Il principe della musica vinile
23-04-2016, 03:40coccodrilli, musica, omofobie, Ottanta, razzismi, scuolaPermalink
Lo so che è troppo significativo per essere vero, ma ricordo precisamente quando fui messo al corrente dell'esistenza dell'entità musicale chiamata Prince: fu nell'aula musicale della mia scuola media, perché alla parete c'era un cartellone di quelli di terza. Uno di quelli che sono il risultato del compromesso al ribasso tra un prof di educazione musicale e una classe vivace, composti completamente di titoli e foto di riviste musicali, da Ciao 2001 a Sorrisi e Canzoni; in particolare ricordo benissimo un titolo: È "PRINCE" IL NUOVO RE DEL VINILE. Me lo ricordo perché già in prima media mi sembrava curioso che un tizio chiamato Prince fosse acclamato re, e soprattutto perché io non avevo ancora un'idea precisissima di cosa fosse il vinile. Ancora per qualche anno continuai a pensare che poteva trattarsi di un genere musicale, come il twist o il rap.
Le foto, se ricordo bene, erano repertorio del periodo di Purple Rain, moto e chitarroni. E basta, probabilmente in giro avevo già sentito qualche pezzo di Prince ma non potevo saperlo. Però quell'estate su videomusic ruotò ossessivamente Paisley Park, un pezzo di cui non mi sono più liberato, con un video che faceva venire il mal di testa. Devo aver pensato che era quella, la musica vinile, e che andava contro molte delle mie abitudini, ma tutto sommato non mi dispiaceva. Non pensiate che oggi i ragazzini imparino le cose più facilmente. A monte di tutti i vostri ricordi, di tutte le nozioni che vi fanno sentire individui con una storia personale, c'è un magico momento che avete dimenticato, la soglia tra il Non conoscere e il Venire a conoscenza, tra il Non-averne-mai-sentito-parlare e l'Ah-ecco-cos'era. È quell'onda molto particolare che cavalchi nella scuola media. Se dici: prima guerra mondiale, per qualcuno che risponde già: uff, lo sappiamo, Sarajevo e il Piave, ce ne sono due che chiedono: quante guerre mondiali ci sono state? Tu glielo dici, e loro se lo scordano. Oppure gli resta in mente, ecco: quello è un momento magico. Sono importanti i cartelloni, anche quelli fatti male che non riescono a inquadrare un concetto (peraltro Prince chi mai lo è riuscito a inquadrare). Sono importanti i fraintendimenti, le cose assurde di cui ci convinciamo e che si scioglieranno al sole dell'esperienza - e poi chissà se a metà degli anni Ottanta qualche critico musicale ubriaco non l'avesse pure codificato, il genere vinile. Una musica di plastica, appiccicosa, bianca come il Vinavil, o nera come un 33giri, con riflessi oleosi, iridescenti, in effetti Prince non poteva che essere il re del vinile. Poi quando andavo in terza uscì Parade e venne giù il mondo. Non devi essere bella per farmi andare su di giri. Nessuno lo aveva mai scritto, ma in terza media era una grandissima verità.
Ci voleva poco per ritrovarsi dalla parte di Prince - bastava odiare Michael Jackson, ai tempi ci si divideva in squadre per qualsiasi cazzata, e poi ci si picchiava davvero, nessun compromesso, nessun sincretismo. Questo non significava naturalmente capirci qualcosa, tanto più Prince, che sembrava cambiare genere musicale a ogni pezzo nuovo. Una cosa che credevo di aver capito è che dei due duellanti, Prince era quello Brutto: il santo protettore di noi brutti. Per dire che enormi fette di prosciutto avevo davanti, cioè, ora che lo rivedo in foto la cosa non mi torna assolutamente, cioè Prince non era affatto Brutto - ai tempi era prestante addirittura.
Si potrebbe dire che oltre a un deficit culturale (per cui non riuscivo a capire che in pezzi pur diversissimi come Kiss o When Doves Cry, erano pur sempre evoluzioni di un universo musicale a me sconosciuto) soffrivo di un deficit estetico. Ma non era un problema solo mio. Ancora sul crepuscolo degli anni '80, in un albo di Dylan Dog, Groucho per allontanare un mostro dalla casa appende alla porta un ritratto di Prince, l'entità pop più disgustosa che poteva venire in mente a uno sceneggiatore di fumetti italiano che, bisogna dirlo, non era Tiziano Sclavi. Per dire quanta strada avesse fatto, l'idea che Prince fosse un mostro. Se era l'89, in effetti, che album c'era nelle vetrine dei negozi? Lovesexy?
Potrebbe persino essere il mio disco di Prince preferito, ma non sarei mai riuscito a comprarlo, nel modo fisico e sociale in cui si compravano allora le cose. Sì che non ero un'educanda, e nello stesso periodo ricordo di non essermi fatto scrupolo a sfoggiare in stazione autocorriere album assai più morbosi, ad esempio un giorno un ragazzo che conoscevo mi chiese conto del fatto che avevo in mano The Madcap Laughs, con una ragazza nuda che potrebbe benissimo essere minorenne. Ma Lovesexy? Avrei potuto entrare al Discoclub, sollevare una copia di Lovesexy, mostrarla all'esercente, pagarla, uscire dal negozio e rientrare nella società con quella cosa? Non credo, no, la copertina di Lovesexy era troppo in là per me. L'androginia di Prince era molto più impegnativa di tutte le androginie che avevo recepito fino a quel momento (cioè, credo, David Bowie e poco più). Era un'androginia passiva. Bowie sembrava un viveur a cui non dispiaceva anche andare con gli uomini, ok, fin lì potevo arrivarci. Ma Prince dalla vetrina del Disco Club mi diceva: tu, anche tu potresti desiderarmi. E la reazione mia di adolescente credo sia stata: no, sei brutto. Sei un uomo. Peloso. E nero, quasi dimenticavo: nero. Ma era nero davvero? Era un uomo? Era brutto?
(Quando alzo la voce con qualcuno, mi chiedo se è il rumore dei cigni che piangono. Quando incontro una persona e le cose non vanno bene, penso: meet me in another world, space and joy. Se qualcuno mi chiedesse qual è il senso del nostro essere nel tempo, gli direi: sbrigatevi prima che sia tardi. Innamoratevi, sposatevi, fate un bambino, chiamatelo Nate (se è un maschio). Quando è lunedì mattina - c'è bisogno di ricordare che canzone uno ha in mente il lunedì mattina?)
Prince era sempre un po' più in là. Era nero, ma anche bianco; chitarrista, ma anche ballerino; era maschio, ma incideva canzoni da femmina accelerando la voce. Il falsetto a metà anni Ottanta era un relitto polveroso, i Bee Gees si erano nascosti in una crepaccio, Jimmy Sommerville era precipitato da brava meteora, anche Sting era sceso di un'ottava per cautelarsi. Nel bel mezzo di questa fase di latenza, Prince canta Kiss, e sul finale sembra volersi strappare i caratteri sessuali coi denti. E quella canzone l'ho sentita cantare negli spogliatoi da personaggi che conoscevano solo le parole di Kiss e Bella Bionda Beato Chi Ti Sfonda. Prince prendeva la nostra provinciale omofobia di adolescenti italiani, le dava un passaggio su una Corvette rossa e la faceva sparire in un parcheggio sotterraneo.
Poi per carità, non voglio far finta di aver capito Prince, non è vero. Non ho neanche fatto i compiti, certi dischi non ho avuto il coraggio di comprarli quand'era il momento, e adesso su internet è difficile. Certe cose col tempo le ho capite, ad es. le giacche con le spalline militari ho scoperto che se le mettevano tutti, sembra banale ma per me Prince - oltre al re del vinile - era quello che si vestiva come il commodoro di staminchia e non ne capivo il motivo. Ho scoperto, nell'ordine: i Beatles, Jimi Hendrix, Sly Stone, Joni Mitchell, quel tizio che cantava Superfreak, e buon ultimo ho scoperto anche Michael Jackson, un grandissimo musicista e performer che infatti adorava Prince e credo anche viceversa. Tanti pezzi li ho messi assieme e anche Paisley Park non mi fa venire più quel mal di testa dei bei tempi in cui non capivo niente. Però onestamente non posso dire di aver capito Prince. Interi dischi continuano a suonarmi misteriosi, e dopo Lovesexy c'è il buio. Tante cose che al tempo non capivo, e non me ne preoccupavo, mi dicevo che sarebbe venuto il momento - no, il momento non è venuto mai. La pioggia di porpora, per esempio, che cos'è. Cosa vuol dire che mi vuoi soltanto vedere nella pioggia di porpora. Ecco, credevo che a un certo punto mi sarebbe venuto naturale. Magari quando comincerò a far sesso, pensavo - perché un giorno comincerò, capirò. E invece no.
Tanto che a volte mi domando se ho mai cominciato davvero.
Le foto, se ricordo bene, erano repertorio del periodo di Purple Rain, moto e chitarroni. E basta, probabilmente in giro avevo già sentito qualche pezzo di Prince ma non potevo saperlo. Però quell'estate su videomusic ruotò ossessivamente Paisley Park, un pezzo di cui non mi sono più liberato, con un video che faceva venire il mal di testa. Devo aver pensato che era quella, la musica vinile, e che andava contro molte delle mie abitudini, ma tutto sommato non mi dispiaceva. Non pensiate che oggi i ragazzini imparino le cose più facilmente. A monte di tutti i vostri ricordi, di tutte le nozioni che vi fanno sentire individui con una storia personale, c'è un magico momento che avete dimenticato, la soglia tra il Non conoscere e il Venire a conoscenza, tra il Non-averne-mai-sentito-parlare e l'Ah-ecco-cos'era. È quell'onda molto particolare che cavalchi nella scuola media. Se dici: prima guerra mondiale, per qualcuno che risponde già: uff, lo sappiamo, Sarajevo e il Piave, ce ne sono due che chiedono: quante guerre mondiali ci sono state? Tu glielo dici, e loro se lo scordano. Oppure gli resta in mente, ecco: quello è un momento magico. Sono importanti i cartelloni, anche quelli fatti male che non riescono a inquadrare un concetto (peraltro Prince chi mai lo è riuscito a inquadrare). Sono importanti i fraintendimenti, le cose assurde di cui ci convinciamo e che si scioglieranno al sole dell'esperienza - e poi chissà se a metà degli anni Ottanta qualche critico musicale ubriaco non l'avesse pure codificato, il genere vinile. Una musica di plastica, appiccicosa, bianca come il Vinavil, o nera come un 33giri, con riflessi oleosi, iridescenti, in effetti Prince non poteva che essere il re del vinile. Poi quando andavo in terza uscì Parade e venne giù il mondo. Non devi essere bella per farmi andare su di giri. Nessuno lo aveva mai scritto, ma in terza media era una grandissima verità.
Ci voleva poco per ritrovarsi dalla parte di Prince - bastava odiare Michael Jackson, ai tempi ci si divideva in squadre per qualsiasi cazzata, e poi ci si picchiava davvero, nessun compromesso, nessun sincretismo. Questo non significava naturalmente capirci qualcosa, tanto più Prince, che sembrava cambiare genere musicale a ogni pezzo nuovo. Una cosa che credevo di aver capito è che dei due duellanti, Prince era quello Brutto: il santo protettore di noi brutti. Per dire che enormi fette di prosciutto avevo davanti, cioè, ora che lo rivedo in foto la cosa non mi torna assolutamente, cioè Prince non era affatto Brutto - ai tempi era prestante addirittura.
