Mentre Salvini rifà l'Impero, ti offro un caffè

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Certo, si potrebbe risolvere il problema come dice Salvini: cioè in pratica... sbarcare in Libia, Tunisia, Egitto, e occuparne tutta la regione costiera. L'ultima volta che ci siamo riusciti ci chiamavamo ancora Impero Romano, ma se vi sembra un'alternativa praticabile, perché no.

Oppure potremmo limitarci alla proposta più terra-terra della Santanchè, che in sostanza propone di monitorare la costa africana 24 ore su 24 con aeroplani pronti ad affondare qualsiasi barcone prima che lasci il porto. Toccherà immagino acquistare qualche f35 in più, ma se dite che conviene avrete senz'altro fatto i vostri conti.

http://www.ansa.it
Se invece non ne potete più di ascoltare proposte del genere dal collega, o dall'amico, o dal conoscente al bar o su facebook, c'è una cosa molto semplice e tranquilla che potete fare: lasciatelo parlare e offritegli un caffè. Va bene anche quello alla macchinetta.

Quello a un certo punto dovrà pur smettere di parlare di barconi e invasioni ed Eurabia per accostare al labbro la tazzina: ecco, profittate di quel breve momento per spiegargli quanto gli costava l'operazione Mare Nostrum (quella che ha salvato 160.000 migranti in un anno). Un caffè al mese. Quel caffè.

Che moltiplicato per 38 milioni di contribuenti italiani, per 12 mesi, ha evitato per un anno disgrazie come quella di ieri. Bastava un caffè.

Ma forse conviene mandare gli f35 in rotazione. O rifare l’impero Romano. Lo saprà bene Salvini, avrà fatto i suoi conti.
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Ne uccidiamo più dell'Isis

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È una relativa fortuna che i cristiani d’Africa non abbiano grandi possibilità di accedere alle dichiarazioni di Giorgia Meloni, o agli editoriali del Giornale. In caso contrario avrebbero avuto, almeno fino a ieri, la netta sensazione di essere al centro delle preoccupazioni dei loro correligionari italiani. E in effetti i cristiani africani interessano alla Meloni o a Salvini, ma solo quando muoiono per mano di qualche islamico. Se annegano sono meno interessanti.

Anche la Santanchè: non è che li vuole morti (anche se non le dà certo fastidio che qualcuno lo pensi). Magari è davvero convinta che intercettare i barconi coi caccia costi meno che soccorrerli.

A proposito di massacri. C’è chi sostiene che Stalin e Mao siano da giudicare sullo stesso piano di Hitler: per quanto i loro massacri fossero meno pianificati, e più spesso risultato di negligenza e scarsa organizzazione. Sono d’accordo: tendo a giudicare le persone dai risultati, più che dalle intenzioni. Credo che nel futuro sempre più persone la penseranno come me: e riguardo alle stragi di cristiani intorno al mediterraneo, non faranno tutta questa differenza tra integralismo islamico e xenofobia italiana. Ha ucciso più cristiani Al Qaeda, o la negligenza del ministro Maroni? Più l’Isis, o la decisione di sospendere Mare Nostrum (900 vittime in un solo anno)? La conta dei morti non si potrà mai fare, anche perché il battesimo non lascia segni. Dio magari i suoi li riconosce, ma per il mare sono tutti morti uguali.
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Le due verità del poliziotto

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Su almeno una cosa avevi ragione: esistono sempre due verità. La prima ti fa grosso con gli amici; la seconda ti salva il culo quando rischi il posto.

Quindi è vero che eri alle Diaz; però è vero che non hai picchiato nessuno.

È vero che volevi contrapporti "con giovane vigoria", ma è vero che "fu tortura", "fu uno scempio".

È vero che tu e i tuoi colleghi si sentono i "perfetti capri espiatori", ma è vero che nessuno di loro ha pagato un bel niente fin qui: e anche tu, se fossi stato solo un po' più attento con facebook, l'avresti passata ancora più liscia. Esistono sempre due verità.

Io per esempio dovrei essere contento. Ho visto un tizio che faceva lo sbruffone, e poi l'ho visto costretto a fare dietro-front. Spettacolo istruttivo e un po' liberatorio. Questo è vero.

D'altronde.

