La Sinistra Intestinale Autonoma

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Una mattina, svegliandosi da sogni contrastanti, il compagno K. si sentì confuso. Il suo stesso corpo gli mandava segni contraddittori: una curiosa sensazione di leggerezza, mai sperimentata prima, si sovrapponeva a un inquietante peso sullo stomaco. La penombra della stanza era rischiarata dal telefono che vibrava in silenzio.
"Che mi sia trasformato in un enorme coleottero?", pensò, e si sorprese nel soggiungere: "Magari". Il telefono insisteva, qualcuno lo stava cercando, probabilmente per litigare. Di lì a poco sarebbe comunque scattato il messaggio della segreteria...
"Pronto, siete in linea con la direzione del Nuovo Partito di Unità Socialista e Ambientalista, lasciate il vostro messaggio dopo il bip".
"Porcaputtana K stacca quella segreteria! Ti devo parlare subito! È importante!"
"Ulrich? Sei tu? Non dovresti chiamarmi, lo sai che siamo ancora in causa per l'attribuzione della sede e..."
"Lascia perdere queste cazzate. Hai visto Tonio ieri sera?"
"Uh, può darsi".
"Lo hai visto o no?"
"Chi lo vuole sapere? Il mio amico Ulrich o il dirigente di zona di Sinistra Unitaria Democratica Ambientalista?"
"Ancora con 'sta storia... non c'è più il SUDA".
"Ah no?"
"Ci siamo sciolti un mese fa".
"Cazzo mi dispiace. E Lotte?"
"Se n'è andata con i Nuovi Comunisti Unitari".
"Uh che brutta gente".
"Ma no, perché, sono due tipi a posto. Stanno in un villino sui viali, hanno anche un cane, un cocker, mi sembra".
"I comunisti unitari?"
"I Nuovi Comunisti Unitari. Tu stai pensando alle Cellule Comuniste Unitarie di tre anni fa, quelli a cui sequestrarono il furgone in Val di Non con le molotov".
"Quelli, giusto, sì, che fine han fatto poi?"
"Non li ha più visti nessuno, in quei boschi non prende il gps".
"Magari si sono radicati nel territorio".
"Seh, certo. Ma insomma Tonio l'hai visto o no?"
"Come faccio a dirtelo... Non so nemmeno in che partito tu militi in questo momento".
"Sono tornato all'ovile".
"Rifondazione Unitaria? Ma non si era sciolta?"
"Nuova Rifondazione Unitaria".
"Avete rifondato la rifondazione?"
"Ci siamo rimessi assieme, è finito il tempo delle scissioni".
"Vi siete rimessi assieme in quanti?"
"Per adesso siamo io, Agatha e Karl..."
"È per questo che stai cercando Tonio? Stai cercando di fottermi il tesoriere?"
"Perdio, K, ma tesoriere di cosa, si può sapere? Il tuo partito ha la sede legale nella tua cameretta in casa dei tuoi, il vostro organo di stampa è un blog che non aggiornate dal 2017..."
"Voi invece ce l'avete, un organo?"
"Senti, non è come tu pensi. Non ti voglio fottere Tonio. È una questione privata".
"Il privato è..."
"...un casino. Agatha è incinta".
"Uh, complimenti!"
"Non stiamo più assieme da sei mesi".
"Sei mesi... vuoi dire il congresso della Sinistra Unita? Vi siete divisi lì?"
"Sintomatico, vero? Lei andò coi comunisti democratici, io rimasi con quella frangia della Sinistra Unitaria che poi si spezzò subito dopo".
"E Tonio cosa c'entra?"
"Tonio e Agatha stanno assieme".
"Questo è impossibile".
"Lo sanno tutti, K., dai".
"Tutti chi?"
"Ma ci vai su facebook ogni tanto?"
"Ho l'account del partito, vedo solo l'attività degli iscritti".
"Cioè non vedi più niente, ci hai fatto caso? Quanti siete rimasti?"
"Quanti? Beh, non devo dirlo a te, comunque Tonio risulta ancora fidanzato con Ines".
"Non posso crederci".
"Come no? Noi del Nuovo Partito di Unità Socialista e Ambientalista siamo persone serie, se ci impegniamo in una relazione..."
"Ines è una spia".
"Eh?"
"E una trotschista della sesta internazionale, il suo vero nome è Else, si era infiltrata da voi per mettervi contro ai Comunisti Ambientalisti Zona Nord Italia".
"I CAZoNI? Non ho niente contro i CAZoNI, sono simpatici, mi invitano sempre su in collina a Natale a festeggiare il sol dell'avvenire..."
"In effetti la missione è fallita e adesso lei si sta riciclando coi Socialisti Unitari Libertà Ecologia Autonomia Duemila".
"Quelli invece sono delle merde, mi devono ancora i soldi della corriera per la manifestazione in Val di Ma. Comunque non ti credo. Ines è una grande compagna, leale e..."
"Si chiama Else. Ci sei andato a letto anche tu?"
"Quando si è uniti nella lotta queste cose succedono".
"Vai tranquillo, quella si è fatta mezza sinistra extraparlamentare in città".
"Stiamo comunque parlando di..."
"Di mezza dozzina di persone, sì, più o meno".
"Quindi Ines..."
"Si chiama Else".
"...Non è più nel mio partito?"
"Non credo, no. i Socialisti Unitari Libertà Ecologia Autonomia Duemila le hanno promesso un posto in lista per il consiglio di circoscrizione, avrà voglia di sistemarsi nelle istituzioni".
"Questo è orribile!"
"Ma dai, comincia ad andare per i trentacinque, non è che puoi restare trotschista tutta la vita, prima o poi ti infiltri nella fessura giusta e..."
"Ulrich, non hai capito. Se Ines se n'è andata..."
"Else".
"Siamo rimasti solo io e Tonio nel partito".
"Sul serio?"
"Ma ieri sera io e Tonio..."
"Mi stai dicendo questo? Siamo arrivati a questo?"
"Abbiamo litigato... sull'opportunità di fare o no una lista comune coi CAZoNI... lui ha sbattuto la porta, ha svegliato mia madre e..."
"Fermo. Resta fermo. Potrebbe essere più grave di quel che sembra".
"Vuoi dire che sta succedendo a me? Proprio a me?"
"Come ti senti in questo momento?"
"Strano. Mi sento molto strano. Leggero e... pesante".
"Respira lentamente".
"In effetti faccio un po' fatica, c'è qualcosa che mi opprime".
"Non accendere la luce! Aspetta".
"Sul serio sta succedendo a me? La Singolarità?"
"Prima o poi sarebbe successo, K. Quando ero nel SUDA temevo che potesse capitare a me. Negli ultimi anni le tendenze scissionistiche che devastano la sinistra italiana hanno superato il punto di non ritorno. Era solo una questione di mesi prima che succedesse..."
"Ma perché proprio a me?"
"Tu sei solo il primo. Il primo partito politico a coincidere con una sola persona. In un certo senso sei una nuova specie vivente, un passo avanti nell'evoluzione".
"Non mi sento affatto bene, Ulri".
"Cerca di vedere le cose in un modo positivo. Non ti senti finalmente... unitario? Ora non devi più lottare per condividere le tue idee. Niente più lotte intestine. Puoi farti tutti i congressi che vuoi, senza aspettare il numero legale".
"Ulri, non respiro".
"Tieni duro".
"Io adesso accendo la luce".
"Non lo so, non mi sembra una buona idea".
"Che cosa potrebbe essermi successo?"
"Non lo so, K., non lo so. Qualcosa che non è ancora successa a nessuno".
"Addio Ulri".
"No, aspetta, K., sto arrivando, io..."
Clic.

