Un grillino al Quirinale

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Benvenuto Presidente! (Riccardo Milani, 2013)

Sotto è in mutande, avete indovinato.
In Parlamento parlano parlano, e non concludono niente. Da mesi i tre maggiori partiti non riescono ad accordarsi sul nome del nuovo presidente della repubblica, tanto che gli onorevoli votano cognomi a caso o in codice. Durante una votazione viene eletto, per un disguido, Giuseppe Garibaldi: che però esiste davvero, ha appena perso il lavoro e viene da un'immensa provincia, indovinate quale. Ed è inoltre Claudio Bisio, che al cinema ha sfondato tardi ma sta recuperando - il nostro Louis de Funès, il clown che riflette sulla sua pelata l'italianità e la scompone come un prisma in tutti i suoi colori primari e no. Da quand'era che non assistevo a un applauso a scena aperta in un cinema?

Mi è capitato lunedì guardando una delle primissime scene di Benvenuto Presidente!, in cui un politico si becca un uovo in faccia davanti a Montecitorio - applausi. Non sappiamo di che partito è - non lo scopriremo per tutto il film. Però è un politico e un uovo in faccia se lo merita, è liberatorio. Ora è pur vero che il lunedì sera qui da noi c'è lo sconto, però tutti questi precari o disoccupati o esodati incazzati in sala non c'erano; la signora che si è alzata e si è messa ad applaudire a fine mese secondo me c'è arrivata abbastanza bene, s'è pure concessa il film di Pasqua in cui tirano le uova ai politici, non importa quali. Tanto son tutti uguali, no?


Nel film ce ne sono tre, che inciuciano tutto il tempo. Quello che si piglia l'uovo nelle schede sul casting è chiamato "il politico bello" (un Cesare Bocci molto meno bello del solito). Beppe Fiorello invece è "il politico con il pizzetto", mentre Massimo Popolizio è "il politico ruspante", una riedizione dello Sbardella che interpretava nel Divo. Non si capisce se siano i leader o i capogruppo parlamentari dei rispettivi partiti: comunque decidono loro per tutti. Si incontrano ogni tanto in location architettonicamente rilevanti per inciuciare, e inciuciano, inciuciano che è un piacere. Quando si accorgono di avere eletto per sbaglio Claudio Bisio, vanno a prenderlo al torrente con le Audi Nere (=arroganza) con l'urgenza di corromperlo. Pensano di riuscirci facilmente perché se l'hanno eletto a caso sarà l'italiano medio, no?

Non esattamente. Malgrado cerchino di vendercelo così, il personaggio di Bisio non è proprio un arci-italiano; oppure può essere utile a capire l'idea che c'è in giro dell'arci-italiano, quello che se solo riuscisse ad arrivare al Palazzo lo aprirebbe come una scatola di sardine, oggi si dice così. Per esempio: in un'Italia che non legge (ma ama sfoggiare libri intonsi alle pareti) Bisio-Garibaldi è un bibliotecario (appena licenziato dal comune per motivi di budget). Dunque un umanista? Ma no, più un animatore-matto del villaggio - qualche antico sociologo lo chiamerebbe "intellettuale declassato" - un tempo, è implicito, aveva un lavoro vero e una famiglia vera (continua su +eventi!), poi ha perso tutto, la moglie è scappata e il figlio è un "gimbominchia", un deficiente amorale impelagato in fallimentari imprese piramidali, un berluschino del crepuscolo. Garibaldi lo rimprovera più volte rispolverando l'etica del nonno: "tutto quello che fai ti ritorna indietro".

Come i cittadini-parlamentari del M5S, Garibaldi ha grosse difficoltà con l'etichetta. Riceve lo Stato Maggiore in mutande, gli scappa la parolaccia, ha la gaffe facile. Non capisce le leggi che deve firmare e quindi, come la Lombardi, preferisce non firmarle, e pazienza se c'è qualcuno che ci rimette, il bibliotecario pretende che tutte le leggi siano leggibili. Come Crimi, prima o poi gli capita di appisolarsi in un'occasione ufficiale, e per l'occasione i giornali si scatenano: DIMISSIONI! Come Casaleggio, il suo consulente immagine (Remo Gironi!) si fotte dei giornali e conta i like su youtube: "Il video del tuo sfogo in pizzeria ha avuto centomila condivisioni!!!!1111!" Come tutti i grillini, ha un cuore grande così,e  in attesa di potersi calare lo stipendio sistema tutti i barboni di Roma nei corridoi del Quirinale. Come Grillo, è convinto che da qualche parte ci siano migliaia di idee bellissime per cambiare l'Italia, tutte realizzabili: Bisio le trova in uno scantinato del Colle mentre pattina coi rollerblade (...): si tratta solo di dar voce alla gente e vedrete quante idee geniali, a parte i maniaci del signoraggio delle scie chimiche della decrescita felice guardate che c'è anche del buono, sotto sotto ci sarà, bisognerà un po' scavare ma ci sarà.

A Fabio Bonifacci, già sceneggiatore di alcune delle meno stupide commedie italiane degli ultimi anni (A allora mambo!, Diverso da chi?), è stato occasionalmente concesso il dono della profezia. Benvenuto, presidente!, scritto qualche anno fa ma realizzato appena in tempo per l'imminente cambio della guardia al Quirinale, anticipato da un accorato discorso sullo stato della nazione di Bisio a Sanremo, non sarà la commedia meno stupida del 2013, ma è un film che descrive alla perfezione il qui e l'ora, da un punto di vista prezioso: la pancia dello spettatore, quello che salta in piedi e applaude se tirano uova a un politico. Qualsiasi politico. Ci sono persino i Poteri Forti. Si chiamano proprio così, dato che a furia di leggerli sul giornale ci siamo un po' tutti scordati a cosa stavamo alludendo, e quindi Bonifacci e Milani decidono di incarnarli in quattro commensali incartapecoriti a un banchetto. Non si sa cosa rappresentino: i grandi industriali, la finanza, la massoneria, boh. L'importante è che da qualche parte, in qualche stanza, ci siano ancora dei Poteri Forti che tramano, che ancora devino i servizi segreti come ai vecchi tempi. È un'immagine quasi consolante - e infatti l'Agente Segreto Deviato è un malinconico Gianni Cavina che canta Pensiero perché ha nostalgia degli anni Settanta, quando si lavorava sul serio. Storie vecchie, ma gli italiani non ci rinunciano - ci tengono, ai complotti. Non vorrebbero mai svegliarsi in un mondo in cui i Grandi Vecchi se ne fossero andati, lasciandoli soli con problemi incomprensibili. Come disse quella volta Mario Monti: "Avercene, di poteri forti"; c'è davvero ancora qualcuno là fuori, veramente potente e veramente interessato a non lasciarci sfracellare al suolo? Non si sa, ma un po' ci si spera - forse ci sperano pure i grillini.