Prima sapevo solo che mi odiavi; adesso so che all'occorrenza puoi cambiare verità, e tradire anche te stesso. Avrai ancora qualche temporaneo fastidio e poi tornerai in servizio. Se mi troverò davanti a te, che verità sceglierai? E chi potrò chiamare, in quel momento? Di chi mi potrò fidare?

Qualcuno in seguito potrà sempre dire ai giornali che c’era e non ha visto niente - e agli amici che lo rifarebbe.
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La scuola sciopera? Sul serio?

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Se davvero il 5 maggio si farà uno sciopero unitario della scuola, sarà il primo dal 2008. I miei studenti di allora fanno l'università. Erano i tempi della Gelmini: le LIM che regalò perdono i pezzi. Le subentrò Profumo, che propose di aumentarci di un terzo l'orario a 0 euro. Poi si rimangiò tutto e nemmeno quella volta si fece uno sciopero unitario. Arrivò la Carrozza e adesso c'è la Giannini - e forse per la prima volta dopo 7 anni sciopereremo assieme. Quelli che scioperano ancora: molti colleghi non ci credono più. Qualche volta se non si riesce a prendere un permesso si dà un'occhiata alle comunicazioni, hai visto mai che qualche sigla sia in sollevazione, un cobas o una gilda. Ma scioperi veri, quelli che chiudono le scuole - chi li ha visti mai, chi se ne ricorda.

Per tutti questi anni, ogni volta che avete sentito dire che questa o quella riforma sulla scuola erano stati bloccati dalle proteste compatte degli insegnanti, avete sentito una verità molto parziale - se non una pietosa bugia. Nessuno sciopero è stato particolarmente riuscito, nessuna sollevazione avrebbe bloccato nulla, se dall’altra parte ci fossero state proposte chiare e una determinazione politica. Ma non c’erano. Per molto tempo, l’ostilità della classe docente è stato un comodo alibi per una politica che alla scuola non voleva davvero metter mano. Era più comodo sparare proposte impossibili e poi lamentarsi dell’ostilità dei prof. Almeno questo equivoco finisce il 5 maggio. Forse.
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Se anche Moretti ha perso le parole

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Mia madre
(Nanni Moretti, 2015).

Spesso penso di non avere grande capacità, per questo mestiere. Supplisco girando molte inquadrature, lavorando con gli attori, ma non credo di avere molto talento. Peccato.

Almeno una volta Nanni Moretti credeva di avere sbagliato film. Reduce da una malattia grave, si era messo a girare una cosa molto semplice, un corto da proiettare in un solo cinema; alla fine un po' perplesso si ritrovò in mano un film intero e lo presentò a Cannes. Vinse la palma d'oro.

Qualche anno dopo gli capitò di andare a una manifestazione senza niente da dire. La manifestazione era male organizzata e lui veramente non sapeva cosa stava facendo lì. Gli chiesero di salire sul palco, di dire due parole. Dieci minuti dopo era il leader dei girotondini.

 "Scusa, sono un po' agitato. Non sono abituato, non mi rendo nemmeno bene conto di quel che è successo. È successo, così. No, no, non ero arrabbiato. Ero stupefatto, poi ero sul palco, poi ho parlato. Ho parlato molto?" No, non molto, due minuti. "E cosa ho detto esattamente?"

È un problema più nostro che suo: abbiamo bisogno di Nanni Moretti, più di quanto lui abbia bisogno di noi. Il perché non è chiaro ma potrebbe trattarsi di una ragione banalissima - la statura. È un bell'uomo, alto, che senza sforzo apparente attira l'attenzione su di sé. È il primo a saperlo e a soffrirne. Quel tipo di sagoma rassicurante da cui ci aspettiamo parole serene, tranquille, ponderate, che lui quasi sempre non ha. Lui poi ha un alto senso della dignità, che gli impedisce di abbassare la guardia come una volta. Non può più dare di matto, anche se era la cosa più divertente, né scappare disperato all'inseguimento delle merendine che furono. Al suo posto metterà un alterego trasparente e più fragile, Orlando o Piccoli o la Buy. Per sé ritaglierà un ruolo laterale, sempre più simile all'immagine mentale che abbiamo tutti del Nanni Moretti adulto: un superego distinto in un maglione con le toppe che affronta i problemi della vita con serenità; e se va a pezzi, lo fa con molta dignità, su una panchina.



