Lettera a Bruxelles
20-01-2011, 02:33autoreferenziali, Berlusconi, poesiaPermalinkLa gronda
Ma te lo immagini, che questa cosa che sembrava sul punto di cascare anni fa, questa cosa che come posso descrivertela; pensa a una grondaia di una vecchia casa, pensa alla ruggine e al catrame, e pensa che avrebbe potuto cadere in qualsiasi momento, dal duemila in poi, e pensa che invece è ancora qui.
E non voglio dirti che è tutta la realtà che ci resta, perché non voglio metterla in tragedia; io per quel che posso me la sono fatta una mia realtà, casa lavoro famiglia, me la sono ben scavata una mia buchetta e onestamente non mi posso lamentare – e lo sai che quando c'era da lamentarsi non mi tiravo indietro – non ti dirò che questa grondaia è tutta la realtà, ma lasciami dire che ne è comunque un grosso pezzo, questa grondaia che guardo tutti i giorni e non vuol cascare. Fosse l'impero bizantino, che decadeva decadeva ed è durato mille anni.
E sapessi la nausea di sapere che questa cosa banale, triviale, che poteva benissimo non esserci e invece c'è; questa cosa che per me e per molti è berlusconi, ma non fosse berlusconi sarebbe stato qualche altra cosa; tu sapessi la nausea di sapere che comunque cadrà, un giorno crollerà, un giorno non potrà far altro, e sarà quel giorno solo a finire sui libri, e la gente penserà ai tipi come me come a quelli che quel giorno han fatto festa; non penserà a tutti i giorni che abbiamo aspettato, tutti i giorni che non siamo riusciti a far di meglio che a guardare la gronda marcia non cascare. Alla nausea di assistere a tutto questo giorno per giorno, allo stillicidio di tutti questi capitoli inutili, perché tanto s'è capito da un pezzo dove va a finire il libro, o no?
E come si spiega che non è finito ancora. Qual è il senso di restare lì, a quali fili di ragno è appesa una gronda che doveva cascare anni fa – Lo sai dove stan facendo la rivoluzione adesso? Ora tu dimmi, se dobbiamo prendere lezioni dalla Tunisia. Cosa abbiamo solo noi, che nemmeno i tunisini hanno più, cosa c'impedisce di guardare alle cose come stanno. Tu lo sai che sono fissato, per me è solo una questione di televisione. Punto. Tutto il consenso sta lì, e un po' sui giornali, ma neanche tanto. Abbiamo voluto lasciargli le tv, e a lui non è servito altro, per raccontarci la realtà come gli piace. Salvo che lui non ha mai avuto niente da raccontarci, una volta non lo sapevamo, adesso sì. È un debole come noi, succube dei suoi stessi programmi, è il pubblico del suo stesso drive in. Non c'è dietro nessun disegno occulto, ci ha modellato a sua immagine e somiglianza, e lui è brutto e senza fantasia. L'obiettivo della sua vita era sedersi nel privé a guardare le tipe che fanno il trenino; ce l'ha fatta e ora dovremmo invidiarlo. La nausea di avere avuto per avversario un tizio così.
E pensare che abbiamo avuto perfino paura di lui; che io, almeno, dietro ai suoi primi manifesti azzurri che sembravano la pubblicità dei fustini temevo ci fosse davvero la rivoluzione liberale, il miracolo italiano, la Thatcher italiana. Averlo saputo subito, che lui la Thatcher manco si ricorda chi è, per via che non era una “bella gnocca”. (“Nyokka”, scrisse l'Indpendent). L'avessimo capito subito, che il nemico era tutto lì, una vescica d'aria, un peto, una gronda che casca a pezzi.
E dov'erano quelli che dovevano capirlo subito? perché noialtri in fondo chi eravamo, studenti, precari, maestrini che in fondo della vita non sanno un cazzo, tirano a indovinare e sperano di non prenderci; ma dov'erano i grandi che operano nel retroscena, e i famosi Poteri Forti, ma che razza di Potere Forte lascia che un Paese vada a pezzi per un personaggio così; ma non eravate abbastanza forti da schiacciarlo, almeno all'inizio? Ci voleva così tanto a capire, se l'avevamo capito persino io o te? Eravamo profeti o facevamo soltanto uno più uno uguale a due?
E che anni sono stati, a cercar di buttar giù in qualsiasi modo un marciume, un catorcio che comunque cadrà, quand'è il momento; certo prima dell'impero bizantino.
E insomma su questa gronda, che è marcia e non cade, penso con qualche gioia che un giorno basterà che una rondine si posi un attimo, perché tutto nel vuoto precipiti irreparabilmente, quella volando via. E sul serio non m'importa se non ci sarò più io. Neanche tu ci sei, per questo.
Ma te lo immagini, che questa cosa che sembrava sul punto di cascare anni fa, questa cosa che come posso descrivertela; pensa a una grondaia di una vecchia casa, pensa alla ruggine e al catrame, e pensa che avrebbe potuto cadere in qualsiasi momento, dal duemila in poi, e pensa che invece è ancora qui.
E non voglio dirti che è tutta la realtà che ci resta, perché non voglio metterla in tragedia; io per quel che posso me la sono fatta una mia realtà, casa lavoro famiglia, me la sono ben scavata una mia buchetta e onestamente non mi posso lamentare – e lo sai che quando c'era da lamentarsi non mi tiravo indietro – non ti dirò che questa grondaia è tutta la realtà, ma lasciami dire che ne è comunque un grosso pezzo, questa grondaia che guardo tutti i giorni e non vuol cascare. Fosse l'impero bizantino, che decadeva decadeva ed è durato mille anni.
E sapessi la nausea di sapere che questa cosa banale, triviale, che poteva benissimo non esserci e invece c'è; questa cosa che per me e per molti è berlusconi, ma non fosse berlusconi sarebbe stato qualche altra cosa; tu sapessi la nausea di sapere che comunque cadrà, un giorno crollerà, un giorno non potrà far altro, e sarà quel giorno solo a finire sui libri, e la gente penserà ai tipi come me come a quelli che quel giorno han fatto festa; non penserà a tutti i giorni che abbiamo aspettato, tutti i giorni che non siamo riusciti a far di meglio che a guardare la gronda marcia non cascare. Alla nausea di assistere a tutto questo giorno per giorno, allo stillicidio di tutti questi capitoli inutili, perché tanto s'è capito da un pezzo dove va a finire il libro, o no?
E come si spiega che non è finito ancora. Qual è il senso di restare lì, a quali fili di ragno è appesa una gronda che doveva cascare anni fa – Lo sai dove stan facendo la rivoluzione adesso? Ora tu dimmi, se dobbiamo prendere lezioni dalla Tunisia. Cosa abbiamo solo noi, che nemmeno i tunisini hanno più, cosa c'impedisce di guardare alle cose come stanno. Tu lo sai che sono fissato, per me è solo una questione di televisione. Punto. Tutto il consenso sta lì, e un po' sui giornali, ma neanche tanto. Abbiamo voluto lasciargli le tv, e a lui non è servito altro, per raccontarci la realtà come gli piace. Salvo che lui non ha mai avuto niente da raccontarci, una volta non lo sapevamo, adesso sì. È un debole come noi, succube dei suoi stessi programmi, è il pubblico del suo stesso drive in. Non c'è dietro nessun disegno occulto, ci ha modellato a sua immagine e somiglianza, e lui è brutto e senza fantasia. L'obiettivo della sua vita era sedersi nel privé a guardare le tipe che fanno il trenino; ce l'ha fatta e ora dovremmo invidiarlo. La nausea di avere avuto per avversario un tizio così.
E pensare che abbiamo avuto perfino paura di lui; che io, almeno, dietro ai suoi primi manifesti azzurri che sembravano la pubblicità dei fustini temevo ci fosse davvero la rivoluzione liberale, il miracolo italiano, la Thatcher italiana. Averlo saputo subito, che lui la Thatcher manco si ricorda chi è, per via che non era una “bella gnocca”. (“Nyokka”, scrisse l'Indpendent). L'avessimo capito subito, che il nemico era tutto lì, una vescica d'aria, un peto, una gronda che casca a pezzi.
E dov'erano quelli che dovevano capirlo subito? perché noialtri in fondo chi eravamo, studenti, precari, maestrini che in fondo della vita non sanno un cazzo, tirano a indovinare e sperano di non prenderci; ma dov'erano i grandi che operano nel retroscena, e i famosi Poteri Forti, ma che razza di Potere Forte lascia che un Paese vada a pezzi per un personaggio così; ma non eravate abbastanza forti da schiacciarlo, almeno all'inizio? Ci voleva così tanto a capire, se l'avevamo capito persino io o te? Eravamo profeti o facevamo soltanto uno più uno uguale a due?
E che anni sono stati, a cercar di buttar giù in qualsiasi modo un marciume, un catorcio che comunque cadrà, quand'è il momento; certo prima dell'impero bizantino.
E insomma su questa gronda, che è marcia e non cade, penso con qualche gioia che un giorno basterà che una rondine si posi un attimo, perché tutto nel vuoto precipiti irreparabilmente, quella volando via. E sul serio non m'importa se non ci sarò più io. Neanche tu ci sei, per questo.
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Psycho Facci
18-01-2011, 16:39Berlusconi, Craxi, giornalistiPermalinkForse non ci avete mai pensato, ma se in ogni testo uno scrittore si tradisce, se in ogni pagina lascia senza volere qualcosa di sé, certi giornalisti che leggiamo quasi tutti i giorni ormai dovremmo conoscerli meglio dei nostri parenti.
Ma probabilmente non è così. Comunque quella che segue è un'interpretazione psicoanalitica dell'ultimo fondo di Filippo Facci sul post. Non è molto scientifica, ma d'altronde chi lo è.
Facci conscio | Facci subconscio |
«Mi chiamo Silvio Berlusconi, ho quasi 75 anni, non sto più con mia moglie e ammetto che mi piace divertirmi come probabilmente solo gli uomini ricchi e potenti e proprietari di tre televisioni possono fare. | Mi chiamo Silvio Berlusconi, sono vecchio, ricco e potente, ho tre televisioni e faccio tutto quello che mi pare. |
Perciò ogni tanto organizzo delle serate esagerate, delle feste in cui giovani donne consenzienti non disdegnano la mia persona e tantomeno qualche favore che io faccio loro: e a questo mondo i favori, quelli pesanti, alla fine riguardano sempre soldi, lavoro e case. | Ho fatto e farò sesso in cambio di soldi, lavoro e case, perché faccio quello che mi pare. Se non siete d'accordo è perche non siete ancora sul mio libro paga: cazzi vostri. |
Vi racconto queste cose senza ipocrisia, la stessa che forse avrei potuto risparmiarvi nel promuovere improbabili leggi contro la prostituzione oltre all’elezione di personaggi che provengono dal mondo dello spettacolo, dove forse dovrebbero tornare. | Vi racconto queste cose senza ipocrisia, perché l'unico crimine che interessa a Filippo Facci è l'ipocrisia. Ho pagato una minorenne, delitto punibile con la reclusione da sei mesi a tre anni, (art. 600-bis del codice penale)? Convoco una conferenza stampa, ammetto tutto e sono a posto. Le cose vanno così, nel magico mondo di Filippo Facci. |
La mia verità alla fine è tutta qui, e mi spiace che il Paese debba perdere altro tempo dietro a queste cose: ma non sono certo io a dover dimostrare la mia innocenza in ordine ad accuse che giudico assurde, tipo quella di aver concusso telefonicamente dei funzionari di polizia, o quella di aver avuto rapporti sessuali consapevoli con una minorenne. Escludo di averlo fatto, dunque vediamo queste famigerate prove dei magistrati. | La mia verità alla fine è tutta qui: spetta ai giudici dimostrare che ho avuto rapporti sessuali consapevoli con una minorenne, perché la legge non ammette ignoranza, tranne nel mio caso, e ovviamente nel cervello di Filippo Facci. |
Per quanto vi riguarda, valutate e giudicate se io debba essere ancora il presidente del consiglio oppure no: in fondo lo fate da 17 anni, siete quasi maggiorenni». | Continuerete a votare per me, perché sono ricco, e ho questa stilosa, arrogante franchezza che vi piaceva così tanto a fine anni Ottanta, ti ricordi Filippo, quando ha chiuso il Paninaro e ti sentivi tanto solo, e c'era solo una persona che ti faceva sentire sicuro e protetto? Ti ricordi? Ti ricordi? |
Questo è il discorso che, in un mondo irreale, mi sarebbe piaciuto sentire da Silvio Berlusconi. | Filippo! Sono io! Sono Bettino! Sono tornato! Non ero mai andato via! La verità non mi ha affatto sepolto sotto una gragnuola di roventi monetine, sono stato qui tutto questo tempo, nascosto sotto il cerone dell'ometto ipocrita, sono il padre stronzo e protettivo che ti meritavi, Filippo! Potrai mai scusarmi per averti lasciato così tanto tempo solo? |
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Con me non puoi far finta
18-01-2011, 00:46Berlusconi, repliche, sesso, telefonatePermalinkEppure Berlusconi non è sempre stato il vecchio porco degli ultimi anni. Al punto che viene il sospetto che questo parossismo sessuale sia anche un po' colpa nostra, che non abbiamo creduto in lui, che non abbiamo realizzato il Miracolo Italiano che ci aveva promesso nel '94, ci siamo fatti contagiare dal pessimismo globale, siamo cascati nella trappola della crisi come dei pirla qualsiasi... e allora a un certo punto lui ha capito che non lo meritavamo, si è rinchiuso come un personaggio di Sade nel suo castello di fanciulle e ci ha lasciato lì, appesi alla corda, pronti a essere spolpati dai marchionne di turno.
Una volta non era così. Dieci anni fa, per esempio, era già un corruttore e un gaffeur di fama mondiale. Ma nulla lasciava trapelare una simile dipendenza dal sesso. La finzione matrimoniale teneva abbastanza bene. Quand'è che ha mostrato le prime crepe?
In occasione del decennale, questo blog sta ripubblicando fondi di magazzino invenduti. Questo pezzo, rinvenuto su uno scaffale dell'aprile 2006, racconta di un episodio che col senno del poi appare rivelatore: durante la campagna elettorale di quella primavera (quella del pareggio con Prodi), fu Berlusconi stesso a raccontarlo. Una sera, rincasando stanco da un comizio, aveva acceso la tv e trovato uno show di pornomodelle che "invitavano a telefonare". E lui telefonò. Per chiedere (testuale, da Libero): "Mi consenta, signorina, ma lei il 9 e 10 aprile per chi voterà? Sette su nove hanno detto Berlusconi". Dunque ne aveva chiamate almeno nove, prima dell'alba. La liquidammo come la solita berlusconata, una di quelle uscite assurde che distolgono l'attenzione da argomenti più seri. E invece era un grido d'allarme. Nel culmine della campagna elettorale, proprio quando avrebbe dovuto essere concentrato e circondato da amici e sodali, l'uomo passava le notti a chiamare le hotline. Lo stavamo perdendo. Io forse me n'ero reso conto. Ma a parte scrivere questo inutile pezzo, non ho fatto nulla di concreto per aiutarlo. Insomma, è anche colpa mia.
Post+coitum
"Pronto?"
"Ciao, sono io, l'avresti detto mai?
Nel bel mezzo del tuo lavoro squallido.
E sì che sono io, insomma non ti fidi?
Mi hai preso per un comico? Macché:
nessuno sa imitarmi come me.
E dunque eccitami, su,
è il tuo mestiere, o no?
Dimmi che vuoi votare solo me.
Non devi fare finta
(con me non puoi far finta),
Io me ne accorgo, e poi ti pago bene:
dimmi che vuoi votare solo me.
Non è come tu pensi, io non mi sento solo:
stasera ero a un comizio, la gente mi invocava,
la cena, e poi gli autografi... non riuscivo ad andar via.
(La gente non lo vuole, tu questo lo capisci,
la gente mi ama troppo, la gente non vorrebbe
vedermi mai andar via).
Così si è fatto tardi, il sonno mi è passato,
in tv film di merda, nessun sondaggio fresco
(tu puoi capirlo – essendo nel settore:
c'è un'ora della notte, un'ora sola, e lunga,
in cui non c'è nessuno a dirti: Sì).
Ma tu me lo puoi dire – soltanto, non-far-finta.
Non sono uno di quelli, con me non puoi far finta.
Inoltre pago bene, per cui avanti, dillo,
che vuoi votare solamente me.
E no che non mi annoio, io non mi annoio mai.
Lavoro sedici ore al giorno, non lo sai?
E tu?
Lo vedi, solo dieci, lo vedi come va:
per questo io faccio il leader, tu la centralinista.
E in più io sono figlio di un professionista
Mentre tuo padre era operaio, vero?
Eppure, quante cose in comune, io e te:
noi arrapiamo il popolo, questo è il nostro mestiere.
E quante cose io potrei insegnarti
sull'essere gentile, disposta, sempre allegra
e mai sincera, mai! – Sennò ti vien da ridere,
e non si deve ridere! S'ammoscia se tu ridi.
Sorridere bisogna, a denti stretti, sempre
sorridere e sudare, è questo il mio mestiere
(e il tuo, naturalmente).
Ma stanotte è diverso.
Stanotte non puoi fingere, ti parlo da collega,
se fingi lo capisco, se fingi non ci riesco.
Ti prego, sii te stessa
E dimmi che vuoi votare solo me.
È solo un mio capriccio, sondaggi io ne ho,
e guardacaso dicono quello che voglio io
(del resto è matematico, più paghi più hai ragione
non devi dirlo a me).
Io sono nel settore da trent'anni, si può dire
che i trucchi del mestiere te li ho inventati io
È un gioco troppo facile: più paghi più hai ragione.
Io forse pago troppo, ma questo non vuol dire
che tu ora possa fingere, io me ne accorgo subito,
perciò ora sii sincera, prova a essere sincera
nel dirmi che tu voterai per me.
Non ridere, non ridere,
non c'è niente da ridere:
è quell'ora della notte,
e io ti pago, sai.
Cerca di rilassarti, sii te stessa,
parlami un po' di te, ce l'hai un ragazzo?
Cosa? Hai una bimba? Ottimo! E si chiama?
Silvia! Ma pensa! Che bel nome! Silvia!
E il padre? E perché non vi sposate, voi ragazzi?
Io me lo chiedo sempre, perché non vi sposate?
La famiglia è importante, il mettere su casa,
e io posso anche aiutarvi.
L'assegno famigliare, vi toglierò le tasse,
vi comprerò la macchina – se tu sarai sincera
devi essere sincera,
e dire che tu voterai per me.
Non può essere altrimenti,
non sei una cogliona.
Sei una che lavora,
non stai coi comunisti.
Mi sembri un tipo ammodo
Senz'altro intelligente
Bella presenza, immagino
– e io non sbaglio mai.
Perché non vieni su
a Cologno, un giorno o l'altro?
Un talento come te
è sprecato per le hotline.
Tu hai tutto quel che serve per sfondare.
Ti basta essere te stessa
– avanti, sii te stessa –
quando dici che mi vuoi
votare, che tu vuoi
votare solo me.
Adesso
Vuoi votare solo me
Dimmelo
Dimmelo
Non Fini, non Casini
Con Prodi non ci godi
Tu vuoi votare solamente me
Dimmelo
Dimmelo
Ma devi essere sincera
Io non ci riesco, se non sei sincera
Non ce la faccio se non sei te stessa
E se poi scoppi a ridere io non…
Clic
Ma cribbio, cos'hanno tutte stanotte? Fanno le preziose, fanno.
Con quel che costano.
Proviamone un'altra, va'."
Una volta non era così. Dieci anni fa, per esempio, era già un corruttore e un gaffeur di fama mondiale. Ma nulla lasciava trapelare una simile dipendenza dal sesso. La finzione matrimoniale teneva abbastanza bene. Quand'è che ha mostrato le prime crepe?
