i soldi non puzzano, voi sì.
07-08-2007, 02:02cattiva politica, Pannella, Pd, prima pagarePermalinkMostri sacri (ma mostri comunque)
Mentre in Belgio connettersi è insospettabilmente complesso, appena si passa la frontiera francofona il wireless te lo regalano. Ora sono in un motel a Dunkerque e un poco mi dispiace non aver seguito il dibattito su Pannella. Un poco, eh.
A mo' di bilancio della stagione 2006/07, posso dire di avere identificato almeno tre mostri sacri, tre personaggi di cui non è consigliabile parlare male: Kate Moss, Leonida re di Sparta e Giacinto Pannella detto Marco. Le conclusioni traetele voi, io per quanto provi a unire i puntini non ci capisco niente (Ah, invece di Giovanni Lindo Ferretti si possono dire le cose più oscene e false, e tutti ti fanno i complimenti, ti offrono da bere, ti urlano vai così, è una figata).
Io non so nemmeno se Pannella sia ancora candidato al Pd o no. Vorrei chiarire una cosa, che evidentemente non s'è capita. Diverse persone se la sono presa perché ho osato ridurre la candidatura di Pannella ai "soldi", che sono una cosa sporca, evidentemente, di cui non si deve parlare. Ecco, attenzione: per me invece i soldi sono una cosa molto importante, di cui parlare a voce alta. Forse abbiamo fatto scuole diverse.
Magari il vostro primo approccio alla politica è consistito in un'assemblea dove si alzavano le mani per votare un documento che regolava il sistema di votazione per alzate di mano eccetera eccetera all'infinito. E' capitato anche a me di partecipare ad assemblee di questo tipo, ma quando penso alla politica non penso a questo. Le persone che ho visto crescere nella politica (anche più giovani di me! Sissignore! Esistono!), le ho sempre viste alle prese con un budget da spendere. La politica questo è: decidere dove spendere i soldi. E non c'è niente di sporco. I soldi non puzzano. Puzzano se li getti nella fogna, questo sì. Se li prendi al contribuente e li versi a un pappone, puzzano. E non è colpa né del contribuente né del pappone, sia chiaro: è colpa tua. Ma non è il caso di Pannella.
Io non credo proprio che Pannella sia un venale (neanche Mussolini in senso stretto lo era). Mi spingo a credere che non abbia mai rubato in vita sua. Però è un politico. Un politico di razza, che ha sempre campato di fundraising, dimostrando nel settore un'inventiva inesauribile e spesso anticipando i tempi, ma che ultimamente è in attesa di occupazione. Non è un mistero che abbia una voglia matta di tornare in Senato, e candidarsi alle primarie del Pd è un espediente semplice e originale per farlo. Ma dove voi vedete un problema di astratta democrazia (ha diritto o no di farsi votare?), io ci vedo prima di tutto i soldi: Marco Pannella vale la spesa? Secondo me no. E' vero che rappresenta un pezzo glorioso di storia d'Italia. E' anche vero che negli ultimi anni Pannella ha campato un po' di nobili ideali e un po' di espedienti. In un certo senso è riuscito a trasformare i nobili ideali in espedienti, e viceversa. Tutto questo è affascinante e anche ammirevole, però io non comprerei da lui una macchina, né usata né nuova. E' geniale, è storico, è nobile, è tutto quel che volete, ma non è affidabile. Ha appena festeggiato lo scioglimento di un partito che era stato fondato l'anno scorso, all'insegna del nobile ideale del Laicismo. Perché il Pd dovrebbe investire voti e risorse in un personaggio così notoriamente inquieto?
Perché bisognava fare il Pd? Per trasformare un gruppo di partiti e di personalità in qualcosa di più compatto. Ora, non c'è nessuna garanzia che Pannella, una volta eletto, si sottoponga alla disciplina di Partito. C'è il solito articolo 67 della Costituzione (un vecchio pallino dei radicali) che lo protegge: una volta eletto, il parlamentare non ha vincolo di mandato. Già. Una volta eletto. Ma eleggerlo ha un costo, e io quel costo non lo sosterrei, tutto qui.
All'obiezione più scontata (ci sono nell'Ulivo persone meno affidabili di lui, che valgono la spesa anche meno di lui), rispondo che sì, forse ci sono, se ne può parlare; ma si può parlare anche di Marco Pannella detto Giacinto, senza che caschi il mondo. Inoltre Kate Moss è una gruccia che sotto il profumo puzza di morto e Leonida un gay represso, intesi? Senza offesa per i gay, che sono maledettamente permalosi. Nyeah, nyeah, nyeah.
Mentre in Belgio connettersi è insospettabilmente complesso, appena si passa la frontiera francofona il wireless te lo regalano. Ora sono in un motel a Dunkerque e un poco mi dispiace non aver seguito il dibattito su Pannella. Un poco, eh.
A mo' di bilancio della stagione 2006/07, posso dire di avere identificato almeno tre mostri sacri, tre personaggi di cui non è consigliabile parlare male: Kate Moss, Leonida re di Sparta e Giacinto Pannella detto Marco. Le conclusioni traetele voi, io per quanto provi a unire i puntini non ci capisco niente (Ah, invece di Giovanni Lindo Ferretti si possono dire le cose più oscene e false, e tutti ti fanno i complimenti, ti offrono da bere, ti urlano vai così, è una figata).
Io non so nemmeno se Pannella sia ancora candidato al Pd o no. Vorrei chiarire una cosa, che evidentemente non s'è capita. Diverse persone se la sono presa perché ho osato ridurre la candidatura di Pannella ai "soldi", che sono una cosa sporca, evidentemente, di cui non si deve parlare. Ecco, attenzione: per me invece i soldi sono una cosa molto importante, di cui parlare a voce alta. Forse abbiamo fatto scuole diverse.
Magari il vostro primo approccio alla politica è consistito in un'assemblea dove si alzavano le mani per votare un documento che regolava il sistema di votazione per alzate di mano eccetera eccetera all'infinito. E' capitato anche a me di partecipare ad assemblee di questo tipo, ma quando penso alla politica non penso a questo. Le persone che ho visto crescere nella politica (anche più giovani di me! Sissignore! Esistono!), le ho sempre viste alle prese con un budget da spendere. La politica questo è: decidere dove spendere i soldi. E non c'è niente di sporco. I soldi non puzzano. Puzzano se li getti nella fogna, questo sì. Se li prendi al contribuente e li versi a un pappone, puzzano. E non è colpa né del contribuente né del pappone, sia chiaro: è colpa tua. Ma non è il caso di Pannella.
Io non credo proprio che Pannella sia un venale (neanche Mussolini in senso stretto lo era). Mi spingo a credere che non abbia mai rubato in vita sua. Però è un politico. Un politico di razza, che ha sempre campato di fundraising, dimostrando nel settore un'inventiva inesauribile e spesso anticipando i tempi, ma che ultimamente è in attesa di occupazione. Non è un mistero che abbia una voglia matta di tornare in Senato, e candidarsi alle primarie del Pd è un espediente semplice e originale per farlo. Ma dove voi vedete un problema di astratta democrazia (ha diritto o no di farsi votare?), io ci vedo prima di tutto i soldi: Marco Pannella vale la spesa? Secondo me no. E' vero che rappresenta un pezzo glorioso di storia d'Italia. E' anche vero che negli ultimi anni Pannella ha campato un po' di nobili ideali e un po' di espedienti. In un certo senso è riuscito a trasformare i nobili ideali in espedienti, e viceversa. Tutto questo è affascinante e anche ammirevole, però io non comprerei da lui una macchina, né usata né nuova. E' geniale, è storico, è nobile, è tutto quel che volete, ma non è affidabile. Ha appena festeggiato lo scioglimento di un partito che era stato fondato l'anno scorso, all'insegna del nobile ideale del Laicismo. Perché il Pd dovrebbe investire voti e risorse in un personaggio così notoriamente inquieto?
Perché bisognava fare il Pd? Per trasformare un gruppo di partiti e di personalità in qualcosa di più compatto. Ora, non c'è nessuna garanzia che Pannella, una volta eletto, si sottoponga alla disciplina di Partito. C'è il solito articolo 67 della Costituzione (un vecchio pallino dei radicali) che lo protegge: una volta eletto, il parlamentare non ha vincolo di mandato. Già. Una volta eletto. Ma eleggerlo ha un costo, e io quel costo non lo sosterrei, tutto qui.
All'obiezione più scontata (ci sono nell'Ulivo persone meno affidabili di lui, che valgono la spesa anche meno di lui), rispondo che sì, forse ci sono, se ne può parlare; ma si può parlare anche di Marco Pannella detto Giacinto, senza che caschi il mondo. Inoltre Kate Moss è una gruccia che sotto il profumo puzza di morto e Leonida un gay represso, intesi? Senza offesa per i gay, che sono maledettamente permalosi. Nyeah, nyeah, nyeah.
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- prima pagare
05-01-2006, 05:01coop-landia, cultura, DS, Fassino, feste dell'unità, prima pagarePermalinkFind the cost of freedom (buried in the ground).
Ma lo sapevano, i simpatici arancioni ucraini dell'anno scorso, che la Libertà tanto sospirata implicava pagare la bolletta del gas almeno due volte tanto? Probabilmente no. Adesso che l'hanno scoperto (proprio sotto il solstizio d'inverno), forse sono meno arancioni – e anche meno simpatici. L'Europa che l'anno scorso li appoggiava con tanta determinazione, si è sgonfiata al primo calo di pressione, e Putin ha vinto il negoziato. E noi cittadini del libero occidente? Continueremo a incoraggiare i nostri liberi, freddolosi amici ucraini con tante belle parole, consigli preziosi. Questi del Riformista, ad esempio.
Notate: non è che gli ucraini devono preoccuparsi del "bastone di Putin". Però, siccome il bastone c'è, e funziona, "non si scappa". Ed è inutile gridare al complotto, perché questa è semplicemente la libertà secondo il Riformista: un libero mercato in cui i prezzi per ora li stabilisce Putin (che ha il libero bastone più lungo), e poi si vedrà.
