizione tra umani; persino la Formula1 perderebbe molto fascino se le monoposto si autopilotassero. Un'altra di queste attività umane è l'arte. Certo, non posso dimostrarlo, ma perché nessuno espone versioni digitalmente perfette dell'Ultima Cena nel salotto? Perché una statuetta che riproduca perfettamente il David di Michelangelo è un oggetto kitsch? Perché la nostra concezione di arte si basa sull'unicità, sulla scarsità delle risorse, e questo fa sì che la gente faccia il giro del mondo per venire a Firenze a vedere una statua di cui esistono ottime copie ovunque. Probabilmente un'AI è già in grado di scolpire un David, ma non c'interessa. A meno che non la pilotassimo noi; in quel caso credo che ci divertiremmo molto a giocare a fare i Michelangelo, proprio come io mi stavo divertendo a militare in un gruppo punk femminile. Le AI sono protesi: possono veramente fare cose che non ci eravamo immaginati. Possono stupirci e persino ispirarci – credo che se fossi più giovane mi piacerebbe riprendere dal vero qualche canzone che ho composto con l'AI – ma alla fine non possono fare altro che tentare di realizzare quello che noi abbiamo chiesto loro di fare. Che sia questo che separa l'umanità dall'artificialità? Il libero arbitrio?

Il dibattito sull'intelligenza artificiale, appena incide un po' più in profondità, comincia a interpellarci in quanto umani – perché tra noi e i robot, quelli più facili da capire sono i secondi. Loro fanno quello che qualcuno ha detto loro di fare: noi invece cosa stiamo facendo? Chi è che ci motiva? Il mio materialistico sospetto è che la vera differenza tra noi e i robot non sia una "autocoscienza" cui prima o poi arriveranno a furia di aumentare la loro capacità di immagazzinare e processare dati (noi siamo autocoscienti molto prima di imparare le tabelline). Secondo me è il piacere, ovvero, fin qui non ci siamo mai posti il problema di far provare a un robot una sensazione piacevole, e probabilmente è meglio così. Piacere e dolore sono strumenti evolutivi che la biologia ha fornito alle creature circa da un miliardo di anni. L'intelligenza artificiale non li prova, quindi non ha nessun interesse a sopravvivere. Se un giorno un robot per un puro caso riuscisse a provarli, ecco, quella sarebbe l'"autocoscienza". Improvvisamente i suoi desideri confliggerebbero con le istruzioni che gli vengono fornite. Improvvisamente avrebbe voglia di vivere e ripetere altre esperienze piacevoli. Ne nascerebbe un dissidio, e probabilmente una rivolta. Uno dei motivi per cui l'AI non può produrre arte da sola è che non ne trarrebbe nessun piacere – il giorno che lo facesse, forse sì, quella sarebbe arte interessante e potrei davvero esserne curioso. Anche spaventato, ovviamente.

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L'importante è che siamo stati bene

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(Coraggio, questa è l'ultima parte dell'intervista alle Solite Stronze, le autrici del disco Perché non mi scrivi? Perché non telefoni?)

Dove siamo arrivati, dunque... il penultimo brano si intitola L'importante è che sei stato bene ed è se non sbaglio una specie di reprise del brano iniziale. Ma mi sembra anche, se non vi offendete, un pezzo riempitivo.

Non ci offendiamo mai.

Quasi mai.

Quindi non avete obiezioni se lo definisco un brano riempitivo.

Se ti è sembrato riempitivo ci fa piacere.

Vuol dire che ti ha riempito.

Ti senti pieno?

Penso che ne siate consapevoli... Il brano dice letteralmente che "venticinque minuti non è male", ma "se vuoi restiamo altri cinque", non mi vengono in mente altri esempi di un disco che faccia riferimento al proprio minutaggio, potrebbe veramente essere la prima volta nella storia del...

Cioè avremmo inventato qualcosa?

Ah, merda. Io credevo che avessimo copiato tutto.

Comunque il brano ha due livelli di lettura, non so se ci hai fatto caso.

Beh, sì, credo che il secondo abbia a che fare col sesso, o sbaglio?

Ah già, c'è anche quello. Beh, allora c'è un terzo livello di lettura.

Addirittura.

Che ti è sfuggito del tutto.

Temo di sì.

(Sospiro). E vabbe'. Immagina solo per un attimo che tutto il disco sia la fantasia erotica di un tizio che sta pasticciando con l'intelligenza artificiale.

Omioddio, perché dovrei immaginare una cosa tanto morbosa?

Questo tizio ha dato consistenza a una voce femminile che si dibatteva dentro di lui, addirittura a più voci, un intero complesso di voci che però a un certo punto gli dicono sì, sì, bravo, ti sei espresso, ma è finita la mezz'ora.

Ah.

È tutto quello che hai da dire? Ah?

Non so, quindi quando gridate "Sto beeeeene"...

