Il sacrificio di Fini

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Il guaio di esserci appassionati di politica, magari quindici o vent'anni fa, e di non essercene ancora inspiegabilmente stancati, è che rischiamo di essere vittima delle nostre inutili frustrazioni, di vecchi rancori che non hanno più senso, perché non siamo mica al bar sport qui, non ci stiamo mica sfottendo tra interisti e milanisti; a parte che anche lì, se alla fine Ibrahimovic può passare al Milan, perché non potrebbe Fini apparentarsi col PD? Chi siamo noi per dire di no, da quale pilastro di granitica coerenza ci sporgiamo con l'aria dei duri e dei puri? E perché continuiamo ad avercela con D'Alema, che senso ha tenersi al dito per tutti questi anni uno sgarbo, una cattiva parola? Già, sono detriti di vecchie passioni che non hanno più senso, se mai lo hanno avuto - io però non lo voterò, Gianfranco Fini; e non mi fiderò di D'Alema. Lo so che tutti cambiano, e ammetto che Fini è molto cambiato, e voglio sperare che D'Alema avrà imparato dai tanti suoi errori: ugualmente, grazie, no. E' un comportamento irrazionale, me ne rendo conto. Un comportamento che non fa onore a un elettore moderno, democratico, postideologico, postballevarie.

Mi resta il dubbio che sia un problema di cognomi. Voglio dire: se al posto di "Gianfranco Fini" e tutto quello che mi rappresenta dal MSI a Berlusconi, ci fosse uno sconosciuto che dice le cose che Fini ha detto negli ultimi mesi, lo voterei? Accetterei di votare una coalizione dove c'è anche lui in un bel collegio blindato? Ho votato per la Binetti, ho mandato Calearo in parlamento, probabilmente sì, ci manderei anche lui. Non si chiamasse Gianfranco - oh, Gianfranco, perché sei tu Gianfranco? rinnega il tuo nome. Sì, potrei accettarlo. Peccato che chi mi consiglia una mossa del genere sia lo stratega di cento battaglie perdute, Massimo D'Alema - ma anche lui, perché si ostina a farsi chiamare così? Basterebbe che la stessa strategia me la suggerisse "Mario Rossi", e potrebbe sembrarmi ragionevole. Lo vedete? E' un problema di cognomi, e delle lunghe storie che ci sono dietro.

Proviamo a farne a meno. Cancelliamo il cognome D'Alema, cancelliamo il nome Gianfranco, e anche i nomi dei partiti, cancelliamo tutto. Tabula rasa. Fingiamo di essere atterrati da pochi minuti su un pianeta XYZ, dove due anni fa ci sono state le elezioni con una legge elettorale uninominale con sbarramento al 4%. Hanno partecipato alla competizione il Polo Arancione, il Centro Giallo, il Polo Marron e la Rifondazione Bordeaux. Le percentuali si sono ripartite più o meno così:



Sì, sono una schiappa coi grafici, grazie. La collocazione dei partiti a destra, a centro e a sinistra non ha nulla a che vedere con le rispettive ideologie, che non conosciamo assolutamente. L'unica cosa che sappiamo è che gli elettori dei due principali blocchi detestano i dirigenti del blocco opposto. Come avrete notato la mezza torta non arriva al 100%: in effetti mancano briciole, che non passeranno comunque lo sbarramento (non lo passano nemmeno i bordeaux, se è per questo). L'impressione generale è di equilibrio: con questi numeri il Centro Giallo potrebbe fare da ago della bilancia - se non si trattasse, appunto, di uninominale con sbarramento al 4% (la faccio semplice, in realtà è più complicata, lo so). Infatti la vera ripartizione dei seggi in Parlamento sarà questa:

Come dicevamo i Bordeaux sono scomparsi: in nessun distretto del pianeta erano abbastanza radicati da oltrepassare lo sbarramento. I Gialli no, ma soltanto perché sono ben radicati in una regione; una regione periferica, ancorché molto popolata, e dotata di una classe dirigente particolarmente corrotta e di organizzazioni criminali eccezionalmente professionali. Quindi, in sostanza, gli Arancioni, col 46% dei suffragi, hanno i numeri per governare, e i Marron i numeri per stracciarsi le vesti, aprire un dibattito interno, cambiare i vertici, tutte quelle cose che un Partito di solito fa quando perde.

Dopo due anni succede una cosa abbastanza imprevista: una spaccatura nella coalizione di maggioranza provoca un travaso di seggi verso il Centro Giallo, che si ribattezza pomposamente Terzo Polo Giallo. Il problema è che di poli, per definizione, anche sul pianeta XYZ ce ne possono essere soltanto due: è la regola del gioco, chi vince prende più o meno tutto. I dati del terzo grafico sono presi da un sondaggio della settimana scorsa; nel frattempo pare che l'ondata gialla si sia un po' sgonfiata, comunque prendiamoli per buoni. Ecco qua:

Come vedete, sono tornati i Bordeaux, che nel frattempo si sono scissi tra Bordeaux e Lillà. I primi qui valgono da soli un 4,5%, e quindi hanno qualche chances di tornare in Parlamento; quanto al Centro, pardon, Polo Giallo, la sua sopravvivenza è fuori discussione, non fosse per quei famosi distretti elettorali della regione periferica eccetera.
Ma questi sono solo sondaggi. Vincerà chi sa interpretare meglio lo spirito del gioco. Direi che i principi  fondamentali sono:

1) Piacere al proprio elettorato di riferimento. Sembra banale, in realtà è la cosa più difficile. L'astensione è sempre più forte, e penalizza le due coalizioni più grandi. In realtà un partito che riuscisse a piacere davvero al suo elettore-tipo potrebbe vincere le elezioni infischiandosi di qualsiasi alleanza o apparentamento.

2) Coprirsi alle estremità. Esse sono popolate da partitini piccoli e minuscoli, che con i loro 0,5 per cento non vinceranno mai una circoscrizione, ma possono essere decisivi nel far perdere il concorrente moderato. Gli arancioni lo sanno bene, e alla loro estremità hanno tirato su qualsiasi cosa, compresi i topi di fogna. I marron hanno più difficoltà: anche se si alleano coi Bordeaux, rimane il problema dei Lillà. Che non danno eccessivi pensieri, comunque.

3) Proporsi al Centro, per erodere qualche voto ai Gialli e addirittura agli avversari. Da anni ci provano tutti, in realtà non ci riesce nessuno.

Il problema, per i due veri concorrenti (Arancioni e Marron), è sempre quello della "coperta troppo corta": coprendoti alle estremità ti scopri al Centro; e mentre tiri di qui e di là vieni meno al primo principio: rimanere fedeli al proprio elettore. In effetti quello che ha dato la marcia in più agli Arancioni è un leader in grado di assorbire le contraddizioni senza risolverle: sotto il suo mantello mette insieme nordisti e meridionali, liberisti e statali, cattolici e mignotte, incredibile ma è così. Ah, inoltre possiede quasi tutte le reti televisive, buffo.

Rimane da capire cosa succederà ai Gialli. Non scompariranno, ma non possono in nessun modo vincere le elezioni. Possono invece farle perdere. A chi? Le possibilità stavolta sono soltanto due:

a) Se partecipano da soli, possono dare notevoli fastidi agli Arancioni: molto più grossi di quelli che i Bordeaux potrebbero dare ai Marron. Basta raccogliere un due per cento qua e un tre per cento là per far perdere agli Arancioni decine di seggi. E con decine di seggi in meno si perdono le elezioni.

b) Se partecipano con i Marron, l'effetto di disturbo nei confronti degli Arancioni viene a mancare del tutto. Inoltre i Marron rischiano di strappare la coperta: di non convincere il proprio elettorato o quello dei Bordeaux, che potrebbe ripiegare sui Lillà o sul partitino di un ex comico televisivo. Potrebbero compensare la perdita di voti con i seggi che sicuramente guadagneranno in quella famosa regione un po' corrotta: ma li dovranno spartire, probabilmente a tutto vantaggio di quel Centro Giallo che manterrà un'identità diversa, e che dopo le elezioni, anche in caso di vittoria, potrebbe comunque decidere di andarsene per i fatti suoi, o tornarsene in braccio a Papà Arancione. Visto che non c'è un solo Giallo importante che non abbia un passato arancione (uno veramente c'è: si chiama Rutelzxcvcvzx, conta lo 0,5, e ha cambiato più partiti che cravatte).

Dunque, io se fossi nei Marron, non avrei neanche un attimo di esitazione: Cercherei di coprirmi agli estremi, aprendo ai Viola, magari anche ai Lillà e al comico televisivo. E abbandonerei i Gialli al loro destino: molti di loro cadranno sotto lo sbarramento, ma il loro sacrificio non sarà vano: toglieranno ai candidati Arancioni quel due, quel tre per cento che serviva a farli vincere. E' chiaro che ai Gialli non piacerà il loro ruolo di vittime sacrificali, ma siccome sono mesi che litigano con gli Arancioni e li considerano i nemici del futuro e della libertà, si tratta di essere coerenti e di affrontare serenamente il giudizio degli italiani, pardon, il giudizio degli abitanti del pianeta XYZ. Quindi su, ragazzi, che chi muor per la Patria vissuto è assai. Al limite vi faremo un monumento. E verremo a dar le briciole ai piccioni.