In occasione del decennale, questo blog sta ripubblicando fondi di magazzino invenduti. Questo pezzo, rinvenuto su uno scaffale dell'aprile 2006, racconta di un episodio che col senno del poi appare rivelatore: durante la campagna elettorale di quella primavera (quella del pareggio con Prodi), fu Berlusconi stesso a raccontarlo. Una sera, rincasando stanco da un comizio, aveva acceso la tv e trovato uno show di pornomodelle che "invitavano a telefonare". E lui telefonò. Per chiedere (testuale, da Libero): "Mi consenta, signorina, ma lei il 9 e 10 aprile per chi voterà? Sette su nove hanno detto Berlusconi". Dunque ne aveva chiamate almeno nove, prima dell'alba. La liquidammo come la solita berlusconata, una di quelle uscite assurde che distolgono l'attenzione da argomenti più seri. E invece era un grido d'allarme. Nel culmine della campagna elettorale, proprio quando avrebbe dovuto essere concentrato e circondato da amici e sodali, l'uomo passava le notti a chiamare le hotline. Lo stavamo perdendo. Io forse me n'ero reso conto. Ma a parte scrivere questo inutile pezzo, non ho fatto nulla di concreto per aiutarlo. Insomma, è anche colpa mia.
Post+coitum
"Pronto?"
"Ciao, sono io, l'avresti detto mai?
Nel bel mezzo del tuo lavoro squallido.
E sì che sono io, insomma non ti fidi?
Mi hai preso per un comico? Macché:
nessuno sa imitarmi come me.
E dunque eccitami, su,
è il tuo mestiere, o no?
Dimmi che vuoi votare solo me.
Non devi fare finta
(con me non puoi far finta),
Io me ne accorgo, e poi ti pago bene:
dimmi che vuoi votare solo me.
Non è come tu pensi, io non mi sento solo:
stasera ero a un comizio, la gente mi invocava,
la cena, e poi gli autografi... non riuscivo ad andar via.
(La gente non lo vuole, tu questo lo capisci,
la gente mi ama troppo, la gente non vorrebbe
vedermi mai andar via).
Così si è fatto tardi, il sonno mi è passato,
in tv film di merda, nessun sondaggio fresco
(tu puoi capirlo – essendo nel settore:
c'è un'ora della notte, un'ora sola, e lunga,
in cui non c'è nessuno a dirti: Sì).
Ma tu me lo puoi dire – soltanto, non-far-finta.
Non sono uno di quelli, con me non puoi far finta.
Inoltre pago bene, per cui avanti, dillo,
che vuoi votare solamente me.
E no che non mi annoio, io non mi annoio mai.
Lavoro sedici ore al giorno, non lo sai?
E tu?
Lo vedi, solo dieci, lo vedi come va:
per questo io faccio il leader, tu la centralinista.
E in più io sono figlio di un professionista
Mentre tuo padre era operaio, vero?
Eppure, quante cose in comune, io e te:
noi arrapiamo il popolo, questo è il nostro mestiere.
E quante cose io potrei insegnarti
sull'essere gentile, disposta, sempre allegra
e mai sincera, mai! – Sennò ti vien da ridere,
e non si deve ridere! S'ammoscia se tu ridi.
Sorridere bisogna, a denti stretti, sempre
sorridere e sudare, è questo il mio mestiere
(e il tuo, naturalmente).
Ma stanotte è diverso.
Stanotte non puoi fingere, ti parlo da collega,
se fingi lo capisco, se fingi non ci riesco.
Ti prego, sii te stessa
E dimmi che vuoi votare solo me.
È solo un mio capriccio, sondaggi io ne ho,
e guardacaso dicono quello che voglio io
(del resto è matematico, più paghi più hai ragione
non devi dirlo a me).
Io sono nel settore da trent'anni, si può dire
che i trucchi del mestiere te li ho inventati io
È un gioco troppo facile: più paghi più hai ragione.
Io forse pago troppo, ma questo non vuol dire
che tu ora possa fingere, io me ne accorgo subito,
perciò ora sii sincera, prova a essere sincera
nel dirmi che tu voterai per me.
Non ridere, non ridere,
non c'è niente da ridere:
è quell'ora della notte,
e io ti pago, sai.
Cerca di rilassarti, sii te stessa,
parlami un po' di te, ce l'hai un ragazzo?
Cosa? Hai una bimba? Ottimo! E si chiama?
Silvia! Ma pensa! Che bel nome! Silvia!
E il padre? E perché non vi sposate, voi ragazzi?
Io me lo chiedo sempre, perché non vi sposate?
La famiglia è importante, il mettere su casa,
e io posso anche aiutarvi.
L'assegno famigliare, vi toglierò le tasse,
vi comprerò la macchina – se tu sarai sincera
devi essere sincera,
e dire che tu voterai per me.
Non può essere altrimenti,
non sei una cogliona.
Sei una che lavora,
non stai coi comunisti.
Mi sembri un tipo ammodo
Senz'altro intelligente
Bella presenza, immagino
– e io non sbaglio mai.
Perché non vieni su
a Cologno, un giorno o l'altro?
Un talento come te
è sprecato per le hotline.
Tu hai tutto quel che serve per sfondare.
Ti basta essere te stessa
– avanti, sii te stessa –
quando dici che mi vuoi
votare, che tu vuoi
votare solo me.
Adesso
Vuoi votare solo me
Dimmelo
Dimmelo
Non Fini, non Casini
Con Prodi non ci godi
Tu vuoi votare solamente me
Dimmelo
Dimmelo
Ma devi essere sincera
Io non ci riesco, se non sei sincera
Non ce la faccio se non sei te stessa
E se poi scoppi a ridere io non…
Clic
Ma cribbio, cos'hanno tutte stanotte? Fanno le preziose, fanno.
Con quel che costano.
Proviamone un'altra, va'."
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Chi ha cambiato l'internet?
17-01-2011, 14:12anniversari, ho una teoria, internet, wikipediaPermalink
Dieci anni fa, se ti serviva un'informazione sicura, un'informazione decente, Internet era l'ultimo posto dove saresti andato a cercarla.
Poi qualcuno ha cambiato le cose. Ma chi è stato?
Ho una teoria (#58): e se fossimo stati noi? Si commenta qui.
Un piccolo esempio tra mille: quest'estate, qualcuno se lo ricorderà, ci ha lasciato un grande artista, Lelio Luttazzi. Il giorno della sua morte decine di quotidiani hanno scritto (almeno nelle loro versioni on line) che Luttazzi era “rimasto coinvolto in una vicenda di droga dai contorni mai chiariti”. In realtà i contorni della vicenda erano assolutamente chiari da più di trent'anni: Luttazzi era stato completamente scagionato, e negli anni successivi pare che avesse vinto diverse querele contro chi sosteneva il contrario. E allora perché i quotidiani continuavano a seminare il dubbio? Vuoi per pigrizia, vuoi per sfortuna: Luttazzi era mancato alla vigilia di uno sciopero dei giornalisti, e tante redazioni si erano trovate a copiare le schede biografiche delle agenzie. Peccato che anche queste ultime fossero il risultato di un analogo lavoro di copia-incolla da articoli di quotidiani ancora più antichi... insomma, non era ben chiaro quando, ma a un certo punto qualcuno aveva schizzato del fango sulla biografia di Lelio Luttazzi, e poi quel fango era stato ricopiato da tutti, senza che nessuno si ponesse il problema di verificare cosa ci fosse di vero o di falso. No, in realtà qualcuno il problema se l'era posto. Su un sito internet si leggeva chiaramente che Luttazzi era stato completamente scagionato. Ma non era il sito di un quotidiano. Era Wikipedia, l'enciclopedia libera. Sì, quella gratuita, quella scritta dai dilettanti, quella che tutti possono modificare. Non ci si dovrebbe fidare troppo di lei, eppure...
Dieci anni fa, quando Wikipedia cominciò in sordina la sua avventura, Internet era molto diversa da oggi: qualcuno forse ricorda che impresa fosse trovare, in mezzo a tanta confusione colorata, contenuti realmente interessanti. Eppure i motori di ricerca esistevano già, e facevano quel che potevano: il problema è che molte informazioni su internet non c'erano ancora. Me lo ricordo abbastanza bene perché in quel periodo lavoravo anch'io a una specie di enciclopedia on line, che in seguito ha chiuso. Uno dei miei compiti era “scrivere” delle brevi schede biografiche, dove il termine tra virgolette si può rendere anche come “scopiazzare cambiando qualche parolina qua e là per evitare problemi di copyright”. Lavoravo con quattro motori di ricerca, setacciavo il web intensamente... e non trovavo altro che le stesse schede biografiche che altri prima di me si erano copiati a vicenda, cambiando anche loro qualche parolina qua e là. Naturalmente nessuno dei copiatori che mi avevano anticipato si era preoccupato di verificare quello che “scriveva”, per cui gli errori immessi da un primo copista avevano già fatto il giro del mondo: se qualcuno, poniamo, aveva avanzato dei dubbi sulla fedina penale di Lelio Luttazzi, ormai il brillante musicista si poteva ritrovare infangato su due, cinque, dieci siti diversi. Se poi qualcuno copiando aveva inserito qualche errore di ortografia, anche quelli erano stati ripresi. Tanto è internet – si diceva nell'ambiente – mica la Treccani. Nessuno sarebbe stato così folle da usare le informazioni trovate lì sopra in un articolo di giornale, o magari in un saggio accademico.
Quand'è che sono cambiate le cose? In quale momento internet è diventata la fonte più comoda per giornalisti e perfino studiosi? Quand'è che abbiamo veramente cominciato a risolvere tutti i nostri dubbi con la semplice pressione del tasto “cerca con google”? Ho una teoria: il vero salto di qualità lo abbiamo fatto quando Google ha deciso – con un notevole sprezzo del pericolo – di fidarsi di Wikipedia: quel folle progetto sul quale dieci anni fa ben pochi avrebbero scommesso un euro (e avrebbero fatto bene, dal momento che Wikipedia non guadagna ancora un euro: è il sito non profit più visitato del mondo). Inserire le voci di wikipedia tra i primi risultati di ricerca è stato un atto di fiducia importante, che ha cambiato radicalmente il nostro modo stare nella rete. Prima di Wikipedia, anche i più generosi consideravano internet alla stregua di un enorme caotico recipiente di informazioni, da setacciare alla ricerca del vero. Wiki ha cambiato tutto, non perché fosse autorevole: anzi, sin dal primo momento ha messo in guardia i suoi utenti sul fatto che non lo era. Ma qualsiasi cosa fosse stata scritta, su Wiki si poteva modificare. Se avessimo trovato contenuti scadenti eravamo invitati a sostituirli con qualcosa di migliore. Se sapevamo che le informazioni su Lelio Luttazzi erano sbagliate, potevamo correggerle. E proprio perché non potevamo pretendere che qualcuno si fidasse di noi, avremmo dovuto fornire pezze d'appoggio, collegamenti ad altri contenuti, piste che chi veniva dopo di noi avrebbe potuto seguire.
Grazie a Wikipedia abbiamo smesso di considerare Internet un recipiente di caos e ci siamo accorti che era un enorme libro, ancora pieno di pagine bianche, che non chiedeva di meglio che essere scritto e corretto. Certo, occorreva rinunciare a una delle cose più care ai navigatori: il proprio ego, la propria ideologia di riferimento, i propri gusti personali. Proprio tutte le cose che hanno fatto la fortuna di tutti i servizi 'sociali': dieci anni fa l'e-mail e le chat, più tardi i blog, Myspace, e oggi Facebook. In compenso, Wiki ci ha dato la possibilità di partecipare al più grande progetto di condivisione del sapere, al più grande libro mai scritto. Qualcosa che è ben lontano dall'essere perfetto (anzi, non lo sarà mai), e in gran parte resta ancora da scrivere, ma intanto ha già migliorato la vita quotidiana di tutti noi, ogni volta che abbiamo un dubbio e che sappiamo che la risposta è a portata di click. Anche se forse è sbagliata. Ma non lo è quasi mai. Sabato Wikipedia ha compiuto dieci anni: il minimo che possiamo fare è dirle grazie (se vogliamo fare qualcosa di più, possiamo andare qui).http://leonardo.blogspot.com
Grazie a Wikipedia abbiamo smesso di considerare Internet un recipiente di caos e ci siamo accorti che era un enorme libro, ancora pieno di pagine bianche, che non chiedeva di meglio che essere scritto e corretto. Certo, occorreva rinunciare a una delle cose più care ai navigatori: il proprio ego, la propria ideologia di riferimento, i propri gusti personali. Proprio tutte le cose che hanno fatto la fortuna di tutti i servizi 'sociali': dieci anni fa l'e-mail e le chat, più tardi i blog, Myspace, e oggi Facebook. In compenso, Wiki ci ha dato la possibilità di partecipare al più grande progetto di condivisione del sapere, al più grande libro mai scritto. Qualcosa che è ben lontano dall'essere perfetto (anzi, non lo sarà mai), e in gran parte resta ancora da scrivere, ma intanto ha già migliorato la vita quotidiana di tutti noi, ogni volta che abbiamo un dubbio e che sappiamo che la risposta è a portata di click. Anche se forse è sbagliata. Ma non lo è quasi mai. Sabato Wikipedia ha compiuto dieci anni: il minimo che possiamo fare è dirle grazie (se vogliamo fare qualcosa di più, possiamo andare qui).http://leonardo.blogspot.com
Se sbaglio modificami
14-01-2011, 20:13anniversari, internet, scuola, wikipediaPermalink(Domani Wikipedia compie dieci anni. Classe di ferro).
Il cervellone
Mi fa paura pensarci, ma più della metà della mia vita l'ho trascorsa senza sapere cosa fosse internet.
I computer invece no, ho sempre saputo che esistevano e che sarebbero diventati sempre più potenti. Ma ecco, da bambino avevo un'idea piuttosto sfasata. I chip erano già in circolazione, ma io ancora pensavo ai calcolatori dei vecchi film, quelle stanze piene di valvole roventi che estraevano radici cubiche in pochi minuti, incredibili. I cervelli elettronici, giuro che li chiamavamo tutti così. E pensavamo che rispondessero alle domande. Non scherzo: l'idea era che l'uomo accendesse un pulsante, facesse una domanda (a voce, o con una scheda perforata, ma questi erano dettagli), ad esempio, “Quanto è alto il Monte Bianco?”, e lui dopo un po' avrebbe risposto: “4810 metri”, perché i cervelloni avrebbero saputo tutto. Come Hal 9000: lo accendi, lui ti saluta, chiede se può esserti utile, ti propone una partita a scacchi, congiura alle tue spalle, eccetera: l'idea che avevo del computer da bambino era questa. No, grazie, Hal, niente scacchi, ma mi potresti fare questi problemi di geometria per domani?
La rabbia di appartenere all'ultima generazione che i compiti doveva farseli senza ausilio di un cervellone positronico svanì d'incanto non appena ebbi tra le mani un vero “computer”. Perché un bel giorno arrivarono nelle case, ed erano oggetti ben diversi da come ce li eravamo immaginati. Molto meno grossi, grazie al cielo. In compenso, assolutamente stupidi. Quando spiego ai miei alunni che alla loro età – tredici anni – possedevo un computer con ben otto kilobyte di memoria fissa, mi guardano come si guarderebbe uno scriba egizio del Medio Regno. Ma il vero choc culturale fu scoprire che anche quegli 8 Kb erano vuoti. Non ti vendevano un enciclopedia, per quanto minuscola. Ti vendevano un contenitore vuoto, un oggetto che appena acceso conosceva solo qualche nozione di aritmetica, in pratica una grossa calcolatrice che non aveva la più pallida idea di cosa fosse il Monte Bianco. Svanita la speranza di usarlo per i compiti, il computer diventava un oggetto affascinante proprio in quanto stupido. Ci potevi giocare, in vari modi, e (nel giro di una decina d'anni) saresti anche riuscito a lavorarci. Ma sarebbe sempre rimasto l'amico stupido con cui dialogare in Basic, che sa risolvere i logaritmi ma non ha la minima idea di cosa sia l'Egitto. Per molti anni non ho più pensato che il computer fosse un oggetto a cui chiedere le cose.
Vent'anni dopo è successa una cosa straordinaria. Mi hanno montato una lavagna interattiva in una classe, e ora possiamo andare su internet quando vogliamo. Qualsiasi domanda ci venga in mente... tu digiti, e in pochi secondi internet ti risponde. I ragazzi ci si abituano subito, del resto la maggior parte ha già internet in casa, e le ricerchine le sanno fare, anche solo per trovare le specifiche di un videogioco. E così mi sono reso conto di una cosa.
Oggi i computer assomigliano molto di meno a quegli scatoloni vuoti che ho cominciato a usare alle medie, e molto di più a quei cervelloni che sognavo da bambino. Guarda il modo in cui li usano i ragazzi: fanno domande, e il computer risponde. Ovvero no, in realtà a rispondere è Internet, attraverso google e wikipedia. Ma per il bambino che ero trent'anni fa tutti questi sarebbero dettagli incomprensibili; l'essenziale è che il computer, oggi, è un tizio coltissimo che se gli chiedi una cosa – mediante tastiera – ad esempio “Quanto è alto il Monte Bianco?” – ci mette pochi secondi a rispondere: “4810 metri”. Proprio come Hal 9000.
La cosa che non mi sarei aspettato, da bambino, è il modo in cui i computer hanno compiuto questa evoluzione. Mi sarei aspettato un progresso tecnologico: valvole sempre più efficaci, bobine sempre più veloci... a un certo punto avremmo dato da mangiare a un cervellone più grande degli altri l'intero scibile umano sotto forma di schede perforate e... voilà, il Cervellone avrebbe saputo tutto. Mi sembrava logico che sarebbe andata a finire così. E invece le cose hanno preso una via inattesa. All'inizio c'era Internet, una rete di contenuti buttati un po' qua e un po' là, scarti di tesi di laurea e vecchi archivi di forum, informazioni generalmente scadenti che oscillavano per il mondo in modo browniano, e persino Google molto spesso non era in grado di trovarti un granché, per il semplice motivo che in rete – malgrado tutte le chiacchiere che se ne facevano su libri e riviste specializzate – non c'era ancora un granché. Fino al 2000, più o meno.
Eppure in un qualche modo Internet non era tutta lì. Essa comprendeva anche i suoi utenti: non era un'intelligenza artificiale, ma un'intelligenza collettiva, metà carne metà html (cyborg, si diceva in quegli anni). Ecco, io credo che il momento decisivo è stato quello in cui questa intelligenza collettiva, ancora non molto intelligente e non molto collettiva, ha preso atto della sua pochezza e... ha cominciato a fare delle domande all'utente. In pratica, il momento in cui ha creato wikipedia. Wikipedia era il posto dove il signor Internet ammetteva di non saperne abbastanza, e ti chiedeva aiuto. Pensateci, forse il test di Turing lo ha passato in quel momento in cui gli abbiamo fatto una domanda (“Quanto è alto il Monte Bianco?”) e lui ha risposto con una domanda ('Non lo so, dimmelo tu per favore'). Una rivoluzione copernicana. Abbiamo smesso di pensare a Internet come a un libro stampato e abbiamo cominciato a considerarlo un libro da scrivere, una creatura da crescere, qualcosa a cui insegnare le cose.