Si potrebbe dire che oltre a un deficit culturale (per cui non riuscivo a capire che in pezzi pur diversissimi come Kiss o When Doves Cry, erano pur sempre evoluzioni di un universo musicale a me sconosciuto) soffrivo di un deficit estetico. Ma non era un problema solo mio. Ancora sul crepuscolo degli anni '80, in un albo di Dylan Dog, Groucho per allontanare un mostro dalla casa appende alla porta un ritratto di Prince, l'entità pop più disgustosa che poteva venire in mente a uno sceneggiatore di fumetti italiano che, bisogna dirlo, non era Tiziano Sclavi. Per dire quanta strada avesse fatto, l'idea che Prince fosse un mostro. Se era l'89, in effetti, che album c'era nelle vetrine dei negozi? Lovesexy?
Potrebbe persino essere il mio disco di Prince preferito, ma non sarei mai riuscito a comprarlo, nel modo fisico e sociale in cui si compravano allora le cose. Sì che non ero un'educanda, e nello stesso periodo ricordo di non essermi fatto scrupolo a sfoggiare in stazione autocorriere album assai più morbosi, ad esempio un giorno un ragazzo che conoscevo mi chiese conto del fatto che avevo in mano The Madcap Laughs, con una ragazza nuda che potrebbe benissimo essere minorenne. Ma Lovesexy? Avrei potuto entrare al Discoclub, sollevare una copia di Lovesexy, mostrarla all'esercente, pagarla, uscire dal negozio e rientrare nella società con quella cosa? Non credo, no, la copertina di Lovesexy era troppo in là per me. L'androginia di Prince era molto più impegnativa di tutte le androginie che avevo recepito fino a quel momento (cioè, credo, David Bowie e poco più). Era un'androginia passiva. Bowie sembrava un viveur a cui non dispiaceva anche andare con gli uomini, ok, fin lì potevo arrivarci. Ma Prince dalla vetrina del Disco Club mi diceva: tu, anche tu potresti desiderarmi. E la reazione mia di adolescente credo sia stata: no, sei brutto. Sei un uomo. Peloso. E nero, quasi dimenticavo: nero. Ma era nero davvero? Era un uomo? Era brutto?
(Quando alzo la voce con qualcuno, mi chiedo se è il rumore dei cigni che piangono. Quando incontro una persona e le cose non vanno bene, penso: meet me in another world, space and joy. Se qualcuno mi chiedesse qual è il senso del nostro essere nel tempo, gli direi: sbrigatevi prima che sia tardi. Innamoratevi, sposatevi, fate un bambino, chiamatelo Nate (se è un maschio). Quando è lunedì mattina - c'è bisogno di ricordare che canzone uno ha in mente il lunedì mattina?)
Prince era sempre un po' più in là. Era nero, ma anche bianco; chitarrista, ma anche ballerino; era maschio, ma incideva canzoni da femmina accelerando la voce. Il falsetto a metà anni Ottanta era un relitto polveroso, i Bee Gees si erano nascosti in una crepaccio, Jimmy Sommerville era precipitato da brava meteora, anche Sting era sceso di un'ottava per cautelarsi. Nel bel mezzo di questa fase di latenza, Prince canta Kiss, e sul finale sembra volersi strappare i caratteri sessuali coi denti. E quella canzone l'ho sentita cantare negli spogliatoi da personaggi che conoscevano solo le parole di Kiss e Bella Bionda Beato Chi Ti Sfonda. Prince prendeva la nostra provinciale omofobia di adolescenti italiani, le dava un passaggio su una Corvette rossa e la faceva sparire in un parcheggio sotterraneo.
Poi per carità, non voglio far finta di aver capito Prince, non è vero. Non ho neanche fatto i compiti, certi dischi non ho avuto il coraggio di comprarli quand'era il momento, e adesso su internet è difficile. Certe cose col tempo le ho capite, ad es. le giacche con le spalline militari ho scoperto che se le mettevano tutti, sembra banale ma per me Prince - oltre al re del vinile - era quello che si vestiva come il commodoro di staminchia e non ne capivo il motivo. Ho scoperto, nell'ordine: i Beatles, Jimi Hendrix, Sly Stone, Joni Mitchell, quel tizio che cantava Superfreak, e buon ultimo ho scoperto anche Michael Jackson, un grandissimo musicista e performer che infatti adorava Prince e credo anche viceversa. Tanti pezzi li ho messi assieme e anche Paisley Park non mi fa venire più quel mal di testa dei bei tempi in cui non capivo niente. Però onestamente non posso dire di aver capito Prince. Interi dischi continuano a suonarmi misteriosi, e dopo Lovesexy c'è il buio. Tante cose che al tempo non capivo, e non me ne preoccupavo, mi dicevo che sarebbe venuto il momento - no, il momento non è venuto mai. La pioggia di porpora, per esempio, che cos'è. Cosa vuol dire che mi vuoi soltanto vedere nella pioggia di porpora. Ecco, credevo che a un certo punto mi sarebbe venuto naturale. Magari quando comincerò a far sesso, pensavo - perché un giorno comincerò, capirò. E invece no.
Tanto che a volte mi domando se ho mai cominciato davvero.
Comments (1)
Villeneuve non ha pietà
21-04-2016, 19:23cinema, Cosa vedere a Cuneo (e provincia) quando sei vivo, fb2020PermalinkSicario (Denis Villeneuve, 2015).
Anche qui arriveranno i lupi e i macellai, non c'è confine o barriera che possa contenerli. Reggie e Kate sono due agenti FBI di stanza in Arizona, per lo più indagano sui rapimenti e tirano giù porte coi calci. Un giorno squarciano un muro di cartone e si ritrovano nell'inferno del narcotraffico messicano. La cosa migliore sarebbe farsi trasferire in una piccola città, un posto dove le leggi possano avere ancora senso, dimenticare tutto. Ma Kate ovviamente non può.
Quando qualche anno fa uscì Polytéchnique, un critico scrisse che il regista era riuscito a trasformare un massacro scolastico (ispirato a una storia vera) in un'esperienza estetica. Con Villeneuve si corre spesso questo rischio: storie agghiaccianti fotografate in un modo magnifico. Nessuno è mai riuscito a tirar fuori tanta arte dai profili delle tute antiproiettile stagliate su un tramonto: una ricerca estetica che rasenta il Kitsch e di solito ai registi statunitensi non interessa - rischia di distrarre l'attenzione dall'intreccio.
"Finisci di mangiare". |
Il mondo di Sicario lo abbiamo già visto altre volte al cinema o in tv: eppure sin dall'inizio abbiamo la sensazione che stavolta sarà diverso (continua su +eventi!)
Non possiamo fidarci di chi ci accompagna: sicuramente non è chi dice di essere. Villeneuve sfida tutte le convenzioni del genere, e soprattutto nella prima straordinaria mezz'ora sembra concentrarsi su tutte le situazioni che un buon professionista hollywoodiano eviterebbe: riunioni a un tavolo dove nessuno dice nulla d'interessante, trasferimenti silenziosi in auto o in aeroplano, e poi quel briefing che sembra una presa in giro, tra agenti distratti e assonnati che pochi minuti dopo faranno una strage. Emily Blunt ci presta gli occhi, Brolin in ciabatte ci mette a disagio sonnecchiando e sgranocchiando noccioline, Del Toro è l'orco buono dietro a cui nascondersi, salvo che non sta scritto da nessuna parte che sia buono davvero. Sicario è la dimostrazione che si possono violare tutte le regole del cinema d'azione e fare lo stesso uno straordinario cinema d'azione - o meglio, che lo può fare Denis Villeneuve. Lo si può rivedere venerdì 22 al Nuovo Cinema Lux di Centallo (21:00).
Il vero motivo per cui odio i referendum
20-04-2016, 15:32referendum, scuolaPermalink
Sono concepiti come una specie di piano B della democrazia rappresentativa, e quindi sempre più spesso maneggiati da chi vorrebbe che tale democrazia s'inceppasse; sono la droga dei movimenti, che quando non sanno che obiettivo darsi si mettono a raccogliere firme e se alla fine non succede niente sarà colpa degli elettori distratti; sono una colossale perdita di tempo per chi li promuove, per chi raccoglie le firme, per la corte costituzionale, per chi li va a votare e per chi non ci va e deve anche mettersi a spiegare le proprie ragioni; non ci hanno dato il divorzio (c'era già) né l'aborto (c'era già) ma ci hanno regalato perle straordinarie, come l'abolizione del ministero dell'agricoltura e del turismo, e hanno spianato la strada a eroi della politica e dell'antipolitica che meritavano probabilmente di trovarsela ben sbarrata (Pannella, Segni). Tutti motivi per cui io li odio, i referendum abrogativi.
E poi c'è quello vero.
Ci sono tanti modi per valutare una classe di scuola: il più sommario e sbrigativo, quello che si può usare anche quando la classe non c'è, sono i cartelloni. Un'aula con tanti cartelloni dimostra che la classe sta lavorando. A casa o in gruppo. In realtà non è sempre vero; ho conosciuto colleghi validissimi che non facevano mai cartelloni, e senz'altro certi cartelloni a guardarli bene sono uno spreco di tempo, di spazio e di pennarelli; e però vuoi mettere l'effetto che fa entrare tra quattro pareti nude, e invece penetrare in una selva di disegni e schemi e titoli e concetti. Così io cerco di far produrre tanti cartelloni. Mi faccio violenza, perché in realtà non vado matto per i cartelloni, quando ero uno studente non sapevo farli e non ho imparato in seguito. Soprattutto non sono mai stato molto bravo ad attaccarli. E invece adesso mi tocca - a chi altri se non me? Non è mica nel mansionario dei bidelli, e quanto agli alunni, non credo che abbiano il permesso nemmeno di salire su una scala.
Neanch'io uso la scala perché ce n'è una sola nel plesso e non la trovo mai, e comunque spostarla in un'aula con una trentina di banchi addossati alle pareti sarebbe troppo complicato. Quindi per salire in alto uso altri accorgimenti che non credo di poter divulgare adesso qui. Salgo con le puntine da disegno dei cinesi, coi rotoli di scotch dei cinesi (i cinesi hanno aperto uno spaccio di fronte alla scuola), a volte coi chiodi e il martello, mettendo a repentaglio la mia incolumità. Respiro cristalli di pura polvere scolastica, che rimane impregnata nei soffitti fonoassorbenti. Torno a casa che vorrei lavarmi via tutta la prima pelle. Non è una cosa che posso fare quando voglio, anzi è abbastanza difficile trovare il pomeriggio in cui quell'aula non serve a qualche altra riunione. Però quando finalmente ci riesco, la mattina dopo i ragazzi entrano nell'aula e vedono il loro lavoro, e sono contenti. "Avete visto", gli dico, "finalmente ce l'ho fatta, ho attaccato i cartelloni".
"Grazie prof, anche se".
"Lo so, la Finlandia è già caduta, questo maledetto scotch dei cinesi..."
"No prof, è che tra due settimane ci ha detto il bidello che bisogna togliere tutto".