Contò fino a tre. Quattro volte. Per un attimo che gli sembrò lunghissimo, non respirò più. E poi accese.
Quello che vide davanti a sé, non l'aveva mai visto realmente. Davanti ai suoi occhi ancora storditi dal sonno, c'era il suo culo.

Il suo culo si era separato dal tronco, si era seduto sulla sua pancia, e meditava sul da farsi.

"Torna con me", bisbigliò K. "Possiamo fare ancora tante cose assieme. Dobbiamo... dobbiamo guardare a ciò che ci unisce, non a ciò..."
Una lungo peto troncò la discussione, annunciando nel contempo la nascita del Partito della Rinascita Intestinale Autonoma Popolare (PRIAP).
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Rinuncia a Cristo e fatti un bagno caldo

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È anche il nome di una porta monumentale di Treviso (e di una casa editrice lì nei pressi).
È anche il nome di una porta monumentale
a Treviso, e di una casa editrice lì nei pressi.
9 marzo - Quaranta santi martiri di Sebastea (320 ca.)

Erano quaranta, giovani e forti (meno uno). Militavano tutti nella Legione XII, fondata da Giulio Cesare, detta anche "Fulminata" per la folgore che portava sui propri vessilli, duemila anni in anticipo su qualsiasi brigata di paracadutisti. La legione nel corso dei secoli si era coperta di gloria ma anche un po' di guano - durante alcune guerre di successione aveva scommesso sul Cesare sbagliato - ed era finita tra le truppe di frontiera, dislocata sul fronte orientale, la tipica destinazione punitiva da usare nelle minacce in caserma: se non fate silenzio vi spedisco nella Fulminata. Verso il 320 si trovavano appunto dalle parti di Sebastea, oggi Sivas, in Turchia centrale, a quel tempo Armenia, una delle zone di incubazione del primo cristianesimo. Quaranta legionari fulminati vengono appunto tratti in arresto con l'accusa di professare questa religione empia e sgradita all'imperatore d'oriente Licinio. Questo è a dire il vero molto strano, dal momento che pochi anni prima Licinio aveva controfirmato col cognato Costantino l'editto di Milano che garantiva ai cristiani la libertà religiosa.

Sia come sia, i Quaranta vengono messi di fronte a una scelta secca: rinnegare la loro fede o morire. La solita storia, insomma, riscattata però dall'originalità del supplizio: ai Quaranta viene proposto il martirio per ipotermia, immersi fino al collo nelle acque gelide di uno stagno. È una morte orribile ma abbastanza lenta, che offre discreti margini di ripensamento: a chi durante il supplizio manifesta il desiderio di rinnegare il proprio dio, viene promesso un bagno caldo. Lo stagno è effettivamente contiguo a uno stabilimento termale romano provvisto di tutti i comfort, un fumante invito a rinunciare Cristo e farsi una bella sauna tonificante (continua sul Post...)
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Tre geni (pure troppi)

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Stasera volevo scrivere un pezzo sull'astuzia di Berlusconi, che appena quattro mesi fa sembrava all'angolo, un pregiudicato ormai fuori dal senato e succube dei falchi del suo partito; e oggi è lo statista che con Renzi ha scritto la legge elettorale, e si trova nella vantaggiosissima situazione di sostenere il governo senza averne l'aria. Ufficialmente è all'opposizione - e non mancherà di farlo presente ai suoi elettori alla prima misura minimamente impopolare; in realtà ha addirittura un ministro nella squadra di governo (Federica Guidi allo sviluppo economico). E la sua influenza rimane forte anche sul Nuovo Centrodestra, un partitino che sa di non avere un futuro oltre la legislatura, se non torna all'ovile del vecchio centrodestra di Arcore. Dividere il partito in due e appoggiare Renzi contro Letta sono state due mosse spregiudicate ed efficaci, che ci hanno restituito il Berlusconi dei tempi migliori; volevo scrivere un pezzo così, ma mi ha preso la tristezza.

Allora ho pensato di scrivere un pezzo sulla furbizia di Matteo Renzi, che prima si è imposto all'attenzione mostrandoci una nuova legge elettorale che sembrava già pronta (e ideale per farlo vincere); poi appena i sondaggi hanno iniziato a dare segnali non buoni, ha cambiato completamente tattica accettando improvvisamente l'offerta berlusconiana di un patto di legislatura. A questo punto la legge elettorale però smetteva di essere una priorità, anzi: tirarla per le lunghe è il sistema più sicuro per assicurarsi che Berlusconi non gli stacchi la spina, visto che probabilmente può. E però ormai la legge elettorale l'aveva promessa, ce l'aveva mostrata, e allora che ti fa? (Continua sull'Unità, H1t#221La taglia in due: la parte sulle Camere si vota subito, la parte sul Senato… con calma, magari nel frattempo si prova ad abolirlo, il Senato. A questo punto la legislatura è davvero blindata: per quanto possano andare bene o male i sondaggi, finché c’è un Senato e la legge elettorale vigente, il PD rimane l’ago della bilancia. Qualsiasi maggioranza uscisse al Senato, avrebbe bisogno del Pd (a meno che Grillo non si mettesse d’accordo con Berlusconi, ma è abbastanza inverosimile). Dividere la legge elettorale in due è una mossa bizantina ma astuta; e mentre la ammiravo, mi ha preso di nuovo la tristezza.