Wiki è stato il momento, è stato il luogo in cui il signor Internet ha scoperto di non sapere, e ha fatto il primo passo giusto verso la conoscenza di sé e degli altri. Oggi, se chiedi quand'è alto il Monte Bianco, Internet attraverso Wikipedia ti dice: 'Mi risulta che sia alto 4810 m., ma non posso esserne certo; per favore, se la sai più lunga di me, correggimi. Non chiedo di meglio'(*). Hal 9000 era molto più spocchioso. Poi certo, anche l'ibrido collettivo che chiamiamo Internet, ma più precisamente Wikipedia, ha i suoi difetti. Tutti i difetti umani dei suoi utenti (pignoleria, superficialità, ignoranza, spocchia, ecc. ecc. ecc.), più i difetti dei computer. Però è la più grande creatura che abbiamo visto nascere. Ha solo dieci anni e forse sa già più cose delle enciclopedie vere. È un gigante buono che è disponibile a raccontarti qualsiasi cosa, ci puoi passare le serate. E ogni volta che commette un errore di ortografia, tu glielo correggi e lui ti ringrazia. Questa ultima cosa fa impazzire i ragazzini a scuola. Non importa di cosa stiamo parlando: ogni volta che troviamo un errore di ortografia, lo correggiamo in diretta. E così scopriamo che sbagliare è umano, perché sbaglia anche la creatura più umana di tutte, che è Wikipedia. Ma allo stesso tempo, sbagliare è inammissibile, sbagliare è pericoloso: tutto quello che Wikipedia ci dice potrebbe essere falso. Potrebbe essere il brutto scherzo di un'altra classe dall'altra parte del mondo, che ha tolto un migliaio di metri al Monte Bianco a maggior gloria delle vette del Caucaso. Non bisogna fidarsi ciecamente di nessuno, neanche del famoso cervello elettronico, perché in fondo che ne sa lui? Solo quello che gli abbiamo detto noi.
Insomma, caro me stesso bambino del passato, è andata più o meno come te l'immaginavi. Adesso in classe abbiamo un cervellone elettronico che risponde alle domande. Sì, a volte ti fa anche i problemi. Ma a volte li sbaglia, insomma, non ti puoi mai fidare.
(*) In realtà oggi ti dice: “ Al di sotto della calotta sommitale, sotto una coltre di ghiaccio e di neve spessa dai 16 ai 23 m, a quota 4.792 m si trova la cima rocciosa, spostata di 40 m circa più ad ovest rispetto alla vetta stessa. Nell'agosto del 1986 la misurazione ortometrica rilevata tramite satellite risultava di 4.804,4 m. Successivamente l'altezza ufficiale è stata per lungo tempo 4.807 m, per poi passare nel 2001 a 4.810,40 m; nel 2003 a 4.808,45; nel 2005 fu di 4.808,75; nel 2007 a 4.810,90 e nell'ultima misurazione nel settembre 2009 a 4.810,45 m [5]."
Il cervellone
Mi fa paura pensarci, ma più della metà della mia vita l'ho trascorsa senza sapere cosa fosse internet.
I computer invece no, ho sempre saputo che esistevano e che sarebbero diventati sempre più potenti. Ma ecco, da bambino avevo un'idea piuttosto sfasata. I chip erano già in circolazione, ma io ancora pensavo ai calcolatori dei vecchi film, quelle stanze piene di valvole roventi che estraevano radici cubiche in pochi minuti, incredibili. I cervelli elettronici, giuro che li chiamavamo tutti così. E pensavamo che rispondessero alle domande. Non scherzo: l'idea era che l'uomo accendesse un pulsante, facesse una domanda (a voce, o con una scheda perforata, ma questi erano dettagli), ad esempio, “Quanto è alto il Monte Bianco?”, e lui dopo un po' avrebbe risposto: “4810 metri”, perché i cervelloni avrebbero saputo tutto. Come Hal 9000: lo accendi, lui ti saluta, chiede se può esserti utile, ti propone una partita a scacchi, congiura alle tue spalle, eccetera: l'idea che avevo del computer da bambino era questa. No, grazie, Hal, niente scacchi, ma mi potresti fare questi problemi di geometria per domani?
La rabbia di appartenere all'ultima generazione che i compiti doveva farseli senza ausilio di un cervellone positronico svanì d'incanto non appena ebbi tra le mani un vero “computer”. Perché un bel giorno arrivarono nelle case, ed erano oggetti ben diversi da come ce li eravamo immaginati. Molto meno grossi, grazie al cielo. In compenso, assolutamente stupidi. Quando spiego ai miei alunni che alla loro età – tredici anni – possedevo un computer con ben otto kilobyte di memoria fissa, mi guardano come si guarderebbe uno scriba egizio del Medio Regno. Ma il vero choc culturale fu scoprire che anche quegli 8 Kb erano vuoti. Non ti vendevano un enciclopedia, per quanto minuscola. Ti vendevano un contenitore vuoto, un oggetto che appena acceso conosceva solo qualche nozione di aritmetica, in pratica una grossa calcolatrice che non aveva la più pallida idea di cosa fosse il Monte Bianco. Svanita la speranza di usarlo per i compiti, il computer diventava un oggetto affascinante proprio in quanto stupido. Ci potevi giocare, in vari modi, e (nel giro di una decina d'anni) saresti anche riuscito a lavorarci. Ma sarebbe sempre rimasto l'amico stupido con cui dialogare in Basic, che sa risolvere i logaritmi ma non ha la minima idea di cosa sia l'Egitto. Per molti anni non ho più pensato che il computer fosse un oggetto a cui chiedere le cose.
Vent'anni dopo è successa una cosa straordinaria. Mi hanno montato una lavagna interattiva in una classe, e ora possiamo andare su internet quando vogliamo. Qualsiasi domanda ci venga in mente... tu digiti, e in pochi secondi internet ti risponde. I ragazzi ci si abituano subito, del resto la maggior parte ha già internet in casa, e le ricerchine le sanno fare, anche solo per trovare le specifiche di un videogioco. E così mi sono reso conto di una cosa.
Oggi i computer assomigliano molto di meno a quegli scatoloni vuoti che ho cominciato a usare alle medie, e molto di più a quei cervelloni che sognavo da bambino. Guarda il modo in cui li usano i ragazzi: fanno domande, e il computer risponde. Ovvero no, in realtà a rispondere è Internet, attraverso google e wikipedia. Ma per il bambino che ero trent'anni fa tutti questi sarebbero dettagli incomprensibili; l'essenziale è che il computer, oggi, è un tizio coltissimo che se gli chiedi una cosa – mediante tastiera – ad esempio “Quanto è alto il Monte Bianco?” – ci mette pochi secondi a rispondere: “4810 metri”. Proprio come Hal 9000.
La cosa che non mi sarei aspettato, da bambino, è il modo in cui i computer hanno compiuto questa evoluzione. Mi sarei aspettato un progresso tecnologico: valvole sempre più efficaci, bobine sempre più veloci... a un certo punto avremmo dato da mangiare a un cervellone più grande degli altri l'intero scibile umano sotto forma di schede perforate e... voilà, il Cervellone avrebbe saputo tutto. Mi sembrava logico che sarebbe andata a finire così. E invece le cose hanno preso una via inattesa. All'inizio c'era Internet, una rete di contenuti buttati un po' qua e un po' là, scarti di tesi di laurea e vecchi archivi di forum, informazioni generalmente scadenti che oscillavano per il mondo in modo browniano, e persino Google molto spesso non era in grado di trovarti un granché, per il semplice motivo che in rete – malgrado tutte le chiacchiere che se ne facevano su libri e riviste specializzate – non c'era ancora un granché. Fino al 2000, più o meno.
Eppure in un qualche modo Internet non era tutta lì. Essa comprendeva anche i suoi utenti: non era un'intelligenza artificiale, ma un'intelligenza collettiva, metà carne metà html (cyborg, si diceva in quegli anni). Ecco, io credo che il momento decisivo è stato quello in cui questa intelligenza collettiva, ancora non molto intelligente e non molto collettiva, ha preso atto della sua pochezza e... ha cominciato a fare delle domande all'utente. In pratica, il momento in cui ha creato wikipedia. Wikipedia era il posto dove il signor Internet ammetteva di non saperne abbastanza, e ti chiedeva aiuto. Pensateci, forse il test di Turing lo ha passato in quel momento in cui gli abbiamo fatto una domanda (“Quanto è alto il Monte Bianco?”) e lui ha risposto con una domanda ('Non lo so, dimmelo tu per favore'). Una rivoluzione copernicana. Abbiamo smesso di pensare a Internet come a un libro stampato e abbiamo cominciato a considerarlo un libro da scrivere, una creatura da crescere, qualcosa a cui insegnare le cose.
Wiki è stato il momento, è stato il luogo in cui il signor Internet ha scoperto di non sapere, e ha fatto il primo passo giusto verso la conoscenza di sé e degli altri. Oggi, se chiedi quand'è alto il Monte Bianco, Internet attraverso Wikipedia ti dice: 'Mi risulta che sia alto 4810 m., ma non posso esserne certo; per favore, se la sai più lunga di me, correggimi. Non chiedo di meglio'(*). Hal 9000 era molto più spocchioso. Poi certo, anche l'ibrido collettivo che chiamiamo Internet, ma più precisamente Wikipedia, ha i suoi difetti. Tutti i difetti umani dei suoi utenti (pignoleria, superficialità, ignoranza, spocchia, ecc. ecc. ecc.), più i difetti dei computer. Però è la più grande creatura che abbiamo visto nascere. Ha solo dieci anni e forse sa già più cose delle enciclopedie vere. È un gigante buono che è disponibile a raccontarti qualsiasi cosa, ci puoi passare le serate. E ogni volta che commette un errore di ortografia, tu glielo correggi e lui ti ringrazia. Questa ultima cosa fa impazzire i ragazzini a scuola. Non importa di cosa stiamo parlando: ogni volta che troviamo un errore di ortografia, lo correggiamo in diretta. E così scopriamo che sbagliare è umano, perché sbaglia anche la creatura più umana di tutte, che è Wikipedia. Ma allo stesso tempo, sbagliare è inammissibile, sbagliare è pericoloso: tutto quello che Wikipedia ci dice potrebbe essere falso. Potrebbe essere il brutto scherzo di un'altra classe dall'altra parte del mondo, che ha tolto un migliaio di metri al Monte Bianco a maggior gloria delle vette del Caucaso. Non bisogna fidarsi ciecamente di nessuno, neanche del famoso cervello elettronico, perché in fondo che ne sa lui? Solo quello che gli abbiamo detto noi.
Insomma, caro me stesso bambino del passato, è andata più o meno come te l'immaginavi. Adesso in classe abbiamo un cervellone elettronico che risponde alle domande. Sì, a volte ti fa anche i problemi. Ma a volte li sbaglia, insomma, non ti puoi mai fidare.
(*) In realtà oggi ti dice: “ Al di sotto della calotta sommitale, sotto una coltre di ghiaccio e di neve spessa dai 16 ai 23 m, a quota 4.792 m si trova la cima rocciosa, spostata di 40 m circa più ad ovest rispetto alla vetta stessa. Nell'agosto del 1986 la misurazione ortometrica rilevata tramite satellite risultava di 4.804,4 m. Successivamente l'altezza ufficiale è stata per lungo tempo 4.807 m, per poi passare nel 2001 a 4.810,40 m; nel 2003 a 4.808,45; nel 2005 fu di 4.808,75; nel 2007 a 4.810,90 e nell'ultima misurazione nel settembre 2009 a 4.810,45 m [5]."
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Secoli di secoli di frrrrrrrrrrrr
12-01-2011, 18:59arti contemporanee, dialoghi, essere donna oggi, pubblicità, vita e mortePermalinkAttenzione: Questo pezzo contiene lessico piuttosto esplicito. I minori possono leggerlo solo se accompagnati.
Toc toc.
“Chi osa bussare alla Cripta del Creativo?”
“Dunque, ecco io... avevo un appuntamento, rappresento un consorzio di pellai...”
“Parola d'ordine”.
“Chi mi ama mi segua”.
“Puoi entrare”.
“Grazie. Dunque, non so se ci siamo presentati al telefono, io... vengo a nome di questo consorzio di pellai che vorrebbe rilanciare la propria immagine e così... avevamo pensato di rivolgerci al Sommo...”
“Guarda, personalmente a me non fotte una sega di chi sei e cosa vuoi. Basta che tu abbia portato ciò che ci occorre. Hai il sangue?”
“Ma certo, ecco qui. Sette litri di sangue di vergine”.
“Bella tanica. Sicuro che è di vergine?”
“Eh, mi fa una bella domanda”.
“Perché se non è di vergine poi succedono i casini. Gruppo sanguigno?”
“Ecco, appunto, io... non volevo rischiare, e così ho preso un misto”.
“Mmmh. Ce lo faremo andar bene. Seguimi nel fondo della cripta, occhio al...”
“Ouch!”
“...Terzo capitello a destra, vedo che lo hai già incontrato”.
“Certo che fa freddo qui”.
“La temperatura ottimale per la conservazione. Eccoci arrivati. Il Sommo è lì, oltre la soglia di questo portale funerario. Sei pronto a incontrarLo?”
“Ho i brividi”.
“È comprensibile. Dunque, per prima cosa: non parlare e non Lo guardare negli occhi finché non Gli avrò somministrato il sangue. Solamente dopo, forse, potrai parlare. Ehi, ma ti senti bene?”
“Io... cerchi di capirmi, l'immagine del mio consorzio dipende da questo meeting”.
“Fidati di noi, sei in buone mani. Ora entriamo”.
Screeeeeeeeeeeeeeeeak
“Dio mio”.
“Dio non c'entra molto, come puoi ben capire. Non guardarLo!”
“Ma... non mi sembra che respiri”.
“Sssssssssssssst! Non ne ha bisogno! Ora Gli apro la bocca... uff, non viene. Certi giorni è proprio duro... Senti, dammi una mano”.
“Eh? Cosa devo fare?”
“ReggiGli la testa mentre cerco di aprirGli la bocca... su”.
“Ma non morde?”
“In linea di massima no”.
“Dio mio, chi potrebbe crederci, io sto... sto tenendo in mano la testa del Maestro”.
“Dio non c'entra niente, ribadisco. Ecco, ora infilo l'imbuto, tu versa pure dalla tanica”.
“Sette litri di sangue? Ma non sborderà?”
“Eh, anche a me sembrava strano le prime volte. No, è insaziabile. Guarda come va giù, non ne lascia un goccio”.
“Certo che è una dieta costosa, eh”.
“Vale tutti i soldi che è costata, come ben sai. Ecco”.
“Sta... sta cambiando colore!”
“Allontanati, adesso può mordere”.
“Si sveglia?”
“Non è mai veramente sveglio, e non è mai veramente... in sonno”.
“Wrgrwgrgrgrggrgrg”.
“Sta parlando! Cosa dice?”
“Nulla di intellegibile per ora. Parla tu”.
“Ma cosa Gli devo dire?”
“Adulalo. È assai sensibile ai complimenti”.
“Sì, dunque, ehm.... O Maestro, o Luce dell'italico ingegno”.
“Wgggrrrgrgrgrgrgrgr”
“Vado bene?”
“Vai, vai, ti ascolta”.
“O Creativo dei Creativi, anzi, unico Creativo Italiano, del passato del presente e del futuro; nulla esisteva prima di Te, nulla sussiste dopo di Te, se non copiato da Te...”
“O Sommo Maestro, fosti tu e tu solo a rivoluzionare la pubblicità italiana, con quel cartellone di cui ancora oggi tutto il mondo parla, la campagna per i jeans... tu solo sapesti trovare l'immagine adatta al prodotto”.
“WrrgrgrgrgrgrgrgrgcccccCULO!”
“Vai bene, vai bene, lo hai svegliato.”
“CULO! grgrgrgr CULO! CULO!”
“O Maestro, come possiamo ricordare una per una le tue geniali innovazioni... le centinaia di campagne in cui tu mostrasti al mondo le...”
“wrgrrgrgrggrg PUPPE!”
“Le nuove frontiere del comunicabile”.
“TETTE!”
“...Sì, anche quelle, sì”.
“CHIAPPE! Werrghgewheg. CHIAPPE!”
“O Maestro, passano gli anni, eppure il tuo sguardo puro sul mondo non si appanna e ci regala sempre nuove...”
“TETTE!”
“...Formidabili campagne, tra le quali vorrei ricordare quella meravigliosa elaborata più di dieci anni fa per Famiglia Cristiana”.
“CHIAPPE!”
“...E quella ancor più geniale, elaborata dieci anni dopo, per l'Unità”.
“O Maestro, così pura e originale è la tua arte, che tu riesci a trasformare in un capolavoro anche un'affissione di cibo per cani, mostrando...”
“PUPPE!”
“Che il tuo genio non decade con gli anni. Ebbene, è a te – e a chi altri? – che ha pensato il mio consorzio, o Sommo”.
“CU-LO! TET-TE! CU-LO! CU-LO! TET-TE!”
“Maestro sì, forse siamo stati troppo impudenti a ricolgerci a Te, che hai lavorato con i più grandi maestri del....”
“CULOTETTECULOTETTECULOTETTECULOTETTECULOTETTECULOTETTE CULOTETTECULOTETTECULOTETTECULOTETTECULOTETTECULOTETTE CULOTETTECULOTETTECULOTETTECULOTETTECULOTETTECULOTETTE ”
“...d'altro canto, o Sommo, che dovevamo fare? Rivolgerci a un giovinastro? a un cialtrone dilettante che senz'altro avrebbe copierebbe una Tua idea?”
“IDEA?”
“Sì, capita”.
“TETTE!”
“... e quindi insomma, Maestro dei Maestri, Tu solo hai parole di successo sempiterno, ed è Te pertanto che prostrati supplichiamo di rinnovare la nostra immagine”.
“IMMAGINE?”
“Sì”.
“TETTE-TETTE-TETTE-TETTE!”
“TETTE!”
“PUPPE!”
“CHIAPPE!”
“CHIAPPE-CHIAPPE-CULO-CULO”.
“Insomma Maestro, io non so se ti rendi conto di quanto mi costa questo meeting, in termini di sangue di vergine al litro”.
“WRG? RGR?”
“Ops”.
“GRGRGGRGRGRGRGRG!”
“Il fatto è che... insomma, Maestro, io credo tantissimo in Te... Possibile che Tu non abbia un'altra idea, qualcosa di veramente nuovo? Sono realmente venuto qui soltanto per sentirti dire Culo e Tette? Per carità, non dico che siano brutte idee, ma...”
“Wrrrhgrgrgrggrrgrgrgrgrf f ff f ff”
“Non lo so. Mi sa che lo hai offeso”.
“Ah sì?”
“Nessuno gli aveva mai osato rispondere come gli hai risposto tu. Hai avuto del coraggio”.
“Rrgrgrgrgrf f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff”
“Si sta addormentando, forse”.
“No. Mi sembra piuttosto che... elabori”.
“Elabora?”
“f f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff”
“Sicuro che non stia per esplodere?”
“No”.
“f f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f fff”.
“Maestro, ti scongiuro, perdonami per la mia impudenza... non esplodere... non lasciare il mondo orbato di Te, unica fonte di creatività... che mondo triste resterebbe... un mondo senza colori, senza culi, senza tette, senza...”
“f f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f ff f fRRRRRRR! FRRRRRRRRRRRR!”
“Maestro, stai forse cercando di dirci qualcosa?”
“f f ff f fFFRRRRRRREGNA! FREGNA! FREGNA!”
“Dio non c'entra niente. Dio non c'entra niente”.
“FREGNA! FREGNA! FREGNA! FREGNA!”
“Ha avuto un'idea. Nuova. E io c'ero. L'ho visto”.
“FREGNA! FREGNA! FREGNA! FREGNA!”
"Sei davvero fortunato. Non è capitato a molti".
“FREGNA! FREGNA! FREGNA!”
“FICA! FREGNA! FICA! FREGNA!”
“FREGNA! FREGNA! FREGNA!”
“FICA!”
“PATONZA!”
“PASSSSSERA!”
“FREGNA! PELOSA! FREGNA! GLABRA! FREGNA! NEGRA! FREGNA! ALBINA!”
“FICA GRINZOSA! FICA SPANATA! FICA QUALSIASI!”
“FICA! FREGNA! FICA! FREGNA!”
“E mediante questa accorta strategia mediatica, noi presto raggiungeremo la...”
“FREGNA! FREGNA! FRFRFRRRRRRRRRRRRRR!”