"Come tutto?"
"Dice che fanno un referendum".
"Mapporc... siamo sede di seggio".
"A proposito, che cos'è un referendum?"
"È un momento di grande democrazia e partecipazione... aspetta, ci dev'essere da qualche parte un cartellone che ne parla".
"È qua sotto la Finlandia".
"Ma infatti".
"Lo riattacco?"
"Lascia perdere".
E poi c'è quello vero.
Ci sono tanti modi per valutare una classe di scuola: il più sommario e sbrigativo, quello che si può usare anche quando la classe non c'è, sono i cartelloni. Un'aula con tanti cartelloni dimostra che la classe sta lavorando. A casa o in gruppo. In realtà non è sempre vero; ho conosciuto colleghi validissimi che non facevano mai cartelloni, e senz'altro certi cartelloni a guardarli bene sono uno spreco di tempo, di spazio e di pennarelli; e però vuoi mettere l'effetto che fa entrare tra quattro pareti nude, e invece penetrare in una selva di disegni e schemi e titoli e concetti. Così io cerco di far produrre tanti cartelloni. Mi faccio violenza, perché in realtà non vado matto per i cartelloni, quando ero uno studente non sapevo farli e non ho imparato in seguito. Soprattutto non sono mai stato molto bravo ad attaccarli. E invece adesso mi tocca - a chi altri se non me? Non è mica nel mansionario dei bidelli, e quanto agli alunni, non credo che abbiano il permesso nemmeno di salire su una scala.
Neanch'io uso la scala perché ce n'è una sola nel plesso e non la trovo mai, e comunque spostarla in un'aula con una trentina di banchi addossati alle pareti sarebbe troppo complicato. Quindi per salire in alto uso altri accorgimenti che non credo di poter divulgare adesso qui. Salgo con le puntine da disegno dei cinesi, coi rotoli di scotch dei cinesi (i cinesi hanno aperto uno spaccio di fronte alla scuola), a volte coi chiodi e il martello, mettendo a repentaglio la mia incolumità. Respiro cristalli di pura polvere scolastica, che rimane impregnata nei soffitti fonoassorbenti. Torno a casa che vorrei lavarmi via tutta la prima pelle. Non è una cosa che posso fare quando voglio, anzi è abbastanza difficile trovare il pomeriggio in cui quell'aula non serve a qualche altra riunione. Però quando finalmente ci riesco, la mattina dopo i ragazzi entrano nell'aula e vedono il loro lavoro, e sono contenti. "Avete visto", gli dico, "finalmente ce l'ho fatta, ho attaccato i cartelloni".
"Grazie prof, anche se".
"Lo so, la Finlandia è già caduta, questo maledetto scotch dei cinesi..."
"No prof, è che tra due settimane ci ha detto il bidello che bisogna togliere tutto".
"Come tutto?"
"Dice che fanno un referendum".
"Mapporc... siamo sede di seggio".
"A proposito, che cos'è un referendum?"
"È un momento di grande democrazia e partecipazione... aspetta, ci dev'essere da qualche parte un cartellone che ne parla".
"È qua sotto la Finlandia".
"Ma infatti".
"Lo riattacco?"
"Lascia perdere".
Comments (6)
Il mattino ha Gramellini in bocca
18-04-2016, 08:00deliri, delitti e cronaca, giornalisti, giustizia, privacyPermalink
Come forse saprete, la settimana scorsa un giudice ha revocato il regime di semilibertà a una detenuta che lo aveva ottenuto dopo nove anni, perché Massimo Gramellini aveva reso noto sul suo Buongiorno che la detenuta si era fatta delle foto in cui sorrideva, e le aveva messe su facebook (account privato sotto pseudonimo). Secondo Gramellini questo è una prova che non era stata abbastanza in galera: e siccome se lo pensa Gramellini lo pensano in tanti, anche il giudice molto presto se n'è convinto.
[Update: mi hanno fatto notare che l'articolo di Gramellini è stato pubblicato nello stesso giorno in cui il giudice ha revocato la semilibertà, e che quindi la sua opinione se la deve essere formata su articoli precedenti, e non sul Buongiorno di Gramellini].
Il fatto che un giudice possa revocare un regime di semilibertà dopo aver sentito il parere di Gramellini, se ci pensate, è uno di quei piccoli fatti assurdi, e tipicamente italiani, che appena li scopre Gramellini ci scrive sopra un Buongiorno: invece stavolta no, è passata quasi una settimana e G. non ha ancora voluto riparlarne. Come mai? La redazione di Leonardo, coi suoi subdoli mezzi, è entrata in possesso di un leak straordinario: la cartella bozze di Gramellini. La pubblichiamo così com'è, uno sguardo senz'altro indiscreto ma interessantissimo nel cestino della carta straccia di un grande giornalista italiano.
Mai mi sarei aspettato che
Ok, sono stato uno stronzo
Anche il magistrato però -
Cioè il faccio il mio mestiere, non è che ne vada fiero ma
Mai mi sarei aspettato che il mio Buongiorno di due giorni fa causasse la revoca di un regime di semilibertà. Cioè io alla fine sono solo uncazzone giornalista che ogni giorno deve trovare una storiella e farci la morale, l'altro giorno dovevo scegliere tra il dibattito sul quorum referendario e un'assassina rumena in semilibertà che si spara i selfies. Mettetevi nei miei panni. Il giornale qualcuno lo deve anche vendere.
Cioè io scrivo un fondo e un giudice revoca una semilibertà? Ma è impazzito? Ma siamo tutti impazziti?
Da: gramellini@lastampa.it
a: *********@*******.it
Scusa se ti disturbo, ho appena letto che l'avvocato della Matei dice che il regolamento non le vietava espressamente di accedere a facebook da cellulare, e che quindi al giudice mancherebbe anche questo appiglio per revocare la semilibertà. Hai modo di controllare questa cosa? Vorrei tornare sull'argomento ma capisci che comincia a sentirsi odore di
Il Buongiorno di mercoledì è stato molto criticato. Qualcuno mi ha accusato di volermi sostituire al giudice, se non al legislatore. Avrei voluto rispondere nel mio solito modo sornione, quando un mentecatto di un giudice ha deciso di darvi ragione rimettendo la rumena in galera, ma in che cazzo di Paese viviamo cioè davvero io non lo so.
Ma avete idea di cosa vuol dire - non puoi parlare male di Renzi e non puoi parlare male degli avversari di Renzi. Se parli male dei vigili, i vigili si lamentano. Se parli male degli insegnanti apriti cielo. Alla fine vi stupite se una mattina mi scappa di prendermela con una rumena in semilibertà. Non si scrive mica da solo quel cazzo di Buongiorno tutte le mattine.
Vorrei chiedere scusa a Doina Matei, di cui ho voluto approfittare una mattina in cui non avevo niente di meglio da dire perchéperché perché i miei lettori sono dei fascisti di merda e io gli devo dare da mangiare tutte le mattine tutte le mattine spalare merda nelle fauci di quei fascisti cannibali basta dio basta.
Chiedo scusa a Doina Matei: mai mi sarei aspettato che il mio Buongiorno di quattro giorni fa la riportasse tra le sbarre. Io volevo solo lisciare un po' il pelo a quei fascisti dei miei lettori riflettere su quel mistero che è la certezza della pena in Italia. Ma l'idea che le mie parole siano investite di tanto potere da poter riportare una persona in prigione - anche un'assassina, d'accordo, ma se avessi voluto fare il giudice avrei studiato giurisprudenza e adesso non starei diluendo fascismo per i lettori benpensanti.
Argomenti Buongiorno aprile
Voi però non avete idea di cosa voglia dire, venti righe al giorno. E devono sempre essere lisce, parallele all'encefalogramma di voi lettori, non avete idea. Sto andando in analisi, rendetevi conto. L'altro giorno mi ha detto: "Ma cerchi di rimettersi un po' in connessione col mondo, si legga un po' i giornali" "Ehm, dottore, guardi che..." "No, sul serio, sui giornali c'è gente che ogni giorno riesce a scrivere qualcosa di simpatico e non troppo pessimista" "Ma veramente, dottore..." "Il migliore secondo me è uno che scrive sulla Stampa, un certo Gamellini, Garmellini..." "Gramellini". "Esatto". "Dottore, sono io Gramellini". "Ah... però, complimenti!" "Grazie". "E di cosa scriverà domani?" "Pensavo di rivelare al mondo che una tizia che è rimasta in galera per nove anni per aver causato la morte accidentale di una donna durante una colluttazione, ebbene questa tizia dopo aver ottenuto grazie alla buona condotta un regime di semilibertà è andata in spiaggia - dopo nove anni! - e si è fatta un selfie mentre sorrideva". "E allora?" "Pensavo di dire che evidentemente è stata in galera troppo poco, altrimenti non sorriderebbe". "Ma non trova che sia un po' esagerato? In fondo qualche lettore potrebbe anche provar pena per una donna che ha scontato già nove anni di..." "È rumena". "Ah, vabbe', allora".
Tra l'altro a rileggerlo che Buongiorno di merda.
"Quelle immagini indignano e il moralismo non c’entra". No macché, non c'entra proprio, guarda. "Neanche il desiderio di vendetta" Ma infatti. "C’entra la sensibilità". La sensibilità di un voyeur che va a cercarsi il profilo segreto di una detenuta in galera da nove anni, per controllare se per caso non c'è uno scatto in cui sorride, così lo mette sul giornale e poi magari va a domandare ai parenti della vittima cosa ne pensano, e questo è il mio mestiere. Il mio mestiere. Buongiorno. Buongiorno.
Cari lettori, credo che questo sarà il mio ultimo Buongiorno. Tanto tra un po' faranno un foglio unico e al mio posto ci possono pure mettere Michele Serra che si scola i fiaschi di Petrini. Da piccolo, quando sognavo di fare il giornalista, speravo di cambiare il mondo. Ci sono riuscito, per esempio la settimana scorsa una donna poteva farsi un selfie davanti al mare, poi sono arrivato io e adesso è tornata in galera: il mondo si cambia anche così. Cose di cui andar fiero. Volevo dirvi che parto per un paese più semplice,uno dove non ci siano troppi specchi che riflettano la mia facciona da c
Gli scienziati dicono che è l'aprile più caldo di tutti i tempi (ma come faranno poi a saperlo?) Anche marzo è stato il marzo più caldo di tutti i tempi. Anche febbraio. E gennaio. Insomma, il trend va avanti da un po'. Eppure ieri sono uscito in maniche di camicia e dopo un po' starnutivo anche se
già, i piumini.
Il mattino ha l'oro in bocca il mattino ha l'oro in bocca
"Mi scusi, però, c'è qualcosa che non mi torna..."
"Dica".
"Come fa a sapere che questa rumena si è fatta un selfie?"
"Lo ha condiviso su facebook".
"Su un profilo pubblico?"
"No, privato".
"E lei quindi è suo amico su facebook?"
"Io? E perché mai. No, no".
"Ma allora, mi scusi, come può sapere che la signorina si è fatta un selfie?"
"Alcuni miei colleghi sono riusciti a trovare l'account".
"Ah già, del resto basta avere nome e cognome".
"No, usava uno pseudonimo".
"Il che forse è illegale?"
"Non hanno saputo dirmelo".