Poi uno ha voglia a dire: sono tramontate le ideologie. E discutere così, per assoluti, di "Libertà", "Democrazia", "Cultura", "Cristianesimo", "Islam", che cos'è, se non purissima ideologia? Trentenne come sono, devo dire che questi discorsi mi circondano da sopra e da sotto; e non so dire se mi nausea di più la malafede dei vecchi o la dabbenaggine dei giovani. Ma i vecchi ormai la testa l'hanno fatta e finita: non mi resta che guardare in giù e avvisare: guardate che si sta parlando di nulla, qui. La Libertà con la "L" non esiste, non esiste la Democrazia, la Cultura è più delle volte un complesso mix d'ignoranze, eccetera. Tutta ideologia, per l'appunto: specchi per le allodole, sovrastrutture. L'unica cosa di cui abbia senso parlare è l'economia, per cui (vi prego) ogni volta che qualcuno vi propone esportazioni di democrazie, rivoluzioni pacifiche e liberali, o anche solo riforme e privatizzazioni e liberalizzazioni… voi, prima di dire di sì o di no, ponetevi l'unico quesito che valga la pena: chi paga? Per favore, non fate come gli ucraini, che ci hanno messo il cuore e si sono visti arrivare il conto un anno dopo.
E questo è un principio generale, che vale anche per il caso Fassino: prima di qualunque moralismo, di qualunque autocritica o passo indietro, fatevi una domanda semplice: ma chi lo paga, poi, Fassino? Chi dovrebbe finanziarlo? Non crediate che la risposta stia scritta nera su bianca da qualche parte: non è vero. A 15 anni da Mani Pulite noi cittadini non ci siamo ancora chiariti su come si debbano finanziare i partiti. Ma i partiti, nel frattempo, esistono: e costano. Il centrodestra una soluzione provvisoria l'ha trovata: si è messa a libro paga del riccone. Bene, bravi, anzi no, corrotti, buuh! Ma la sinistra, intanto? Dovrebbe campare d'aria e di gettoni di presenza? Un partito come i DS non è solo una consorteria di parlamentari e amministratori: sotto c'è una struttura, i quadri, il servizio d'ordine, le redazioni di giornali e rivistine che nessuno acquista ma che vanno scritte bene, per le rassegne stampa, e i redattori devono sapere anche l'inglese per scrivere no free lunch senza errori… e poi c'è da studiare una fuoriuscita per i mediocri, quelli che non ce l'hanno fatta e si sono persi lungo il cursus honorum (la settimana scorsa, su Diario (23/12/05, pag. 6), Deaglio ricordava i trascorsi di Sandro Bondi: Era il sindaco del Pci di Fivizzano, cittadina della Lunigiana. Una congiuretta di paese lo fece fuori e lui si rivolse al partito: avete lavoro per me? Sì, gli dissero, va’ a raccogliere polizze per l’Unipol a Pontremoli. Lui rispose: “È un umiliazione!” (Erano gli anni in cui Consorte rendeva forti le coop). E bussò a casa Berlusconi, che lo assunse).
…E last but not least ci sono le spese di campagna elettorale, col non trascurabile dettaglio che l'Italia è in campagna elettorale permanente da dieci anni; e che l'avversario, le regole, non le ha mai rispettate e mai le rispetterà, per definizione. Lui ha il quasi-monopolio del mercato pubblicitario, può tappezzare le città di manifesti stampati e incollati a prezzo di favore, e Fassino intanto che fa? Prendi anche solo un consulente all'immagine del calibro di Klaus Davi, l'uomo che ha portato Fassino da Maria De Filippi: chi lo paga, il conto di Klaus? I mangiatori di porchetta al Festival dell'Unità? Ma anche i Festival hanno un loro prezzo (sia detto per inciso che la generazione dei volontari di ferro, patrimonio inestimabile di friggitori di porchetta, non durerà in eterno, e forse neanche altri dieci anni). Per fortuna che c'è Unipol che sponsorizza. E quanto costa, all'Unipol, sponsorizzare il Festival dell'Unità? E chi decide dove termina la sponsorizzazione e dove comincia il collateralismo? Non lo decide nessuno. O se preferite, lo decidiamo adesso qui. Ma sì: proponiamo una legge che proibisca qualunque sponsorizzazione a qualunque evento di natura politica. La moglie di Cesare dev'essere al di sopra di ogni sospetto, e anche le cugine e le cognate fino alla settima generazione – non ha nessuna importanza se qui di fronte la moglie di Gneo Pompeo ha aperto un lupanare.
Quello che indispettiva tanto in Craxi, quindici anni fa, era quel tutti rubavano, tutti sapevano. Quello che oggi indispettisce in Fassino è quel gesuitismo di ritorno, quel mettere le mani avanti, abbiamo una banca, anzi no, scusa, non vorrei che gli intercettatori equivocassero, la banca è solo tua, mi informo solo per cultura generale. C'era della grandezza in quel mariuolo di Ghino di Tacco, c'era della spavalderia, c'erano gli anni Ottanta. Fassino invece è uno che non si può nemmeno dire che rubi, tecnicamente, ma comunque già se ne vergogna. Craxi – certo – era molto più facile da odiare. Fassino fa semplicemente cascare le braccia. Ma scusa, ti fai chiamare sul cellulare? Ti fai dettare le percentuali? E scriversi una mail, ordinata, criptata, no?
Sia Craxi che Fassino, in ogni caso, non hanno fatto che cercare a modo loro una risposta alla sola domanda che valga la pena: chi paga? Dice Prodi che bisogna tracciare nuovi confini. Perfetto, sono d'accordo. E a quella "massiccia maggioranza, di Italiani per bene (per bene, non perbenisti), di cittadini onesti (moralmente onesti e non moralisti)", propongo allora di tracciare il seguente confine: mettete nero su bianco quanto siete disposti a sborsare, per avere una politica non commista alla finanza. Unipol-BNL non deve finanziare la campagna elettorale? Perfetto: fate un prezzo voi. Quanto sarebbe disposto a dare, ciascuno di noi, per togliersi Berlusconi dai piedi e avere un partito solido, strutturato e "pulito"? Bando alle ciance e alle autocritiche: fuori i soldi. Prima pagare, poi democrazia. In Ucraina hanno fatto il contrario: a momenti finivano sottozero.
Ma lo sapevano, i simpatici arancioni ucraini dell'anno scorso, che la Libertà tanto sospirata implicava pagare la bolletta del gas almeno due volte tanto? Probabilmente no. Adesso che l'hanno scoperto (proprio sotto il solstizio d'inverno), forse sono meno arancioni – e anche meno simpatici. L'Europa che l'anno scorso li appoggiava con tanta determinazione, si è sgonfiata al primo calo di pressione, e Putin ha vinto il negoziato. E noi cittadini del libero occidente? Continueremo a incoraggiare i nostri liberi, freddolosi amici ucraini con tante belle parole, consigli preziosi. Questi del Riformista, ad esempio.
La libertà ha un prezzo, no free lunch. Dovranno pagare l'energia a prezzi di mercato, diversificare i fornitori, riconvertire la loro industria. Non è una operazione che si fa in poco tempo, tanto meno va fatta sotto il bastone di Putin. Però non si scappa. Gli arancioni di Kiev, verso i quali continua ad andare la nostra simpatia e il nostro sostegno, debbono dirlo chiaramente agli ucraini e non gridare soltanto al grande complotto.
Notate: non è che gli ucraini devono preoccuparsi del "bastone di Putin". Però, siccome il bastone c'è, e funziona, "non si scappa". Ed è inutile gridare al complotto, perché questa è semplicemente la libertà secondo il Riformista: un libero mercato in cui i prezzi per ora li stabilisce Putin (che ha il libero bastone più lungo), e poi si vedrà.
Poi uno ha voglia a dire: sono tramontate le ideologie. E discutere così, per assoluti, di "Libertà", "Democrazia", "Cultura", "Cristianesimo", "Islam", che cos'è, se non purissima ideologia? Trentenne come sono, devo dire che questi discorsi mi circondano da sopra e da sotto; e non so dire se mi nausea di più la malafede dei vecchi o la dabbenaggine dei giovani. Ma i vecchi ormai la testa l'hanno fatta e finita: non mi resta che guardare in giù e avvisare: guardate che si sta parlando di nulla, qui. La Libertà con la "L" non esiste, non esiste la Democrazia, la Cultura è più delle volte un complesso mix d'ignoranze, eccetera. Tutta ideologia, per l'appunto: specchi per le allodole, sovrastrutture. L'unica cosa di cui abbia senso parlare è l'economia, per cui (vi prego) ogni volta che qualcuno vi propone esportazioni di democrazie, rivoluzioni pacifiche e liberali, o anche solo riforme e privatizzazioni e liberalizzazioni… voi, prima di dire di sì o di no, ponetevi l'unico quesito che valga la pena: chi paga? Per favore, non fate come gli ucraini, che ci hanno messo il cuore e si sono visti arrivare il conto un anno dopo.
E questo è un principio generale, che vale anche per il caso Fassino: prima di qualunque moralismo, di qualunque autocritica o passo indietro, fatevi una domanda semplice: ma chi lo paga, poi, Fassino? Chi dovrebbe finanziarlo? Non crediate che la risposta stia scritta nera su bianca da qualche parte: non è vero. A 15 anni da Mani Pulite noi cittadini non ci siamo ancora chiariti su come si debbano finanziare i partiti. Ma i partiti, nel frattempo, esistono: e costano. Il centrodestra una soluzione provvisoria l'ha trovata: si è messa a libro paga del riccone. Bene, bravi, anzi no, corrotti, buuh! Ma la sinistra, intanto? Dovrebbe campare d'aria e di gettoni di presenza? Un partito come i DS non è solo una consorteria di parlamentari e amministratori: sotto c'è una struttura, i quadri, il servizio d'ordine, le redazioni di giornali e rivistine che nessuno acquista ma che vanno scritte bene, per le rassegne stampa, e i redattori devono sapere anche l'inglese per scrivere no free lunch senza errori… e poi c'è da studiare una fuoriuscita per i mediocri, quelli che non ce l'hanno fatta e si sono persi lungo il cursus honorum (la settimana scorsa, su Diario (23/12/05, pag. 6), Deaglio ricordava i trascorsi di Sandro Bondi: Era il sindaco del Pci di Fivizzano, cittadina della Lunigiana. Una congiuretta di paese lo fece fuori e lui si rivolse al partito: avete lavoro per me? Sì, gli dissero, va’ a raccogliere polizze per l’Unipol a Pontremoli. Lui rispose: “È un umiliazione!” (Erano gli anni in cui Consorte rendeva forti le coop). E bussò a casa Berlusconi, che lo assunse).
