La coscienza di Zero
03-11-2023, 22:46fumetti, giornalistiPermalink![]() |
https://www.internazionale.it/reportage/zerocalcare/2023/11/03/zerocalcare-lucca-comics-fumetto |
Credevo che la gente invidiasse a Zerocalcare il successo, invece no, quel che la fa impazzire è il fatto che abbia ancora una coscienza. C'è fior di professionisti là fuori che venderebbe la madre per una frazione della rinomanza che ZC si è conquistato, gente che davvero ogni mattina scrolla il telefono per controllare la quotazione della propria madre – hai visto mai – e invece del buon affare si ritrovano una luunga dichiarazione di Zerocalcare che, prevedibilmente, ci informa che gli dispiace tanto, non vuole giudicare nessuno, ma lui ha una coscienza.
Questo è inammissibile!, soprattutto per noi che ci facciamo piacere tutto, che vogliamo giudicare tutti, e che non sappiamo neanche dove l'abbiamo messa quella roba lì, forse in soffitta come il ritratto di Dorian Grey, e non saliamo più a controllare, probabilmente è diventata un pazzo furioso che tira giù le travi a capocciate, non è escluso che un giorno ci crolli tutto addosso, maledetto Zerocalcare che questi problemi non li ha.
Gaza sarebbe bellissima
02-11-2023, 20:08guerra, Israele-Palestina, scontro di civiltàPermalinkDi solito quando scoppia una guerra ci accorgiamo di saperne poco; fa eccezione il conflitto israelopalestinese, del quale possediamo anche troppe chiavi di lettura. È una guerra per i luoghi santi, no è una guerra di civiltà, no è il colpo di coda del colonialismo (dove il problema sta nella coda: agli israeliani rimproveriamo di fare cose che i nostri bisnonni hanno fatto per lo più impunemente su scala assai più vasta), è una guerra asimmetrica, è la legalità contro il terrorismo ecc ecc.
Tutte queste letture non si negano a vicenda: se potessimo conoscerle tutte, forse capiremmo davvero ogni aspetto del conflitto, come una mappa 1:1 conoscerebbe ogni aspetto del territorio: ma così come una mappa del genere sarebbe problematica da leggere quanto il territorio stesso, così più cose impariamo meno riusciamo a immaginare una via d'uscita (avrete notato che chi ha idee chiare e risolute sull'argomento di solito semplicemente non lo conosce).
Viene la tentazione, di fronte a tanta complessità, di riscoprire la chiave più semplice e stupida, la mappa più piccola e monocroma: questa è una guerra tra ricchi e poveri. A scandalizzare non è tanto che una milizia abbia assassinato più di mille persone – cose altrettanto terribili capitano in teatri di guerra non più lontani – ma che i miliziani venissero da una città di poveri, e che abbiano assassinato liberi cittadini di una nazione ricca. Questo è scandaloso; richiede la solidarietà di tutti noi (ricchi), nonché l'incondizionato appoggio di un esercito il quale, rappresentando una nazione ricca, non potrà che comportarsi in modo intrinsecamente morale anche quando conduce una rappresaglia su luoghi densamente popolati.
Anche il rapporto tra vittime delle due parti, se davvero si assestasse intorno a una vittima israeliana ogni 10 palestinesi, non ci scandalizzerebbe più di tanto perché le vittime non si contano, ma se ne pesa il reddito e questa pesa ci dice che Israele è ancora abbondantemente in credito. I ricchi hanno leggi scritte e tribunali, un alto senso della moralità che non può non irradiarsi sul loro esercito; i poveri si vestono male, si comportano in modo sconsiderato e irrazionale, portando avanti uno stile di vita patriarcale che ci risulta molto comodo stigmatizzare – e soprattutto, malgrado ogni nostro tentativo di dissuaderli, figliano troppo, ormai è un'emergenza ambientale, bisognerebbe fare qualcosa, Israele sta facendo qualcosa, con che faccia ipocrita possiamo biasimarli.
Gaza potrebbe essere un luogo bellissimo, una stazione balneare con aeroporti e casino che farebbero fallire Ibiza in venti minuti, ma i poveri ci stanno abbarbicati e tutto quello che hanno saputo farci è quell'inferno di cemento e polvere. Che male veramente c'è se ora li strizziamo tutti fuori da quel tubetto – se solo l'Egitto volesse aprire il tappo, e prima o poi lo farà, o sarà ritenuto il colpevole. Se è una guerra tra ricchi e poveri, le squadre anche tra noi sono fatte: chi vorrebbe essere ricco più facilmente tiferà Israele, chi ha in antipatia la categoria (anche quando ne fa parte) più spesso manterrà una simpatia per la Palestina, poi certo per la maggior parte del tempo parleremo di argomenti più complessi, di guerre di civiltà, di terrorismo e religione e di tutte le altre sovrastrutture che ci siamo inventati più o meno da quando Caino ha capito che il suo stile di vita non era paragonabile a quello di Abele.
Perché non riusciamo a odiare i palestinesi?
27-10-2023, 18:59giornalisti, Israele-Palestina, terrorismoPermalinkC'è una discussione che sarebbe saggio rimandare a tempi più tranquilli, ma non è detto che ce ne saranno più, così comincio adesso. Parto da una domanda meno retorica di quanto potrebbe sembrare: perché non odiamo i palestinesi? Noi italiani, intendo. Persino in un momento come questo, in cui la pubblicistica di sinistra è ormai ridotta al lumicino, e i quotidiani del fu ceto moderato e riflessivo sono tutti a disposizione di Israele – certo, non li legge più nessuno, ma in parte proprio perché ormai se la cantano e se la suonano, senza preoccuparsi troppo di intercettare le opinioni di un pubblico così meno filoisraeliano di loro.
(Il direttore di uno dei principali quotidiani italiani smentito dallo sgangherato strumento di fact-checking affidato alla peggiore comunità virtuale nella storia di Internet) pic.twitter.com/2TNTrDsze6
— Simone Fontana (@simofons) October 26, 2023
Poi c'è la stampa più becera, storicamente barcamenantesi tra antisemitismo e antislamismo, che dal 7 ottobre sembra decisamente aver optato per quest'ultimo. Almeno per quanto mi è dato di vedere (non è che mi soffermi molto). Ma quindi a questo punto chi potrebbe più intercedere per i palestinesi presso il pubblico italiano? Giusto qualche influencer che però se insiste rischia di essere malmenato. Eppure guardatevi intorno: abbiamo una stampa più filoisraeliana della stampa israeliana, opinionisti tv in servizio permanente che possono permettersi di accusare in serenità il segretario generale Onu di fiancheggiare Hamas, e malgrado tutto questo sforzo – che sarà anche costato parecchio denaro – gli italiani non odiano ancora i palestinesi: e parliamo di uno dei popoli più sfigati del mondo. Arabi di lingua, perlopiù musulmani di religione, insomma quel tipo di gente di cui siamo allenati da secoli a diffidare: ma ancora non li odiamo. Perché?