“IDEA?”
“FREGNA!”
“VITA?”
“FREGNA!”
“SECOLI!”
“FREGNA! SECOLI! FREGNA! SECOLI! FREGNA! SECOLI! FREGNA! SECOLI! SECOLI NEI SECOLI DI FREGNA! FREGNA FREGNA FRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr
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The Rutelli Scenario
11-01-2011, 16:48elezioni 2001, replichePermalink[Questo blog è nato dieci anni fa, e festeggia pubblicando un post per anno. Siamo arrivati al 2005, che però è ambientato nel 2025 - storia lunga. Quel che vi interessa sapere è che 15 anni dopo che Tremonti ha paragonato la crisi economica a un videogioco, Arci e Mac caricheranno su Civilization VII il seguente scenario: cosa sarebbe successo se alle elezioni del 2001 avesse vinto Rutelli e non Berlusconi?]
Civilization VII - Lo Scenario Rutelli
Ave, Rutelli. Sei il Primo Ministro della Repubblica Italiana nel 2001 AD. Gli italiani sono simpatici, improvvisatori e inconcludenti.
"Be', ma come si permette?"
"In effetti questo è uno degli aspetti più discutibili del software. Ogni civiltà ha delle caratteristiche innate che si porta avanti in ogni fase del gioco, dalla preistoria all'era spaziale".
"Sì, lo so benissimo. I tedeschi sono metodici ed espansionisti, gli indiani sono mistici e pacifici, eccetera".
"Ah, vedo che hai giocato, qualche volta".
"Io… sì, qualche versione precedente. Negli anni Novanta".
"Ah sì? E come mai non sei diventato un Neocone?"
"Un che?"
"È una teoria molto in voga, ultimam. Fino a qualche tempo fa si pensava che la generazione di intellettuali USA formatasi negli anni Novanta avesse abbracciato l'ideologia neoconservatrice dopo aver letto The Clash of Civilizations, hai presente, il libro di Huntington".
"Che non è un Neocon".
"Diciamo che era un buon antipasto. Perché, l'hai letto?"
"Beh… ho guardato le figure".
"Ecco, appunto. A un certo punto qualcuno si è reso conto che The Clash of Civilizations era stato molto più citato che letto, e comunque era uscito solo nel 1996, mentre Sid Meier aveva pubblicato Civilization I già nel 1991".
"Sul serio? Pensato che le teorie di Huntington lo avessero influenzato".
"Era il contrario. Il videogioco aveva influenzato Huntington. O perlomeno i suoi lettori. Anche perché… pensaci un momento. The Clash of Civilizations si legge in una settimana. Quanto ti dura una partita di Civilization?"
"Io… non so. Trentasei ore".
"Di più, di più. E se ci giochi una volta…"
"…ci giochi altre volte".
"Insomma, i neoconservatori degli anni dieci erano tutti appassionati giocatori di Civilization negli anni Novanta. Erano maturati ideologicamente durante lunghe sessioni di gioco. E poi può darsi che leggessero anche un po' di Huntington, ma un buon gioco di simulazione ti penetra molto più di qualsiasi opera letteraria".
"Vabbè, ma che vuol dire, ci giocava anche un sacco di gente non Neocona… Io mi ricordo una volta che tornavo in treno da una manifestazione, sai, quelle cose enormi che facevamo ai tempi dell'Iraq, e non riuscivo a dormire perché il mio dirimpettaio pacifista si ostinava a spiegare a un suo amico come aveva scatenato la guerra nucleare contro gli egiziani e… ma come, sono già sotto coi soldi?"
"È il buco lasciato dal governo precedente".
"Ma no! Amato non mi avrebbe mai tirato un gioco simile. Lui era un uomo onesto, un…"
"Un socialista, sì. Non ti ricordi il bonus fiscale del 2000? Il tuo primo aumento alla tua prima busta paga. Pura manovra elettorale".
"Allora Tremonti non mentiva".
"Era solo un simpatico esageratore".
"Beh, che importa, tanto non ho mica promesso mari e monti, io. Ci metto solo un turno a… Momento. Cos'è qsta puzza di fritto?"
"Qsto è un altro aspetto discutibile della simulazione. Ogni ambasciatore si annuncia dal suo… profumo".
"Mao Tze Tung?"
Ave, Rutelli. L'ambasciatore della Repubblica del Popolo Cinese ti augura pace e prosperità.
"Sì, mi rendo conto che a questo livello avrebbero potuto usare volti più verosimili, ma pare che agli utenti piaccia più così. Quando tratti coi francesi c'è sempre Napoleone, e l'ambasciatore indiano è sempre Gandhi, anche quando ti lancia l'offensiva nucleare. Piccoli effetti umoristici".
Abbiamo sentito dire che state fondando un'Organizzazione Mondiale del Commercio con USA, Europa e Russia.
Ci piacerebbe aderire alla vostra Organizzazione.
Possiamo vendere: utensili in acciaio, manufatti tessili, tecnologia hi-tech.
"La traduzione lascia un po' a desiderare. Cosa gli rispondo?"
"Sei tu, il Presidente. Improvvisa. Sei italiano o no?"
"Se gli dico di no, cosa fa, mi invade?"
"Ufficialm no. Potrebbe usare le bombe umane".
"Bombe umane?"
"Un deterrente molto efficace. Libera qualche milione di cittadini ansiosi di emigrare in Italia clandestinam".
"Beh, meglio così, un sacco di forza lavoro. Tanto io sono di sinistra… e qsto chi è?"
Ave, Rutelli, sono il tuo Ministro degli Interni, on. D'Alema.
"Ma se non ha i baffi!".
"Porta pazienza, è uno scenario che ti ho fatto in due ore, secondo te avevo il tempo di mettere i baffi a D'Alema? Senti che ti dice".
Rapporti confidenziali dicono che un attacco umano dalla Repubblica del Popolo Cinese causerebbe rivolte in tutte le città del Nord.
"Beh, ma si fottano, quei Padani! Ignora le loro fievoli minacce!"
Se questo è il tuo volere, Presidente, devo rassegnare le dimissioni.
"E si fotta anche D'Alema! Però, mi piace qsto gioco. Ma la prossima volta mettici i baffi, mi darà più soddisfazione… beh? È già finita?"
"D'Alema si è dimesso, i Diesse ti hanno tolto la fiducia, il tuo governo è caduto, hai perso la partita".
Addio, Rutelli.
Il tuo governo è durato 27 giorni.
Gli annalisti del futuro ti ricorderanno come:
RUTELLI L'IMBELLE
"No, no aspetta. Torno indietro. Come non detto. Control Zeta. C'è un modo di fare Control Zeta?"
"Come no, basta pensarlo intensamente".
"E infatti! Dunque, sono di nuovo di fronte a Mao Tze Tung che sa di fritto. Gli dico che può entrare nell'Organizzazione Mondiale del Commercio, però… deve rispettare alti standard in materia di diritti umani! To', beccati questa".
"Lui che dice?"
"Fa sì con la testa e sorride".
"È un modo del software per esprimere assenso «all'orientale»".
"Più che sorridere ridacchia".
"È sempre un cenno d'assenso".
"Bene. E qsta adesso cos'è… cannella?"
Ave, Rutelli. Sono il Presidente degli Stati Uniti, George W. Bush.
"Sì, e sai di cannella. Cosa vuoi?"
Vedo che anche tu sei d'accordo all'ingresso della Cina nel WTO. Firmeremo l'accordo formale al prossimo summit, in Italia, in luglio. Mi raccomando di curare le misure di sicurezza anti-terrorismo".
"E se lo mando a f'nql?"
"Non credo che andrai molto avanti".
"Va bene, allora Ok, George, non ti preoccupare, anzi, te lo posso dire? Preoccupati. Osama Bin Laden sta preparando un attacco alle Due Torri in settembre. Ouch! Che succede?"
"Succede che stai barando. Stai usando il senno del poi".
"E mi arriva la scossa?"
"Un piccolo deterrente".
"E qsto casino cos'è?"
"Non è niente, c'è malcontento popolare".
"E perché? Cosa ho fatto?"
"Pensano che organizzando un summit in Italia attirerai i terroristi; inoltre né Mao Tze Tung né George W. Bush sono molto popolari".
"Vabbe', ma che ci posso fare?"
"Più o meno lo sai cosa puoi fare. Puoi intrattenerli, costruire stadi, ripetitori tv, cinematografi…"
"Ci sono già in tutte le città, non bastano".
"Puoi farli lavorare meno a parità di salario".
"Ma sono già in rosso".
"Ti sarà già capitata una situazione del genere, no? Di solito cosa facevi?"
"Beh, la cosa più facile era distaccare un'unità militare nella città in tumulto".
"Bene, allora fa così. Prima concentri tutto il malcontento popolare in una città… in qlla dove avverrà il summit. E poi, con la scusa dell'antiterrorismo, ci mandi un bel po' di unità-carabinieri".
"Non è che ne abbia tante a disposizione. Mi servono per gli stadi".
"E allora prendi anche i poliziotti, i finanzieri, i forestali… tutto quel che hai".
"Però non so… non mi sembra una cosa molto di sinistra".
"Se te ne vengono in mente altre…".
"Non conosco il gioco abbastanza".
"Lo conosci benissimo. Improvvisa".
"E qsto chi è?"
Ave, Rutelli, sono il tuo Ministro degli Esteri, on. Veltroni.
"Veltroni?"
"Pensavo che ti sarebbe piaciuto, sai, è un brav'uomo, ogni tanto lo mandi in Africa…"
Il summit internazionale è stato un successo. I terroristi non hanno colpito. Il mondo ti stima.
"Oh, bene".
Ave, Rutelli, sono il tuo Ministro degli Interni, on. D'Alema.
"E tu che vuoi?"
La sollevazione popolare nella città di Genova è stata sedata.
"Ottimo".
Perdite: una unità.
"Che significa?"
"C'è scappato un morto".
"Militare o civile?"
"Senti, è una simulazione fatta in poco tempo, non ha nessuna importanza se è morto un carabiniere o un manifestante. Uno su 57 milioni è comunque poca cosa".
"Poca cosa? Questa è una Repubblica! Non è che può morire una persona in una città così".
"Certo che puoi, se concentri tutto il malcontento e tutte le forze di polizia in una città sola! Quando giocavi alle versioni più vecchie non ti capitava mai di far morire i tuoi cittadini?"
"Sì, ma era un gioco. Non me ne accorgevo neanche".
"È un gioco anche questo".
Ave, Rutelli, sono il tuo Addetto Stampa, Michele Serra.
"Piuttosto inverosimile".
"È il primo che mi è venuto in mente".
Lieve malcontento in tutte le città, a causa della morte di un cittadino durante la rivolta di Genova.
La tua popolarità è crollata. Fini e Bertinotti vinceranno le prossime elezioni.
"E va bene, che ci posso fare?"
"Puoi chiedere scusa, nominare una commissione d'inchiesta e scaricare le colpe sui sottoposti".
"Giusto. Faccio dimettere tutti i dirigenti delle forze di polizia. E anche D'Alema, to', non è agli Interni, D'Alema? Al suo posto ci metto Fassino, così i DS mi mantengono la fiducia. Come sto andando?"
"Non male, sei arrivato al settembre del 2001 senza ancora fare una sola cosa di sinistra".
"Va be', ho ancora cinque anni, tanto".
Caro Leonardo, se ci penso, aveva ragione Arci: non c'è niente di meglio di un gioco di simulazione per trasmettere un'ideologia. Connesso a Civilization VII io giocavo, giocavo, e intanto tutta la mia fede nell'autodeterminazione individuale veniva espulsa dai pori, come una tossina dal sudore. Sudavo molto, in effetti.
"Tempo di finanziaria, bene. Mo' mi vedono. Supertassa patrimoniale, tie'! E lotta senza quartiere all'evasione. E all'abuso edilizio. E poi…"
"Mi sembra che esageri. Rutelli avrebbe fatto tutto questo? Con Bertinotti all'opposizione?"
"Rutelli no, io sì. E voglio proprio vedere chi lo rivota, Bertinotti… beh? Cos'è quella freccia in caduta libera?"
"Una freccia indaco?".
"Blu?"
"Sì. È il PIL trimestrale".
"E perché è crollato?"
"Non lo so, posso fare delle supposizioni. Forse le tue dichiarazioni hanno spaventato gli industriali, che hanno spostato i capitali nei paradisi fiscali. E già che c'erano, hanno spostato anche la produzione. Ricordi quando hai voluto la Cina nel WTO? Adesso possono trasferire intere fabbriche dal Po al Fiume Azzurro quasi a costo zero".
"Ma anche questi industriali, che due coglioni… attacco San Marino, va".
"Cos'è che fai?"
"Lo sanno tutti che è un paradiso fiscale. Ora voglio proprio vedere cosa succede se lo circondo con la fanteria meccanizzata".
"Mac, in questo scenario meno usi la forza meglio è. Hai già visto che è successo a Genova".
"Sciocchezze. Stavolta non ammazzo nessuno. E se Napoleone mi dà il permesso, dopo prendo Montecarlo… E adesso che cazzo vuoi, Veltroni…"
Il Parlamento Europeo condanna la tua politica espansionista.
Forti sanzioni economiche imposte dagli Stati Membri.
"Branco di rammolliti! Per tre colline in Romagna? E se invadevo l'Etiopia cosa succedeva?"
"Mac, stai giocando contro un computer che si intende di storia molto più di te. Il suo comportamento è assolutamente verosimile. Sei tu che stai facendo pazzie. Nessun vero uomo di Stato europeo assedierebbe un paradiso fiscale".
"Ma perché?"
"Perché no".
"Va bene, va bene: control Zeta. Ricapitoliamo: devo fare una finanziaria equa ma senza spaventare gli industriali, e inoltre… e adesso cos'è tutto questo casino?"
"Indovina un po'".
"O cazzo, giusto, l'11 settembre… ma io che c'entro? "
"Il mondo è piccolo, Mac".
"Ho mezza Italia in rivolta… qsto non è molto verisimile".
"Il Ministro degli Interni che dice?"
"Fassino? Un paio di stronzate sulla caccia all'arabo. A Milano e Verona danno la caccia agli arabi e li linciano per strada. Mi sembra un po' esagerato".
"Devi pensare che la destra è in stato confusionale. Berlusconi Bossi e Fini hanno perso le elezioni e non contano più nulla. Gli attivisti sono smarriti e confusi, e tu stai facendo ponti d'oro agli immigranti".
"Ho solo snellito le procedure".
"Hai anche abbreviato i tempi per la cittadinanza, mi pare".
"Altroché se l'ho fatto, è forza lavoro a buon mercato e voglio tenermela stretta! Altrimenti poi lo sai che i cinesi…"
"Sai cosa si dice di te? Che tra quattro anni e mezzo vuoi farti rieleggere coi voti dei musulmani. Forattini ti disegna già in prima pagina come Al-Rutel".
"No! Forattini no!"
"Niente panico. Niente panico".
"E questa cos'è? Un'autobomba contro una sinagoga? Ma siamo impazziti?"
"Gli arabi si sentono perseguitati e se la prendono con un'altra minoranza. È un classico. Niente panico. Lo statista si vede nelle emergenze".
"Va bene. Non è tempo di mezze misure. Tutti i fascisti in galera".
"Costituzionalmente impeccabile. Ma le galere sono piene".
"Già, dimenticavo. Va bene, prima un bell'indulto, facciamo uscire un po' di gente che può fare lavori socialmente utili e ficchiamo dentro i fascisti. In alternativa mettiamo su dei Centri di Detenzione per fascisti e li appaltiamo a delle cooperative, così creiamo anche dei posti di lavoro".
"Cominci a imparare".
"Sto improvvisando".
"E la minoranza araba, come la tranquillizzi?"
"Dunque. Faccio una bella dichiarazione in cui spiego che l'Islam non è il terrorismo, e che l'Italia è un luogo d'incontro, non di scontro, tra due grandi civiltà. Buono, no?"
"Ottimo".
"E allora perché George W. s'è rabbuiato?"
"Forse s'aspettava una parola di condanna sull'estremismo religioso. Ground Zero è ancora calda, i postini muoiono per le lettere al carbonchio".
"Beh, adesso non può pretendere. Io ho una grossa minoranza musulmana in casa. No. Ho detto No. Non ci vengo in Afganistan, George! Te lo puoi scordare. Eh? Che cosa?"
"Qualcosa non va?"
"Non ti immagini. Gli americani si sono incazzati perché ho condannato la guerra afgana… hanno tolto dai menu dei ristoranti tutte le parole italiane! Le lasagne alla bolognese sono diventate le Boston lasagns!"
"Non te la prenderai per così poco…"
"E poi il petrolio è alle stelle. Gli industriali piangono".
"Facci il callo".
"E adesso cosa c'è… questo no. Non potevo immaginarlo".
"Cosa?"
"Un gruppo di ex brigatisti, usciti di galera con l'indulto, con un sacco di esperienza nel mondo del lavoro socialmente utile, ha fondato una cooperativa non profit e si è fatto appaltare un Centro di Detenzione per fascisti".
"Lodevole iniziativa".
"C'erano delle vecchie ruggini… insomma, sono saltate fuori delle foto di abusi sui carcerati e Amnesty International mi ha condannato. È da Genova che non me ne perdonano una. Gli americani mi disprezzano e gli europei mi snobbano. Cosa faccio?"
"Io resetterei".
Resettai una dozzina di volte, quella notte, in seguito ai più svariati motivi: uno sciopero generale, una carestia in Basilicata, una polemica col Papa che mi valse la sfiducia del partito cattolico (il mio), eccetera. Di catastrofe in catastrofe, improvvisando, cominciai a ingranare. A parte alcune sciagure veram inevitabili (crisi della fiat, crack parmalat...), riuscivo a cavarmela in modo dignitoso. Mettevo i ministri gli uni contro gli altri. Truccavo i bilanci. Raccontavo palle ai telespettatori. Verso il mattino riuscii finalmente ad arrivare al quinto anno del mandato.
"Pss, Arci, sveglia!"
"Che c'è? Ora di colazione?"
"Sono arrivato al 2006! Ce l'ho fatta!"
"Complimenti. I conti come sono?"
"Bruttini, ma considerata la congiuntura… sai, dopo l'11 settembre, l'Euro… il caro-petrolio… meno male che ho aperto un pozzo a Nassiryia".
"Ah, stai a Nassiryia".
"Sì, ho dovuto prendere parte alla spedizione, non avevo molta scelta… ho avuto parecchie perdite, sai? È stato terribile".
"E all'interno come va?"
"Non malaccio. Ho cambiato alcuni ministri ".
"C'è ancora Fassino agli Interni?"
"No, ehm. C'è Fini".
"Fini?"
"Un grande acquisto. Sai, dovevo fare qualcosa per mettere ordine a destra, c'era un rischio di deriva eversiva fortissimo… così tre anni fa l'ho ripescato dalla fondazione dove s'era rintanato, e l'ho messo a capo di una lista civetta per le Europee. L'ho ripulito, l'ho convinto ad andare a Gerusalemme a riconoscere il nazismo male assoluto. Gran mossa. Ha pescato voti a man bassa: ex forzisti, cattolici… Quando i diessini si sono ritirati dal governo, lui mi è rimasto vicino".
"I diessini si sono ritirati".
"Sì, ufficialmente per via della guerra, sai, le solite petizioni di principio per gli allocchi, i cortei arcobaleno eccetera. In realtà D'Alema voleva fottermi il posto andando a elezioni anticipate. Ma l'ho fottuto io! Tiè!"
"Toglimi una curiosità. La Lega?"
"Stiamo giungendo a un accordo, dovremmo cambiare qualche articolo della Costituzione. Per ora è solo un appoggio esterno, ma poi… coi voti di Bossi in maggio stravinco, capisci".
"Capisco. Stai al governo con Bossi e Fini".
"Sì".