Mal che vada, mi son detto, posso scrivere del genio di Beppe Grillo, che invece di perdere tempo a organizzare un movimento di base, ha lasciato che la base si organizzasse da sé e ha perso una mezza giornata a brevettare il marchio. Adesso può epurare e licenziare chi vuole: la democrazia diretta è tanto bella ma comunque il marchio è suo. E siccome il suo obiettivo è monopolizzare l’opposizione, speculando un po’ sul malcontento popolare, non ha nessuna necessità di tenersi cari i suoi uomini migliori; è l’esatto contrario, può licenziarli tutti e tenersi gli invasati – finché non gli ruberanno la scena, poi licenzierà anche quelli. Nuove leve di signor-nessuno disposti a sobbarcarsi l’incarico parlamentare non gli mancheranno mai; la paga va in gran parte restituita ma il lavoro alla fine non è difficile: si tratta di inveire alla maggioranza mentre la maggioranza fa quel che deve e vuole fare. È il caso di notare che mentre Renzi e Berlusconi a ogni mossa si giocano il destino politico, Grillo può davvero fare quel che gli pare: guadagnare o perdere anche dieci punti in percentuale non gli cambierebbe la vita.
Alla fine ho scritto un pezzo in cui elogio i tre geni della politica italiana, e a questo punto mi coglie il dubbio: se sono tutti e tre tanto astuti; se tutti e tre stanno traendo vantaggio dalla situazione, chi è che invece ci sta rimettendo? Chi è il pollo che siede al loro tavolo? È un pensiero inquietante, ed è ora di coricarsi. Magari evitando di passare davanti a uno specchio. http://leonardo.blogspot.com
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Il film dei Lego È MERAVIGLIOSO!!!

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The Lego Movie (Phil Lord, Chris Miller, 2014)

Allora adesso ti metti comodo lì, sul tappeto, giochi con le tue cose perché papà...
"Papà!"
...deve scrivere la recensione.
"Mi fai un'astronave?"
Adesso non posso. Comunque puoi fartela da solo, voglio dire, che ci vuole.
"Ma io non so come si fa".
Ma che ti importa, improvvisa.
"Guardiamo un cartone sul computer?"
No, il computer adesso serve a papà che deve scrivere la recensione del film dei Lego.
"È meraviglioso!"
Certo, appunto, devo scrivere che è meraviglioso.
"Allora scrivi: M, E, R, A..."
Lo so come si scrive, grazie.
"E allora perché ci metti tanto?"
Perché non basta scrivere che è meraviglioso, bisogna spiegare il perché e il percome, è un pezzo lungo, capisci, e poi bisogna seguire le istruzioni.
"Cioè?"
Cioè per esempio nelle prime tre righe bisogna riassumere la trama del film, stando attenti a non -




"La trama è meravigliosa, cioè all'inizio c'è mister Business che ruba l'arma segreta, no? e poi passano otto anni e mezzo e c'è il protagonista, che non mi ricordo come si chiama, però lui è proprio un omino del lego normale con la faccia gialla, e fa tutte le cose che fanno gli omini normali, cioè lavora in un cantiere con tutti i suoi amici e tifa la squadra locale e ascolta la musica pop che fa È MERAVIGLIOSOOO! però trova un mattoncino diverso da tutti gli altri e allora il poliziotto lo arresta perché vuole sapere dove l'ha trovato ma lui non glielo dice perché non lo sa e poi arriva la ragazza e gli dice tu forse sei lo Speciale e lui dice certo che sono lo Speciale e poi fuggono nel far west e incontrano il mago e poi... stai scrivendo?"
No, non posso scriverlo così.
"E perché no?"
Non va bene, stai raccontando tutto. Se racconti tutto poi la gente al cinema si annoia.
"E allora di cosa parli?"
Eh, se fosse facile a quest'ora avrei già finito. Bisogna esprimere dei giudizi.
"È meraviglioso!"
Sì, ma in modo più dettagliato, per esempio, l'animazione digitale...
“È meravigliosa!”
È senz’altro uno spasso, un tentativo quasi del tutto riuscito di portare nella computer-grafica una spruzzata della cara vecchia estetica della stop-motion…
“EEEEH?”
La plastilina. È un film fatto al computer, ma tante scene sembrano quasi fotografate dal vero, come i cartoni animati di plastilina, ti ricordi?
“I cartoni di plastilina però sono tristi”.
Ma non è vero, sono divertentissimi, aggiungono un tocco di plasticità e realismo che…
“Sono lenti!”



E poi c’è Superman! Gandalf! Abraham Lincoln! L’uomo spaziale! Shaquille O’Neal! Michelangelo! Michelangelo!

Ecco, se posso fare un appunto al film dei Lego, è che il ritmo indiavolato – che pure ha una sua giustificazione narrativa – certe volte non ci lascia neanche il tempo di ammirare la costruzione delle scene, di capire cosa sta davvero succedendo. È come cercare di tener dietro a un bambino iperattivo che –
“Io le ho capite tutte, le scene”.
Appunto. Forse è un limite mio, sotto i dodici fotogrammi al secondo non capisco più cosa succede.
“Però il film ti è piaciuto”.
Sì, perché ha tante altre cose validissime, per esempio la sceneggiatura…
“È meravigliosa!”
…esilarante ed efficace nel contenere la foga citazionista con gag elementari ma ben ritmate, riuscendo a tenere assieme un pubblico che va dai cinque ai cinquant’anni. I due autori e registi, già ideatori di Piovono polpette hanno evidentemente fatto tesoro delle lezioni della Pixar…
“Anche la Pixar è meravigliosa, il mio film preferito è: Cars 2”.
Sì, ma in realtà mi riferisco più alla saga di Toy Story, da cui prende l’idea portante: ridefinire il mondo filtrandolo dagli occhi del giocattolo.
“A me Toy Story fa un po’ paura, il primo”.
Anzi potremmo definire idealmente una “trilogia del giocattolo”: Lego Movie, Toy Story e il sottovalutato Ralph Spaccatutto.
“Ralph Spaccatutto è meraviglioso! Tranne gli scarafaggi che facevano veramente schifo!”
Sì, eh?
“Gli scarafaggi di zucchero e cioccolata! Bleah! Ma perché stiamo parlando di altri film? Non devi scrivere la recensione del film dei Lego?”
Sì, ma è normale mettersi a parlare di altri film, è un modo per allungare il brodo… cioè per suggerire al lettore che non sono l’ultimo arrivato, che so di cosa sto parlando.
“E poi?”
Eh, e poi è un guaio. Non so che altro scrivere.

