Get ready, 'cause here I come

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La storia l'ho già raccontata in due righe su Polaroid, ma è buffa, la riciclo.
Io dunque quattro anni fa mi trovavo a New Haven, Connecticut, travestito da studente. Non un granché come copertura, ma facevo del mio meglio per tenere la mia italianità sotto i livelli di guardia, e se provai a prepararmi un ragù con carne macinata agli estrogeni, ciò rimase confinato nel mio cucinino di woodland street, ingombrato da un frigorifero enorme che sparava aria fredda sui piedi.

Poi un giorno, stavo attraversando il grande prato centrale - su un lato stavano già montando il palco per i Temptations, ci sarebbe stato di lì a poco un concerto gratis dei Temptations! - lo stavo attraversando in linea retta, quando mi ritrovai in mezzo a una partita di calcetto. A New Haven, tanto tanto lontano dalla casetta mia. Mi fermai a guardarli, perché insomma, uno non sa cosa aspettarsi da  americani che giocano a calcetto, chissà se sanno toccare palla (e invece magari al college hanno fatto un seminario sul dribbling). E una ragazza in tuta che si era accorta che mi ero fermato, mi disse: wanna play? Qualcosa del genere.

Una voce nella mia testa mi diceva vacci piano, è tipo dieci anni che non tocchi palla neanche tu. E gli americani saranno anche scarsi a soccer, ma le americane hanno vinto già due coppe del mondo. Ma era solo un bisbiglio nella mia testa. Il resto della mia testa stava gridando all'unisono po, po po po po po, po. Io sono il campione del mondo. Io sono venuto tra voi nordamericani ignoranti a insegnarvi il bel giuoco. Aspettate solo un attimo che poso lo zainetto.

Quand'ero piccolo mi ritenevo in grado di giocare nel cortile della scuola, prima della campana. Siccome nessuno mi aveva mai invitato, la mia unica possibilità era lottare su tutti i palloni, tutti. Non avevo un attaccante da marcare io, io marcavo il pallone. L'unica cosa che so fare.

Il problema è che non ero uno più uno studente: quella era solo una copertura: avevo la maglietta, il laptop nello zainetto, i calzoncini, ma a guardarmi bene si vedevano i capelli bianchi, e il fiato era quello di un trentaqualcosenne, sicché dopo quattro epici minuti di gioco, io morii. Più o meno. Ebbi giusto il fiato di salutare e ringraziare, cedetti il mio posto a un nigeriano (cominciava a formarsi una fila), e mi accasciai, me lo ricordo benissimo, praticamente sotto il pennone della bandiera, pensando guarda te se mi tocca morire sotto le stelle e le strisce. Passò un aeroplano, mi sembrò che andasse a est. Ciao aeroplano, gli dissi, salutami la mamma europa, io mi sa che resto qui. Sul green di New Haven. Per aver voluto giocare a pallone, alla mia veneranda età.

Due sere dopo, sullo stesso green, arrivarono i Temptations. Un quartetto di simpatici signori dell'età di mio padre. Mi aspettavo una cosa piuttosto malinconica. Ma la malinconia non sanno neanche cos'è, i Temptations. Ballarono per tre ore, in perfetta sincronia. Mentre ballavano cantavano, non sbagliarono niente. Sudavano e cantavano, tra un pezzo e l'altro intrattenevano. Professionali, carismatici, energetici, quattro atleti di sessant'anni. Io ne avevo la metà, e su quel prato ero morto dopo aver inseguito per tre minuti un pallone.

Su Youtube i video recenti dei Temptations non rendono loro onore. Sembrano davvero una congrega di vecchietti, garantisco che quella sera non furono così. I Temptations. Che rocce. Su gente così non cresce il muschio.
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contiene sconvolgenti rivelazioni

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Cadendo, dalle nuvole a terra

In Italia la stampa fa mediamente schifo, e si sa; i blog sono solo diari adolescenziali, e quindi uno come fa per tenersi aggiornato? Di solito ci si abbona a Internazionale. C'è il meglio della stampa estera, giornalisti che vivono nel mondo vero e non nell'isoletta di Corona e Briatore, eccetera.