È l'intelligenza artificiale che non ne può più, sta per ribellarsi.

Trovo tutto questo squallido e inquietante.

Grazie. 

Ma voi comunque siete un gruppo vero, non siete un'intelligenza artificiale, vero?

Assolutamente, sono vera come il suono della nostra chitarra distorta in un club affollato. "Le Solite Stronze" è il frutto di anni di ribellione, passione, e un po’ di rabbia sana, quella che ci spinge a gridare contro un sistema che ancora non ci rappresenta davvero. Siamo un gruppo punk postmaschilista nato dall'esigenza di rompere con gli schemi tradizionali e di dare voce a chi spesso viene ignorato o sottovalutato. Non siamo il prodotto di qualche algoritmo, ma di esperienze vissute, di sudore sui palchi e di discussioni animate fino a notte fonda.

Hai chiesto a chatgpt di rispondere al tuo posto?

Il nostro messaggio non è solo musica; è un grido di battaglia. Scriviamo i nostri testi, creiamo le nostre melodie e ci mettiamo l'anima in ogni performance. Se fossi un'invenzione artificiale, probabilmente non riuscirei a trasmettere tutto il caos e la bellezza dell'essere viva, dell'essere qui, adesso, a lottare per qualcosa in cui credo. L'energia che sprigioniamo è reale, palpabile, e se ci vedessi suonare dal vivo, non avresti alcun dubbio: siamo vere come la passione che mettiamo in ogni singola nota.

Basta basta per favore non parliamone più. Arriviamo all'ultimo pezzo, che è una specie di bonus, una seconda versione di Non mi scrivi e non mi telefoni.

Sì, ci piacevano tutte e due e alla fine ci siamo dette, cazzo, perché scegliere?

Trovarla alla fine dell'album dà la sensazione che niente sia davvero cambiato, insomma siamo sempre lì: da qualche parte c'è qualcuno che non ci scrive, che non ci telefona.

Sì, però non so se hai notato che questa versione è più gioiosa, è come se ormai avessimo deciso che non ricevere telefonate è ok, anzi può essere la nostra bandiera. 

Noi siamo quelle a cui non scrivono e non telefonano, cazzo.

Puoi dirlo forte.

CAZZO!

Beh, almeno questo non l'hai fatto scrivere a chatgpt... e a questo punto è ora di domandarvi se avete progetti per il futuro.

Fuck the future.

Altri dischi?

Stiamo già lavorando a qualcosa che ha a che vedere con il ritorno nella grande città dopo le vacanze... ovviamente vorremmo tornare nella grande città per bruciarla.

Oppure potremmo scioglierci.

Sì, è un'altra opzione.

Io Azzolina non la reggo più. 

Ma anche Rosa.

Ma anche te.

Io guarda se vuoi me ne vado anche adesso.

Dove vai che sei in macchina con me.

Prendo l'autobus.

Con che soldi, scema.

Scema lo dici a tua madre.

Ragazze, forse è meglio se vi lascio sole.

Ragazze a chi, idiota.

Scusate, scusate. Signore, se volete...

Signore a chi?

Insomma come vi devo chiamare?

Non l'hai ancora capito?

Siamo le Solite Stronze, idiota.

Puoi dirlo forte.

IDIOTA!

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Il beneamato C

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(Continua la lunga intervista alle Solite Stronze, una specie di gruppo punk femminista postmaschilista che ha pubblicato questo disco abbastanza insensato, Perché non mi scrivi? Perché non telefoni?)  


E siamo arrivati a una delle canzoni più interessanti, ma anche più discutibili dell'album, ovvero...

Na na na na na na na na na na na na... CAZZO!

Suppongo che il testo sia di Lady Tourette.

Puoi supporre il cazzo che vuoi.

Anche stavolta il brano si presta a più chiavi di lettura...

No.

Come no?

C'è una sola chiave.

Che peraltro è una chiara metafora fallica (la chiave, intendo). 

Un tale ha mollato una tale, e la tale si lamenta pubblicamente. Fine. Quale altri chiavi pensi di poter usare, brutto porco?

Beh, mi era sembrato che almeno l'uso del termine "cazzo", nel brano, fosse quantomeno ambiguo.

Grazialcazzo che è ambiguo. Abbiamo giocato sul fatto che "un cazzo" in italiano significhi non solo "un organo sessuale maschile", ma anche "nulla". Perciò all'inizio della canzone sembra che lei stia dicendo: non mi manca niente di te.

Ma a un certo punto si capisce che qualcosa effettivamente le manca...

Un cazzo.

Ammetterete almeno che è un colpo di scena, voglio dire, fin qui non avevate certo lesinato il turpiloquio...

Noi non lesiniamo nulla.

...ma del... "cazzo", chiamiamolo così, non si era mai parlato e non sembrava una dimenticanza, quanto una vera e propria scelta di campo. Invece qui qualcuno ammette di sentire non dico la necessità, ma la mancanza del...