Tutti d'accordo, insomma? No. So che è incredibile, ma c'è tra le fila dei Marroni un fine politologo che insiste per un'alleanza Bordeaux-Marron-Gialla. Si chiama Mario Rossi, e io non ho motivi per dubitare delle sue competenze (in realtà non lo conosco molto) ma veramente non riesco a capire il suo ragionamento. Davvero crede che i Marron riusciranno a prendere qualche voto in più alleandosi con quelle facce gialle che per anni i loro elettori hanno visto sui manifesti  nemici? Ma se anche vincessero, quanto a lungo durerebbe l'arcobaleno giallo-bordeaux-marron? Sono domande a cui Mario Rossi non risponde. Certo, ha l'aria di saperla lunga, e voglio pensare che i rudi calcoli che qui ho fatto io li abbia fatti anche lui. E quindi? Niente, a questo punto non mi resta che fidarmi di Mario Rossi. In fondo sono appena arrivato sul pianeta Xyz, devo ancora imparare tante cose; mentre lui ha l'aria di uno che la sa lunga. E poi chissà quante elezioni ha già vinto.
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Che fare?

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Va bene, insomma, è andata così. Ma adesso cosa farete?

Cosa fare dopo la spranga è sull'Unita.it, e si commenta qui, (ma anche qui, e magari in altri posti che non so). In bocca al lupo a chi ne ha un gran bisogno.

Cosa fare dopo la spranga


Se c'è qualcosa che ho trovato discutibile, nelle parole di Saviano sugli scontri di Roma, è l'evocazione degli anni anni di piombo, “la trappola degli anni '70, di cui si sente già il puzzo”: l'idea, insomma, che gli incappucciati di lunedì diventino, man mano che si alza la tensione, i brigatisti di domani. È una teoria suggestiva, che si è sentita tante volte, e che a mio parere non funziona. La spranga non conduce alla p38, così come la canna non porta infallibilmente all'eroina.

Proviamo per una volta ad accantonarli, quei puzzolenti anni '70, e a dare un'occhiata al passato più recente. Dieci anni fa, per esempio, in Italia c'era un movimento composito e più o meno organizzato che aveva per obiettivi i vertici internazionali. Tute bianche a nord, Rete No Global a sud, e una spolverata di anarcoinsurrezionalisti qua e là, oltre ai fantomatici Black bloc dal nord Europa. Anche a quei tempi di spranghe e di caschi se ne videro parecchi, anche allora la repressione fu pesante. Bene, dove sono i 'violenti' di dieci anni fa? Hanno formato gruppi terroristici? No, non è successo. Nessuno è entrato nelle vecchie organizzazioni, come le Br, ridotte a una setta di reduci; nessuno ne ha fondate di nuove. A meno di non voler contare i bombaroli dei cassonetti, quegli anarchici informali che sono pure l'organizzazione terroristica autoctona oggi più temuta dal ministero degli Interni (il che equivale a dire che oggi non esiste una organizzazione terroristica italiana degna di nota).

Persino nei momenti più difficili, quando a Genova i manifestanti furono caricati e torturati con una brutalità sistematica che non aveva precedenti, nemmeno il più esagitato attivista prese mai seriamente in considerazione l'opzione del terrorismo. La stagione della p38 è finita, in Italia e in generale in Europa: semmai sono stati gli anni Settanta un'eccezione, nata e alimentata all'ombra della cortina di ferro, in una situazione geopolitica che non esiste più. Tirarli fuori è un riflesso condizionato dei reduci – che a questo punto vanno verso la sessantina. Chi è più giovane dovrebbe preoccuparsi d'altro.

Per esempio: se dopo la spranga non c'è la P38, cosa c'è? Ecco, il problema è un po' questo. Per Berlusconi c'è la campagna elettorale, che paradossalmente è cominciata proprio col voto di fiducia del 14 dicembre; e dal suo punto di vista non poteva iniziare meglio. L'immagine di Piazza del Popolo a ferro e a fuoco era esattamente quello che gli serviva per dimostrare ai suoi tele-elettori di età medio-avanzata che l'unica alternativa a lui è il Caos. Il favore reso dai vandali a Berlusconi è tanto evidente che siamo stati in molti, a caldo, a pensare agli infiltrati. È un sospetto che rimane legittimo, anche dopo che è stato identificato il ragazzo del famoso “cappotto marron”; se non altro perché certi metodi in Italia sono stati usati più volte, Cossiga insegna; ma visto che mi ero ripromesso di non parlare più dei '70, mi basta ricordare che di infiltrati ce ne furono a Genova, che si misero perfino a fabbricare molotov; e se nel frattempo i quadri della polizia non sono troppo cambiati, gli uomini al governo sono più o meno gli stessi. Certo, per trasformare un corteo in una battaglia non basta una manciata di agenti provocatori; eppure alcuni dettagli restano inquietanti: quel camion di cantiere pieno di badili e pale, lasciato in bella mostra a pochi passi dal Senato; il modo in cui la camionetta dei finanzieri è stata lasciata in prima fila, quasi a fare da esca, che ricorda in modo sinistro la dinamica di Piazza Alimonda.

Detto questo, diversi studenti hanno probabilmente scelto la spranga convinti che quella fosse l'unica opzione praticabile in quel momento. Sono stati messi in condizione di farlo da un governo che finora ha irriso le loro richieste, e al momento giusto li ha messi all'angolo, col vecchio trucco della 'zona rossa'. È andata così: ma adesso? Cosa succede dopo la spranga?

Potrebbe anche non succedere più niente: la spranga sarebbe semplicemente l'inizio della fine. A volte è successo. La risposta di molti giovani (e meno giovani) a Saviano è stata: non c'eri, non puoi capire, è da un anno che manifestiamo pacificamente e non succede nulla, adesso siamo stanchi. La spranga come segno di disperazione, di stanchezza. Ci può stare. Il problema è che di solito dopo la stanchezza e la disperazione non viene nulla di buono: la rassegnazione, il più delle volte. Qualcuno si radicalizzerà, raccogliendo le provocazioni del governo che blatera di "daspo" e "arresti preventivi". Qualcun altro non raccoglierà; ci saranno distinguo e secessioni; qualcuno, semplicemente se ne andrà, come il quindicenne che era in piazza a tirare verdura alla polizia, aggredito da un cappuccio nero, che si è svegliato all'ospedale e ha già fatto sapere che nei cortei non verrà più: uno in meno. Altri emigreranno all'estero, altri resteranno e si rassegneranno a un futuro difficile, magari aspettando la prossima riforma sbagliata, la prossima ondata di protesta, la prossima repressione.

Io però voglio essere ottimista: la spranga potrebbe anche essere un errore da cui si impara. Gli studenti che in questi giorni sono entrati in sciopero della fame sono già entrati con molta serietà in una fase diversa, ugualmente rischiosa, ma lontana dalle trappole mediatiche. Certo, non si tratta semplicemente di dire “no” al tafferuglio, ma di inventarsi qualcosa di nuovo. Anche in questo caso ci sono precedenti: chi ricorda Genova nel 2001 non dovrebbe dimenticarsi che l'anno dopo ci fu il Forum Mondiale di Firenze, tre meravigliosi giorni di incontri e non di scontri, per la stizza di Oriana Fallaci che era venuta apposta a fiutare il sangue e i fumogeni, e trovò una festa di gente che discuteva di tagli alle emissioni e Tobin Tax (le cose di cui oggi, troppo tardi, si parla ai vertici veri).

Il guaio è che a distanza di così pochi anni di quel Forum non si ricorda quasi più nessuno. Delle mazzate di Genova, sì, ci ricordiamo. Persino delle p38 degli anni Settanta, che sono roba dei nostri genitori, a volte dei nonni. Ma dei grandi cortei pacifici contro la guerra in Iraq no, si è quasi persa la memoria. È come se il tempo spazzasse via tutto, gli errori e le cose buone che abbiamo fatto, e ci lasciasse soltanto il ricordo delle mazzate che abbiamo preso o dato. E questo, purtroppo, resta il più grande argomento a favore della spranga.http://leonardo.blogspot.com
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Di putridi e di puri

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Rifiuti berlusconi, fonte di ogni male?
(An english version)

Ma cos'è questa puzza?

Leonardo.

Eh? Chi mi chiama?

Leonardo, rispondi attentamente. Ricordi il tuo cognome?

È personale.

Che professione svolgevi?

Come sarebbe a dire “svolgevo”... scusate, però, risponderò volentieri a tutte le domande, ma aprite una finestra, perché questa puzza io...

Ricordi la tua data di nascita?

Certo. Ahem. Undici. Ventinove. Settantatredici... scusate, è strano, ho un'... un'amniocentesi...

Ricordi la tua data di morte?

No, quella proprio no, mi dispiace.

In che anno ritieni di essere?

Io... boh, dalle parti più o meno del Duemila e...

Mi spiace, ma non c'è un modo gentile per dirtelo: siamo nel 2273.

Peeerò.

Ora, rispondi con franchezza. Pensi di essere vivo o morto?

Uhm, se sono vivo dovrei essere molto, molto anziano. D'altronde, nel secondo caso... si spiegherebbe la puzza.

Leonardo, sei stato resuscitato.

No! Sul serio! Ma io lo sapevo, infatti, meno male che sono rimasto cattolico fino alla fine, lo sapevo che...

Non è la resurrazione cattolica.

Lo sapevo. Fregato anche stavolta. Siete musulmani?

Siamo antiberlusconiani.

State scherzando.

No. La nostra civiltà – che è sorta sulle ceneri della vostra – poggia su solidi pilastri morali, uno dei quali è il rifiuto di ogni berlusconi.

Ma no, anche quelli piccoli e biondi? Che vi hanno fatto di male?.

Già, è pur vero che ai tuoi tempi “Berlusconi” era ancora un nome proprio. No, per noi “berlusconi” è un nome comune e rappresenta tutto ciò che è malvagio, meschino, appariscente, tronfio, vaniloquente, egoista, fine a sé stesso, amorale e fiero d'esserlo, ignorante e fiero d'esserlo...

Va bene, ho capito.

...Maschera di plastica, fonte di ogni malizia, fonte d'ogni corruttela, torre eburnea nello sterco delle miserie umane...