Non hanno calciatori famosi, né ballerine o attrici disponibili a sposare i nostri; in effetti non hanno più niente, e quando avevano qualcosa erano limoni e olive e un po' di luoghi santi, insomma se avessero uno Stato e un minimo di economia dovremmo persino temere la loro concorrenza: e invece di ringraziare chi quotidianamente si adopera per evitare questa possibilità, noi ci ostiniamo a parlare di pace, di Due Popoli Due Eccetera, a tentare di capire le ragioni di chi non ha più un soldo per permettersele. Così empatici, noi, è possibile? Perché diciamolo, di altri popoli ci frega poco o nulla. Qualcuno ha la minima idea ad esempio di cosa stia succedendo in Libia? È una terra più vicina a noi, geograficamente e storicamente. C'è la guerra anche lì, in teoria, ma non ci scalda un decimo di quanto ci attizzi la causa palestinese, la più persa di tutte. Da cui un sospetto: forse non è tanto la simpatia per i palestinesi, che alla fine chi li conosce, quanto la diffidenza per la retorica filoisraeliana, che più martella più ci lascia diffidenti. Può essere il motivo, mutatis mutandis, per cui di putinisti ce n'è più qui che altrove.
È abbastanza singolare che in un contesto sempre più globalizzato, dove ormai la gente in tutto il mondo guarda gli stessi programmi coi sottotitoli, l'italosfera dimostri una sua identità, o almeno un'immunità a messaggi costruiti appositamente per essere ripresi e amplificati da qualsiasi pubblico – e invece no, in Italia non passano. Così come ascoltiamo sempre meno musica in altre lingue (Kanye West l'avrebbe riempito sul serio Campovolo?), capiamo sempre meno certi discorsi, pure semplicissimi. Un anno e più fa gli ucraini cominciarono a spiegarci che non potevano assolutamente negoziare con Putin perché questo avrebbe comportato cessioni territoriali: chi mai cederebbe terreno in cambio di pace? A dire il vero è successo tante volte a tante nazioni, ma agli ucraini sembrava scandalosa la sola idea. Ricordo una serie di messaggi, ripresi anche da qualche volonteroso megafono italiano, tutte variazioni sul concetto: voi che regione del vostro Paese cedereste? È chiaro che una domanda così, se la fai a un americano, è retorica; ma noi italiani abbiamo una storia diversa, regioni ne abbiamo già cedute parecchie (ringraziando di non doverne cedere di più), e soprattutto passiamo il tempo a sfotterci da regione a regione, da provincia a provincia, ognuno a una domanda così ha già pronta una risposta scherzosa, ma fino a un certo punto. Non puoi convincerci con messaggi così, non devi neanche provarci se non vuoi dimostrarci di non conoscere né la nostra storia né la nostra psicologia. D'altro canto gli ucraini sono una nazione giovane, l'inesperienza va messa in conto.![]() |
Una regione sola? Non possiamo darne un paio? |
Gli israeliani viceversa queste battaglie mediatiche le combattono da sempre, con un'indiscussa professionalità, e sin dall'inizio hanno deciso di impostare la campagna autunno-inverno sull'equivalenza tra Hamas e l'Isis. Opzione assolutamente comprensibile, quasi obbligata, che negli USA e in molti Paesi europei farà senz'altro breccia. In Italia c'è questo problema, che dell'Isis non frega quasi più nulla a nessuno. Vagamente ricordiamo che si trattava di una specie di califfato che per un po' ha controllato certe zone desertiche poi riconquistate da potentati non molto più rispettabili, e non siamo del tutto sicuri (come in Libia) di non essere stati anche occasionalmente dalla stessa parte della barricata contro altri nemici, che in Medio Oriente si sa come vanno a finire tutte le guerre di civiltà (come vanno a finire? in guerriglie per il controllo di oasi e pozzi).
Ai tempi "Isis" fu anche l'etichetta che si scelse di appioppare all'ultima storica ondata di attentati di matrice islamica in Europa, che a riguardare i pezzi scritti al tempo ci terrorizzarono parecchio: ma sono passati anni, abbiamo avuto altri problemi, e a differenza che in Francia o in Belgio nessun processo ha mantenuto un po' di attenzione mediatica sugli attentatori perché, anche stavolta, nessun terrorista ha scelto l'Italia. Non è chiaro il perché, forse si tratta solo di fortuna, ma in questo caso è una fortuna incredibile, che dura da più di vent'anni: né Al Qaeda né l'Isis hanno mai considerato l'Italia come un campo di battaglia. Magari è tutto merito della nostra intelligence, ma consentitemi di diffidarne. Comunque sia, registro questo fenomeno: che all'ennesimo agit-prop filoisraeliano (non sempre consapevole di esserlo) che ti ripete che Hamas va trattato come l'Isis, l'italiano medio risponde: ok, ma come l'abbiamo trattato l'Isis? No, sul serio: lo abbiamo pagato? e nel caso, quanto? Perché da noi c'è questa idea, che un prezzo ci sia sempre. Non è un'idea giusta, ma neanche storicamente sbagliata. È senz'altro un'idea cinica, ma ormai si è capito che non siamo quel tipo di popolo che combatte fino all'ultimo uomo per un'idea. Meglio così, vista la nostra inclinazione per le idee sbagliate e perdenti.
Può darsi che questa nostra riluttanza a odiare i palestinesi sia soltanto una resistenza del passato, come quando non volevamo andare nei fast-food perché era la fine della cucina italiana. Può darsi che dipenda da una serie di circostanze che stanno per sfumare: nei prossimi giorni, se il blocco di luce e acqua proseguirà, moriranno veramente molte persone e l'unico modo di resistere a questa informazione sarà autoconvincersi che non si tratta esattamente di persone, bensì "inhuman animals" o qualcosa del genere, in altri Paesi probabilmente sta già funzionando. Aggiungi che dicembre si sta avvicinando, e presto i nostri giornalisti scopriranno che nelle scuole di Gaza non fanno il presepe. Questo potrebbe essere il dettaglio cruciale.
