Radio Ronf
04-04-2011, 16:20Giuliano Ferrara, ho una teoriaPermalinkGuarda che qua il problema non è mica che tu sia fazioso, chi non lo è, e poi ti pagano per questo, no? Insomma, figurati.
Non è neanche per le balle che racconti, anche se boh, forse dovresti raccontarle un po' meglio, oppure no, tutto il contrario, dovresti spararle ancora più grosse, forse, ecco, sarebbe più divertente così.
E non è neanche una questione di auditel, cioè, davvero, figurati se a uno come te facciamo una questione di auditel. Ma no.
Il problema è che sei bolso.
Ma proprio bolso bolso.
Ma bolso in una maniera che non eri stato mai.
Cosa è successo, anche a te, maledizione.
Ho una teoria #69 (perché Ferrara è diventato così noioso?) si legge sull'Unità on line, e si commenta laggiù.
Lasciamo perdere i dati Auditel. Non credo che nessuno né in Rai né al Foglio si aspettasse di assorbire tutta l’audience del tg e di traghettarla placidamente fino ad Affari Tuoi. Certo, è sconfortante vedere quanti decidono di cambiare canale proprio quando comincia Ferrara e di tornare sull’Uno proprio quando se ne va – però qui la notizia dove sarebbe? Ferrara non è più il divo dell’infotainment televisivo che fu a cavallo tra anni ’80 e ’90. Tanto più che il format scelto per il ritorno è forse il meno eccitante della sua carriera:Radio Londra consisteva e consiste in un sermone di cinque-otto minuti. Certo, quegli otto minuti erano più che sufficienti alla redazione del Fatto di Enzo Biagi per confezionare un approfondimento di qualità, con interviste incrociate a fonti autorevoli e tabelle coi riferimenti ai dati statistici; tanto che all’anziano giornalista non restava che chiudere la striscia con una battuta finale. Sono passati più di dieci anni e Ferrara è ancora lì che usa la tv come pulpito per la predica: di grazia se ogni tanto fa partire un filmato o ci mostra una foto sgranata. Insomma, lo spettacolo si riduce a lui. Da questo punto di vista poi Ferrara non tradirebbe, pochi in Italia sanno stare in video come lui: l’animale televisivo c’è ancora, il tempo non lo ha affatto appannato, anzi: rughe e tartaro lo hanno reso se possibile ancora più monstrum, ancora più fotogenico. Ma nemmeno Gabriel Garko in tutto il suo splendore riuscirebbe a fare da ponte tra Minzolini e il gioco dei pacchi, se il suo format fosse “cinque minuti di come la penso”. Insomma, era prevedibile e previsto che Ferrara perdesse il derby con Striscia.
Meno prevedibile era che deludesse il suo pubblico più affezionato, ovvero i tignosi di sinistra come me. Noi che leggevamo il Foglio per il gusto di farci andare la bile di traverso, noi che dopo l’undici settembre non ci perdevamo più una puntata di Diario di Guerra e poi di Otto e Mezzo... In seguito lo abbiamo un po’ perso di vista, ma pensavamo che l’elefante non avesse perso le zanne. Sapeva sempre farci incazzare al momento giusto, e noi di incazzarci abbiamo un evidente bisogno. Ora, in una fase così critica della Storia della repubblica, il suo ritorno alla Rai partiva con i migliori auspici: poche settimane prima Ferrara aveva promosso una manifestazione in mutande contro il perbenismo della sinistra. Altro che melassa minzoliniana: intellettuali di destra in mutande, questo era pane per i nostri denti. Quando però Radio Londra ha ripreso le trasmissioni, è stata delusione fin dalla prima serata. I reattori di Fukushima minacciavano di fondersi, e lui disse che col nucleare ci voleva attenzione. Tutto qui? Tutto qui.
Non è che in seguito non abbia dato qualche zampata. Il giorno dopo ebbe la meravigliosa faccia tosta di sostenere che era stato Berlusconi a vendere ai giornali le foto in cui passeggia in un giardino con cinque ragazze: proprio quelle foto sgranate per le quali Berlusconi aveva denunciato il fotografo Zappadu. Qualche giorno fa, attaccandosi a un refuso di stampa, ha accusato D’Alema di aver desiderato per l’Italia altri trenta milioni di stranieri, l’equivalente di un paio di serie invasioni barbariche. Ecco, lo spunto c’era, ma lui stesso era così poco convinto di quello che stava dicendo… Del resto, sono trovate da Giuliano Ferrara, queste? Non sono piuttosto trucchi da baraccone, roba da Feltri o da Sallusti? Però almeno sono divertenti, fanno alzare un sopracciglio. Più spesso Ferrara ci fa cascare le palpebre, specie quando se la prende coi giudici, una battaglia che oltre l’entourage berlusconiano non riesce davvero ad appassionare nessuno. (Certo, per tremila euro a serata - quasi seicento euro al minuto - potrebbe anche impegnarsi di più).
Il peggio è quando cerca di riuscire rassicurante: e allora va tutto bene, madama la marchesa, la nostra strategia con Gheddafi (qualunque sia, ne abbiamo cambiate due o tre) è la più ragionevole, nessuna guerra è umanitaria (specie se la fanno i francesi per fregarci le commesse) noi italiani siamo brava gente e stiamo gestendo l’emergenza profughi nel modo migliore, bravo Berlusconi ma bravo anche Napolitano. L’errore forse sta qui. Ferrara ha preso sul serio il pulpito che gli hanno dato in prima serata sul primo canale: sa di non avere i numeri per reggere una sfida Auditel, ma vorrebbe comunque costruirsi un nuovo personaggio ragionevole, rassicurante, lontano dagli eccessi della gioventù, non super partes ma nemmeno troppo fazioso, il nuovo Vespa quando quello vecchio andrà in pensione (o prenderà gusto a presentare i varietà, e perché no dopotutto). Non è un calcolo sbagliato, specie alla sua età. Dopo tutto è da quando ha fondato il Foglio che Ferrara cerca di accreditarsi come intellettuale di riferimento per una destra moderna, liberale, berlusconiana ma con stile.
Il problema – sempre quello – è che questa destra non è quasi mai esistita: che i berlusconiani in tutti questi anni non sono mai passati dal Giornale al Foglio, ma piuttosto dal Sole 24 Ore a Libero; che malgrado le sbandate neocon e clericali, il Foglio a destra se lo sono sempre filati in ben pochi, così come sono ben pochi gli spettatori di destra che restano sull’Uno per guardarsi Radio Londra. Chi ha continuato per tutti questi anni a credere nell’Elefantone, a sopportare il lessico polveroso dei suoi editoriali e a guardarsi Otto e Mezzo, siamo noi autolesionisti di sinistra. Ma anche noi, di un cardinale ragionevole che elogia il governo senza mai attaccare l’opposizione non sappiamo che farcene. Noi vorremmo il vecchio matto bilioso e fazioso, che rovista nella spazzatura e organizza duelli tra Sgarbi e D’Agostino.
Noi non ci siamo dimenticati il vero fenomeno-Ferrara, quello che nasce facendo tv innovativa su Rai3, poi passa a Rai2, comincia a sentirsi oppresso dall'egemonia di sinistra e s'incanaglisce, gira spot in cui rovista tra la spazzatura, conduce talk-show sul sesso, fa spettacolo del sé stesso panzone. Per noi il vero Ferrara resta quello. Non ci interessa che nel frattempo sia diventato un intellettuale, che abbia scritto libri (ma ne ha scritti? Lascerà qualcosa di culturalmente rilevante, Ferrara?) Nel bene e nel male F. è una creatura televisiva, non berlusconiana, ma guglielmiana (ma quanto ci ha dato la rai di Guglielmi, in termini di immaginario popolare, da Chi l'ha visto a Quelli che il calcio?)
I meno giovani si ricorderanno lo sbigottimento di Benigni in uno sketch del '94: "Berlusconi presidente? E magari Ferrara ministro?" La sorpresa di Benigni era quella di tutti noi, maggiore di quella che abbiamo provato quindici anni dopo, ormai assuefatti, di fronte a una Carfagna ministro: la strada alla Carfagna in effetti l'ha spianata lui, prima creatura televisiva a ottenere la responsabilità di un dicastero. Una volta caduto il primo governo Berlusconi ebbe tutto l'agio e lo spazio per improvvisarsi intellettuale. Non c'è niente di male in tutto questo. Magari c'è qualcosa di male in noi, che ci siamo cascati. Ferrara maître à penser, Ferrara teorico del centrodestra, Ferrara intellettuale di riferimento... Ferrara è e dovrebbe rimanere un meraviglioso basso da operetta televisiva, uno che riempie il video senza bisogno di trucco e parrucco. Alla Rai dovrebbe dare spettacolo, fare incazzare noi, che siamo il suo vero pubblico: non i berlusconiani. Loro a quell'ora hanno Striscia.
Non è neanche per le balle che racconti, anche se boh, forse dovresti raccontarle un po' meglio, oppure no, tutto il contrario, dovresti spararle ancora più grosse, forse, ecco, sarebbe più divertente così.
E non è neanche una questione di auditel, cioè, davvero, figurati se a uno come te facciamo una questione di auditel. Ma no.
Il problema è che sei bolso.
Ma proprio bolso bolso.
Ma bolso in una maniera che non eri stato mai.
Cosa è successo, anche a te, maledizione.
Ho una teoria #69 (perché Ferrara è diventato così noioso?) si legge sull'Unità on line, e si commenta laggiù.
Lo ammetto: fino a qualche settimana fa ero abbastanza contento che Ferrara ritornasse in Rai. Non mi aspettavo certo che riutilizzasse i vecchi arnesi di scena di Radio Londra per fare del buon approfondimento, ma speravo finalmente un po’ di spettacolo, un po’ di scintille, che il buon Minzolini, per quanto fazioso, in questi mesi ci ha fatto mancare. E invece…
Lasciamo perdere i dati Auditel. Non credo che nessuno né in Rai né al Foglio si aspettasse di assorbire tutta l’audience del tg e di traghettarla placidamente fino ad Affari Tuoi. Certo, è sconfortante vedere quanti decidono di cambiare canale proprio quando comincia Ferrara e di tornare sull’Uno proprio quando se ne va – però qui la notizia dove sarebbe? Ferrara non è più il divo dell’infotainment televisivo che fu a cavallo tra anni ’80 e ’90. Tanto più che il format scelto per il ritorno è forse il meno eccitante della sua carriera:Radio Londra consisteva e consiste in un sermone di cinque-otto minuti. Certo, quegli otto minuti erano più che sufficienti alla redazione del Fatto di Enzo Biagi per confezionare un approfondimento di qualità, con interviste incrociate a fonti autorevoli e tabelle coi riferimenti ai dati statistici; tanto che all’anziano giornalista non restava che chiudere la striscia con una battuta finale. Sono passati più di dieci anni e Ferrara è ancora lì che usa la tv come pulpito per la predica: di grazia se ogni tanto fa partire un filmato o ci mostra una foto sgranata. Insomma, lo spettacolo si riduce a lui. Da questo punto di vista poi Ferrara non tradirebbe, pochi in Italia sanno stare in video come lui: l’animale televisivo c’è ancora, il tempo non lo ha affatto appannato, anzi: rughe e tartaro lo hanno reso se possibile ancora più monstrum, ancora più fotogenico. Ma nemmeno Gabriel Garko in tutto il suo splendore riuscirebbe a fare da ponte tra Minzolini e il gioco dei pacchi, se il suo format fosse “cinque minuti di come la penso”. Insomma, era prevedibile e previsto che Ferrara perdesse il derby con Striscia.
Meno prevedibile era che deludesse il suo pubblico più affezionato, ovvero i tignosi di sinistra come me. Noi che leggevamo il Foglio per il gusto di farci andare la bile di traverso, noi che dopo l’undici settembre non ci perdevamo più una puntata di Diario di Guerra e poi di Otto e Mezzo... In seguito lo abbiamo un po’ perso di vista, ma pensavamo che l’elefante non avesse perso le zanne. Sapeva sempre farci incazzare al momento giusto, e noi di incazzarci abbiamo un evidente bisogno. Ora, in una fase così critica della Storia della repubblica, il suo ritorno alla Rai partiva con i migliori auspici: poche settimane prima Ferrara aveva promosso una manifestazione in mutande contro il perbenismo della sinistra. Altro che melassa minzoliniana: intellettuali di destra in mutande, questo era pane per i nostri denti. Quando però Radio Londra ha ripreso le trasmissioni, è stata delusione fin dalla prima serata. I reattori di Fukushima minacciavano di fondersi, e lui disse che col nucleare ci voleva attenzione. Tutto qui? Tutto qui.