"Riscrivi la Costituzione. Controlli Nassiryia".
"Era l'unico modo, capisci, io..."
"Sei sicuro di essere ancora Rutelli?"
(continuava)
Civilization VII - Lo Scenario Rutelli
Ave, Rutelli. Sei il Primo Ministro della Repubblica Italiana nel 2001 AD. Gli italiani sono simpatici, improvvisatori e inconcludenti.
"Be', ma come si permette?"
"In effetti questo è uno degli aspetti più discutibili del software. Ogni civiltà ha delle caratteristiche innate che si porta avanti in ogni fase del gioco, dalla preistoria all'era spaziale".
"Sì, lo so benissimo. I tedeschi sono metodici ed espansionisti, gli indiani sono mistici e pacifici, eccetera".
"Ah, vedo che hai giocato, qualche volta".
"Io… sì, qualche versione precedente. Negli anni Novanta".
"Ah sì? E come mai non sei diventato un Neocone?"
"Un che?"
"È una teoria molto in voga, ultimam. Fino a qualche tempo fa si pensava che la generazione di intellettuali USA formatasi negli anni Novanta avesse abbracciato l'ideologia neoconservatrice dopo aver letto The Clash of Civilizations, hai presente, il libro di Huntington".
"Che non è un Neocon".
"Diciamo che era un buon antipasto. Perché, l'hai letto?"
"Beh… ho guardato le figure".
"Ecco, appunto. A un certo punto qualcuno si è reso conto che The Clash of Civilizations era stato molto più citato che letto, e comunque era uscito solo nel 1996, mentre Sid Meier aveva pubblicato Civilization I già nel 1991".
"Sul serio? Pensato che le teorie di Huntington lo avessero influenzato".
"Era il contrario. Il videogioco aveva influenzato Huntington. O perlomeno i suoi lettori. Anche perché… pensaci un momento. The Clash of Civilizations si legge in una settimana. Quanto ti dura una partita di Civilization?"
"Io… non so. Trentasei ore".
"Di più, di più. E se ci giochi una volta…"
"…ci giochi altre volte".
"Insomma, i neoconservatori degli anni dieci erano tutti appassionati giocatori di Civilization negli anni Novanta. Erano maturati ideologicamente durante lunghe sessioni di gioco. E poi può darsi che leggessero anche un po' di Huntington, ma un buon gioco di simulazione ti penetra molto più di qualsiasi opera letteraria".
"Vabbè, ma che vuol dire, ci giocava anche un sacco di gente non Neocona… Io mi ricordo una volta che tornavo in treno da una manifestazione, sai, quelle cose enormi che facevamo ai tempi dell'Iraq, e non riuscivo a dormire perché il mio dirimpettaio pacifista si ostinava a spiegare a un suo amico come aveva scatenato la guerra nucleare contro gli egiziani e… ma come, sono già sotto coi soldi?"
"È il buco lasciato dal governo precedente".
"Ma no! Amato non mi avrebbe mai tirato un gioco simile. Lui era un uomo onesto, un…"
"Un socialista, sì. Non ti ricordi il bonus fiscale del 2000? Il tuo primo aumento alla tua prima busta paga. Pura manovra elettorale".
"Allora Tremonti non mentiva".
"Era solo un simpatico esageratore".
"Beh, che importa, tanto non ho mica promesso mari e monti, io. Ci metto solo un turno a… Momento. Cos'è qsta puzza di fritto?"
"Qsto è un altro aspetto discutibile della simulazione. Ogni ambasciatore si annuncia dal suo… profumo".
"Mao Tze Tung?"
Ave, Rutelli. L'ambasciatore della Repubblica del Popolo Cinese ti augura pace e prosperità.
"Sì, mi rendo conto che a questo livello avrebbero potuto usare volti più verosimili, ma pare che agli utenti piaccia più così. Quando tratti coi francesi c'è sempre Napoleone, e l'ambasciatore indiano è sempre Gandhi, anche quando ti lancia l'offensiva nucleare. Piccoli effetti umoristici".
Abbiamo sentito dire che state fondando un'Organizzazione Mondiale del Commercio con USA, Europa e Russia.
Ci piacerebbe aderire alla vostra Organizzazione.
Possiamo vendere: utensili in acciaio, manufatti tessili, tecnologia hi-tech.
"La traduzione lascia un po' a desiderare. Cosa gli rispondo?"
"Sei tu, il Presidente. Improvvisa. Sei italiano o no?"
"Se gli dico di no, cosa fa, mi invade?"
"Ufficialm no. Potrebbe usare le bombe umane".
"Bombe umane?"
"Un deterrente molto efficace. Libera qualche milione di cittadini ansiosi di emigrare in Italia clandestinam".
"Beh, meglio così, un sacco di forza lavoro. Tanto io sono di sinistra… e qsto chi è?"
Ave, Rutelli, sono il tuo Ministro degli Interni, on. D'Alema.
"Ma se non ha i baffi!".
"Porta pazienza, è uno scenario che ti ho fatto in due ore, secondo te avevo il tempo di mettere i baffi a D'Alema? Senti che ti dice".
Rapporti confidenziali dicono che un attacco umano dalla Repubblica del Popolo Cinese causerebbe rivolte in tutte le città del Nord.
"Beh, ma si fottano, quei Padani! Ignora le loro fievoli minacce!"
Se questo è il tuo volere, Presidente, devo rassegnare le dimissioni.
"E si fotta anche D'Alema! Però, mi piace qsto gioco. Ma la prossima volta mettici i baffi, mi darà più soddisfazione… beh? È già finita?"
"D'Alema si è dimesso, i Diesse ti hanno tolto la fiducia, il tuo governo è caduto, hai perso la partita".
Addio, Rutelli.
Il tuo governo è durato 27 giorni.
Gli annalisti del futuro ti ricorderanno come:
RUTELLI L'IMBELLE
"No, no aspetta. Torno indietro. Come non detto. Control Zeta. C'è un modo di fare Control Zeta?"
"Come no, basta pensarlo intensamente".
"E infatti! Dunque, sono di nuovo di fronte a Mao Tze Tung che sa di fritto. Gli dico che può entrare nell'Organizzazione Mondiale del Commercio, però… deve rispettare alti standard in materia di diritti umani! To', beccati questa".
"Lui che dice?"
"Fa sì con la testa e sorride".
"È un modo del software per esprimere assenso «all'orientale»".
"Più che sorridere ridacchia".
"È sempre un cenno d'assenso".
"Bene. E qsta adesso cos'è… cannella?"
Ave, Rutelli. Sono il Presidente degli Stati Uniti, George W. Bush.
"Sì, e sai di cannella. Cosa vuoi?"
Vedo che anche tu sei d'accordo all'ingresso della Cina nel WTO. Firmeremo l'accordo formale al prossimo summit, in Italia, in luglio. Mi raccomando di curare le misure di sicurezza anti-terrorismo".
"E se lo mando a f'nql?"
"Non credo che andrai molto avanti".
"Va bene, allora Ok, George, non ti preoccupare, anzi, te lo posso dire? Preoccupati. Osama Bin Laden sta preparando un attacco alle Due Torri in settembre. Ouch! Che succede?"
"Succede che stai barando. Stai usando il senno del poi".
"E mi arriva la scossa?"
"Un piccolo deterrente".
"E qsto casino cos'è?"
"Non è niente, c'è malcontento popolare".
"E perché? Cosa ho fatto?"
"Pensano che organizzando un summit in Italia attirerai i terroristi; inoltre né Mao Tze Tung né George W. Bush sono molto popolari".
"Vabbe', ma che ci posso fare?"
"Più o meno lo sai cosa puoi fare. Puoi intrattenerli, costruire stadi, ripetitori tv, cinematografi…"
"Ci sono già in tutte le città, non bastano".
"Puoi farli lavorare meno a parità di salario".
"Ma sono già in rosso".
"Ti sarà già capitata una situazione del genere, no? Di solito cosa facevi?"
"Beh, la cosa più facile era distaccare un'unità militare nella città in tumulto".
"Bene, allora fa così. Prima concentri tutto il malcontento popolare in una città… in qlla dove avverrà il summit. E poi, con la scusa dell'antiterrorismo, ci mandi un bel po' di unità-carabinieri".
"Non è che ne abbia tante a disposizione. Mi servono per gli stadi".
"E allora prendi anche i poliziotti, i finanzieri, i forestali… tutto quel che hai".
"Però non so… non mi sembra una cosa molto di sinistra".
"Se te ne vengono in mente altre…".
"Non conosco il gioco abbastanza".
"Lo conosci benissimo. Improvvisa".
"E qsto chi è?"
Ave, Rutelli, sono il tuo Ministro degli Esteri, on. Veltroni.
"Veltroni?"
"Pensavo che ti sarebbe piaciuto, sai, è un brav'uomo, ogni tanto lo mandi in Africa…"
Il summit internazionale è stato un successo. I terroristi non hanno colpito. Il mondo ti stima.
"Oh, bene".
Ave, Rutelli, sono il tuo Ministro degli Interni, on. D'Alema.
"E tu che vuoi?"
La sollevazione popolare nella città di Genova è stata sedata.
"Ottimo".
Perdite: una unità.
"Che significa?"
"C'è scappato un morto".
"Militare o civile?"
"Senti, è una simulazione fatta in poco tempo, non ha nessuna importanza se è morto un carabiniere o un manifestante. Uno su 57 milioni è comunque poca cosa".
"Poca cosa? Questa è una Repubblica! Non è che può morire una persona in una città così".
"Certo che puoi, se concentri tutto il malcontento e tutte le forze di polizia in una città sola! Quando giocavi alle versioni più vecchie non ti capitava mai di far morire i tuoi cittadini?"
"Sì, ma era un gioco. Non me ne accorgevo neanche".
"È un gioco anche questo".
Ave, Rutelli, sono il tuo Addetto Stampa, Michele Serra.
"Piuttosto inverosimile".
"È il primo che mi è venuto in mente".
Lieve malcontento in tutte le città, a causa della morte di un cittadino durante la rivolta di Genova.
La tua popolarità è crollata. Fini e Bertinotti vinceranno le prossime elezioni.
"E va bene, che ci posso fare?"
"Puoi chiedere scusa, nominare una commissione d'inchiesta e scaricare le colpe sui sottoposti".
"Giusto. Faccio dimettere tutti i dirigenti delle forze di polizia. E anche D'Alema, to', non è agli Interni, D'Alema? Al suo posto ci metto Fassino, così i DS mi mantengono la fiducia. Come sto andando?"
"Non male, sei arrivato al settembre del 2001 senza ancora fare una sola cosa di sinistra".
"Va be', ho ancora cinque anni, tanto".
***
"Tempo di finanziaria, bene. Mo' mi vedono. Supertassa patrimoniale, tie'! E lotta senza quartiere all'evasione. E all'abuso edilizio. E poi…"
"Mi sembra che esageri. Rutelli avrebbe fatto tutto questo? Con Bertinotti all'opposizione?"
"Rutelli no, io sì. E voglio proprio vedere chi lo rivota, Bertinotti… beh? Cos'è quella freccia in caduta libera?"
"Una freccia indaco?".
"Blu?"
"Sì. È il PIL trimestrale".
"E perché è crollato?"
"Non lo so, posso fare delle supposizioni. Forse le tue dichiarazioni hanno spaventato gli industriali, che hanno spostato i capitali nei paradisi fiscali. E già che c'erano, hanno spostato anche la produzione. Ricordi quando hai voluto la Cina nel WTO? Adesso possono trasferire intere fabbriche dal Po al Fiume Azzurro quasi a costo zero".
"Ma anche questi industriali, che due coglioni… attacco San Marino, va".
"Cos'è che fai?"
"Lo sanno tutti che è un paradiso fiscale. Ora voglio proprio vedere cosa succede se lo circondo con la fanteria meccanizzata".
"Mac, in questo scenario meno usi la forza meglio è. Hai già visto che è successo a Genova".
"Sciocchezze. Stavolta non ammazzo nessuno. E se Napoleone mi dà il permesso, dopo prendo Montecarlo… E adesso che cazzo vuoi, Veltroni…"
Il Parlamento Europeo condanna la tua politica espansionista.
Forti sanzioni economiche imposte dagli Stati Membri.
"Branco di rammolliti! Per tre colline in Romagna? E se invadevo l'Etiopia cosa succedeva?"
"Mac, stai giocando contro un computer che si intende di storia molto più di te. Il suo comportamento è assolutamente verosimile. Sei tu che stai facendo pazzie. Nessun vero uomo di Stato europeo assedierebbe un paradiso fiscale".
"Ma perché?"
"Perché no".
"Va bene, va bene: control Zeta. Ricapitoliamo: devo fare una finanziaria equa ma senza spaventare gli industriali, e inoltre… e adesso cos'è tutto questo casino?"
"Indovina un po'".
"O cazzo, giusto, l'11 settembre… ma io che c'entro? "
"Il mondo è piccolo, Mac".
"Ho mezza Italia in rivolta… qsto non è molto verisimile".
"Il Ministro degli Interni che dice?"
"Fassino? Un paio di stronzate sulla caccia all'arabo. A Milano e Verona danno la caccia agli arabi e li linciano per strada. Mi sembra un po' esagerato".
"Devi pensare che la destra è in stato confusionale. Berlusconi Bossi e Fini hanno perso le elezioni e non contano più nulla. Gli attivisti sono smarriti e confusi, e tu stai facendo ponti d'oro agli immigranti".
"Ho solo snellito le procedure".
"Hai anche abbreviato i tempi per la cittadinanza, mi pare".
"Altroché se l'ho fatto, è forza lavoro a buon mercato e voglio tenermela stretta! Altrimenti poi lo sai che i cinesi…"
"Sai cosa si dice di te? Che tra quattro anni e mezzo vuoi farti rieleggere coi voti dei musulmani. Forattini ti disegna già in prima pagina come Al-Rutel".
"No! Forattini no!"
"Niente panico. Niente panico".
"E questa cos'è? Un'autobomba contro una sinagoga? Ma siamo impazziti?"
"Gli arabi si sentono perseguitati e se la prendono con un'altra minoranza. È un classico. Niente panico. Lo statista si vede nelle emergenze".
"Va bene. Non è tempo di mezze misure. Tutti i fascisti in galera".
"Costituzionalmente impeccabile. Ma le galere sono piene".
"Già, dimenticavo. Va bene, prima un bell'indulto, facciamo uscire un po' di gente che può fare lavori socialmente utili e ficchiamo dentro i fascisti. In alternativa mettiamo su dei Centri di Detenzione per fascisti e li appaltiamo a delle cooperative, così creiamo anche dei posti di lavoro".
"Cominci a imparare".
"Sto improvvisando".
"E la minoranza araba, come la tranquillizzi?"
"Dunque. Faccio una bella dichiarazione in cui spiego che l'Islam non è il terrorismo, e che l'Italia è un luogo d'incontro, non di scontro, tra due grandi civiltà. Buono, no?"
"Ottimo".
"E allora perché George W. s'è rabbuiato?"
"Forse s'aspettava una parola di condanna sull'estremismo religioso. Ground Zero è ancora calda, i postini muoiono per le lettere al carbonchio".
"Beh, adesso non può pretendere. Io ho una grossa minoranza musulmana in casa. No. Ho detto No. Non ci vengo in Afganistan, George! Te lo puoi scordare. Eh? Che cosa?"
"Qualcosa non va?"
"Non ti immagini. Gli americani si sono incazzati perché ho condannato la guerra afgana… hanno tolto dai menu dei ristoranti tutte le parole italiane! Le lasagne alla bolognese sono diventate le Boston lasagns!"
"Non te la prenderai per così poco…"
"E poi il petrolio è alle stelle. Gli industriali piangono".
"Facci il callo".
"E adesso cosa c'è… questo no. Non potevo immaginarlo".
"Cosa?"
"Un gruppo di ex brigatisti, usciti di galera con l'indulto, con un sacco di esperienza nel mondo del lavoro socialmente utile, ha fondato una cooperativa non profit e si è fatto appaltare un Centro di Detenzione per fascisti".
"Lodevole iniziativa".
"C'erano delle vecchie ruggini… insomma, sono saltate fuori delle foto di abusi sui carcerati e Amnesty International mi ha condannato. È da Genova che non me ne perdonano una. Gli americani mi disprezzano e gli europei mi snobbano. Cosa faccio?"
"Io resetterei".
Resettai una dozzina di volte, quella notte, in seguito ai più svariati motivi: uno sciopero generale, una carestia in Basilicata, una polemica col Papa che mi valse la sfiducia del partito cattolico (il mio), eccetera. Di catastrofe in catastrofe, improvvisando, cominciai a ingranare. A parte alcune sciagure veram inevitabili (crisi della fiat, crack parmalat...), riuscivo a cavarmela in modo dignitoso. Mettevo i ministri gli uni contro gli altri. Truccavo i bilanci. Raccontavo palle ai telespettatori. Verso il mattino riuscii finalmente ad arrivare al quinto anno del mandato.
"Pss, Arci, sveglia!"
"Che c'è? Ora di colazione?"
"Sono arrivato al 2006! Ce l'ho fatta!"
"Complimenti. I conti come sono?"
"Bruttini, ma considerata la congiuntura… sai, dopo l'11 settembre, l'Euro… il caro-petrolio… meno male che ho aperto un pozzo a Nassiryia".
"Ah, stai a Nassiryia".
"Sì, ho dovuto prendere parte alla spedizione, non avevo molta scelta… ho avuto parecchie perdite, sai? È stato terribile".
"E all'interno come va?"
"Non malaccio. Ho cambiato alcuni ministri ".
"C'è ancora Fassino agli Interni?"
"No, ehm. C'è Fini".
"Fini?"
"Un grande acquisto. Sai, dovevo fare qualcosa per mettere ordine a destra, c'era un rischio di deriva eversiva fortissimo… così tre anni fa l'ho ripescato dalla fondazione dove s'era rintanato, e l'ho messo a capo di una lista civetta per le Europee. L'ho ripulito, l'ho convinto ad andare a Gerusalemme a riconoscere il nazismo male assoluto. Gran mossa. Ha pescato voti a man bassa: ex forzisti, cattolici… Quando i diessini si sono ritirati dal governo, lui mi è rimasto vicino".
"I diessini si sono ritirati".
"Sì, ufficialmente per via della guerra, sai, le solite petizioni di principio per gli allocchi, i cortei arcobaleno eccetera. In realtà D'Alema voleva fottermi il posto andando a elezioni anticipate. Ma l'ho fottuto io! Tiè!"
"Toglimi una curiosità. La Lega?"
"Stiamo giungendo a un accordo, dovremmo cambiare qualche articolo della Costituzione. Per ora è solo un appoggio esterno, ma poi… coi voti di Bossi in maggio stravinco, capisci".
"Capisco. Stai al governo con Bossi e Fini".
"Sì".
"Riscrivi la Costituzione. Controlli Nassiryia".
"Era l'unico modo, capisci, io..."
"Sei sicuro di essere ancora Rutelli?"
(continuava)
Comments (2)
Elmo 2 la Vendetta
10-01-2011, 14:27Bossi, come diventare leghisti, ho una teoria, terrorismoPermalinkStavo cercando di capire che differenza c'è tra Bossi e Sarah Palin, a parte il fatto che lui non tira agli alci (ma perché non ci ha ancora pensato) (sssst che se gli viene in mente poi addio stambecchi dello Stelvio). Per il resto, a furia di parlare di fucili di qua e di pallottole di là, siamo fortunati che qui da noi finora nessuno lo ha preso davvero sul serio, no?
Speriamo bene. Grazie leghista per non tirare al cachemire è sull'Unita.it e si commenta qui. (Oppure qui).
Speriamo bene. Grazie leghista per non tirare al cachemire è sull'Unita.it e si commenta qui. (Oppure qui).