Riccardo Milani conferma dopo Tutti pazzi per amore il talento per la farsa danzante - e in effetti i suoi attori sono sempre sul punto di mettersi inopinatamente a ballare, a un certo sculetta persino il ruspante Popolizio. Il populismo però è un tema insidioso, non sempre il regista riesce a danzarci sopra con leggerezza: in particolare sprofonda in una sequenza così ricattatoria che è ambientata in un reparto di oncologia infantile. Si salva grazie a una certa diffidenza per il vero italiano-medio, che a differenza di Bisio-Garibaldi è corruttibile e disonesto come i politici che elegge. Anche nel paesino innocente, appena guardi bene, trovi qualcuno che intasca fondi UE e ti assume in nero.

(Qui è ancora un po' ingessata. In seguito canta Comandante Che Guevara con la chitarra durante un'orgia a base di pizza al cannabis con i plenipotenziari della Repubblica Popolare Cinese, giuro).

Il film può essere utile per capire perché i senatori m5s non sosterranno mai un governo Bersani. In fondo Crimi e soci in questi giorni devono avere la sensazione di vivere in un film del genere - che poi non è niente di nuovo, almeno dall'Onorevole Angelina in poi (Zampa, 1947). Il canovaccio prevede che l'uomo-comune , dopo qualche tentativo di cambiare le cose condotto in perfetta buona fede, ritorni abbastanza presto al nido famigliare. Spesso, oltre ad aver constatato l'irrimediabile sporcizia della politica, si è anche reso conto di essere lui stesso corruttibile. Gli eletti di Grillo a quel momento preferirebbero non arrivarci, e quindi è comprensibile che abbiano fretta di chiudere. Non sono equipaggiati per le schermaglie politiche, non conoscono le regole della diplomazia e non ritengono di doverle imparare. Il boss ha imposto di rendicontare anche le caramelle e fa una scenata se qualcuno cena al ristorante di Montecitorio. A questo punto molti di loro probabilmente hanno solo voglia che il film finisca presto, con qualche botto. Torneranno a casa dagli amici e avranno una bella storia da raccontare. Se poi nel frattempo l'Italia va a rotoli - vabbe', si vede che così volevano i diabolici Poteri Forti.

Un altro motivo per darci un'occhiata potrebbe essere Kasia Smutniak che fa la sottosegretaria alla presidenza, e per mezzo film si aggira impettita per il Quirinale come frau Rottenmeier; finché a un certo punto succede qualcosa, scrocchia i muscoli del collo si spoglia e ti salta addosso in soggettiva. E il film decolla! In realtà no, ma per dieci secondi è bellissimo, lei ti sbatte sul lettone presidenziale e ti piglia a ceffoni; poi ti ricordi di essere Claudio Bisio cinquantenne e l'erotismo si sfascia in farsa. Ma anche in questo il film riesce a interpretare correttamente istanze provenienti dal basso ventre collettivo: il sesso con la Smutniak non può che essere concepito come uno sport estremo.

Benvenuto Presidente! è al Cityplex di Alba (ore 20:00; 22:15); al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo (20:20; 22:40); al Multisala Vittoria di Bra (20:15; 22:30); al cinema Italia di Saluzzo (20:00; 22:15); al Cinecittà di Savigliano (20:20; 22:30). Buona visione e Buona Pasqua!
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Com'è andata a Moria

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25 marzo - Sant'Isacco, millenni fa, a momenti vittima sacrificale, poi patriarca.

La porta si aprì lenta:
mio padre venne a prendermi,
io avevo nove anni. 


Stava innanzi a me, così alto:
i suoi occhi azzurri ardevano,
la sua voce era di ghiaccio.


***

Anche Isacco è tra di noi, Dio sa che ci stia a fare. A proposito di Dio: stiamo tutti attenti a non nominarlo in sua presenza. Non ci è nemmeno chiaro il perché, ma abbiamo tutti paura che una volta o l'altra dia di matto, e lo capiremmo benissimo, peraltro in famiglia non sarebbe il primo caso, vero? Ma sarebbe il più giustificabile - cioè, mettetevi nei suoi panni. Avete nove anni, e vostro padre sbrocca, entra nella vostra stanza e comincia con quei discorsi assurdi

“Ho avuto una visione, 
e tu conosci la forza della mia fede: 
devo fare quello che mi è stato detto”


Aveva nove anni, D*osanto. Chi non sarebbe impazzito. Io sarei impazzito. Tu saresti impazzito. Siamo tutti impazziti prima o poi. Gli antropologi prima o poi se ne accorgeranno. Siamo povere scimmiette con un cervello super-sviluppato che ci preme dappertutto la scatola cranica, e poi ci è cresciuto quel pollice reversibile che possiamo usare per tantissime cose che la nostra fantasia psicotica ci mostra di notte, ad es.: sacrificare i figli per smettere di avere gli incubi. Isacco queste cose le sa, è per questo che tace secondo me. Isacco non vuole più averci a che fare, sta in un angolo, mangia quaglie per lo più. Nessuno lo invita a giocare al tavolo di Matteo. Neanche una partitella a freccette con Sebastiano, niente. Tiene la testa bassa, in millemila anni nessuno gli ha dato una seria occhiata al collo. Insomma come siano andate davvero le cose nessuno lo sa. Bisognerebbe avere la faccia tosta di sedercisi davanti e dire: Isacco, figlio di Abramo, padre di Giacobbe anche se preferivi suo fratello, com'è andata davvero sul monte?
Poi gli alberi si fecero più radi, 
il lago un piccolo specchio, 
e ci fermammo a bere del vino: 
Gettò via la bottiglia vuota, 
(dopo un minuto la sentii infrangersi) 
e mise le sue mani sulle mie. 

Mi sembrò di vedere un’aquila, 
ma avrebbe potuto essere un avvoltoio, 
non ho mai saputo decidermi. 

Quindi mio padre innalzò un altare; 
mi guardò una volta appena, 
sapeva che non sarei fuggito.

Fin qui tutto bene... (continua sul Post...)
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Elogio del suicidio assistito

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Sei appeso a un cornicione, due persone si sporgono per darti una mano. Il primo è un ladro, lo conosci benissimo, ti ha fregato tante volte. Il secondo non crede alla teoria della gravitazione universale, pensa che sia un complotto massonico...