…E last but not least ci sono le spese di campagna elettorale, col non trascurabile dettaglio che l'Italia è in campagna elettorale permanente da dieci anni; e che l'avversario, le regole, non le ha mai rispettate e mai le rispetterà, per definizione. Lui ha il quasi-monopolio del mercato pubblicitario, può tappezzare le città di manifesti stampati e incollati a prezzo di favore, e Fassino intanto che fa? Prendi anche solo un consulente all'immagine del calibro di Klaus Davi, l'uomo che ha portato Fassino da Maria De Filippi: chi lo paga, il conto di Klaus? I mangiatori di porchetta al Festival dell'Unità? Ma anche i Festival hanno un loro prezzo (sia detto per inciso che la generazione dei volontari di ferro, patrimonio inestimabile di friggitori di porchetta, non durerà in eterno, e forse neanche altri dieci anni). Per fortuna che c'è Unipol che sponsorizza. E quanto costa, all'Unipol, sponsorizzare il Festival dell'Unità? E chi decide dove termina la sponsorizzazione e dove comincia il collateralismo? Non lo decide nessuno. O se preferite, lo decidiamo adesso qui. Ma sì: proponiamo una legge che proibisca qualunque sponsorizzazione a qualunque evento di natura politica. La moglie di Cesare dev'essere al di sopra di ogni sospetto, e anche le cugine e le cognate fino alla settima generazione – non ha nessuna importanza se qui di fronte la moglie di Gneo Pompeo ha aperto un lupanare.
Quello che indispettiva tanto in Craxi, quindici anni fa, era quel tutti rubavano, tutti sapevano. Quello che oggi indispettisce in Fassino è quel gesuitismo di ritorno, quel mettere le mani avanti, abbiamo una banca, anzi no, scusa, non vorrei che gli intercettatori equivocassero, la banca è solo tua, mi informo solo per cultura generale. C'era della grandezza in quel mariuolo di Ghino di Tacco, c'era della spavalderia, c'erano gli anni Ottanta. Fassino invece è uno che non si può nemmeno dire che rubi, tecnicamente, ma comunque già se ne vergogna. Craxi – certo – era molto più facile da odiare. Fassino fa semplicemente cascare le braccia. Ma scusa, ti fai chiamare sul cellulare? Ti fai dettare le percentuali? E scriversi una mail, ordinata, criptata, no?
Sia Craxi che Fassino, in ogni caso, non hanno fatto che cercare a modo loro una risposta alla sola domanda che valga la pena: chi paga? Dice Prodi che bisogna tracciare nuovi confini. Perfetto, sono d'accordo. E a quella "massiccia maggioranza, di Italiani per bene (per bene, non perbenisti), di cittadini onesti (moralmente onesti e non moralisti)", propongo allora di tracciare il seguente confine: mettete nero su bianco quanto siete disposti a sborsare, per avere una politica non commista alla finanza. Unipol-BNL non deve finanziare la campagna elettorale? Perfetto: fate un prezzo voi. Quanto sarebbe disposto a dare, ciascuno di noi, per togliersi Berlusconi dai piedi e avere un partito solido, strutturato e "pulito"? Bando alle ciance e alle autocritiche: fuori i soldi. Prima pagare, poi democrazia. In Ucraina hanno fatto il contrario: a momenti finivano sottozero.
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15-09-2003, 00:34dialoghi, prima pagare, scuolaPermalink
Toglieteci tutto, fateci andare in giro nudi, ma lasciateci la libertà di educare (Luigi Giussani)
Vogliamo Don Giussani nudo.
“Buongiorno”.
“Buongiorno a lei, desidera?”
“Vorrei della scuola per mia figlia”.
“La vuole pubblica o privata?”
“Ecco… io non me ne intendo molto, sa? Mi spiegherebbe…”
“…la differenza? Son qui per questo. Dunque: la scuola pubblica è aperta a tutti. Gli insegnanti sono selezionati mediante concorsi di Stato o corsi specializzati. Le spese scolastiche (libri, mensa, trasporti) sono calmierati…”
“Uh, questo mi piace”.
“…Perciò la scuola pubblica tende a ridurre le distanze tra classi sociali e gruppi razziali: per sua natura è interclassista e multiculturale. Ricchi, poveri, bianchi e neri, tutti compagni di banco”.
“Ma funziona?”
“Dipende dalla società. In una società aperta, civile, con una robusta classe media, la scuola pubblica funziona a pieno regime. Per contro, se la classe media si svuota, se prevalgono spinte all’isolamento e i quartieri vengono recintati, inevitabilmente la scuola pubblica degenera in un ghetto”.
“Mmm, questo non mi piace tanto. E l’altra cos’è?”
“L’altra è una scuola di classe. Ci va chi può permetterselo. Insegnanti e dirigenti sono selezionati sul mercato del lavoro. Lo studente di una scuola privata è come un investimento: deve fruttare per forza. Conviene ai dirigenti, conviene agli insegnanti, conviene ai genitori”.
“Ma allora diventa una fabbrica di voti?”
“Dipende. Ci sono le scuole eccellenti e le scuole per finta: il mercato offre prodotti diversificati. Se sua figlia è indolente, può parcheggiarla in un votificio. Ma se sua figlia vuole sgobbare e diventare qualcuno, le consiglio una scuola privata di qualità”.
“Questo sì che è parlare! Ecco, voglio una scuola di quelle lì”.
“Bene. Fanno venti milioni”.
“Prego?”
“Forse non mi sono spiegato bene. La scuola privata costa molto di più di quella pubblica”.
“Ma io venti milioni non ce li ho!”
“Allora non se la può permettere, mi dispiace. È la legge del mercato”.
“Ma io ho diritto di scegliere!”
“Lei ha il diritto di scegliere una scuola pubblica. Ne abbiamo di ottime, sa?”
“Ma io voglio quella privata! Io ho il diritto di mandare mia figlia alla scuola privata!”
“Non è questione di diritti, è questione di soldi. Se non ha venti milioni non ce la può mandare”.
“E lo Stato, scusi?”
“Come?”
“E lo Stato dov’è? Lo Stato mi deve aiutare!”
“Lo Stato dovrebbe aiutarla a mandare sua figlia in una scuola privata?”
“Sì”.
“Senta, mi spieghi una cosa. Lei è un liberista o un assistenzialista?”
“Mah, liberista, direi”.
“Ed è sicuro di poterselo permettere?”
“Come sarebbe a dire? Essere un liberista è un mio diritto”.
“Tutelato dallo Stato, magari”.
“Precisamente”.
“Cioè, lei pensa che lo Stato debba garantirle il diritto di essere liberista”.
“Sì, perché?”
“Non se la prenda, ma temo che lei abbia le idee un po’ confuse”.
“Davvero?”
“Sì, credo che le manchino alcune nozioni fondamentali. Mi tolga una curiosità…”
“Dica”.
“…che scuola ha fatto, lei?”
“Io? Le suore, perché?”
***
Chi ha inventato i buoni scuola dovrebbe tornare a scuola. Semplicemente. Non si tratta di dover scegliere tra pubblico e privato; si tratta di non riuscire a capire la differenza. Ancora un poco e ci sarà chi chiede i buoni-benzina per andare al lavoro in macchina piuttosto che in autobus. Oppure, già, i buoni UPS per fare a meno del servizio postale.
Naturalmente, c’è anche chi fa il furbo. Ultimamente si sente spesso il nobile adagio attribuito a Don Giussani: “Toglieteci tutto, fateci andare in giro nudi, ma lasciateci la libertà di educare”. Vecchia volpe, ma per chi ci ha preso? Ci rendiamo conto benissimo che l’unico modo di spogliare l’insigne prelato e i suoi amici, l’unico modo di restituire loro l’evangelica povertà (caldamente consigliata per la prova di ammissione al Regno dei Cieli) è privarli della loro principale fonte di reddito: la scuola cattolica assistita dallo Stato laico. Che di privato, ormai, ha solo il nome. Forse sarebbe ora di darle il nome che le spetta: Scuola Parastatale.
Vogliamo Don Giussani nudo.
“Buongiorno”.
“Buongiorno a lei, desidera?”
“Vorrei della scuola per mia figlia”.
“La vuole pubblica o privata?”
“Ecco… io non me ne intendo molto, sa? Mi spiegherebbe…”
“…la differenza? Son qui per questo. Dunque: la scuola pubblica è aperta a tutti. Gli insegnanti sono selezionati mediante concorsi di Stato o corsi specializzati. Le spese scolastiche (libri, mensa, trasporti) sono calmierati…”
“Uh, questo mi piace”.
“…Perciò la scuola pubblica tende a ridurre le distanze tra classi sociali e gruppi razziali: per sua natura è interclassista e multiculturale. Ricchi, poveri, bianchi e neri, tutti compagni di banco”.
“Ma funziona?”
“Dipende dalla società. In una società aperta, civile, con una robusta classe media, la scuola pubblica funziona a pieno regime. Per contro, se la classe media si svuota, se prevalgono spinte all’isolamento e i quartieri vengono recintati, inevitabilmente la scuola pubblica degenera in un ghetto”.
“Mmm, questo non mi piace tanto. E l’altra cos’è?”
“L’altra è una scuola di classe. Ci va chi può permetterselo. Insegnanti e dirigenti sono selezionati sul mercato del lavoro. Lo studente di una scuola privata è come un investimento: deve fruttare per forza. Conviene ai dirigenti, conviene agli insegnanti, conviene ai genitori”.
“Ma allora diventa una fabbrica di voti?”
“Dipende. Ci sono le scuole eccellenti e le scuole per finta: il mercato offre prodotti diversificati. Se sua figlia è indolente, può parcheggiarla in un votificio. Ma se sua figlia vuole sgobbare e diventare qualcuno, le consiglio una scuola privata di qualità”.
“Questo sì che è parlare! Ecco, voglio una scuola di quelle lì”.
“Bene. Fanno venti milioni”.
“Prego?”
“Forse non mi sono spiegato bene. La scuola privata costa molto di più di quella pubblica”.
“Ma io venti milioni non ce li ho!”
“Allora non se la può permettere, mi dispiace. È la legge del mercato”.
“Ma io ho diritto di scegliere!”
“Lei ha il diritto di scegliere una scuola pubblica. Ne abbiamo di ottime, sa?”
“Ma io voglio quella privata! Io ho il diritto di mandare mia figlia alla scuola privata!”
“Non è questione di diritti, è questione di soldi. Se non ha venti milioni non ce la può mandare”.
“E lo Stato, scusi?”
“Come?”
“E lo Stato dov’è? Lo Stato mi deve aiutare!”
“Lo Stato dovrebbe aiutarla a mandare sua figlia in una scuola privata?”
“Sì”.
“Senta, mi spieghi una cosa. Lei è un liberista o un assistenzialista?”
“Mah, liberista, direi”.
“Ed è sicuro di poterselo permettere?”