Karol W., santo e subito
21-10-2023, 19:15Chiesa, repliche, santiPermalink![]() |
Si fa la barba verso il 1960. |
A un certo punto della mia, della sua vita, io devo aver pensato che Karol Wojtyla, in arte Giovanni Paolo II, non sarebbe morto mai. Forse per mancanza di fantasia, dopo vent’anni la prospettiva di un altro papa, con un nome diverso, un diverso numero, mi sfumava nell’inverosimile. Un altro dopo di lui, ma chi? E perché? Del resto, bastava notare i progressi della scienza medica per farmi intravedere la singolarità: la vita media si allungava sempre più, sempre più organi e tessuti diventavano rigenerabili, certo sarebbe servito denaro ma per uno come GPII il denaro non era un problema. Per un papa come lui il problema era piuttosto dire di no all’accanimento terapeutico: avrebbe potuto mai permettersi di dire una cosa semplice e terribile come “lasciatemi morire?” Non poteva, era GPII, le sue più profonde convinzioni lo condannavano a vivere per sempre. Sublime ironia: mentre la gente lo acclamava santo in vita, lui si sarebbe autoinflitto un esilio in terra; si sarebbe lasciato alimentare coi sondini finché tutto l’apparato nervoso non sarebbe diventato replicabile in laboratorio (ovviamente senza fare male a nessun embrione). Se poi col tempo fosse scivolato in una condizione di coma vigile, nessuno avrebbe potuto arrogarsi di scegliere per lui a ogni bivio tra la morte e una nuova terapia per conquistare qualche mese di vita: e così sarebbe sopravvissuto per millenni, ieratico e immortale vicario di Cristo, pronto a riaprire gli occhi e staccare le flebo nell’alba del giorno del giudizio. Alla Chiesa cattolica, raccolta in preghiera intorno al suo capezzale in terapia intensiva permanente, non sarebbe rimasto che nominare un vicario del vicario. A un certo punto io pensavo che sarebbe realmente finita così. Lo scrissi anche da qualche parte, per fortuna non mi lesse nessuno.
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Chiunque altro renderebbe la foto ridicola. |
Dato che ovviamente mi sbagliavo. Un giorno qualsiasi, GPII sussurrò davvero l’inimmaginabile frase “lasciatemi tornare alla casa del Padre”, e ci lasciò. La sua missione, abbracciata 35 anni prima – accompagnare la Chiesa nel terzo millennio – era abbondantemente compiuta. Ora magari verrà qualcuno esperto a spiegare, con dovizia di argomenti, perché quella sommessamente domandata da GPII e più recentemente dal cardinale Martini non sia da considerarsi un’eutanasia, mentre quella di Piergiorgio Welby sì. Mi si perdoni se qui la taglio un po’ più corta: un sovrano non è soggetto alle stesse leggi dei sudditi, e GPII è stato la cosa più vicina a un sovrano che abbiamo avuto in Italia dal Quarantasei in poi – ma forse anche da prima. La sensazione che sopra ogni confusione e disastro, ci fosse comunque Lui, il sole indifferente che anche quando è nuvolo c’è: basta aspettare e prima o poi farà capolino da qualche parte nel cielo, ci farà sapere cosa pensa, pubblicherà un’enciclica, beatificherà un reggimento, stringerà le mani a qualche leader politico discutibile, dirà due paroline dal balcone contro la guerra o la fame… Anche chi malsopportava la Chiesa, Wojtyla non riusciva a odiarlo. Senza mai diventare quel tipo di papa piacione collaudato da Giovanni XXIII, ritentato da Giovanni Paolo Primo e ora rispolverato da Papa Francesco, GPII da un certo punto in poi divenne semplicemente troppo grande perché ci si potessero appendere le nostre polemiche quotidiane. Quel punto fu probabilmente il 13 maggio 1981, l’attentato a Roma, festa della Madonna di Fatima.
Fino a quel momento Wojtyla era stato un papa simpatico, coi suoi errori di pronuncia, persino un po’ mondano, coi suoi voli transatlantici e la sua fissa per il nuoto in piscina. Un intellettuale, comunque, uno che ha studiato sul serio, e che si era ritrovato nel partito di Dio in uno dei pochi Paesi al mondo in cui era un partito d’opposizione, osteggiato dal regime. La più famosa vignetta di Andrea Pazienza fotografa quel momento particolare: un giovane papa a bordo piscina sorseggia un drink e si domanda: e se esistesse veramente? Ih! Mavvedi cosa vado a pensare. Qualche anno dopo una vignetta così sarebbe stata inimmaginabile. Il Wojtyla che avrebbe stretto la mano a Pinochet sarebbe stato vittima di scherzi anche più feroci, ma nessuno l’avrebbe più immaginato nell’atto di dubitare.
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Gli hanno appena sparato. Questa e le altre straordinarie foto provengono da https://www.ilpost.it/2011/05/02/foto-wojtyla/ |
Ali Ağca cambiò le cose per sempre, anche se non nel mondo che aveva voluto lui (ma non sapremo mai cosa voleva davvero Ali Ağca). Se il Novecento è la nuova Bibbia, e gli attentati suggellano la grandezza dei nuovi Martiri (i Kennedy, Gandhi, Martin Luther King), scampare a un attentato è la cosa più simile alla resurrezione che la postmodernità possa offrirci; e nel 1981 nel giro di tre mesi risorsero due dei protagonisti assoluti del decennio a venire: Ronald Reagan e Karol Wojtyla. Entrambi mediocri attori in gioventù e politici di razza; entrambi intimamente persuasi dell’esistenza del Male e della propria militanza nelle file del Bene; entrambi ormai convinti di essere stati scelti e salvati per qualcosa di grande, fosse anche la fine del mondo. È abbastanza buffo dire, come dicono molti, che Reagan e/o Wojtyla sconfissero il comunismo. Ma non c’è dubbio che si sentissero chiamati a farlo, e che nel 1981 non potevano immaginare quanto sarebbe stato relativamente semplice, quasi indolore. Nei suoi discorsi elettorali Reagan parlava di apocalisse nucleare e Impero del Male. Nell’anno dell’attentato, un papa Wojtyla ancora umano lasciava che da un’intervista con una rivista tedesca trapelassero dettagli inquietanti su quel famoso terzo segreto di Fatima:
Se c’è un messaggio in cui si dice che gli oceani annegheranno intere sezioni della terra, e che da un momento all’altro milioni di persone periranno… non c’è veramente nessun motivo di voler pubblicare questo messaggio. Molti vogliono conoscerlo per pura curiosità, o per il gusto del sensazionalismo, ma dimenticano che “sapere” implica anche per loro una responsabilità. È pericoloso soddisfare una curiosità se sei convinto che non possiamo fare nulla per una catastrofe che è stata predetta.