Non è che in seguito non abbia dato qualche zampata. Il giorno dopo ebbe la meravigliosa faccia tosta di sostenere che era stato Berlusconi a vendere ai giornali le foto in cui passeggia in un giardino con cinque ragazze: proprio quelle foto sgranate per le quali Berlusconi aveva denunciato il fotografo Zappadu. Qualche giorno fa, attaccandosi a un refuso di stampa, ha accusato D’Alema di aver desiderato per l’Italia altri trenta milioni di stranieri, l’equivalente di un paio di serie invasioni barbariche. Ecco, lo spunto c’era, ma lui stesso era così poco convinto di quello che stava dicendo… Del resto, sono trovate da Giuliano Ferrara, queste? Non sono piuttosto trucchi da baraccone, roba da Feltri o da Sallusti? Però almeno sono divertenti, fanno alzare un sopracciglio. Più spesso Ferrara ci fa cascare le palpebre, specie quando se la prende coi giudici, una battaglia che oltre l’entourage berlusconiano non riesce davvero ad appassionare nessuno. (Certo, per tremila euro a serata - quasi seicento euro al minuto - potrebbe anche impegnarsi di più).
Il peggio è quando cerca di riuscire rassicurante: e allora va tutto bene, madama la marchesa, la nostra strategia con Gheddafi (qualunque sia, ne abbiamo cambiate due o tre) è la più ragionevole, nessuna guerra è umanitaria (specie se la fanno i francesi per fregarci le commesse) noi italiani siamo brava gente e stiamo gestendo l’emergenza profughi nel modo migliore, bravo Berlusconi ma bravo anche Napolitano. L’errore forse sta qui. Ferrara ha preso sul serio il pulpito che gli hanno dato in prima serata sul primo canale: sa di non avere i numeri per reggere una sfida Auditel, ma vorrebbe comunque costruirsi un nuovo personaggio ragionevole, rassicurante, lontano dagli eccessi della gioventù, non super partes ma nemmeno troppo fazioso, il nuovo Vespa quando quello vecchio andrà in pensione (o prenderà gusto a presentare i varietà, e perché no dopotutto). Non è un calcolo sbagliato, specie alla sua età. Dopo tutto è da quando ha fondato il Foglio che Ferrara cerca di accreditarsi come intellettuale di riferimento per una destra moderna, liberale, berlusconiana ma con stile.
Il problema – sempre quello – è che questa destra non è quasi mai esistita: che i berlusconiani in tutti questi anni non sono mai passati dal Giornale al Foglio, ma piuttosto dal Sole 24 Ore a Libero; che malgrado le sbandate neocon e clericali, il Foglio a destra se lo sono sempre filati in ben pochi, così come sono ben pochi gli spettatori di destra che restano sull’Uno per guardarsi Radio Londra. Chi ha continuato per tutti questi anni a credere nell’Elefantone, a sopportare il lessico polveroso dei suoi editoriali e a guardarsi Otto e Mezzo, siamo noi autolesionisti di sinistra. Ma anche noi, di un cardinale ragionevole che elogia il governo senza mai attaccare l’opposizione non sappiamo che farcene. Noi vorremmo il vecchio matto bilioso e fazioso, che rovista nella spazzatura e organizza duelli tra Sgarbi e D’Agostino.
Noi non ci siamo dimenticati il vero fenomeno-Ferrara, quello che nasce facendo tv innovativa su Rai3, poi passa a Rai2, comincia a sentirsi oppresso dall'egemonia di sinistra e s'incanaglisce, gira spot in cui rovista tra la spazzatura, conduce talk-show sul sesso, fa spettacolo del sé stesso panzone. Per noi il vero Ferrara resta quello. Non ci interessa che nel frattempo sia diventato un intellettuale, che abbia scritto libri (ma ne ha scritti? Lascerà qualcosa di culturalmente rilevante, Ferrara?) Nel bene e nel male F. è una creatura televisiva, non berlusconiana, ma guglielmiana (ma quanto ci ha dato la rai di Guglielmi, in termini di immaginario popolare, da Chi l'ha visto a Quelli che il calcio?)
I meno giovani si ricorderanno lo sbigottimento di Benigni in uno sketch del '94: "Berlusconi presidente? E magari Ferrara ministro?" La sorpresa di Benigni era quella di tutti noi, maggiore di quella che abbiamo provato quindici anni dopo, ormai assuefatti, di fronte a una Carfagna ministro: la strada alla Carfagna in effetti l'ha spianata lui, prima creatura televisiva a ottenere la responsabilità di un dicastero. Una volta caduto il primo governo Berlusconi ebbe tutto l'agio e lo spazio per improvvisarsi intellettuale. Non c'è niente di male in tutto questo. Magari c'è qualcosa di male in noi, che ci siamo cascati. Ferrara maître à penser, Ferrara teorico del centrodestra, Ferrara intellettuale di riferimento... Ferrara è e dovrebbe rimanere un meraviglioso basso da operetta televisiva, uno che riempie il video senza bisogno di trucco e parrucco. Alla Rai dovrebbe dare spettacolo, fare incazzare noi, che siamo il suo vero pubblico: non i berlusconiani. Loro a quell'ora hanno Striscia.
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Delenda Cologno
31-03-2011, 20:03Berlusconi, tvPermalinkRevolution Will Be Televised
Non è che i quotidiani (quelli alla Feltri, intendo) non abbiano una residuale importanza, nell'ispirare qualche migliaio di boccaloni da bar e in generale la classe imprenditoriale meno lucida d'Europa.
Non è che internet sia un mondo perfetto, con le sue comunità sempre meno comunicanti con l'esterno, una specie d'agenzia che trova a tutti gratis la stanza dove tutti la pensano come te, ti danno ragione, approvano i tuoi elementi.
Però pantomine come quella di Forum, o di Lampedusa, o della rissa alla Camera, ce lo ricordano tutti i giorni: l'arma più forte, l'unica che rimane al Rais per convincere e convincersi di essere ancora in sella, è sempre lei: la televisione. Così banale? Sì, così banale, mi dispiace, ma siamo sempre qui. Scenette come quella della finta terremotata non si farebbero, se non funzionassero ancora così bene, nel 2011 (e il Gabibbo non rilascerebbe dichiarazioni all'Ansa). Forse altrove le cose stanno cambiando, forse davvero twitter o facebook stanno veicolando nuove rivoluzioni, nel qual caso sono felice per egiziani e tunisini, ma qui da noi va così: chi controlla le emittenze, controlla gli italiani. Non tutti? Va bene, diciamo che ne controlla abbastanza per fottersi del resto.
Perché tutto il resto – le proteste a Lampedusa, l'indignazione degli aquilani, il cipiglio allucinato di La Russa, il sorriso mesto e incredulo di Frattini – non esiste; o meglio, esiste per una fetta di italiani che rimane la minoranza. Una minoranza enorme, ma minoranza, a cui non resta che chiudersi nella sua stanza cartacea o digitale (o magari andare al cinema), a indignarsi un altro po', che c'è sempre un motivo e ormai ci abbiamo preso gusto; ad aggiungere un'altra paginetta all'album delle figure di merda internazionali. Va così da vent'anni e non si vede francamente perché dovrebbe cambiare. I giovani, forse, man mano che si stancano dello scatolone di mamma e papà (che è sempre meno uno scatolone, ora è sottile e lucido come uno specchio, e succhia banda a internet). I giovani forse non ci cascano più come una volta, ma sono pochi.
Saranno vent'anni, ormai, che faccio questo discorso, e magari all'inizio esageravo. Di solito la risposta è sempre la stessa: spocchioso, elitario, tu offendi gli italiani, credi che siano cretini. Io non ho mai pensato che gli italiani siano cretini, più di me intendo. Si tratta di un semplice problema di input. Il più potente calcolatore mai costruito non troverà la soluzione corretta a un problema, se i dati che gli avete fornito sono errati. I cervelli per costruire ragionamenti complessi ce li abbiamo, in effetti non abbiamo altro (in effetti tutto questo rumore che sentite, questa frustrazione di fondo, non è la musica delle sfere, ma milioni di cervelli italiani che macinano a vuoto). Ma per elaborare una qualsiasi idea bisogna pur partire da osservazioni, da dati sensibili, ed è qui che siamo stati criminalmente truffati: tutto quello che la maggior parte degli italiani vede e sente passa ancora attraverso il diaframma televisivo, quella famosa calza davanti all'obiettivo. La vera agenda si stabilisce in tv, non in parlamento: vedi il modo in cui una situazione emergenziale ma tutto sommato non ancora drammatica come lo sbarco di profughi a Lampedusa è diventato la Priorità Numero Uno. Davvero, questi trucchetti, se non funzionassero, nessuno li farebbe più. Ma funzionano: e se non aumentano il consenso, comunque lo mantengono oltre il 50%, che è tutto quello che serve a Berlusconi e leghisti per rovinarci.
Oggi come vent'anni fa è la televisione che offre a Berlusconi la possibilità di costruirsi una realtà a suo piacimento dove Lampedusa può diventare la nuova Portofino. Il resto non ha nessuna importanza e forse costituisce soltanto una distrazione. I processi. Il dibattito parlamentare. La gente può anche andare a manifestare davanti al parlamento, o al Palazzo di Giustizia. Io nel 2011 resto convinto che l'Italia sia la nuova Romania, e che l'unica marcia veramente necessaria (e veramente pericolosa) sia quella su Cologno Monzese: e con mezzi ben più contundenti che le monetine. Ogni volta che scrivo questa cosa qualcuno si mette a ridere, va bene così. Ormai i giochi sono fatti, se siete d'accordo con me ormai lo siete da anni e non c'era nessun bisogno che leggeste tutto questo. Se invece non siete d'accordo, non lo sarete mai, ma per voi e per tutti voglio sempre restare il vecchietto rincoglionito che finiva tutti i discorsi con lo stesso ritornello. Perché insomma, io credo oggi come sempre che bisogna distruggere Mediaset.
Non è che i quotidiani (quelli alla Feltri, intendo) non abbiano una residuale importanza, nell'ispirare qualche migliaio di boccaloni da bar e in generale la classe imprenditoriale meno lucida d'Europa.
Non è che internet sia un mondo perfetto, con le sue comunità sempre meno comunicanti con l'esterno, una specie d'agenzia che trova a tutti gratis la stanza dove tutti la pensano come te, ti danno ragione, approvano i tuoi elementi.
Però pantomine come quella di Forum, o di Lampedusa, o della rissa alla Camera, ce lo ricordano tutti i giorni: l'arma più forte, l'unica che rimane al Rais per convincere e convincersi di essere ancora in sella, è sempre lei: la televisione. Così banale? Sì, così banale, mi dispiace, ma siamo sempre qui. Scenette come quella della finta terremotata non si farebbero, se non funzionassero ancora così bene, nel 2011 (e il Gabibbo non rilascerebbe dichiarazioni all'Ansa). Forse altrove le cose stanno cambiando, forse davvero twitter o facebook stanno veicolando nuove rivoluzioni, nel qual caso sono felice per egiziani e tunisini, ma qui da noi va così: chi controlla le emittenze, controlla gli italiani. Non tutti? Va bene, diciamo che ne controlla abbastanza per fottersi del resto.
Perché tutto il resto – le proteste a Lampedusa, l'indignazione degli aquilani, il cipiglio allucinato di La Russa, il sorriso mesto e incredulo di Frattini – non esiste; o meglio, esiste per una fetta di italiani che rimane la minoranza. Una minoranza enorme, ma minoranza, a cui non resta che chiudersi nella sua stanza cartacea o digitale (o magari andare al cinema), a indignarsi un altro po', che c'è sempre un motivo e ormai ci abbiamo preso gusto; ad aggiungere un'altra paginetta all'album delle figure di merda internazionali. Va così da vent'anni e non si vede francamente perché dovrebbe cambiare. I giovani, forse, man mano che si stancano dello scatolone di mamma e papà (che è sempre meno uno scatolone, ora è sottile e lucido come uno specchio, e succhia banda a internet). I giovani forse non ci cascano più come una volta, ma sono pochi.
Saranno vent'anni, ormai, che faccio questo discorso, e magari all'inizio esageravo. Di solito la risposta è sempre la stessa: spocchioso, elitario, tu offendi gli italiani, credi che siano cretini. Io non ho mai pensato che gli italiani siano cretini, più di me intendo. Si tratta di un semplice problema di input. Il più potente calcolatore mai costruito non troverà la soluzione corretta a un problema, se i dati che gli avete fornito sono errati. I cervelli per costruire ragionamenti complessi ce li abbiamo, in effetti non abbiamo altro (in effetti tutto questo rumore che sentite, questa frustrazione di fondo, non è la musica delle sfere, ma milioni di cervelli italiani che macinano a vuoto). Ma per elaborare una qualsiasi idea bisogna pur partire da osservazioni, da dati sensibili, ed è qui che siamo stati criminalmente truffati: tutto quello che la maggior parte degli italiani vede e sente passa ancora attraverso il diaframma televisivo, quella famosa calza davanti all'obiettivo. La vera agenda si stabilisce in tv, non in parlamento: vedi il modo in cui una situazione emergenziale ma tutto sommato non ancora drammatica come lo sbarco di profughi a Lampedusa è diventato la Priorità Numero Uno. Davvero, questi trucchetti, se non funzionassero, nessuno li farebbe più. Ma funzionano: e se non aumentano il consenso, comunque lo mantengono oltre il 50%, che è tutto quello che serve a Berlusconi e leghisti per rovinarci.