"Ma insomma, giusto per capire... i suoi colleghi sono riusciti a rintracciare un profilo di una detenuta, hanno trovato foto in cui sorride, e le hanno pubblicate?"
"Sì".
"Non è reato?"
"Non hanno saputo dirmelo".
"E lei userà queste foto per..."
"Per fare la morale, sì, è il mio lavoro".
"Direi che la seduta è finita".
"Non è un po' presto?"
"Può darsi. Ah, è finita anche la terapia".
"Cioè sono guarito?"
"Direi di no, ma lei mi sta facendo troppo schifo perché io possa continuare a lavorare con lei, capisce".
"Capisco, sì".
"Potrebbe andarsene immediatamente? Il sentimento di repulsione che nutro per lei cresce a ogni istante".
"Vado, vado. Buon..."
"Taccia per favore, addio".
Cara Doina,
fino all'altro giorno non mi conoscevi, adesso probabilmente mi odi. Vorrei dire che ti capisco, è normale, anch'io un po' mi odio. Come forse avrai capito, io non intendevo istigare un magistrato a rimetterti in galera. Dovevo soltanto fare il mio spettacolino quotidiano, a uso e consumo dei lettori.
Cara Doina, odiami pure, ma considera una cosa: tra qualche anno tu sarai libera. Non abbastanza libera da poter aprire un account su facebook a tuo nome, quello probabilmente mai: ma abbastanza libera per rifarti una vita. Quel giorno io sarò ancora qua, alla mia postazione, a sudar freddo per distillare il mio milligrammo quotidiano di fascismo per il mio pubblico benpensante. Ci credi se ti dico che un po' t'invidio? No, non ci credi, perché sono un giornalista italiano. Non hai tutti i torti. Anzi non ne hai nessuno.
[Update: mi hanno fatto notare che l'articolo di Gramellini è stato pubblicato nello stesso giorno in cui il giudice ha revocato la semilibertà, e che quindi la sua opinione se la deve essere formata su articoli precedenti, e non sul Buongiorno di Gramellini].
Il fatto che un giudice possa revocare un regime di semilibertà dopo aver sentito il parere di Gramellini, se ci pensate, è uno di quei piccoli fatti assurdi, e tipicamente italiani, che appena li scopre Gramellini ci scrive sopra un Buongiorno: invece stavolta no, è passata quasi una settimana e G. non ha ancora voluto riparlarne. Come mai? La redazione di Leonardo, coi suoi subdoli mezzi, è entrata in possesso di un leak straordinario: la cartella bozze di Gramellini. La pubblichiamo così com'è, uno sguardo senz'altro indiscreto ma interessantissimo nel cestino della carta straccia di un grande giornalista italiano.
Mai mi sarei aspettato che
Cioè il faccio il mio mestiere, non è che ne vada fiero ma
Mai mi sarei aspettato che il mio Buongiorno di due giorni fa causasse la revoca di un regime di semilibertà. Cioè io alla fine sono solo un
Da: gramellini@lastampa.it
a: *********@*******.it
Scusa se ti disturbo, ho appena letto che l'avvocato della Matei dice che il regolamento non le vietava espressamente di accedere a facebook da cellulare, e che quindi al giudice mancherebbe anche questo appiglio per revocare la semilibertà. Hai modo di controllare questa cosa? Vorrei tornare sull'argomento ma capisci che comincia a sentirsi odore di
Il Buongiorno di mercoledì è stato molto criticato. Qualcuno mi ha accusato di volermi sostituire al giudice, se non al legislatore. Avrei voluto rispondere nel mio solito modo sornione, q
Vorrei chiedere scusa a Doina Matei, di cui ho voluto approfittare una mattina in cui non avevo niente di meglio da dire perché
Argomenti Buongiorno aprile
Chiedo scusa alla Matei- Il libro di Sorgi in cui vendono il Colosseo (originaaaaale!) "Il libro di Sorgi minaccia di aprire un filone. Il Colosseo sì e la Torre di Pisa no? "
- Il cazzo di dibattito sull'astensione
Chiedo scusa alla Matei- L'app del Comune di Roma è un flop
Mi vergogno a chiedere scusa alla Matei- Dicono che è l'aprile più caldo di sempre ma ieri tirava vento, mi sta colando il naso
Voi però non avete idea di cosa voglia dire, venti righe al giorno. E devono sempre essere lisce, parallele all'encefalogramma di voi lettori, non avete idea. Sto andando in analisi, rendetevi conto. L'altro giorno mi ha detto: "Ma cerchi di rimettersi un po' in connessione col mondo, si legga un po' i giornali" "Ehm, dottore, guardi che..." "No, sul serio, sui giornali c'è gente che ogni giorno riesce a scrivere qualcosa di simpatico e non troppo pessimista" "Ma veramente, dottore..." "Il migliore secondo me è uno che scrive sulla Stampa, un certo Gamellini, Garmellini..." "Gramellini". "Esatto". "Dottore, sono io Gramellini". "Ah... però, complimenti!" "Grazie". "E di cosa scriverà domani?" "Pensavo di rivelare al mondo che una tizia che è rimasta in galera per nove anni per aver causato la morte accidentale di una donna durante una colluttazione, ebbene questa tizia dopo aver ottenuto grazie alla buona condotta un regime di semilibertà è andata in spiaggia - dopo nove anni! - e si è fatta un selfie mentre sorrideva". "E allora?" "Pensavo di dire che evidentemente è stata in galera troppo poco, altrimenti non sorriderebbe". "Ma non trova che sia un po' esagerato? In fondo qualche lettore potrebbe anche provar pena per una donna che ha scontato già nove anni di..." "È rumena". "Ah, vabbe', allora".
Tra l'altro a rileggerlo che Buongiorno di merda.
"Quelle immagini indignano e il moralismo non c’entra". No macché, non c'entra proprio, guarda. "Neanche il desiderio di vendetta" Ma infatti. "C’entra la sensibilità". La sensibilità di un voyeur che va a cercarsi il profilo segreto di una detenuta in galera da nove anni, per controllare se per caso non c'è uno scatto in cui sorride, così lo mette sul giornale e poi magari va a domandare ai parenti della vittima cosa ne pensano, e questo è il mio mestiere. Il mio mestiere. Buongiorno. Buongiorno.
Cari lettori, credo che questo sarà il mio ultimo Buongiorno. Tanto tra un po' faranno un foglio unico e al mio posto ci possono pure mettere Michele Serra che si scola i fiaschi di Petrini. Da piccolo, quando sognavo di fare il giornalista, speravo di cambiare il mondo. Ci sono riuscito, per esempio la settimana scorsa una donna poteva farsi un selfie davanti al mare, poi sono arrivato io e adesso è tornata in galera: il mondo si cambia anche così. Cose di cui andar fiero. Volevo dirvi che parto per un paese più semplice,
già, i piumini.
Il mattino ha l'oro in bocca il mattino ha l'oro in bocca
"Mi scusi, però, c'è qualcosa che non mi torna..."
"Dica".
"Come fa a sapere che questa rumena si è fatta un selfie?"
"Lo ha condiviso su facebook".
"Su un profilo pubblico?"
"No, privato".
"E lei quindi è suo amico su facebook?"
"Io? E perché mai. No, no".
"Ma allora, mi scusi, come può sapere che la signorina si è fatta un selfie?"
"Alcuni miei colleghi sono riusciti a trovare l'account".
"Ah già, del resto basta avere nome e cognome".
"No, usava uno pseudonimo".
"Il che forse è illegale?"
"Non hanno saputo dirmelo".
"Ma insomma, giusto per capire... i suoi colleghi sono riusciti a rintracciare un profilo di una detenuta, hanno trovato foto in cui sorride, e le hanno pubblicate?"
"Sì".
"Non è reato?"
"Non hanno saputo dirmelo".
"E lei userà queste foto per..."
"Per fare la morale, sì, è il mio lavoro".
"Direi che la seduta è finita".
"Non è un po' presto?"
"Può darsi. Ah, è finita anche la terapia".
"Cioè sono guarito?"
"Direi di no, ma lei mi sta facendo troppo schifo perché io possa continuare a lavorare con lei, capisce".
"Capisco, sì".
"Potrebbe andarsene immediatamente? Il sentimento di repulsione che nutro per lei cresce a ogni istante".
"Vado, vado. Buon..."
"Taccia per favore, addio".
Cara Doina,
fino all'altro giorno non mi conoscevi, adesso probabilmente mi odi. Vorrei dire che ti capisco, è normale, anch'io un po' mi odio. Come forse avrai capito, io non intendevo istigare un magistrato a rimetterti in galera. Dovevo soltanto fare il mio spettacolino quotidiano, a uso e consumo dei lettori.
Cara Doina, odiami pure, ma considera una cosa: tra qualche anno tu sarai libera. Non abbastanza libera da poter aprire un account su facebook a tuo nome, quello probabilmente mai: ma abbastanza libera per rifarti una vita. Quel giorno io sarò ancora qua, alla mia postazione, a sudar freddo per distillare il mio milligrammo quotidiano di fascismo per il mio pubblico benpensante. Ci credi se ti dico che un po' t'invidio? No, non ci credi, perché sono un giornalista italiano. Non hai tutti i torti. Anzi non ne hai nessuno.
Comments (18)
Io voto sì (ma stare a casa è lecito)
17-04-2016, 01:52ambiente, referendum, RenziPermalink
Oggi andrò a votare. Voterò sì (con l'accento) perché, se proprio interessa il mio parere, credo che le compagnie petrolifere si possono permettere di pagare qualche soldo in più di royalty, e che dovrebbe spettare a loro smantellare le piattaforme. Se questo penalizzerà l'estrazione di idrocarburi in Italia, ebbene, non mi pare che si tratti di un settore così strategico: anzi, ogni occasione è buona per cominciare a pensare ad altre fonti, ad altre soluzioni. Questo è il mio modesto parere, e confesso che non mi sarei preoccupato troppo di formarmelo, se il governo Renzi - che poteva benissimo snobbare la questione - non si fosse messo nelle ultime settimane a far propaganda per l'astensione, con uno zelo un po' sospetto. Non è che mi scandalizzi un presidente del consiglio che chiede ai cittadini di stare a casa: ne ho già visti. Però negare l'election day e poi lamentarsi che i referendum costano, ecco, mi sembra un po' grossa.
Questo mi ha fatto pensare che dietro la questione ambientale se ne nasconda un'altra più pratica, l'ennesima battaglia tra Stato e regioni. Il primo nell'ultima legge di stabilità ha avocato a sé la facoltà di concedere nuove licenze e di incassare le royalty che ne deriveranno; le seconde non ci stanno e promuovono o appoggiano il referendum. Non sono certo un fanatico dell'istituzione regionale (che in Italia è statisticamente la più corrotta), anzi: secondo me andrebbe trasformata in un ente di secondo livello, potenziando invece la provincia. Renzi ha deciso di fare esattamente il contrario, rafforzando la posizione dei presidenti e dei consigli regionali: trovo giusto che adesso se la veda con loro. Insomma io la penso così e per carità, non sono un esperto: sono una persona qualsiasi che s'informa un po' e crede di aver capito per sommi capi la natura della questione.