“Come sarebbe a dire? Essere un liberista è un mio diritto”.
“Tutelato dallo Stato, magari”.
“Precisamente”.
“Cioè, lei pensa che lo Stato debba garantirle il diritto di essere liberista”.
“Sì, perché?”
“Non se la prenda, ma temo che lei abbia le idee un po’ confuse”.
“Davvero?”
“Sì, credo che le manchino alcune nozioni fondamentali. Mi tolga una curiosità…”
“Dica”.
“…che scuola ha fatto, lei?”
“Io? Le suore, perché?”
***
Chi ha inventato i buoni scuola dovrebbe tornare a scuola. Semplicemente. Non si tratta di dover scegliere tra pubblico e privato; si tratta di non riuscire a capire la differenza. Ancora un poco e ci sarà chi chiede i buoni-benzina per andare al lavoro in macchina piuttosto che in autobus. Oppure, già, i buoni UPS per fare a meno del servizio postale.
Naturalmente, c’è anche chi fa il furbo. Ultimamente si sente spesso il nobile adagio attribuito a Don Giussani: “Toglieteci tutto, fateci andare in giro nudi, ma lasciateci la libertà di educare”. Vecchia volpe, ma per chi ci ha preso? Ci rendiamo conto benissimo che l’unico modo di spogliare l’insigne prelato e i suoi amici, l’unico modo di restituire loro l’evangelica povertà (caldamente consigliata per la prova di ammissione al Regno dei Cieli) è privarli della loro principale fonte di reddito: la scuola cattolica assistita dallo Stato laico. Che di privato, ormai, ha solo il nome. Forse sarebbe ora di darle il nome che le spetta: Scuola Parastatale.
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08-04-2003, 01:12giornalisti, guerra, Iraq, prima pagarePermalink
Il costo della Vita…
Cala, cala. E non è una buona notizia
Devo fare due cose che mi seccano un po’.
La prima è ammettere che ehm, forse mi sono sbagliato. O almeno, ho cambiato idea. Insomma, non mi riconosco più in quello che scrivevo un anno e mezzo fa. (Chi se ne frega, direte voi, ma questo sito era nato anche per riordinare le mie idee).
Il 18 settembre 2001 (erano giorni un po’ convulsi), scrivevo:
Gli USA si ritirarono dal Vietnam perché il prezzo in Vite Umane era troppo alto. E da allora non sono più riusciti a combattere una guerra che fosse realmente tale. Le truppe di terra sono intervenute soltanto quando la sproporzione col nemico era tale da non poter veramente impensierire (Granada, Panama, per certi versi anche Somalia e Mozambico); quando invece il nemico aveva un esercito vero e proprio, USA e NATO hanno sostituito la guerra con la cosiddetta "operazione chirurgica": tonnellate di tritolo su Iraq e Serbia.
Non è mancato a noi occidentali 'illuminati' il tempo di criticare la viltà di queste operazioni. Ma anche manifestando contro i bombardamenti non mancavamo mai di proclamare che mai e poi mai saremmo andati in guerra contro serbi e iracheni. Ribadivamo in questo modo che le nostre Vite Umane valevano troppo: che non potevano essere spese per sollevare un Saddam Hussein o un Milosevic. Che si sollevassero da soli, i tiranni. Noi non avremmo dato un capello. (Anche se, naturalmente, eravamo tutti solidali con le povere Vite di curdi o cossovari).
Proseguivo come al solito di paradosso in paradosso per arrivare a parare qui:
Le guerre degli anni Novanta sono state terribili. Ma noi Occidentali – che pure le abbiamo combattute – non ci siamo accorti di nulla. Nel frattempo il costo della Vita Umana in certe regioni del mondo precipitava. Oggi una vita afgana, o palestinese, vale veramente poco. Oggi a un giovane del Sud del mondo, con una speranza di vita ridicola, cresciuto nella dittatura, nella povertà, nell'ignoranza, nel fanatismo, costa relativamente poco arruolarsi nella Jihad come kamikaze. Costa una Vita: la sua. Ben poca cosa. I kamikaze abbondano quando e dove la Vita non costa più nulla.
E siamo a oggi. Bush ha dichiarato guerra contro il "Male", anche da parte nostra, a quanto pare. Non sappiamo ancora che tipo di guerra sarà (ribadiamo comunque la nostra scarsa attitudine a marciare e a sparare contro altre Vite Umane, per quanto poco possano valere). Speriamo tuttavia che non si tratti dell'ennesima vigliacca 'operazione chirurgica', che farebbe precipitare ancora di più il valore della Vita in una regione del globo, contribuendo così a creare migliaia di potenziali kamikaze.
Certe dichiarazioni dell'entourage della Casa Bianca ("sarà una guerra lunga"…) fanno ben sperare. Se gli americani sono convinti che il loro nemico è Bin Laden, o l'intero Afganistan, paghino il loro prezzo in Vite Umane, rovescino l'inumana dittatura dei talebani, arrestino Bin Laden. E se hanno bisogno dell'aiuto degli alleati, ci chiedano un prezzo in vite umane: vedremo poi noi, italiani, ed europei, se siamo ancora così entusiasti di far parte della Nato.
Sono passati venti mesi, gli USA hanno combattuto due prevedibilissime guerre in Asia, che non sono state “operazioni chirurgiche”, e (questa è la novità) non hanno neanche preteso di esserlo. I soldati americani – e i loro alleati – si sono rimessi a morire, in quantità che lasciano sgomenti. In venti mesi il mito del Militare Occidentale Intoccabile si è sciolto al sole: oggi ascoltiamo i bollettini dei morti angloamericani come routine, e già iniziamo a sbadigliare al pensiero del prossimo kolossal hollywoodiano con Demi Moore nei panni di Jessica Lynch.
E intanto io ho cambiato idea. (Forse perché sono il solito bastian contrario antiamericano). Venti mesi fa pensavo che “Le guerre sono cose veramente orribili. Specie se si mandano i missili a combatterle in vece nostra”. Trovavo qualcosa di positivo nel fatto che gli Occidentali rimettessero in gioco le loro vite.
Oggi non ci credo più. Me ne sono reso conto oggi in un bar, leggendo un pezzo del Resto del Carlino. E questa è la seconda cosa che mi secca un po’ fare: lincare il Resto del Carlino. D’altronde sulla pagina in questione non ci sono donnine nude, e il pezzo di Giampaolo Pioli, Soldati in fuga dalla povertà, merita. È il tipo di pezzo che mi piacerebbe leggere sul Manifesto. (E magari ce ne sono, di pezzi così, sul Manifesto, ma al bar non lo trovo mai, e il sito è labirintico).
La guerra a Saddam sta mostrando il volto nuovo delle forze armate Usa. Non sono più la rappresentanza quasi esatta dei gruppi etnici del paese e delle sue classi sociali, ma una vera e propria super azienda. La più grande del paese con oltre 1.500.000 dipendenti in servizio effettivo. Più di 31.000 soldati non sono nemmeno cittadini. Hanno la «carta verde», il permesso di residenza permanente ma vengono da luoghi poveri e lontani. A uno di loro, il caporale Martinez-Flores di Guadalajara in Messico, morto nel suo carro armato di 60 tonnellate Abrams finito nell'Eufrate durante la battaglia di Nassiriya il «passaporto blu» il governo Usa lo ha consegnato alla moglie perché lo tenesse come ricordo e come segno di ringraziamento per l'alto sacrificio.
Vale a dire: finché lavori (e ammazzi) sei solo un immigrato; ma se muori, sei un Eroe e sei morto per la Patria.
Questo mi ricorda qualcosa: le centinaia di irregolari (il numero vero non si saprà mai) con o senza carta verde caduti l’11 settembre. Ci fu qualche senatore che ebbe la macabra idea di proporre per loro la cittadinanza post mortem.
Sul Carlino il pezzo è accompagnato da una foto di Jessica Lynch e Lori Piestewa, insieme. Sorridono. Potrebbe essere l’occasione per una tirata retorica sull’esecito democratico, che ha abbattuto le barriere sessiste e razziali, mandando a morire anche ragazze native americane, come appunto la Piestewa (in Italia c’è già chi rende onore alla “squaw caduta sotto il fuoco amico”). Invece è l’occasione per raccontare come l’esercito americano stia diventando un rifugio non solo per gli immigrati, ma per una fascia crescente della popolazione che la crisi economica spinge oltre la soglia della povertà. In fondo, è la stessa cosa che hanno in mente al Foglio (cioè sul Wall Street Journal), quando dicono che l’esercito sta dando una mano a raddrizzare i giovani: altroché se li raddrizza, gli dà una paga e una posizione sociale. In cambio, certo, ogni tanto chiede una vita: si incrocia le dita, si spera che tocchi al collega, ma se toccherà a noi, pazienza: era nel contratto.
Viene in mente una sequenza di Gangs of New York: gli immigrati appena sbarcati da Ellis Island, che ancora non sanno l’inglese, e già si ritrovano reimbarcati con una casacca blu e un fucile per andare a combattere i Sudisti. “Ma pensi che adesso ci daranno da mangiare?”
Viene in mente l’altra grande “superazienda” emergente negli USA: l’amministrazione carceraria. È da dieci anni che gli americani hanno deciso che conviene ingrandire le galere (e privatizzarle) piuttosto che spendere per lo Stato Sociale. L’ospedale più grande della California è in un penitenziario.
Viene in mente Jessica Lynch, che si è difesa strenuamente mandando al creatore più nemici che poteva, che non è una fanatica cresciuta a film di Chuck Norris (quelli secondo me restano a casa a scrivere sui blog), ma soltanto una ragazza a corto di risorse, che vuole “pagarsi il college e diventare insegnante elementare”. Insomma, forse se io fossi nato negli USA nei primi anni 80 ora mi ritroverei indosso una casacca grigioverde e un fucile, non perché io creda nella Terra della Libertà e della Democrazia, ma solo perché voglio studiare in un college decente.
E allora mi rendo conto che mi ero sbagliato, il 17 e il 18 settembre 2001, a pensare in termini di Vite Umane Occidentali e non Occidentali: che quest’occidente è sempre più una categoria immaginaria: che esistono semplicemente Vite Ricche e Vite Povere, e la grande novità degli ultimi due o tre anni è che i Poveri ormai anche negli USA e in Occidente sono maggioranza. E manovalanza.
Cala, cala. E non è una buona notizia
Devo fare due cose che mi seccano un po’.
La prima è ammettere che ehm, forse mi sono sbagliato. O almeno, ho cambiato idea. Insomma, non mi riconosco più in quello che scrivevo un anno e mezzo fa. (Chi se ne frega, direte voi, ma questo sito era nato anche per riordinare le mie idee).