Ho detto che ho capito.

Quando si cominciano le litanie berlusconiane non si possono interrompere, altrimenti bisogna ricominciarle da capo.

Ci credete parecchio, in questa cosa.

È il pilastro della nostra civiltà. Il rifiuto di ogni berlusconi.

Mi fa piacere, e mi sento onorato di poter partecipare in qualche modo partecipare, anche se... non mi si potrebbe deodorare in qualche modo?

Vai benissimo così.

Se lo dite voi.

Dici di sentirti onorato. Perché?

Beh, mi avete resuscitato... voglio dire, grazie.

Perché credi di essere stato resuscitato?

Non saprei... suppongo che non lo facciate con tutti, ecco.

No. C'è già fin troppa gente in giro.

Ecco. Magari resuscitate persone che in un qualche modo sono state importanti, che hanno lasciato cose interessanti...

Se tu ci avessi lasciato cose interessanti, perché resuscitarti? Ci terremmo le tue cose e ti porteremmo dei fiori ogni tanto.

Giusto.

Devi sapere che oggi, 29 settembre 2173, noi come ogni anno “festeggiamo” - si fa per dire - il Berlusconi originario.

E quindi mi avete resuscitato perché... sono un antico antiberlusconianiano, ecco, volete una testimonianza oculare, capisco.

Ma sentitelo, il serpente.
Non si rende nemmeno conto.
Silenzio, silenzio.

Leonardo, ogni 29 settembre noi resuscitiamo un berlusconiano del passato, un uomo che incarni la vergogna della nostra ex civiltà, per processarlo e per punirlo come merita.

Aaaaah, come quel Papa del medioevo, processato da cadavere, una cosa così. E io chi sarei, un testimone?

Tu sei l'imputato.

Eh?

Alzati in piedi.

Non ce li ho, e comunque, anche se li avessi.... ehi, mi sto alzando! Galleggio nell'aria! La vostra tecnologia è davvero straordinaria!

È la tecnologia dei pupi medievali, ti abbiamo attaccato dei fili e ti stiamo sollevando come una marionetta.

Molto scenografico comunque. Mi dispiace, capisco la vostra ritualità, però... c'è il problema che io non sono un berlusconiano.

Ti dichiari innocente, quindi.

Ma certo. Voglio dire, capisco che lorsignori non possano aver letto tutto quello che ho scritto a riguardo, però...

Sei uno degli autori più conosciuti e studiati del secolo XXI.

Ah sì? Questa poi.

Non vantarti! ciò è berlusconi.

Mi rendo conto, e tuttavia mettetevi in me, prima mi resuscitate e poi mi dite che sono letto e studiato...

Non per le tue qualità. Quindici anni fa è collassata internet, e tutte le opere del vostro secolo sono andate perdute.

E i libri di carta?

Li avevamo già bruciati come combustibile. Per far funzionare internet.

E quindi...

Tutto quello che ci resta del secolo XXI è metà di un libro di Bruno Vespa, i sessantatré vangeli di Marco Travaglio, e una chiavetta usb con alcuni tuoi post redatti tra il 2001 e il 2010.

Beh, credo che sia più che sufficiente per dimostrare che io non ero berlusconiano, anzi sono sempre stato un acceso...

Bestemmiatore!
Vipera!

Silenzio, fratelli, silenzio! Mondatevi d'ogni berlusconi. Leonardo, hai o non hai scritto, nel dicembre del 2010, che bisognava amare Berlusconi?

Sì, ma mica ero serio, io...

Hai o non hai scritto nell'aprile del 2009, che occorreva “educare le giovani generazioni a darla a B. per il gusto di farlo, senza pretendere contropartite televisive o parlamentari”?

Probabilmente sì, è il mio stile, ma...

Riconosci queste tue affermazioni del giugno 2010? “Io voglio Berlusconi per venti minuti tutte le sere, a reti unificate. Mi stanno bene Santoro e Floris, purché i loro ospiti parlino unicamente di Berlusconi, e ne parlino bene. Io voglio sanzioni pecuniarie, non per chi parla male di Berlusconi, ma per chi omette di parlarne bene in qualsiasi discorso. Voglio una lode a Berlusconi in calce a tutti i resoconti sportivi della Gazzetta, a tutti gli oroscopi, a tutte le recensioni del Mucchio.

Uh, il Mucchio, me n'ero dimenticato del Mucchio.

Oppure, dicembre 2009: “Io ho fatto tesoro degli insegnamenti di un politico geniale, che ha vinto molte elezioni e che prima di far politica faceva marketing, e che ai suoi esperti di comunicazione raccomandava sempre di pensare al cliente come a un bambino di 11 anni, neppure tanto intelligente”.

Sì, è mia anche questa, ma scusate, non è che al rogo con la carta ci avete mandato anche tutta l'ironia, eh?

Non prenderti gioco di noi! Non attentarti nemmeno! Ciò è...

...è Berlusconi.

Noi conosciamo benissimo l'ironia. Abbiamo Socrate e abbiamo Pirandello. Noi riconosciamo lo scetticismo filosofico e il sentimento del contrario.

Mi fa piacere, quindi avrete capito che...

Quindi non possiamo notare tutte le volte in cui per anni hai usato l'ironia per umanizzare Berlusconi, per dare forme umane al Male incarnato. In questo modo hai aiutato i tuoi lettori a convivere con la Bestia.

Ma non esageriamo, io...

Quando hai cercato di umanizzare lo scandaloso amante di Noemi Letizial'orribile gaffeur di Strasburgo, non eri dunque consapevole di quello che facevi?

Ma io semplicemente cercavo il risvolto umano...

E sbagliavi, perché nulla di umano v'era nel Maligno! L'amarissima pillola che gli italiani per più di vent'anni hanno dovuto inghiottire, tu pretendevi di zuccherarla con la tua ironia a buon mercato.

Va bene, ma c'ero anch'io in quei vent'anni, ho sofferto anch'io. A volte scrivere era solo un modo per sfogarsi...

Lo udite? Confessa! Confessa di aver trascorso quegli anni a scribacchiare raccontini in cui si umanizzava il Malvagio, invece di insorgere, come sarebbe stato suo preciso dovere, contro la Biscia fatta carne.

Sentite, io sono un uomo, un cadavere anzi, di un altro secolo, e quindi i vostri toni non li riesco a condividere, però ammetto che qualche ragione potreste avercela, voglio dire, riflettendoci, se avessi scritto meno e fossi insorto un po' di più, magari il berlusconismo finiva prima... perché è finito a un certo punto, no?

Certo che è finito!

Ecco, scusate, poi potete anche condannarmi se vi va, ma mi togliete la curiosità di spiegarmi com'è finito? Perché non riesco proprio a ricordarmelo, forse ero già sottoterra.

Siamo stati salvati dagli Uomini Puri. Quelli che non hanno collaborato col male, come hai fatto tu. Quelli che non hanno addolcito la perfidia con la finta ironia dei deboli, cioè la tua.

Uomini puri. Chi l'avrebbe detto.

Certo tu non li conoscevi.

Eh no. Ma da dove sono saltati fuori, scusate.

Erano in clandestinità. Fuori dal circuito mediatico, dove sarebbero stati intercettati e resi inoffensivi, come te.

Già, probabilmente era l'unica. Restare nascosti nelle grotte. Non sporcarsi le mani.

Alcuni erano al confino, altri in prigionia, ma non hanno mai smesso di lottare e sperare. Nomi scolpiti sui nostri templi, nomi che tu nemmeno conosci: Gianfranco Fini, Pierferdinando...

Eh?

Non interrompere il Sacro Appello dei Camerati che salvarono l'Italia dalla fetida serpe. Gianfranco Fini, colonna di rettitudine, che mai si piegò alle lusinghe di Arcore; Pierferdinando Casini, campione di castità, che con un solo sguardo convertì alla purezza centinaia di escort; Enrico Mentana...

Mentana?

Il più coraggioso e schivo dei reporter, che per vent'anni in clandestinità diffuse i samizdat che inchiodavano lo strapotere di Mediaset; Carlo Taormina....

CHI???

...faro della giustizia, intrepido magistrato che tra cento e mille perigli e attentati perseguì il Perfido fino a incriminarlo; e il più savio dei savi, colui che senza affettare alcuna ingiusta pietà lo consegnò stanco e tremante alla folla che brandiva i forconi...

Questo fammelo indovinare. Gianni Letta.

Bravo. Ma come puoi ricordare...

Non importa. Quindi voi siete stati salvati da Fini, Casini, Mentana, Taormina, Letta...

Non insozzare con la tua lingua putrida i nomi dei Puri che ci liberarono dal Male!

Già, giusto, ciò sarebbe berlusconi. Facciamola finita. Mi dichiaro colpevole. Chiedo la pena di morte.

Ma sei già morto.

Quindi che pena avevate in mente?

Getteremo le tue ossa nel Secchia, cancelleremo tutto quello che hai scritto, raschieremo il tuo nome da ogni documento, e lasceremo che ruggine e muffa devastino i luoghi che ti diedero la luce.

Il policlinico di Modena? capirai lo sforzo.

Ma infatti.

Minima spesa massima resa.

Eh, sai com'è, la crisi, i tagli al budget.

Giustamente, siamo nel ventitreesimo secolo, mica si possono buttar via i soldi nei processi ai morti.

Sarebbe troppo una cosa quasi...

Quasi berlusconi.

Ce l'avevo sulla punta della lingua.

Comincio a capirvi. Posso andare?

No, no, adesso entrano i bambini.

Ma che schifo, gli fate vedere un cadavere appeso?

Hanno tutti una freccetta in mano, chi ti becca in testa vince un Gianfranco di cioccolato.