Per andare a votare, devo ritrovare in un qualche cassetto il mio certificato elettorale, e vincere la lieve ripugnanza che covo nei confronti dei referendum abrogativi. Stavolta ci vado, ma altre volte ho trovato giusto non andarci e non ci sono andato. La manfrina del dovere di votare, o del dovere di non fare propaganda per il non-voto, onestamente non la capisco. Se un indomani passasse una legge, poniamo, sulla stepchild adoption o sulla gravidanza assistita, e un comitato di cattolici integralisti e/o femministe integraliste riuscisse a raccogliere le firme necessarie per indire un referendum, io mi asterrei molto volentieri, e farei campagna per l'astensione. Se vogliono abrogare una legge dello Stato, si facciano il loro partito e se lo votino. Il potere legislativo lo esercitano le camere: i referendum abrogativi nascono da un compromesso (i cattolici volevano avere l'ultima parola sul divorzio) e hanno creato, per lo più, pasticci e frustrazioni: nonché dato il la a quel mito della democrazia diretta che prima superiamo meglio è. L'astensione è sempre stata parte del gioco, specie se il gioco consiste nel dare occasionalmente una specie di potere legislativo a un comitato che riesce a mettere assieme mezzo milione di firme. Le regole, poi, mi sembrano chiare da parecchio tempo. Posso capire i ventenni che hanno il diritto di vedere le cose come se apparissero al mondo per la prima volta: ma i coetanei che ancora discutono sul senso dell'astensione e del quorum mi sgomentano. Sul serio ne stiamo ancora a parlare? No, non ne stiamo parlando sul serio.
Questo mi ha fatto pensare che dietro la questione ambientale se ne nasconda un'altra più pratica, l'ennesima battaglia tra Stato e regioni. Il primo nell'ultima legge di stabilità ha avocato a sé la facoltà di concedere nuove licenze e di incassare le royalty che ne deriveranno; le seconde non ci stanno e promuovono o appoggiano il referendum. Non sono certo un fanatico dell'istituzione regionale (che in Italia è statisticamente la più corrotta), anzi: secondo me andrebbe trasformata in un ente di secondo livello, potenziando invece la provincia. Renzi ha deciso di fare esattamente il contrario, rafforzando la posizione dei presidenti e dei consigli regionali: trovo giusto che adesso se la veda con loro. Insomma io la penso così e per carità, non sono un esperto: sono una persona qualsiasi che s'informa un po' e crede di aver capito per sommi capi la natura della questione.
Per andare a votare, devo ritrovare in un qualche cassetto il mio certificato elettorale, e vincere la lieve ripugnanza che covo nei confronti dei referendum abrogativi. Stavolta ci vado, ma altre volte ho trovato giusto non andarci e non ci sono andato. La manfrina del dovere di votare, o del dovere di non fare propaganda per il non-voto, onestamente non la capisco. Se un indomani passasse una legge, poniamo, sulla stepchild adoption o sulla gravidanza assistita, e un comitato di cattolici integralisti e/o femministe integraliste riuscisse a raccogliere le firme necessarie per indire un referendum, io mi asterrei molto volentieri, e farei campagna per l'astensione. Se vogliono abrogare una legge dello Stato, si facciano il loro partito e se lo votino. Il potere legislativo lo esercitano le camere: i referendum abrogativi nascono da un compromesso (i cattolici volevano avere l'ultima parola sul divorzio) e hanno creato, per lo più, pasticci e frustrazioni: nonché dato il la a quel mito della democrazia diretta che prima superiamo meglio è. L'astensione è sempre stata parte del gioco, specie se il gioco consiste nel dare occasionalmente una specie di potere legislativo a un comitato che riesce a mettere assieme mezzo milione di firme. Le regole, poi, mi sembrano chiare da parecchio tempo. Posso capire i ventenni che hanno il diritto di vedere le cose come se apparissero al mondo per la prima volta: ma i coetanei che ancora discutono sul senso dell'astensione e del quorum mi sgomentano. Sul serio ne stiamo ancora a parlare? No, non ne stiamo parlando sul serio.
Comments (7)
Ja, Sie werden durchkommen (Sì, passeranno)
14-04-2016, 12:251500 caratteri, Euro, migrantiPermalink
Cari eventuali lettori austriaci: ho scoperto in questi giorni, come tutti, che il vostro governo ha pensato di risolvere una futura emergenza migranti alzando un muretto di 250 metri al Brennero.
L'affetto che provo per la vostra bella terra e per voi non mi impedisce di domandarvi: ma voi sul serio ci credete ancora a questa cosa di essere austriaci, che a Robert Musil sembrava un anacronismo già nel 1919? È che ne conosco parecchi a cui sta stretta l'Italia o persino l'Europa: possibile che a voi calzi ancora bene un concetto come l'Austria - per carità, comodo, confortevole, heimlich, ma insomma - pensate solo alle autostrade. È da un po' che si usano. Non ce n'è neanche una diretta tra Innsbruck e Vienna. Si passa, come sapete, dalla Baviera. Lo spazio di Schengen lo avevamo inventato anche per superare questa sciocchezze - voglio dire, due frontiere per andare dal Tirolo a Salisburgo? Sul serio vorreste tornare a un'Europa così?
La seconda è: avete sentito parlare di Mouaz Al Balkhi e Shadi Kataf? In caso contrario vi rimando a Mazzetta. Per farla breve è la storia di due profughi siriani che dopo qualche mese d'attesa nel limbo di Calais, non avendo abbastanza fondi per pagare qualche scafista che li portasse in Inghilterra, si sono comprati due mute da Decathlon e hanno provato a farsela a nuoto. Da Calais a Dover. Il cadavere di uno dei due lo hanno trovato in Olanda, l'altro in Norvegia. Storia abbastanza agghiacciante.
Ora, ditemi voi.
La disperazione che porta un giovane siriano a tuffarsi nella Manica e a tentare di attraversarla a nuoto, qualcuno sul serio pensa di contrastarla con un muretto di 250 metri in fondo al valico? È vero, è gente che non ha mai visto le Alpi.
Ma hanno visto di peggio. Si conteranno i soldi in tasca, magari compreranno un paio di scarponi allo Schoelzhorn Sport, saranno a Gries prima che canti il gallo. Di lì è tutta discesa fino a Schönberg. Se ce l'ha fatta Annibale, credete di fermarli?
L'affetto che provo per la vostra bella terra e per voi non mi impedisce di domandarvi: ma voi sul serio ci credete ancora a questa cosa di essere austriaci, che a Robert Musil sembrava un anacronismo già nel 1919? È che ne conosco parecchi a cui sta stretta l'Italia o persino l'Europa: possibile che a voi calzi ancora bene un concetto come l'Austria - per carità, comodo, confortevole, heimlich, ma insomma - pensate solo alle autostrade. È da un po' che si usano. Non ce n'è neanche una diretta tra Innsbruck e Vienna. Si passa, come sapete, dalla Baviera. Lo spazio di Schengen lo avevamo inventato anche per superare questa sciocchezze - voglio dire, due frontiere per andare dal Tirolo a Salisburgo? Sul serio vorreste tornare a un'Europa così?
La seconda è: avete sentito parlare di Mouaz Al Balkhi e Shadi Kataf? In caso contrario vi rimando a Mazzetta. Per farla breve è la storia di due profughi siriani che dopo qualche mese d'attesa nel limbo di Calais, non avendo abbastanza fondi per pagare qualche scafista che li portasse in Inghilterra, si sono comprati due mute da Decathlon e hanno provato a farsela a nuoto. Da Calais a Dover. Il cadavere di uno dei due lo hanno trovato in Olanda, l'altro in Norvegia. Storia abbastanza agghiacciante.
Ora, ditemi voi.
La disperazione che porta un giovane siriano a tuffarsi nella Manica e a tentare di attraversarla a nuoto, qualcuno sul serio pensa di contrastarla con un muretto di 250 metri in fondo al valico? È vero, è gente che non ha mai visto le Alpi.
Ma hanno visto di peggio. Si conteranno i soldi in tasca, magari compreranno un paio di scarponi allo Schoelzhorn Sport, saranno a Gries prima che canti il gallo. Di lì è tutta discesa fino a Schönberg. Se ce l'ha fatta Annibale, credete di fermarli?
Comments (7)
Un videogioco ad Auschwitz
13-04-2016, 21:23cinema, Cosa vedere a Cuneo (e provincia) quando sei vivo, ebraismo, memoria del 900, nazismoPermalink
Il figlio di Saul (Saul Fia, László Nemes, 2015).
Un giorno o l'altro uscirà un videogioco su Auschwitz. Sarà probabilmente un buon prodotto, assolutamente rispettoso della memoria delle vittime, che riuscirà a terrorizzare e a suscitare un genuino orrore in tutti i volonterosi giocatori. Si potranno interpretare diversi personaggi, sonderkommando o kapò o fuggitivi. Ci saranno missioni da compiere: trovare una macchina fotografica con la quale documentare il terrore; organizzare una rivolta; seppellire il proprio figlio con un rito religioso. Un giorno qualcuno lo farà, e dopo la sorpresa iniziale, non ci sembrerà una cosa così strana o sbagliata. Un modo di esercitare la memoria, di combattere il negazionismo, di far vivere ai giovani qualcosa di lontanamente simile a un'esperienza... Ciononostante le polemiche fioccheranno: è giusto ambientare un'avventura ad Auschwitz? Forse non è giusto, ma ormai ci ha gà pensato il cinema, no? I videogiochi seguiranno.
Il figlio di Saul ha vinto l'Oscar per il miglior film straniero e il Gran premio della giuria a Cannes, e decine di altri riconoscimenti tra cui uno assolutamente straordinario: è il primo film ambientato ad Auschwitz a essere recensito sui 400 calci, che più che un blog ormai è la Bibbia quotidiana del cinema d'azione. Perché Il figlio di Saul, oltre a essere un buon prodotto, assolutamente rispettoso della memoria delle vittime, è un film d'azione. L'ambientazione è sin dall'inizio data per scontata, del resto ormai escono più film su Auschwitz che western. Il personaggio è un sonderkommando, un prigioniero ebreo addetto ai lavori più orribili: accompagnare i suoi correligionari alle docce, sentirli urlare mentre soffocano, smistare vestiti e oggetti personali, trasportare i cadaveri ai forni, smaltire le ceneri. Durante una giornata di gioco lavoro, Saul fa tutto questo, ma ha anche una missione da compiere: seppellire degnamente un bambino che forse è suo figlio. Bisogna trovare un rabbino, corrompere qualcuno, collaborare con qualcun altro che sta organizzando una rivolta. Ma tutto questo resta sullo sfondo: in primo piano c'è il personaggio, e la sua missione. Tutto l'orrore che gli scorre intorno finisce rapidamente fuori fuoco.