“Cosa dicono le istruzioni?”
Corpo di mille spingarde.

Dicono che dovrei trovare uno spunto originale verso la fine, qualcosa che nessun recensore abbia già scritto.
“Perché non fai arrivare Batman?”
Batman? In una recensione?
“Batman è meraviglioso!”
Sì ma non posso mettere Batman in una recensione, cioè è proprio sbagliato come concetto.
“Cioè Batman è il fidanzato di Uailstail che era quella che cercava il mattoncino speciale, però Uailstail piace anche al protagonista e tutte le volte che lui e Uailstail si stanno per dare la mano arriva Batman e domanda: cosa state facendo? però Batman è meraviglioso perché per esempio una volta dice a Uailstail che vuole lasciarla per andare a una festa con l’equipaggio di Guerre Stellari e invece è solo una finta perché vuole rubare il reattore dell’astronave di Guerre Stellari così possono costruire l’astronave che però non è l’astronave dell’astronauta blu anni Ottanta, che è quella che volevo costruire io papà hai finito la recensione?”
Aspetta, devo consigliare di andarlo a vedere accompagnati.
“Dai genitori?”
No, da un bambino dai quattro ai nove anni che si metta a urlare di gioia quando partono le astronavi.
“E se uno il bambino non ce l’ha?”
Se non è riuscito a conservarlo un po’ dentro di sé, non è il caso che vada a vedere il film dei Lego.
“Adesso hai finito?”
Diciamo di sì.

The Lego Movie è al Cinelandia di Borgo S. Dalmazzo (20:15), al cinema Italia di Saluzzo (20:00), al Cinecittà di Savigliano (20:20) e, in 3d, al Multisala Vittoria di Bra (20:15). È meraviglioso.
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Forza Bellezza, forza Italia

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Salve, sono uno di quelli a cui La grande bellezza non è piaciuta tanto, per motivi noiosi e banali che non riscrivo. E però magari mi sbagliavo, non me ne intendo e non l'ho neanche più rivisto - fossi nato mezzo secolo prima, magari avrei scritto su un giornalino di provincia che la Dolce Vita era un film senza senso, sono quel tipo di persona. Nel frattempo stasera mi ritrovo a tifare Sorrentino, non so esattamente perché.

Forse per la stessa sindrome scema che mi prende quando gioca la nazionale; oppure perché è l'unico film tra i candidati che ho visto, e quindi la sua vittoria mi risparmierebbe la solita sensazione di essermi perso qualche opera importante che comunque non troverei mai il tempo di recuperare. Può anche essere pura e semplice simpatia per Sorrentino (e Servillo), che tante altre volte mi sono piaciuti di più: insomma è tutto un complesso di cose che mi fa dire forza Grande Bellezza, forza Italia, crazy but beautiful country eccetera. In mezzo a tutto ciò, il dubbio di essermi sbagliato, di non aver riconosciuto a prima vista il capolavoro, si scioglie come una goccia (di fiele) nel mare. Proverò a spiegarmi meglio con una metafora politica.

Salve, sono uno che Renzi non l'ha mai sopportato. Non c'è una sola cosa che abbia detto o fatto, non c'è un solo progetto a cui stia lavorando, che non mi sembri una promessa di disastro. Però magari mi sbaglio, non me ne intendo e non sono nella posizione adatta per capire - fossi nato mezzo secolo prima, sarei stato in grado con lucidità di distinguere i governi che hanno fatto qualcosa di buono da quelli disastrosi? Dire che tifo per Renzi sarebbe troppo. Però se riuscisse a smentirmi, se riuscisse a dimostrarmi che era la scelta giusta, se combinasse davvero nelle prossime settimane qualcosa di buono, credo che ne sarei felice. Nella lista delle mie priorità, quella di avere ragione su Renzi sta molto in basso, parecchie posizioni sotto allo spread, al tasso fisso e/o variabile, al dissesto idrogeologico, ai finanziamenti alla scuola, eccetera eccetera. Se Renzi davvero riuscisse a smentire tutte le cose brutte che ho pensato e scritto su di lui, la consapevolezza di essermi coperto di ridicolo su un blog, per anni, misconoscendo il salvatore dell'Italia, sarebbe l'ultimo, l'ultimissimo dei miei problemi. Per farla breve: spero di sbagliarmi, come sempre. Sono pessimista per inclinazione, mica perché mi ci diverto.

Sono fatto così - potevo farmi meglio - probabilmente mi piacerebbe ,essere quel personaggio che non è né l'avversario del protagonista né un suo gregario; diciamo quello che a metà del secondo tempo prende in disparte l'eroe e gli spiega per filo e per segno tutti i motivi per cui il piano non funzionerà. C'è bisogno anche di personaggi così. Molto spesso basta aspettare dieci minuti e li ritrovi in prima linea.
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L'esplosione controllata di Grillo

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Ma quindi ci potrebbe essere un'altra maggioranza in parlamento, a centrosinistra, con Sel e coi dissidenti M5s? e lo scopriamo proprio il giorno dopo che Renzi e i suoi ministri di centro hanno giurato? A chi in queste ore si morde le mani pensando a quanto siamo stati vicini a un governo antiberlusconiano, vorrei offrire la parziale consolazione di un ragionamento. Le coincidenze non esistono (quasi mai): difficilmente esiste quella che ha visto nel giro di una settimana Renzi salire a palazzo Chigi e Grillo organizzare l'espulsione di quattro senatori. Niente retroscena, soltanto una manciata di osservazioni alla portata di chiunque:

1. Orellana & co. prima o poi sarebbero stati espulsi. Era prevedibile e previsto da Grillo stesso, addirittura prima delle elezioni dell'anno scorso. "Avremo i nostri Scilipoti", diceva, e calcolava di perderne un 10% per strada. Insomma Grillo sapeva (e Casaleggio sapeva) che prima o poi una crisi del genere ci sarebbe stata. Aveva dunque il vantaggio di poter decidere quando scatenarla.

2. Né Orellana né gli altri tre hanno scritto o detto, in questi giorni, cose particolarmente incriminabili. Gli stessi che giustificano la loro espulsione sostengono che il "fuoco amico" di dichiarazioni contro Grillo o la maggioranza del M5S andava avanti da mesi. E però per mesi non è successo niente. In qualsiasi momento Grillo (o Casaleggio) avrebbe potuto porre il problema sulla piattaforma, isolare qualche dichiarazione più o meno eretica dei quattro dissidenti e organizzare il processo. Per molti mesi Grillo e Casaleggio non l'hanno fatto. Poi una settimana fa Grillo ha fatto il suo numero in streaming con Renzi, e improvvisamente quel che dichiara Orellana diventa insopportabile. Forse Grillo in questo periodo è più nervoso del solito (comprensibile): o forse è semplicemente un pretesto.