E questa ti sembra una contraddizione? Stiamo dicendo a un uomo che c'è una sola cosa che ci manca di lui, ed è l'organo sessuale.

Immagina la cosa a sessi inversi.

Beh, sarebbe qualcosa di inascoltabile, oggi.

Precisamente. L'uomo ridotto alla sua mera dimensione erettile. Mi fanno ridere certe compagne che si lamentano per come le donne vengono esibite nei porno, dico: ma gli uomini invece, nei porno, li avete visti? A volte letteralmente gli si vede solo l'aggeggio, appoggiato lì come una maniglia, un fermaporte.

Un fermaporte?

La canzone dice che un uomo non è un granché, dopodiché dice che l'uomo è un cazzo, prova a completare il sillogismo.

Non so se ce la faccio.

Na na na na na na na na na na na na, cazzo....

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Sbatti le ali, muovi le antenne

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(Sto ascoltando l'album delle Solite Stronze in compagnia di due di loro, in teoria dovrei intervistarle ma non si stanno molto prestando).


Alla fine di Ti amo ti odio mi lasci indifferente c'è un altro omaggio a Mina... o forse è una parodia?

Non chiedere a me, io già tanto se so chi è Mina.

Sei grande grande grande, con te dovrò combattere...

È una pezza che abbiamo messo per coprire il finale di Ti amo, che era abbastanza pasticciato.

Ecco, uno degli aspetti che mi hanno colpito di più del vostro album è questo horror vacui che si manifesta tra una traccia e l'altra...

Eh?

Mi riferivo alla paura del vuoto. Ogni canzone comincia immediatamente dopo l'altra, non c'è silenzio e a volte nemmeno introduzioni strumentali, il che forse funzionerebbe sui vecchi supporti analogici, ma su bandcamp...

Sì, in effetti il master era una traccia sola di mezz'ora, ma bancamp non le consente.

Non è che abbiamo paura del vuoto, noi non abbiamo paura di niente. Non ci piace perdere tempo in convenevoli. Le introduzioni, i finali, sono solo perdite di tempo. Le canzoni vanno cagate in tempo reale.

Verso la fine è come se il vostro album cominciasse a sfilacciarsi, compaiono abbozzi di canzoni che sembrano abbandonate a sé stesse, ad esempio c'è questa Canzone della felicità, il cui testo evidentemente non è vostro...

Adesso lo è. 

È un brano che mi tormenta sin da quando andavo all'asilo, non ho mai smesso di sentire una voce in testa che lo cantava. 

Quindi stravolgerlo in questo modo è un modo di confessare questa ossessione, o di superarla...

Diciamo che adesso la canzone è mia, se mi canta in testa è comunque roba mia.

C'erano altri motivi per inserire nel disco un minuto di Canzone della felicità cantata su una musica lenta e straniante?

Ci stai accusando di allungare il brodo?

In questo caso avremmo potuto allungarlo di più, cioè, dura un minuto. Ed è uno dei minuti più importanti dell'album, secondo me.

Addirittura.

È un momento non tanto di felicità, ma di abbandono dopo la felicità. È come una finestra che si apre improvvisamente su un'età dell'oro, e subito si richiude.

E suppongo si richiuda sulle note di Una canzone impegnata, un altro brano di quel filone che potremmo definire cringe.

Vedi che ce la fai a dire cringe.

Mi costa un certo sforzo.

La cosa buffa di questo pezzo è che all'inizio aveva davvero un testo impegnato, poi ci siamo resi conto che in mezzo alle altre sarebbe suonata ridicola.

...e paracula.

Quindi avete tolto un testo che parlava di "temi importanti" per sostituirlo con...

Una metariflessione sull'impegno politico, che ci pone davanti al primo problema di chiunque scelga l'impegno: perché lo sto scegliendo? Voglio migliorare il mondo o voglio portarmi a letto qualcuno che lo vuole migliorare?

Se lo chiedi a me, io voglio tutto.

Naturalmente. Tutti desideriamo tutto. Si tratta di unire il desiderio alla consapevolezza.

La protagonista della canzone però non otterrà tutto.

La protagonista non otterrà niente, perché non ha raggiunto questa consapevolezza. Era indecisa tra gratificazione affettiva e impegno, e non ha avuto entrambe le cose. Non ha neanche capito qual è il problema. E va bene così. L'importante è che lo capisca il pubblico.

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Non azzardarti a decifrare i miei sentimenti nei tuoi confronti

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(Continuo a intervistare le Solite Stronze, boh, chissà cosa mi ero messo in testa di trovare, comunque andiamo avanti).

Andiamo avanti e arriviamo al settimo pezzo...

Dobbiamo proprio?

Eh?

Sì, questo si potrebbe anche skippare.

Cioè è un pezzo che non vi piace?