Il 18 settembre 2001 (erano giorni un po’ convulsi), scrivevo:
Gli USA si ritirarono dal Vietnam perché il prezzo in Vite Umane era troppo alto. E da allora non sono più riusciti a combattere una guerra che fosse realmente tale. Le truppe di terra sono intervenute soltanto quando la sproporzione col nemico era tale da non poter veramente impensierire (Granada, Panama, per certi versi anche Somalia e Mozambico); quando invece il nemico aveva un esercito vero e proprio, USA e NATO hanno sostituito la guerra con la cosiddetta "operazione chirurgica": tonnellate di tritolo su Iraq e Serbia.
Non è mancato a noi occidentali 'illuminati' il tempo di criticare la viltà di queste operazioni. Ma anche manifestando contro i bombardamenti non mancavamo mai di proclamare che mai e poi mai saremmo andati in guerra contro serbi e iracheni. Ribadivamo in questo modo che le nostre Vite Umane valevano troppo: che non potevano essere spese per sollevare un Saddam Hussein o un Milosevic. Che si sollevassero da soli, i tiranni. Noi non avremmo dato un capello. (Anche se, naturalmente, eravamo tutti solidali con le povere Vite di curdi o cossovari).
Proseguivo come al solito di paradosso in paradosso per arrivare a parare qui:
Le guerre degli anni Novanta sono state terribili. Ma noi Occidentali – che pure le abbiamo combattute – non ci siamo accorti di nulla. Nel frattempo il costo della Vita Umana in certe regioni del mondo precipitava. Oggi una vita afgana, o palestinese, vale veramente poco. Oggi a un giovane del Sud del mondo, con una speranza di vita ridicola, cresciuto nella dittatura, nella povertà, nell'ignoranza, nel fanatismo, costa relativamente poco arruolarsi nella Jihad come kamikaze. Costa una Vita: la sua. Ben poca cosa. I kamikaze abbondano quando e dove la Vita non costa più nulla.
E siamo a oggi. Bush ha dichiarato guerra contro il "Male", anche da parte nostra, a quanto pare. Non sappiamo ancora che tipo di guerra sarà (ribadiamo comunque la nostra scarsa attitudine a marciare e a sparare contro altre Vite Umane, per quanto poco possano valere). Speriamo tuttavia che non si tratti dell'ennesima vigliacca 'operazione chirurgica', che farebbe precipitare ancora di più il valore della Vita in una regione del globo, contribuendo così a creare migliaia di potenziali kamikaze.
Certe dichiarazioni dell'entourage della Casa Bianca ("sarà una guerra lunga"…) fanno ben sperare. Se gli americani sono convinti che il loro nemico è Bin Laden, o l'intero Afganistan, paghino il loro prezzo in Vite Umane, rovescino l'inumana dittatura dei talebani, arrestino Bin Laden. E se hanno bisogno dell'aiuto degli alleati, ci chiedano un prezzo in vite umane: vedremo poi noi, italiani, ed europei, se siamo ancora così entusiasti di far parte della Nato.
Sono passati venti mesi, gli USA hanno combattuto due prevedibilissime guerre in Asia, che non sono state “operazioni chirurgiche”, e (questa è la novità) non hanno neanche preteso di esserlo. I soldati americani – e i loro alleati – si sono rimessi a morire, in quantità che lasciano sgomenti. In venti mesi il mito del Militare Occidentale Intoccabile si è sciolto al sole: oggi ascoltiamo i bollettini dei morti angloamericani come routine, e già iniziamo a sbadigliare al pensiero del prossimo kolossal hollywoodiano con Demi Moore nei panni di Jessica Lynch.
E intanto io ho cambiato idea. (Forse perché sono il solito bastian contrario antiamericano). Venti mesi fa pensavo che “Le guerre sono cose veramente orribili. Specie se si mandano i missili a combatterle in vece nostra”. Trovavo qualcosa di positivo nel fatto che gli Occidentali rimettessero in gioco le loro vite.
Oggi non ci credo più. Me ne sono reso conto oggi in un bar, leggendo un pezzo del Resto del Carlino. E questa è la seconda cosa che mi secca un po’ fare: lincare il Resto del Carlino. D’altronde sulla pagina in questione non ci sono donnine nude, e il pezzo di Giampaolo Pioli, Soldati in fuga dalla povertà, merita. È il tipo di pezzo che mi piacerebbe leggere sul Manifesto. (E magari ce ne sono, di pezzi così, sul Manifesto, ma al bar non lo trovo mai, e il sito è labirintico).
La guerra a Saddam sta mostrando il volto nuovo delle forze armate Usa. Non sono più la rappresentanza quasi esatta dei gruppi etnici del paese e delle sue classi sociali, ma una vera e propria super azienda. La più grande del paese con oltre 1.500.000 dipendenti in servizio effettivo. Più di 31.000 soldati non sono nemmeno cittadini. Hanno la «carta verde», il permesso di residenza permanente ma vengono da luoghi poveri e lontani. A uno di loro, il caporale Martinez-Flores di Guadalajara in Messico, morto nel suo carro armato di 60 tonnellate Abrams finito nell'Eufrate durante la battaglia di Nassiriya il «passaporto blu» il governo Usa lo ha consegnato alla moglie perché lo tenesse come ricordo e come segno di ringraziamento per l'alto sacrificio.
Vale a dire: finché lavori (e ammazzi) sei solo un immigrato; ma se muori, sei un Eroe e sei morto per la Patria.
Questo mi ricorda qualcosa: le centinaia di irregolari (il numero vero non si saprà mai) con o senza carta verde caduti l’11 settembre. Ci fu qualche senatore che ebbe la macabra idea di proporre per loro la cittadinanza post mortem.
Sul Carlino il pezzo è accompagnato da una foto di Jessica Lynch e Lori Piestewa, insieme. Sorridono. Potrebbe essere l’occasione per una tirata retorica sull’esecito democratico, che ha abbattuto le barriere sessiste e razziali, mandando a morire anche ragazze native americane, come appunto la Piestewa (in Italia c’è già chi rende onore alla “squaw caduta sotto il fuoco amico”). Invece è l’occasione per raccontare come l’esercito americano stia diventando un rifugio non solo per gli immigrati, ma per una fascia crescente della popolazione che la crisi economica spinge oltre la soglia della povertà. In fondo, è la stessa cosa che hanno in mente al Foglio (cioè sul Wall Street Journal), quando dicono che l’esercito sta dando una mano a raddrizzare i giovani: altroché se li raddrizza, gli dà una paga e una posizione sociale. In cambio, certo, ogni tanto chiede una vita: si incrocia le dita, si spera che tocchi al collega, ma se toccherà a noi, pazienza: era nel contratto.
Viene in mente una sequenza di Gangs of New York: gli immigrati appena sbarcati da Ellis Island, che ancora non sanno l’inglese, e già si ritrovano reimbarcati con una casacca blu e un fucile per andare a combattere i Sudisti. “Ma pensi che adesso ci daranno da mangiare?”
Viene in mente l’altra grande “superazienda” emergente negli USA: l’amministrazione carceraria. È da dieci anni che gli americani hanno deciso che conviene ingrandire le galere (e privatizzarle) piuttosto che spendere per lo Stato Sociale. L’ospedale più grande della California è in un penitenziario.
Viene in mente Jessica Lynch, che si è difesa strenuamente mandando al creatore più nemici che poteva, che non è una fanatica cresciuta a film di Chuck Norris (quelli secondo me restano a casa a scrivere sui blog), ma soltanto una ragazza a corto di risorse, che vuole “pagarsi il college e diventare insegnante elementare”. Insomma, forse se io fossi nato negli USA nei primi anni 80 ora mi ritroverei indosso una casacca grigioverde e un fucile, non perché io creda nella Terra della Libertà e della Democrazia, ma solo perché voglio studiare in un college decente.
E allora mi rendo conto che mi ero sbagliato, il 17 e il 18 settembre 2001, a pensare in termini di Vite Umane Occidentali e non Occidentali: che quest’occidente è sempre più una categoria immaginaria: che esistono semplicemente Vite Ricche e Vite Povere, e la grande novità degli ultimi due o tre anni è che i Poveri ormai anche negli USA e in Occidente sono maggioranza. E manovalanza.
06-03-2003, 02:43attivismo, indymedia, manifestaiolismi, prima pagare, tvPermalink
Ci insospettisce anche il fatto che l'attentato terroristico casualmente fallito era stato programmato nello stesso giorno e nelle stesse ore in cui il PMLI commemorava solennemente a Firenze Stalin, quasi che si volesse oscurare questo evento storico. Ciò conferma che l'altro obiettivo dei mandanti del terrorismo è quello di spingere i sinceri rivoluzionari a compiere azioni avventuristiche e sanguinarie per sottrarli alla lotta per buttar giù il governo del neoduce Berlusconi, per l'Italia unita, rossa e socialista....
Per la rubrica: “Chi ci paga i politici”...
...questa settimana esaminiamo il caso di uno dei più surreali partiti italiani: il PMLI. ML sta per Marxista-Leninista; in realtà il PMLI è la piccola conventicola degli stalinisti italiani. Le loro bandiere mettono ben in evidenza i profili dei “Cinque maestri”: Marx, Engels, Lenin, Stalin, Mao (li vedete, no?). Il loro sito (www.pmli.it) sembra una retrospettiva sulla propaganda comunista anni ’50, e ci vuole un po’ di tempo prima di rendersi conto che nei proclami inneggianti a Stalin nel cinquantenario della morte non c’è nessuna ironia.
Ora, è ben vero che in Italia non esistono (o non dovrebbero esistere) i reati d’opinione. Come è vero che i Marxisti-Leninisti, pur giustificando i morti di Stalin e Mao, non hanno mai ucciso nessuno.
Eppure io non sono d’accordo con chi li trova più patetici che pericolosi. C’è qualcosa che non mi torna.
Per esempio, i manifesti in quadricromia.
Chi ha fatto un po’ di politica ‘dal basso’, cioè distribuendo volantini, capirà quello che intendo: di solito i volantini sono tristi, in bianco e nero, con macchie grigie là dove un grafico improvvisato aveva immaginato di inserire una fotografia. Quando ci si vuole rovinare, quando c’è qualche soldo in cassa (e quando mai?), alcuni comitati o associazioni si spingono fino a stampare manifestini a due colori. E non di più, coi tempi che corrono.