3. Il precedente più illustre è quello della sconfessione di Favia e della Salsi. In quel caso Grillo fu ancora più padre-padrone: del resto il simbolo è suo, e decide lui se concederlo o toglierlo. Però è interessante notare la tempistica: Favia soprattutto era già da mesi molto critico nei confronti di Grillo (e di Casaleggio). L'espulsione arrivò tre mesi prima delle elezioni. Anche stavolta. Magari è solo una coincidenza. Senz'altro queste crisi interne sono faticose da gestire, e quindi è meglio evitarle nell'imminenza di una tornata elettorale. Meglio ieri che tra una settimana, insomma. Ma perché non un mese fa, tre mesi, un anno?

Perché un mese fa c'era un governo molto più fragile, con un programma molto meno ambizioso (tirare a campare almeno fino al semestre europeo). Un mese fa, o una settimana fa, una scissione anche piccola all'interno tra i senatori del M5S avrebbe creato una reazione a catena incalcolabile. Una settimana fa, o anche cinque giorni fa, una maggioranza coi transfughi M5S e Sel sarebbe parsa davvero credibile. Oggi no: oggi c'è Renzi con un progetto chiaro e una maggioranza che sembra più stabile. Difficile pensare che mandi all'aria un castello appena messo in piedi per un'avventura incerta in un centrosinistra tutto da inventare. Era un'opzione che Bersani aveva vagliato nell'interminabile marzo dell'anno scorso (il famoso "scouting") e che Grillo ha fatto di tutto per evitare. Ci è riuscito.

Ricapitolando: il caos di questi giorni in seno al M5S non è un incidente. È un'esplosione controllata; Grillo (o Casaleggio) sapevano di doverla provocare prima o poi, per dare più compattezza ai propri gruppi parlamentari e un messaggio forte ad attivisti ed elettori. Hanno aspettato il momento giusto: il primo giorno del governo Renzi.

Conclusioni: magari è ancora un dilettante, e non è in grado di reggere un contraddittorio: ma Grillo è un politico bravo. Ha avuto pazienza (chi se l'aspettava da lui), ha saputo trovare il momento giusto e il pretesto giusto. Bisognerà sempre più tenerlo presente, e separare l'immagine pubblica di pazzo furioso dall'esito concreto delle sue azioni.

(Conclusione ulteriore: l'esito concreto delle sue azioni, fin qui, è la permanenza del centrodestra al governo. È un risultato che difende con le unghie).
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Lo streaming dell'incoscienza

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Caro grillino che vieni spesso qui a commentare: non pretendo di convincerti che l'espulsione dei senatori m5s non allineati non sia stata proprio il massimo della democrazia. Anche perché, diciamolo, il problema della democrazia interna non esiste soltanto nel M5S. Ma caro grillino, prova per una volta a metterti in uno come me. Mettiamo che io sia molto scontento della direzione che sta prendendo il PD, che aveva iniziato a governare coi berlusconiani per far fronte a un'emergenza e adesso ci sta prendendo gusto e punta alla fine della legislatura. Mettiamo che Renzi mi abbia deluso coi suoi voltafaccia, anche se ad essere onesto mi piaceva poco anche prima. Mettiamo che io non condivida né i suoi obiettivi, né i suoi metodi, né le sue giacche: forse sarebbe ora che smettessi di votare il Pd. Bene. Per votare chi?

Mettiamo che una sera io avverta una tentazione all'improvviso: votare il Movimento Cinque Stelle. Perché no? Alle europee, magari, per dare un segnale. O per vedere che combinano. È vero, in passato sono stato molto critico della gestione di Beppe Grillo, ma nel frattempo il movimento è cresciuto, ora finalmente c'è una piattaforma e funziona. E si può sempre dare un'occhiata a quel che fanno, per esempio si sono le riunioni dei gruppi parlamentari in streaming... (continua sull'Unità, H1t#220)

Con questo streaming non ci arrivate, al 51%


Caro grillino, mettiti nei miei panni. Deluso dal Pd, mi connetto alla riunione dell’altra sera per vedere come discutono i parlamentari Cinque Stelle. Capito nel mezzo di una rissa tra gente che dopo un anno di lavoro parlamentare a malapena si conosce. Nessuno ha chiaro cosa abbiano fatto questi quattro per essere espulsi. La maggior parte prende parola per chiedere chiarimenti – non c’era modo di reperire le informazioni sulla piattaforma? Lo streaming ogni tanto si interrompe, e a quel punto molti oratori preferiscono interrompersi perché probabilmente temono che altrimenti nessuno li sentirà, fuori da quella sala: ammesso che qualcuno stia tenendo un verbale, chi se lo leggerà? Se non sei in streaming, non esisti. E lo streaming va e viene – e sì che i mezzi non mancano, non dovrebbero mancare: visto che si tratta della democrazia diretta, forse varrebbe la pena trattenere qualche soldo in più e garantire ai cittadini un servizio più professionale. Purtroppo la professionalità non si addice al M5S: chi fa le cose per bene rischia di sembrare più simile a un politico della ka$ta che a un dilettante eletto dal popolo.
Intanto l’assemblea va avanti. Qualcuno prende la parola e domanda di sospenderla perché è stata convocata senza rispettare il regolamento. Non si capisce perché si debba votare l’espulsione di tutti e quattro i senatori in blocco. Chi è che decide tutte queste cose? Dopo il voto ci sarà una consultazione sulla piattaforma: è prevista dal regolamento? Boh. Non si capisce niente. Che cosa hanno fatto di così terribile i quattro dissidenti, a parte esprimere riserve sul comportamento del portavoce Beppe Grillo? È pur vero che espulsioni e scissioni capitano in tutti i partiti, e non è detto che gli altri siano più democratici del M5S. Però, caro grillino, sii onesto: pensi che il brutto spettacolo di questi giorni possa aver convinto anche solo un indeciso o un deluso del Pd a votare per voi?
Poi a un certo punto si fa sentire il portavoce: e in un italiano confuso spara due o tre palle, una più grossa dell’altra. Le “svariate segnalazioni dal territorio” degli attivisti dei meetup che si sarebbero lamentati con lui perché questi quattro senatori “non si vedevano”, certo. Le accuse di aver tramato per un’alleanza con Letta (???); la misera frecciata sui ventimila euro al mese, l’annuncio di una nuova “battaglia” che dovrebbe giustificare la porcata appena commessa. Il M5S potrebbe anche avere un buon risultato, ma quale sarà l’effetto pratico? Mandare a Bruxelles qualche decina di dilettanti come quelli che si stavano scannando l’altra sera? In ogni caso, tra il 25% delle politiche e il 51% che è l’obiettivo di Grillo, c’è uno scalino enorme. Su quello scalino ci sono milioni di potenziali elettori come me, che in Renzi magari non si riconoscono – ma non basta per convincerci a votare per voi. Ci vuole qualcosa di più. Qualcosa che gli ultimi streaming, vi assicuro, non ci stanno mostrando. E finché non si arriva al 51%, il destino di un M5S anche in crescita è quello di costringere i suoi avversari ad allearsi contro di lui: l’esatto contrario di quello che vorrebbe Grillo, forse (forse invece preferisce così, può sbattere fuori chi gli pare e il risultato non cambia).
Ma anche se un giorno arrivasse al 51%, pensate che a quel punto il parlamento funzionerebbe così? Un’assemblea permanente di sconosciuti che chiedono delucidazioni su un ordine del giorno dettato da Beppe? http://leonardo.blogspot.com
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12 anni di solitudine