La questione è tanto semplice da formulare quanto difficile da risolvere: l'Italia ha bisogno di un governo, i tre partiti che hanno pareggiato le elezioni no. Non conviene al M5S sporcarsi le mani e scoprire i suoi bluff; non conviene al PdL consentire ad altre Larghe Intese che con Monti hanno già alienato molti elettori; e non conviene al PD allearsi a Berlusconi. Però si deve formare un governo, anche se qualsiasi governo sarà disastroso per i partiti che acconsentiranno a partecipare e suicida per il leader che ci metterà la faccia. Proprio per questo motivo il candidato più probabile sin dal 26 febbraio era il PD di Pier Luigi Bersani.

Non perché abbia vinto le elezioni - non le ha vinte - ma perché è l'unico dei tre che quando le cose si mettono male ha dimostrato di essere in grado di anteporre l'interesse della collettività al proprio. Lo si è già visto quando, nell'autunno del 2011, in un momento così complicato per i conti pubblici Bersani decise di sostenere un governo Monti invece di andare alle elezioni e (a detta di tanti osservatori che non potranno mai essere smentiti) vincerle. Non gli interessava vincere e governare sulle macerie, disse, e quindi non vinse né allora né poi.

Se ora propone un governo di scopo o di vivacchiamento col PdL - e non ci sono molte alternative - Bersani si suicida: probabilmente lo sa, ma sa anche di non avere molte speranze di vita comunque. La sua parabola politica è in ogni caso al culmine; tra qualche mese ci sarà un congresso e difficilmente lo confermerà; se poi si facessero altre primarie, è implausibile immaginarlo non dico vincente ma persino candidato.

Paradossalmente, Bersani a questo punto è più leggero. Proprio perché il partito non è più il suo, può giocarselo; non ci perde niente e tutto sommato non ci perdiamo molto neanche noi: è un partito che dalla sua fondazione nel 2007 a oggi ha sostanzialmente fallito tutti gli obiettivi a livello nazionale. Mi può costare un po' di fatica ammetterlo, non mi piacciono i partiti che cambiano nomi come le squadre di calcio a ogni turno di sponsor. Per deformazione professionale preferisco i partiti con un lungo passato alle spalle, ma a ben vedere il PD non lo è. È un partito nato pochi anni fa da un'intuizione o da un calcolo che si sono rivelati - facile dirlo col senno del poi, ma comunque va detto - sbagliati. Si sperava di conquistare il cuore del Paese o almeno tenersi un buon 40%, siamo invece ancorati al 25% qualsiasi cosa tentiamo di fare. Non riusciamo a essere di sinistra e cattolici assieme, non ci riusciamo perché il filone del cattolicesimo di sinistra si è sostanzialmente esaurito: è un processo più vasto di noi, a cui avremmo dovuto prestare più attenzione.
Molti dei padri fondatori invece di diventare nomi nobili sono additati al pubblico ludibrio - a torto o a ragione, inutile discuterne, è andata così: c'è un solido blocco in Italia che piuttosto di votare per un centrosinistra europeo è disposto a votare per i batteri del calcare, alcuni dei quali hanno effettivamente partecipato alle parlamentarie di Grillo e Casaleggio. A questo punto un partito di centrosinistra in Italia è da rifondare da capo, meglio senza ancoraggi biografici a quel PCI che ancora tormenta i sonni di una fetta consistente degli elettori italiani. È una cosa che va fatta, prima che ci pensi Renzi, salvo che probabilmente Renzi ci pensa da mesi e quindi la farà lui. Nel frattempo, tanto vale tenersi quel che resta del PD al governo, una specie di bad company del consenso.

Un mese fa, a urne appena aperte, qualcuno aveva già iniziato a chiedere le dimissioni di Bersani e la relativa immancabile sessione di autocritica sugli errori del PD. Il fatto che io nel mio piccolo non abbia voluto partecipare non significa che errori non ce ne siano stati e che un'autocritica non sia opportuna. Il punto è che quello che abbiamo perso il 26 febbraio è qualcosa di lievemente più grave che una leadership di partito: secondo me il partito non ha più possibilità di risollevarsi da una batosta così. Anche l'automatica reazione dei sostenitori di Renzi, per quanto comprensibile, non ha molto senso: se il PD è il partito delle primarie, che ha espresso il suo candidato alle primarie, e se questo candidato è piaciuto così poco agli elettori, forse il problema non è soltanto Bersani. Forse vanno ripensate anche le primarie, perché non hanno mai espresso un candidato in grado di vincere le elezioni - e non si vede come possano riuscirci in futuro. Chiedere le dimissioni di Bersani implica che ci sia ancora qualcosa da cui ci si può dimettere: per me semplicemente non c'è, il PD è nei fatti finito.

Bersani, ho sentito dire da molti, ha fallito la campagna elettorale perché non ha saputo incantare gli italiani. Si è ostinato a dir loro la verità e la verità non è una cosa che ti fa vincere le elezioni. Può darsi che abbiano ragione, però alla fine qualcuno che dica un po' di verità ci deve pur essere. Non possono tutti dire che si possono rendere i soldi delle tasse e non pagare più i debiti. Anche adesso, mentre la situazione comincia a farsi pesante, Berlusconi ha soprattutto in mente i suoi processi, Grillo è su qualche auto a idrogeno sospesa nel blu del cyberspazio, Bersani è sulla stessa terra su cui camminiamo noi. Dovrà fare concessioni disonorevoli, potrà fare qualche riforma sensata di cui anche stavolta gli disconosceranno il merito, ma alla fine non ci resta che lui, e a lui non resta che suicidarsi così. Se poi trovasse qualche altro "tecnico" da mandare al suo posto andrebbe bene lo stesso, ma non si vede chi e per quale motivo gli converrebbe. È un lavoro impossibile, i margini di successo sono ristrettissimi, se non ce la fai sei morto e se ce la fai sei morto comunque. È un lavoro per Pier Luigi Bersani.
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Dalla parte del pescecane

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La frode (Arbitrage, 2012, Nicholas Jarecki).