Il figlio di Saul è piaciuto a tutti tranne me... (continua su +eventi!) I
l figlio di Saul è piaciuto a tutti tranne me, e non so quanto c'entri il dibattito su quanto sia giusto ambientare fiction ad Auschwitz. Può trattarsi più banalmente di una questione di gusti: a me i videogiochi non dicono molto. E se un film in soggettiva posso capirlo, ho una personalissima idiosincrasia per i "film di nuche", quelli in cui il punto di vista coincide con una specie di angelo custode che segue il personaggio passo a passo, offrendoci frequenti primi piani non solo del suo volto (quello di Géza Röhrig, squadrato e un po' ieratico, ricorda davvero il rendering digitale di un gioco da consolle) ma anche delle spalle e della nuca, vi ricordate quanto piacevano a Gus Van Sant le nuche? A me non piacciono le nuche nei film, ma non credo di capirne più di Van Sant. Un film d'azione ambientato in un campo di concentramento me lo vedrei volentieri; ma la sintassi videoludica, quel continuo spalancare porte e aggirarsi per i corridoi, e origliare conversazioni, sempre alla ricerca di qualcosa, dopo un po' mi addormenta. Ma coi ragazzini capisco che potrebbe davvero funzionare. Il figlio di Saulè all'Aurora di Savigliano giovedì alle 21:15.
Un giorno o l'altro uscirà un videogioco su Auschwitz. Sarà probabilmente un buon prodotto, assolutamente rispettoso della memoria delle vittime, che riuscirà a terrorizzare e a suscitare un genuino orrore in tutti i volonterosi giocatori. Si potranno interpretare diversi personaggi, sonderkommando o kapò o fuggitivi. Ci saranno missioni da compiere: trovare una macchina fotografica con la quale documentare il terrore; organizzare una rivolta; seppellire il proprio figlio con un rito religioso. Un giorno qualcuno lo farà, e dopo la sorpresa iniziale, non ci sembrerà una cosa così strana o sbagliata. Un modo di esercitare la memoria, di combattere il negazionismo, di far vivere ai giovani qualcosa di lontanamente simile a un'esperienza... Ciononostante le polemiche fioccheranno: è giusto ambientare un'avventura ad Auschwitz? Forse non è giusto, ma ormai ci ha gà pensato il cinema, no? I videogiochi seguiranno.
No, è fatto meglio di così. |
Il figlio di Saul è piaciuto a tutti tranne me... (continua su +eventi!) I
l figlio di Saul è piaciuto a tutti tranne me, e non so quanto c'entri il dibattito su quanto sia giusto ambientare fiction ad Auschwitz. Può trattarsi più banalmente di una questione di gusti: a me i videogiochi non dicono molto. E se un film in soggettiva posso capirlo, ho una personalissima idiosincrasia per i "film di nuche", quelli in cui il punto di vista coincide con una specie di angelo custode che segue il personaggio passo a passo, offrendoci frequenti primi piani non solo del suo volto (quello di Géza Röhrig, squadrato e un po' ieratico, ricorda davvero il rendering digitale di un gioco da consolle) ma anche delle spalle e della nuca, vi ricordate quanto piacevano a Gus Van Sant le nuche? A me non piacciono le nuche nei film, ma non credo di capirne più di Van Sant. Un film d'azione ambientato in un campo di concentramento me lo vedrei volentieri; ma la sintassi videoludica, quel continuo spalancare porte e aggirarsi per i corridoi, e origliare conversazioni, sempre alla ricerca di qualcosa, dopo un po' mi addormenta. Ma coi ragazzini capisco che potrebbe davvero funzionare. Il figlio di Saulè all'Aurora di Savigliano giovedì alle 21:15.
Comments (2)
Il consulente che cambiò l'Italia (per sapere com'è andata CLICCA QUI!!!)
13-04-2016, 12:20Beppe Grillo, coccodrilli, futurismi, internetPermalink
Non solo in Italia nessuno muore stronzo, ma alcuni hanno anche la dubbia fortuna di morire geniali e visionari. E sì che la traiettoria di Gianroberto Casaleggio - imprenditore, consulente, fondatore di un partito che dal nulla è arrivato quasi al 30% - non avrebbe bisogno di abbellimenti, ma si vede che non basta mai. Bisogna immaginarlo come un burattinaio di Grillo o del Movimento tutto, un leader distante, esoterico - non scherzo, qualcuno ha veramente usato la parola. Qualche anno fa, probabilmente mentre cercava di impacchettare un po' di fuffa a qualche azienda, la Casaleggio produsse quel video famoso in cui si prevedeva la Terza Guerra Mondiale e la Gaia prossima ventura nel 2054. Il video non era niente di straordinario (la qualità non essendo mai stata una priorità delle produzioni Casaleggio), ma a un certo punto diventò virale.
In mancanza d'altro - il tizio parlava poco e anche i suoi libri alla fine non è che chiarissero un granché - gli osservatori esterni del Movimento decisero che il video su Gaia rappresentava la vera ideologia segreta del suo fondatore, come se ci riflettete è giusto che sia: se hai un piano segreto e non vuoi renderla nota fuori dal tuo cerchio magico, tu subito corri a pubblicarla su Youtube. Ogni volta che ha potuto, Casaleggio stesso ha ribadito che quel video non era cosa da prendere sul serio - non più sul serio di qualsiasi presentazione che un consulente confeziona alle aziende - ma eravamo tutti troppo furbi per cascarci. Anche ieri ne hanno riparlato in tanti, su giornali radio e tv, e Casaleggio è diventato il visionario teorizzatore di Gaia. Questa è la cosa che da sempre mi spaventa: non la morte, ma il modo in cui dopo la morte di noi non sopravvive un senso complessivo di quello che siamo, di quello che abbiamo cercato di fare - ma più spesso la prima cazzata che c'è venuta in mente in un giorno qualsiasi per impressionare una tavolata di persone.
Così com'è difficile capire un Bossi o un Grillo (persino un Renzi) senza dare un'occhiata al territorio, a quei bar in cui la sanno tutti lunga e te la spiegano in due parole, ex chitarristi sbandati, padroncini o figli di, può essere abbastanza complicato comprendere Casaleggio se non hai mai assistito allo spettacolo d'arte varia dei consulenti per le aziende. Quando parliamo di C. come di un grande innovatore digitale, in sostanza stiamo provando a rivendere il pacco che è riuscito a rifilarci. Alla fine della fiera faceva dei siti - neanche molto belli, considerato che erano già gli anni in cui i blog si cominciavano a dichiarare morti. Nessuno che io sappia ha mai trovato particolarmente innovativo il blog di Antonio Di Pietro: certo, faceva notizia che ne avesse uno. Quello di Grillo sembrò sin dall'inizio un pasticcio piuttosto pesante: però era Beppe Grillo. Bastava il suo nome a portare on line milioni di utenti mai visti prima, la blogosfera italiana diventò un piccolo villaggio alla periferia del centro commerciale beppegrillo.it. Nel frattempo gli early adopters passavano ai social network, e Casaleggio nemmeno ci faceva caso. Come innovatore digitale era straordinariamente lento di riflessi, spesso ancorato a software o piattaforme già vecchie nel momento in cui le adottava (Movable Type, i MeetUp). Come nota Mantellini, la stessa concezione casaleggiana della Rete sembrava uscita dai cibernetici anni Novanta: "uno strano riciclo di miti, sogni luccicanti e intuizioni sull’universo digitale presi pari pari dall’interpretazione libertaria americana del nuovo contesto digitale di un decennio prima. Temi che nel frattempo, oltreoceano e nei circoli culturali europei, erano già stati opportunamente accantonati e considerati impraticabili praticamente da chiunque, il più spettacolare dei quali, quello del governo diretto dei cittadini attraverso gli strumenti digitali, è ancora oggi, nonostante le molte smentite pratiche, il punto centrale dell’ideologia del M5S".
Una volta buttai lì che i grillini erano i nuovi futuristi; poi non ho avuto più tempo o voglia di spiegare. (Bisogna anche dire che io ho studiato più il futurismo che qualsiasi altra cosa, e quindi lo trovo anche nella struttura delle latifoglie). Ciò che il timido consulente e Marinetti avevano in comune, non è solo la sensazione di trovarsi sul promontorio dei secoli, ma anche la segreta consapevolezza di non aver la minima idea di quel che sta succedendo. Marinetti non ha gli sponsor e la fama di un D'Annunzio, ci avrebbe messo un po' prima di salire davvero su un aeroplano... però intanto sente tutti parlare di aeroplani, aeroplani, aeroplani, e lui si mette a scriverci un poema sopra. Non ne sa un granché, in sostanza lo tratta come un grande uccellaccio cavalcabile, ma qualcosa l'azzecca. Poi prevede una guerra, che funziona sempre. Non ha una cultura scientifica, ritaglia e incolla qualsiasi scemenza pseudoscientifica trovi sui giornali: si convince facilmente che la radioattività rinnovi il vigore sessuale perché ne parlano "gli scienziati" in una breve sul Corriere.
Casaleggio si ritrova a fare consulting in quel favoloso decennio in cui tutti parlano di internet e non ci naviga ancora nessuno. Lui ci prova. Non inventa niente, il più delle volte arriva tardi: il suo colpo migliore è stato conquistare Beppe Grillo e la sua massa critica di seguaci. Quanto alla politica: a un certo punto ci siamo tutti convinti che Casaleggio fosse la Mente, perché dei due intestatari del partito era quello che parlava poco. Senz'altro la sua idea di rifiutare qualsiasi alleanza o compromissione ha pagato. Ma non era poi un'idea così raffinata, soprattutto se si aveva la possibilità di osservare da un punto di vista privilegiato il livello di impreparazione degli eletti m5s nel 2013. Quando poi si passa alla parte pratica, con le epurazioni e i direttori C ha dimostrato ampiamente di voler gestire il movimento come un'azienda - non dissimilmente da quello che faceva Berlusconi (e lo stesso Renzi ha un concetto simile e nasce in un simile brodo culturale, anche se si è fatto le ossa nell'amministrazione locale). Il che ci riporta a quel bar non necessariamente padano in cui tutti hanno un'idea geniale per mettere a posto le cose. C'era il chitarrista sbandato, il figlio del bancario che non si sapeva esattamente dove avesse preso i soldi, e ogni tanto magari si fermava a prendere il cappuccino il consulente in impermeabile. Chiacchiere simili, timbri diversi, ma se fai caso alla nota dominante, vedi che non varia di molto. Ce l'hanno tutti con chi non ha voglia di lavorare, con gli stranieri che ci levano il lavoro, la burocrazia, i sindacati. Scattano tutti in modo automatico ogni volta che un partito anche solo vagamente di sinistra sembra poter vincere le elezioni.
Mussolini diventò un personaggio scrivendo e dirigendo un giornale, e poi tentò di dirigerla come un giornale ("un’idea al giorno, dei concorsi, delle sensazioni, un abile e insistente orientamento del lettore verso alcuni aspetti della vita sociale, smisuratamente ingranditi, una deformazione sistematica della comprensione del lettore"). Berlusconi era un piazzista televisivo: vinse le elezioni vendendo il suo personaggio televisivo di miliardario che-risolve-i-problemi, e poi tentò di gestire l'Italia come un palinsesto. Casaleggio e Grillo inventarono un blog - niente che non esistesse già: un'idea al giorno, delle sensazioni, un orientamento del lettore neanche tanto abile, clickbaiting senza pudore. Se avessero vinto le elezioni, avrebbero gestito l'Italia come un blog. Un po' mi dispiace non averli visti di fronte al cimento, ma non è detta l'ultima parola, anzi.