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12 anni schiavo (12 Years a Slave, Steve McQueen, 2013)

Tornò a casa, scrisse il libro,
fu invitato a molti reading,
forse aiutò diversi schiavi fuggitivi,
denunciò invano i suoi sequestratori,
e un giorno scomparve.
Nessuno sa dove.
Forse lo presero gli schiavisti.
Forse dopo dodici anni così
non riusciva più a stare in famiglia.
Chi lo sa.
Una sera hai bevuto troppo. Ti svegli in catene e scopri che non sei più un essere umano. Ora sei una massa di muscoli senza storia o diritto di parola, a cui è consentito solamente sopravvivere. Un lotto di carne evasa da rispedire in Georgia; la tua famiglia non saprà mai più nulla di te. Perché ci sono così pochi film sulla schiavitù? Wikipedia ne conta appena una trentina, inclusi titoli che hanno poco a che fare con gli schiavi d'America. La stessa fonte conta 180 film sulla Shoah, esclusi i documentari. Perché la schiavitù è nove volte meno cinematograficamente interessante? È semplicemente l'effetto di un senso di colpa ancora non rielaborato dal pubblico bianco americano? Forse c'è qualcosa di più, se anche l'afro-britannico Steve McQueen ha preferito affidarsi a una fonte eccezionale come l'autobiografia del "free negro" Solomon Northup. Nato libero nello Stato di New York, carpentiere e violinista, Northup nel 1841 è vittima di un sequestro di persona. La sua identità viene cancellata e sostituita con quella di uno schiavo fuggitivo. Northup (Chiwetel Ejiofor, che debuttò con Amistad e difficilmente sarà mai più tanto vicino all'Oscar) non è il solo ad avere perso la sua libertà in questo modo, ma è tra i pochissimi che riuscì a riconquistarla, dopo dodici anni, e l'unico che pubblicò la sua storia. C'è persino chi ha criticato McQueen per avere scelto un'angolazione tanto particolare: l'avventura di Northup è una traiettoria eccentrica rispetto alla storia del popolo afroamericano. I suoi compagni di schiavitù sono satelliti lontani con cui è entrato in contatto per un fatale errore, e che non potranno seguirlo verso la libertà. Ognuno - ce ne accorgiamo più volte nel film - ha un suo destino che non può essere diviso con altri.

E d'altro canto Northup ha il grosso pregio di assomigliare a noi, nati liberi, terrorizzati dalla sola idea di perdere il nostro status. Solo il suo punto di vista poteva fornirci quel biglietto per l'inferno (e ritorno) che McQueen voleva staccare. I film sulla schiavitù, forse, non si fanno perché è difficile riuscire a sintonizzare il pubblico sulla stessa onda delle vittime: con la Shoah è più facile? Ma anche nei migliori film sulla Shoah (Spielberg, Polanski), fate caso all'importanza di quei momenti in cui il cittadino medio-borghese scopre all'improvviso di aver perso il suo status di essere umano. McQueen aveva bisogno di qualcosa del genere: mostrarci un afroamericano educato, una bella casa, splendidi figli, una moglie intraprendente. La stragrande maggioranza dei neri nati schiavi non aveva nulla di tutto questo, ma noi non riusciremmo a empatizzare con gente nata e morta nelle baracche. Tarantino ha risolto lo stesso problema inventandosi un pistolero supercool, ma solo a Tarantino è concesso di risolvere in questo modo i problemi (continua su +eventi!)


Il punto è che se non esiste nel film un nero eccezionale, educato come Northup o esplosivo come Django, lo spettatore rischia di identificarsi più facilmente coi bianchi - dal momento che è molto spesso un bianco anche lui. Magari non vorrebbe, perché è uno spettatore civile e democratico, ma non è così difficile sentirsi addosso i panni dello schiavista buono e imbarazzato (Cumberbatch), o del carnefice frustrato (Fassbender). Quest'ultimo sembra proseguire il viaggio nella solitudine intrapreso nel precedente film di McQueen, Shame: il coito è ancora una volta un combattimento facile che ti lascia vincitore di un corpo inerte e sconosciuto. Non sorprende che McQueen abbia reso espliciti i rapporti tra lo schiavista e la schiava Patsey (Lupita Nyong'o), a cui il testo del 1853 alludeva soltanto. Più curiosa è la scena - molto intensa - in cui Patsey chiede a Northup di ucciderla per porre fine alle sue sofferenze. Neanche questa c'è nel testo originale, forse. Dico forse perché può darsi che lo sceneggiatore John Ridley abbia equivocato un passo del libro in cui era la moglie del padrone, gelosa, a chiedere a Northup di uccidere Patsey. Nel lapsus, tutta la nostra incapacità di capire l'alieno, lo schiavo: Patsey è esistita davvero, davvero fu frustata a sangue per aver cercato di procurarsi un sapone. Probabilmente era violentata con regolarità dal suo padrone e malmenata dalla padrona. Desiderava di morire? Non lo sappiamo, ma probabilmente è un desiderio che noi proveremmo al suo posto.