Robert Miller (Richard Gere) è un pescecane di Manhattan, un signore degli hedge fund, un patriarca, un pescecane, un sessantenne tirato al massimo con la moglie noiosa (Susan Sarandon), la figlia in affari che vuole mettere il naso nei bilanci e poi si scandalizza se sono falsi, l'amante artista (Laetitia Casta) che lo tampina al blackberry, e neanche un soldo in cassa. Neanche uno. Li ha tutti inghiottiti una miniera di rame in Russia, incidenti che succedono a voler rischiare in casa di Putin. Ma può ancora farcela, può tenere unita la famiglia e non perdere l'amante e vendere la cassa vuota a qualcuno che abbocchi, però deve stare attento a non mollare nemmeno per un istante ed è difficile, la corda è già tirata al massimo. Dopo pochi minuti lo ritroveremo disperso in campagna con una costola rotta e un omicidio da occultare. E tiferemo per lui. Sul serio (continua su +eventi!Questa è la vera, incredibile truffa che l’esordiente Nicholas Jarecki gioca allo spettatore: ritrovarsi nei panni insanguinati di un capitalista truffatore e adulterino, e sperare di farla franca. Confidare nella debolezza della legge, nel potere degli avvocati, dei soldi, anche imprestati. Robert non può mollare. Non è egoismo, poverino, anzi fosse per lui si costituirebbe immediatamente, ma non può, ha dei doveri nei confronti dei clienti, degli investitori, un sacco di gente perderà i suoi dividendi se il poliziotto Tim Roth riesce  a incastrarlo. Tieni duro Robert! Sembra una di quelle partite a scacchi che stai dando per perse, ti è rimasto solo un Alfiere che sa dare buoni consigli, la migliore Torre del foro di Harlem e un povero Pedone da sacrificare, eppure, eppure, quando tutto sembra perso basta azzeccare una mossa, indovinare una finta dell’avversario, e puoi recuperare. Purché all’ultimo momento non si muova la Regina…

La frode è stata una delle più grosse sorprese al botteghino americano dell’anno scorso, con una delle medie più alte di spettatori per sala. Jarecki, che firma anche la sceneggiatura, sa il maledetto fatto suo: per due ore costringe lo spettatore a sostenere il suo Robert negli abissi della sua coscienza, mettendo in scena questioni morali senza inutili moralisti; nel frattempo tratteggia una mezza dozzina di personaggi interessanti e non bidimensionali. È uno di quei film per cui ti viene in mente l’aggettivo “televisivo” e non è un offesa: sembra il pilota di una serie che seguiresti, ti piacerebbe sapere cosa succede a Robert e alla moglie, al Pedone nero e alla sua ragazza, alla figlia pedante e al poliziotto che ce l’ha coi ricchi, come il nostro caro Mariano Bonifazi. Senza pretese autoriali, uno dei film più riusciti che ho visto quest’anno – e comincio ad averne visti un po’.
La frode è al Cinema Fiamma di Cuneo (21:10); al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo (ore 15:20; 17:35; 20:30; 22:45); al Cinema Bertola di Mondovì (20:15; 22:30); al Cinema Italia di Saluzzo (22:15).
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17 anni in cima al mondo

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Chiedo scusa per non riuscire a pensare o a scrivere qualcosa su Pietro Mennea che non suoni retorico già alle mie orecchie, figurarsi a quelle di chi passa di qui. Posso benissimo starmene zitto che quasi sempre è la cosa migliore. Solo una cosa: finché sul tetto del mondo c'è stato lui (e c'è stato per tantissimo), a quelli un po' più giovani sembrava che dicesse: non c'è nulla che non possiamo fare. Dove il soggetto sottointeso era: noi italiani. Possiamo fare di tutto - certo, magari in determinati settori faremo più fatica, dovremo allenarci molto, e sacrifici su sacrifici, però alla fine che si fotta la genetica, che si fottano due millenni di piagnistei: possiamo essere tutto quello che vogliamo essere, almeno per un po'. Per 17 anni Pietro Mennea è stato il duecentometrista più veloce del mondo.

Crescendo abbiamo smesso di crederci, dove il soggetto sottointeso è sempre: noi italiani. Della mia generazione, almeno. Magari qualcuno ha provato la stessa cosa quando vinceva la Pellegrini, non lo so. Nel frattempo ci siamo inventati spiegazioni per qualsiasi mediocrità e anche per quegli occasionali lampi di eccellenza; forse battere un record a Città del Messico era più facile che altrove, forse, chissà. E oggi anche solo a parlarne mi vergogno. Ma c'è stato un momento in cui pensavo che avrei, che avremmo potuto fare, qualunque cosa.

Ma forse ero solo un bambino.
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I rovi di Benedetto

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21 marzo - San Benedetto da Norcia (480-547), eremita, fondatore dell'ordine benedettino, patrono d'Europa

Benedetto ogni tanto lo volevano ammazzare. Gli intossicavano il vino, gli avvelenavano il pane, a lui ovviamente bastava un segno di croce perché il bicchiere impestato si frantumasse, o un corvo venisse a far sparire il pane avvelenato. Ma chi è che voleva così male a Benedetto? Gli invidiosi, come al solito. Quelli che prima magari avevano strisciato per portarselo nel proprio monastero, per il solito fatto che un teorico della povertà integrale è sempre molto decorativo; però poi quando si rendevano conto che Benedetto non scherzava, che digiunava sul serio e voleva che anche i confratelli lo facessero, cercava un sistema per toglierlo di mezzo. Il tentativo più famoso comunque resta quello di Don Fiorenzo che, constatata l'impossibilità di avvelenare Benedetto, tentò di screditarlo mandando sette giovinette nude a ballare girotondi nel giardino del monastero. Giacché diciamocelo: chi resisterebbe a un girotondo di sette giovinette nude?

Benedetto, per esempio. Vide le giovini, provò una profonda tristezza, fece i bagagli e se ne andò. Pochi minuti dopo lo stavano già richiamando: torna pure indietro, Don Fiorenzo è morto, era sul terrazzo a guardarti partire e sghignazzava così tanto che insomma il terrazzo è crollato, eheh.

Qualcun altro si sarebbe inginocchiato e avrebbe reso gloria al Signore, Benedetto invece si intristì, per due motivi: (1) era pur sempre morta una persona; (2) il messaggero cosa aveva da ridere? Ma vergognati, e penitenziagìsci. Resistere alle coreografie di sette donne nude è già una virtù eroica, ma non accennare nemmeno una smorfia di soddisfazione mentre apprendi che il tuo nemico è crollato è morto mentre ti rideva alle spalle, questo è da superman della santità, questo è Benedetto, primavera del Medioevo. Non amava che i monaci ridessero; la sua Regola tradisce una certa insofferenza per il riso. Ma tutto sommato è un testo ragionevole, poco in sintonia con l'integralismo del Benedetto leggendario, che prima di dirigere o fondare monasteri era stato a lungo un eremita solitario e poi forse, chissà, invecchiando si era di molto addolcito. L'esempio più famoso è quello del vino: il digiunatore Benedetto nella Regola lascia benissimo intendere che lui non ne berrebbe mai ("riteniamo che il vino non sia per il monaco"), ma siccome con i giovani è impossibile ragionarci, vada per un quartino al giorno, e non di più. Una dose di tutto riguardo, considerati gli standard di vita dei secoli bui. Con Benedetto i monasteri occidentali si allontanano dagli eccessi ascetici di oriente e si avviano a diventare luoghi di rifugio per artigiani e intellettuali in quei secoli senza mecenati.