Fico.
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Su internet la qualità dei commentatori è inversamente proporzionale al prestigio dell'autore. Non ci sono più gli Anarchici Informali di una volta. Gli israeliani sono esseri umani come noi, che qualche volta rubano gli organi (come noi). Matrix racconta la storia degli attentatori dell'11 settembre. Molta maniaci del presepe non aprirebbero mai la loro stalla a una famiglia di rifugiati. Il leghista medio a scuola si sente schiacciato tra stranieri e radicalscic. Del resto le quote stranieri sono una fregatura. E anche l'olocausto rischia di diventare una catena di Sant'Antonio. Quando potremo progettare un mondo virtuale lo faremo più o meno come quello di Avatar: e se servirà l'unobtanium, saccheggeremo tutti i mondi non virtuali che ne contengano. Ma riusciremo per allora a vivere senza Vasco Errani? Internet mi ha fatto risparmiare tantissimo in aspirapolveri. Certo, le escort lo usano per pubblicare annunci gratis: è uno scandalo, dovrebbero pagare i quotidiani. Berlusconi, non lo direste mai, ma qualche elezione ogni tanto la perderebbe volentieri. E i preti pedofili? Se si sposano, diventano meno pedofili? Io non credo. Berlusconi, dicevo, a volte perderebbe volentieri, ma gli passa subito. I veri vincitori sono i leghisti: ma quand'è che vanno al governo e combinano qualcosa? Comunque le elezioni non sono andate così male. I terremoti non si possono prevedere, nemmeno su internet. Le eruzioni del Vesuvio sì, ma quelle non interessano a nessuno. È morto Raimondo Vianello, dopo anni di congelamento. Gli emiliani sono come i tortellini: buoni, ma anche basta. Per cancellare la Resistenza dalle scuole bisogna prima studiarla, la Resistenza, nelle scuole. Quando guardo un film italiano mi sembra che la mia vita sia più interessante, poi mi addormento e sogno zombi a Milano. Il Consiglio di Stato dice che chi non vuole fare l'ora di religione ha diritto a un insegnante che gli insegni qualcos'altro. A un certo punto in primavera sembrava che Santoro valesse dieci milioni; sai quanti quotidiani di sinistra ci paghi con dieci milioni? Io comunque sarei per abolire le vacanze pasquali, non avete idea del risparmio. Certi film avrebbero solo bisogno di una buona stroncatura, Fofi dovrebbe adoperarsi di più in tal senso. L'Inno nazionale, per esempio, ormai ti tocca rivalutarlo – magari non la prima strofa. Gli insegnanti odiano i test, hanno paura di diventare ingranaggi di una macchina che non capiscono. Tanto più ora che comunque il petrolio per fare andare le macchine sta finendo. Dicevo che se io se fossi in Berlusconi ogni cinque anni farei governare un po' il centrosinistra, così mi riposo, loro mettono a posto il bilancio, e poi alle elezioni li straccio. Ma basta parlare di Berlusconi, cominciamo a parlare degli eredi di Berlusconi. In tanti anni su internet non avevo mai visto foto di bambini svestiti e picchiati, finché non ho cominciato a frequentare i siti antipedofili. Sbaglio? Mi correggerò, ma in 48 ore non ci riesco. Tanta gente per salvare le donne condannate a morte farebbe qualsiasi cosa, salvo ospitarle. La Gelmini vuole premiare gli insegnanti che truccano meglio i test. Isoradio dovrebbe informarmi sul traffico, non servirmi indigeste madeleine sui peggiori anni della mia vita. Asterix è un collaborazionista al soldo dell'Impero McDonald. Veltroni, in Africa, sarebbe più sereno. Mussolini, che sia esistito o no, ha scritto diari interessanti. Ma un Ministero a Milano crea più posti di lavoro che a Roma? La verità è che se volessimo una scuola più laica dovremmo studiare più Bibbia. Grazie, siete un pubblico meraviglioso. Quando l'artista punta il dito (medio) noi guardiamo il dito (medio). Il problema non sono i giornalisti spazzatura, sono i lettori di spazzatura. Saremmo un grande Paese se solo accettassimo di essere un grande Paese del Terzo Mondo, e Berlusconi lo sa. Anche Celentano lo sa, ma non sa come si scrive. Ruby invece è una mitomane. Perché prevenire le inondazioni quando basta farti inquadrare con una vanga per vincere le elezioni? Ho scritto una cazzata? E che sarà mai. I radicali sono liberi di fare quel che gli pare, ok, ma perché devo votarli io? Perché i vecchietti non vanno in pensione, invece di andare a escort e azzuffarsi nei locali? Forse col digitale terrestre si calmeranno, guarderanno le repliche dei telefilm e non voteranno più Berlusconi. Che non ne può più, secondo me. Ma non molla: non ci libererà finché non lo ameremo.

Ho una teoria compie un anno. È stato faticoso e incredibile, e il meglio deve ancora arrivare. Buon 2011.
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Uno cento mille Cossiga

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Update: questo pezzo è stato originariamente pubblicato con le immagini prese da questo post di Mazzetta che mostravano un manifestante curiosamente equipaggiato con armi e strumenti in dotazione alla polizia. Le immagini successivamente sono state diffuse un po' dappertutto, e il tizio è stato identificato come uno studente, per esempio sul Post e su Indymedia (Indymedia Lombardia in questo caso, Indy Roma ha altre priorità). Credo che il senso del mio pezzo non cambi di molto se le tolgo.

Comunque coraggio

Sono stanco, è stata una giornata dura. Immagino che molti abbiano riflettuto molto più di me, e fatto notare il paradosso di un voto di fiducia che ci avvicina alle elezioni. È ovvio che con una maggioranza così risicata Berlusconi non sarà in grado di governare: è altrettanto naturale che non sia nelle sue intenzioni (è discutibile che governasse prima). L'importante è restare al centro della scena e dimostrare che nessuna maggioranza è possibile: quindi nessuna riforma della legge elettorale è possibile. Così, a occhio, il vero vincitore è Bossi, che voleva le elezioni a primavera e le avrà. E le vincerà, probabilmente. Più appannata appare, per ora, la stella del suo alleato. Però da qui a primavera c'è tutto il tempo per organizzarsi e riportare a casa il risultato. Chi è scettico, pensi a quanto sembrava spacciato Berlusconi qualche settimana fa, sommerso dagli schizzi del bunga bunga. Gli si è lasciato un mese di tempo, ecco il risultato. La sua fine, quando sarà, verrà alle spalle e improvvisa: non c'è alternativa, se gli lasci un po' di tempo lui si riorganizza e ti sistema. Qualcuno da comprare lo troverà sempre.

Sono stanco, e invidio chi a sinistra già sta facendo partire il training autogeno: dai che a primavera possiamo farcela. Mi spiace molto, ma secondo me no: non abbiamo i numeri, soffriamo una legge elettorale che ci penalizza, mentre il nostro avversario controlla i media che orientano il giudizio del grosso dell'elettorato – che non si orienta ancora su facebook, e nemmeno nelle riserve indiane di Annozero o Ballarò. L'offensiva mediatica che stiamo per subire sarà la più violenta; in effetti la mia unica speranza è che fallisca per esagerazione. In fondo i registi, i Fede e i Vespa sono anziani, conoscono perfettamente il loro pubblico anziano ma potrebbero anche rimbecillirsi un po', calcare troppo la mano. Finora non è mai successo, ma chissà.

Nel frattempo Roma brucia, e per loro non c'è uno scoop migliore. Che gli utenti di Minzolini e Mimun abbiano chiaro che oltre Berlusconi c'è il caos, l'anarchia, il black block con la kappa che da anni non ha più niente a che vedere con il gruppo storico: non si tratta semplicemente di pigrizia dei cronisti, ormai dobbiamo accettare il neologismo: quando in mezzo a un corteo spuntano caschi neri e radio della polizia, ivi è il black block, e il gioioso spontaneismo di qualsiasi onda verde o arcobaleno è finito.

Non sarò il solo stanotte o domattina a citare Cossiga; fa lo stesso, non m'interessa essere originale: citiamo tutti Cossiga, all'infinito, alla noia, diventi l'ultimo Cossiga the new Pasolini; metti che qualche studente non lo abbia mai sentito e in queste stesse ore si stia convincendo che lanciar sassi a un celerino è cosa fighissima. Dunque, studenti, mentre vi esprimo la massima stima, vi scongiuro di non ascoltare i consigli di quelli della mia generazione o successive, chiunque vi rompa le palle con le masturbazioni sul sessantotto o il settantasette o il gìotto di Genova e di meditare unicamente queste frasi dell'ex Ministro degli Interni Franceso Cossiga, boia:

"Infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città...
Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri. Le forze dell'ordine dovrebbero massacrare i manifestanti senza pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli a sangue e picchiare a sangue anche quei docenti che li fomentano. Non quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì".
"l'ideale sarebbe che di queste manifestazioni fosse vittima un passante, meglio un vecchio, una donna o un bambino, rimanendo ferito da qualche colpo di arma da fuoco sparato dai dimostranti: basterebbe una ferita lieve, ma meglio sarebbe se fosse grave, ma senza pericolo per la vita"
"Io aspetterei ancora un po', e solo dopo che la situazione si aggravasse e colonne di studenti con militanti dei centri sociali, al canto di 'Bella ciao', devastassero strade, negozi, infrastrutture pubbliche e aggredissero forze di polizia in tenuta ordinaria e non antisommossa e ferissero qualcuno di loro, anche uccidendolo, farei intervenire massicciamente e pesantemente le forze dell'ordine contro i manifestanti"..