"Dunque, dovresti pronunciarla più o meno così..."
12 anni schiavo è un film che ti mostra cose orribili con una fotografia smagliante, dove tutti - negrieri, schiavi incolti, carpentieri - parlano un inglese stampato, di gusto ottocentesco, che il doppiaggio fatalmente tradisce. È un dettaglio iperrealista (sul set c'era anche un esperto di accenti del XIX secolo), che finisce col rivoltarsi nel suo contrario: non sembra vero che tutti parlassero così. Il libro è ovviamente scritto in un inglese del genere (fu riveduto e corretto da editori bianchi abolizionisti), ma gran parte dei dialoghi non sono riportati in forma diretta. Qualcuno storcerà il naso: quanto a me in questo caso ho preferito l'eloquenza al realismo. Non mi importa se i veri schiavi e i veri negrieri balbettavano: mi sembra giusto che McQueen e Ridley trovino le parole appropriate per ciascuno di loro. Il discorso che mi ha convinto di meno è l'unico che è fedelmente ripreso dal libro: quello di Brad Pitt, il ricco attore-produttore bianco senza il quale un film così difficile non sarebbe mai stato girato. Gliene siamo tutti grati, ma forse avrebbe potuto risparmiarsi il cattivo gusto di comparire sul finale nel ruolo dell'eroico salvatore. In un film dove Giamatti o Paul Dano si contentano di stare cinque minuti in scena e dar voce a odiosi negrieri, Brad doveva proprio riservarsi l'unico ruolo positivo?

Eppure il suo discorso ha una funzione fondamentale. A differenza di quel che può lasciare intendere la locandina, Northup non tenta mai la fuga. Un tentativo narrato nel libro viene rimosso nella sceneggiatura. L'unica strada verso la libertà ammessa nel film è quella interiore: Northup deve rimanere umano, ricordare la sua libertà, i tempi in cui sapeva leggere e scrivere: finché dopo dodici anni di solitudine finalmente il caso gli mette davanti un uomo che questa umanità la sa riconoscere. Quest'uomo è Brad Pitt, e il suo discorso dice, semplicemente, che tutti gli uomini sono stati creati uguali. Lo ha scritto Jefferson in cima alla Dichiarazione. Ma è d'accordo anche lo schiavista Fassbender, salvo ribadire che i negri non sono uomini. Chi ha criticato la mano leggera di McQueen nei confronti della religione (strumento di asservimento degli schiavi...) forse non ha fatto caso al fatto che anche il fondamento dell'uguaglianza, più volte difeso nel film da Northup e da altri, è religioso: senza nozioni di evoluzionismo o dna, l'unico garante di questa uguaglianza è quell'Ente supremo che Jefferson prudentemente aveva lasciato in controluce. Siamo tutti uguali perché Lui ci ha creato così: è davanti a lui che lo schiavista dovrà rispondere di aver frustato una povera ragazza. Forse non è lo stesso dio arcano evocato dagli schiavi negli spiritual, ma è ancora oggi un assioma che la società non discute, non se lo può permettere. Tutto il resto sono dispute nominalistiche, anche oggi, quando ci diciamo convinti che tutti i cittadini siano uguali - ma non tutti sono degli di essere chiamati nostri concittadini. Quelli che raccolgono i pomodori per pochi euro alla giornata quasi sicuramente non lo sono. Possiamo passare due ore al cinema a vedere un film di schiavi senza neanche sprecare un pensiero per loro.

12 anni schiavo è al Fiamma di Cuneo (21:00), al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo (20:00, 22:45) e all'Aurora di Savigliano (21:15).
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Discorso di insediamento

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Signori cittadini,
onorevoli,
presidente,

allora io l'altro giorno uscendo nel parcheggio, era tardi, avevo voglia anche di andare a casa, però vedo una mia collega seduta sul muretto disperata che non sa come fare perché qualcuno le aveva parcheggiato davanti, cioè se facevi un pezzo di manovra nel pratino ce la potevi anche fare, secondo me, a uscire di lì, io perlomeno secondo me ce l'avrei fatta, sono un po' pratico perché anche nel mio palazzo c'è poco posto e a volte mi tocca lavorare di fioretto tra il marciapiede e l'aiuola, però un conto è dire e un conto è fare. Allora gliel'ho detto, guarda, secondo me ce la posso fare, io, se mi lasci le chiavi, se ti fidi, io una manovra così te la posso fare, ne faccio a casa mia quasi tutte le settimane. E lei: va bene, allora io guido e tu mi indichi da dietro. E io no, guarda, non ce la faccio a indicarti da dietro, perché se ti devo spiegare come si fa, non sono capace a spiegarti le cose: però se mi lasci le chiavi, ti fidi, mi siedo io, guido io, è una cosa che so fare, ma con l'istinto, capisci, se mi siedo io al tuo posto ce la faccio, ma se perdiamo tempo con io che ti spiego e tu che cerchi di capire, non ne usciamo, finiamo che s'incastra pure peggio di così. E tanto ho detto che alla fine l'ho convinta e mi sono seduto al suo posto.

Ho girato la chiave nella macchina, ho ingranato la retromarcia, però la retromarcia non partiva. Partiva la quinta e il motore si spegneva. Ho provato una volta, due volte, poi ho provato a ingranarla dalla parte sbagliata perché a volte certe fiat lo sapete che hanno il pomello delle marce con l'indicazione della retromarcia sbagliata, perlomeno una volta ce l'avevano, quelle usate, boh. Ma partiva la prima, che è sempre meglio della quinta, però non è la retromarcia. Allora ho messo la testa fuori dal finestrino e gliel'ho pure chiesto, scusami, eh, però non trovo la retromarcia, si può sapere dov'è? E lei me l'ha detto, e ci ho riprovato, ma continuava a partire la quinta. Oppure la terza. La retromarcia, no.

E allora niente, cari cittadini, immaginate come mi stavo sentendo, ero anche stanco, avrei voluto andare a casa, e invece mi trovavo bloccato in una macchina che non avevo neanche incastrato io, e mi ci ero messo io in quella situazione, avevo voluto fare il fenomeno, quello che riesce a fare una cosa che non sa neanche spiegare come si fa, ed eccomi in una situazione in cui non trovavo nemmeno la retromarcia, le stavo provando tutte, nessuna era la retromarcia, e non riuscivo nemmeno a farmi spiegare dov'era, signori cittadini.

E insomma niente, quello è stato il momento della mia vita in cui mi sono sentito più Matteo Renzi.
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Canzoni ascoltabili a Sanremo (2)

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(Ovviamente ce ne sono tantissime altre. Magari un'altra volta).