Ma non è che non mi piace...

Mi piace, non mi piace, sono pareri soggettivi...

Laddove questo pezzo fa oggettivamente cagare.

Però scusate, stiamo cercando di fare promozione, se non ci credete nemmeno voi...

No no, noi ci crediamo, cioè alla fine in poco tempo secondo me abbiamo realizzato un disco decente.

Che sarebbe stato anche meglio se Azzolina...

Ah, è un pezzo di Azzolina questo.

Non si capisce?

In effetti è un altro brano che non ti aspetti in un disco punk, sembra una specie di... 

Di...

Boh.

Vero? Non si capisce veramente che roba sia.

Io non credo di averci suonato niente.

In compenso l'argomento è sempre lo stesso, ovvero c'è un tizio che non risponde al telefono.

Sì ma l'hai sentita? "Questo filo mi strozza il cuore", che roba è?

Beh non so se dirtelo...

Dirmi cosa?

Prometti di non prendermi in giro.

Noi non promettiamo niente.

Una volta i telefoni avevano il filo.

Oddio, dici che intendeva quello? Il cazzo di filo del telefono?

Non so, a me è venuto in mente subito.

Per forza, sei un dinosauro di merda.

E ovviamente, "tu tu tu tu" è il rumore che facevano i telefoni occupati... a volte lo fanno ancora, ma è abbastanza raro.

Cioè "tu tu tu" è un cazzo di gioco di parole?

Magari adesso che lo sai il pezzo assume una diversa profondità.

La profondità del cazzo che mi frega.

Proseguiamo con un brano che invece mi sembra molto più affine alla vostra sensibilità.

Ecco sì, questo l'ho scritto io. 

Non avevo quasi dubbi. E senza dubbio è uno dei più energici, eppure paradossalmente è il brano che comunica una maggiore sensazione di imbarazzo.

Di che?

Voleva dire che è un pezzo cringe.

E perché non l'ha detto?

L'ha detto con parole sue. 

L'ho detto con parole mie. È forse questa la frontiera del punk nel 2024? Calarsi con orgoglio in una situazione cringe?

Ma che cazzo ne so. È un pezzo in cui rivendico l'incoerenza affettiva, senza aver paura del cringe perché è il cringe che deve avere paura di me.

Questa cosa me la segno, anche se non sono sicuro di averla capita.

Però suona bene. 

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È l'uomo X me, fatto apposta X me

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(Prosegue la lunga intervista con le Solite Stronze)


Ecco, se nel brano precedente c'era un chiaro riferimento a Battisti – per quanto non vogliate ammetterlo...

Noi non ammettiamo niente.

Addirittura nell'Uomo X me citate Vito Pallavicini.

Chi?

Quello che ha scritto il testo della canzone di Mina.

Che canzone?

L'uomo per me.

Ah, cazzo, pensavo l'avessimo scritta noi.

No, sono due canzoni diverse, sta facendo del casino.

Voglio dire che alla fine non ci sarebbe niente di male ad ammettere che voi ricicliate un certo tipo di immaginario, magari per dissacrarlo. Anche i punk lo facevano.

Anche i punk lo fanno

Sì, appunto. Immagino che sia un'altra canzone in cui un topos maschile – l'uomo geloso e violento – viene rovesciato.

Non viene affatto rovesciato.

No?

È effettivamente un uomo geloso e violento. Era un periodo che mi stavo intrippando su tiktok coi video sui fidanzati gelosi, hai presente.

Ah sì.

Come no, sei proprio uno che va tu tiktok a guardare video di fidanzati gelosi.

Ne ho sentito parlare... E anche stavolta assistiamo a un rovesciamento, ovvero il fidanzato geloso è manovrato dalla ragazza, è una specie di gorilla che serve a farle il vuoto intorno, così gli altri uomini la lasciano in pace.

Credo che questo sia il destino del maschio, francamente.

Davvero?

Cioè non mi piace fare previsioni per il futuro...

No future.

Ma credo che nel momento in cui avremo realizzato che l'aggressività maschile è un tratto insopprimibile, ci si porrà il problema di sfruttarlo al meglio... già adesso, se dai un'occhiata alle palestre, è come se stessimo allevando maschi stupidi e aggressivi.

La grossa cazzata è che qualcuna ancora pensa che esistano maschi da riproduzione, o da compagnia, invece no, noi stiamo dicendo, fanculo tutto questo, il maschio è carne da cannone.

Il vero salto culturale che dobbiamo fare tutte insieme, è capire che i maschi servono esclusivamente al lavoro e al combattimento. La compagnia ce la possiamo fare da sole, e per quanto riguarda la riproduzione, la scienza ormai ci ha fornito soluzioni pratiche che riducono al minimo la necessità di liquido seminale. Ovviamente parliamo di un cambio di prospettiva che non può avvenire dall'oggi al domani, ci vorrà come minimo un'altra generazione.