Oggi come vent'anni fa è la televisione che offre a Berlusconi la possibilità di costruirsi una realtà a suo piacimento dove Lampedusa può diventare la nuova Portofino. Il resto non ha nessuna importanza e forse costituisce soltanto una distrazione. I processi. Il dibattito parlamentare. La gente può anche andare a manifestare davanti al parlamento, o al Palazzo di Giustizia. Io nel 2011 resto convinto che l'Italia sia la nuova Romania, e che l'unica marcia veramente necessaria (e veramente pericolosa) sia quella su Cologno Monzese: e con mezzi ben più contundenti che le monetine. Ogni volta che scrivo questa cosa qualcuno si mette a ridere, va bene così. Ormai i giochi sono fatti, se siete d'accordo con me ormai lo siete da anni e non c'era nessun bisogno che leggeste tutto questo. Se invece non siete d'accordo, non lo sarete mai, ma per voi e per tutti voglio sempre restare il vecchietto rincoglionito che finiva tutti i discorsi con lo stesso ritornello. Perché insomma, io credo oggi come sempre che bisogna distruggere Mediaset.
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Ana contro Ana
28-03-2011, 14:09essere donna oggi, ho una teoriaPermalinkAdesso magari qui non si vede proprio bene, ma questa rivista sta fieramente conducendo una campagna contro l'anoressia, andando alla radice del problema. E alla radice non ci sono certo le riviste di moda (ci mancherebbe altro) ma nemmeno le famiglie (un po' passée anche quest'abitudine di incolpare le famiglie), bensì... indovinate cosa c'è alla radice di tutto il problema, indovinate.
Ci sono i blog. Vogue vuole la vostra firma per chiuderli. I dettagli sull'Unità.it. Commentate laggiù.
Se vi dicessi che qualche giorno fa mi hanno chiesto di aderire a una petizione di Bob Marley contro i fumatori di cannabis(1), mi credereste? E a una raccolta di firme lanciata da Valentino Rossi contro i motociclisti che fanno rumore e inquinano? Oppure una raccolta di firme contro la piccola criminalità, patrocinata da Matteo Messina Denaro? No, in realtà volevo dirvi che mi hanno chiesto di firmare una petizione contro i siti pro-anoressia; petizione lanciata da Franca Sozzani, gloriosa direttore di Vogue Italia. Non sto scherzando. Bob Marley che ti chiede una firma contro le canne, quella ero uno scherzo. Franca Sozzani che combatte l'anoressia on line è una cosa reale.
E siccome l'anoressia è cosa fin troppo reale, non ci scherzerò sopra ulteriormente. Quello che mi interessa è capire. Per molti anni, ogni volta che un esponente del mondo della moda (stilista o giornalista) veniva invitato a un dibattito televisivo su questa malattia, la sua linea di difesa era più o meno la stessa: la colpa non è della moda, la moda non c'entra, le modelle magre valorizzano i vestiti, ma quelle anoressiche vengono licenziate, è tutta colpa della famiglia, certi genitori sono pazzi. Le cause dell'anoressia risiederebbero nelle carenze affettive; il fatto che molte vittime dell'anoressia sfoglino riviste come Vogue sarebbe un sintomo, non una causa. L'ideale di una bellezza tanto ossuta quanto lontana dalle misure standard delle nostre adolescenti, propagato dalle riviste di moda, non avrebbe nessuna conseguenza sul fatto che alcune di queste adolescenti rifiutino il cibo e facciano diete estreme. Bene, questo è un punto di vista. Discutibile, ma rispettabile.
Però adesso saltano fuori i blog pro-ana, i siti pro-anoressia. Che esistono, per carità: sono anni che gli esperti li studiano. Sono i diari on line in cui si racconta con dovizia di particolari come fingere di mangiare, come vomitare, quali lassativi assumere, e così via. Ecco, per Franca Sozzani questi siti sono pericolosi, perché sono alla portata di tutti. Esattamente come le copertine di Vogue e degli altri magazine di moda. Ma i magazine di moda non dovrebbero avere alcun effetto sulle adolescenti; i siti pro-ana sì. Com'è possibile? Se sbatti in prima pagina un mostro ossuto su una rivista patinata con una tiratura di migliaia non ottieni nulla; se metti lo stesso mostro ossuto su un piccolo blog con cento lettori diventi un pericolo? Non è un tantino illogico?
Mi spiace, non firmerò la petizione. Anche perché non mi è chiaro in che modo migliaia o milioni di firme possano ottenere “l'obiettivo finale di chiudere questi siti”. Non è che su internet non valgano le leggi del mondo reale: se un blog commette un reato nel Paese in cui è stato registrato (il che equivale più o meno ad ammettere che in quel Paese esistano reati di opinione), può essere chiuso dall'autorità senza bisogno che nessuno ci metta la firma. Purtroppo abbiamo scoperto che in Italia un blog si può chiudere per molto meno, anche soloper il sospetto di un inquirente. Detto questo: difendere l'anoressia, in Italia, è un reato? Se sì, le firme non dovrebbero servire; se no, qualcuno ritiene che dovrebbe esserlo? Ogni tanto si potrebbero raccogliere le firme per proporre una legge, invece che per obiettivi un po' fumosi come quello di chiudere “migliaia di siti” (che possono benissimo riaprire il giorno dopo su server e con domini diversi).
E tuttavia bisogna ringraziare la Sozzani, non soltanto per l'attenzione che dedica al problema dell'anoressia, ma anche al piccolo mondo dei blog, che sembra sempre sul punto di passare di moda: e invece guardaci, siamo su Vogue. Eppure c'è sempre qualcuno che tira fuori quella vecchia storia per cui i blog sono out, i blog sono il passato di internet, il futuro è second life (nel 2007), twitter (nel 2009), facebook (adesso), eccetera. In effetti i blog sono un fenomeno ormai antico, eppure sono quelli che fanno più paura di tutti. Nelle prime righe della petizione sembra che la Sozzani voglia soprattutto scagionare facebook, nel momento in cui qualcuno comincia ad accusarlo di essere la “causa principale dell'anoressia”. Per lei non è possibile “che un network da solo possa prendersi carico della diffusione di questo fenomeno”: basta studiare e documentarsi per scoprire che sotto il network esistono “migliaia di siti e blog pro-anoressia”. Si potrebbe anche ipotizzare che la Sozzani decida di prendersela coi blog perché sono i più sfigati, ormai, mentre il popolo di facebook va tenuto buono...
Ma io preferisco pensare che il Direttore stia riconoscendo quello che altri non ammettono più: Facebook non può essere la causa scatenante di nulla, perché Facebook è solo una rete che socializza i contenuti; ma i contenuti sono altrove. Li fanno i blog (e quindi no, professor McLuhan, il medium non è esattamente il messaggio; perlomeno le due cose non coincidono). E di questo voglio ringraziare Franca Sozzani, a nome di tutta la categoria di blogger, compresi i diari on line delle anoressiche, dei bombaroli, degli erotomani e di quelli che sognano di avere storie sentimentali con animali pelosi immaginari (esistono): i contenuti, belli o brutti o pericolosi che siano, in rete ce li mettiamo noi. Certo, ormai dipende solo da facebook o da twitter se qualcuno li legge o no. Però chi li produce siamo noi. Grazie, direttore di Vogue, per avercelo riconosciuto.
Io poi resto convinto che qualche contenuto lo producano anche i giornalisti, e perfino quelli di moda; e che un contenuto preciso (grosso modo “magro è bello”) lo contenga anche un mostro ossuto in prima pagina su una rivista patinata. Che sta in edicola, o in sala d'aspetto, o sul tavolino di casa, dove anche un adolescente (con carenze affettive, certo) può dare un'occhiata. Ma questa resta solo una mia teoria.
(1) Courtesy of Livefast
Il Paese che ha bisogno di Popstar
24-03-2011, 00:05apocalittici e integrati, culturaPermalinkRiassunto della puntata precedente - qualche tempo fa avevo cominciato una recensione di Popstar della cultura, di Alessandro Trocino, poi Trocino stesso è intervenuto nei commenti causandomi un attacco di timidezza, per cui in questa seconda puntata parto definitivamente per la tangente.
4. L a t e r r a t u r r i t a – "Popstar della cultura", dicevamo. Avrebbe senso un titolo del genere all'estero? Perché magari le popstar esistono anche lì – basta dare un'occhiata a Bérnhard-Henri Lévy per sospettarlo. Ma il fenomenale cozzo tra i termini “popstar” e “cultura” fa scintille soltanto nella nostra lingua. In inglese probabilmente no. In inglese diventare una popstar è ormai “culturally relevant” per definizione: il pop è una cultura, se non la cultura tout court, il mainstream. Nessuno negherebbe l'aspetto culturale del fenomeno Lady Gaga, è una battaglia persa in partenza. Per contro, in Italia Allevi deve ancora dimostrare qualcosa al mondo della Cultura. Dischi, ne vende; però i virtuosi storcono il naso. Allo stesso modo, Saviano deve continuamente dimostrare di essere uno scrittore e non un cronista; viceversa, Camilleri deve dimostrare che è qualcosa di più dallo scrittore di gialli; in generale, la Cultura italiana rimane una turris eburnea, un club di terzo livello, puoi sgobbare tutta la vita senza riuscire a ottenere le credenziali sufficienti. Non che si scriva un granché di interessante, da anni, a questo livello; c'è il sospetto diffuso che sia ormai un ospizio, ma non importa, è un ospizio di gente raffinata che non ha bisogno di popstar.
Viceversa, le popstar hanno terribilmente bisogno della tessera del club. Guardiamoli bene. In una nazione senza turris eburnea, cosa succederebbe ai nostri fantastici sei? Beppe Grillo farebbe lo stand up comedian. Magari avrebbe un suo posto fisso in tv; in ogni caso non avrebbe bisogno di fondare un partito o un culto personale per vendere biglietti e dvd. Camilleri farebbe il giallista, e sarebbe apprezzato dal suo pubblico come tale; non ci si porrebbe il problema della letterarietà, della sicilianità, dell'espressionismo, del retaggio sciasciano, verghiano, tomasidampedusiano; scriverebbe gialli buoni o meno buoni e sarebbe valutato dai critici per le loro qualità intrinseche. Corona farebbe l'alpinista, magari lo scultore. Ogni tanto pubblicherebbe qualche raccontino naif, che avrebbe un suo pubblico. Allevi suonerebbe il piano e venderebbe dischi. Saviano farebbe davvero il cronista, o magari lo scrittore di docu-fiction; magari avrebbe scritto Gomorra tale e quale (e vivrebbe sotto scorta tale e quale), ma nessuno avrebbe sentito la necessità di scriverci sopra “romanzo”, col dibattito che ne è seguito. Petrini farebbe il critico gastronomico, non il gastrorivoluzionario. Insomma, queste popstar avrebbero tutte una collocazione e un successo. Senza la necessità di assediare la turris eburnea della Cultura. Necessità assolutamente italiana: è da noi che un'antologia di reportage va spacciata per romanzo per stimolare un dibattito culturale. È da noi che un pianista pop deve affettare manie da grande compositore per farsi notare dai critici. È da noi che un giallista, per farsi rispettare, deve mostrare di appartenere alla letteratura cosiddetta 'alta', che è detta così ormai soltanto da noi; è da noi che un comico per conquistare i suoi spazi alternativi al quasi monopolio tv deve diventare un predicatore itinerante. Anche se non esiste praticamente più, la torre ebrunea funziona ancora da richiamo: ascolteremo il pianista Allevi soltanto se lui ci darà la sensazione di essere il nuovo Mozart, leggeremo Camilleri soltanto se ci darà la sensazione di un nuovo espressionismo siciliano. Le popstar magari in principio erano soltanto onesti operatori culturali, ma le attese e la mentalità del pubblico le hanno spinte fatalmente verso il cosiddetto Midcult.
5. I t a l y ' s B e s t P o p s t a r – Il termine midcult è preso da un saggio di Dwight MacDonald, che in Italia è conosciuto soprattutto per la rilettura che ne dà Umberto Eco nella Struttura del cattivo gusto (Apocalittici e integrati, 1964). MacDonald vede il Midcult come genere intermedio tra la Cultura Bassa o Masscult e la Cultura Alta, o avanguardia. Secondo Eco il Midcult “1) prende a prestito procedimenti dell'avanguardia e li adatta per confezionare un messaggio comprensibile e godibile a tutti; 2) impiega questi procedimenti quando sono già noti, divulgati, frusti, consumati; 3) costruisce il messaggio come provocazione di effetti; 4) lo vende come Arte; 5) pacifica il proprio consumatore convincendolo di aver realizzato un incontro con la cultura, in modo che esso non si ponga altre inquietudini”. Sullo stesso MacDonald, però, Eco formula qualche sospetto di snobismo: “non si pone mai la domanda se molte delle operazioni dell'avanguardia siano state prive di ragioni storiche profonde, o se queste ragioni non vadano proprio cercate nel rapporto tra avanguardia e cultura media”. Eco ha in merito un'opinione più precisa, e vent'anni dopo diventerà la massima popstar del Midcult italiano portando col Nome della Rosa l'avanguardia nel giallo storico (o portando gli stilemi di genere nel romanzo d'avanguardia?) Di anni ne sono passati altri trenta, ma il Nome della Rosa rimane secondo me un esempio abbastanza ineguagliato in Italia di Midcult di qualità. Quello che altrove è la norma – penso al genere artistico americano che ultimamente consumiamo con più appetito, le fiction: le migliori si collocano più o meno in mezzo tra avanguardia e Masscult, prendono in prestito le intuizioni del cinema d'autore e le riadattano ai soliti canovacci dei feuilleton – il risultato è ottimo intrattenimento, che magari ci fa venir voglia di saperne di più, così come Eco ci faceva venire voglia di studiare i pauperisti medievali.