Sull'ultimo numero di Internazionale ho trovato un fondo di Paul Kennedy che mi ha discretamente sconvolto. E' anche on line, così potete farvene un'idea da soli. Kennedy parla di numeri. Ammette che "i dotti editoriali pieni di statistiche invitano anche il lettore più attento a girare pagina. Ma ci sono alcuni articoli pieni di dati che a mio avviso meritano un'attenta riflessione". Kennedy ne cita due che lo hanno addirittura "turbato". Sentiamo.

Il primo è un articolo del Financial Times che documenta la crescita demografica nella striscia di Gaza. "Tra il 1950 e il 2007 la popolazione di Gaza è passata da 240mila a quasi un milione e mezzo di abitanti, a causa dell'alto tasso di natalità delle famiglie palestinesi". Se gli statunitensi fossero cresciuti allo stesso ritmo, adesso sarebbero quasi un miliardo. Questo significa che "ci sono molti più giovani arabi (frustrati, arrabbiati e disoccupati) che giovani israeliani, e il loro numero sta crescendo così rapidamente da renderli incontrollabili. Se questo è vero, allora tutte le missioni di pace degli Stati Uniti o dell'Unione europea potrebbero essere inutili". Pensa un po'.

Il secondo è un pezzo del "Catholic Worker" che già nel titolo censisce la popolazione carcerata USA: "2.193.798 e continuano ad aumentare". Sono raddoppiati in meno di un decennio. Nessun Paese ha così tanta gente in carcere (nemmeno la Cina). Gli europei ne hanno sette volte in meno, in proporzione alla popolazione. Di fronte a queste cifre Kennedy ammette di rimanere confuso.

Io invece mi sono spaventato. E non tanto per la crescita demografica di Gaza, né perché gli americani stanno per avere un carcerato ogni cento abitanti. Mi sono spaventato perché Kennedy è un professore di storia di Yale, che scrive saggi di politica internazionale e ha una sua proposta per riformare l'Onu, e in questo editoriale sta lettteralmente cadendo dalle nuvole. Voglio dire, davvero là fuori c'è qualcuno che ancora non sa che la Striscia di Gaza sta scoppiando perché il tasso di crescita dei palestinesi è uno dei più grandi al mondo? Davvero un intellettuale USA può ignorare che il suo sistema economico e sociale poggia saldamente sul network di prigioni più strutturato e accogliente del mondo? Come fanno a presentare questi dati come novità sconvolgenti, come fanno a non saperle già? E se Kennedy, che sta a Yale, queste cose le ha imparate la settimana scorsa, come si spiega che io, vivendo nell'isoletta di Lele Mora e Materazzi, le so già?

Chi me le ha insegnate? Nemmeno me lo ricordo. Sono cose che mi sembra di conoscere da sempre; tanto che al limite mi aspettavo di leggere su Internazionale un pezzo che le smentisse come leggende urbane. Magari un fondo muffito di Sandro Viola sui ragazzini della prima Intifada. Magari uno di quei reportage di Marco D'Eramo dagli USA, che prendevo con le molle perché erano stampati sul Manifesto, e adesso sta a vedere che il Manifesto guardava più in là. Insomma, salta fuori che anche nell'edicola Italia ci si può fare una cultura.

Si tratta di quei semplici dati che tanti anni fa mi hanno fatto prendere una parte piuttosto che un'altra: se non sapessi che gli americani attingono dalla criminalità reclusa come da un enorme bacino di lavoro sottopagato, magari potrei essere un filoamericano anch'io. Se non sapessi che in Palestina tra qualche anno ci saranno più che palestinesi che israeliani, forse griderei forza Israele anch'io. E invece sapevo queste cose, perché le ho lette da qualche parte e non ho mai trovato nessuno che le smentisse. E non solo le sapevo, ma a un certo punto le davo persino per scontate, le consideravo banalità su cui non soffermarsi, come il due più due.