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Il quinto da destra nella terza fila dietro l’obelisco è distratto, sta pensando al totocalcio. |
In seguito GPII non si sarebbe più lasciato scappare rivelazioni del genere. Per molti anni i fotografi non avrebbero inquadrato che sorrisi, sempre più raggrinziti e ieratici, finché il parkinson glieli avrebbe consentiti; nel mentre che metteva a punto quella strategia comunicativa che sta tutta in una parola: speranza. Non Abbiate Paura. Varcate la Soglia della Speranza. Nel frattempo anche la retorica di Reagan si raddolciva, malgrado i vertici USA-URSS non stessero andando poi così bene. La storia gli avrebbe dato ragione.
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Dicono che ci ha una mossa segreta che dopo 30 giorni muori. |
Wojtyla non aveva ancora vent’anni quando i tedeschi avevano invaso la Polonia. Col padre era fuggito da Cracovia verso est – soltanto per scoprire che da est arrivavano i sovietici. Tornato dalla parte tedesca, aveva trovato lavoro in una miniera: fu l’impiego che lo salvò dalla deportazione. Un giorno, aveva 24 anni, mentre tornava dalla miniera un camion tedesco lo investì. Trauma cranico acuto. Un minatore polacco, nelle province esterne del Reich, nel 1944, quante possibilità aveva di salvarsi?
Wojtyla la scampò. Maturò forse in quel momento l’idea di essere al mondo per qualcosa di grande. Una convinzione profonda, pre-logica, immune a tutta la filosofia e la cultura che stava immagazzinando. Quando sopravvivi al nazismo, e appena ti fai prete arrivano i sovietici, e invece di finire male diventi cardinale, e vai a un conclave e non ti fanno papa, ma il papa muore subito e tu diventi Giovanni Paolo II: qualche dubbio di essere l’uomo del destino ti viene. Se poi ti sparano al cuore, e sopravvivi, ed è proprio il giorno in cui si festeggia quella Madonna che aveva previsto tutto, beh, forse davvero la fine dei tempi è vicina. Forse negli ultimi anni Wojtyla stava aspettando qualcosa di più della sua semplice fine individuale. La sua contrarietà a un pensionamento che il braccio destro Ratzinger trovava già logico potrebbe avere avuto questo senso.
Finché un mattino non deve essersi arreso. Era primavera inoltrata, ormai, la ventisettesima che passava a Roma, e il mondo che pulsava alle finestre tutto dava l’impressione fuorché di voler finire. Vabbe’ mi sarò sbagliato, mò lasciatemi andare. Rip.
Le cavallette! (Non è stata colpa mia?)
18-10-2023, 18:04Bibbia, Israele-Palestina, medio oriente, santiPermalink19 ottobre: Gioele, profeta (IX secolo o IV secolo aC)
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Sesso con gli ortotteri! |
Il profeta che andò a putt
17-10-2023, 11:07Bibbia, repliche, santiPermalink![]() |
Duccio di Buoninsegna |
[2012]. Essere profeta del Dio di Israele non è proprio il massimo della vita – esistono datori di lavoro più ragionevoli, diciamo. Giona quando prova a mollare si ritrova per tre giorni nelle profondità dell’oceano all’interno del ventre di una balena; Ezechiele a un certo punto deve sdraiarsi su un fianco per un numero di giorni (390+40) corrispondenti agli anni dell’esilio babilonese, e nutrirsi di cibo cotto sopra feci umane. Al che persino Ez, uno che per il suo Dio avrebbe fatto qualsiasi cosa, esprime una perplessità: Signore, la cacca umana è impura, io non ho mai mangiato niente di impuro. Va bene, risponde Dio, puoi usare feci bovine. Allora lo vedi che non è così duro come raccontano, lo vedi che ci sono margini di trattativa? Ma forse il caso più interessante è Osea, profeta minore ingiustamente negletto, col quale il Signore va subito al dunque:
Quando il Signore cominciò a parlare a Osea, gli disse:
«Va’, prenditi in moglie una prostituta
e abbi figli di prostituzione,
poiché il paese non fa che prostituirsi
allontanandosi dal Signore».
Il libro del profeta Osea comincia così – e potrebbe cominciare meglio? Siamo più o meno a metà Bibbia e ormai dovremmo avere imparato che da questa entità ci si può aspettare qualsiasi cosa: magari ti chiede di sgozzare tuo figlio su un altare, magari poi cambia idea all’ultimo momento, è fatto così. Ciononostante, bisogna riconoscerlo, riesce sempre a mantenere l’attenzione del lettore, riesce sempre a stupirlo con qualche espediente nuovo. Ciao Osea! Sono il tuo d-i-o, ora sposa una puttana, perché mi serve una metafora. Ah, e facci almeno tre figli, ma preparati a dar loro dei nomi ridicoli:
La donna concepì di nuovo e partorì una figlia e il Signore disse a Osea:
«Chiamala Non-amata,
perché non amerò più la casa d’Israele,
non ne avrò più compassione […]
Dopo aver divezzato Non-amata, Gomer concepì e partorì un figlio. E il Signore disse a Osea:
«Chiamalo Non-mio-popolo,
perché voi non siete mio popolo
e io non esisto per voi».
Insomma l’Entità è arrabbiata, molto, per via del solito problema, che il popolo di Israele non la ama. L’Entità lo ha chiamato dall’Egitto, ha fatto scaturire miele dalle rocce, quaglie dal cielo, per non parlare della manna e di tutti quei popoli che ha eliminato per far spazio, ma niente da fare: è un popolo poco serio, che tresca con gli altri dei, costruisce altarini e non si perita nemmeno più di nasconderli, ormai sono tresche dichiarate, all’aria aperta (sulle cime dei monti!), e l’Entità non ne può più. L’Entità è orribilmente gelosa, di una gelosia forse senza precedenti in letteratura. Un sentimento che prima della Bibbia non aveva nemmeno un nome, e che a partire dall’Esodo diventa attributo divino, ma che nel rotolo di Osea suona umano, terribilmente umano.