6. D a l l a T o r r e a l P o n t e – Il problema è tutto qui: le nuove popstar italiane riusciranno come Eco a gettare analoghi ponti verso forme d'arte e contenuti un po' più complessi? Il lettore di Camilleri proseguirà in direzione Sciascia o D'Arrigo? Se regalo un cd di Allevi a un tredicenne, getto i semi che mi frutteranno un trentenne estimatore di Bach? A ben vedere è lo stesso problema che ci pone il caso Moccia: una dodicenne che legge Moccia oggi è davvero una dodicenne conquistata alla lettura? Il fatto che in una singola unità di tempo legga Moccia invece di pittarsi le unghie guardando una soap (che magari è scritta meglio di un romanzo di Moccia) è positivo in sé? Ricordiamoci l'altra faccia della medaglia: la dodicenne che, davanti a Moccia (o a un cd di Allevi) decide per sempre che la letteratura (o la musica) è robaccia che non fa per lei: e così grazie a Moccia abbiamo perso una potenziale lettrice di Tolstoj (o estimatrice di Mozart). La popstar ideale è quella che mentre ti spaccia canzoncine ti introduce a una tradizione musicale composita e interessante; possiamo criticarlo per la qualità delle canzoncine, ma ha più senso aspettare e vedere come cresceranno i suoi fans. Vale anche per quelle popstar che si muovono su un terreno più politico che culturale: Beppe Grillo non lo giudicheremo dalla biowashball, ma dalla qualità della classe dirigente che avrà o non avrà saputo formare. I discepoli di Petrini rimarranno una casta chiusa di ghiottoni facoltosi o riusciranno a cambiare la mentalità con la quale ci nutriamo tutti i giorni? Più che per i ritornelli, vale la pena di aspettare e giudicare le popstar per l'eredità che ci lasceranno. (Questa, per diversi di loro, somiglia già a una sentenza di condanna. Ma non voglio scrivere quali, metti caso che invece mi sbaglio).
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Andate avanti voi
22-03-2011, 16:12Berlusconi, democrazia d'esportazione, guerraPermalinkGli Dei dell'Alba
- Gli dei dell'Odissea sono una famiglia allargata di entità litigiose e scostanti, non proprio onnipotenti ma comunque piuttosto potenti, che questo potere lo usano un po' come gli viene, tifando ora per questo ora per quel mortale: sicché anche il destino di Odisseo è tirato un po' di qua un po' di là finché Zeus Atena e Poseidone non si stancano del giocattolo.
Gli dei di Odissey Dawn, migliaia di anni più tardi, continuano a rifarsi ai modelli classici. Hanno folgori più veloci del suono, ordigni invisibili e micidiali, però non è che abbiano le idee molto chiare su cosa colpire e perché. Arrivano sempre in ritardo, quando i guai sono stati commessi e i mortali che li invocavano già da qualche giorno morti; quando infine colpiscono, colpiscono comunque in fretta e male, senza obbedire a un disegno preciso, a un coordinamento. Si capisce a questo punto la fretta di Gheddafi nei giorni scorsi: si trattava di spicciarsi a far deserto prima che i lamenti dei ribelli disturbassero troppo le orecchie degli dei. Stava per farcela, ma poi l'Oracolo internazionale, che si chiama ONU, ha rilasciato una delle sue enigmatiche Risoluzioni, in cui chiedeva di salvare i civili in qualsiasi maniera. Anche bombardandoli a tappeto? In qualsiasi maniera: quindi pronti, partenza, via. Chi comanda? Non si sa. Alla fine probabilmente sarà Zeus Obama, per via che possiede più folgori e più possenti; ma finché esita, è una gara a chi fa più casino. È anche lo stato dell'arte del diritto internazionale: una cosa che a 66 anni dalla nascita dell'ONU, a venti dalla prima guerra del Golfo, a dieci dall'intervento in Afganistan, continua a non assomigliare a niente di sensato. Semplicemente, gli Oracoli di New York o di Ginevra rilasciano risoluzioni e poi chiunque abbia degli aeroplani da quelle parti può iniziare a bombardare. Stavolta è stato Sarkozy, e gli altri a ruota. C'è evidentemente qualcosa che non va, ma cosa?
Potrebbe essere l'Europa. Non esiste. È un'espressione geografica. Lo abbiamo sempre saputo, ma fa comunque male constatarlo, perché noi europei invece esistiamo. E senza essere antiamericani per principio, ma avendo sofferto il protagonismo USA in Medio Oriente che ci ha esposto agli attentati dei terroristi islamici, per una volta tanto che lo Zeus a stelle e strisce era riluttante a prendere il comando delle operazioni, avremmo potuto dimostrare che sappiamo prenderci cura del nostro cortile (perché la Libia in fondo è questo: una tirannide affacciata sul nostro cortile). Avete sentito parlare qualche rappresentante di quella cosa che eleggiamo ogni cinque anni e si chiama Parlamento Europeo?Avete sentito una dichiarazione di Javier Solana [update: Solana non è più Mister Pesc, lo è soltanto sul sito della Treccani, è l'ultima volta che uso la Treccani].
Quanto all'Italia, siamo onesti. È una piccola nazione sempre in mezzo ai guai, cronicamente assetata di gas e petrolio, a cui si poteva giusto chiedere qualche baciamano in meno, prima, e meno capricci sui profughi, adesso. Non siamo onnipotenti e lo sappiamo da generazioni: per questo i nostri padri saggiamente scelsero di cedere parte della nostra sovranità a quegli organismi sovranazionali che, in teoria, dovrebbero saper guardare un po' più in là. Non dovremmo essere messi nella condizione di trattare paci separate con questo o quel tiranno, però è successo: è solo colpa nostra? Del resto, nessuno sembra volercelo rimproverare, per il solito motivo che gli dei hanno bisogno delle nostre basi. Noi però vorremmo più chiarezza e chiediamo che l'operazione passi sotto il controllo Nato, insomma, o arriva subito zeus Obama o non se ne fa più niente. È penoso doversi dire d'accordo con Frattini, ma sembra una richiesta ragionevole. Almeno la Nato si sa cos'è: l'alleanza militare di cui ci onoriamo di essere, da sessanta e più anni, i generosi albergatori. E ci ritroviamo così, atlantici per inerzia, filoamericani per paura d'essere europei.
Nel frattempo sui media possiamo passare il tempo con uno dei nostri passatempi preferiti, dalla prima guerra di Libia in poi (giusto un secolo fa): il cancan neutralisti/interventisti. Come se poi il nostro parere contasse qualcosa, come se gli dei ci stessero a sentire. A sinistra ci sbraneremo come al solito, sarà divertente, ma un po' già visto. Più interessante l'atteggiamento della stampa filogovernativa, che a momenti si mette a sventolare la bandiera arcobaleno. Non è del tutto una sorpresa: anche ai tempi feroci del 2003, quando su decine di blog liberali (nati tutti all'improvviso) garriva la bandiera stelle-e-strisce, l'unico organo di stampa genuinamente neocon era il Foglio, e già allora serviva più a punzecchiare i pacifisti che a motivare i berlusconiani. Questi ultimi in fondo non si sono mai scostati molto da quella posizione che storicamente più ci appartiene, almeno dal 1915: se proprio deve essere guerra, occorre attendere finché non sia chiaro che i nostri amici la stanno vincendo; in caso contrario, cambiare amici. Così, mentre a sinistra si discute di massimi sistemi, di diritto internazionale, al limite di dubbi interiori, si gioca a chi l'ha più duro e puro (l'ideale), a destra si ostenta il pragmatismo dei furbacchioni, quelli che la sanno lunga e si mettono in guardia gli uni gli altri contro quel Sarkozy che vuole rubarci il petrolio, dopo la fatica e la saliva spese da Silvio e dalle altre hostess per aspirarlo a Gheddafi. Spicca nel coro dei furboni la voce bassa e greve dei leghisti, sulla nota costante del “no” agli sbarchi: in fondo, in mezzo a tanti strateghi da bar sport, sono quelli che danno l'impressione di maggior concretezza. Per loro non c'è crisi internazionale e umanitaria che non si possa nascondere sotto il tappeto, tutto è subordinato alla quantità di vuccumprà che con la scusa dello status di profughi di guerra potrebbero avvicinarsi alle porte di Varese o Bergamo. Per evitare questa invasione i leghisti sono disposti a mandare un Silvio a sbaciucchiare qualsiasi beduino pianti la tenda in Villa Pamphili: la concretezza dei leghisti è questa cosa qui, l'astuzia del cumenda che si cautela dagli zingari lasciando le chiavi di casa alla badante.
Quanto al Silvio in questione, forse ha ragione Libero a mostrarcelo mentre saluta i liberatori e gli scappa da ridere. Non sa dirci nemmeno se i nostri aerei stiano bombardando o no, non che abbia molta importanza. Notate: di fianco c'è ancora la pubblicità del finto diario del clown precedente, più professionale, ma meno divertente. Anche lui stringeva patti pericolosi con dittatori criminali, ma poi li prendeva sul serio, si prendeva sul serio, e la cosa alla lunga lo rovinò. Silvio invece è il trastullo degli dei: farà qualsiasi cosa per divertivi, e se alla fine sarà costretto a bombardarvi, la cosa comunque gli dispiacerà. Siamo brava gente, noi.
- Gli dei dell'Odissea sono una famiglia allargata di entità litigiose e scostanti, non proprio onnipotenti ma comunque piuttosto potenti, che questo potere lo usano un po' come gli viene, tifando ora per questo ora per quel mortale: sicché anche il destino di Odisseo è tirato un po' di qua un po' di là finché Zeus Atena e Poseidone non si stancano del giocattolo.
Gli dei di Odissey Dawn, migliaia di anni più tardi, continuano a rifarsi ai modelli classici. Hanno folgori più veloci del suono, ordigni invisibili e micidiali, però non è che abbiano le idee molto chiare su cosa colpire e perché. Arrivano sempre in ritardo, quando i guai sono stati commessi e i mortali che li invocavano già da qualche giorno morti; quando infine colpiscono, colpiscono comunque in fretta e male, senza obbedire a un disegno preciso, a un coordinamento. Si capisce a questo punto la fretta di Gheddafi nei giorni scorsi: si trattava di spicciarsi a far deserto prima che i lamenti dei ribelli disturbassero troppo le orecchie degli dei. Stava per farcela, ma poi l'Oracolo internazionale, che si chiama ONU, ha rilasciato una delle sue enigmatiche Risoluzioni, in cui chiedeva di salvare i civili in qualsiasi maniera. Anche bombardandoli a tappeto? In qualsiasi maniera: quindi pronti, partenza, via. Chi comanda? Non si sa. Alla fine probabilmente sarà Zeus Obama, per via che possiede più folgori e più possenti; ma finché esita, è una gara a chi fa più casino. È anche lo stato dell'arte del diritto internazionale: una cosa che a 66 anni dalla nascita dell'ONU, a venti dalla prima guerra del Golfo, a dieci dall'intervento in Afganistan, continua a non assomigliare a niente di sensato. Semplicemente, gli Oracoli di New York o di Ginevra rilasciano risoluzioni e poi chiunque abbia degli aeroplani da quelle parti può iniziare a bombardare. Stavolta è stato Sarkozy, e gli altri a ruota. C'è evidentemente qualcosa che non va, ma cosa?
Potrebbe essere l'Europa. Non esiste. È un'espressione geografica. Lo abbiamo sempre saputo, ma fa comunque male constatarlo, perché noi europei invece esistiamo. E senza essere antiamericani per principio, ma avendo sofferto il protagonismo USA in Medio Oriente che ci ha esposto agli attentati dei terroristi islamici, per una volta tanto che lo Zeus a stelle e strisce era riluttante a prendere il comando delle operazioni, avremmo potuto dimostrare che sappiamo prenderci cura del nostro cortile (perché la Libia in fondo è questo: una tirannide affacciata sul nostro cortile). Avete sentito parlare qualche rappresentante di quella cosa che eleggiamo ogni cinque anni e si chiama Parlamento Europeo?