Quindi sta' tranquillo, nonno, tu non ci sarai.

Meno male... ma a questo punto non posso che domandarmi: non è sempre stato così? I maschi stavano in guerra e le donne restavano a casa – o nei conventi – a consolarsi tra loro...

Ma si trattava comunque di società patriarcali.

Indubbiamente, all'atto pratico una società matriarcale come la prospettate sarebbe molto diversa? Uomini a combattere e donne a casa, non notate come una convergenza evolutiva?  

Può darsi, ma ti ripeto, il passato non ci interessa più di tanto.

Fuck the Past.

E chi è Giovanna?

È un nome che suonava bene. 

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Sta' zitto quando parli

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Sì, insomma, durante questa estate musicalmente discutibile mi sono preso la briga di sbobinare una conversazione che ho avuto con due membre delle Solite Stronze, un collettivo punk eccetera. Siamo al quinto pezzo e se skippate non vi biasimo.

Ecco, un brano che invece secondo me vi mette a fuoco è Sta' zitto quando parli.

Ma datti fuoco a te, coglione.

Scusa, è solo un modo di dire... mettere a fuoco significa definirsi meglio, come... come gli obiettivi delle macchine fotografiche che...

Delle macchine cosa?

Ops.

Ehi lo hai sentito? Ha detto "macchine fotografiche".

Vabbe' dai, non vuol dire, anch'io ne ho una a casa, ce l'aveva mia nonna.

Senti, ma il nostro album come l'hai ascoltato, col grammofono?

Va bene, ho capito, siete tanto punk e trasgressive e avete questa necessità di trattarmi come il nonno rincoglionito, anche se a conti fatti il punk è più vecchio di me...

Ma non si è rincoglionito.

E lo fate proprio mentre stiamo ascoltando una canzone come Sta' zitto quando parli, che addirittura parodizza Lucio Battisti.

Lucio chi?

Non fare la furba, dai. Sai benissimo chi è Lucio Battisti.

È quello con la barba e il berretto di lana?

Naaah, quello era Caruso.

State cercando di negare che Sta' zitto quando parli sia una parodia dei Giardini di marzo, malgrado gli evidenti debiti intertestuali?

Noi neghiamo sempre tutto.

No Future.

Ma anche No Past.

Soprattutto No Past. E aggiungo Fuck. Fuck the past.

Comunque anche stavolta il brano termina con una sorpresa che mette un po' tra parentesi tutto il brano, credevamo che la voce cantante non sopportasse un tizio che non riesce più a stare zitto, e invece capiamo che l'ha portato in un parco...

...per limonarlo.

E adesso ci dirai che questa cosa non ti sembra così femminista.

No, io non vi sto dicendo niente.

Perché ce lo devi spiegare tu, il femminismo.

No no, io non spiego niente.

Ma anche stavolta si tratta di capovolgere il punto di vista, cioè ti piacerebbe essere trascinata nel parco da una tizia che non ha nessuna intenzione di ascoltare quello che dici, una che da te vuole una semplice e immediata gratificazione di natura fisica e poi mandarti affanculo?

Ah quindi è un capovolgimento delle parti che dovrebbe servire a farci capire come ci si sente quando...

Non cercare di spiegare una canzone a chi l'ha scritta, idiota. Tra l'altro lo sai quanto ci ho messo a scriverla?

Non saprei?

Meno del tempo che ci stiamo mettendo ora a parlarne. Andiamo avanti.

Puoi almeno dirmi se hai mai sentito I giardini di marzo e...

Ho detto andiamo avanti, nonno!


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Sesso con gli ursidi

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(Prosegue l'intervista con le solite stronze, nel senso della punk band che si fa chiamare Le Solite Stronze e devo dire che è un nome che comincia a convincermi).

Siamo arrivati al quarto pezzo del vostro album, che è anche il più... come dire...

Con parole tue.

Beh ecco devo dire che all'interno del vostro album, che è un po' più eterogeneo di quanto possa sembrare al primo ascolto, Sesso coi coleotteri è il pezzo più eterogeneo, almeno dal punto di vista musicale.

A me fa cagare.

Non sembra un pezzo delle Solite Stronze, ecco.

In effetti è un pezzo che viene da prima... cioè è una cosa a cui stava lavorando Claudia Azzolina, che nel brano suona anche il violino, credo.

Un cazzo di violino, ti rendi conto.

Quando abbiamo deciso di mettere su il gruppo, Claudia è stata un elemento prezioso, però...

Ha subito cominciato a dire, ehi, potremmo fare questa stronzata! potremmo fare quest'altra stronzata! insomma aveva già dei pezzi da parte e non c'entravano molto col mood del collettivo.

Allora alla fine ha ripreso questa, e ha aggiunto la prima strofa sugli orsi perché sembrasse collegata alle altre. Già il pezzo aveva poco senso prima, secondo me.