In mancanza d'altro - il tizio parlava poco e anche i suoi libri alla fine non è che chiarissero un granché - gli osservatori esterni del Movimento decisero che il video su Gaia rappresentava la vera ideologia segreta del suo fondatore, come se ci riflettete è giusto che sia: se hai un piano segreto e non vuoi renderla nota fuori dal tuo cerchio magico, tu subito corri a pubblicarla su Youtube. Ogni volta che ha potuto, Casaleggio stesso ha ribadito che quel video non era cosa da prendere sul serio - non più sul serio di qualsiasi presentazione che un consulente confeziona alle aziende - ma eravamo tutti troppo furbi per cascarci. Anche ieri ne hanno riparlato in tanti, su giornali radio e tv, e Casaleggio è diventato il visionario teorizzatore di Gaia. Questa è la cosa che da sempre mi spaventa: non la morte, ma il modo in cui dopo la morte di noi non sopravvive un senso complessivo di quello che siamo, di quello che abbiamo cercato di fare - ma più spesso la prima cazzata che c'è venuta in mente in un giorno qualsiasi per impressionare una tavolata di persone.
Così com'è difficile capire un Bossi o un Grillo (persino un Renzi) senza dare un'occhiata al territorio, a quei bar in cui la sanno tutti lunga e te la spiegano in due parole, ex chitarristi sbandati, padroncini o figli di, può essere abbastanza complicato comprendere Casaleggio se non hai mai assistito allo spettacolo d'arte varia dei consulenti per le aziende. Quando parliamo di C. come di un grande innovatore digitale, in sostanza stiamo provando a rivendere il pacco che è riuscito a rifilarci. Alla fine della fiera faceva dei siti - neanche molto belli, considerato che erano già gli anni in cui i blog si cominciavano a dichiarare morti. Nessuno che io sappia ha mai trovato particolarmente innovativo il blog di Antonio Di Pietro: certo, faceva notizia che ne avesse uno. Quello di Grillo sembrò sin dall'inizio un pasticcio piuttosto pesante: però era Beppe Grillo. Bastava il suo nome a portare on line milioni di utenti mai visti prima, la blogosfera italiana diventò un piccolo villaggio alla periferia del centro commerciale beppegrillo.it. Nel frattempo gli early adopters passavano ai social network, e Casaleggio nemmeno ci faceva caso. Come innovatore digitale era straordinariamente lento di riflessi, spesso ancorato a software o piattaforme già vecchie nel momento in cui le adottava (Movable Type, i MeetUp). Come nota Mantellini, la stessa concezione casaleggiana della Rete sembrava uscita dai cibernetici anni Novanta: "uno strano riciclo di miti, sogni luccicanti e intuizioni sull’universo digitale presi pari pari dall’interpretazione libertaria americana del nuovo contesto digitale di un decennio prima. Temi che nel frattempo, oltreoceano e nei circoli culturali europei, erano già stati opportunamente accantonati e considerati impraticabili praticamente da chiunque, il più spettacolare dei quali, quello del governo diretto dei cittadini attraverso gli strumenti digitali, è ancora oggi, nonostante le molte smentite pratiche, il punto centrale dell’ideologia del M5S".
Una volta buttai lì che i grillini erano i nuovi futuristi; poi non ho avuto più tempo o voglia di spiegare. (Bisogna anche dire che io ho studiato più il futurismo che qualsiasi altra cosa, e quindi lo trovo anche nella struttura delle latifoglie). Ciò che il timido consulente e Marinetti avevano in comune, non è solo la sensazione di trovarsi sul promontorio dei secoli, ma anche la segreta consapevolezza di non aver la minima idea di quel che sta succedendo. Marinetti non ha gli sponsor e la fama di un D'Annunzio, ci avrebbe messo un po' prima di salire davvero su un aeroplano... però intanto sente tutti parlare di aeroplani, aeroplani, aeroplani, e lui si mette a scriverci un poema sopra. Non ne sa un granché, in sostanza lo tratta come un grande uccellaccio cavalcabile, ma qualcosa l'azzecca. Poi prevede una guerra, che funziona sempre. Non ha una cultura scientifica, ritaglia e incolla qualsiasi scemenza pseudoscientifica trovi sui giornali: si convince facilmente che la radioattività rinnovi il vigore sessuale perché ne parlano "gli scienziati" in una breve sul Corriere.
Casaleggio si ritrova a fare consulting in quel favoloso decennio in cui tutti parlano di internet e non ci naviga ancora nessuno. Lui ci prova. Non inventa niente, il più delle volte arriva tardi: il suo colpo migliore è stato conquistare Beppe Grillo e la sua massa critica di seguaci. Quanto alla politica: a un certo punto ci siamo tutti convinti che Casaleggio fosse la Mente, perché dei due intestatari del partito era quello che parlava poco. Senz'altro la sua idea di rifiutare qualsiasi alleanza o compromissione ha pagato. Ma non era poi un'idea così raffinata, soprattutto se si aveva la possibilità di osservare da un punto di vista privilegiato il livello di impreparazione degli eletti m5s nel 2013. Quando poi si passa alla parte pratica, con le epurazioni e i direttori C ha dimostrato ampiamente di voler gestire il movimento come un'azienda - non dissimilmente da quello che faceva Berlusconi (e lo stesso Renzi ha un concetto simile e nasce in un simile brodo culturale, anche se si è fatto le ossa nell'amministrazione locale). Il che ci riporta a quel bar non necessariamente padano in cui tutti hanno un'idea geniale per mettere a posto le cose. C'era il chitarrista sbandato, il figlio del bancario che non si sapeva esattamente dove avesse preso i soldi, e ogni tanto magari si fermava a prendere il cappuccino il consulente in impermeabile. Chiacchiere simili, timbri diversi, ma se fai caso alla nota dominante, vedi che non varia di molto. Ce l'hanno tutti con chi non ha voglia di lavorare, con gli stranieri che ci levano il lavoro, la burocrazia, i sindacati. Scattano tutti in modo automatico ogni volta che un partito anche solo vagamente di sinistra sembra poter vincere le elezioni.
Mussolini diventò un personaggio scrivendo e dirigendo un giornale, e poi tentò di dirigerla come un giornale ("un’idea al giorno, dei concorsi, delle sensazioni, un abile e insistente orientamento del lettore verso alcuni aspetti della vita sociale, smisuratamente ingranditi, una deformazione sistematica della comprensione del lettore"). Berlusconi era un piazzista televisivo: vinse le elezioni vendendo il suo personaggio televisivo di miliardario che-risolve-i-problemi, e poi tentò di gestire l'Italia come un palinsesto. Casaleggio e Grillo inventarono un blog - niente che non esistesse già: un'idea al giorno, delle sensazioni, un orientamento del lettore neanche tanto abile, clickbaiting senza pudore. Se avessero vinto le elezioni, avrebbero gestito l'Italia come un blog. Un po' mi dispiace non averli visti di fronte al cimento, ma non è detta l'ultima parola, anzi.
Comments (6)
Sul referendum, una posizione netta.
12-04-2016, 03:13contro la lingua italiana, referendumPermalinkQuesti referendum non saranno utilissimi, ma almeno ci danno l'occasione di riparlare di quella che per noi del mestiere è una ferita sempre aperta. La vediamo sui giornali, in tv, su tutti i muri, e ci domandiamo: è giusto prendersela così tanto, è giusto soffrire per qualcosa che tra una generazione forse non interesserà più a nessuno?
Lo so che non ci si dovrebbe sempre atteggiare a esperti; che l'inerzia trionfa sempre nel medio-lungo termine; che è giusto che la maggioranza decida, anche quando non ha ancora gli strumenti - è un ottimo modo per forzarla a farseli, questi benedetti strumenti - e tuttavia alla fine dei dibattiti, c'è un'opinione a cui non mi sento di rinunciare: un paletto che devo piantare. Passi tutto il resto, ma questo no. Trivellate, smantellate, astenetevi o votate, ma c'è una cosa che voglio che sappiate.
"Sì" si scrive con l'accento.
(Anche maiuscolo, SÌ).
Lo so che non ci si dovrebbe sempre atteggiare a esperti; che l'inerzia trionfa sempre nel medio-lungo termine; che è giusto che la maggioranza decida, anche quando non ha ancora gli strumenti - è un ottimo modo per forzarla a farseli, questi benedetti strumenti - e tuttavia alla fine dei dibattiti, c'è un'opinione a cui non mi sento di rinunciare: un paletto che devo piantare. Passi tutto il resto, ma questo no. Trivellate, smantellate, astenetevi o votate, ma c'è una cosa che voglio che sappiate.
"Sì" si scrive con l'accento.
(Anche maiuscolo, SÌ).
Comments (12)
Il trapassato non trapasserà
10-04-2016, 21:42apocalittici e integrati, contro la lingua italianaPermalink
La scorsa settimana uno scrittore italiano su un giornale italiano ha scritto un pezzo sui bei tempi andati, perlopiù analogici - e fin qua, mi rendo conto, siamo al cane-morde-uomo. I dischi di vinile che s'impolveravano e gracchiavano, le fotografie stampate che ingiallivano, i vecchi album che facevano la muffa in cantina: tutti questi oggetti scomodi pare che fossero i supporti migliori per fissare i ricordi, perché... perché poi andarli a cercare è faticoso, mentre ora è tutto a portata di clic, il passato non è più difficile come una volta, la nostalgia non è più quella di una volta. Per tacere delle merendine (la Girella indubbiamente non contiene più il cacao che ci colava dalle mani nel 1985, ma credo che in quel caso si trattasse di salvare una generazione dal diabete).
Immagino che un pezzo del genere esca almeno una volta alla settimana, su almeno un quotidiano. Giornalisti e scrittori si danno il turno. Gli odori che non torneranno, le mezze stagioni che scompaiono, ne parlava già Leopardi nello Zibaldone (non scherzo, ne parlava davvero citando a sua volta un autore del Seicento, per dire quanto sia topico il problema delle mezze stagioni nell'elaborazione degli intellettuali italiani).
Mi metto a parlarne perché, oltre alle solite foto ingiallite e ai soliti dischi che, siamo onesti, se non eri un maniaco della pulizia dopo un po' li avevi tutti segnati e impolverati e suonavano di merda, lo scrittore ha inserito tra le belle cianfrusaglie del tempo che fu anche un tempo verbale. Oddio, neanche questa sarebbe una novità. Il presente congiuntivo era dato moribondo dalla Stampa già nel maggio del 1968 - e come altre cose dichiarate morte in quel periodo, gode ancora di buona salute. Anche il passato remoto, con tutte quelle radici irregolari che lo rendono tanto ostico, più in Valpadana che altrove, in un qualche modo l'ha scampata. No: forse la notizia è qui. La scorsa settimana Roberto Cotroneo, sentendosi probabilmente obbligato in quanto scrittore italiano a lamentarsi del tempo che passa, ha deciso di piangere le sorti del trapassato remoto.