Carissimo ELMO (Elettore Leghista Medio Operaio), come stai? È da tanto tempo che non ti scrivo. Ma alcuni fatti degli ultimi giorni, apparentemente slegati tra loro (la cimice di Bossi, il cachemire di D'Alema, la strage in Arizona) mi hanno fatto pensare a te.
Nei prossimi giorni si parlerà molto di come un certo tipo di propaganda possa istigare al crimine. Prendi Tucson. Il pazzo che ha sparato nel mucchio con un'arma a ripetizione, come un pessimo cacciatore, non era poi così pazzo da non saper scegliere la sua preda. La parlamentare Gabrielle Giffords era in una “hit list”, una lista di obiettivi da abbattere (in senso figurato ovviamente), sul sito della leader conservatrice Sarah Palin, un'altra che ha il grilletto facile. Forse il suo attentatore non ha fatto che confondere senso letterale e senso figurato, come capita ai bambini e a chi è considerato incapace di intendere e volere. Ma la retorica barricadera di personaggi come la Palin può essere considerata in qualche modo responsabile?
Almeno in Italia non abbiamo personaggi così. Con tutti i problemi che abbiamo già... L'unico politico ad aver parlato con una certa frequenza di fucili e pallottole, negli ultimi vent'anni, è il tuo leader. Eppure non ce ne siamo mai preoccupati troppo, anche quando parlava di migliaia di "martiri" padani e i suoi uomini portavano i cappi in parlamento. E lo sai perché? Perché in fin dei conti abbiamo fiducia in te, Elmo. Ti abbiamo dato del razzista, e forse lo sei. Ma non abbiamo mai pensato a te come un assassino. E guarda che in Italia di fanatici assassini ce ne sono stati, a destra, a sinistra e in altri luoghi non chiari.
Ma a un terrorismo di matrice leghista no, non abbiamo mai voluto pensare. Del resto in vent'anni l'unica cosa che mi viene in mente è quel commando di Serenissimi che occupò il Campanile di San Marco con un trattore travestito da carro armato – in un primo momento liquidati come una banda di mona dal Senatur, che poi si impietosì e organizzò anche fiaccolate per la loro liberazione. E questo per ora sarebbe tutto – no, aspetta, c'erano anche le famose ronde padane, che quando furono lanciate sembravano a tutti (anche a me) l'anticamera dello squadrismo, ma poi sono più o meno scomparse nel nulla.
La sensazione, caro Elmo, è che tu sia molto meno guerriero di come i tuoi leader amano raffigurarti. Può darsi che un certo tipo di violenza verbale non ti dispiaccia (qualche giorno fa su Radio Padana si esultava per le ferite riportate da Nichi Vendola cadendo dalle scale), ma è più un modo di sfogare la rabbia che di eccitarla. Certo, il tuo leader continua a lasciar intendere che tu mordi il freno, che non ne puoi più, che vuoi il federalismo subito o non sarai più responsabile (anzi: lui non sarà più responsabile) delle tue azioni. E tu, se il gioco delle parti lo prevede, sei anche disponibile a fare la faccia feroce. Magari a scendere su Roma, con o senza elmo di cartapesta: una cosa rapida, però, e sabato possibilmente: che domenica c'è la partita e lunedì... sveglia alle sette.
D'altro canto, carissimo Elmo, negli ultimi mesi probabilmente anche tu devi aver perso il conto di quante volte Umberto Bossi ti ha chiamato alle armi, per poi chiederti subito dopo di rinserrarle nel fodero, ché il federalismo era questione di giorni, ore, minuti (anzi, non era già arrivato in settembre?) Poi d'un tratto, in mezzo a tanti proclami e controproclami, è successa una cosa. Una piccola cosa, in fondo. Qualcuno ha vandalizzato una sede della Lega, con petardi e bombolette spray.
No, caro Elmo, non minimizzo la gravità del gesto: le bombe fanno male, anche quando sono bombe carta. Ma proprio mentre condanno fermamente i vandali di qualsiasi colore, mi è difficile non pensare a quante volte sui muri delle nostre città ho letto scritte inneggianti a Bossi e alla Lega: a quanti insulti rivolti a Roma, ai meridionali, ai migranti, vergati dai simpatizzanti di un partito che sui cartelloni ufficiali scriveva gli stessi slogan. E quindi Elmo cosa vuoi, chi di bomboletta spray ferisce, di bomboletta spray può anche... esser ferito. Non possono essere tutti leghisti i graffitari, nemmeno nel varesotto.
Bossi però non l'ha presa tanto bene. In un primo momento addirittura ha denunciato nei petardi di Gemonio un avvertimento della “palude romana”: oscuro riferimento a poteri forti, ma così forti, che per avvertire Bossi non lesinano in bombolette spray. Quando i media hanno chiarito che i vandali andavano cercati nelle vicinanze, ha dichiarato che senz'altro erano figli di leghisti (come se a Gemonio non si potesse più essere figli di qualcun altro). Nel frattempo l'episodio scatenava l'emulazione: a Sant'Omobono Terme qualcun altro osava vandalizzare una sede leghista, stavolta addirittura con scritte in bergamasco.
A questo punto per Bossi era fondamentale cambiare argomento. Il leghismo, nei sogni del suo fondatore, è sempre rimasto un movimento popolare, che attacca il palazzo del potere dal basso: fino a qualche anno fa i leghisti erano i ribelli che scrivevano sui muri, non gli imbianchini chiamati a ripulirli. Così ecco servita ai media un'altra storia: il ritrovamento di una microspia nel quartier generale della Lega. Magari è una storia vera, chissà. Certo, è buffo che l'abbia raccontata identica nel '93. Ma quel che importava a quel punto era spostare l'attenzione da Gemonio o Sant'Omobono, allontanando soprattutto l'idea che i leghisti siano contestati dal basso, persino in dialetto: no, chi ce l'ha coi leghisti dev'essere senz'altro affiliato a un potere forte, qualcuno che ha i mezzi per spiare e intercettare.
In casi come questi il tuo Bossi non fa che imitare, in modo intuitivo e un po' meccanico (ma non meno efficace), la strategia berlusconiana che punta alla costruzione del nemico. Vent'anni fa era il comunista, ma poi, man mano che il tempo passava e il Muro di Berlino si stemperava nei ricordi, è diventato sempre di più il “comunista in cachemire” (che D'Alema, ahinoi, non rinuncia a impersonare). In questo consiste il capolavoro di Berlusconi e Bossi: nell'essersi costituiti difensori dei ceti popolari contro un nemico di classe, il ceto intellettuale invidioso e improduttivo, quei “radical chic” che sono l'ossessione di qualsiasi fondo del Giornale o della Padania, i sofisticati antipatici con la puzza sotto il naso che nelle fiction mediaset tormentano l'esistenza della gente de core, umile ma perbene. Non importa quante elezioni abbiano perso, sono ancora lì: nelle università occupate, nelle scuole, nella magistratura, in Parlamento. Sono loro che intralciano la realizzazione del federalismo, o della devolution, o di qualsiasi cosa Bossi ti stia promettendo in quel momento. Perché non si levano di mezzo?
A questo punto non posso che ringraziarti, carissimo Elmo, perché dopo tanti anni di tiro (metaforico) al radicalscic, non ti è ancora venuto in mente di tirare sul serio al primo fighetto in cachemire che ti passa davanti. Sul serio, al posto tuo non so se sarei riuscito a rimanere così freddo, mentre ogni giorno qualcuno mi spiega chi odiare e perché. Davvero, sei molto più tranquillo di come ti dipingono: e più furbo, anche. Ma non bisogna dirlo in giro: a troppi tuoi amici e nemici fa ancora comodo immaginarti sotto un elmo e con lo spadone sguainato. http://leonardo.blogspot.com
Nei prossimi giorni si parlerà molto di come un certo tipo di propaganda possa istigare al crimine. Prendi Tucson. Il pazzo che ha sparato nel mucchio con un'arma a ripetizione, come un pessimo cacciatore, non era poi così pazzo da non saper scegliere la sua preda. La parlamentare Gabrielle Giffords era in una “hit list”, una lista di obiettivi da abbattere (in senso figurato ovviamente), sul sito della leader conservatrice Sarah Palin, un'altra che ha il grilletto facile. Forse il suo attentatore non ha fatto che confondere senso letterale e senso figurato, come capita ai bambini e a chi è considerato incapace di intendere e volere. Ma la retorica barricadera di personaggi come la Palin può essere considerata in qualche modo responsabile?
Almeno in Italia non abbiamo personaggi così. Con tutti i problemi che abbiamo già... L'unico politico ad aver parlato con una certa frequenza di fucili e pallottole, negli ultimi vent'anni, è il tuo leader. Eppure non ce ne siamo mai preoccupati troppo, anche quando parlava di migliaia di "martiri" padani e i suoi uomini portavano i cappi in parlamento. E lo sai perché? Perché in fin dei conti abbiamo fiducia in te, Elmo. Ti abbiamo dato del razzista, e forse lo sei. Ma non abbiamo mai pensato a te come un assassino. E guarda che in Italia di fanatici assassini ce ne sono stati, a destra, a sinistra e in altri luoghi non chiari.
Ma a un terrorismo di matrice leghista no, non abbiamo mai voluto pensare. Del resto in vent'anni l'unica cosa che mi viene in mente è quel commando di Serenissimi che occupò il Campanile di San Marco con un trattore travestito da carro armato – in un primo momento liquidati come una banda di mona dal Senatur, che poi si impietosì e organizzò anche fiaccolate per la loro liberazione. E questo per ora sarebbe tutto – no, aspetta, c'erano anche le famose ronde padane, che quando furono lanciate sembravano a tutti (anche a me) l'anticamera dello squadrismo, ma poi sono più o meno scomparse nel nulla.
La sensazione, caro Elmo, è che tu sia molto meno guerriero di come i tuoi leader amano raffigurarti. Può darsi che un certo tipo di violenza verbale non ti dispiaccia (qualche giorno fa su Radio Padana si esultava per le ferite riportate da Nichi Vendola cadendo dalle scale), ma è più un modo di sfogare la rabbia che di eccitarla. Certo, il tuo leader continua a lasciar intendere che tu mordi il freno, che non ne puoi più, che vuoi il federalismo subito o non sarai più responsabile (anzi: lui non sarà più responsabile) delle tue azioni. E tu, se il gioco delle parti lo prevede, sei anche disponibile a fare la faccia feroce. Magari a scendere su Roma, con o senza elmo di cartapesta: una cosa rapida, però, e sabato possibilmente: che domenica c'è la partita e lunedì... sveglia alle sette.
D'altro canto, carissimo Elmo, negli ultimi mesi probabilmente anche tu devi aver perso il conto di quante volte Umberto Bossi ti ha chiamato alle armi, per poi chiederti subito dopo di rinserrarle nel fodero, ché il federalismo era questione di giorni, ore, minuti (anzi, non era già arrivato in settembre?) Poi d'un tratto, in mezzo a tanti proclami e controproclami, è successa una cosa. Una piccola cosa, in fondo. Qualcuno ha vandalizzato una sede della Lega, con petardi e bombolette spray.
No, caro Elmo, non minimizzo la gravità del gesto: le bombe fanno male, anche quando sono bombe carta. Ma proprio mentre condanno fermamente i vandali di qualsiasi colore, mi è difficile non pensare a quante volte sui muri delle nostre città ho letto scritte inneggianti a Bossi e alla Lega: a quanti insulti rivolti a Roma, ai meridionali, ai migranti, vergati dai simpatizzanti di un partito che sui cartelloni ufficiali scriveva gli stessi slogan. E quindi Elmo cosa vuoi, chi di bomboletta spray ferisce, di bomboletta spray può anche... esser ferito. Non possono essere tutti leghisti i graffitari, nemmeno nel varesotto.
Bossi però non l'ha presa tanto bene. In un primo momento addirittura ha denunciato nei petardi di Gemonio un avvertimento della “palude romana”: oscuro riferimento a poteri forti, ma così forti, che per avvertire Bossi non lesinano in bombolette spray. Quando i media hanno chiarito che i vandali andavano cercati nelle vicinanze, ha dichiarato che senz'altro erano figli di leghisti (come se a Gemonio non si potesse più essere figli di qualcun altro). Nel frattempo l'episodio scatenava l'emulazione: a Sant'Omobono Terme qualcun altro osava vandalizzare una sede leghista, stavolta addirittura con scritte in bergamasco.
A questo punto per Bossi era fondamentale cambiare argomento. Il leghismo, nei sogni del suo fondatore, è sempre rimasto un movimento popolare, che attacca il palazzo del potere dal basso: fino a qualche anno fa i leghisti erano i ribelli che scrivevano sui muri, non gli imbianchini chiamati a ripulirli. Così ecco servita ai media un'altra storia: il ritrovamento di una microspia nel quartier generale della Lega. Magari è una storia vera, chissà. Certo, è buffo che l'abbia raccontata identica nel '93. Ma quel che importava a quel punto era spostare l'attenzione da Gemonio o Sant'Omobono, allontanando soprattutto l'idea che i leghisti siano contestati dal basso, persino in dialetto: no, chi ce l'ha coi leghisti dev'essere senz'altro affiliato a un potere forte, qualcuno che ha i mezzi per spiare e intercettare.
In casi come questi il tuo Bossi non fa che imitare, in modo intuitivo e un po' meccanico (ma non meno efficace), la strategia berlusconiana che punta alla costruzione del nemico. Vent'anni fa era il comunista, ma poi, man mano che il tempo passava e il Muro di Berlino si stemperava nei ricordi, è diventato sempre di più il “comunista in cachemire” (che D'Alema, ahinoi, non rinuncia a impersonare). In questo consiste il capolavoro di Berlusconi e Bossi: nell'essersi costituiti difensori dei ceti popolari contro un nemico di classe, il ceto intellettuale invidioso e improduttivo, quei “radical chic” che sono l'ossessione di qualsiasi fondo del Giornale o della Padania, i sofisticati antipatici con la puzza sotto il naso che nelle fiction mediaset tormentano l'esistenza della gente de core, umile ma perbene. Non importa quante elezioni abbiano perso, sono ancora lì: nelle università occupate, nelle scuole, nella magistratura, in Parlamento. Sono loro che intralciano la realizzazione del federalismo, o della devolution, o di qualsiasi cosa Bossi ti stia promettendo in quel momento. Perché non si levano di mezzo?
A questo punto non posso che ringraziarti, carissimo Elmo, perché dopo tanti anni di tiro (metaforico) al radicalscic, non ti è ancora venuto in mente di tirare sul serio al primo fighetto in cachemire che ti passa davanti. Sul serio, al posto tuo non so se sarei riuscito a rimanere così freddo, mentre ogni giorno qualcuno mi spiega chi odiare e perché. Davvero, sei molto più tranquillo di come ti dipingono: e più furbo, anche. Ma non bisogna dirlo in giro: a troppi tuoi amici e nemici fa ancora comodo immaginarti sotto un elmo e con lo spadone sguainato. http://leonardo.blogspot.com
Pensavo di aver chiuso con Billy
07-01-2011, 12:01autoreferenziali, Emilia paranoica, repliche, santamargheritaPermalink[Dieci anni fa, quando è nato questo blog, bla bla bla, non c'erano un sacco di cose, bla bla. Altre invece c'erano già, come, per esempio, l'Ikea, che io continuai a frequentare almeno fino al maggio 2004, quando mi slogai qualche arto cercando di montare un Antonius in un bagno. Mi vendicai scrivendo queste righe, grazie alle quali il mito ikea è del tutto tramontato e infatti adesso al posto dei punti vendita ci sono delle palestre di lotta libera].
Avendo sentito dire che adesso noi blog siamo i trendsetters (ma forse è già troppo tardi), volevo approfittarne per rifarmi delle mie frustrazioni sull’uomo più ricco di Gates: per annunciare, insomma, che Ikea è definitivamente Out. E mi sembra che siamo tutti d’accordo.
Allora potrei tirare la mazzata finale, e aggiungere: non è mai stato In, e credo che vi troverei ugualmente d’accordo, ma direi una bugia, e voi sareste contenti di credermi. No, c’è ancora in giro qualche portaciddì, qualche cassettino portaspezie in compensato. No, la lavagnetta magnetica resta sempre un oggetto simpatico. No, c’è stato un periodo in cui trovavamo a casa degli amici la mensola per libri paraboloide e pensavamo: però, figata. Insomma, un conto è il trendsetting, un conto è il revisionismo. Quello i blog non lo fanno… ehm, beh, almeno stasera a me non va di farlo. Perché insomma, io certe cose le ho viste. Ho visto i cassettini in compensato in casa di gente rispettabile, laureati, laureandi, architetturandi, e sarà stato il 1998, massimo 1999. Ho visto Fight Club, nel 1999, e ho sogghignato quando Ed Norton sfoglia il catalogo Ikea al gabinetto, l’allusione masturbatoria colpiva sul vivo. E poi ho visto anche i famosi bastimenti in fiamme dalle parti di Orione, ma da vicino, sapete, non furono un granché, preferisco concentrarmi sull’Ikea. Fu un grande fenomeno di fascinazione collettiva, vi sentite di negarlo? Non vendevano truciolato, chiunque è in grado di venderti truciolato, loro vendevano stile di vita (sapessero fare i mobili come fanno i cataloghi). E noi abbiamo comprato.
A volte, bisogna dirlo, abbiamo comprato perché non avevamo scelta. Quando arrivò in Italia, Ikea puntò tutto sulla liberazione del Giovane e della Giovane. il cartello che a quei tempi andava per la maggiore era una duecavalli in camporella (giornali sui finestrini). Titolo: Non è ora di andare a vivere da soli? Probabilmente già allora la risposta di molti ventenni italiani fu: “No, perché?” Ma per altri era ora, decisamente. Quando io uscii di casa, non pensavo davvero ai mobili Ikea, non perché mi fossi accorto di quanto fossero brutti, ma perché credevo di non potermeli permettere. Pensavo di dover volare più basso, genere mercatoni di provincia. Ma nel giro di un mese mi resi conto di una cosa: solo Ikea capiva i miei problemi.
Se la mia stanza era lunga 1mt.60 x 3, era impossibile farci stare un letto e una scrivania, per tacer dell’armadio. Ergo, serviva un letto a soppalco, ma singolo. Adesso non so, ma vi garantisco che nel 1999 non li vendeva nessuno. Solo l’Ikea. Gli altri avevano letti a castello per bambino: perfetto, esco da casa dei miei e mi ritrovo nel reparto infanzia del mobilificio. Era come fare la spesa da single: umiliante.
E allora, quello che trovai da Ikea non era il fascino per il compensato svedese. Non ero così idiota, nemmeno nel ’99, e neanche voi. Quello che trovai a Casalecchio era rispetto. Rispetto per la mia situazione di ventenne-e-qualcosa-single-andato-ad-abitare-in-un-cesso-di-un-metro-e-mezzo-per-tre. Gli altri avevano solo sorrisi di commiserazione e lettini della Barbie. L’Ikea aveva un letto a soppalco singolo, grigio, anonimo, alto il giusto per non sembrare infantile. E ce l’ha ancora, esposto con tutto l’occorrente per trasformare lo spazio sottostante in uno studiolo, un guardaroba, un harem con tappeti e cuscini, una palestra da bodybuilding, un loft. Presi un giorno di malattia per andarlo a prendere con la macchinina, e quando arrivai scoprii che non l’avevano, e piantai una grana finché non me lo diedero lo stesso, e bestemmiai in svedese per farlo stare dentro la macchinina, e ripartii sgommando e cantando
I think I’m on another planet with you, with you
Ce l’avevo fatta. Ero autonomo. Avevo un letto tutto mio. Io, e il mio soppalco, non avevamo più bisogno di nessuno (anche se avessimo avuto bisogno, di qualcuno, non ci sarebbe più stato spazio, né sulla macchinina, né nella stanza, né sul soppalco). Eravamo liberi, indipendenti, autonomi, automuniti.