Ai tempi in cui resisteva vittorioso alle sette ballerine nude, Benedetto era ormai trasceso al di là di ogni concupiscenza. Non era stato un percorso graduale o faticoso, come smettere di fumare (continua sul Post...)
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Le cinghie di Grillo

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"Personalmente ritengo che se devo dibattere, dibatto sui fatti, possibilmente in spazi dove non ci siano più di 3-4 persone con le quali valga la pena discutere. Pd e Pdl, francamente, se ne vadano a fanculo." Così scriveva Daniele Martinelli una settimana fa, dopo aver abbandonato una diretta tv. Ieri è diventato il portavoce ufficiale dei deputati M5S. Lo hanno scelto Grillo e Casaleggio per le sue doti di comunicatore - cioè, lui è uno di quelli che nell'entourage di Grillo ha doti di comunicatore ("se devo dibattere, dibatto sui fatti, possibilmente in spazi dove non ci siano più di 3-4 persone"). Figurati gli altri.

"Da domani, non parlerò più con nessuno. Non prendetevela con me." Così scrive sul suo blog (Byoblu) Claudio Messora, dopo una prima faticosissima giornata da portavoce ufficiale dei senatori M5S, esasperato dal modo in cui le sue parole sono state distorte dalla stampa. Anche lui è stato scelto da Grillo e Casaleggio per le sue doti di comunicatore - è uno dei pochi esponenti m5S ad avere familiarità con video e microfono. Purtroppo queste doti le ha usate spesso per comunicare complotti mondiali a base di massoneria e commissione Bilderberg: tesi care a molti lettori affezionati di Byoblu o Beppegrillo.it, ma che al di fuori della cerchia dei fedeli possono anche suscitare imbarazzo e ilarità. E poi c'è quella cosa dei vecchi post (poi cancellati) in cui si scusava di aver votato Berlusconi, vecchie beghe con Anonymous, e tante altre cose che pian piano spuntano fuori, in una piccola macchina del fango o, come la chiama lui, con un'espressione di rara icasticità, "l'esercito degli spalamerda": è da questi particolari che giudichi un comunicatore.

Martinelli e Messora dovevano essere "la cinghia di trasmissione tra un capo che si trova al di fuori del parlamento e i cittadini portavoce" (continua sull'Unita.it, H1t#171).

Così nelle parole del professore Paolo Becchi, ormai accreditato come l’ideologo di beppegrillo.it. Per Becchi l’episodio increscioso della spaccatura sulla nomina del presidente del Senato fu un segno “di immaturità politica, ma, non dimentichiamolo, sono i primi passi di un bambino che procede ancora a tentoni”. Forse è per quello che Grillo e Becchi hanno tanto insistito per avere lo streaming: sono come quei genitori ansiosi che appendono la webcam alle sbarre del lettino. Quello di Becchi può sembrare un paragone irriguardoso – l’avesse fatto un blogger dell’Unità, apriti cielo – ma finché i parlamentari continuano a lamentarsi perché sono stanchi, hanno fame, non sanno ancora bene dove dormire, devono prendere decisioni troppo difficili, i compagni gli fanno gli scherzi telefonici e non voglionostringere la mano alla zia - viene il sospetto che Becchi non abbia tutti i torti: c’è come una fase orale collettiva che ci auguriamo finisca presto, per il bene della nazione e anche un po’ del MoVimento. Nel frattempo il “capo” ha imposto la webcam e la sua cinghia, coi suoi uomini. Lo ha fatto di imperio, senza consultare la base, del resto è un’emergenza. Quando sarà pronta la piattaforma liquida in grado di gestire la democrazia diretta, tutte queste decisioni verranno senz’altro prese dalla base. Però la piattaforma non è ancora pronta, Casaleggio ha un sacco di impegni, insomma per adesso decidono loro. E sia.
Ma almeno decidono bene? Al netto delle idee, Martinelli e Messora sono le persone giuste per comunicare tra cittadini, Grillo e gruppi parlamentari m5s? Uno dopo una giornata di lavoro ha già fatto sapere che non parlerà più. L’altro, fosse per lui, eviterebbe i dibattiti con più di quattro persone. Finora, più che mostrare la loro competenza, hanno preferito farci sapere che non costeranno un solo euro al contribuente: bene, ma non è un modo per mettere le mani avanti? I servizi gratuiti sono quelli che tolgono all’utente la facoltà di lamentarsi. Io se fossi un elettore m5s credo che sarei disposto a pagare qualcosa per evitare che i miei eletti continuino a fare brutte figure. Dopotutto sono miei dipendenti, li ho scelti perché facciano un lavoro all’altezza, e invece adesso salta fuori che sono dilettanti e che non mi posso neanche lamentare perché comunque costano poco e in più la cinghia è gratis. Sempre ammesso che costino davvero poco, e che qualche loro prossimo infortunio non ci costi invece tantissimo.http://leonardo.blogspot.com
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Che v'ha fatto Rosy B.

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È da un po' che penso a Rosy Bindi. Non tanto alla Bindi in sé, ma a quello che è diventata la Bindi, negli ultimi anni, nell'immaginario collettivo. Sintetizzando: una brutta persona. Il che è curioso, oltre che naturalmente triste, per un personaggio politico che fino a qualche anno fa godeva di una certa popolarità, e aveva già legato il suo nome a riforme e proposte coraggiose.

A questa character assassination, come dicono gli inglesi, ha collaborato certo l'allegro tesoriere Lusi, ma nell'ultimo anno ci ha messo del suo anche la Bindi, che messa sotto pressione non ha reagito sempre nel modo migliore. Nel momento in cui il dibattito interno nel PD è diventato la rottamazione, pardon, la questione generazionale, la Bindi (senza essere affatto anziana) con alcune sue reazioni non compostissime ha dato diversi argomenti ai rottamatori. Però il mobbing collettivo nei suoi confronti parte da prima. E prosegue.

Anche ieri stavo pensando alla Bindi, quando ancora ignoravo l'exploit della parlamentare m5s che si vantava su Facebook di averla trattata con maleducazione in parlamento. Stavo discutendo con un commentatore che mi invitava a considerare quanto bene abbiano già fatto i m5s: senza di loro invece di Grasso e della Boldrini a presiedere le camere avremmo gente come D'Alema o la Bindi, t'immagini? D'Alema o la Bindi. Quando uno vuole esprimere in sintesi quanto male abbia fatto il centrosinistra in Italia, cita D'Alema o la Bindi. Io ero a tanto così da mettermi a spiegare distesamente perché entrambi sarebbero stati ottimi nomi, magari non simpatici ma molto competenti; senz'altro più di Grasso, che è un'ottima scelta ma dovrà presiedere un Senato senza nessuna esperienza in Senato. Per fortuna avevo di meglio da fare che difendere una causa persa. Giusta, magari, ma persa.