Quanto all'Italia, siamo onesti. È una piccola nazione sempre in mezzo ai guai, cronicamente assetata di gas e petrolio, a cui si poteva giusto chiedere qualche baciamano in meno, prima, e meno capricci sui profughi, adesso. Non siamo onnipotenti e lo sappiamo da generazioni: per questo i nostri padri saggiamente scelsero di cedere parte della nostra sovranità a quegli organismi sovranazionali che, in teoria, dovrebbero saper guardare un po' più in là. Non dovremmo essere messi nella condizione di trattare paci separate con questo o quel tiranno, però è successo: è solo colpa nostra? Del resto, nessuno sembra volercelo rimproverare, per il solito motivo che gli dei hanno bisogno delle nostre basi. Noi però vorremmo più chiarezza e chiediamo che l'operazione passi sotto il controllo Nato, insomma, o arriva subito zeus Obama o non se ne fa più niente. È penoso doversi dire d'accordo con Frattini, ma sembra una richiesta ragionevole. Almeno la Nato si sa cos'è: l'alleanza militare di cui ci onoriamo di essere, da sessanta e più anni, i generosi albergatori. E ci ritroviamo così, atlantici per inerzia, filoamericani per paura d'essere europei.
Nel frattempo sui media possiamo passare il tempo con uno dei nostri passatempi preferiti, dalla prima guerra di Libia in poi (giusto un secolo fa): il cancan neutralisti/interventisti. Come se poi il nostro parere contasse qualcosa, come se gli dei ci stessero a sentire. A sinistra ci sbraneremo come al solito, sarà divertente, ma un po' già visto. Più interessante l'atteggiamento della stampa filogovernativa, che a momenti si mette a sventolare la bandiera arcobaleno. Non è del tutto una sorpresa: anche ai tempi feroci del 2003, quando su decine di blog liberali (nati tutti all'improvviso) garriva la bandiera stelle-e-strisce, l'unico organo di stampa genuinamente neocon era il Foglio, e già allora serviva più a punzecchiare i pacifisti che a motivare i berlusconiani. Questi ultimi in fondo non si sono mai scostati molto da quella posizione che storicamente più ci appartiene, almeno dal 1915: se proprio deve essere guerra, occorre attendere finché non sia chiaro che i nostri amici la stanno vincendo; in caso contrario, cambiare amici. Così, mentre a sinistra si discute di massimi sistemi, di diritto internazionale, al limite di dubbi interiori, si gioca a chi l'ha più duro e puro (l'ideale), a destra si ostenta il pragmatismo dei furbacchioni, quelli che la sanno lunga e si mettono in guardia gli uni gli altri contro quel Sarkozy che vuole rubarci il petrolio, dopo la fatica e la saliva spese da Silvio e dalle altre hostess per aspirarlo a Gheddafi. Spicca nel coro dei furboni la voce bassa e greve dei leghisti, sulla nota costante del “no” agli sbarchi: in fondo, in mezzo a tanti strateghi da bar sport, sono quelli che danno l'impressione di maggior concretezza. Per loro non c'è crisi internazionale e umanitaria che non si possa nascondere sotto il tappeto, tutto è subordinato alla quantità di vuccumprà che con la scusa dello status di profughi di guerra potrebbero avvicinarsi alle porte di Varese o Bergamo. Per evitare questa invasione i leghisti sono disposti a mandare un Silvio a sbaciucchiare qualsiasi beduino pianti la tenda in Villa Pamphili: la concretezza dei leghisti è questa cosa qui, l'astuzia del cumenda che si cautela dagli zingari lasciando le chiavi di casa alla badante.
Quanto al Silvio in questione, forse ha ragione Libero a mostrarcelo mentre saluta i liberatori e gli scappa da ridere. Non sa dirci nemmeno se i nostri aerei stiano bombardando o no, non che abbia molta importanza. Notate: di fianco c'è ancora la pubblicità del finto diario del clown precedente, più professionale, ma meno divertente. Anche lui stringeva patti pericolosi con dittatori criminali, ma poi li prendeva sul serio, si prendeva sul serio, e la cosa alla lunga lo rovinò. Silvio invece è il trastullo degli dei: farà qualsiasi cosa per divertivi, e se alla fine sarà costretto a bombardarvi, la cosa comunque gli dispiacerà. Siamo brava gente, noi.
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La scuola dell'Apocalisse
21-03-2011, 16:17catastrofi, ho una teoria, scuolaPermalinkProf, ma la fine del mondo è vicina?
La scuola dell'Apocalisse (Ho una teoria #67) si legge sull'Unita.it e si commenta laggiù.
Io lavoro nella scuola media, e ci sono cose che mi toccano più o meno tutti i giorni: per esempio, fare l'appello, correggere compiti, e spiegare ai ragazzi che il mondo non sta per finire. Quest'ultima cosa è una relativa novità – ovvero, sarà da qualche anno, più o meno da quando Giacobbo scoprì la bufala dell'apocalisse Maya nel 2012 e decise di mungerla per bene – che ogni tanto mi tocca interrompere una lezione di Storia o grammatica per rassicurare dodicenni impauriti sull'assoluta ininfluenza delle congiunzioni planetarie, sull'inaffidabilità del calendario Maya e soprattutto di Voyager. Però è soltanto negli ultimi giorni che l'apocalisse è diventata un'ossessione quotidiana.
La scuola dell'Apocalisse (Ho una teoria #67) si legge sull'Unita.it e si commenta laggiù.
Io lavoro nella scuola media, e ci sono cose che mi toccano più o meno tutti i giorni: per esempio, fare l'appello, correggere compiti, e spiegare ai ragazzi che il mondo non sta per finire. Quest'ultima cosa è una relativa novità – ovvero, sarà da qualche anno, più o meno da quando Giacobbo scoprì la bufala dell'apocalisse Maya nel 2012 e decise di mungerla per bene – che ogni tanto mi tocca interrompere una lezione di Storia o grammatica per rassicurare dodicenni impauriti sull'assoluta ininfluenza delle congiunzioni planetarie, sull'inaffidabilità del calendario Maya e soprattutto di Voyager. Però è soltanto negli ultimi giorni che l'apocalisse è diventata un'ossessione quotidiana.
Non è solo colpa della tv. Ormai tutti i miei studenti, anche i meno facoltosi, accedono quotidianamente a internet, anche soltanto per controllare il proprio profilo facebook. Sui social network le catastrofi epocali arrivano per mille rivoli, filtrate da una rete che lascia passare soltanto i titoli più strillati – del resto, qualcuno ha letto titoli non strillati la scorsa settimana? Non credo si sia mai abusato tanto di un termine, “apocalisse”, che a rigore implicherebbe la chiusura immediata dei quotidiani: nel giorno del Giudizio, nessuno si preoccuperà di passare dalle edicole. E non è nemmeno tutta colpa dei giornalisti: la fatidica parola è stata adoperata almeno da una fonte ufficiale, il commissario all'energia dell'Unione Europea, Gunther Oettinger, per descrivere quello che stava succedendo martedì nella centrale di Fukushima. A quel punto chi poteva più impedire ai giornalisti di calcare i toni? Soprattutto quelli delle versioni on line, sempre più vincolati al numero di clic che riescono a ottenere dagli utenti (e si capisce al volo che “Apocalisse” fa più clic di “allarmante fuga di particelle radioattive”).
A tutt'oggi, domenica 20 marzo, non sappiamo ancora se il disastro di Fukushima si rivelerà grave quanto quello di Chernobyl – se non più grave ancora. Ma chi sui media ha gridato per una settimana all'apocalisse non ci ha certo aiutato a farci un'idea. Sicuramente sarà riuscito a vendere qualche migliaio di copie in più, a farsi guardare o cliccare di più. Ma nel farlo ha disseminato in mezzo a noi un'onda di ansia che non sarà cancerogena quanto le radiazioni di Fukushima, ma non è nemmeno del tutto innocua.
Sono soprattutto i ragazzini a non essere schermati. Sono grandi abbastanza per accedere ai titoli urlati, abbastanza inesperti per non capire che si tratta in buona parte di un gioco delle parti mediatico tra i filo-nuclearisti che minimizzano e gli anti-nuclearisti che apocalizzano. Sono nati dopo Chernobyl, parola che sentono pronunciare col tremore con cui in un esorcismo cinematografico si evoca uno dei nomi del demonio: nessuno si prende la briga di spiegare loro che sì, Chernobyl fu una tragedia per russi e ucraini, e anche per gli italiani, a voler prendere per buona la stima choc di tremila morti (Istituto Superiore della Sanità) – ma si tratta più o meno delle vittime di un anno di incidenti stradali in Italia, non della Fine del Mondo. Che è quello a cui pensa un ragazzino, quando sente dire “Apocalisse”. Ha torto? Dobbiamo cambiare significato al termine, visto che i media non riescono più a trattenersi dall'usarlo?
Sono soprattutto i ragazzini a non essere schermati. Sono grandi abbastanza per accedere ai titoli urlati, abbastanza inesperti per non capire che si tratta in buona parte di un gioco delle parti mediatico tra i filo-nuclearisti che minimizzano e gli anti-nuclearisti che apocalizzano. Sono nati dopo Chernobyl, parola che sentono pronunciare col tremore con cui in un esorcismo cinematografico si evoca uno dei nomi del demonio: nessuno si prende la briga di spiegare loro che sì, Chernobyl fu una tragedia per russi e ucraini, e anche per gli italiani, a voler prendere per buona la stima choc di tremila morti (Istituto Superiore della Sanità) – ma si tratta più o meno delle vittime di un anno di incidenti stradali in Italia, non della Fine del Mondo. Che è quello a cui pensa un ragazzino, quando sente dire “Apocalisse”. Ha torto? Dobbiamo cambiare significato al termine, visto che i media non riescono più a trattenersi dall'usarlo?
Più che al titolo urlato del quotidiano on line, i ragazzi credono al link catastrofista che un amico gli ha passato su facebook. In nove casi su dieci i link portano a impresentabili siti complottardi, dove l'apocalisse è messa in relazione con ufo, scie chimiche, complotti pluto-masso-giudaici, insomma tutta la paccottiglia che in questi anni si è accumulata negli angoli meno presentabili di internet. Manca solo la solita quartina di Nostradamus-che-aveva-previsto-tutto (ne uscì una, apocrifa, quando erano ancora calde le ceneri dell'11 settembre). In compenso abbiamo una Madonna apparsa a un giovinetto brasiliano che aveva previsto tutto (ma non poteva apparire a un pastorello giapponese?), e a poche ore dallo tsunami c'era già qualcuno su youtube pronto a sostenere che una scossa del genere era stata provocata via satellite dal Nuovo Ordine Mondiale, che ogni tanto avrebbe necessità di sacrifici umani su larga scala.
Sarà anche la fatica di dover sfatare ogni giorno tutte queste sciocchezze, ma è da un pezzo che ho smesso di trovarle divertenti. L'angoscia dei miei studenti di fronte a questi argomenti è reale. Io avevo la loro età ai tempi di Chernobyl e ricordo bene la paura per un evento enorme a cui non si riusciva bene a dare forma. Al tempo però in tv non c'erano Giacobbo e gli altri venditori di apocalisse un tanto al chilo: al massimo Piero Angela, che in prima serata provava a spiegarti cos'erano le radiazioni coi meravigliosi disegni di Bruno Bozzetto. Se oggi riesco a non spaventarmi davanti a un titolo che strilla “Apocalisse”, se conosco la differenza tra fusione nucleare e fusione del nocciolo, tra fuga radioattiva e contaminazione radioattiva, lo devo un po' anche alla tv dei tempi di Quark. Non era perfetta, ma cercava di fornire delle conoscenze ai futuri cittadini. Mentre Voyager, Mistero, e tutti i venditori di Apocalisse cartacei e on line, hanno bisogno soltanto di pesci che abboccano. Il danno che hanno fatto alla nuova generazione coi raccontini dell'orrore che hanno spacciato per approfondimenti scientifici, l'ansia e l'incertezza che hanno distribuito a piene mani per aumentare lo share, vendere un libro o aumentare una tiratura, non possiamo misurarla. Ma probabilmente ci danneggerà nei prossimi anni più delle radiazioni di Fukushima.
Crux desperationis
19-03-2011, 11:28cristianesimo, Cristo, cultura, deliri, repliche, scuolaPermalinkIo l'ultima sentenza di Strasburgo, se devo essere sincero, non l'ho molto capita. Il problema del crocefisso non mi sembra così complesso, e trovo molto strano che in due anni si riescano a scrivere sentenze così diverse. Comunque ne approfitto per ripubblicare l'unico pezzo di questo blog che piacque anche a Giuliano Ferrara, a proposito buongiorno Giuliano Ferrara, l'ho rivista in tv, una volta non era così noioso.
Il Calvario quotidiano
Io un crocefisso l'ho già tolto.
Due settimane fa, nell'intervallo. Stavo dando un'occhiata ai traffici loschi in zona distributore di merendine, quando vengono in due a dirmi che in Seconda è caduto Gesù. Mi reco immediatamente sul luogo del misfatto e interrogo i testimoni oculari. Chi è stato? Silenzio. Proiettili, elastici, palline di carta? Negano tutti, del resto non mi pare l'abbiano mai considerato un bersaglio; hanno una certa soggezione. Forse una vibrazione del pavimento, qualcuno che saltella o che va a sbattere contro la parete, una porta chiusa di scatto: sia come sia, sembra caduto da solo. Ne traggo auspici non buoni.