Giunto a casa, l’amara delusione. Il foglio delle istruzioni – sapete come sono fatti, no? Niente parole, solo disegni – mostrava chiaramente due persone che montavano il letto. Un ragazzo e una ragazza – per colmo dell’umiliazione. Bussai alla Fra’.
“Fra’”
“Sì?”
“Fra’, io pensavo di farcela da solo, ma nel disegno…”
“Che c’è?”
“C’è anche una donna, vedi”.
“Una donna?”
“Ha i capelli lunghi”.
In due riuscimmo a montare il soppalco, anche se demolimmo tutto il resto della stanza. Su quel soppalco ho passato gli anni più assurdi della mia vita. Al mattino, quando suonava la sveglia, mi alzavo – le grucce appese sotto la rete mi salutavano gnigolando – e mi sembrava di essere il capitano di un vascello in rotta verso l’ignoto. Perché ero lì? Ero saggio? Ero responsabile? Ero un idiota? Se lo sarà chiesto mille volte anche Cristoforo Colombo.
Allora, chi lo sa, forse il motivo per cui oggi Ikea non ci piace più, è che la generazione che è uscita di casa alla fine dei Novanta ormai ha passato il guado, si è sistemata, e ha bisogno di mobili più solidi, più personali, meno giovanili, che ne so? Ora a Casalecchio mi pare che puntino di più sugli adolescenti che vogliono rifarsi la cameretta. E mi pare giusto. Ikea è una specie di evoluzione del lego: ti monti le cose da solo, le ricombini, poi ti annoi, smonti tutto e compri un’altra scatola. Va bene.
Una cosa che invece non capisco è il laminato bianco, che quest’anno va molto. Io ho sempre odiato il laminato bianco, ma perché? Ne ho parlato con due miei amici, e condividevano. Poi ci siamo resi conto di una cosa: avevamo in comune un’infanzia in una zona industriale.
Probabilmente in Svezia queste cose non se le immaginano neanche. Devono avere tutto lo spazio per mettere le fabbriche da una parte e le casette dall’altra, tutte belle col loro giardino e il tetto spiovente per la neve. Ma in Emilia è successo tutto in modo così convulso. La gente si è messa a costruire fabbrichette, capannoni in cemento, e sopra, o di fianco, ci ha costruito il suo appartamento. Così si teneva il lavoro in casa. E in casa, per evitare confusione, mobili di noce massiccio. Invece giù, nell’ufficio, schifezze di laminato bianco.
Noi siamo cresciuti giocando col lego, ma anche con le scrivanie di laminato bianco, digitando numeri assurdi sulle calcolatrici da tavolo di papà, e a volte partiva il rullo della carta e non si fermava più. Poi, crescendo, può darci che ci torni un po’ di nostalgia per il lego, come per i cartoni giapponesi: ma il laminato bianco è il rovescio della medaglia, il mondo brutto che vorremmo esserci lasciati alle spalle per sempre, anche se ci ha dato da mangiare per così tanto tempo.
D’altro canto, al noce massiccio non ci siamo senz’altro arrivati, e forse non abbiamo intenzione di arrivarci mai.
E allora – dove siamo? (Ammiraglio, d’accordo, una terra l’abbiamo trovata. Ma che terra è?)
Avendo sentito dire che adesso noi blog siamo i trendsetters (ma forse è già troppo tardi), volevo approfittarne per rifarmi delle mie frustrazioni sull’uomo più ricco di Gates: per annunciare, insomma, che Ikea è definitivamente Out. E mi sembra che siamo tutti d’accordo.
Allora potrei tirare la mazzata finale, e aggiungere: non è mai stato In, e credo che vi troverei ugualmente d’accordo, ma direi una bugia, e voi sareste contenti di credermi. No, c’è ancora in giro qualche portaciddì, qualche cassettino portaspezie in compensato. No, la lavagnetta magnetica resta sempre un oggetto simpatico. No, c’è stato un periodo in cui trovavamo a casa degli amici la mensola per libri paraboloide e pensavamo: però, figata. Insomma, un conto è il trendsetting, un conto è il revisionismo. Quello i blog non lo fanno… ehm, beh, almeno stasera a me non va di farlo. Perché insomma, io certe cose le ho viste. Ho visto i cassettini in compensato in casa di gente rispettabile, laureati, laureandi, architetturandi, e sarà stato il 1998, massimo 1999. Ho visto Fight Club, nel 1999, e ho sogghignato quando Ed Norton sfoglia il catalogo Ikea al gabinetto, l’allusione masturbatoria colpiva sul vivo. E poi ho visto anche i famosi bastimenti in fiamme dalle parti di Orione, ma da vicino, sapete, non furono un granché, preferisco concentrarmi sull’Ikea. Fu un grande fenomeno di fascinazione collettiva, vi sentite di negarlo? Non vendevano truciolato, chiunque è in grado di venderti truciolato, loro vendevano stile di vita (sapessero fare i mobili come fanno i cataloghi). E noi abbiamo comprato.
A volte, bisogna dirlo, abbiamo comprato perché non avevamo scelta. Quando arrivò in Italia, Ikea puntò tutto sulla liberazione del Giovane e della Giovane. il cartello che a quei tempi andava per la maggiore era una duecavalli in camporella (giornali sui finestrini). Titolo: Non è ora di andare a vivere da soli? Probabilmente già allora la risposta di molti ventenni italiani fu: “No, perché?” Ma per altri era ora, decisamente. Quando io uscii di casa, non pensavo davvero ai mobili Ikea, non perché mi fossi accorto di quanto fossero brutti, ma perché credevo di non potermeli permettere. Pensavo di dover volare più basso, genere mercatoni di provincia. Ma nel giro di un mese mi resi conto di una cosa: solo Ikea capiva i miei problemi.
Se la mia stanza era lunga 1mt.60 x 3, era impossibile farci stare un letto e una scrivania, per tacer dell’armadio. Ergo, serviva un letto a soppalco, ma singolo. Adesso non so, ma vi garantisco che nel 1999 non li vendeva nessuno. Solo l’Ikea. Gli altri avevano letti a castello per bambino: perfetto, esco da casa dei miei e mi ritrovo nel reparto infanzia del mobilificio. Era come fare la spesa da single: umiliante.
E allora, quello che trovai da Ikea non era il fascino per il compensato svedese. Non ero così idiota, nemmeno nel ’99, e neanche voi. Quello che trovai a Casalecchio era rispetto. Rispetto per la mia situazione di ventenne-e-qualcosa-single-andato-ad-abitare-in-un-cesso-di-un-metro-e-mezzo-per-tre. Gli altri avevano solo sorrisi di commiserazione e lettini della Barbie. L’Ikea aveva un letto a soppalco singolo, grigio, anonimo, alto il giusto per non sembrare infantile. E ce l’ha ancora, esposto con tutto l’occorrente per trasformare lo spazio sottostante in uno studiolo, un guardaroba, un harem con tappeti e cuscini, una palestra da bodybuilding, un loft. Presi un giorno di malattia per andarlo a prendere con la macchinina, e quando arrivai scoprii che non l’avevano, e piantai una grana finché non me lo diedero lo stesso, e bestemmiai in svedese per farlo stare dentro la macchinina, e ripartii sgommando e cantando
I think I’m on another planet with you, with you
Ce l’avevo fatta. Ero autonomo. Avevo un letto tutto mio. Io, e il mio soppalco, non avevamo più bisogno di nessuno (anche se avessimo avuto bisogno, di qualcuno, non ci sarebbe più stato spazio, né sulla macchinina, né nella stanza, né sul soppalco). Eravamo liberi, indipendenti, autonomi, automuniti.
Giunto a casa, l’amara delusione. Il foglio delle istruzioni – sapete come sono fatti, no? Niente parole, solo disegni – mostrava chiaramente due persone che montavano il letto. Un ragazzo e una ragazza – per colmo dell’umiliazione. Bussai alla Fra’.
“Fra’”
“Sì?”
“Fra’, io pensavo di farcela da solo, ma nel disegno…”
“Che c’è?”
“C’è anche una donna, vedi”.
“Una donna?”
“Ha i capelli lunghi”.
In due riuscimmo a montare il soppalco, anche se demolimmo tutto il resto della stanza. Su quel soppalco ho passato gli anni più assurdi della mia vita. Al mattino, quando suonava la sveglia, mi alzavo – le grucce appese sotto la rete mi salutavano gnigolando – e mi sembrava di essere il capitano di un vascello in rotta verso l’ignoto. Perché ero lì? Ero saggio? Ero responsabile? Ero un idiota? Se lo sarà chiesto mille volte anche Cristoforo Colombo.
Allora, chi lo sa, forse il motivo per cui oggi Ikea non ci piace più, è che la generazione che è uscita di casa alla fine dei Novanta ormai ha passato il guado, si è sistemata, e ha bisogno di mobili più solidi, più personali, meno giovanili, che ne so? Ora a Casalecchio mi pare che puntino di più sugli adolescenti che vogliono rifarsi la cameretta. E mi pare giusto. Ikea è una specie di evoluzione del lego: ti monti le cose da solo, le ricombini, poi ti annoi, smonti tutto e compri un’altra scatola. Va bene.
Una cosa che invece non capisco è il laminato bianco, che quest’anno va molto. Io ho sempre odiato il laminato bianco, ma perché? Ne ho parlato con due miei amici, e condividevano. Poi ci siamo resi conto di una cosa: avevamo in comune un’infanzia in una zona industriale.
Probabilmente in Svezia queste cose non se le immaginano neanche. Devono avere tutto lo spazio per mettere le fabbriche da una parte e le casette dall’altra, tutte belle col loro giardino e il tetto spiovente per la neve. Ma in Emilia è successo tutto in modo così convulso. La gente si è messa a costruire fabbrichette, capannoni in cemento, e sopra, o di fianco, ci ha costruito il suo appartamento. Così si teneva il lavoro in casa. E in casa, per evitare confusione, mobili di noce massiccio. Invece giù, nell’ufficio, schifezze di laminato bianco.
Noi siamo cresciuti giocando col lego, ma anche con le scrivanie di laminato bianco, digitando numeri assurdi sulle calcolatrici da tavolo di papà, e a volte partiva il rullo della carta e non si fermava più. Poi, crescendo, può darci che ci torni un po’ di nostalgia per il lego, come per i cartoni giapponesi: ma il laminato bianco è il rovescio della medaglia, il mondo brutto che vorremmo esserci lasciati alle spalle per sempre, anche se ci ha dato da mangiare per così tanto tempo.
D’altro canto, al noce massiccio non ci siamo senz’altro arrivati, e forse non abbiamo intenzione di arrivarci mai.
E allora – dove siamo? (Ammiraglio, d’accordo, una terra l’abbiamo trovata. Ma che terra è?)
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Assedio in pausa caffè
05-01-2011, 12:20deliri, dialoghi, giornalisti, lavoro, raccontiPermalinkLa visita d'istruzione
“Ehm, professore...”
Eh? Cosa? Come? Che c'è? Sono in pausa caffè.
“Professore, la pausa caffè era due ore fa”.
E allora? Mi serve concentrazione. Avevo anche messo fuori il cartellino do not disturb.
“Professore, mi scusi eh, ma ultimamente quando si concentra russa così forte che tremano i vetri di mezza redazione. E poi... sarebbe arrivata la classe”.
La che?
“Non si ricorda? La classe di quinta elementare, in gita d'istruzione, ci aveva detto che le mostrava il reparto”.
Aaah, già, la classe... che seccatura.
“Li faccio entrare?”
Un attimo, prendo un caffè.
“Professore, ma è sicuro che tutti questi caffè le facciano bene?”
E tu che ne sai, ragazzino.
“Professore, ho cinquantadue anni io ormai”.
Appunto, ne devi mangiare di crostini ancora... Aspetta cinque minuti e poi falli entrare, ok?
“Allora bambini, se adesso fate silenzio, siamo arrivati nella parte della redazione oserei dire più... più nobile. Si può dire 'più nobile', professore?”
Ma sì, dica pure.
“È il reparto editoriali! Chi è che sa cosa sono gli editoriali?”
“Ioìo”.
“Noioìo”
“Allora dillo tu, Kevin”.
“Sono quelle colonnine scritte fitte fitte che stanno sui lati della prima pagina, è come se tenessero su la testata”.
“Miopapà dice che solo colonnine di chiacchiere che fanno discutere la gente”.
“Ah, ah, ah, Jonathan, non devi sempre credere a quello che dice papà... li scusi, professore... sono piccoli... credono un po' a tutto quello che gli si dice...”
Ma non ha tutti i torti, Jonathan.
“Ora, bambini, fate molta attenzione perché questo signore è il caporeparto, ed è uno degli editorialisti più letti d'Italia, e proprio lui ha accettato di mostrarci il suo luogo di lavoro, e di spiegarci come si fanno gli editoriali, pensate”.
Dunque, se prima di venire qui siete passati negli altri reparti, avrete notato che dappertutto c'era una cosa che qui manca, chi mi sa dire cos'è?
“Ioìoìo!”
Va bene, dimmelo tu.
“In tutti gli altri reparti c'erano tubi e cavi che portavano informazioni, e qui non ce n'è neanche uno”.
Esatto. Perché, come ha detto il vostro compagno prima, gli editoriali servono a far discutere la gente, e per far discutere non c'è bisogno di dare informazioni di prima mano, anzi, si rischia di distrarre il lettore. Questa è la prima cosa da sapere, quando si lavora al reparto editoriali: mai mettere un'informazione di prima mano, al massimo solo cose già rimasticate dagli altri reparti. Cosa che il lettore già sa, insomma.
“Ma se la gente le sa già perché le vuole rileggere?”
Perche gliele riscrivo io, che sono una persona importante, vedi come mi vesto? Ho anche la cravatta, qualche volta vado in tv - ma non troppo. Così, se tuo papà legge le cose che pensa già nel mio articolo, si convince che se le penso anch'io devono essere cose intelligenti.
“Mio papà legge solo Tuttosport”.
Funziona anche con Tuttosport. In questo reparto quindi noi lavoriamo con delle idee semplici semplici, che possono venire in mente ai vostri papà e alle vostre mamme, vedete? Stanno in quel cestone, il cestone dei Luoghi Comuni, noi li chiamiamo così. Allora tutte le volte che serve un editoriale, io prendo uno o due luoghi comuni (ma è meglio prenderne uno solo per volta) e li assemblo su una scocca. Per esempio, adesso ne pesco uno...
“Professore, ci fa provare?”
“Ioìoìo!”
Guardate che è un lavoro difficile, di responsabilità... oh, va bene. Tu, con le treccine, afferra un Luogo Comune.
“Ma quale devo prendere?”
Il primo che ti viene in mano.
“Questo?”
Leggi cosa c'è scritto.
“I-metalmeccanici-devono-rimboccarsi-le-maniche-perché-c'è-la globalizzz...”
...la globalizzazione.
“Cosa vuol dire globalizzazione?”
Che nel mondo, che è un globo, c'è sempre più gente disposta a fare il lavoro di tuo papà per meno euro all'ora, e quindi tuo papà deve sforzarsi di lavorare di più, meno pause caffè e meno gabinetto, eccetera.
“Ma mio papà è in cassa integrazione a zero ore”.
Parlavo in generale. Dunque, ora che abbiamo preso questo bel Luogo Comune, lo montiamo su una scocca. Le scocche sono da questa parte... sono intelaiature, come vedete”.
“Quanta polvere! Eccì!”
Sì, sono modelli molto antichi, in effetti sono più o meno le stesse intelaiature che si usano dall'invenzione del giornalismo, nel Seicento... ma alcuni erano in giro già ai tempi della retorica antica, una materia che voi a scuola non studiate.
“Studiamo Harry Potter”.
Meglio così, certe cose non sono per tutti.
“Ma non ho capito, scusa professore, a cosa servono queste cocche?”
Scocche. Vedi, cara bambina, a tirar fuori un concetto dal cestone dei luoghi comuni sono buoni tutti, ma inserire un luogo comune in un'intelaiatura di processi logici è una cosa molto più complicata. La scocca è la base di tutto, perché rende i luoghi comuni resistenti al senso critico. E dev'essere aerodinamica, nel senso che deve offrire meno attrito possibile agli argomenti contrari. Deve dare l'immagine della coerenza, della logica, della rapidità, così che quando da lontano vedono passare il mio editoriale con tutti i luoghi comuni al posto giusto sulla scocca, tuo papà e tua mamma esclamano: “è tutto chiaro! Non c'è nulla da aggiungere, ha già detto tutto il Professore!”
“Mio papà guarda solo la tv”.
“Mia mamma legge solo internet”.
Parlavo di papà e di mamme in generale. Chi vuole montare il Luogo Comune su una scocca?
“Ioìo!”
Va bene. Stai attento, eh, che c'è gente che ci mette anche una settimana a...
“Fatto!”
Però, sei stato rapido.
“Da grande voglio fare l'editorialista!”
Allora devi imparare a lavorare più piano. Comunque l'editoriale non è ancora finito, adesso si procede alla zincatura, ovvero si immerge la scocca in una vasca di Lessico Corretto. Il lessico è molto importante: non deve essere troppo banale o sciatto.
“E perché?”
Perché deve essere chiaro che è un Professore che parla, uno che ha studiato a lungo. Altrimenti rischia di non esserci nessuna differenza tra questo editoriale e le chiacchiere dei vostri papà al bar.
“Mio papà non va al bar, è musulmano”.
...Quindi, per esempio, al posto di “scegliere”, si usa la parola “optare”.
“Cosa vuol dire optare?”
Scegliere.
“Ho capito, si prendono tutte le parole facili e si trasformano in difficili”.
Eh, no, attenzione, perché se l'editoriale diventa troppo difficile la gente poi non lo legge, e comincia a pensare che il Professore è uno snob. Invece il messaggio che deve passare è che il Professore ha studiato tanto ma si sta sforzando di farsi capire alla gente umile, che sarebbero poi i vostri genitori.
“I miei genitori fanno i precari all'università”.
Mollali appena puoi. Quindi, ricapitolando: non esageriamo con la zincatura. Due o tre minuti sono più che sufficienti per rivestire la scocca di un lessico forbito ma non troppo. Ecco, abbiamo finito.
“E adesso che si fa?”
Si manda l'editoriale al reparto correttori di bozza, dove elimineranno qualche errore ortografico, non troppi.
“Ma non passa dal reparto facts-checking, come tutti gli altri pezzi del giornale?”
Hai visto troppi film americani, quel reparto da noi non esiste – e poi se anche esistesse, non sarebbe il nostro caso, perché questo editoriale, come dicevamo prima, non contiene propriamente nessun “fact”, nessuna informazione di prima mano. Quindi il mio lavoro è finito. Domande?
“Professore, mio papà lavora in una fabbrica simile, però produce le macchine, anche dieci al giorno”.
Non male, tesoro, anche se dovrà abituarsi a produrne un po' di più. Ma qual è la domanda?
“Ecco, io volevo chiedere, tu quanti editoriali produci in un giorno?”
In un giorno? Per carità, al massimo ne faccio un paio alla settimana. Sono più che sufficienti.
“E tutto il resto del tempo cosa fai?”
Beh, mi concentro per scriverli meglio. E poi ho anche altri lavori, per esempio faccio lezioni all'università, utilizzando più o meno le stesse scocche che si adoperano qui, ma con una zincatura più pesante. Poi ogni tanto prendo tutti i miei editoriali, li monto in una scocca più pesante con copertina di cartone e rilegatura in brossura, e li rivendo di nuovo ai vostri genitori in libreria.
“Mio papà in libreria compra solo i divudì”.
E a volte mi invitano in tv a dire due parole sui miei libri. Insomma, sono molto impegnato.
“Ma professore, come si fa a diventare editorialisti?”
Eh, figliolo, bisogna studiare tanto tanto. E poi ancora tanto tanto. Fare tanti sacrifici. E poi, un giorno, chiedere a tuo papà se ti fa scrivere nel suo giornale, o in quello dell'amico del cognato, o se suo zio rettore ti assume all'università, cose così.