Ma i Marxisti.Leninisti, che sono con tutta evidenza tre-quattro gatti, hanno manifesti in quadricromia, con tutti i colori dell’iride (il rosso specialmente). E quando vogliono ne stampano a volontà, e li affiggono dove gli pare.
Per esempio: nella mia città, dove i Marxisti-Leninisti si contano sull’unghia di un dito, sul palazzo di fianco alla sede di Rifondazione c’è un loro manifesto, abusivo, ma incollato così bene che in due anni non è ancora venuto via. È un montaggio di dubbio gusto e di sicuro effetto: un martello (contornato di falce) picchia sulla testa di un Berlusconi travestito da Mussolini. Gli automobilisti che passano di lì (e ne passano tanti), danno un’occhiata al manifesto e lo identificano con Rifondazione, che ha la sua bandiera sul terrazzo a pochi metri di distanza.
La stessa malizia che mostrano nell’arte di attaccare manifesti, si riscontra anche durante le manifestazioni di piazza. Da quando c’è il Movimento… diciamo da Genova in poi, il PMLI non s’è perso un corteo. Ma siccome sono quattro gatti e non hanno nessuna intenzione di allargare la base (se si iscrivesseo altri cinque gatti il Comitato Centrale sarebbe messo in minoranza), di solito preferiscono non marciare compatti. Piuttosto si mescolano tra la folla, con le loro belle bandierine colorate con Stalin in evidenza, e cercano di sventolarle davanti al maggior numero di teleobiettivi – preferibilmente quelli del Tg4 e di StudioAperto. Così la prima Fallaci che si sveglia durante il servizio può tuonare che è una vergogna, tutti questi milioni nelle piazze in realtà sono i soliti stalinisti, che lei quelle bandiere se le ricorda bene.
Succede la stessa cosa anche in provincia, badate: a ogni manifestazione, presidio, sit-in, ce n’è sempre uno con la sua brava bandierina che cerca di venderti il Bolscevico. Naturalmente nessuno lo ha invitato. Ma nessuno ha il coraggio di mandarlo via. Poi arriva il fotografo del giornale… ecc..
Insomma: dietro un'apparenza di partitino settario anni'70, qui c'è gente che sa fare branding in modo spregiudicato. (Dicesi branding l'abitudine dei pubblicitari di mostrare continuamente il marchio di un prodotto, per imprimerlo sulla coscienza del consumatore). Forse un po' troppo spregiudicato per degli anti-capitalisti, ma le vie della rivoluzione sono infinite, diceva Mao... o non lo diceva? Beh, avrebbe potuto dirlo.
Un discorso a parte meriterebbe il contributo del pmli a Indymedia: quando il newswire era ancora un ambiente vivibile, i marxisti-leninisti facevano del loro meglio per intasarlo con lunghissimi polentoni a base di lotta di classe e citazioni del libretto rosso, nell'ilarità generale dei frequentatori, dapprima increduli, poi divertiti, infine mortalmente scocciati. Anche qui, non sai dove l’ingenuità cede alla malizia: nell’estate del 2001 i marxisti-leninisti terminavano una loro torrenziale analisi, firmata Koba (nomignolo di Stalin), auspicando “la nascita del Forum Sociale Italiano”. Sai che roba, Koba, in quei mesi ne parlavano tutti. Ma loro lo mettono per iscritto: vuoi scommettere che tra qualche anno uno studioso, un editorialista, un magistrato, ritrova i documenti in archivio e si mette a dire che il Forum Sociale l’hanno inventato gli stalinisti?
L’ultimo episodio, forse il più significativo, è quello di ieri sera: in occasione del cinquantenario della morte di Stalin, un rappresentante del PMLI (Mino Pasca) ha avuto a disposizione una buona mezz’ora di diretta televisiva in prima serata per attaccare lo Stato Borghese e difendere le politiche di Stalin e della Terza Internazionale. Il tutto, mi duole dirlo, a “Otto e Mezza”, su La7. Va bene, Giuliano Ferrara e Luca Sofri hanno il diritto di invitare chi vogliono.
Quello che non capisco è come mai stavolta da nessun pulpito non sia partita la domanda rituale: chi vi paga? Ammesso e magari concesso che siate stalinisti per scelta di vita, chi vi finanzia le stampe in quadricromia, le bandiere serigrafate? I lettori del Bolscevico coi bollettini postali? Ma andiamo.
Ferrara invece s’interrogava sul perché un neo-stalinista possa essere invitato a un anniversario in tv e un neo-nazista no. Bella faccia tosta, visto che la scelta d’invitarlo è stata sua.
Dal mio punto di vista di spettatore di Otto e Mezza, mi sento di poterlo rassicurare: la presenza di un neo-stalinista in tv m’indigna come la presenza di un neonazista. Stavo per dire “esattamente come”, ma non mi piacciono certe simmetrie. PMLI e Forza Nuova mi fanno schifo entrambi, ma non è lo stesso schifo. E non sono nemmeno in grado di fare una graduatoria dello schifo.
Se poi Ferrara (e con lui Sofri) preferisce dare visibilità a un neo-stalinista e glissare sui neo-nazisti, il minimo che possa fare è assumersene la responsabilità.
(Piccola curiosità: lo sapevate in che partito milita attualmente il fondatore del PMLI? E' il terzo della lista)
Per la rubrica: “Chi ci paga i politici”...
...questa settimana esaminiamo il caso di uno dei più surreali partiti italiani: il PMLI. ML sta per Marxista-Leninista; in realtà il PMLI è la piccola conventicola degli stalinisti italiani. Le loro bandiere mettono ben in evidenza i profili dei “Cinque maestri”: Marx, Engels, Lenin, Stalin, Mao (li vedete, no?). Il loro sito (www.pmli.it) sembra una retrospettiva sulla propaganda comunista anni ’50, e ci vuole un po’ di tempo prima di rendersi conto che nei proclami inneggianti a Stalin nel cinquantenario della morte non c’è nessuna ironia.
Ora, è ben vero che in Italia non esistono (o non dovrebbero esistere) i reati d’opinione. Come è vero che i Marxisti-Leninisti, pur giustificando i morti di Stalin e Mao, non hanno mai ucciso nessuno.
Eppure io non sono d’accordo con chi li trova più patetici che pericolosi. C’è qualcosa che non mi torna.
Per esempio, i manifesti in quadricromia.
Chi ha fatto un po’ di politica ‘dal basso’, cioè distribuendo volantini, capirà quello che intendo: di solito i volantini sono tristi, in bianco e nero, con macchie grigie là dove un grafico improvvisato aveva immaginato di inserire una fotografia. Quando ci si vuole rovinare, quando c’è qualche soldo in cassa (e quando mai?), alcuni comitati o associazioni si spingono fino a stampare manifestini a due colori. E non di più, coi tempi che corrono.
Ma i Marxisti.Leninisti, che sono con tutta evidenza tre-quattro gatti, hanno manifesti in quadricromia, con tutti i colori dell’iride (il rosso specialmente). E quando vogliono ne stampano a volontà, e li affiggono dove gli pare.
Per esempio: nella mia città, dove i Marxisti-Leninisti si contano sull’unghia di un dito, sul palazzo di fianco alla sede di Rifondazione c’è un loro manifesto, abusivo, ma incollato così bene che in due anni non è ancora venuto via. È un montaggio di dubbio gusto e di sicuro effetto: un martello (contornato di falce) picchia sulla testa di un Berlusconi travestito da Mussolini. Gli automobilisti che passano di lì (e ne passano tanti), danno un’occhiata al manifesto e lo identificano con Rifondazione, che ha la sua bandiera sul terrazzo a pochi metri di distanza.
La stessa malizia che mostrano nell’arte di attaccare manifesti, si riscontra anche durante le manifestazioni di piazza. Da quando c’è il Movimento… diciamo da Genova in poi, il PMLI non s’è perso un corteo. Ma siccome sono quattro gatti e non hanno nessuna intenzione di allargare la base (se si iscrivesseo altri cinque gatti il Comitato Centrale sarebbe messo in minoranza), di solito preferiscono non marciare compatti. Piuttosto si mescolano tra la folla, con le loro belle bandierine colorate con Stalin in evidenza, e cercano di sventolarle davanti al maggior numero di teleobiettivi – preferibilmente quelli del Tg4 e di StudioAperto. Così la prima Fallaci che si sveglia durante il servizio può tuonare che è una vergogna, tutti questi milioni nelle piazze in realtà sono i soliti stalinisti, che lei quelle bandiere se le ricorda bene.
Succede la stessa cosa anche in provincia, badate: a ogni manifestazione, presidio, sit-in, ce n’è sempre uno con la sua brava bandierina che cerca di venderti il Bolscevico. Naturalmente nessuno lo ha invitato. Ma nessuno ha il coraggio di mandarlo via. Poi arriva il fotografo del giornale… ecc..
Insomma: dietro un'apparenza di partitino settario anni'70, qui c'è gente che sa fare branding in modo spregiudicato. (Dicesi branding l'abitudine dei pubblicitari di mostrare continuamente il marchio di un prodotto, per imprimerlo sulla coscienza del consumatore). Forse un po' troppo spregiudicato per degli anti-capitalisti, ma le vie della rivoluzione sono infinite, diceva Mao... o non lo diceva? Beh, avrebbe potuto dirlo.
Un discorso a parte meriterebbe il contributo del pmli a Indymedia: quando il newswire era ancora un ambiente vivibile, i marxisti-leninisti facevano del loro meglio per intasarlo con lunghissimi polentoni a base di lotta di classe e citazioni del libretto rosso, nell'ilarità generale dei frequentatori, dapprima increduli, poi divertiti, infine mortalmente scocciati. Anche qui, non sai dove l’ingenuità cede alla malizia: nell’estate del 2001 i marxisti-leninisti terminavano una loro torrenziale analisi, firmata Koba (nomignolo di Stalin), auspicando “la nascita del Forum Sociale Italiano”. Sai che roba, Koba, in quei mesi ne parlavano tutti. Ma loro lo mettono per iscritto: vuoi scommettere che tra qualche anno uno studioso, un editorialista, un magistrato, ritrova i documenti in archivio e si mette a dire che il Forum Sociale l’hanno inventato gli stalinisti?
L’ultimo episodio, forse il più significativo, è quello di ieri sera: in occasione del cinquantenario della morte di Stalin, un rappresentante del PMLI (Mino Pasca) ha avuto a disposizione una buona mezz’ora di diretta televisiva in prima serata per attaccare lo Stato Borghese e difendere le politiche di Stalin e della Terza Internazionale. Il tutto, mi duole dirlo, a “Otto e Mezza”, su La7. Va bene, Giuliano Ferrara e Luca Sofri hanno il diritto di invitare chi vogliono.