Su D'Alema tagliamola corta. Non mi è mai stato simpatico, non ci ha neanche provato. Ma non avrebbe potuto mai essere candidato a Camera o Senato, siccome non è stato eletto (non si era nemmeno candidato). Altro discorso il Quirinale, da cui però lo allontanano le nomine di due presidenti di centrosinistra. E infatti Grillo sta già chiamando a raccolta ai suoi contro la spaventosa eventualità: così se non si verificherà (come è probabile) potrà cantare vittoria e dimostrare la coesione dei suoi. Del resto, per come stanno le cose MD'A potrebbe farsi monaco, anche Zen, spararsi nello spazio con o senza capsula, seppellirsi in un letto di calcestruzzo sotto la fossa delle Marianne, non ha nessuna importanza. Qualche giornalista o blogger con l'aria saputa continuerebbe a spiegarci che dietro qualsiasi strategia del PD c'è dietro lui, un diabolico piano per diventare sempre più potente, come Goku, e fare dispetti a Vegeta, pardon Veltroni. È il modo in cui hanno scelto di raccontarcela e non sarà mica la realtà a farli cambiare idea, ci mancherebbe. D'Alema in realtà è stato un bravo ministro degli Esteri, ma ha comunque fatto tanti errori nella sua carriera (veramente troppi, considerate la sua intelligenza e la sua competenza) e se a questo punto la gente lo detesta non val la pena di spezzar lance, è andata così. Ma Rosy Bindi?

(Via Giornalettismo)
Perché la gente ce l'ha con Rosy Bindi?

Non solo gli abitanti della grillosfera, che alla maleducazione istituzionale sono stati, per così dire, pazientemente rieducati. Perché una persona x che vuole additare un piddino biasimevole, una volta su due sceglie l'ex ministro che varò la riforma della sanità, la politica cattolica che, in splendido isolamento, parlava di diritti alle coppie di fatto nel 2006? Ichino è una vittima del terrorismo perché una volta due tizi in una conversazione intercettata fantasticavano di dargli fuoco; la Bindi giovanissima rischiò la vita nell'attentato a Vittorio Bachelet, e di ciò non frega nulla a nessuno. Ce l'hanno tutti con Rosy Bindi. Ma non da tantissimo tempo: è una cosa degli ultimi anni, prima il personaggio godeva anche di una certa simpatia. Allora io purtroppo ho una teoria - meno di una teoria, diciamo un pregiudizio. Nulla mi leva dalla testa l'idea che dietro a questa aggressività sempre meno latente (se ormai spunta anche a Montecitorio), dietro a questo bullismo trasversale, ci sia dietro il solito maschio Alfa: Silvio Berlusconi.

È lui che ha iniziato. I bulletti odierni ovviamente non lo sanno - sono appena arrivati, e poi "non guardano la tv" - però si sa come vanno le cose nei corridoi: se sputano a Rosy come a una vecchia insegnante stronza è perché hanno visto i più grandi prima di loro sputare alla maestra stronza. E i più grandi, qualche anno fa, erano più piccoli e seguivano il Capo. È come con Angela Merkel, la culona inchiavabile. Che risate quando saltò fuori il bigliettino. Che indignazione, anche. Però... che risate. E poi col tempo, e con l'aggravarsi dello spread, anche chi fingeva di prendersela ha cominciato a convenire, nei banchi di dietro, che la tizia tanto chiavabile non fosse. Ahah. Silvio è il Bullo Primo: ridono tutti di lui, però alla fine lo copiano. All'inizio è insopportabile, poi ti ci abitui, poi lo trovi divertente, poi fa tendenza, poi governa per un ventennio, poi ti ritrovi bombardato ed è tutta colpa sua, noi non è che ci credessimo, noi, stavamo soltanto scherzando, noi.

Angela
Io non so cosa votasse la deputata bulletta, prima di incontrare il M5S. Ma per seguire la pista che porta un certo elettorato dal Polo delle Libertà e dalla Lega fino a Grillo non hai che da annusare le frecciatine sull'on. Bindi. Anche se molti per darsi un contegno spruzzano su quest'aggressività un'aria di sinistra: dal 2007 in poi la Bindi è diventata un obiettivo polemico di molti attivisti dei diritti civili a sinistra del Pd o nel PD stesso.

Ma quello è un altro discorso - la guerra tra la Bindi e i LGBT. L'aggressività di quest'ultimi, censurata pure da Ivan Scalfarotto, si potrebbe in parte scusare - dopotutto quella dei diritti civili è una battaglia sacrosanta - se qui non prevalesse la vecchia abitudine a giudicare le azioni dai risultati, e per ora l'unico risultato concreto di costoro è avere offeso Rosy Bindi, fine. Offendendo Rosy Bindi non hanno conquistato alla causa nessun cattolico, il che potrebbe essere un problema in un Paese in cui un Papa, qualsiasi Papa, gode di una luna di miele almeno biennale qualsiasi cosa faccia o dica, compreso Buonasera e Buon Pranzo. Se poi tra un Buona Notte e un Arrivederci ci infila anche un Niente Adozione ai Gay che Comunque Vanno All'Inferno, nessuno se la prenderà troppo. Del resto ora che il PD ha perso le elezioni, del fondamentale dibattito sui diritti civili non frega più niente a nessuno, visto che dei gay in Italia non frega niente a nessuno: l'unico servizio che rendono è mettere in difficoltà il partito ex comunista ed ex democristiano ogni volta che rischia di vincere le elezioni. Se poi Bersani o qualcun altro riuscirà a mettere in piedi un governo, senz'altro l'argomento tornerà d'importanza vitale: ma soltanto finché serve a creare tensioni in un partito che malgrado la robusta componente cattolica ha cercato faticosamente di mettere in agenda il problema.

Rosy Bindi è stata, nel 2006, la cattolica più coraggiosa d'Italia: ha messo il suo nome su una proposta di legge che ben pochi cattolici si sarebbero sentiti di controfirmare. Se la proposta fosse passata nel 2007, oggi le coppie omosessuali sarebbero riconosciute per legge. Non sarebbe stato tutto, ma sarebbe stato già qualcosa, e sarebbe successo sei anni fa. Oggi un eventuale dibattito partirebbe da posizioni molto più avanzate. Quel che è successo invece è che Rosy Bindi è diventata la vittima designata di un tiro al piccione, promosso da attivisti e da leader che piuttosto di procedere faticosamente per gradi, un po' per calcolo un po' per istinto (bullistico istinto) hanno preferito arroccarsi nel Tutto o Nulla, sperando che prima o poi le conquiste ottenute altrove in Europa vengano estese all'Italia per contagio. Va bene, è un calcolo.