http://www.jaypinkerton.com/hosea.html
Chi lo ha scritto non necessariamente era ispirato da Dio, ma sicuramente era ispirato da una passione frustrata. Passa continuamente dalle maledizioni alle promesse, a volte fa come per accarezzarti, ma capisci che gli prudono le mani. Il Dio di Osea si esprime insomma come quel tipo di ex marito che sta per violare un’ordinanza restrittiva per portare un pacco infiocchettato al compleanno del figlio, ma in tasca comunque tiene il necessario qualora gli venisse l’ispirazione di tagliare la gola alla madre del bimbo. Come tanti libri profetici, non sappiamo se ci sia giunto in uno stato un po’ caotico o se il caos non sia caratteristico del modo di esprimersi dell’Oracolo del Signore. In ogni caso ovunque lo apri puoi imbatterti, alternativamente, in minacce di morte cruentissime e dichiarazioni d’amore appassionate, struggenti: c’è gente che si sposa, con letture del libro di Osea; se solo conoscessero la premessa…
Ad Efraim (una delle dodici tribù, ma anche tutto Israele per sineddoche)
io insegnavo a camminare tenendolo per mano,
ma essi non compresero che avevo cura di loro.
Io li traevo con legami di bontà,
con vincoli d’amore;
ero per loro come chi solleva
un bimbo alla sua guancia;
mi chinavo su di lui per dargli da mangiare.
Hai letto quanto è tenero qui? Attenzione, ora salto un versetto:
La spada farà strage nelle loro città,
sterminerà i loro figli,
demolirà le loro fortezze.
Ne salto un altro:
Come potrei abbandonarti, Efraim,
come consegnarti ad altri, Israele?
Come potrei trattarti al pari di Admà,
ridurti allo stato di Zeboìm?
Il mio cuore si commuove dentro di me,
il mio intimo freme di compassione.
Non darò sfogo all’ardore della mia ira,
non tornerò a distruggere Efraim,
perché sono Dio e non uomo;
Perdona, ma a me pare proprio il contrario. Mi sembri veramente, decisamente un uomo, un uomo che a un certo punto della vita forse si è messo con la donna sbagliata, o forse tutte le donne sono sbagliate per certi uomini, in certi momenti della vita, in ogni caso mi sembri un uomo che su questa cosa che tua moglie ha altri interessi ci deve ancora lavorare. E andare in giro dicendo che tua moglie è una puttana, e che l’hai sposata solo perché te l’ha ordinato il tuo dio, no, non ha l’aria di un progresso nella giusta direzione.
Samaria espierà,
perché si è ribellata al suo Dio.
Periranno di spada,
saranno sfracellati i bambini;
le donne incinte sventrate.
Torna dunque, Israele, al Signore tuo Dio,
poiché hai inciampato nella tua iniquità.
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Ma perché si copre la tes |
D’altro canto chi sono io per giudicare. Se Osea fosse stato semplicemente un marito becco in cerca di sfogo, i suoi rotoli si sarebbero persi da un pezzo. Per sopravvivere all’oblio, per consegnare al lettore del XXI secolo un documento vibrante sulla gelosia umana, Osea doveva fare il profeta, trasformare la sua frustrazione in metafora. Come lo pseudoSalomone a cui piacevano le more, e per mille anni abbiamo fatto finta che la moretta ben tornita del Cantico dei Cantici fosse un’allegoria della Chiesa; magari Osea voleva solo raccontarci come ci si sente quando si è furiosi per un tradimento. Di sicuro la furia sa esprimerla bene.
Samaria espierà,
perché si è ribellata al suo Dio.
Periranno di spada,
saranno sfracellati i bambini;
le donne incinte sventrate.
Torna dunque, Israele, al Signore tuo Dio,
poiché hai inciampato nella tua iniquità.
Magari è come certi che questa furia insanabile provano a trasferirla nella politica, o nella religione, nella prima rivendicazione identitaria che trovano sul loro cammino. In ogni caso è un uomo, di quasi tremila anni fa, ma già un uomo con sentimenti che riesco quasi a riconoscere, e a me gli umani interessano (Dio molto meno, cioè su Dio non saprei veramente che dire. Ma se è davvero lo stalker adombrato nel libro di Osea, siamo fottuti).
Ti farò mia sposa per sempre,
ti farò mia sposa
nella giustizia e nel diritto,
nella benevolenza e nell’amore,
ti fidanzerò con me nella fedeltà
e tu conoscerai il Signore.
E avverrà in quel giorno
– oracolo del Signore –
io risponderò al cielo
ed esso risponderà alla terra;
la terra risponderà con il grano,
il vino nuovo e l’olio
e questi risponderanno a Izreèl.
Io li seminerò di nuovo per me nel paese
e amerò Non-amata;
e a Non-mio-popolo dirò: Popolo mio,
ed egli mi dirà: Mio Dio.
Farla finita con Gaza
09-10-2023, 00:58guerra, Israele-PalestinaPermalink![]() |
Il Messaggero |
Se scrivo qualcosa qui, non è che ce ne sia un motivo. Non ho informazioni da aggiungere, non ho previsioni da proporre, in sostanza non ho quasi idea di cosa stia succedendo e di perché succeda. Scrivo per abitudine – un'abitudine che sto perdendo, in realtà, e forse non è nemmeno un male. Scrivo per rendere a me stesso conto del fatto che mentre cominciavano ad arrivare le notizie dell'attacco di Hamas, ho scoperto covare da qualche parte in me un sentimento di speranza. Non certo di una vittoria di Hamas – credo che non ci contino nemmeno loro, la violenza che esprimono è proporzionale alla disperazione che li nutre; forse speravo anch'io in una rappresaglia massiccia delle forze militari israeliane. La quale rappresaglia porterebbe senz'altro al massacro di una popolazione in gran parte inerme, ma magari anche alla fine di quel laboratorio mostruoso che è diventata Gaza, e dello status quo che ha incancrenito la situazione a partire dal ritiro unilaterale degli israeliani dalla Striscia nel 2005.
Se scrivo qualcosa è perché su quel ritiro che apparentemente poteva sembrare una buona notizia, ho maturato col tempo e qualche lettura un'opinione che i fatti successivi hanno sembrato confermare; dopodiché non è da escludere che da un certo momento in poi io abbia messo di notare altri fatti che la smentivano. A chi aveva la pazienza di passare di qui ho cercato di spiegare, coi miei limiti, che quello che il mondo intero continuava a vedere come un problema, per Israele era una soluzione; che Gaza avrebbe fornito da quel momento agli israeliani quella modica quantità di minaccia esterna necessaria a mantenere la società coesa e bellicosa, in un warfare di bassa intensità che era la cosa più vicina alla pace che Sharon o Netanyahu potevano concepire.