Però anche questo signore sulla panchina a un certo punto ce lo dice molto chiaro: non sa più cosa dire (continua su +eventi!) Non è la politica che ci sta togliendo le parole. Non è il neoliberismo e le bieche multinazionali che si comprano le fabbriche in cui non siamo mai entrati davvero. Ad ammutolirci è la vita, la normalissima vita fatta di bollette del gas e lavatrici che perdono acqua e rovinano il parquet, rapporti di coppia che non vanno da nessuna parte, genitori che muoiono senza chiedere il permesso e figli che non si applicano e non capiranno mai Lucrezio, ammesso che sia importante capire Lucrezio o anche soltanto discuterne. La vita ci riduce a uno schifo, e non c’è niente che Moretti possa farci, tranne un altro film su un lutto (il terzo contando Caos Calmo) – d’altro canto ci ha promesso solennemente di parlare soltanto di quello che sa, e quindi parlerà per l’ennesima volta di un regista come lui, di nuovo alle prese con un film che non sta venendo bene. A un attore metterà in bocca che il cinema fa schifo, che è una perdita di tempo; e il regista un dittatore incapace a cui dicono tutti di sì anche se in realtà non sanno cosa vuole, e non lo sa nemmeno lui. Ma sul serio credete che io sia bravo? Che io sappia dirigere? Si vede che non ne sapete niente di cinema. Probabilmente.

D’altro canto forse non abbiamo davvero voglia di vedere bei film. Forse abbiamo più voglia di sapere come stai. Ti abbiamo sempre voluto bene, non ci è chiaro il perché ma è così. Magari davvero sei quel compagno di classe alto dietro al quale amavamo nasconderci quando la prof interrogava. Ogni tanto ci piacerebbe venirti a trovare, ascoltare i fatti tuoi e raccontarti i nostri, perché qualche volte ci hai dato l’impressione di interessartene, ci hai fatto sentire importanti. Ci hai regalato parole e immagini di cui non hai idea di quanto avessimo bisogno – anche quando sostenevi di non aver niente da dire, buttavi lì una mezza frase e ci restava in mente per anni; non si è mai capito come facessi, ma ha sempre funzionato. Ci dispiace che se sei triste, ci dispiace che hai perso la mamma; anche un po’ egoisticamente per noi, che speravamo in un film un po’ più allegro, e adesso dovremo aspettare chissà quanti altri anni. Di cinema, davvero, non ci intendiamo, ma anche quando ti gira male dai sempre l’impressione di essere il migliore sulla piazza, sai? Non abbiamo neanche il coraggio di chiedertelo, ma ci piacerebbe tanto se la prossima volta osassi un po’; se per una volta provassi a parlare di qualcosa che non conosci. Un film di astrofisica, ti immagini Margherita Buy che non riesce ad avere relazioni di coppia, però nella stazione spaziale orbitante? Oppure Il ritorno della mamma di Freud, o Cataratte 2, o il canovaccio di Militanza Militanza però ambientato in un MeetUp grillino. Qualunque cosa tranne l’elaborazione del lutto, ecco, con l’elaborazione del lutto siamo a posto così, davvero, grazie.

Mia madre è al Cityplex di Alba (20:00, 22:15), all’Impero di Bra (20:20, 22:30) e al Fiamma di Cuneo (21:10)
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Il sogno di Almirante

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L'Italia non si è ritrovata repubblica parlamentare per caso. A monte di questa scelta, l’orrore per ciò a cui ci aveva portato la mistica dell'uomo forte. La sospensione dei diritti civili; la stagnazione economica; le sciagurate avventure coloniali; le leggi razziali; la folle idea di entrare in una guerra mondiale salendo sul carro armato del vincitore. A lungo nessuno osò più parlarne, fuorché Almirante e i suoi nostalgici. Più tardi Craxi pensò che gli italiani si fossero lasciati alle spalle i fantasmi e fossero pronti ad apprezzare un po’ di decisionismo leaderistico. Sbagliò tempo (di poco).