Ma in quanto insegnante ostento razionalità e pragmatismo. Do un'occhiata al Cristo in questione: è caduto per l'ultima volta. Frattura completa del polso sinistro, il destro era già partito mesi fa. O anni fa. Anche il chiodino sotto i piedi è sparito da molto. A questo punto mi spiace, ma finché qualcuno (chi?) non stanzia nuovi fondi, il crocefisso se ne resta nel cassetto in fondo.
Oggi l'ho rivisto in corridoio, però a grandezza naturale. Sanguinava copioso. Subito ho pensato a una rissa in IIC, poi mi sono accorto della corona di spine e della croce che portava in spalla, quindi, insomma, era Lui.
“Domine, quo vadis?”
“E non parlare latino, che tu sappia io ho mai saputo il latino?”
“No, che io sappia no”.
“Mi dà anche un po' ai nervi”.
“In effetti è comprensibile. Ma insomma, Signore, dove vai?”
“Dove vado, dove vuoi che vada. A farmi crocifiggere un'altra volta, vado”.
“Ma no, dai, Maestro...”
“...visto che la prima non è bastata”.
“Non te la prendere, ti prego. A scuola succede, le cose cadono, si rompono... ho dovuto metterti nel cassetto, ma ti giuro che...”
“Ma non ce l'ho con te, cosa c'entri te. Sei anche tu un povero cristo”.
“Grazie, Maestro”.
“Ce l'ho con i farisei, per prima cosa”.
“Aaah, i farisei”.
“Hai capito, no?”
“Beh, magari un aiutino...”
“Quelli che mi hanno preso per un simbolo della cultura, della tradizione. Una bandierina, praticamente. Aho', ma stiamo a scherzare?”
“Però anche la tradizione ha la sua importanza...”
“Cioè secondo voi io mi sono fatto inchiodare mani e piedi per rappresentare una tradizione? Cioè, siamo a questo? Babbo Natale, la Befana e Cristo in Croce? Magari vi aspettate che vi porti anche i regali?”
“Ma no, non dico questo, però...”
“Però niente. Li vedi questi chiodi qua? Li vedi?”
“Ehm, sì”.
“Sono autentici, va bene? Non sono un simbolo, sono una rappresentazione realistica. Duemila anni fa i ribelli li uccidevano così. Li esponevano su un trespolo finché non morivano soffocati. Perché fossero da esempio. Tutto molto razionale, ma anche molto teatrale, ma anche violentissimo, Dio Me! Io rappresento questo, va bene? Rappresento un supplizio capitale! Rappresento la crudeltà dell'uomo e la ribellione dell'uomo! Rappresento la Morte! Rappresento il...”
“Ehm, Maestro... forse sarebbe meglio abbassare un po' la voce”.
“Il Martirio!”
“Ssssssssssssh!”
“Cos'è, hai paura?”
“Maestro, in effetti sì. Siamo nel 2009, è pieno di bambini musulmani qui, e quella parola...”
“Quella parola è italiana, ha radici nel latino che ti piace tanto, è il fondamento della tua cosiddetta tradizione, sepolcro imbiancato che non sei altro”.
“Sì, sì, Maestro, è vero... d'altronde...”
“D'altronde?”
“Non puoi negare che suoni po', come dire... scandalosa”.
“E che m'interessa a me? Guarda che io non sono mica un santone indiano peace and love! Io non sono venuto a portare la pace, ma la spada”.
“Matteo Dieci Trentaquattro”.
“Appunto. Io sono lo Scandalo! Sono pornografia, non so se è chiaro! Un uomo trafitto da chiodi che grida dai vostri muri, che chiama al combattimento per la salvezza! Io sono questo, mica l'albero di Natale”.
“Ecco, Maestro, in effetti, se mi ci fai pensare, sì. Tu sei molto scandaloso. Molto più di quanto io quotidianamente possa sopportare”.
“Tuo problema, non mio”.
“Però succede un po' come con tutti gli spettacoli disgustosi... all'inizio non riesci a guardarli, ma se ti abitui a darci un'occhiata tutti i giorni, dopo un po' non ci fai più caso... diventi parte di uno sfondo familiare”.
“Ah, dici che è così? Va bene, allora toglietemi immediatamente”.
“Ma poi i Vescovi...”
“Tiratemi fuori solo ogni tanto, quando i fedeli meno se lo aspettano. Io non voglio passare sullo sfondo, io voglio spaventarvi”.
“Se la metti così...”
“E aggiungo una cosa. È proprio sulla mia consistenza di carne e sangue e ossa e chiodi che è fondato il realismo europeo, è chiaro? Se avete avuto Giotto Caravaggio e Mapplethorpe lo dovete solo a me! Esclusivamente a me!”
“Adesso, Mapplethorpe...”
“Adesso niente. Rileggiti Auerbach. Che se era per gli ebrei o per Maometto, con le loro menate filosofiche sulla non rappresentabilità del divino, a quest'ora eravate ancora lì a eccitarvi sui triangoli e gli ottagoni. Dario Argento deve tutto a me. Che dico. Tinto Brass...”
“Piano, Gesù, piano!”
“E adesso salta fuori che sono solo una tradizione. Il mandolino è una tradizione. La pizza è una tradizione. Appendete i mandolini e non rompete, io sono Gesù Cristo morto in croce, non ci credi?, vuoi toccare?”
“No, no, no, mi fido”.
“No, ma guarda, tocca”.
“Maestro, sul serio, io...”
“No, tu adesso tocchi. Il cristianesimo si tocca, va bene? Non è una menata filosofica: è carne e sangue, pane e vino. E i farisei lo sai che fine fanno. Finiscono in vomito”.
“Apocalisse Tre Quindici”.
“Precisamente. E poi ce l'ho anche coi Sadducei”.
“I sadducei”.
“Hai capito, no?”
“Ehm”.
“Ma perché perdo tempo con te. Matteo Ventidue Ventitré”.
“Quelli che non credono nella resurrezione”.
“Ecco. Non ci vogliono credere? Va bene. Che problema c'è? Nessun problema. Voi non ci credete, io non vi risorgo. Non esisto nemmeno, per voi. Facciamo che sono un pezzo di legno”.
“Quindi?”
“Quindi cos'è questa storia che mi denunciate a Strasburgo? Cosa posso aver fatto, se sono un pezzo di legno?”
“Dunque, se ho ben capito la sentenza, la tua presenza sul muro, in quanto pezzo di legno... impedirebbe ai loro figli di crescere secondo i principi dei genitori”.
“Vabbè, siamo alle comiche. Ma che principi hanno questi genitori, si può sapere?”
“Beh, presumo che si tratti dell'illuminismo, del razionalismo...”
“Non conosco, ma dev'essere un pensiero molto debole, se si cancella appena fissi un pezzo di legno. Cos'è, sono un totem, adesso? Se mi fissi ti faccio dimenticare la lezione? Mi volto un attimo e mi tornate all'età della pietra?”
“Maestro, ci vuole tolleranza...”
“Ma tolleranza di che. È come quelli che si sbattezzano. In teoria non credono nel battesimo. In pratica però hanno paura di restare segnati per sempre da uno schizzo d'acqua. Va bene, allora a questo punto chiamiamo Wanna Marchi che vi fa le carte e vi vende i numeri del lotto, a proposito, di che segno sei?”
“Maestro, ci vuole rispetto...”.
“Che poi, spiegami. Il genitore ha il diritto che il figlio sia educato secondo i suoi principi? Non suona un po' totalitario? E quindi ti cresci un piccolo a tua immagine e somiglianza, che creda solamente nelle cose in cui credi in te, e poi la prima volta che lo lasci libero nel mondo, lui vede due legnetti appesi al muro che non corrispondono al suo sistema di credenze e va in confusione? Corte dei diritti dell'uomo, intervieni immediatamente! Il pezzetto di legno sta fissando il mio bambino! Ma come li tirate su questi ragazzi?”
“Facciamo quel che possiamo”.
“Il mondo è pieno di cose. Per dire, ci sono i semafori e non sempre segnano verde. I bambini lo devono sapere. Ci sono persone nel parco che offrono caramelle e non sono tutti buoni. Poi ci sono i pezzetti di legno e non tutti corrispondono alle cose a cui crede mamma o papà. Vogliamo abolirli a scuola? E quando li incontreranno nella vita, come si comporteranno?”
“Quindi Maestro, in conclusione, dobbiamo riappenderti o no?”
“Ma fate quel che vi pare, tanto comunque sia non avete capito. Mi sembra tutto così poco serio. Il fariseo che mi pianta come una bandierina, il sadduceo che vede la bandierina e si sente leso nei suoi diritti umani, è l'umanità? Sembra un pollaio. Non ci sono cose più serie? A scuola, poi. Che io nelle scuole ci vado, lo so quali sono i veri problemi”.
“Eh, immagino”.
“No, non puoi neanche immaginare, fidati. Sai quante non sono a norma? Sai quante non rispettano la 626? Sai quanto costerebbe metterle tutte in sicurezza?”
“Ecco, Maestro, questi sono effettivamente problemi seri...”
“Sai che mancano i sostegni? I corsi di recupero? Sai che la scuola assomiglia sempre meno un luogo educativo e sempre più a una casa di detenzione? Parliamo di questo!”
“No, Maestro, appunto. Proprio perché sono problemi seri, è meglio non parlarne”.
“E perché?”
“Perché, perché... perché a parlarne non si risolvono, e allora ci si deprime soltanto. Siamo in crisi, tutti vorrebbero scuole più belle, ma votano il primo che gli promette una tassa in meno, quindi...”
“Vi consolate chiacchierando di bandierine”.
“Sì. I problemi veri sono deprimenti. I problemi identitari invece, come dire, sono sexy. Tutti possono dire la loro senza impegno... ieri le bandierine, domani i dialetti...”
“Oggi i Cristi in croce...”
“Maestro, sì. Ma non devi prendertela”.
“No, no, non me la prendo. Adesso però vado. Mi aspettano in sala mensa”.
Il Calvario quotidiano
Io un crocefisso l'ho già tolto.
Due settimane fa, nell'intervallo. Stavo dando un'occhiata ai traffici loschi in zona distributore di merendine, quando vengono in due a dirmi che in Seconda è caduto Gesù. Mi reco immediatamente sul luogo del misfatto e interrogo i testimoni oculari. Chi è stato? Silenzio. Proiettili, elastici, palline di carta? Negano tutti, del resto non mi pare l'abbiano mai considerato un bersaglio; hanno una certa soggezione. Forse una vibrazione del pavimento, qualcuno che saltella o che va a sbattere contro la parete, una porta chiusa di scatto: sia come sia, sembra caduto da solo. Ne traggo auspici non buoni.
Ma in quanto insegnante ostento razionalità e pragmatismo. Do un'occhiata al Cristo in questione: è caduto per l'ultima volta. Frattura completa del polso sinistro, il destro era già partito mesi fa. O anni fa. Anche il chiodino sotto i piedi è sparito da molto. A questo punto mi spiace, ma finché qualcuno (chi?) non stanzia nuovi fondi, il crocefisso se ne resta nel cassetto in fondo.
Oggi l'ho rivisto in corridoio, però a grandezza naturale. Sanguinava copioso. Subito ho pensato a una rissa in IIC, poi mi sono accorto della corona di spine e della croce che portava in spalla, quindi, insomma, era Lui.
“Domine, quo vadis?”
“E non parlare latino, che tu sappia io ho mai saputo il latino?”
“No, che io sappia no”.
“Mi dà anche un po' ai nervi”.
“In effetti è comprensibile. Ma insomma, Signore, dove vai?”
“Dove vado, dove vuoi che vada. A farmi crocifiggere un'altra volta, vado”.
“Ma no, dai, Maestro...”
“...visto che la prima non è bastata”.
“Non te la prendere, ti prego. A scuola succede, le cose cadono, si rompono... ho dovuto metterti nel cassetto, ma ti giuro che...”
“Ma non ce l'ho con te, cosa c'entri te. Sei anche tu un povero cristo”.
“Grazie, Maestro”.
“Ce l'ho con i farisei, per prima cosa”.
“Aaah, i farisei”.
“Hai capito, no?”
“Beh, magari un aiutino...”
“Quelli che mi hanno preso per un simbolo della cultura, della tradizione. Una bandierina, praticamente. Aho', ma stiamo a scherzare?”
“Però anche la tradizione ha la sua importanza...”
“Cioè secondo voi io mi sono fatto inchiodare mani e piedi per rappresentare una tradizione? Cioè, siamo a questo? Babbo Natale, la Befana e Cristo in Croce? Magari vi aspettate che vi porti anche i regali?”
“Ma no, non dico questo, però...”
“Però niente. Li vedi questi chiodi qua? Li vedi?”
“Ehm, sì”.