Voi avete tutto quello che vi serve per essere più furbi di quanto lo siamo stati noi: un ampio dossier di errori da cui imparare. Permettete il riassunto: ogni vetrina rotta sono cinquanta voti in più all'animale. Se una videocamera riprende, i voti diventano mille. Chi tira al poliziotto, è un poliziotto. Se non lo è lo diventa in quel momento. Lasciate che si spacchino la testa tra loro, li pagano per questo. Voi non vi paga nessuno: state in gruppo, urlate, non cedete alle provocazioni. Le cose non cambieranno domani e nemmeno dopodomani. Nessuno vi ha mai detto che sarebbe stato facile. O ve l'hanno detto? Mentivano. Comunque coraggio.
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He's an impresario

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Alla fine, in fondo, SB vorrebbe solo che lo amassimo. L'amore ci libererebbe. E allora amiamolo, e non pensiamoci più (sull'Unità.it; si commenta qui).

Durante un bagno di folla un quarantenne con problemi psichiatrici aggredisce Silvio Berlusconi, fratturandogli due denti e il setto nasale. È successo esattamente un anno fa – il13 dicembre 2009, e anche se per tutta la settimana seguente non parlammo d'altro, oggi facciamo perfino fatica a ricordarcene. Tranne Berlusconi: difficilmente può essersi dimenticato un anniversario tanto doloroso. È vero che in quegli istanti reagì con una rapidità formidabile, uscendo una seconda volta sul predellino e mostrando una smorfia sanguinante ai fotografi. Tanta prontezza nello strumentalizzare persino il proprio sangue, trasformando il povero Tartaglia in un emblema di quell'opposizione “capace solo di odiare”, portò molti sul web ad avanzare il sospetto che l'episodio fosse stato concertato.

In realtà il dolore e lo smacco per l'aggressione furono autentici. Berlusconi – lo si legge da qualche settimana su un dispaccio filtrato su wikileaks – riteneva di essere stato in pericolo di vita, o così almeno ne parlò all'ambasciatore americano: questione di centimetri, e la famigerata statuetta avrebbe potuto ucciderlo. Nei giorni successivi cadde in uno stato di depressione – se dobbiamo credere a Gianni Letta: e perché non credergli? Anche Letta ne sta parlando coi diplomatici americani. “È un impresario teatrale”, spiega Letta; “vuole che tutti lo amino”. Come dargli torto. Davvero, forse in quelle poche parole di un suo amico sincero c'è tutto quello che ci serve sapere su di lui.

Sabato, a quasi un anno di distanza, Berlusconi si è concesso l'ennesimo predellino milanese, apparendo nei pressi di un gazebo del Pdl. Un modo rapido e informale per togliere ai manifestanti del PD l'onore della prima posizione nei titoli del telegiornale. Ma anche la rivincita su Massimo Tartaglia (assolto in estate perché dichiarato incapace di intendere e di volere) e su tutti i rappresentanti del Partito dell'Odio e dell'Invidia: compresi quelli che domani cercheranno di metterlo in minoranza alle camere. Stavolta si è dimostrato abbastanza lucido: non ha promesso ai suoi fedeli miracoli contro i rifiuti o contro il cancro. Non ha affatto nascosto che i prossimi mesi saranno difficili, qualunque sia l'esito del voto di martedì. Sempre più deluso dello scarso amore con cui gli italiani lo ricambiano, Berlusconi crede comunque di poter vincere la conta di domani; sa di poter terminare la legislatura, pur con qualche difficoltà, e di avere buone carte per rivincere le elezioni e magari succedere a Napolitano al Quirinale. Per recuperare la fiducia dei parlamentari e degli elettori non gli mancano certo le risorse e gli strumenti: quello che in questa fase sembra averlo definitivamente abbandonato è l'entusiasmo: in fondo, chi glielo fa fare?

Non è una domanda così peregrina: in fondo gran parte dei problemi strutturali che sono venuti al pettine in questo periodo in Italia hanno radici assai più profonde del berlusconismo. Criminalità organizzata, corruzione, dissesto territoriale (giusto per fare alcuni esempi) sono tutti problemi che esistevano prima di lui e, ahinoi, esisteranno anche quando ce ne saremo liberati. Non è stato lui ad aver trasformato grandi aree del meridione in discariche, anche se non sta facendo molto per risolvere il problema; non dipende certo da lui la crisi finanziaria che ha messo in crisi l'area dell'euro.

Viceversa la sua determinazione a voler restare saldamente al potere, a legare alla sua immagine il destino dell'Italia proprio nel momento in cui questo destino non appare un granché roseo, è qualcosa su cui gli storici si interrogheranno a lungo. Certo, si potrebbe rispondere che lo fa per salvare i suoi interessi, mandando a monte i processi a suo carico e gratificandosi con tante leggine ad personam o ad aziendam. È una risposta razionale, ma non del tutto soddisfacente. Se si trattasse semplicemente di affari e processi, SB avrebbe potuto cedere da tempo la prima linea a qualche fedele di partito o a un membro della famiglia. Invece è ancora lì, stanco, ma non domo, già sui blocchi di partenza per la sua sesta campagna elettorale.

Forse sbagliamo nel cercare una risposta razionale a una determinazione così ostinata. Forse alla fine ha semplicemente ragione Letta: he's an impresario, tutto questo teatrino che ci allestito intorno è solo uno strumento per farsi amare. Lo scrisse anche in un libro, prontamente stampato da Mondadori subito dopo l'aggressione dell'anno scorso: L'Amore Vince Sempre Sull'Invidia E Sull'Odio. Pensavamo fosse uno slogan come un altro, neanche dei suoi migliori (un po' troppo lezioso), e invece è un programma sincero. Berlusconi non vuole semplicemente ottenere la maggioranza più uno dei seggi. Vuole che lo amiamo, e non ci lascerà liberi finché non ci avrà convinti, tutti, che è degno del nostro amore.

A questo punto ho una proposta. Amiamolo. So che non è semplice, ma se è tutto quello che vuole, accontentiamolo. È da anni che riempiamo quotidiani, programmi televisivi, monologhi teatrali, perfino blog di messaggi di odio per lui. Se invece cominciassimo a scoprire per lui qualche statua, a intitolargli un paio di piazze in vita a Firenze o a Bologna? Ma chiediamo pure alla Rai di dedicargli una fiction (a spese nostre, s'intende) in cui sconfigge i comunisti e porta in Italia la tv a colori. Se cominciassimo ad ammettere qua e là che in fondo è un brav'uomo, un po' mascalzone, ma tanto simpatico, forse l'ostinazione che a ottant'anni lo spinge ancora sui predellini verrebbe meno. E magari le prossime elezioni non sarebbero più un referendum pro e contro di lui. Certo, il ritiro di Berlusconi dalla politica non significherebbe la fine immediata del berlusconismo: quello è un fenomeno più profondo, e c'è già un'altra generazione di videoleader che scalda i motori. Però i problemi si risolvono uno alla volta. http://leonardo.blogspot.com
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Fin qui tutto bene

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Onta! Che mi sia tolta la colpa d'esser vivo fra cotanti morti! Morte. Vieni morte, bella morte. Piglia anco me, orsù che indugi, io ti invoco, tu non mi spauri...


“Ma Monicelli”.
“Eh”.
“Lo sai che ci sto ancora pensando? Ti giuro, sono dieci giorni che non riesco a smettere di pensare al vecchietto”.
“Un grandissimo”.
“Un grandissimo finale”.
“Uno dei suoi migliori”.
“Riscatta tutto il film”.
“Sì, anche perché io tutti questi film di Monicelli, ultimamente... cioè, non riesco a ricordarne uno degli ultimi vent'anni”.
“Le rose nel deserto com'era, poi?”
“Non so. L'ho preso in biblioteca, mai visto. L'ho reso dopo una settimana. Ma adesso vado a riprenderlo. Voglio dire, è il mio profeta adesso”.
“Addirittura”.
“Ma sì, ma non capisci... ci ha mostrato la via. Ce ne andremo tutti così, a novant'anni. Lui è stato il primo”.
“Arrivarci, a novant'anni”.
“Ma ci arriveremo, è questo il punto. Non siamo affatto preparati, non ci pensiamo, ma ci arriveremo quasi tutti. Se vai a vedere le statistiche sull'età media, noialtri ci arriveremo”.
“Eh, ma io mi butto prima”.
“Ecco, lo vedi? Stanno per trovare il vaccino antiaids”.
“Fico, finalmente si chiava”.
“Sì, a cinquantacinque anni, auguri a chi ti chiava”.
“Che generazione di sfigati”.
“E tra un po' arriva anche qualche cura per il cancro”.
“Evvai”.
“Quando saremo vecchi sarà tutto curabile. Il problema è che sarà tutto molto caro, quindi se non ti ammazzano i parenti per risparmiare sulle medicine e convertire la pensione, cosa ci succederà? A un certo punto ci ritroveremo da soli su un pianerottolo a pensare: mi ospedalizzo per risolvere questo polipo al pancreas e arrivare a cent'anni, attraverso un percorso lungo e doloroso, o prendo la via della finestra?”
“Monicelli ci mostra la via”.
“L'hai detta. Cadremo tutti come birilli, più o meno dal duemilaecinquanta”.
“La Chiesa non sarà per niente contenta”.
“La Chiesa sarà furiosa. Lo sai che razza di business metterà in piedi coi sanatori? Altro che otto per mille. Il cinquanta per mille, si farà dare”.
“Che sarebbe poi il cinque per cento”.
“Ci metteranno sottochiave in celle di materassi, per evitare che ci ammazziamo a testate contro il muro. Trovare il giusto pianerottolo sarà sempre una questione di pochi secondi. Monicelli è maestro di tempismo”.
“Non lo so. Io ho già le vertigini adesso, non credo che aderirò al culto monicelliano”.
“E che farai, allora? Ci pensi mai?”
“A volte ci penso”.
“E...”
“Guarda, non ridere, eh, però a volte mi viene in mente l'eroina”.
“L'eroina”.
“Sarà che sono cresciuto in quegli anni lì, che i nostri fratelli maggiori si vendevano anche il culo per uno schizzo, e io mi sono sempre chiesto: e se ne valesse la pena? Comunque, se c'è una cosa che ha funzionato con noi, intesi come generazione, è la campagna anti-eroina”.
“Beh, bastava vedere i tossici nei parchi”.
“Ecco, farò così. Andrò al parco anch'io”.
“Tu? Eroinomane?”
“A ottant'anni, in un parchetto, chi vuoi che mi badi?”
“Ti tireranno delle sòle tremende”.
“Oh, pazienza. Però è un narcotico, più o meno come quelli ufficiali che cercheranno di vendermi in farmacia per il mal di schiena e il mal di stomaco e il mal di testa e chennesò”.
“E alla prima dose tagliata male...”
“Oplà, missione compiuta, un peso in meno per il ministro del Welfare. Oppure un overdose, e non se ne parla più. In effetti dovrebbe passarla la mutua”.
“Troppo costosa. No, davvero, ci terranno sotto chiave e ci faranno pure la cresta sugli antidolorifici”.
“Monicelli lo aveva capito”.
“Un faro per tutti noi”.
“Diciamo un razzo di segnalazione”.
“Non fa ridere”.
“Tra quarant'anni, forse”.
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Chips, chips

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(Questi sono appunti per un pezzo su Vieni via con me che non ho mai avuto il tempo di scrivere. Chiedo scusa se ormai puzzano un po').