La fiaccola presidenzialista passa a Berlusconi, che - constatata la difficoltà di far passare una riforma tanto radicale - è il primo a proporre presidenzialismi camuffati. La riforma Calderoli (2005) obbliga le coalizioni a scrivere sulla scheda il candidato premier. Un’evidente forzatura della costituzione: spetta al presidente della Repubblica nominare il capo del governo, dopo aver consultato il parlamento che rappresenta gli italiani senza vincolo di mandato. Abbiamo poi scoperto che era una legge incostituzionale.

E l'Italicum? I cittadini voteranno Renzi, e la mattina Renzi salirà a ricevere l'incarico da Mattarella. Un atto dovuto che renderà pleonastico lo stesso Mattarella, e la cerimonia seguente con cui deputati scelti su liste stilate da Renzi voteranno la fiducia al governo Renzi - nel caso in cui vinca le elezioni: il che, viste le alternative, è persino augurabile.
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Perché non lo chiami presidenzialismo, Matteo Renzi?

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Ancor prima del contenuto dell'Italicum, a infastidirmi è il pacchetto. Ovvero: se Renzi dichiarasse: “Sai che c’è? La repubblica parlamentare ha stancato, passiamo al presidenzialismo!” almeno ne apprezzerei la sincerità. E potrei obiettare che condivido la diffidenza dei padri costituenti nei confronti dell’uomo solo al comando. D’altro canto di repubbliche presidenziali ne esistono tante, e per lo più non si tratta di Stati totalitari. Alla Francia è già successo di passare da parlamentare a presidenziale, e il risultato non è stato catastrofico. Quindi se Renzi pensa che una cosa del genere possa andare per l’Italia, potrebbe dirlo.

Invece si guarda bene dal chiamare presidenzialismo il pacchetto che ci sta vendendo. Come Berlusconi prima di lui, che si contentò di stampigliare il suo nome sul simbolo del partito, e sostenere (non a torto) che la gente votava per lui e non per il partito. Renzi vuole a tutti i costi che gli elettori conoscano il nome del vincitore la sera delle elezioni: il parlamento avrà un ruolo pleonastico, e comunque sarà in buona parte composto da persone scelte da lui. Da cui il sospetto: ma se il presidenzialismo è davvero un prodotto così buono, perché non lo chiami col suo nome? È anche una questione di rispetto. Se ha il collo di una giraffa, le orecchie e le zampe di una giraffa, perché non ammetti che mi stai vendendo una giraffa? O mi credi un cretino o... non mi vengono alternative, mi sa proprio che mi credi un cretino.
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Ma cos'è questa storia che non possiamo insultarvi su facebook?

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Ieri Tortosa era fiero d’essere stato alle Diaz e lo avrebbe rifatto 1000 volte; appena Repubblica se n'è accorta ha fieramente cancellato il suo scritto su Facebook, (probabilmente lo cancellerebbe altre 1000 volte). Al telefono ha spiegato che era là ma non ha visto niente, non sa niente, è stato travisato. Finirà sotto inchiesta, una gran seccatura, e tutto questo perché? Ha solo scritto che loro poliziotti ci odiano perché non abbiamo la tuta e siamo radical chic. Ha scritto quel che pensa. È colpa sua se non ha capito che Facebook è un luogo pubblico, e che occorre riflettere prima di rovesciarvi scemenze da bar?

Non è una domanda retorica.

È la stessa che sollevava ieri Gramellini: in fin dei conti cosa ha fatto la povera Paola Saluzzi? Ha scritto che Alonso è un imbecille. Vabbe', spiega Gramellini, "gli ha dato dell’imbecille su Twitter, non in tv". È solo Twitter! Adesso non ci si può più dare dell'imbecille su Twitter? E Alonso osa prendersela? E Murdoch sospenderla? Ma mica per buona educazione, sapete, solo per “gli interessi economici”. Cioè al giorno d’oggi l’educazione serve anche a fare affari, signora mia. Ma davvero uno se la può prendere per un imbecille su Twitter?

Anche questa non è una domanda retorica.

Sono due domande sceme. No, non potete offendere chiunque in pubblico. No, se qualcuno se la prenderà non potrete sempre contare sulla solidarietà della vostra categoria. Ai vostri figli perlomeno lo stiamo insegnando: speriamo che a casa ve lo spieghino.