“Sono autentici, va bene? Non sono un simbolo, sono una rappresentazione realistica. Duemila anni fa i ribelli li uccidevano così. Li esponevano su un trespolo finché non morivano soffocati. Perché fossero da esempio. Tutto molto razionale, ma anche molto teatrale, ma anche violentissimo, Dio Me! Io rappresento questo, va bene? Rappresento un supplizio capitale! Rappresento la crudeltà dell'uomo e la ribellione dell'uomo! Rappresento la Morte! Rappresento il...”
“Ehm, Maestro... forse sarebbe meglio abbassare un po' la voce”.
“Il Martirio!”
“Ssssssssssssh!”
“Cos'è, hai paura?”
“Maestro, in effetti sì. Siamo nel 2009, è pieno di bambini musulmani qui, e quella parola...”
“Quella parola è italiana, ha radici nel latino che ti piace tanto, è il fondamento della tua cosiddetta tradizione, sepolcro imbiancato che non sei altro”.
“Sì, sì, Maestro, è vero... d'altronde...”
“D'altronde?”
“Non puoi negare che suoni po', come dire... scandalosa”.
“E che m'interessa a me? Guarda che io non sono mica un santone indiano peace and love! Io non sono venuto a portare la pace, ma la spada”.
“Matteo Dieci Trentaquattro”.
“Appunto. Io sono lo Scandalo! Sono pornografia, non so se è chiaro! Un uomo trafitto da chiodi che grida dai vostri muri, che chiama al combattimento per la salvezza! Io sono questo, mica l'albero di Natale”.
“Ecco, Maestro, in effetti, se mi ci fai pensare, sì. Tu sei molto scandaloso. Molto più di quanto io quotidianamente possa sopportare”.
“Tuo problema, non mio”.
“Però succede un po' come con tutti gli spettacoli disgustosi... all'inizio non riesci a guardarli, ma se ti abitui a darci un'occhiata tutti i giorni, dopo un po' non ci fai più caso... diventi parte di uno sfondo familiare”.
“Ah, dici che è così? Va bene, allora toglietemi immediatamente”.
“Ma poi i Vescovi...”
“Tiratemi fuori solo ogni tanto, quando i fedeli meno se lo aspettano. Io non voglio passare sullo sfondo, io voglio spaventarvi”.
“Se la metti così...”
“E aggiungo una cosa. È proprio sulla mia consistenza di carne e sangue e ossa e chiodi che è fondato il realismo europeo, è chiaro? Se avete avuto Giotto Caravaggio e Mapplethorpe lo dovete solo a me! Esclusivamente a me!”
“Adesso, Mapplethorpe...”
“Adesso niente. Rileggiti Auerbach. Che se era per gli ebrei o per Maometto, con le loro menate filosofiche sulla non rappresentabilità del divino, a quest'ora eravate ancora lì a eccitarvi sui triangoli e gli ottagoni. Dario Argento deve tutto a me. Che dico. Tinto Brass...”
“Piano, Gesù, piano!”
“E adesso salta fuori che sono solo una tradizione. Il mandolino è una tradizione. La pizza è una tradizione. Appendete i mandolini e non rompete, io sono Gesù Cristo morto in croce, non ci credi?, vuoi toccare?”
“No, no, no, mi fido”.
“No, ma guarda, tocca”.
“Maestro, sul serio, io...”
“No, tu adesso tocchi. Il cristianesimo si tocca, va bene? Non è una menata filosofica: è carne e sangue, pane e vino. E i farisei lo sai che fine fanno. Finiscono in vomito”.
“Apocalisse Tre Quindici”.
“Precisamente. E poi ce l'ho anche coi Sadducei”.
“I sadducei”.
“Hai capito, no?”
“Ehm”.
“Ma perché perdo tempo con te. Matteo Ventidue Ventitré”.
“Quelli che non credono nella resurrezione”.
“Ecco. Non ci vogliono credere? Va bene. Che problema c'è? Nessun problema. Voi non ci credete, io non vi risorgo. Non esisto nemmeno, per voi. Facciamo che sono un pezzo di legno”.
“Quindi?”
“Quindi cos'è questa storia che mi denunciate a Strasburgo? Cosa posso aver fatto, se sono un pezzo di legno?”
“Dunque, se ho ben capito la sentenza, la tua presenza sul muro, in quanto pezzo di legno... impedirebbe ai loro figli di crescere secondo i principi dei genitori”.
“Vabbè, siamo alle comiche. Ma che principi hanno questi genitori, si può sapere?”
“Beh, presumo che si tratti dell'illuminismo, del razionalismo...”
“Non conosco, ma dev'essere un pensiero molto debole, se si cancella appena fissi un pezzo di legno. Cos'è, sono un totem, adesso? Se mi fissi ti faccio dimenticare la lezione? Mi volto un attimo e mi tornate all'età della pietra?”
“Maestro, ci vuole tolleranza...”
“Ma tolleranza di che. È come quelli che si sbattezzano. In teoria non credono nel battesimo. In pratica però hanno paura di restare segnati per sempre da uno schizzo d'acqua. Va bene, allora a questo punto chiamiamo Wanna Marchi che vi fa le carte e vi vende i numeri del lotto, a proposito, di che segno sei?”
“Maestro, ci vuole rispetto...”.
“Che poi, spiegami. Il genitore ha il diritto che il figlio sia educato secondo i suoi principi? Non suona un po' totalitario? E quindi ti cresci un piccolo a tua immagine e somiglianza, che creda solamente nelle cose in cui credi in te, e poi la prima volta che lo lasci libero nel mondo, lui vede due legnetti appesi al muro che non corrispondono al suo sistema di credenze e va in confusione? Corte dei diritti dell'uomo, intervieni immediatamente! Il pezzetto di legno sta fissando il mio bambino! Ma come li tirate su questi ragazzi?”
“Facciamo quel che possiamo”.
“Il mondo è pieno di cose. Per dire, ci sono i semafori e non sempre segnano verde. I bambini lo devono sapere. Ci sono persone nel parco che offrono caramelle e non sono tutti buoni. Poi ci sono i pezzetti di legno e non tutti corrispondono alle cose a cui crede mamma o papà. Vogliamo abolirli a scuola? E quando li incontreranno nella vita, come si comporteranno?”
“Quindi Maestro, in conclusione, dobbiamo riappenderti o no?”
“Ma fate quel che vi pare, tanto comunque sia non avete capito. Mi sembra tutto così poco serio. Il fariseo che mi pianta come una bandierina, il sadduceo che vede la bandierina e si sente leso nei suoi diritti umani, è l'umanità? Sembra un pollaio. Non ci sono cose più serie? A scuola, poi. Che io nelle scuole ci vado, lo so quali sono i veri problemi”.
“Eh, immagino”.
“No, non puoi neanche immaginare, fidati. Sai quante non sono a norma? Sai quante non rispettano la 626? Sai quanto costerebbe metterle tutte in sicurezza?”
“Ecco, Maestro, questi sono effettivamente problemi seri...”
“Sai che mancano i sostegni? I corsi di recupero? Sai che la scuola assomiglia sempre meno un luogo educativo e sempre più a una casa di detenzione? Parliamo di questo!”
“No, Maestro, appunto. Proprio perché sono problemi seri, è meglio non parlarne”.
“E perché?”
“Perché, perché... perché a parlarne non si risolvono, e allora ci si deprime soltanto. Siamo in crisi, tutti vorrebbero scuole più belle, ma votano il primo che gli promette una tassa in meno, quindi...”
“Vi consolate chiacchierando di bandierine”.
“Sì. I problemi veri sono deprimenti. I problemi identitari invece, come dire, sono sexy. Tutti possono dire la loro senza impegno... ieri le bandierine, domani i dialetti...”
“Oggi i Cristi in croce...”
“Maestro, sì. Ma non devi prendertela”.
“No, no, non me la prendo. Adesso però vado. Mi aspettano in sala mensa”.
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Almeno un pareggio
17-03-2011, 18:46anniversari, fratelli d'I., replichePermalinkFratelli d'Italia,
l'Italia è un po' stanca.
è al verde, va in bianco,
e il rosso l'ha in banca.
Dov'è la Vittoria,
diciamolo, dove?
Siam qui dalle nove
e Vittoria non c'è.
Fratelli d'Italia,
l'Italia è per terra,
in crisi, in declino,
e pure un po' in guerra.
Dove sei, Vittoria,
la volta che servi?
Che rabbia, che nervi,
l'Italia imprecò.
Fratelli d'Italia, l'Italia è un po' a pezzi,
per quanto la osservi non ti raccapezzi:
dopo altri tre anni di aiuti a Tremonti,
né mari né monti ne possono più.
Fratelli d'Italia, l'Italia è precaria:
stivale spaiato che scalcia nell'aria.
Dov'è la Vittoria? Ma quanto fattura?
Di monte in pianura l'Italia franò.
Poropò
Poropò
Poropoppoppoppoppò
Dall'Alpe a Sicilia,
dovunque è una pena:
ogni uomo per Silvio
ha dolori alla schiena.
Del sangue d'Italia
non sei già satollo?
Vuoi spezzarci l'ossa?
vuoi pure il midollo?
Fratelli d'Italia,
rompete le righe.
Chi mai v'ha promesso
vent'anni anni di sfighe?
E chi v'ha arruolato
alla guerra infinita,
pensando a una gita,
l'Italia tradì.
(Si stringono a corte,
- ma con un' "o" sola! -
Son pronti alla morte,
finché è una parola.
Si stringono a corte,
a leccare il più forte,
se ha le gambe corte
in ginocchio si stan).
Fratelli d'Italia,
l'Italia s'è rotta:
nessuno al timone
che tenga una rotta.
Dov'è la Vittoria
(o almeno un Pareggio?)
Qui dal male al peggio
in picchiata si va.
Noi siam da cinque anni
calpesti e derisi,
perché siam coglioni,
perché siam divisi.
Vogliamo un po' bene
a 'sto suolo natìo?
Uniti, perdio,
chi vincer ci può?
Fratelli d'Italia,
sorelle, cognate,
non datevi vinti,
non vi rassegnate.
L'Italia è in ginocchio,
ma non è finita.
Siam pronti alla vita,
l'Italia chiamò.
Poropò
Poropò
Poropoppoppoppoppò
(Buoni primi 150 anni - io adesso vado al Mattatoio a leggere cose patriottiche).
l'Italia è un po' stanca.
è al verde, va in bianco,
e il rosso l'ha in banca.
Dov'è la Vittoria,
diciamolo, dove?
Siam qui dalle nove
e Vittoria non c'è.
Fratelli d'Italia,
l'Italia è per terra,
in crisi, in declino,
e pure un po' in guerra.
Dove sei, Vittoria,
la volta che servi?
Che rabbia, che nervi,
l'Italia imprecò.
Fratelli d'Italia, l'Italia è un po' a pezzi,
per quanto la osservi non ti raccapezzi:
dopo altri tre anni di aiuti a Tremonti,
né mari né monti ne possono più.
Fratelli d'Italia, l'Italia è precaria:
stivale spaiato che scalcia nell'aria.
Dov'è la Vittoria? Ma quanto fattura?
Di monte in pianura l'Italia franò.
Poropò
Poropò
Poropoppoppoppoppò
Dall'Alpe a Sicilia,
dovunque è una pena:
ogni uomo per Silvio
ha dolori alla schiena.
Del sangue d'Italia
non sei già satollo?
Vuoi spezzarci l'ossa?
vuoi pure il midollo?
Fratelli d'Italia,
rompete le righe.
Chi mai v'ha promesso
vent'anni anni di sfighe?
E chi v'ha arruolato
alla guerra infinita,
pensando a una gita,
l'Italia tradì.
(Si stringono a corte,
- ma con un' "o" sola! -
Son pronti alla morte,
finché è una parola.
Si stringono a corte,
a leccare il più forte,
se ha le gambe corte
in ginocchio si stan).
Fratelli d'Italia,
l'Italia s'è rotta:
nessuno al timone
che tenga una rotta.
Dov'è la Vittoria
(o almeno un Pareggio?)
Qui dal male al peggio
in picchiata si va.
Noi siam da cinque anni
calpesti e derisi,
perché siam coglioni,
perché siam divisi.
Vogliamo un po' bene
a 'sto suolo natìo?
Uniti, perdio,
chi vincer ci può?
Fratelli d'Italia,
sorelle, cognate,
non datevi vinti,
non vi rassegnate.
L'Italia è in ginocchio,
ma non è finita.
Siam pronti alla vita,
l'Italia chiamò.
Poropò
Poropò
Poropoppoppoppoppò
(Buoni primi 150 anni - io adesso vado al Mattatoio a leggere cose patriottiche).
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I falsi e i veri Lemming
16-03-2011, 18:39catastrofi, crisi energeticaPermalinkShiva e i topolini
- Stavolta sono Madre Natura, anch'io ho la password – mi è stata data in caso di catastrofi, direi che ci siamo. Io però sono Madre solo per modo di dire, e non è che sia tenuta a rendervi conto di quello che succede in questi giorni. Scrivo soltanto per rassicurare chi in questi giorni si è preoccupato per me. Una cosa abbastanza buffa. Voi. Preoccupati per me. No, state tranquilli, io ho visto passare comete e meteoriti, e ho fulgide memorie di quando l'atmosfera era nera delle polveri di milioni di vulcani. In un modo o nell'altro ce l'ho sempre fatta e ce la farò anche stavolta. No, non vi dovete preoccupare per me.