- Io non sono un esperto, ogni tanto bisogna dirlo. Di qualsiasi cosa si stia parlando in quel momento. Tv, ad esempio: io non sono un esperto. Non si può neanche dire che ne guardo. Vivo in stanze in cui è accesa, questo si può dire. Può darsi che questo a volte mi avvantaggi rispetto a critici che ci si mettono davanti come fosse il cinema, perché in effetti la tv dei grandi numeri è concepita per gente che sta facendo altro: cucina, stirare, i compiti, scrivere sui blog. Forse sono più casalinga di Voghera io di tanti. Però non sono un esperto. Ed è meglio così.

- Perché se da esperto mi avessero detto: “abbiamo in mente un nuovo format che spaccherà il culo”.
“Sentiamo”
“Dunque, al posto del comico, Roberto Saviano che fa lezioni di mezz'ora sulla camorra”.
“Interviste? Reportage?”
“Nonono, lui da solo sul palco, al massimo ogni tanto parte una clip, ma pochepoche”.
“Mhm. E poi?”
“E poi magari parte un balletto”.
“Ah, ecco”.
“Ma concettuale, anche un po' brechtiano, hai presente, e le ragazze rigorosamente coperte”.
“Rigorosamente”.
“E poi tieniti forte, perché questa è la vera bomba, dunque, ospiteremo persone famose e persone normali, e...”
“Li intervisterete, come dappertutto”.
“No! Appunto, questa è la vera bomba, tieniti forte, tieniti, perché... insomma, gli faremo leggere delle liste”.
“Delle liste”.
“Sì”.
“Ma in che senso?”
“Ma metti, per esempio, che invitiamo un parente delle vittime di piazza della Loggia, e gli facciamo leggere la lista delle vittime: una cosa così”.
“Ah”.
“Guarda che ci facciamo venti punti come niente”.
“Su raitre”.
“Eccerto”.
“A mezzanotte, tipo”.
“Nonono, questo va al lunedì contro il Grande Fratello, e lo sbaraglia, fidati”.
“Ma ne hai parlato con qualche specialista?”
“Oh, sai, “gli specialisti”, tutti credono di intendersi di tv, quando in realtà...”
“No, intendo un dottore”.

- Io di televisione davvero non m'intendo. Potevo immaginarmi che Fazio e Saviano avessero successo su Raitre perché, in effetti, Fazio e Saviano sono due certezze e hanno da sempre un pubblico affezionato: aggiungi la cassa di risonanza polemica che già fece trionfare Raiperunanotte la scorsa primavera. Tutto questo era ampiamente prevedibile. Non era altrettanto previsto che si abbattesse sull'audience già inossidabile del Grande Fratello come una lama nel burro. Non era affatto previsto che fosse visto da milioni di spettatori che rai3 probabilmente non la vedono mai. Va bene, la prima puntata c'era Benigni. Ma in seguito ci sono state tantissime altre cose che mai, in tutta la mia carriera di attraversatore di stanze con tv accesa, mi sarei immaginato che potessero forare l'attenzione del grande pubblico – del pubblico veramente grande. Femminismo, rifiuti, vittime di Piazza della Loggia. C'è da dire che l'ultimo Grande Fratello è più loffio del solito. A detta di chi lo guarda.

- In realtà non è soltanto il Grande Fratello. Tutto è più loffio del solito, ultimamente. Negli ultimi anni, mentre attraversavo stanze con le tv accese, mi è sembrato che la temperatura intorno a me si abbassasse fino al congelamento. La tv non è mai stata un medium particolarmente innovativo, però qualche cambiamento mi ero abituato a rilevarlo. Ho visto arrivare i colori e le tv locali. Ho visto la nascita di mediaset e la standardizzazione di un gusto medio-basso. I telefilm e i contenitori nazionalpopolari. Ogni anno c'era qualcosa di nuovo. Negli ultimi dieci anni, sempre meno. Dieci anni fa i reality sembravano l'ultima frontiera. In effetti non è che siamo andati molto più in là. I talent in una certa misura erano già un ripiego. Giochini preserali, più o meno gli stessi da cinque anni a questa parte. Ah, e un sacco di interviste dappertutto. C'è qualcosa d'inquietante quando le trasmissioni più forti cominciano ad avere numeri progressivi di due cifre. Da quand'è che si fa Amici? Le Iene quanti anni hanno? Striscia ne ha 22. Ma ci pensate ai ragazzini? Io quando crescevo avevo l'impressione che la tv crescesse insieme a me. I nostri figli crescono in mezzo alle repliche. Quante volte è stata programmata una puntata dei Simpson?

- Il successo di Vieni via con me potrebbe anche essere l'espressione di questa stanchezza. Vorremmo vedere qualcosa di nuovo. Niente di particolarmente difficile o astruso: semplicemente qualcosa che non si è ancora visto. Il problema è che è concettualmente difficile – se non impossibile – fare qualcosa di nuovo in tv. Proprio perché la tv è un mezzo pigro, per persone non necessariamente pigre, ma quasi sempre stanche: persone che la tengono accesa per addormentarsi, o stanno lavando i piatti, o giocando coi bambini sul tappeto. Non gli puoi chiedere di seguirti in chissà quale percorso innovativo. Dovresti trovare qualcosa di nuovo ma anche di immediatamente popolare. Non è facile. In un certo senso era un lavoro per Fazio.

- Intorno a Fazio c'è un equivoco storico. Per molti è il paladino della tv alternativa, quello che cerca di fare in tv cose che nella tv italiana, per vari motivi, non si possono fare. E di conseguenza lo vorrebbero più cattivo, meno prono ai suoi ospiti, eccetera eccetera. Secondo me le cose sono più semplici. Fazio non vuole fare un'altra televisione: Fazio vuole fare la televisione, proprio quella italiana, lo scatolone nazionalpopolare che Baudo faceva negli anni Ottanta. I suoi eroi sono proprio i grandi presentatori storici, Bongiorno o la Carrà. Quando scopre qualcosa di nuovo, e gli è successo più di una volta, è sempre qualcosa che in realtà era già lì, davanti a tutti: bastava solo valorizzarlo e mostrarlo al grande pubblico. Per esempio, quando gli diedero il pomeriggio della domenica su rai3, lui scoprì quello che sapevamo tutti: che il pomeriggio della domenica lo passavamo ascoltando parlare di calcio senza poterlo vedere, e che tutte queste chiacchiere inconcludenti erano incredibilmente rilassanti, e tanto bastava per farci un programma. Ha scoperto il segreto di Everardo Dalla Noce, un signore simpatico che faceva i servizi dalla borsa di Milano per il tg2, e ci teneva attaccati alla tv senza che noi capissimo un'acca di azioni e obbligazioni: il segreto del nonnetto in tv. Che i quarantenni degli anni '90 soffrissero di nostalgia per un'infanzia già televisiva, non era così difficile da capire: ma lui ci fece Anima mia. Un'idea di Fazio è sempre un uovo di Colombo: qualcosa che è già davanti a tutti. In questo caso le liste.

- Erano in mezzo a noi. Da vent'anni, ormai. Nelle e-mail. Le prime catene di Sant'Antonio, le ricordate? Erano liste allungabili a piacere. Alcune sono diventate libri, altre sono finite nei film. Ci voleva molto a metterle in televisione? La lista è popolare, è facile. A pensarci bene, può darsi che sia il genere letterario più praticato del secolo. Scrivere una storia o un blog è complicato, ma tutti possono scrivere una buona lista con un po' d'impegno. La lista, finalmente, è qualcosa di diverso dall'intervista. La lista è come Dio, siamo tutti uguali davanti a una lista: possiamo essere segretari di partito o clandestini appena scesi da una gru, la prosodia più o meno è la stessa. La lista è primitiva, sta al discorso più o meno come il tamburino sta alla musica. La lista può piacere o non piacere, ma funziona. La lista funziona, ma può piacere e non piacere.

- A me non piace.

- Mi vergogno molto a dirlo, perché stimo Fazio, stimo Saviano, stimo tutti, ma a me Via con me non piaceva. Ho un problema con le iterazioni, tra l'altro quella canzone in particolare è quasi tutta su due accordi e io non posso reggere gli stessi due accordi per due ore, potete variarli finché vi pare ma alla fine mi state martellando come Albertino.