Quello che non capisco è come mai stavolta da nessun pulpito non sia partita la domanda rituale: chi vi paga? Ammesso e magari concesso che siate stalinisti per scelta di vita, chi vi finanzia le stampe in quadricromia, le bandiere serigrafate? I lettori del Bolscevico coi bollettini postali? Ma andiamo.
Ferrara invece s’interrogava sul perché un neo-stalinista possa essere invitato a un anniversario in tv e un neo-nazista no. Bella faccia tosta, visto che la scelta d’invitarlo è stata sua.
Dal mio punto di vista di spettatore di Otto e Mezza, mi sento di poterlo rassicurare: la presenza di un neo-stalinista in tv m’indigna come la presenza di un neonazista. Stavo per dire “esattamente come”, ma non mi piacciono certe simmetrie. PMLI e Forza Nuova mi fanno schifo entrambi, ma non è lo stesso schifo. E non sono nemmeno in grado di fare una graduatoria dello schifo.
Se poi Ferrara (e con lui Sofri) preferisce dare visibilità a un neo-stalinista e glissare sui neo-nazisti, il minimo che possa fare è assumersene la responsabilità.
(Piccola curiosità: lo sapevate in che partito milita attualmente il fondatore del PMLI? E' il terzo della lista)
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27-04-2001, 18:42burocrazy, l'eurointraprendente, prima pagarePermalink
Lettera mai spedita al Dipartimento Affari Sociali
Spett. Dipartimento Affari Sociali
Presidenza del Consiglio dei Ministri
Roma
Italia
Caro Dipartimento.
Ti dispiace se ti chiamo così, Dipartimento? Perché è a te che voglio scrivere. Non a Patrizia Cané, a Giacomo Guazzabugli, a Luigi Caballero, e nemmeno a Clara Mastroianni. Per quanto sembri una ragazza simpatica. No, voglio scrivere a te. Perché io non ce l'ho con la Cané o col Caballero. Anche quando non li trovo al telefono, oppure conto i minuti ascoltando la musichina di qualche centralino, io non ce l'ho con loro. Poveri giovanotti alle prese con le burocrazie d'Italia e d'Europa. Chissà, forse mi assomigliano anche. Perché odiarli?
Non mi piace scaricare le mie responsabilità, Dipartimento. D'accordo, sono nei casini, ma non darò la colpa a loro. Ripercorrerò la strada che mi ha condotto fin qui, oggi, e cercherò di capire dove ho sbagliato.
Verso la fine del '99 ricevetti una sovvenzione di 5000 Euro dall'Unione Europea, Direzione Politiche Giovanili. Altri due miei 'colleghi' ricevettero nel medesimo tempo la medesima somma. A smistare queste sovvenzioni eri tu, Dipartimento. Fu la prima volta che c'incontrammo. Cominciarono subito i problemi.
I. Non acquisterai beni durevoli
Per esempio: un conto era ricevere i soldi, per tutti i progetti che avevamo in mente di fare, (per carità, ne avevamo tutto il diritto, anzi…); un altro conto era spenderli. Per esempio, non potevamo acquistare nessun "bene durevole".
Cos'è un "bene durevole"? Qualsiasi cosa abbia una certa durata. Cioè, qualsiasi cosa.
La sovvenzione doveva servirci per fondare un'associazione. Ci serviva un PC, internet, stampante, telefono (addirittura un servizio centralino), una fotocopiatrice, perché no?, In seguito, avendo attivato un servizio di ospitalità, abbiamo avuto anche esigenze più prosaiche, tipo lavatrice, persiane, ferri da stiro. Tutte cose durevoli.
A me sembrava surreale, ma per te, Dipartimento, era la prassi più tipica. Devi persino avermi spiegato che così fan tutti i Dipartimenti del mondo. Sennò come impedire che qualcuno lucri sulle sovvenzioni? Già, come? (Mah… posso suggerire un bel resoconto finale?)
Un vecchio amico dalla Romagna mi spiegò l'arcano. Le associazioni che ottengono sovvenzioni in questo modo non acquistano beni durevoli, li prendono soltanto a nolo. Quando la sovvenzione è finita e rendicontata, il bene durevole passa all'associazione gratis. Tutto chiaro e pulito, alla luce del sole. Secondo me questa è la maniera migliore per diventare ladri da grandi. Tanto si sa che le regole vanno interpretate, tanto tutto è per un buon fine, una mano lava l'altra, il fine giustifica le fatture… uno parte con le migliori intenzioni e si ritrova ad Hammamet col diabete. Non fa per me.
II. Vivrai del sudore della tua fronte
C'era anche un altro problema: la sopravvivenza. Nel senso che mentre impiegavo questa sovvenzione per creare un'associazione, dovevo pure vivere, comprare il pane, il burro, il detersivo per i piatti.
Caro Dipartimento, tu stai a Roma, è vero. Pure io non vorrei proprio fare il razzista, né indulgere in certa retorica all'amatriciana. Certo, secondo te la vita inizia a quarant'anni, nel senso che siamo giovani fino a trenta e più, e certo viviamo tutti coi nostri genitori. Problemi così terra-terra come l'affitto il dieci del mese non dovrebbero toccarci. Noi dovremmo preoccuparci soltanto di spendere le nostre sovvenzioni in beni non durevoli. Vivendo d'aria, d'amore, e magari di un'esigua cresta sulle nostre sovvenzioni.
Su questo argomento si scatenò presto un dibattito tra me e i miei colleghi. Potevamo tenerci parte del nostro finanziamento per scopo personale? Detto così suonava come un furto, ma d'altro canto come ci si aspettava che campassimo? E chiamammo il Dipartimento.
Quella volta rispose, mi pare, la Cané: e il suo fu il primo di una lunga serie di "Mah, beh, chissà". A un certo punto disse anche: "C'è chi l'ha fatto". Senza aggiungere: "E oggi è a Poggioreale". Senza troppo indagare, considerammo questa risposta in senso positivo. Ma insomma, quanto potevamo tenerci?
"Non so, fate un po' voi".
Bella la vita dei sovvenzionati. Ci si fissa lo stipendio da soli. Certo, da 5000 euro più di tanto non si può lucrare. Noi ci auto-regolammo a meno della metà. Più o meno 300.000 lire al mese, giusto il pane e il burro. A distanza di un anno, non si è ancora capito come debba essere rendicontata questa cifra. "Spese personali". Mah. Anche questo mi faceva pensare a Hammamet. Mentre spalmavo il burro sul pane.
È chiaro a questo punto che dovevo trovarmi un lavoro. Sai, Dipartimento, qui da noi se uno si mette a cercare lavoro il guaio è che lo trova. Poi un giorno mi chiama a casa il Caballero:
Spett. Dipartimento Affari Sociali
Presidenza del Consiglio dei Ministri
Roma
Italia
Caro Dipartimento.
Ti dispiace se ti chiamo così, Dipartimento? Perché è a te che voglio scrivere. Non a Patrizia Cané, a Giacomo Guazzabugli, a Luigi Caballero, e nemmeno a Clara Mastroianni. Per quanto sembri una ragazza simpatica. No, voglio scrivere a te. Perché io non ce l'ho con la Cané o col Caballero. Anche quando non li trovo al telefono, oppure conto i minuti ascoltando la musichina di qualche centralino, io non ce l'ho con loro. Poveri giovanotti alle prese con le burocrazie d'Italia e d'Europa. Chissà, forse mi assomigliano anche. Perché odiarli?
Non mi piace scaricare le mie responsabilità, Dipartimento. D'accordo, sono nei casini, ma non darò la colpa a loro. Ripercorrerò la strada che mi ha condotto fin qui, oggi, e cercherò di capire dove ho sbagliato.
Verso la fine del '99 ricevetti una sovvenzione di 5000 Euro dall'Unione Europea, Direzione Politiche Giovanili. Altri due miei 'colleghi' ricevettero nel medesimo tempo la medesima somma. A smistare queste sovvenzioni eri tu, Dipartimento. Fu la prima volta che c'incontrammo. Cominciarono subito i problemi.
I. Non acquisterai beni durevoli
Per esempio: un conto era ricevere i soldi, per tutti i progetti che avevamo in mente di fare, (per carità, ne avevamo tutto il diritto, anzi…); un altro conto era spenderli. Per esempio, non potevamo acquistare nessun "bene durevole".
Cos'è un "bene durevole"? Qualsiasi cosa abbia una certa durata. Cioè, qualsiasi cosa.
La sovvenzione doveva servirci per fondare un'associazione. Ci serviva un PC, internet, stampante, telefono (addirittura un servizio centralino), una fotocopiatrice, perché no?, In seguito, avendo attivato un servizio di ospitalità, abbiamo avuto anche esigenze più prosaiche, tipo lavatrice, persiane, ferri da stiro. Tutte cose durevoli.
A me sembrava surreale, ma per te, Dipartimento, era la prassi più tipica. Devi persino avermi spiegato che così fan tutti i Dipartimenti del mondo. Sennò come impedire che qualcuno lucri sulle sovvenzioni? Già, come? (Mah… posso suggerire un bel resoconto finale?)
Un vecchio amico dalla Romagna mi spiegò l'arcano. Le associazioni che ottengono sovvenzioni in questo modo non acquistano beni durevoli, li prendono soltanto a nolo. Quando la sovvenzione è finita e rendicontata, il bene durevole passa all'associazione gratis. Tutto chiaro e pulito, alla luce del sole. Secondo me questa è la maniera migliore per diventare ladri da grandi. Tanto si sa che le regole vanno interpretate, tanto tutto è per un buon fine, una mano lava l'altra, il fine giustifica le fatture… uno parte con le migliori intenzioni e si ritrova ad Hammamet col diabete. Non fa per me.
II. Vivrai del sudore della tua fronte
C'era anche un altro problema: la sopravvivenza. Nel senso che mentre impiegavo questa sovvenzione per creare un'associazione, dovevo pure vivere, comprare il pane, il burro, il detersivo per i piatti.
Caro Dipartimento, tu stai a Roma, è vero. Pure io non vorrei proprio fare il razzista, né indulgere in certa retorica all'amatriciana. Certo, secondo te la vita inizia a quarant'anni, nel senso che siamo giovani fino a trenta e più, e certo viviamo tutti coi nostri genitori. Problemi così terra-terra come l'affitto il dieci del mese non dovrebbero toccarci. Noi dovremmo preoccuparci soltanto di spendere le nostre sovvenzioni in beni non durevoli. Vivendo d'aria, d'amore, e magari di un'esigua cresta sulle nostre sovvenzioni.