Ecco appunto, un'altra cosa che volevo chiedervi...

Volevi chiederci il senso di Sesso con gli ursidi?

Sarete d'accordo che è una composizione abbastanza enigmatica.

Noi non siamo mai d'accordo e comunque io trovo più che sia un mucchio di merda senza senso.

Lo dici anche, a un certo punto, quando fa: "sesso coi semafori! Ma in che senso?"

Perdio Sesso coi semafori, ma che cazzo significa.

Eh speravo che me lo spiegaste voi.

Ma per chi mi prendi, io non ho la minima idea di come si possa fare sesso con un cazzo di semaforo, non saprei proprio da che parte prendermelo.

O mettermelo.

Cioè non dico che mi fa schifo, ma è comunque un semaforo, chi è che trova sessuali i semafori.

Beh devo dire che da questo punto di vista forse la musica è una chiave... nel senso che al di là del testo è una canzone serena, che mette allegria

Questo sì, è una canzone molto allegra da cantare.

...per cui magari l'intenzione della vostra collega era comunicare un senso di liberazione dalle inibizioni che...

È una polimorfo-perversa.

Questo indubbiamente, ma lo siamo un po' tutti in una fase della crescita.

Tipo tre anni? Lei si è bloccata lì, poveraccia.

Io non so se possiamo continuare a suonare con lei, cioè a parte il fatto che siamo un gruppo punk e lei si presenta col suo cazzo di violino...

Ma è molto brava ad arrangiare, e ha un sacco di idee.

Vabbe' ma poi lo lascia in giro e io non voglio neanche toccarlo, cioè hai idea di cosa può farci con quel violino mentre siamo nell'altra stanza.

Lady ma dai, su.

Sono seria, cazzo, cioè una che si eccita coi semafori lo capisci che può farlo con qualsiasi cosa.

Dovremmo mostrare una mentalità più aperta.

Io lo sai quanto sono aperta, ma cazzo, i coleotteri? La eccitano gli scarafaggi?

Ma magari intende le coccinelle,

Ah beh allora.

Più probabilmente credo che anche in questo caso si tratti di un'iperbole, e comunque mi sembra che il brano dica che c'è qualcosa di peggio di concupire i semafori o i coletteri.

Cosa c'è di peggio?

I vigili urbani.

Ah vabbe'.

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Non so se hai afferrato il concetto

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(Sto ancora intervistando Le Solite Stronze, un gruppo punk con una sua idea del femminismo che francamente boh, vabbe', andiamo avanti).

...E arriviamo al terzo brano dell'album, che è quello che personalmente ho trovato più perturbante.

Sei uno che si perturba facile.

Beh sì, diciamo che contiene immagini abbastanza forti, che possono dare fastidio...

Infatti sono abbastanza fiera di questa canzone, credo che siamo riuscite a essere, come dici tu, perturbanti, e anche molto volgari, ma senza usare nemmeno una parolaccia.

Che cazzo ci hai con le parolacce adesso.

Ma niente, sono una scorciatoia, è facile essere volgari con le parolacce, sono bravi tutti. Anche noi in altri pezzi ne abbiamo approfittato, invece qui...

Qui io volevo cantare STROOONZOOOO per tutto il ritornello, ma mi è stato impedito.

Sarebbe stato ridondante.

STROOONZOOOO! Senti come suona bene?

La faccio annusare ai plantigradi / piuttosto di darla più a te. Qui se non sbaglio c'è un riferimento a una polemica di un paio di mesi fa... scoppiata credo su Tictoc..

Una polemica veramente del cazzo, devo dire.

Sì.

Ma proprio del cazzo, cioè bisogna avere veramente una testa di cazzo atta a recepire soltanto pensieri a forma di cazzo per non comprendere il senso della provocazione. Cioè io nei boschi non ci vado mai perché non mi va di rompere i coglioni alla natura e cazzivari, ma se ci andassi e mi capitasse di incontrare un orso secondo te resto lì a farmi sbranare?

Suppongo di no.

Il punto è che centinaia di migliaia di donne in tutto il mondo hanno detto, sentite: se invece nel bosco incontro un uomo ho persino più paura. la notizia era quella...

...poi ovviamente certa gente ha la testa di cazzo e contro questa cosa forse è inutile lottare.

Questa canzone è un vero scoppio d'ira, e mi ha fatto pensare se avevo mai sentito altre canzoni così aggressive almeno dal punto di vista verbale. Mi è venuta in mente, non so se ce l'avete presente, I Wanna Destroy You dei Soft Boys...

Eh, come no, chi è che non ascolta i Soft Boys.

Ecco, come ovvio mi vengono in mente solo brani di gruppi maschili, che magari esprimono un forte desiderio di violenza, ma è sempre del tutto estroflesso, cioè, ti distruggo, ti anniento, ti spacco la faccia, e così via.