- In generale non mi piacciono le liste; è senz'altro un problema mio, perché piacciono a tutti; non mi piace l'anafora, il martellamento, i pensierini delle elementari, la concezione paratattica dell'esistenza, e questa idea che la realtà sia fatta a collanine: la collanina dei valori in cui credere, la collanina delle cose da cambiare, la collanina delle cose che valgono la pena – c'è stato un momento preciso in cui il mio telecomando stava per volare verso il televisore, ed è stato nell'ultima puntata, quando qualcuno ha letto una lista di “cose di cui siamo fatti”, una riduzione dell'italianità a diapositive edificanti, e a un certo punto, molto dopo “la tonaca di Don Milani” e “gli occhi di Sofia Loren” (chissà cosa pensava Don Milani, di quella svergognata di Sofia Loren) sono arrivate “le sopracciglia di Alberto Moravia”. Allora, insomma, a no. C'è un limite a qualsiasi edulcorazione, e il mio limite è evidentemente l'arco sopracciliare di Moravia. Io sarò anche fatto di tante cose, avrò ricevuto tante dosi di italianità, ma di sicuro non sono fatto delle inquietanti sopracciglia di Alberto Moravia. E in generale la cultura non è questo. Non è un album di figurine. Inoltre pensavo che il veltronismo fosse una cosa di cui ci eravamo liberati. Invece no.

- Invece no. La notizia forse è questa. Proprio nel momento in cui Berlusconi è in difficoltà, il veltronismo trionfa, in prima serata. Con la sua enciclopedia di buoni sentimenti in piccole dosi, con l'idea che Sofia Loren e Don Milani siano nella stessa chiesa (la stessa, sì, di Guevara e Madre Teresa), questa visione pacificata, edulcorata del mondo. Hai voglia allora a biasimare Veltroni che si fa vedere molto più spesso ultimamente che quando dirigeva il PD, e si vantava di non andare in tv (e nelle sezioni – e in piazza – da nessuna parte, in effetti). Sta a vedere che alla fine il futuro è lui.

Sul veltronismo vorrei chiarirmi: non mi è mai piaciuto, ma a un certo punto mi aveva illuso. Non pretendevo che mi piacesse, non è colpa sua se ho gusti difficili; ma per qualche giorno nel 2007 ho davvero pensato che potesse fornire agli italiani un nuovo terreno comune, un nuovo paesaggio morale, un nuovo palinsesto. Neanche così nuovo, in realtà era nell'aria da anni. Ma almeno era diverso dalla fiaba del berlusconismo (e dell'antiberlusconismo speculare). Non è un film che mi sarei visto volentieri. Ma non mi avrebbe offeso vivere in una stanza in cui lo proiettavano. Se sono stato cattivo con Veltroni, dopo le elezioni, lo sono stato perché mi era sembrato di aver capito che no, quel sogno lì non funzionava, non piaceva, la gente continuava a preferire il Grande fratello. E allora tanto valeva liberarsene alla svelta. Ma se adesso salta fuori che il sogno funziona, io non so più che dire. Tranne quello che ho detto all'inizio, ovvero: non me ne intendo, non capisco niente, qualche cosa la capisco al volo e ad altre ci arrivo davvero troppo tardi.
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Manca solo l'ondata

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In questi giorni si parla: di Berlusconi, di studenti in rivolta, di Fini e Berlusconi, di immigrati in rivolta, di ragazze ammazzate, di Berlusconi e di wikileaks. E di Berlusconi.

Ma noi della redazione di Leonardo siamo avanti. Noi ci siamo chiesti: di cosa si parlerà in gennaio? Di Berlusconi? Certo, un po', ma... di studenti? No. Di immigrati? Sì, ma in un modo diverso. Di wikileaks? Difficile. Di Fini? Sì, anche di Fini, ma soprattutto


di microcriminalità. Prepariamoci. Ho una teoria #52 è sull'unita.it e per ora si commenta qui (ci sono problemi ai commenti, scusate).

(Nella foto, alcuni cittadini rumeni ci insegnano il modo corretto di cominciare una rivoluzione: occupando la sede della tv).

In mezzo a tante riflessioni e previsioni su quello che ci succederà nei prossimi mesi, mi sembra che nessuno abbia ancora dato il risalto che merita all'ondata di microcriminalità che molto probabilmente travolgerà le città italiane a partire da gennaio. Questa ondata di furti, violenze, effrazioni, non viene da nessuna parte in particolare, ma si abbatterà impetuosa sui sommari dei più seguiti telegiornali italiani più o meno dopo la befana, contribuendo a sommergere altre emergenze (rifiuti, scuole e università, dissesto idrogeologico: tutte cose che comunque già oggi non valgono l'ennesimo retroscena sul caso Scazzi). Eppure non è così difficile prevederla: basta un po' di esperienza.

È vero che negli ultimi anni – più o meno dall'insediamento di Berlusconi a palazzo Chigi – la microcriminalità è passata in secondo piano. Eppure qualcosa si sta muovendo: lo si vede per esempio nell'attenzione particolare che il tg1 di Minzolini riserva negli ultimi giorni alle operazioni delle forze dell'ordine. Ma è ancora presto. Il 14 dicembre questa crisi infinita entrerà nella fase terminale. Che la legislatura sopravviva o no al governo Berlusconi, in ogni caso quello che ci aspetta è una lunga campagna elettorale, che ci terrà impegnati fino alla primavera inoltrata.

In questa fase Berlusconi avrà perso alcune delle sue prerogative – non molte, a dire il vero. Non disporrà più di palazzo Chigi; del resto lui ha sempre preferito palazzo Grazioli. Non sarà più a capo di un governo, ma è discutibile che negli ultimi mesi stesse comunque governando alcunché. Per il resto continuerà ad avere intorno a sé uno stuolo di fedelissimi che lo chiama Presidente. Alcuni di questi sono impiegati in tutti i più seguiti tg italiani, ed è facile immaginare che continueranno a esserlo anche dopo il 14. Anche nel caso che il parlamento riuscisse a esprimere una maggioranza diversa, un eventuale governo più o meno 'tecnico' non avrà tra le sue priorità l'epurazione degli elementi filo-berlusconiani dal servizio pubblico. Persino se Minzolini dovesse saltare, i berlusconiani mantengono comunque il controllo di Mediaset, l'altra metà dell'etere. Tutto quello che serve a Berlusconi per rivincere le elezioni, in qualsiasi momento, con questa o con un'altra legge elettorale.

È vero che ultimamente qualche sondaggio lo ha dato in caduta verticale. Ma la cosa non ha molta importanza. Ci siamo già passati. Tra i dispacci di Wikileaks ce n'è uno che, senza rivelarci nulla di sconvolgente, ci ricorda qualcosa che forse ci stavamo dimenticando: Berlusconi non è invincibile, ma in campagna elettorale dà il meglio di sé. Per esempio, nella primavera del 2006, a pochi mesi dalle elezioni, era sotto di 8 punti ("down eight points in the polls", avvertiva l'ambasciatore). La sua visita a Washington, con tanto di discorso al Congresso, fu organizzata proprio per offrire visibilità a un alleato di Bush che stava alle corde. Quelle elezioni, alla fine, Berlusconi le pareggiò: non fosse stato per il pastrocchio delle circoscrizioni estere, le avrebbe vinte. È in grado di farlo. Ma per questo tipo di rimonte occorre visibilità. E servono televisioni compiacenti.

A dirlo si passa ancora per snob. Gente che non si fida dell'intelligenza degli elettori. Bisognerebbe intendersi su cosa significa intelligenza. Io credo sia la capacità di strutturare le informazioni che si ricevono in pensieri complessi. Non ho mai pensato che i cervelli italiani fossero poco dotati in questo senso. Il problema sono le fonti da cui si ricevono le informazioni, e qui c'è poco da fare: la televisione, e in particolare i telegiornali, giocano ancora un ruolo fondamentale nel modo in cui noi italiani ci costruiamo la nostra visione del mondo. Sta a loro, e quasi soltanto a loro, evidenziare i problemi che di giorno in giorno si trasformano in crisi da risolvere con priorità assoluta, mentre altri problemi passano in secondo piano. Gli otto punti del 2006, Berlusconi li conquistò disseminando voci di corridoio sugli avversari (l'intercettazione Fassino-Consorte, gli scandali delle “coop rosse”), mentre telegiornali e quotidiani allineati insistevano sulla microcriminalità, sull'insicurezza delle periferie, sui clandestini portatori di caos e disordine, 'invitati' dalla sinistra nella nostra bianca penisola. E così via. Ha funzionato nel 2006, e poi nel 2008. Perché non dovrebbe funzionare più? Prepariamoci quindi a vivere asserragliati nelle nostre case, mentre la tv ci dà ogni sera il bollettino di scippati e rapinati. Anche se...

Anche se stavolta il meccanismo potrebbe incepparsi. Non perché gli italiani siano diventati più o meno intelligenti, ma semplicemente perché l'antico regime della tv generalista, il finto duopolio Rai-mediaset, è agli sgoccioli. Chissà che gli storici del futuro non vedano una connessione sulla fase finale del berlusconismo e il passaggio al digitale terrestre. Non che il digitale non sia anch'esso a suo modo duopolizzato: ma offre comunque agli utenti una libertà di scelta di gran lunga superiore. Tutti i futuri servizi di Minzoli e Mimun sulle vecchiette scippate diventano vani, se nel frattempo la vecchietta sta guardando le repliche della Casa della Prateria in full HD. Quanto ai giovani, quelli la tv la stanno semplicemente abbandonando: trovano internet più interessante e interattivo, e si fatica a dar loro torto (è un caso che negli ultimi giorni Minzolini stia lanciando in pompa magna il nuovo sito del tg1?). Quindi sì, l'ondata arriverà. Ma forse non ci sommergerà, forse non ci troverà nemmeno, forse saremo da un'altra parte a guardare e leggere cose più interessanti. E il berlusconismo potrebbe anche finire così. Sarebbe bello.