Su questo argomento si scatenò presto un dibattito tra me e i miei colleghi. Potevamo tenerci parte del nostro finanziamento per scopo personale? Detto così suonava come un furto, ma d'altro canto come ci si aspettava che campassimo? E chiamammo il Dipartimento.
Quella volta rispose, mi pare, la Cané: e il suo fu il primo di una lunga serie di "Mah, beh, chissà". A un certo punto disse anche: "C'è chi l'ha fatto". Senza aggiungere: "E oggi è a Poggioreale". Senza troppo indagare, considerammo questa risposta in senso positivo. Ma insomma, quanto potevamo tenerci?
"Non so, fate un po' voi".
Bella la vita dei sovvenzionati. Ci si fissa lo stipendio da soli. Certo, da 5000 euro più di tanto non si può lucrare. Noi ci auto-regolammo a meno della metà. Più o meno 300.000 lire al mese, giusto il pane e il burro. A distanza di un anno, non si è ancora capito come debba essere rendicontata questa cifra. "Spese personali". Mah. Anche questo mi faceva pensare a Hammamet. Mentre spalmavo il burro sul pane.
È chiaro a questo punto che dovevo trovarmi un lavoro. Sai, Dipartimento, qui da noi se uno si mette a cercare lavoro il guaio è che lo trova. Poi un giorno mi chiama a casa il Caballero:
"Leonardo c'è?"
"No, è al lavoro".
"Come?"
Un mezzo scandalo. Sotto sotto non avevi mica tutti i torti. Se io lavoro (anche 9 ore al giorno) come faccio a realizzare tutti i progetti che tu mi hai sovvenzionato? E pretendere, per di più, di farci la cresta sopra (trecento luridi testoni al mese?)
Ma cosa potevo fare? Rinunciare al progetto? Mi ero impegnato con altre persone! Rinunciare all'affitto, tornare all'affetto dei genitori? Allora, queste sovvenzioni non ce le dai per farci crescere, Dipartimento, al contrario!
Un bel pasticcio. Ne devo ancora uscire. Ma nel frattempo sento che la mia bella coscienza si è incrinata in qualche punto. Davvero ho lucrato, ho sfruttato la tua fiducia, Dipartimento, ho abusato della nostra amata Europa? Io dopotutto ce l'ho messa tutta. Quello che avrei dovuto fare di giorno l'ho fatto di sera, o nelle pause pranzo. Eppure…
III. Terrai tutti gli scontrini
Io mica sono un santo, Dipartimento, e forse non eravamo proprio fatti l'uno per l'altro. Dovevo tenere scontrini e ricevute e non l'ho fatto. Cioè, ci provavo, ma poi le confondevo, le perdevo, e loro si spiegazzavano, si rendevano impresentabili. E ogni volta sembravano cifre ridicole, ma va', vuoi farti sovvenzionare anche questo? Non ti vergogni?
IV. Non avrai altri Dipartimenti al di fuori di me
Ma tu chi sei, Dipartimento? Perché muti sempre forma, t'incarni e ti reincarni ad ogni telefonata? Passò Cané, passò Caballero, ora è il turno di questa Mastroianni.
"Non mi conosce, sono nuova qui. Quand'è che ci spedisce il rendiconto?"
"Sì, ecco, il problema è che non so cosa mettere nelle spese, perché…"
"Ci mette le cose che ha acquistato, i computer, i fax, ecc.".
"Ma mi avevano detto che queste cose non potevo comprarle!"
"Ah sì?"
Poveretta, è nuova, come fa a saperlo?
L'estate scorsa i miei due colleghi chiesero se potevano pagarsi un viaggio studio. La fregatura fu che chiamarono in due momenti diversi. A uno rispondesti sì, all'altro no. Perché? Così.
Che senso ha cambiare il personale a ogni governo? Solo perché cambia il Presidente deve cambiare anche lo spazzino del gabinetto della presidenza? Quando D'Alema tramontò dovemmo rispiegare tutti i nostri problemi a quelli di Amato. Che adesso ormai avranno già la testa ai tropici, dove andranno il tredici maggio.
Io poi sono una pratica vecchia per te, Dipartimento. Dal '99 è cambiato il regolamento, i formulari, tutto. E anche se sapessi rendicontare con chiarezza e con perizia come ho speso questi soldi, è chiaro che il mio rendiconto andrà a finire nelle mani di qualcuno che non ne sa niente.
V. Non te la prenderai per così poco
Che'tte preoccupi a fa', mi sembra di sentirti dire. Tanto quer quarcuno mica se ttiene i sordi llui, no? In fondo nessuno vuol grane. E qualcosa l'ho messo in piedi veramente. Non un lavoro, perché l'ho dovuto fare nelle pause del lavoro. Con PC presi in prestito, roba da buttare. Ma insomma, qualcosa ho combinato.
E adesso sto per spedirti questo famoso rendiconto. Non so se sto rispettando la scadenza, non so se il formulario è corretto, non me ne frega quasi più niente. Tra 24 ore sarò a Barcellona e forse riderò di tutto questo.
A volte mi viene il sospetto, Dipartimento, che tu sia lo specchio dei miei difetti. Della mia incapacità di osare. E se me ne fossi fregato da subito? Se mi fossi comprato immediatamente un bel PC e con gli avanzi mi fossi fatto un viaggio premio a Ibiza, te ne saresti davvero accorto? E mi avresti biasimato? Chi lo sa?
Può darsi invece che alla fine ci nasca un guaio. Che io debba restituirti il denaro. Allora mi sarei fatto tutto questo culo per niente. Perché in fondo tutte le scelte che ho fatto in questi due anni le ho fatte pensando a te.
Non fraintendermi. Non sono venale. È che quei soldi darebbero un senso a tutto quel che è successo. Ma se li vuoi indietro li avrai, guarda. Voglio solo non pensarci più. E mai più ti disturberò, giuro. Sentirmi un ladro mentre cercavo soltanto di lavorare, Dipartimè, chi me lo fa fa'?
"No, è al lavoro".
"Come?"
Un mezzo scandalo. Sotto sotto non avevi mica tutti i torti. Se io lavoro (anche 9 ore al giorno) come faccio a realizzare tutti i progetti che tu mi hai sovvenzionato? E pretendere, per di più, di farci la cresta sopra (trecento luridi testoni al mese?)
Ma cosa potevo fare? Rinunciare al progetto? Mi ero impegnato con altre persone! Rinunciare all'affitto, tornare all'affetto dei genitori? Allora, queste sovvenzioni non ce le dai per farci crescere, Dipartimento, al contrario!
Un bel pasticcio. Ne devo ancora uscire. Ma nel frattempo sento che la mia bella coscienza si è incrinata in qualche punto. Davvero ho lucrato, ho sfruttato la tua fiducia, Dipartimento, ho abusato della nostra amata Europa? Io dopotutto ce l'ho messa tutta. Quello che avrei dovuto fare di giorno l'ho fatto di sera, o nelle pause pranzo. Eppure…
III. Terrai tutti gli scontrini
Io mica sono un santo, Dipartimento, e forse non eravamo proprio fatti l'uno per l'altro. Dovevo tenere scontrini e ricevute e non l'ho fatto. Cioè, ci provavo, ma poi le confondevo, le perdevo, e loro si spiegazzavano, si rendevano impresentabili. E ogni volta sembravano cifre ridicole, ma va', vuoi farti sovvenzionare anche questo? Non ti vergogni?
IV. Non avrai altri Dipartimenti al di fuori di me
Ma tu chi sei, Dipartimento? Perché muti sempre forma, t'incarni e ti reincarni ad ogni telefonata? Passò Cané, passò Caballero, ora è il turno di questa Mastroianni.
"Non mi conosce, sono nuova qui. Quand'è che ci spedisce il rendiconto?"
"Sì, ecco, il problema è che non so cosa mettere nelle spese, perché…"
"Ci mette le cose che ha acquistato, i computer, i fax, ecc.".
"Ma mi avevano detto che queste cose non potevo comprarle!"
"Ah sì?"
Poveretta, è nuova, come fa a saperlo?
L'estate scorsa i miei due colleghi chiesero se potevano pagarsi un viaggio studio. La fregatura fu che chiamarono in due momenti diversi. A uno rispondesti sì, all'altro no. Perché? Così.
Che senso ha cambiare il personale a ogni governo? Solo perché cambia il Presidente deve cambiare anche lo spazzino del gabinetto della presidenza? Quando D'Alema tramontò dovemmo rispiegare tutti i nostri problemi a quelli di Amato. Che adesso ormai avranno già la testa ai tropici, dove andranno il tredici maggio.
Io poi sono una pratica vecchia per te, Dipartimento. Dal '99 è cambiato il regolamento, i formulari, tutto. E anche se sapessi rendicontare con chiarezza e con perizia come ho speso questi soldi, è chiaro che il mio rendiconto andrà a finire nelle mani di qualcuno che non ne sa niente.
V. Non te la prenderai per così poco
Che'tte preoccupi a fa', mi sembra di sentirti dire. Tanto quer quarcuno mica se ttiene i sordi llui, no? In fondo nessuno vuol grane. E qualcosa l'ho messo in piedi veramente. Non un lavoro, perché l'ho dovuto fare nelle pause del lavoro. Con PC presi in prestito, roba da buttare. Ma insomma, qualcosa ho combinato.
E adesso sto per spedirti questo famoso rendiconto. Non so se sto rispettando la scadenza, non so se il formulario è corretto, non me ne frega quasi più niente. Tra 24 ore sarò a Barcellona e forse riderò di tutto questo.
A volte mi viene il sospetto, Dipartimento, che tu sia lo specchio dei miei difetti. Della mia incapacità di osare. E se me ne fossi fregato da subito? Se mi fossi comprato immediatamente un bel PC e con gli avanzi mi fossi fatto un viaggio premio a Ibiza, te ne saresti davvero accorto? E mi avresti biasimato? Chi lo sa?
Può darsi invece che alla fine ci nasca un guaio. Che io debba restituirti il denaro. Allora mi sarei fatto tutto questo culo per niente. Perché in fondo tutte le scelte che ho fatto in questi due anni le ho fatte pensando a te.
Non fraintendermi. Non sono venale. È che quei soldi darebbero un senso a tutto quel che è successo. Ma se li vuoi indietro li avrai, guarda. Voglio solo non pensarci più. E mai più ti disturberò, giuro. Sentirmi un ladro mentre cercavo soltanto di lavorare, Dipartimè, chi me lo fa fa'?