3. Delirium, Jesahel (1972)

Mille volti come sabbia del deserto; mille voci come onde in mare aperto. Tra le tradizioni antichissime del festival, c'è quella del gruppo che sembra arrivato da un altro pianeta: vent'anni prima dei Bluvertigo (e dei Subsonica, e di Elio), Fossati e Prudente avevano già capito tutto occupando il palco del Casinò con un'orda di fricchettoni scritturati per battere le mani ("parenti e amici", si premura di informarci Mike). E quando tutto sembra ormai degenerato in follia mistica, non resta che estrarre il piffero - sì, siamo appena entrati in quella manciata d'anni in cui il flauto traverso è uno strumento spaventosamente sexy che le rockstar impugnano con debordante voluttà. Anche grazie a questa baracconata in diretta Jesahel vendette milioni di copie, una cosa che a distanza di 40 anni la mente si rifiuta di concepire. In effetti è un pezzo che può piacere immensamente o causare choc anafilattici; il prog italiano è uno degli ingredienti di partenza, ma Jesahel risale la corrente, verso i raga indiani, in un esperimento di autoipnosi collettiva. Liberati dal cemento e dalle luci, il silenzio nelle mani e nelle voci. Sembra il finale di Tommy, ma in diretta davanti ai borghesi in abito da sera. Quell'anno vinse Nicola Di Bari con una canzone che non ho mai sentito; Jesahel arrivò sesta superando in scioltezza Mi ricordo montagne verdi e Piazza grande. Nel '72 Jesahel sembrava più interessante di Piazza Grande.



2. Matia Bazar, Souvenir (1985)

Una lirica, incredula canzone di facile presa? Uhm. Come Toto Cotugno, Antonella Ruggiero ha partecipato a millanta festival, ma ne ha vinto soltanto uno di quelli sfigati di fine anni Settanta che non si filava più nessuno - peraltro con una canzone in cui non era nemmeno voce solista, ma ditemi voi. Antonella Ruggiero è tuttavia un'interprete straordinaria (di Toto non lo direi), a mio ignorante parere la più grande che abbiamo, e non c'è un'edizione che non avrebbe meritato di vincere. E siccome sarebbe scontato chiudere la discussione con Vacanze romane (un pezzo non si accontenta della ricetta sanremese che prescrive di far convivere rock e lento ma va oltre in entrambe le direzioni, rimontando Puccini ed elettropop), mi gioco Souvenir, un'altra romanza elettronica di cui nessuno si ricorda. In quel momento i Matia Bazar sono un gruppo straordinario che l'Italia ha svezzato nei più plumbei anni Settanta ma che non si merita: fanno avanguardia ma anche pop sfacciato, si permettono di far convivere discoteca e qualità senza menarsela. Ancora un anno e gli autoscontri d'Italia pomperanno nelle casse Ti sento, magari nella versione inglese per darsi un tono (o in spagnolo per quel tocco di tamarro in più). Nel 1985 si accontentano di far scendere Antonella dalla scalinata con un capolavoro di canzone orecchiabile e incantabile, provvista di arrangiamenti che guardano il mondo extraitaliano a testa alta. Quell'anno a Sanremo passarono Duran, Spandau, Frankie Goes To Hollywood, Talk Talk; il concorso lo vinsero i Ricchi e Poveri (Se n'innamoro), secondo Luis Miguel (Noi ragazzi di oggi di Cotugno), sesto Ramazzotti (Una storia importante), ventunesimo Zucchero con Donne dududù. Verso il fondo ci sono anche Banco e New Trolls. I Matia arrivano decimi e prendono il premio della critica. Forse non abbiamo più avuto niente di meglio.



1. Patty Pravo, Per una bambola (1984)

L'ho cercata sopra il colle, la mia piccola ribelle. Negli anni delle basi elettropop registrate, Patty Pravo irride il playback ignorando del tutto il microfono, accompagnata con una chitarra, un organetto e poco più: sarà anche questo il motivo per cui Per una bambola sembra composta e interpretata ad anni luce di distanza da Terra Promessa, da Ci sarà, da Non voglio mica la luna. Quando parliamo di canzoni siamo tutti tanti piccoli Red Ronnie, tanti piccoli Paolo Limiti con tanta voglia di contestualizzare, di spiegare a un pubblico che si presume giovane e/o ignorante perché la data canzone aveva un senso in quel momento storico, i germi di futuro che contiene, le tracce di passato che ci consente di recuperare, eccetera eccetera. Poi ogni tanto ti imbatti in canzoni come Per una bambola, e ti viene voglia di mandare alle ortiche tutta la contestualizzazione, indossare un panciotto da critico crociano e tagliarla breve: Per una bambola è una perla senza tempo: era bella nel 1984, lo sarebbe stata dieci anni prima, lo è oggi, lo sarà tra cent'anni. Persino il fatto che parli di una giovinezza perduta, e di quanto sia patetico richiederla indietro; persino se non l'avesse voluta cantare una ex diva che tentava un rilancio, Per una bambola sarebbe ugualmente misteriosa e incantevole. Non voglio dire che me ne accorsi subito, quell'anno tifavo purtroppo Toto Cotugno che arrivò secondo dietro ad Albano e Romina; e però se a distanza di trent'anni mi capita ancora di attardarmi davanti alla tv e dare una chance a qualsiasi cantante salga su quel palco, è ancora colpa di Maurizio Monti che scrisse Per una bambola, la diede a Patty Pravo e m'insegnò che la bellezza può scendere le scale in qualsiasi momento, consegnata dalla persona da cui meno te l'aspetti. Mi hanno detto che la tratti male, come mai? Fammi sapere se è vero, torno a prenderla.


(Bonus:) Banco, Grande Joe (1985).
Stavo pensando a come finire questo post ieri sera, quando Fazio ha annunciato la scomparsa di Francesco Di Giacomo. È stato inevitabile ricordare la prima volta che lo vidi e lo sentii cantare in tv, proprio a Sanremo, nel 1985. Grande Joe, a riascoltarla, non mi pare una gran canzone; ma ricordo che resistetta a lungo, su un nastro registrato davanti alla tv, mentre molte altre canzoni prima e dopo venivano cancellate e sovraincise. Prima di scoprire Io sono nato libero sarebbero passati molti anni, e ancora oggi ho la sensazione di non aver fatto tutti i compiti. A quel tempo farsi una cultura musicale era un po' più difficile: non voglio dire che Sanremo mi aiutò, ma almeno non dovevo più chiedere chi fosse il Banco.


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