...ma finché non l'avrò visto coi miei occhi
, continuerò a pensare all'Italia del 2011 come a una variante della Romania del 1989: un posto dove la rivoluzione si può anche fare, ma solo occupando il palazzo della tv. È una mia teoria. (http://leonardo.blogspot.com
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"Io so' un vigliacco"

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Quando ho letto della morte di Monicelli nel mio cervello è subito partito un motore di ricerca, molto più lento e meno efficace di google, con le parole di ricerca “film di Monicelli + morte”. E ho scoperto una cosa che mi era davanti sin da piccolo, perché i film di Monicelli sono sempre stati parte del mio paesaggio, e come il paesaggio, ci ho vissuto davanti senza mai fermarmi a rifletterci sopra troppo: ogni tanto, se qualcuno me lo chiedeva, alzavo la testa e confermavo: era bello. Ma non avevo mai veramente fatto caso a quanta morte ci fosse.

Beninteso, se penso a “morte + cinema italiano” non è che mi vengano in mente solo film di Monicelli. Posso pensare alla corsa di Anna Magnani, o all'ultimo sorpasso del Sorpasso, o alla fine del merlo in Uccellacci e Uccellini, e Monicelli non c'entra nulla. Ma penserò più volentieri al finale struggente di Amici Miei, con Philip Noiret che fa la supercazzola al confessore, e la vedova che non vuole controllare per paura che non sia morto davvero; all'assassinio brutale e lentissimo del Borghese piccolo piccolo. Penserò alle morti buffe e orrende che lardellano il Brancaleone dall'inizio alla fine. Forse quello che hanno in comune i morti dei film di Monicelli è la loro normalità: la morte è una cosa che accade, piuttosto spesso, e la vita (la vita dei borghesi piccoli, dei nobili zingari, dei fanti alla Grande Guerra) continua. Ho la sensazione che nei film di oggi (Moretti, Muccino, Ozpetek) non succeda così: c'è molta più tragedia, più prefiche esasperate; sempre almeno una scena in cui si piange e basta, come se piangere fosse di per sé interessante. Se muore un parente vostro, magari, ma un personaggio di celluloide... ma poi in generale vale la pena di parlarne così a lungo, di questa cosa che si muore; vale la pena di scriverci pezzi su internet? Se lo sarebbe immaginato, Monicelli, di ispirare un dibattito parlamentare? Ma neanche in un soggetto di Age e Scarpelli.

La vita continua, con chi rimane. Dov'eravamo rimasti? Si parlava di film scolastici, ecco, per esempio, Monicelli è un regista scolastico? Avrei tanta voglia di rispondere sì, assolutamente sì. Per la chiarezza espositiva, per l'attenzione al dettaglio quotidiano, per l'equilibrio di dramma e risate; e per le sceneggiature di Age e Scarpelli, che hanno un non so che di didattico che titilla l'intelligenza di ciascuno di noi, senza però mai offendere l'ignoranza (di ciascuno di noi). Vorrei poter dire, sì, Monicelli è un patrimonio culturale e scolastico; istituiamo ordunque l'ora di Monicelli in tutte le scuole della Repubblica. Purtroppo all'atto pratico non è vero, Monicelli è un autore difficile. Io so di classi rimaste indifferenti persino davanti all'Armata Brancaleone. Non avviene così, che so, con Chaplin. Egli mi sembra eterno: quando cade fa ridere, penso che continuerà a far ridere nei secoli nei secoli. Per contro, Brancaleone va spiegato: vedete, fa ridere per questo e quest'altro motivo. E francamente non so se ne valga la pena.

Non ho dati statistici da offrire, ma ritengo che il film di Monicelli più proiettato nelle scuole sia la Grande Guerra. Ma è un film adatto? È il miglior film sulla grande guerra che si possa mostrare a dei tredicenni? Ho paura di no. Per diversi motivi, tutti antipatici. Intanto è in bianco e nero. E man mano che sfiorisce l'ultima generazione che lo ha associato all'infanzia e alle foto dei nonni, il b/n diventa sempre più incomprensibile. Lo usino gli artisti per fare film artistici: ma a scuola se porti un film è per offrire a uno studente un fondale realistico a una serie di nozioni che altrimenti risultano troppo astratte (cos'è una trincea, cos'è una bomba a mano): e tanto vale offrirglielo più realistico che puoi. I ragazzi non lo capiscono, il b/n, non hanno mai fatto un sogno in b/n: per loro non vuol dire “vecchie fotografie dei nonni”: vuol dire noia, e lezioni noiose ne fanno già tante.



Poi c'è il problema del sonoro. È dura ammettere che uno dei cardini della commedia all'italiana, l'uso espressivo e comico delle parlate regionali, a scuola non funziona. Per ridere bisogna conoscerli già, i dialetti, e saperli maneggiare: e invece qui, se danno del mona a Jacovacci tu devi spiegare cos'è un mona. Certe battute che possono sembrarti immediate, avrebbero bisogno dei sottotitoli. Triste, ma è così.

È un film lungo, che comunque dà per scontate molte cose: se non hai studiacchiato un po', non sai da dove viene l'anarchismo di Busacca (“non l'avete letto il Bakunin?”), né le tirate retoriche, così poco convinte e convincenti, di Jacovacci. È un film di maschi, con una Mangano meravigliosa, il cui personaggio tuttavia non corrisponde più agli standard attuali del femminismo – per farla breve, la scena in cui si trova alla finestra l'intero reggimento ha delle implicazioni ributtanti (nb: uno dei test empirici di comprensione – e maturazione – è verificare se gli studenti hanno capito che mestiere fa la Costantina).

Insomma, La Grande Guerra non è il miglior film sulla prima guerra mondiale da proiettare nelle scuole. Molto meglio la versione a colori di Niente di nuovo sul fronte occidentale: niente di nuovo neanche per gli adulti che lo guardano, ma appunto, si vedono persone saltare in aria sul filo spinato a colori. C'è un ragazzino che cresce e accumula esperienze, per cui può scattare un'identificazione che Busacca e Jacovacci respingono. E tanti dettagli che affascinano i maschietti: per esempio a un certo punto dà la spiegazione pratica del perché i tedeschi rinunciarono a quell'elmo chiodato tanto caratteristico (i francesi vedevano il chiodo spuntare dalla buca e mitragliavano). Ma c'è persino di meglio.

Un film francese di pochi anni fa, si chiama Joyeux Noel. È la storia di quel Natale in cui francesi e tedeschi uscirono fuori dalle trincee e solidarizzarono (e poi furono puniti, per questo, dai rispettivi eserciti). Dire che è bello, non lo posso dire: non me lo ricordo affatto, il che coi bei film non succede. Ma un anno feci una vera e propria rassegna, un film a settimana, proiettai di tutto, Magni, Rossellini, Schindler's List... alla fine chiesi qual era il film che si ricordavano meglio e loro risposero: Joyeux Noel, che avevo preso sotto Natale perché non mi veniva in mente nient'altro. Può darsi che un brutto film recente funzioni molto meglio di un capolavoro in bianco e nero: sono cose che devi accettare: sei un insegnante, non un direttore artistico di una cineteca. Quindi, insomma, ci sono film molto più adatti di quelli di Monicelli.

Ma io continuo a mostrare il film di Monicelli. Perché sì, è lungo, ma è proprio la lunghezza che ti fa sentire la stanchezza della guerra. Perché è complicato, ma alla fine ci sono gli austriaci che arrivano davanti a un cartello VENEZIA KM. 40, lo cancellano e scrivono VENEDIG, e davvero non saprei trovare un'immagine migliore per spiegare alla svelta cosa è stata Caporetto. Perché magari lo studente non riesce a identificarsi con nessun personaggio, ma l'insegnante non può non sentirsi Bollo Tondo, e provare riconoscenza per quegli sceneggiatori che sono riusciti a trovare una fine eroica anche per Bollo Tondo. Perché è il più eroico dei film antieroici, e siccome non sai mai se ai ragazzi glielo devi offrire o no, l'eroismo, quello agrodolce di Monicelli alla fine ti sembra l'unica opzione praticabile.




Si parlava di morti al cinema. Per me la più sublime resta sempre quella di Jacovacci. Busacca, si è capito, è un umorale: se lo offendi ti prende di petto, e di petto si prende anche le pallottole. Ma Jacovacci ha una paura fottuta, e la mostra: la tira fuori tutta, nella speranza magari di impietosire chi ha davanti. E muore da eroe fingendo di essere il vigliacco che in realtà è. È un paradosso geniale, e io che non sopporto pianti e prefiche, ho questa strana devianza: mi commuovono i paradossi. Non riesco a pensare a niente di più sublime che morire da eroe gridando “Io so' un vigliacco”. Fucilata e via, la vita continua, domani arriveranno i nostri e non ci faranno certo un monumento. Quando ho letto che Monicelli si era tolto la vita, non ho potuto non pensarci: che fine eroica, che fine vigliacca. Immaginavo che qualcuno lo avrebbe giudicato un pavido. Esistono queste persone, con molto tempo libero e una gran desiderio di giudicare il prossimo. Qualcun altro invece ci ha visto del coraggio: e anch'io devo ammettere che per lasciarsi cadere così coraggio ce ne vuole. Sono due verità in un gesto solo, ognuno scelga quella che preferisce, come in un film. Io preferisco tenermi il paradosso. Ma in realtà sono solo uno dei fantaccini che arriva di corsa il giorno dopo, con tanto lavoro ancora da fare, e mi volto appena a guardare i caduti, senza fermarmi a piangere che non c'è tempo, non c'è spazio, non c'è bisogno.
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