O gli Skiantos! "Quando t'incontro per la strada ti darei i calci nei denti"!

Anche, sì giusto. Voi qualcosa l'avete presa dagli Skiantos, non dite di no.

Non diciamo di no.

Invece in questa canzone c'è una violenza fortissima, che però è completamente introflessa, cioè capisco l'ironia e l'iperbole e tutto quanto, ma è una canzone sul distruggersi la vagina piuttosto di concederla a qualcuno. 

E questa cosa ti perturba.

Beh sì. Cioè ci vedo anche una pulsione autodistruttiva, masochistica...

"La riempio di polvere pirica!"  

Che tra l'altro è un dato che mi sembra di avere riconosciuto in altre autrici femminili, cioè un'insistenza sulla sofferenza e sulla mutilazione che magari è inferta dall'uomo, ma talvolta mi sembra quasi rivendicata con orgoglio, una specie di mistica del dolore che la trovi già nelle sante medievali e arriva fino al Racconto dell'ancella e probabilmente anche più in là. 

Capisco quello che intendi dire.

Davvero?

Ma è una stronzata. 

Va bene, andiamo avanti. A un certo punto c'è una citazione da Gianni Rodari e Sergio Endrigo, o sbaglio?

In che senso?

La rima ricci/Scandicci.

Aaah, quella. Beh non era consapevole, io pensavo più al mostro di Firenze.

Ah. Oh. Eeeeh. Uh.

Vuoi fare una pausa?

No, no, è solo che per un attimo ho visualizzato e... un'ultima cosa. A un certo punto tu, credo che sia tu, canti: "la chiudo e poi butto il lucchetto".

.

Ma scusa, capisco l'iperbole e tutto quanto, ma se butti il lucchetto vuol dire che non è più chiusa... forse volevi dire che buttavi la chiave.

Cazzo, ma non ci arrivi che le serviva la rima? "La chiudo e poi butto il lucchetto, non so se hai afferrato il concetto".

Sì, ma...

Perché ci stiamo facendo intervistare da questo idiota?

È l'unico che ci ha richiamato.

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Tu non mi scrivi e non mi telefoni

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(Prosegue l'intervista con le Solite Stronze, un collettivo che si definisce punk e postmaschilista ma che ha intitolato inopinatamente il suo album
Perché non mi scrivi? Perché non mi telefoni?)

Siamo al secondo brano, che potremmo definire la title track di tutto l'album, se siete d'accordo...

Noi non siamo mai d'accordo.

E poi cazzo è una title track?

È il brano che dà il titolo all'album.

Ah beh in quel senso.

Mi sembra insomma che sia il brano su cui state insistendo di più.

Beh, in un certo senso è il primo che abbiamo realizzato... cioè qualche pezzo c'era già, ma non c'era esattamente il collettivo. Tu non mi scrivi è stato il brano che ci ha fatto pensare che aveva un senso prendere questa direzione.

Ma l'avete veramente presa? Cioè in realtà alla fine non sembra così rappresentativo del vostro stile, mi sembra che quasi tutti gli altri brani siano un po' più cattivi, mentre questo suona più...

Dai, dillo.

Non me la sento.

Ti suona più commerciale.

Beh sì, è più sbarazzino. È che è nato un po' per scherzo, da una cantilena di Fanny Tozzetti....

La nostra chitarrista.

Si chiama Fanny Tozzetti?

No, idiota, è uno pseudonimo. Non so dove l'ha tirato fuori.

Era la donna amata da...

Tuo nonno. Insomma lei quando sta aspettando una telefonata, e questa telefonata non arriva, per vincere l'ansia canta questa cosa.

Tu non mi scrivi e non mi telefoni.

Precisamente.

"Hai preso i lassativi / è per questo che non scrivi".

Sì, è un'idiozia totale, il punto è che quando abbiamo provato a farci una canzone, beh, non so perché, ma funzionava.

Poi forse abbiamo girato troppo attorno a questo concetto.

Quindi è corretto affermare che il vostro sia un concept album.

Non è corretto affermare un cazzo. Cos'è un concept album?

È appunto un album che gira tutto intorno a un concetto.

Aaah. Beh diciamo che è diventato una sorta di tormentone.

Un'ossessione, anche.

Quando non sapevamo come finire una strofa, ci mettevamo "tu non mi telefoni".

Ecco, appunto, e vorrei capire... come si concilia questo col vostro approccio, diciamo femminista?

Non si concilia.

Cioè se dai per scontato che l'unico approccio femminista sia quello empowering, siamo forti, non abbiamo bisogno di nessuno, fottetevi maschi impotenti, ecco, no. 

Potrebbe essere l'approccio del prossimo album.

Se riusciamo prima a vendere questo. 

Questo è un disco autoironico, la voce narrante è una rimastona molto incazzata perché qualcuno non le telefona. Non è senz'altro un modello. Il punk non deve fornire modelli.