Quando i bombardamenti reciproci tra Gaza e Israele cominciarono ad assumere un ritmo stagionale, a chi periodicamente gridava che Israele era minacciata nella sua stessa esistenza obiettavo che no, Israele aveva di fatto già vinto, e come ogni vincitore aveva avuto la possibilità di scegliersi il suo nemico, selezionarlo, tagliargli gambe e/o testa ogni volta che ne intravedeva la necessità. Non volete sentirvi dire che Israele ha creato Hamas? Va bene, e del resto non ci sono le prove, ma dopo tanti anni non ha nemmeno più molta importanza chi l'abbia creato: qualcuno comunque ha consentito che prendesse il potere in una striscia di terreno sovrappopolata e recintata da ogni lato, e di certo non è stata l'ANP. Qualcuno ha pensato che piuttosto di cercare una pacificazione coi palestinesi, attraverso una strada che a nessuno è mai sembrata facile, si poteva invece dividerli e lasciare che in certe sacche i più radicalizzati e indifendibili prendessero il sopravvento. Questo non avrebbe mai garantito agli israeliani l'incolumità che si godono i cittadini di un Paese in tempo di pace, ma li avrebbe confortati nell'idea che la guerra che era necessario protrarre in eterno era una guerra giusta, combattuta dall'esercito più morale del mondo per difendere lo Stato che vince sempre ma che ogni razzo artigianale minaccia nella sua stessa esistenza. E poi dicevo un'altra cosa, che a distanza mi colpisce: che la Striscia era un esperimento, e che se avesse avuto successo – e stava avendo successo – non sarebbe passato molto tempo prima di ritrovarcelo in altre situazioni. Il che non significa che Kossovo e Donbass, per fare due esempi europei, non siano situazioni dove la guerra a bassa intensità può diventare lo status quo; ma che può succedere e in parte dipende da noi, dalla nostra attenzione, dalla nostra consapevolezza.
Ora, quello che sta succedendo è atroce, ed è difficile immaginare che non porti nei tempi brevi ad atrocità ancora peggiori. Ma se per la prima volta dal 2005 i miliziani di Hamas danno l'impressione di avere davvero fatto qualcosa che Israele non si aspettava, forse almeno tante vittime significano che l'esperimento Gaza è fallito. La violenza che ha prodotto, la crudeltà che ha partorito, è qualcosa che Israele non riesce più a contenere: per farlo dovrebbe superare il nemico in crudeltà e forse non può farlo, perché Hamas prende ostaggi e perché Israele, malgrado tutto, è ancora una democrazia. I falchi nel 2005 hanno avuto un'idea; per qualche tempo è sembrata funzionare, e chi ne parlava male un pericoloso antisemita. Dopo quasi vent'anni, l'idea si svela per il congegno aberrante che è: chi l'ha voluta è morto, chi l'ha portata avanti è vecchio è odioso; Israele è uno Stato di giovani, e i giovani se una cosa non funziona di solito la cambiano, non ci si intestardiscono fino a morirne. Forse sto sperando in questo.
Tre Pelagie intorno al cuore
08-10-2023, 03:10miti, prostituzione, santiPermalink8 ottobre: Sante Pelagie di Antiochia, di Gerusalemme, facciamo anche di Tarso
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Per carità, non voglio insegnarvi il mestiere, ma io avrei inserito il condannato a morte prima di accendere il fuoco. |
A volte è tutta una questione di nomi. Qualcuno decide che ti chiami in un modo, ad esempio Pelagia, e tempo un paio di secoli finisci sul calendario in un tal giorno, un giorno che non dice nulla della tua vita, ma è il giorno in cui hanno ucciso un'altra Pelagia e chi scrive i calendari le ha confuse, o semplicemente ha deciso che quello è il giorno in cui si festeggiano tutte le Pelagie e amen. Oggi appunto è il giorno delle tre Pelagie, anche se i lettori più sgamati ci aspettano già al varco per ricordarci che no, Pelagia di Tarso non si festeggia l'otto ottobre, bensì il 4 maggio. In effetti in Occidente è così, ma nei sinassari bizantini era ricordata anche lei nella data di oggi, come la piacente fidanzata del figlio di Diocleziano che convertendosi repentinamente al cristianesimo ne causa il suicidio; al che l'imperatore, divorato dalla rabbia, avrebbe dichiarato guerra a tutti i cristiani. Come ben sappiamo ne fu infatti il principale sterminatore: e lo sterminio sarebbe cominciato dalla stessa Pelagia di Tarso, che Diocleziano avrebbe fatta chiudere in un toro di Falaride. Cosa sia il toro di Falaride non devo certo spiegarlo a voi, egregi lettori ed ex studenti dei licei che il mondo intero ci invidia – fermi lì, non googlate, stavo scherzando, ve lo racconto in breve: è un leggendario strumento di supplizio, una delle idee più orrorifiche che ci siano arrivate dai cronisti antichi, tale da aver impressionato lo stesso Dante che lo menziona nell'Inferno. Ne parla per primo Diodoro Siculo: Falaride è il tiranno di Agrigento a cui l'inventore Perillo o Perileo sottopone il progetto di questo grande toro di bronzo in cui inserire i condannati a morte per arrostirli. Perileo ha pensato a tutto, compreso un sistema interno di amplificatori per trasformare le grida dei suppliziati nei versi di un toro, e un incensiere per evitare che l'odore di barbecue diventi eccessivamente acre. Falaride sembra intrigato dall'idea e dà a Perillo il via libera per costruirlo, ma quando il toro è pronto ordina che sia lo stesso Perillo a entrarci per il collaudo. Al termine del supplizio, disgustato da tanta crudeltà, fa gettare il toro in mare: ma ormai è troppo tardi, l'idea del toro ci è rimasta in testa e se ne resterà per sempre in qualche angolo, tra le storie d'orrore che non riusciamo dimenticare. Da quell'angolo la deve avere ripescata l'anonimo autore della passione di Pelagia di Tarso, per terminare una leggenda che sembra voler mettere assieme frammenti delle altre due Pelagie che si festeggiano oggi: una vergine suicida e una ballerina pentita.
Petronio, un patrono insoddisfacente
03-10-2023, 17:45Bologna, santiPermalink![]() |
Oh ma vi sembra una roba da mostrare ai turisti, ma ripigliatevi. |
Si sa che alle ossa di un santo possono capitare le cose più strane, ad esempio quelle di San Petronio furono testate come parafulmine: siccome la Torre degli Asinelli sembrava particolarmente bersagliata dalle scariche elettriche del cielo – il che poteva riflettere una certa insofferenza di Nostro Signore per la città universitaria – i bolognesi provarono a mettere un po' di resti di Petronio in cima alla torre, sperando che Domineddio avrebbe usato da quel momento in poi un po' più di riguardo. Sì, se uno ci riflette non ha senso neanche dal punto di vista di un credente, cioè se Domineddio è arrabbiato con una città, mica gliela fate passare con le reliquie – però oh, ci hanno provato, i bolognesi con l'elettricità non lasciano nulla di intentato, le rane di Galvani ne sanno qualcosa.