A volte, non so, mi sembra più intelligente che bella.
Però vedete come funziona col bullismo? Si isola sempre il membro più debole della comunità. Persino i gay - i gay dovrebbero saperne qualcosa, dell'argomento - quando decidono di prendersela con un cattolico, di eleggere un cattolico a obiettivo di riprovazione, scelgono quello sessualmente più indefinibile di loro. Ed è in fondo lo stesso calcolo istintivo del Berlusconi Primo Bullo: Rosy Bindi fa ridere perché è un freak, è un tipo strano, asessuato, mostruoso. Volete mettere con le olgettine?, dice lui. È uno di quei casi in cui capisco di essere rimasto in sostanza un cattolico di campagna, per il quale Rosy Bindi è una persona abbastanza normale, e le Olgettine rifatte a 18 anni, loro sì sono dei freak. Ma è una battaglia persa. La comunità LGBT chiede di essere normalizzata: molti di loro si sentono gay per nascita (il che può essere) e quindi sono convinti che gay si nasca (il che non è detto, non vale per tutti) e che quindi l'omosessualità debba essere definita e compartimentata per legge. Poi si ritrovano davanti Rosy Bindi e qualcosa non torna. La castità nel loro modello non c'è. E siccome il loro modello è l'unico che considerino civile, non possono che pensare che Rosy stia nascondendo qualcosa. Casti non si nasce, non è una condizione di natura come (secondo loro) l'omosessualità. È una condizione artificiale, senz'altro un risultato di un'educazione repressiva, una dissimulazione disonesta. Non può essere il risultato di una libera scelta, perché per molti di loro la sessualità non è una libera scelta: uno nasce in un modo e deve comportarsi in un modo, ne ha il diritto e nessuno può impedirglielo. La Bindi deve fare ad alcuni gay lo stesso effetto che un gay fa a Giovanardi: il risultato di una perversione dei costumi assolutamente da correggere.

C'è una frase in particolare che ha consegnato la Bindi alla riprovazione universale, che ovviamente è possibile ritrovare sulla pagina di Wiki a lei dedicata (dove non c'è traccia del lungo affaire Di Bella, per esempio):
Il desiderio di maternità e di paternità un omosessuale se lo deve scordare. [...] Non sarei mai favorevole al riconoscimento del matrimonio fra omosessuali: non si possono creare in laboratorio dei disadattati. È meglio che un bambino cresca in Africa [che in una famiglia di omosessuali].
La maggior parte dei cattolici la pensa così. Il Papa la pensa così - però è un tizio simpatico, vuol bene ai poveri e tifa anche una squadra di calcio, mica te la puoi prendere con lui poverino. Rosy Bindi, unanimemente condannata per aver considerato gli omosessuali genitori peggiori degli africani, ha solo messo la sua faccia sotto questo pensiero così scandalosamente non-contemporaneo. E per questo pagherà, sta già pagando. Da quel che mi sembra di ricordare il paragone tra gay e africani era stato proposto dall'intervistatore: il razzismo della risposta riflette quello della domanda. Per noi contemporanei, che riteniamo i gay assolutamente normali proprio in quanto gay (e cioè determinati dalla loro identità di genere), non ci può essere dubbio: l'Africa è un brutto posto, l'Europa un luogo migliore (dove infatti i diritti dei gay sono riconosciuti), e quindi dire, o anche solo pensare che un bambino africano possa vivere meglio in Africa che in una famiglia gay, è blasfemo. La pensiamo così (anch'io tutto sommato la penso così), è la nostra religione.

Rosy Bindi non la condivide. Per lei si può vivere una vita piena in Europa come in Africa; la differenza non la fa il PIL pro capite, la speranza di vita media, né il rispetto di cui godono le minoranze. I cattolici credono in una vita eterna, e subiscono il mito sempre vivo delle missioni, dove si vivrebbe una fede più pura. Insomma hanno altri parametri, tra cui c'è l'avere un padre e una madre, anche poveri, anche africani; per la Bindi è meglio. La pensa così. E lo dice. Milioni di persone in Italia la pensano così. Se vogliamo ottenere qualcosa, dovremo chiederlo a quei milioni di persone, attivare un dialogo - o aspettare che invecchino, ma salta invece fuori che si riproducono di buona lena. A questo dialogo Rosy Bindi era disponibile. Non avrebbe mai concesso matrimonio e diritto di adozione, ma intanto riconosceva il problema, e ci mise la faccia. L'ha persa.

Alla fine non è così difficile capire perché ce l'hanno con lei. È sola. Rappresenta un progressismo cattolico ormai scomparso dalle parrocchie. Gli altri cattolici non la riconoscono quasi più tale. I non cattolici non capiscono che senso abbia discutere con lei. Probabilmente non ha davvero più senso, è rimasta isolata, in ostaggio di progressisti che a loro volta sono circondati da reazionari. La gente questa cosa non la capisce, la gente la fiuta. Sente l'odore della preda facile, si eccita e accorre in frotta. Siamo fatti così, nasciamo così e a quanto pare abbiamo il diritto di comportarci così.

Rosy Bindi ha anche fatto cose giuste e importanti, ma ormai non ha senso ricordarle. Non ha senso perder tempo a spezzar lance, se ci tieni alla carriera. È spacciata. Per intestardirsi a difenderla bisogna essere dei cagacazzo di bastian contrari senza arte né parte, che non hanno mai capito come si salta sul carro giusto. Presente.
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Il boss vi vuole fuori entro giugno

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Non mi piace rubare vignette,
ma questa è bella dai.
Questo è il giorno in cui Beppe Grillo si sveglia e si dispiace perché al Senato è stato eletto Pietro Grasso invece di Renato Schifani.

Quanto è successo ieri - forse la prima buona notizia dopo settimane - non è esattamente una sorpresa. O meglio: è una sorpresa svegliarsi con Laura Boldrini presidente della Camera e Pietro Grasso presidente del Senato. Questo sì, e viva Civati viva tutti. Non è affatto una sorpresa, invece, che Grillo stia già litigando con gli eletti del M5S. Questo no. Tante cose successe in questi mesi non le abbiamo colpevolmente previste (le dimensioni del successo del M5S, ad esempio), ma questa no. Ci avevo persino scritto un pezzo io in dicembre, e decisamente non ho la palla di cristallo.