Del resto so che non potete farne a meno; che siete programmati per farlo. Questa idea che avete di me, come una madre dai capelli bianchi, tradizionalista e un po' rintronata, una da non disturbare mentre lavora ad uncinetto con gli elementi, è una proiezione di qualcosa che vi portate dentro, si tratterà magari della vostra vera madre, si sa che la vostra specie ha sempre avuto un rapporto complesso con gli anziani. Io in realtà sono una tipa sbarazzina che si diletta di fulmini e uragani, e la prospettiva di una contaminazione radioattiva su larga scala, con mutazioni genetiche annesse, mi elettrizza. In generale mi piace tutto quello che rompe gli schemi, distrugge, spazza via, in India mi chiamano anche Shiva, il Distruttore. Voi occidentali fate sempre più fatica a capirlo, questo mio aspetto. Ogni volta che capita un disastro cercate in qualche modo di assumervene la responsabilità, persino la devastazione di Haiti qualcuno è riuscito a metterla in conto a Marx, e ora su facebook fantasticate di raggi della morte che scatenerebbero l'armageddon. Siete nevrotici, a un certo punto vi siete inventati un gioco in cui voi sareste il mio figlio ribelle: voi il Progresso e io il Passato, la tradizione, la conservazione... da quel momento in poi, ogni passo in avanti lo mettete con la sensazione di calpestarmi. Se solo vi rendeste conto che le vostre progressiste pedate non mi hanno mai fatto realmente male, che questo terribile conflitto tra me e voi non esiste, così come non esiste tutta questa distanza tra voi e me... Nulla di ciò che è reale è razionale, e men che meno voi. Non siete Idee che imprimono la Materia, non siete lo Spirito che dà ordine al Caos, non siete nemmeno parassiti che intossicano il grande albero della vita: voi non siete che l'homo sapiens sapiens, un rametto che un giorno si biforcherà, oppure si spezzerà: roba mia fino al midollo, io vi ho fatto e a me ritornerete, non che ve ne siate mai andati molto lontano. Non preoccupatevi per me, davvero.
Se solo vi poteste guardare dall'alto, o dal basso, o da una qualsiasi distanza... Se foste quegli animaletti razionali che pensate di essere, non piazzereste decine di centrali nucleari sull'orlo di una faglia sismica. Vi basterebbe la modesta razionalità delle formiche, quando ottimizzano la struttura di un formicaio in base alla sua funzionalità, invece di gareggiare a chi fa più figli e produce più kilovattora. Se foste razionali avreste avuto tutto il tempo, negli ultimi 50 anni, per creare un'authority sovranazionale che ora distribuirebbe in parti eque l'energia prodotta dai pannelli solari del Sahara, dalle pale eoliche sui promontori degli Oceani, e perché no, da centrali nucleari moderne, sicure, costruite nei luoghi meno esposti alle onde telluriche. Tutto questo un animale razionale lo avrebbe pianificato da tempo, per far fronte alla crescente domanda d'energia. Ma in realtà un animale veramente razionale non avrebbe nemmeno il problema di una crescente domanda d'energia, in quanto si guarderebbe bene dal sovrappopolare il suo habitat naturale: e non per un supposto amore materno nei miei confronti (che non vi ricambio certo), ma perché chi è veramente razionale tende a volersi preservare in vita. Voi no, voi correte verso il disastro in ordine sparso. Guerra nucleare, riscaldamento globale, pandemia, semplice carestia? A chi tocca scegliere, a me o a voi? Ma non fa tutta questa differenza.
Per milioni di anni avete occupato la vostra nicchia, senza disturbare più di tanto. Con la rivoluzione industriale avete cominciato a crescere e moltiplicarvi, buffo, avete inventato le macchine e le avete usate per realizzare un versetto della Bibbia. Eravate tre miliardi nel 1960, quattro quindici anni dopo, adesso siete sei, la crescita è costante. Devo sentirmi impressionata? Non sono impressionata, non siete il primo animaletto che a un certo punto esplode oltre i confini della sua nicchia: quando non riuscirò più a nutrirvi, vi stabilizzerete. Voi stessi lo sapete, nel vostro istinto: nelle cellule di ognuno di voi, forse in un filamento, in una proteina, scalcia il germe dell'autodistruzione. È solo il lato oscuro della vostra volontà di affermarvi, la molla che spinge i vostri ingegneri a cercare il petrolio sotto gli abissi dell'oceano, quando vi basterebbe semplicemente riprodurvi meno e bruciarne meno. È lui che vi spinge a progettare centrali nucleari sulle faglie, e a non dismetterle quando sono vecchie. È l'irrefrenabile impulso ad autodistruggervi, che vi porta a stoccare armamenti ad alto potenziale e armi batteriologiche. Voi vi credete razionali, ma è una sottospecie dell'istinto la presunta ragione che vi governa, e che vi suggerisce quasi sempre la soluzione più economica per me, più micidiale per voi stessi.
Non preoccupatevi di me, sul serio. Io esisterò sulla terra, sempre diversa, finché il sole manterrà una certa distanza e una certa forza gravitazionale. Poi mi spegnerò, e non sopravviverà nessuno per rimpiangermi. Preoccupatevi piuttosto per voi stessi, per le vostre piccole esistenze guidate dall'istinto, che corrono verso catastrofi prevedibili, previste, preventivate. Io, come s'è visto, mi salvo sempre. Ma non ho mai avuto pietà di nessuno, milioni di fossili nei vostri musei ve lo possono confermare.
Avrete sentito parlare dei lemming, quei roditori nordici così lesti a riprodursi che gli eschimesi pensavano che piovessero dal cielo. Non è vero. Non è nemmeno vero che periodicamente corressero verso le scogliere al suicidio di massa: era a una storia a fumetti, che poi diventò un documentario Disney, e da lì in poi non ve la siete più tolta dalla testa. Come ogni leggenda, dice molto soprattutto su chi la racconta. Siete voi i veri lemming, figli del cielo nati per correre: troppo indaffarati e impazienti anche solo per alzare gli occhi e fissare il crepaccio in cui state per lanciarvi. In bocca al lupo, topolini.
- Stavolta sono Madre Natura, anch'io ho la password – mi è stata data in caso di catastrofi, direi che ci siamo. Io però sono Madre solo per modo di dire, e non è che sia tenuta a rendervi conto di quello che succede in questi giorni. Scrivo soltanto per rassicurare chi in questi giorni si è preoccupato per me. Una cosa abbastanza buffa. Voi. Preoccupati per me. No, state tranquilli, io ho visto passare comete e meteoriti, e ho fulgide memorie di quando l'atmosfera era nera delle polveri di milioni di vulcani. In un modo o nell'altro ce l'ho sempre fatta e ce la farò anche stavolta. No, non vi dovete preoccupare per me.
Del resto so che non potete farne a meno; che siete programmati per farlo. Questa idea che avete di me, come una madre dai capelli bianchi, tradizionalista e un po' rintronata, una da non disturbare mentre lavora ad uncinetto con gli elementi, è una proiezione di qualcosa che vi portate dentro, si tratterà magari della vostra vera madre, si sa che la vostra specie ha sempre avuto un rapporto complesso con gli anziani. Io in realtà sono una tipa sbarazzina che si diletta di fulmini e uragani, e la prospettiva di una contaminazione radioattiva su larga scala, con mutazioni genetiche annesse, mi elettrizza. In generale mi piace tutto quello che rompe gli schemi, distrugge, spazza via, in India mi chiamano anche Shiva, il Distruttore. Voi occidentali fate sempre più fatica a capirlo, questo mio aspetto. Ogni volta che capita un disastro cercate in qualche modo di assumervene la responsabilità, persino la devastazione di Haiti qualcuno è riuscito a metterla in conto a Marx, e ora su facebook fantasticate di raggi della morte che scatenerebbero l'armageddon. Siete nevrotici, a un certo punto vi siete inventati un gioco in cui voi sareste il mio figlio ribelle: voi il Progresso e io il Passato, la tradizione, la conservazione... da quel momento in poi, ogni passo in avanti lo mettete con la sensazione di calpestarmi. Se solo vi rendeste conto che le vostre progressiste pedate non mi hanno mai fatto realmente male, che questo terribile conflitto tra me e voi non esiste, così come non esiste tutta questa distanza tra voi e me... Nulla di ciò che è reale è razionale, e men che meno voi. Non siete Idee che imprimono la Materia, non siete lo Spirito che dà ordine al Caos, non siete nemmeno parassiti che intossicano il grande albero della vita: voi non siete che l'homo sapiens sapiens, un rametto che un giorno si biforcherà, oppure si spezzerà: roba mia fino al midollo, io vi ho fatto e a me ritornerete, non che ve ne siate mai andati molto lontano. Non preoccupatevi per me, davvero.
Se solo vi poteste guardare dall'alto, o dal basso, o da una qualsiasi distanza... Se foste quegli animaletti razionali che pensate di essere, non piazzereste decine di centrali nucleari sull'orlo di una faglia sismica. Vi basterebbe la modesta razionalità delle formiche, quando ottimizzano la struttura di un formicaio in base alla sua funzionalità, invece di gareggiare a chi fa più figli e produce più kilovattora. Se foste razionali avreste avuto tutto il tempo, negli ultimi 50 anni, per creare un'authority sovranazionale che ora distribuirebbe in parti eque l'energia prodotta dai pannelli solari del Sahara, dalle pale eoliche sui promontori degli Oceani, e perché no, da centrali nucleari moderne, sicure, costruite nei luoghi meno esposti alle onde telluriche. Tutto questo un animale razionale lo avrebbe pianificato da tempo, per far fronte alla crescente domanda d'energia. Ma in realtà un animale veramente razionale non avrebbe nemmeno il problema di una crescente domanda d'energia, in quanto si guarderebbe bene dal sovrappopolare il suo habitat naturale: e non per un supposto amore materno nei miei confronti (che non vi ricambio certo), ma perché chi è veramente razionale tende a volersi preservare in vita. Voi no, voi correte verso il disastro in ordine sparso. Guerra nucleare, riscaldamento globale, pandemia, semplice carestia? A chi tocca scegliere, a me o a voi? Ma non fa tutta questa differenza.
Per milioni di anni avete occupato la vostra nicchia, senza disturbare più di tanto. Con la rivoluzione industriale avete cominciato a crescere e moltiplicarvi, buffo, avete inventato le macchine e le avete usate per realizzare un versetto della Bibbia. Eravate tre miliardi nel 1960, quattro quindici anni dopo, adesso siete sei, la crescita è costante. Devo sentirmi impressionata? Non sono impressionata, non siete il primo animaletto che a un certo punto esplode oltre i confini della sua nicchia: quando non riuscirò più a nutrirvi, vi stabilizzerete. Voi stessi lo sapete, nel vostro istinto: nelle cellule di ognuno di voi, forse in un filamento, in una proteina, scalcia il germe dell'autodistruzione. È solo il lato oscuro della vostra volontà di affermarvi, la molla che spinge i vostri ingegneri a cercare il petrolio sotto gli abissi dell'oceano, quando vi basterebbe semplicemente riprodurvi meno e bruciarne meno. È lui che vi spinge a progettare centrali nucleari sulle faglie, e a non dismetterle quando sono vecchie. È l'irrefrenabile impulso ad autodistruggervi, che vi porta a stoccare armamenti ad alto potenziale e armi batteriologiche. Voi vi credete razionali, ma è una sottospecie dell'istinto la presunta ragione che vi governa, e che vi suggerisce quasi sempre la soluzione più economica per me, più micidiale per voi stessi.
Non preoccupatevi di me, sul serio. Io esisterò sulla terra, sempre diversa, finché il sole manterrà una certa distanza e una certa forza gravitazionale. Poi mi spegnerò, e non sopravviverà nessuno per rimpiangermi. Preoccupatevi piuttosto per voi stessi, per le vostre piccole esistenze guidate dall'istinto, che corrono verso catastrofi prevedibili, previste, preventivate. Io, come s'è visto, mi salvo sempre. Ma non ho mai avuto pietà di nessuno, milioni di fossili nei vostri musei ve lo possono confermare.
Avrete sentito parlare dei lemming, quei roditori nordici così lesti a riprodursi che gli eschimesi pensavano che piovessero dal cielo. Non è vero. Non è nemmeno vero che periodicamente corressero verso le scogliere al suicidio di massa: era a una storia a fumetti, che poi diventò un documentario Disney, e da lì in poi non ve la siete più tolta dalla testa. Come ogni leggenda, dice molto soprattutto su chi la racconta. Siete voi i veri lemming, figli del cielo nati per correre: troppo indaffarati e impazienti anche solo per alzare gli occhi e fissare il crepaccio in cui state per lanciarvi. In bocca al lupo, topolini.
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