“Mio zio di mestiere guida il muletto dietro l'esselunga, mi ha promesso che me lo fa provare”.
Direi che tua strada è segnata. Altre domande?
“Professore, ma lei non ha paura della globa... come si chiama”.
Della globalizzazione? Tesoro, perché dovrei averne paura io?
“Ma lo ha detto prima, c'è sempre gente al mondo che è disposta a lavorare per meno euro all'ora. Questo non vale anche per lei?”
Ma no... vedi, la maggior parte di queste persone stanno in Cina e in India, e se si sforzano possono anche imparare a guidare il muletto dello zio del tuo compagno, ma prima che imparino a scrivere editoriali in italiano... eh, ci vorrà ancora molto tempo. Quindi il mio mestiere è al sicuro, vedete, perché è ancora un mestiere antico, come li chiamavano nel medioevo... un'Arte. Ci vogliono anni e anni di esperienza per riuscire a scrivere quello che...
“Professore, mio papà a volte ti legge...”
Oh, finalmente.
“...e dice che quello che scrivi tu lo potrebbe scrivere anche un bambino delle elementari, e in effetti adesso che ci hai mostrato come si fa, penso che mio papà ha ragione”.
Si dice “abbia ragione”. Vedi? Credi che sia facile, ma poi sbagli i congiuntivi.
“Professore, abbia pazienza, i congiuntivi esprimono: dubbio, incertezza, sospetto, mentre io sono assolutamente sicuro che mio papà HA ragione”.
“Io se scrivo temi con idee così banali la maestra mi dà al massimo sette meno meno”.
“Mia mamma ha smesso di leggerti da tre anni, dice che su internet ci sono persone che scrivono gratis cose molto più interessanti”.
“Mio papà quanto ti vede in tv la spegne, dice che piuttosto di starti ad ascoltare va al bar, dove almeno la gente che dice le tue banalità si può insultare dal vivo”.
“Adesso, professore, onestamente: quanto guadagna netto in quei cinque minuti in cui spiega con belle parole che i nostri genitori non devono più fare la pausa caffè?”
Fermi, state fermi... se mi venite tutti addosso non respiro...
“Professore, secondo me tu sei un parassita che non servi a nulla, nessun indiano o cinese ti verrà a sostituire perché fondamentalmente il tuo mestiere ormai è inutile”.
“Sei convinto di vivere in una torre d'avorio in mezzo alla pianura dell'ignoranza, quando ti basterebbe dare un'occhiata alla finestra per accorgerti che tutto intorno ormai è pieno di grattacieli”.
Maledette canagliette, dov'è la vostra maestrina?
“Sono qui dietro”.
Richiama queste piccole pesti, mi vengono addosso!
“Ehiehi, che maniere. Mi dia del lei, intanto, sono una professoressa anch'io. Ho appena conseguito un dottorato di ricerca in Letteratura per l'Infanzia, se ha dato un'occhiata al mio curriculum avrà notato che negli ultimi tre anni ho scritto più articoli scientifici di lei”.
Ma io mica leggo i curriculum...
“Già, che bisogno c'è. Dalla sua torretta siamo tutte maestrine. Allora bimbi, cosa vogliamo fare di questo babbano inutile?”
“Impicchiamolo!”
“Alla sua cravatta!”
“Dai!”
“Buttiamolo nel cesto dei Luoghi Comuni, in fondo è quello che è”.
“Anzi, probabilmente è lì che lo hanno trovato”.
“Lo hanno assemblato su una di queste scocche”.
“Poi a un certo punto si è convinto di essere un umano, ma è stato tanti anni fa, quando la gente ancora lo leggeva!”
“Meravigliosa intuizione, Kevin. Va bene, smontiamolo e vediamo se riusciamo ad assemblarlo in un modo più originale”.
Indietro! Indietro! Canaglia! Canaglia!
***
“Professore, dice a me?”
Eh? Oddio, era tutto un incubo. Devo essermi appisolato e... ma cosa sono queste urla di là? Ci sono dei bambini?
“Bambini? Ma no, è la vertenza. Sa che dobbiamo mandare a casa un'altra dozzina di redattori”.
Ancora?
“Che ci vuol fare, professore, continuiamo a perdere copie... Piuttosto, è pronto l'editoriale?”
No, mi dispiace, mi devo essere assopito e... Qual era l'argomento, scusami?
“Riforma Gelmini. Deve scrivere che gli studenti sono reazionari, non accettano le novità, difendono lo status quo”.
Ma l'ho già scritto la settimana scorsa.
“Va bene, allora prende il pezzo della settimana scorsa, lo smonta, lo riassembla in un ordine diverso, cambia un po' di sinonimi... se è stanco le mando uno stagista, ce n'è uno giovane che è molto bravo”.
No, no, faccio da solo.
“Guardi che non è un problema, tanto lo stagista è qua. E non lo paghiamo mica a prestazione. Anzi, non lo paghiamo proprio, ahah”.
Quanti anni ha?
“Un po' meno di trenta, direi... ventotto, ventisei...”
Alla sua età io ero già in facoltà... prendevo l'assegnino...
“Cosa ci vuol fare, professore, è una generazione di... di bamboccioni, no? Non l'ha detta lei questa cosa?”
No. Non ero io. L'ha detta uno che adesso è morto.
“Ah, mi scusi. Devo averla vista nel cestone dei Luoghi Comuni, e ho pensato che fosse roba sua”.
Eh? Cos'hai detto?
“Ehm, professore...”
Eh? Cosa? Come? Che c'è? Sono in pausa caffè.
“Professore, la pausa caffè era due ore fa”.
E allora? Mi serve concentrazione. Avevo anche messo fuori il cartellino do not disturb.
“Professore, mi scusi eh, ma ultimamente quando si concentra russa così forte che tremano i vetri di mezza redazione. E poi... sarebbe arrivata la classe”.
La che?
“Non si ricorda? La classe di quinta elementare, in gita d'istruzione, ci aveva detto che le mostrava il reparto”.
Aaah, già, la classe... che seccatura.
“Li faccio entrare?”
Un attimo, prendo un caffè.
“Professore, ma è sicuro che tutti questi caffè le facciano bene?”
E tu che ne sai, ragazzino.
“Professore, ho cinquantadue anni io ormai”.
Appunto, ne devi mangiare di crostini ancora... Aspetta cinque minuti e poi falli entrare, ok?
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“Allora bambini, se adesso fate silenzio, siamo arrivati nella parte della redazione oserei dire più... più nobile. Si può dire 'più nobile', professore?”
Ma sì, dica pure.
“È il reparto editoriali! Chi è che sa cosa sono gli editoriali?”
“Ioìo”.
“Noioìo”
“Allora dillo tu, Kevin”.
“Sono quelle colonnine scritte fitte fitte che stanno sui lati della prima pagina, è come se tenessero su la testata”.
“Miopapà dice che solo colonnine di chiacchiere che fanno discutere la gente”.
“Ah, ah, ah, Jonathan, non devi sempre credere a quello che dice papà... li scusi, professore... sono piccoli... credono un po' a tutto quello che gli si dice...”
Ma non ha tutti i torti, Jonathan.
“Ora, bambini, fate molta attenzione perché questo signore è il caporeparto, ed è uno degli editorialisti più letti d'Italia, e proprio lui ha accettato di mostrarci il suo luogo di lavoro, e di spiegarci come si fanno gli editoriali, pensate”.
Dunque, se prima di venire qui siete passati negli altri reparti, avrete notato che dappertutto c'era una cosa che qui manca, chi mi sa dire cos'è?
“Ioìoìo!”
Va bene, dimmelo tu.
“In tutti gli altri reparti c'erano tubi e cavi che portavano informazioni, e qui non ce n'è neanche uno”.
Esatto. Perché, come ha detto il vostro compagno prima, gli editoriali servono a far discutere la gente, e per far discutere non c'è bisogno di dare informazioni di prima mano, anzi, si rischia di distrarre il lettore. Questa è la prima cosa da sapere, quando si lavora al reparto editoriali: mai mettere un'informazione di prima mano, al massimo solo cose già rimasticate dagli altri reparti. Cosa che il lettore già sa, insomma.
“Ma se la gente le sa già perché le vuole rileggere?”
Perche gliele riscrivo io, che sono una persona importante, vedi come mi vesto? Ho anche la cravatta, qualche volta vado in tv - ma non troppo. Così, se tuo papà legge le cose che pensa già nel mio articolo, si convince che se le penso anch'io devono essere cose intelligenti.
“Mio papà legge solo Tuttosport”.
Funziona anche con Tuttosport. In questo reparto quindi noi lavoriamo con delle idee semplici semplici, che possono venire in mente ai vostri papà e alle vostre mamme, vedete? Stanno in quel cestone, il cestone dei Luoghi Comuni, noi li chiamiamo così. Allora tutte le volte che serve un editoriale, io prendo uno o due luoghi comuni (ma è meglio prenderne uno solo per volta) e li assemblo su una scocca. Per esempio, adesso ne pesco uno...
“Professore, ci fa provare?”
“Ioìoìo!”
Guardate che è un lavoro difficile, di responsabilità... oh, va bene. Tu, con le treccine, afferra un Luogo Comune.
“Ma quale devo prendere?”
Il primo che ti viene in mano.
“Questo?”
Leggi cosa c'è scritto.
“I-metalmeccanici-devono-rimboccarsi-le-maniche-perché-c'è-la globalizzz...”
...la globalizzazione.
“Cosa vuol dire globalizzazione?”
Che nel mondo, che è un globo, c'è sempre più gente disposta a fare il lavoro di tuo papà per meno euro all'ora, e quindi tuo papà deve sforzarsi di lavorare di più, meno pause caffè e meno gabinetto, eccetera.
“Ma mio papà è in cassa integrazione a zero ore”.
Parlavo in generale. Dunque, ora che abbiamo preso questo bel Luogo Comune, lo montiamo su una scocca. Le scocche sono da questa parte... sono intelaiature, come vedete”.
“Quanta polvere! Eccì!”
Sì, sono modelli molto antichi, in effetti sono più o meno le stesse intelaiature che si usano dall'invenzione del giornalismo, nel Seicento... ma alcuni erano in giro già ai tempi della retorica antica, una materia che voi a scuola non studiate.
“Studiamo Harry Potter”.
Meglio così, certe cose non sono per tutti.
“Ma non ho capito, scusa professore, a cosa servono queste cocche?”
Scocche. Vedi, cara bambina, a tirar fuori un concetto dal cestone dei luoghi comuni sono buoni tutti, ma inserire un luogo comune in un'intelaiatura di processi logici è una cosa molto più complicata. La scocca è la base di tutto, perché rende i luoghi comuni resistenti al senso critico. E dev'essere aerodinamica, nel senso che deve offrire meno attrito possibile agli argomenti contrari. Deve dare l'immagine della coerenza, della logica, della rapidità, così che quando da lontano vedono passare il mio editoriale con tutti i luoghi comuni al posto giusto sulla scocca, tuo papà e tua mamma esclamano: “è tutto chiaro! Non c'è nulla da aggiungere, ha già detto tutto il Professore!”
“Mio papà guarda solo la tv”.
“Mia mamma legge solo internet”.
Parlavo di papà e di mamme in generale. Chi vuole montare il Luogo Comune su una scocca?
“Ioìo!”
Va bene. Stai attento, eh, che c'è gente che ci mette anche una settimana a...
“Fatto!”
Però, sei stato rapido.
“Da grande voglio fare l'editorialista!”
Allora devi imparare a lavorare più piano. Comunque l'editoriale non è ancora finito, adesso si procede alla zincatura, ovvero si immerge la scocca in una vasca di Lessico Corretto. Il lessico è molto importante: non deve essere troppo banale o sciatto.
“E perché?”
Perché deve essere chiaro che è un Professore che parla, uno che ha studiato a lungo. Altrimenti rischia di non esserci nessuna differenza tra questo editoriale e le chiacchiere dei vostri papà al bar.
“Mio papà non va al bar, è musulmano”.
...Quindi, per esempio, al posto di “scegliere”, si usa la parola “optare”.
“Cosa vuol dire optare?”
Scegliere.
“Ho capito, si prendono tutte le parole facili e si trasformano in difficili”.
Eh, no, attenzione, perché se l'editoriale diventa troppo difficile la gente poi non lo legge, e comincia a pensare che il Professore è uno snob. Invece il messaggio che deve passare è che il Professore ha studiato tanto ma si sta sforzando di farsi capire alla gente umile, che sarebbero poi i vostri genitori.
“I miei genitori fanno i precari all'università”.
Mollali appena puoi. Quindi, ricapitolando: non esageriamo con la zincatura. Due o tre minuti sono più che sufficienti per rivestire la scocca di un lessico forbito ma non troppo. Ecco, abbiamo finito.
“E adesso che si fa?”
Si manda l'editoriale al reparto correttori di bozza, dove elimineranno qualche errore ortografico, non troppi.
“Ma non passa dal reparto facts-checking, come tutti gli altri pezzi del giornale?”
Hai visto troppi film americani, quel reparto da noi non esiste – e poi se anche esistesse, non sarebbe il nostro caso, perché questo editoriale, come dicevamo prima, non contiene propriamente nessun “fact”, nessuna informazione di prima mano. Quindi il mio lavoro è finito. Domande?
“Professore, mio papà lavora in una fabbrica simile, però produce le macchine, anche dieci al giorno”.
Non male, tesoro, anche se dovrà abituarsi a produrne un po' di più. Ma qual è la domanda?
“Ecco, io volevo chiedere, tu quanti editoriali produci in un giorno?”
In un giorno? Per carità, al massimo ne faccio un paio alla settimana. Sono più che sufficienti.
“E tutto il resto del tempo cosa fai?”
Beh, mi concentro per scriverli meglio. E poi ho anche altri lavori, per esempio faccio lezioni all'università, utilizzando più o meno le stesse scocche che si adoperano qui, ma con una zincatura più pesante. Poi ogni tanto prendo tutti i miei editoriali, li monto in una scocca più pesante con copertina di cartone e rilegatura in brossura, e li rivendo di nuovo ai vostri genitori in libreria.
“Mio papà in libreria compra solo i divudì”.
E a volte mi invitano in tv a dire due parole sui miei libri. Insomma, sono molto impegnato.
“Ma professore, come si fa a diventare editorialisti?”
Eh, figliolo, bisogna studiare tanto tanto. E poi ancora tanto tanto. Fare tanti sacrifici. E poi, un giorno, chiedere a tuo papà se ti fa scrivere nel suo giornale, o in quello dell'amico del cognato, o se suo zio rettore ti assume all'università, cose così.
“Mio zio di mestiere guida il muletto dietro l'esselunga, mi ha promesso che me lo fa provare”.
Direi che tua strada è segnata. Altre domande?
“Professore, ma lei non ha paura della globa... come si chiama”.
Della globalizzazione? Tesoro, perché dovrei averne paura io?
“Ma lo ha detto prima, c'è sempre gente al mondo che è disposta a lavorare per meno euro all'ora. Questo non vale anche per lei?”
Ma no... vedi, la maggior parte di queste persone stanno in Cina e in India, e se si sforzano possono anche imparare a guidare il muletto dello zio del tuo compagno, ma prima che imparino a scrivere editoriali in italiano... eh, ci vorrà ancora molto tempo. Quindi il mio mestiere è al sicuro, vedete, perché è ancora un mestiere antico, come li chiamavano nel medioevo... un'Arte. Ci vogliono anni e anni di esperienza per riuscire a scrivere quello che...
“Professore, mio papà a volte ti legge...”
Oh, finalmente.
“...e dice che quello che scrivi tu lo potrebbe scrivere anche un bambino delle elementari, e in effetti adesso che ci hai mostrato come si fa, penso che mio papà ha ragione”.
Si dice “abbia ragione”. Vedi? Credi che sia facile, ma poi sbagli i congiuntivi.
“Professore, abbia pazienza, i congiuntivi esprimono: dubbio, incertezza, sospetto, mentre io sono assolutamente sicuro che mio papà HA ragione”.
“Io se scrivo temi con idee così banali la maestra mi dà al massimo sette meno meno”.
“Mia mamma ha smesso di leggerti da tre anni, dice che su internet ci sono persone che scrivono gratis cose molto più interessanti”.
“Mio papà quanto ti vede in tv la spegne, dice che piuttosto di starti ad ascoltare va al bar, dove almeno la gente che dice le tue banalità si può insultare dal vivo”.
“Adesso, professore, onestamente: quanto guadagna netto in quei cinque minuti in cui spiega con belle parole che i nostri genitori non devono più fare la pausa caffè?”
Fermi, state fermi... se mi venite tutti addosso non respiro...
“Professore, secondo me tu sei un parassita che non servi a nulla, nessun indiano o cinese ti verrà a sostituire perché fondamentalmente il tuo mestiere ormai è inutile”.
“Sei convinto di vivere in una torre d'avorio in mezzo alla pianura dell'ignoranza, quando ti basterebbe dare un'occhiata alla finestra per accorgerti che tutto intorno ormai è pieno di grattacieli”.
Maledette canagliette, dov'è la vostra maestrina?
“Sono qui dietro”.
Richiama queste piccole pesti, mi vengono addosso!
“Ehiehi, che maniere. Mi dia del lei, intanto, sono una professoressa anch'io. Ho appena conseguito un dottorato di ricerca in Letteratura per l'Infanzia, se ha dato un'occhiata al mio curriculum avrà notato che negli ultimi tre anni ho scritto più articoli scientifici di lei”.
Ma io mica leggo i curriculum...
“Già, che bisogno c'è. Dalla sua torretta siamo tutte maestrine. Allora bimbi, cosa vogliamo fare di questo babbano inutile?”
“Impicchiamolo!”
“Alla sua cravatta!”
“Dai!”
“Buttiamolo nel cesto dei Luoghi Comuni, in fondo è quello che è”.
“Anzi, probabilmente è lì che lo hanno trovato”.
“Lo hanno assemblato su una di queste scocche”.
“Poi a un certo punto si è convinto di essere un umano, ma è stato tanti anni fa, quando la gente ancora lo leggeva!”
“Meravigliosa intuizione, Kevin. Va bene, smontiamolo e vediamo se riusciamo ad assemblarlo in un modo più originale”.
Indietro! Indietro! Canaglia! Canaglia!
***
“Professore, dice a me?”
Eh? Oddio, era tutto un incubo. Devo essermi appisolato e... ma cosa sono queste urla di là? Ci sono dei bambini?
“Bambini? Ma no, è la vertenza. Sa che dobbiamo mandare a casa un'altra dozzina di redattori”.
Ancora?
“Che ci vuol fare, professore, continuiamo a perdere copie... Piuttosto, è pronto l'editoriale?”
No, mi dispiace, mi devo essere assopito e... Qual era l'argomento, scusami?
“Riforma Gelmini. Deve scrivere che gli studenti sono reazionari, non accettano le novità, difendono lo status quo”.
Ma l'ho già scritto la settimana scorsa.
“Va bene, allora prende il pezzo della settimana scorsa, lo smonta, lo riassembla in un ordine diverso, cambia un po' di sinonimi... se è stanco le mando uno stagista, ce n'è uno giovane che è molto bravo”.
No, no, faccio da solo.
“Guardi che non è un problema, tanto lo stagista è qua. E non lo paghiamo mica a prestazione. Anzi, non lo paghiamo proprio, ahah”.
Quanti anni ha?
“Un po' meno di trenta, direi... ventotto, ventisei...”
Alla sua età io ero già in facoltà... prendevo l'assegnino...
“Cosa ci vuol fare, professore, è una generazione di... di bamboccioni, no? Non l'ha detta lei questa cosa?”
No. Non ero io. L'ha detta uno che adesso è morto.
“Ah, mi scusi. Devo averla vista nel cestone dei Luoghi Comuni, e ho pensato che fosse roba sua”.
Eh? Cos'hai detto?
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