In sostanza scrivevo: non potete pensare di aver selezionato una squadra di pigia-bottoni fedeli alla linea. Anche se foste in grado di farlo, non avete avuto il tempo. Avete semplicemente votato, in pochi, su una piattaforma digitale che funzionava male, dei tizi che si presentavano con un filmato amatoriale e un curriculum sul quale erano liberi di inventarsi qualche titolo o di abbellirlo. Questi tizi, onde evitare infiltrazioni, dovevano essere militanti riconosciuti già da qualche anno. E non dovevano essere stati già eletti in altre consultazioni amministrative. Cioè, in pratica avete scelto quelli che erano stati trombati alle amministrative, sulla base di un video e di un curriculum che evidentemente nessuno ha verificato. I vostri candidati li avete scelti così; non è che adesso possiate lamentarvi del servizio. Secondo me quando vi scegliete la colf ci state più attenti, perché poi magari le date le chiavi di casa. A questi avete dato solo le chiavi del parlamento - e del MoVimento - chi è causa del suo mal eccetera.

Anche perché mettetevi ora nei vostri eletti: cosa faranno da qui in poi? Il dilemma si pone in questi termini:

da una parte c'è la possibilità di fare la Storia, cambiando un sacco di cose, incidendo seriamente sul reale (lo si è già visto in appena mezza giornata), e nel contempo percependo 10.000 euro al mese per quattro-cinque anni, caccia via.

Dall'altra c'è un boss furioso che vuole sapere cos'hai fatto dove sei con chi parli, e ti vuole comunque fuori dai piedi entro giugno. E difficilmente ti ricandiderà mai più.

Chissà cosa sceglieranno, io fossi in loro sarei un po' perplesso.

Vorrei esprimere loro la massima solidarietà, ed esortare tutti a trattarli con rispetto. Troppo facile prenderli in giro adesso: troppo facile e molto controproducente, anche. Decidano quello che vogliono, sono rappresentanti eletti del popolo italiano, in nessun senso peggiori o migliori degli altri. Art. 67.
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L'isola deserpizzata

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San Patrizio (385-481) - Patrono d'Irlanda, scacciatore di serpenti.

In Irlanda non ci sono serpenti. L'unico è l'orbettino, che in realtà non è un vero serpente, è una lucertola che col tempo ha perso le zampe - come potrebbe succedervi se non muovete il culo dal divano per alcuni milioni di anni. E anche lui comunque non era stato avvistato fino al 1970, secondo gli esperti è stato portato qui via nave. Non si vede in che altro modo i serpenti potrebbero arrivare in Irlanda dopo l'ultima glaciazione, del resto. Però in Scozia ci sono, in Irlanda no: tra le due terre nel punto più stretto ci sono appena 35 km di mare. Per cui secondo alcuni è stato San Patrizio, che i serpenti avevano infastidito mentre meditava. Posò il bastone a terra ed essi strisciarono in mare ad annegarsi (o a evolversi in serpenti di mare).

Secondo alcuni la leggenda parla di serpenti ma allude ai druidi: Patrizio, che forse si chiamava Palladio (o forse erano due evangelizzatori diversi, non si saprà mai con certezza) li cacciò dall'isola con relativa facilità. L'Irlanda, da quel che ho capito, è l'unica terra cattolica senza martiri - anche se alcuni, per darsi un contegno, sostengono che Patrizio fu martirizzato (almeno lui) il 17 marzo. Nella sua Confessione, una delle cose più noiose che ho letto (e io leggo storie di Santi, rendetevi conto), Patrizio ammette di avere avuto qualche grana coi locali. A un certo punto lo fermarono in un bosco.

"Quel giorno avevano una gran voglia di uccidermi, "ma non era ancora venuto il tempo" [cf. Giona 7,20-30], e tutto ciò che ci trovarono nei bagagli ce lo presero, e mi incatenarono perfino, ma dopo quattordici giorni il Signore mi liberò dalle loro mani e tutto ciò che era nostro ci fu restituito, «per opera di Dio» [1 Pt 2,13] e di «amici fidati»".


Patrizio si esprime copia-incollando citazioni bibliche. Anche Agostino, suo contemporaneo, fa così; era lo stile del tempo; però Agostino era anche un grande scrittore, mentre Patrizio, per sua ammissione, un "peccator rusticissimus", uno che a scrivere non ha mai veramente imparato, ma non essendo un italiano del XXI secolo la cosa non lo inorgogliva, anzi, lo riempiva di vergogna. Senz'altro ausilio che qualche vecchio tomo della Vulgata da usare anche come vocabolario, Patrizio non è che riesca a spiegarsi molto bene. Potrebbe trattarsi di una persecuzione ordita da qualche druido invidioso del successo dell'evangelizzatore, ma anche di un banalissimo sequestro di persona: gli "amici fidati" potrebbero essere guerrieri cristiani pronti a liberare il loro leader, ma anche più prosaicamente i compagni di Patrizio venuti a pagare un riscatto. Patrizio era ricco, forse il segreto del suo successo con le anime fu tutto qui: evangelizzò l'Irlanda comprandosela. Fu un ottimo affare per tutti, non gli costò neppure tantissimo. Quanto? Per spiegarcelo, Patrizio usa un'unità di misura che ci dice molte cose, la "persona". Coi soldi spesi per beneficiare le autorità delle varie regioni, nelle frequenti visite, Patrizio riteneva

di aver distribuito loro una somma non inferiore al prezzo di quindici persone, per far sì che possiate godere di me e io sempre godere» di voi «in Dio» [cf. Lettera di San Paolo a Filemone]..


I vecchi romanzieri russi tradurrebbero "quindici anime", noi oggi diciamo "15 schiavi" e inorridiamo, ma era il quinto secolo, la compravendita di esseri umani era una cosa normalissima; era successo allo stesso Patrizio (al secolo Maewyin Succat, dicono) di essere rapito a 16 anni e trattenuto in schiavitù per sei. Ecco perché, malgrado fosse di famiglia benestante e cattolica (prete il nonno, diacono il padre) non ebbe un'istruzione all'altezza: negli anni in cui i compagni ci davano dentro col rosa rosae Maewyin pascolava ovini per il suo padrone in quell'isola dimenticata da tutti e quindi in teoria pure da Dio. Lui veniva dall'isola più grande, non si sa bene se dall'Inghilterra o dalla Scozia, ammesso che la divisione avesse un senso ai suoi tempi. È il tempo degli Scoti e dei Pitti, quest'ultimi famosi per l'abitudine a dipingersi il corpo con disegni favolosi e forse anche qualche serpente annodato. Solo con le sue pecore, in quell'isola fuori dal mondo, Maewyn riscopre la fede nel Dio dei suoi padri, che fino a quel momento aveva snobbato. Cristo fu forse l'amico immaginario che lo aiutò a non impazzire - fino al giorno in cui lo condusse a una nave che faceva la traversata (continua... sul Post)
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