(Ma non avevo dubbi, guarda).
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Gira di notte e ti succhia l'anima

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Lo sciacallo (The Nightcrawler) Dan Gilroy, 2014


"Qualcuno una volta ha detto che non capisco le persone. La psicologia, insomma. Posso garantire che non è così. Io passo il tempo a capire le persone. Mi mescolo tra loro, osservo i loro comportamenti, ascolto i loro discorsi, e imparo. Non ho avuto un'istruzione convenzionale, ma imparo molto in fretta. So contrattare. Sono in grado comprendere rapidamente le attese del mio interlocutore, il che mi consente di calibrare con più efficacia i miei messaggi e ottenere in breve tempo quello che mi serve. Perciò è errato sostenere che non capisco le persone".

È solo che non mi piacciono.

Lo sciacallo è un alieno... (continua su +eventi!) Uno serio, intendo, non di quelli che dopo un po’ diventano sentimentali e si affezionano. Molto più credibile della Johansson in Under the Skin, Jake Gyllenhaal non solleva mai la maschera. La prima volta che lo vediamo sta rubando il rame in un cantiere, alla base della catena alimentare. Ma ha già quegli occhi finti che sembrano dipinti su palpebre chiuse. Non ha famiglia né origine; è rapido e spietato, si adatta alle situazioni e non si accontenta mai. Dal furto di oggetti a quello di immagini sul luogo del disastro, il passo è quasi logico. Ma parassitare le nostre peggiori abitudini mediatiche non gli basta: lui vuole andare oltre, mostrarci la via.

Qualcuno ha paragonato la prova di Gyllenhaal a quella di De Niro in Taxi Driver, e soprattutto in Re per una notte: la caricatura del self made man germinato dal nulla e disposto a qualunque cosa, strano fungo cresciuto una notte nella jungla sociale. Gyllenhaal purtroppo non può contare su una storia altrettanto buona: Dan Gilroy, al suo esordio in regia, si preoccupa forse eccessivamente che passi il messaggio polemico nei confronti del sensazionalismo della cronaca nera; in realtà mostra più talento per le scene d’azione (fantastici inseguimenti) che per la didascalia sociale. Il finale è un po’ ridondante, ma almeno non è il tipico finale hollywoodiano. Gli alieni sono in mezzo a noi, come noi, in certi casi siamo noi.

Lo sciacallo è al Cinema Aurora di Savigliano oggi 15 e domani 16/04/2015, alle 21:15. Buona visione!
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Il poliziotto che pestava ragazzi disarmati con vigore cameratesco

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Sarebbe più interessante se fossero i poliziotti a raccontare cosa fu Genova per loro, mi dicevo. Lunedì ho letto di Gianpaolo Trevisi, che era là fuori a mettere la faccia davanti ad Agnoletto, e per l’occasione ha proiettato Diaz ai suoi allievi, invitandoli a riflettere sul fatto che “nella maggior parte dei film o delle serie televisive, grazie alle quali molti amano la Polizia, è quasi tutto inventato e nell'unico, forse, unico film che ci distrugge è tutto drammaticamente vero, in quanto basato su fatti processualmente verificati”.

Vedi che qualcosa è cambiato, mi sono detto. Ma proprio allora inciampo in un altro poliziotto che ci informa che lui quella notte c’era, e che lo rifarebbe mille volte: altri mille denti cavati a mille studenti disarmati? Finalmente, tra gli insulti a chi è abbastanza morto da non poter replicare, scopriamo perché bisognava assolutamente pestare a sangue gente in sacco a pelo:

“Quello che volevamo era contrapporci con forza, con giovane vigoria, con entusiasmo cameratesco a chi aveva, impunemente, dichiarato guerra all'Italia, il mio paese".

Caro poliziotto, mi spiace se ora finirai nei guai soltanto perché hai voluto essere sincero su facebook. Mentre quando spaccavi ossa nessuno ti ha fatto niente. Il punto è che tu pensavi di contrapporti con forza e giovanile vigoria, ma quel che è successo è che hai bastonato degli indifesi disarmati. Non ti sei coperto di gloria, ma di un’altra cosa. Tu e lo Stato che magari da stasera non rappresenti più.
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