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Questo è un "videomapping" e forse ci fornisce una chiave: se i bolognesi la finissero, dovrebbero poi ammettere che non è la più bella, che in giro ce n'è di migliori. |
Qualche volenteroso scrittore senza troppe preoccupazioni per le fonti, a Bologna non ne mancano, ne scrive un'agiografia che lo rende il rifondatore della città: cognato dell'imperatore Teodosio, nominato vescovo di Bologna da papa Celestino, Petronio avrebbe trovato la città distrutta dalle invasioni barbariche e si sarebbe dedicato alla sua ricostruzione; non solo edificando Santo Stefano come "Santa Gerusalemme", sul modello del Santo Sepolcro, ma ampliando le mura e ottenendo dal cognato imperatore una larga autonomia amministrativa e addirittura il permesso per costituire uno Studium, cioè l'università – insomma non era ancora il Milleduecento e già i bolognesi smaniavano di sostenere che la loro università fosse la più antica del mondo.
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Il modellino di Arriguzzi, ovvero come se l'immaginavano nel Cinquecento (quando comunque non avevano i soldi per finire il pezzo già costruito). |
Il giorno degli arcangeli
29-09-2023, 01:03repliche, santiPermalink[2013]. Neanche troppo tempo fa, il 29 settembre si festeggiava soltanto Michele Arcangelo, il primo vero supereroe, con le sue ali bianche e la sua lancia sempre conficcata in qualche drago: è l’anniversario della dedicazione del suo più famoso santuario, nel 493 (anche se più probabilmente è di epoca longobarda), a Monte Sant’Angelo in provincia di Foggia. I due colleghi, Gabriele e Raffaele, che nessun passo della Bibbia qualifica come “arcangeli”, avevano entrambi il loro giorno dedicato, rispettivamente 24 marzo e 24 ottobre. A riunire i festeggiamenti in un giorno solo ha provveduto il Concilio Vaticano II. Cordova, città particolarmente devota a Raffaele (dopo essere stata la capitale europea dell’Islam), continua a festeggiarlo in ottobre. Un accorpamento del genere, in mancanza di altre ragioni pratiche o economiche, tradisce un certo fastidio dei teologi. Chi sono questi angeli? Da dove vengono? Cosa pretendono? Le scritture ne parlano pochissimo. Meglio diffidare. Non è un atteggiamento particolarmente moderno: l’insofferenza dei cristiani per l’angelologia è antica quanto il cristianesimo, visto che già il suo fondatore, Paolo di Tarso, metteva in guardia i colossesi dal “compiacersi in pratiche di poco conto e nella venerazione di angeli”.
Le generazioni seguenti dovettero probabilmente scegliere tra due categorie di personaggi venerabili: i martiri o gli angeli. Scegliere gli angeli significava immancabilmente offrirsi alle derive gnostiche che circolavano liberamente in quei secolo, un tripudio sincretico e new age di personaggi alati associati ovviamente al giorno della settimana, al segno zodiacale, al punto cardinale, al tuo umore, e domani incontrerai qualcuno e dovrai fare una scelta importante. Venerare i martiri significava la guerra a tutti i paganesimi: c’è un solo Dio e vale la pena di morire per testimoniarlo. Vinsero evidentemente i più estremisti, ma gli angeli non scomparirono del tutto. Ogni tanto ritornano, sembra che i fedeli non ne possano fare a meno. Certo, nei quadri le ali fanno la differenza. I santi non ce le hanno, anche quando volano sembrano semplicemente sospesi in aria: vuoi mettere con un Michele che svolazza?
Ma chi è poi questo Michele? Il suo nome è a sua volta una domanda, dato che in ebraico suona più o meno “Chi come Dio?” La sua prima apparizione è in un testo biblico abbastanza tardo (II sec. aC), il Libro di Daniele, che gli ebrei non hanno nemmeno incluso nel canone della loro Bibbia – i cattolici sì, ma son di bocca buona. Qui è presentato come il luogotenente del Dio degli eserciti, il suo condottiero più fidato. Nello stesso testo esordisce anche Gabriele, “Dio è potente”. A lui la voce del Signore ordina di spiegare una visione al profeta. Sembra il classico intermediario tra la divinità e l’uomo, e la redazione in greco usa per definirlo il termine classico, ánghelos. Con la stessa funzione lo ritroviamo nel vangelo di Luca, nell’apparizione angelica più celebre: è lui a informare Maria della sua gravidanza. Michele torna invece in un passo dell’Apocalisse (un testo che ha molti debiti col libro di Daniele), sempre con funzioni di alto ufficiale dell’esercito divino: i quadri che lo raffigurano nell’atto di sconfiggere un drago-serpente traggono spunto da lì. E Raffaele? Di lui parla soltanto il libro di Tobia, un altro testo dell’Antico Testamento rigettato dal canone ebraico e recuperato in quello cristiano. Nel libro Raffaele (“Dio Guarisce”) fa da mezzano tra il giovane Tobia e la tenera Sara, una brava ebrea deportata con un piccolo problema: è posseduta da un demone, Asmodeo, che ammazza tutti i suoi mariti la prima notte di nozze. Raffaele sconfigge Asmodeo e cura la cecità del padre di Tobia, un novello Giobbe, tanto pio quanto sventurato. Di storie a lieto fine nella Bibbia non è che ce ne siano tantissime, d’amore poi; sicché la favoletta di Tobia e Raffaele diventa piuttosto popolare nel medioevo: ai giovani sposi viene proposto di praticare l’astinenza per le prime tre notti di nozze, dette le “notti di Tobia”. Raffaele viene invocato come guaritore, anche se in questo campo la concorrenza è presto agguerritissima. Questo è più o meno tutto quello che la Bibbia ci dice su Michele, Gabriele e Raffaele.