Pare infatti che non usiamo più il trapassato remoto, e che ciò sia un male, perché... perché ci aiutava a depositare i ricordi in cantina, dove prendevano quel necessario odore di muffa che oggi la civiltà digitale non consente più, non capisce più. "Il trapassato remoto si usa per azioni concluse che non hanno alcuna rilevanza con il presente e con l’attualità. Oggi invece tutto ha rilevanza con l’attualità, e nulla si conclude". Sarà. Dando per scontata l'apocalisse digitale, mi resta la curiosità di sapere se è vero. C'è sul serio una flessione nell'uso del trapassato remoto? Esistono studi al riguardo? Se qualcuno ne sa qualcosa, lo prego, mi contatti. Nel frattempo non posso evitare di chiedermelo: se anche sparisse del tutto, il trapassato remoto, sarebbe un male? Preso di per sé, è un tempo verbale molto brutto. Diciamo che mette insieme le cose meno gradevoli degli altri tempi passati: il remoto è asciutto ("fu!") ma irregolarissimo, la croce di ogni corso di italiano per stranieri. I passati composti, per contro, sono belli regolari, ma lunghi, noiosi ("aveva fatto"). Ecco, il trap remoto, essendo un composto del passato remoto, è irregolare come quest'ultimo, e noioso come ogni verbo composto ("ebbe fatto"). Forse se scompare c'è un motivo. Ma sul serio scompare?
Non è inverosimile. Non perché sia brutto. Magari si potesse fare senza le cose brutte. Metti il trapassato prossimo. Non è che sia molto più bello del trap remoto: ebbene, va alla grande. Nei temi dei miei ragazzi noto sempre più questa cosa. Quando scrivono al passato si imbrogliano sempre. Vorrebbero usare il passato remoto, che è così svelto ed espressivo, ma hanno sempre paura di sbagliarlo. Allora saltano al presente, con un effetto cinematografico che nove volte su dieci provoca l'apparizione di vigorosi segni rossi sul foglio "Il pirata mi chiamò e mi dice di far presto"), oppure... al trap prossimo "Il pirata mi chiamò e mi aveva detto di far presto"). Che è persino più orribile. Ma l'idea è più o meno quella: mi serve un passato veramente passato, un passato che mi faccia sentire che il tempo è davvero... passato. La muffa, la polvere, quel tipo di cose. Anche i ragazzini sentono di averne bisogno.
Il trap remoto però è accessibile solo a chi sa già coniugare il passato remoto. Non solo, ma di tutti i passati dell'indicativo è quello che può essere impiegato in meno situazioni: solo in una proposizione subordinata temporale. Come tutti i trapassati, il trap remoto è qualcosa di più di un passato: serve a creare un minuscolo flashback in una frase che è già al passato. Se per esempio sto scrivendo "andai al supermercato", per aggiungere a questa frase un'altra frase (subordinata) situata in un momento anteriore, posso usare il trap remoto: "dopo che ebbi ricevuto la tua lista della spesa". In questo senso si dice che il trap remoto, come il trap prossimo, esprime l'anteriorità, ovvero il concetto di passato nel passato. Ma nella frase ci dev'essere già una frase al passato, perché io possa andare ancora più indietro con una subordinata al trapassato.
Ecco: uno dei motivi per cui il trap remoto potrebbe scomparire è che tendiamo a subordinare sempre meno. Questa sì, è una tendenza generale che si può riscontrare nei quotidiani e soprattutto nei libri. Come tutte le lingue, l'italiano scritto è diventato più cinematografico: frasi brevi e incalzanti, separate tra loro. I nessi temporali, o di causa-effetto, vengono lasciati all'interpretazione del lettore. Là dove un autore di primo Novecento avrebbe scritto, ad esempio, "la marchesa uscì solo alle cinque, dopo che ebbe ricevuto il biglietto", il suo collega dei primi Duemila preferirà: "la marchesa ricevette il biglietto verso le cinque. Subito dopo uscì". Nel primo caso abbiamo un'organizzazione sintattica, ricalcata sulle forme del latino; nel secondo abbiamo il montaggio cinematografico di due scene. Addirittura abbiamo sempre più esempi di narrazione al presente ("La marchesa riceve il biglietto ed esce"). È chiaro che un'evoluzione di questo tipo condanna il trap remoto, ma anche tante altre cose più interessanti.
È curioso invece che Cotroneo accusi velatamente la rivoluzione digitale di averci tolto il (dubbio) piacere del trap remoto: la tendenza a semplificare e abolire la sintassi è molto più antica. È già impugnata da scrittori e artisti nel Manifesto tecnico della letteratura futurista (1912), l'anno di massima espansione della nascente industria cinematografica in Italia. Una coincidenza? Forse se tendiamo ad abolire i trapassati, e la sintassi in genere, è perché anche i nostri ricordi sono diventati sempre più cinematografici. Non li organizziamo più in un discorso orale o scritto, ma li riviviamo davanti ai nostri occhi come un film (È questa tra l'altro la speranza che porta Zeno Cosini a frequentare il suo analista: strappare al passato non un senso ma delle "immagini": "Vedere la mia infanzia!").
Un altra peculiarità del trap remoto è il suo aspetto (lo so, è così interessante che ne volete ancora, ebbene, prosegue sul Post!)
Immagino che un pezzo del genere esca almeno una volta alla settimana, su almeno un quotidiano. Giornalisti e scrittori si danno il turno. Gli odori che non torneranno, le mezze stagioni che scompaiono, ne parlava già Leopardi nello Zibaldone (non scherzo, ne parlava davvero citando a sua volta un autore del Seicento, per dire quanto sia topico il problema delle mezze stagioni nell'elaborazione degli intellettuali italiani).
Mi metto a parlarne perché, oltre alle solite foto ingiallite e ai soliti dischi che, siamo onesti, se non eri un maniaco della pulizia dopo un po' li avevi tutti segnati e impolverati e suonavano di merda, lo scrittore ha inserito tra le belle cianfrusaglie del tempo che fu anche un tempo verbale. Oddio, neanche questa sarebbe una novità. Il presente congiuntivo era dato moribondo dalla Stampa già nel maggio del 1968 - e come altre cose dichiarate morte in quel periodo, gode ancora di buona salute. Anche il passato remoto, con tutte quelle radici irregolari che lo rendono tanto ostico, più in Valpadana che altrove, in un qualche modo l'ha scampata. No: forse la notizia è qui. La scorsa settimana Roberto Cotroneo, sentendosi probabilmente obbligato in quanto scrittore italiano a lamentarsi del tempo che passa, ha deciso di piangere le sorti del trapassato remoto.
Lui invece sta benissimo e vi saluta. |
Pare infatti che non usiamo più il trapassato remoto, e che ciò sia un male, perché... perché ci aiutava a depositare i ricordi in cantina, dove prendevano quel necessario odore di muffa che oggi la civiltà digitale non consente più, non capisce più. "Il trapassato remoto si usa per azioni concluse che non hanno alcuna rilevanza con il presente e con l’attualità. Oggi invece tutto ha rilevanza con l’attualità, e nulla si conclude". Sarà. Dando per scontata l'apocalisse digitale, mi resta la curiosità di sapere se è vero. C'è sul serio una flessione nell'uso del trapassato remoto? Esistono studi al riguardo? Se qualcuno ne sa qualcosa, lo prego, mi contatti. Nel frattempo non posso evitare di chiedermelo: se anche sparisse del tutto, il trapassato remoto, sarebbe un male? Preso di per sé, è un tempo verbale molto brutto. Diciamo che mette insieme le cose meno gradevoli degli altri tempi passati: il remoto è asciutto ("fu!") ma irregolarissimo, la croce di ogni corso di italiano per stranieri. I passati composti, per contro, sono belli regolari, ma lunghi, noiosi ("aveva fatto"). Ecco, il trap remoto, essendo un composto del passato remoto, è irregolare come quest'ultimo, e noioso come ogni verbo composto ("ebbe fatto"). Forse se scompare c'è un motivo. Ma sul serio scompare?
Non è inverosimile. Non perché sia brutto. Magari si potesse fare senza le cose brutte. Metti il trapassato prossimo. Non è che sia molto più bello del trap remoto: ebbene, va alla grande. Nei temi dei miei ragazzi noto sempre più questa cosa. Quando scrivono al passato si imbrogliano sempre. Vorrebbero usare il passato remoto, che è così svelto ed espressivo, ma hanno sempre paura di sbagliarlo. Allora saltano al presente, con un effetto cinematografico che nove volte su dieci provoca l'apparizione di vigorosi segni rossi sul foglio "Il pirata mi chiamò e mi dice di far presto"), oppure... al trap prossimo "Il pirata mi chiamò e mi aveva detto di far presto"). Che è persino più orribile. Ma l'idea è più o meno quella: mi serve un passato veramente passato, un passato che mi faccia sentire che il tempo è davvero... passato. La muffa, la polvere, quel tipo di cose. Anche i ragazzini sentono di averne bisogno.
Il trap remoto però è accessibile solo a chi sa già coniugare il passato remoto. Non solo, ma di tutti i passati dell'indicativo è quello che può essere impiegato in meno situazioni: solo in una proposizione subordinata temporale. Come tutti i trapassati, il trap remoto è qualcosa di più di un passato: serve a creare un minuscolo flashback in una frase che è già al passato. Se per esempio sto scrivendo "andai al supermercato", per aggiungere a questa frase un'altra frase (subordinata) situata in un momento anteriore, posso usare il trap remoto: "dopo che ebbi ricevuto la tua lista della spesa". In questo senso si dice che il trap remoto, come il trap prossimo, esprime l'anteriorità, ovvero il concetto di passato nel passato. Ma nella frase ci dev'essere già una frase al passato, perché io possa andare ancora più indietro con una subordinata al trapassato.
Ecco: uno dei motivi per cui il trap remoto potrebbe scomparire è che tendiamo a subordinare sempre meno. Questa sì, è una tendenza generale che si può riscontrare nei quotidiani e soprattutto nei libri. Come tutte le lingue, l'italiano scritto è diventato più cinematografico: frasi brevi e incalzanti, separate tra loro. I nessi temporali, o di causa-effetto, vengono lasciati all'interpretazione del lettore. Là dove un autore di primo Novecento avrebbe scritto, ad esempio, "la marchesa uscì solo alle cinque, dopo che ebbe ricevuto il biglietto", il suo collega dei primi Duemila preferirà: "la marchesa ricevette il biglietto verso le cinque. Subito dopo uscì". Nel primo caso abbiamo un'organizzazione sintattica, ricalcata sulle forme del latino; nel secondo abbiamo il montaggio cinematografico di due scene. Addirittura abbiamo sempre più esempi di narrazione al presente ("La marchesa riceve il biglietto ed esce"). È chiaro che un'evoluzione di questo tipo condanna il trap remoto, ma anche tante altre cose più interessanti.
È curioso invece che Cotroneo accusi velatamente la rivoluzione digitale di averci tolto il (dubbio) piacere del trap remoto: la tendenza a semplificare e abolire la sintassi è molto più antica. È già impugnata da scrittori e artisti nel Manifesto tecnico della letteratura futurista (1912), l'anno di massima espansione della nascente industria cinematografica in Italia. Una coincidenza? Forse se tendiamo ad abolire i trapassati, e la sintassi in genere, è perché anche i nostri ricordi sono diventati sempre più cinematografici. Non li organizziamo più in un discorso orale o scritto, ma li riviviamo davanti ai nostri occhi come un film (È questa tra l'altro la speranza che porta Zeno Cosini a frequentare il suo analista: strappare al passato non un senso ma delle "immagini": "Vedere la mia infanzia!").
Un altra peculiarità del trap remoto è il suo aspetto (lo so, è così interessante che ne volete ancora, ebbene, prosegue sul Post!)
Comments (6)