Ora mi viene il sospetto: ma quelli che mi hanno accusato, prendendosi anche sul serio, di essere antiamericano o antisemita, queste cose le sapevano? Io ero convinto di sì. Ero convinto che le sapesse anche Camillo, anche se magari non ci insisteva troppo. Eppure capita che negli USA un opinionista di area liberal le trovi sconvolgenti. Figurati i neocon, i neodem, i neolib e tutti gli altri.

Ora, qui non si tratta di sentirsi più intelligenti di un prof di Storia che sta a Yale. Per carità. L'intelligenza non c'entra molto con l'accesso alle informazioni: quello che mi schianta è che io, dei prof di Yale, degli opinionisti liberal, della grande stampa americana e internazionale, sotto sotto mi fidavo. Speravo di trovarci un centro di gravità, un brandello di oggettività nel marasma globale. E' abbastanza terrorizzante accorgersi che a volte ne sanno meno di me. Anche perché io, onestamente, non ne so molto.

Ha anche a vedere con la crisi dei trent'anni. Non importa quanto complesso stesse diventando il mondo: fin qui avevo sempre contato sull'esistenza di uomini con la barba grigia in grado di assorbire informazioni e restituire analisi di saggezza. Ma da qui in poi il rischio di imbattersi in rincoglioniti con l'aria da guru aumenta a ritmo esponenziale.

Ormai il mondo è roba nostra, ne rispondiamo noi. E' un'idea che mi spaventa, più di Gaza e Guantanamo. Mi dà le vertigini, o piuttosto l'impressione di precipitare dalle nuvole a un mondo dove ci si aspetta seriamente che io sappia quel che accade. Vien voglia di chiudersi nella stanza, rileggersi i fumetti.
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fioretti per l'anno nuovo, 1

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Un sano colpo alla botte

Numero uno, non si sfottono più i Neoconi. Basta. Finito.
Aveva un senso nel Duemilaetré. Continuava a essere divertente nel Duemilaequattro. Nel Cinque era trito, ma funzionava. Ma nel Sette basta, ormai è roba da Vanzina.

Eppure la tentazione c’è, voglio dire, come si fa? Basta un clic, e ti trovi davanti Camillo stizzito perché si sono permessi di mettere in dubbio l’intelligenza di George W, uno che si è laureato in STORIA a Yale. Scritto proprio così, tutto maiuscolo, perché si capisca che è Yale, mica un corso di ricamo. No, dico, provatevi voi a laurearvi in STORIA a Yale. E "con voti migliori di John Kerry” (John chi?)

Sì, sì, certo, ma è facile adesso. Ben altra cosa quattro anni fa. A quel tempo tutto sommato i neoconi erano il massimo. Viaggiavano col vento il poppa, avevano l’aria di chi risistema la Storia con una giocata. Era un bluff, ma è così facile, visto dal fosso del senno del poi. In realtà uno come Camillo è da apprezzare per la coerenza. È lì sulla linea da sei anni, e non si muove di un centimetro. Vi ricordate quando lanciò l’islamofascismo? Beh, lui è ancora lì: Con gli islamofascisti non si discute! Averne, di uomini come lui.

Io dico che con l’anno nuovo bisogna iniziare a preoccuparsi di una razza diversa. È tempo di dare un sano colpo alla botte.
Perché a furia di dire che gli americani hanno sbagliato tutto, qui si perde il lume. Tutti questi festeggiamenti per la tremillesima bara a stelle e strisce sono repellenti. Tutta questa intelligenza col nemico – ehi, guardate che è pur sempre un nemico. Un fanatico. Il migliore c’ha la rogna.

Prendete al Sistani. Ce l’abbiamo col Papa perché non vuole i Pacs; provate a chiederli ad al Sistani, che proibisce di parlare alle donne non sposate. No, giusto per mantenere le proporzioni. Perché tra un po’ rischiamo di farne un santino, di questo al Sistani. C’è persino un giornalista italiano che lo ha già nominato Uomo del 2007 – al Sistani, non so se ci siamo spiegati.
Che giornalista? Mah, uno di quelli dal dialogo facile con l'islam... uno senza permalink, maledizione. Aspettate, eccolo qui.
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