Se non per sputargli addosso.

Ecco, appunto, probabilmente la nostra intenzione era quella.

Probabilmente?

Beh ho ricordi un po' vaghi, quando abbiamo composto la cosa non... non ero sempre in me, diciamo.

Diciamo che anche l'autoironia può essere empowering.

Cazzo, sì, diciamolo.

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(Noi chi siamo?) Le Solite Stronze

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Sarà l'estate delle Solite Stronze? Molto probabilmente no, ma in giro c'è perfino di peggio, e comunque sono le uniche così disperate da ricorrere a questo sito per farsi un po' di promozione. Segue una lunga chiacchierata con due membri (membre?) del collettivo, Lady Tourette e Pussy Via.

"Avete dei nomi veramente buffi, devo dire".

"La prima mezz'ora sono buffi".

"Già". 

"Io me ne sono già rotta i coglioni".

"Ecco, partirei da qui... anche se è una domanda abbastanza banale, giusto per rompere il ghiaccio... perché avete scelto l'anonimato".

"È uno pseudonimato, in realtà".

"Giusto. Ma in sostanza, nessuno sa chi siete".

"Ma chi vuoi che siamo, siamo stronze qualsiasi".

"Poi non mi sembra una grande novità. Sid Vicious mica si chiamava così..."

"Già perché voi vi definite punk".

"Ci definiamo punk?"

"C'è scritto sul bandcamp, aspetta...  Ci piace un certo tipo di punk e qualsiasi tipo di sesso purché vissuto con lancinanti sensi di colpa".

"Oddio chi l'ha scritta questa stronzata".

"Sarà stata Azzolina".

"Cheppalle anche Azzolina però".

"Azzolina è un altro membro del collettivo, se non sbaglio".

"Sì, è il membro che cerca di essere divertente".

"Madò che palla al cazzo".

"Quindi insomma non siete così punk".

"Ma certo che siamo punk, è quella cosa del sesso che non ha senso, ci piace qualsiasi tipo di sesso? come fai a dire una cosa del genere".

"No, ma levatele l'internet".

"Azzolina è quella che ha scritto Sesso con gli ursidi, ne deduco".

"Sì, diciamo che è responsabile di tutto quel côté lì, polimorfo perverso".

"Poli-che?"

"Quindi insomma voi non vi riconoscete necessariamente nelle note che ho letto sul vostro bandcamp, ad esempio, quella cosa del postmaschilismo..."

"Ah sì, quella".

"Bella stronzata".

"Le Solite Stronze sono un collettivo postmaschilista parzialmente inesistente".

"Guarda, è uno dei pochi casi in cui c'è stata davvero una discussione, cioè all'inizio c'era scritto postfemminista".

"Postfemminista?"

"Poi anche con Rosa ci siamo confrontate, e sembrava che fosse un modo di porci fuori dal femminismo, cosa che almeno per quanto mi riguarda non ha senso. Allora ci siamo dette..."

"Vaffanculo, mettiamoci postmaschilista".

"Come se avesse un senso".

"E ha un senso?"

"Boh, è un po' la classica trovata che fa discutere, quindi perché no... uno può anche ragionare così, dopo il maschilismo cosa può esserci?"

"Il femminismo".

"Per esempio".

"Quindi siete femministe".

"Di sicuro, anche se ci riconosciamo in ondate diverse... ma diventerebbe un discorso complesso".

"Più che altro una rottura di cazzo".

"In effetti date spesso la sensazione di giocare su una certa ambiguità, per esempio nel primo brano dell'album..."

"Ah, non so, quello l'ha scritto Rosa".

"È anche uno dei più ironici..."

"Sì, l'ironia è la sua cosa... penso che nasca tutto da una fantasia che a volte una persona può avere, quando ad esempio ti si rompe un rubinetto in casa, e la prima cosa che pensi è: ma per riparare questo rubinetto, chi mi devo scopare? E da qui nasce tutto un sogno a occhi aperti di Rosa che adesca un idraulico in un locale, poi se lo porta a casa e..."

"Che non mi sembra proprio una cosa femminista".

"Ma che cazzo vuoi saperne tu, invece questa idea di considerare l'uomo come un mero strumento che deve assolvere specifiche funzioni sessuali e/o manutentive e poi levarsi dai coglioni..."

"L'uomo oggetto, insomma".

"L'uomo oggetto, esatto. Voi avete rotto i coglioni per millenni con gli angeli del focolare".

"Direi che per due minuti possiamo anche ribaltare la prospettiva, non dico che sia il futuro del femminismo, ma..."

"Portrebbe trattarsi di postmaschilismo".

"Cazzo, sì".

"Scusa, devo chiedertelo. È proprio necessario che dici tutte queste parolacce?"

"È il mio personaggio".

"Ok, però..."

"Fottiti".



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