E la guerra con gli angeli ribelli? Lo scontro con Lucifero? I testi canonici non ne parlano: a far luce sulla vicenda è un libro apocrifo, attribuito al patriarca Enoch, considerato da quasi la totalità di ebrei e cristiani una patacca già nel primo secolo dC. Gli unici ad averlo incluso nella loro Bibbia sono gli etiopi, ed è nella lingua etiope che il testo ci è arrivato nella sua interezza. Se l’avesse veramente scritto Enoch, settimo discendente di Adamo, bisnonno di Noè, sarebbe il libro più antico della storia: invece è probabilmente stato redatto nel primo secolo avanti Cristo. Il libro contiene i nomi di ben sette arcangeli (Uriele, Raffaele, Raguele, Michele, Sarcaele, Gabriele, Remiele); e del resto Raffaele a Tobia si era presentato come “uno dei sette angeli ammessi alla presenza della maestà del Signore”. A questo punto ogni giorno della settimana e ogni pianeta conosciuto poteva avere il suo arcangelo di riferimento – e tuttavia i vescovi diffidano. Non è che mettano in dubbio l’idea di uno scontro preistorico tra demoni e angeli, ma rigettano il racconto di Enoch e decidono di omologare soltanto i tre nomi attestati nella tradizione biblica. Nel 380 il concilio di Laodicea censura l’invocazione degli angeli come “segreta idolatria”. I barbari però vanno matti per Michele (i longobardi specialmente), un angelo guerriero nel quale è forse più facile per loro riconoscersi. Nel 745 papa Zaccaria scopre che a Magdeburgo un vescovo invoca nomi angelici non consentiti: getta l’anatema e mette per iscritto il divieto di invocare angeli o arcangeli che non siano Michele, Gabriele e Raffaele. Ma poi passano i secoli e nel 1516, alla vigilia della riforma protestante, avviene un ritrovamento straordinario. Due canonici della cattedrale di Palermo, Antonio Lo Duca e Tommaso Belloroso, notano nella piccola chiesetta di Sant’Angelo le tracce di un affresco antichissimo. Tra gli episodi biblici, c’è anche una foto di gruppo del pool angelico:
È un vecchio affresco di epoca bizantina, segno che la venerazione dei Sette Arcangeli aveva resistito a qualche divieto. A sette secoli di distanza, invece, Lo Duca non sa nemmeno che nominarli è proibito. Anzi, il ritrovamento di questi nomi misteriosi getta i semi di una renaissance angelologica, proprio nel momento storico meno adatto: Lutero sta per mettere in questione la venerazione dei santi, figurarsi quella degli angeli. A Palermo però nasce una “confraternita dei sette angeli” a cui si affretta a iscriversi pure Carlo V imperatore; Lo Duca si mette a girare in lungo e in largo per diffondere i nomi angelici e raccogliere i fondi necessari all’erezione di una cattedrale angelica. A Roma, dove è passato a servizio di un cardinale, scartabella finché non trova in qualche antico libro una conferma: i quattro arcangeli misteriosi si chiamano Uriele (“Dio infiamma”), Barachiele (“benedizione di Dio”), Geudiele (“lode di Dio”), Sealtiele o Salatiele (“Dio comunica”). In effetti ne parlava anche lo Pseudodionigi, non esattamente un manoscritto perduto. E tuttavia i soldi per la cattedrale non si trovano; i papi hanno già il loro daffare a finire quella enorme in Vaticano. Vendere indulgenze non è bastato, anzi ha fatto protestare i tedeschi e ha lacerato per sempre la cristianità. A un certo punto Lo Duca (che a Roma chiamano Del Duca) ha un’illuminazione, non in senso figurato: una visione luminosa che gli ordina di dedicare agli arcangeli i ruderi delle terme di Diocleziano, dove i Sette avrebbero assistito sette martiri. È un’ottima idea, anche abbastanza economica, perché le Terme sono ancora in piedi e prima o poi si sarebbe dovuto decidere cosa farne, restaurarle o buttarle giù. Farne una chiesa è il modo migliore per conservarle, vedi quel che successe al Colosseo che finché non fu dedicato ai martiri rimase una rovina. Del Duca però dovrà aspettare parecchio prima di trovare un papa interessato al progetto: Paolo III era scettico, Giulio III addirittura adibì le vecchie terme a maneggio per i cavalli dei nipoti. Alla fine Pio IV diede il beneplacito, e Paolo IV assegnò il restauro all’archistar per eccellenza, Michelangelo Buonarroti.
La basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri sta in piazza della Repubblica, se siete mai venuti a Roma per un corteo ci siete passati davanti di sicuro. Si era ormai in piena Controriforma: riscoprire i nomi degli angeli e degli arcangeli e di altre misteriose entità intermediarie era un modo di reagire alle teologie protestanti che negavano la necessità di qualsiasi intermediario tra Dio e il fedele, sacerdoti compresi. Eppure i sette arcangeli, malgrado gli sforzi di Del Duca e degli altri devoti, non diventeranno mai mainstream. Uriele, il portatore di fuoco, avrà una certa fortuna letteraria: Milton lo adopererà nel Paradiso Perduto. Gli altri tre ricadranno immediatamente nel dimenticatoio, anche per via di quei nomi così brutti. Dal Seicento in poi la venerazione per gli arcangeli sarà progressivamente assorbita da quella, più ortodossa, per l’angelo custode: i tre più famosi continueranno a essere venerati nelle città a loro dedicate, e a conservare un giorno tutto loro sul calendario, fino alla stretta del Vaticano II. In seguito Giovanni Paolo II ha gelato ulteriormente gli angelologi, facendo sapere via decreto che “è illecito insegnare e utilizzare nozioni sugli angeli e sugli arcangeli, sui loro nomi personali e sulle loro funzioni particolari, al di fuori di ciò che trova diretto riscontro nella Sacra Scrittura; conseguentemente è proibita ogni forma di consacrazione agli angeli ed ogni altra pratica diversa dalle consuetudini del culto ufficiale”. Erano già gli anni Novanta, l’esigenza di smarcarsi dallo stucchevole immaginario new age era molto sentita. L’avverto io stesso, nel giorno in cui mi decido a scrivere un pezzo sugli angeli e mi rendo conto che proprio non è cosa, cioè ci sono santi simpatici e santi antipatici, ma gli angeli io proprio non li soffro. Quel che è affascinante del cristianesimo è l’essere una religione di uomini e donne, vergini e martiri, peccatori che inciampano e a volte per miracolo sembra s’alzino in volo. Invece questi tizi, questi primi della classe creati senza peccato originale e con le ali di serie, sembrano usciti da un romanzo fantasy, nel quale peraltro recitavano la parte dei bacchettoni: nel libro di Enoch gli angeli ribelli intendevano fornicare con le femmine umane, in ciò consisteva la ribellione. Gli angeli invece non fornicano, perché dovrebbero? Non ne hanno bisogno, sono eterni. Ma simpatici, no. A me almeno.