Il cane da guardia di Dio

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8 agosto: San Domenico di Guzmán (1170-1221), cane di Dio. 

Claudio Coello, 1865. Il cagnolino è in basso a sinistra. 

Capita a tanti santi di cambiare giorno nel calendario, ma il caso di Domenico è peculiare. Di solito i santi si festeggiano nel giorno della 'nascita in cielo', ovvero quando muoiono: quella data così importante che un giorno starà su tutti i nostri documenti e sulla tomba, vicino a un'altra data che conosciamo benissimo, mentre quella data non la sapremo mai, o solo per poche ore. Domenico però morì a Bologna il 6 agosto del 1221, giorno della Trasfigurazione del Signore; perciò, per evitare di sovrapporsi alla festività, quando nel 1234 fu canonizzato, assunse come festa il 5 agosto. Tre secoli dopo però il 5 divenne la festa per la dedica della Basilica di Santa Maria Maggiore (la Madonna delle Nevi), e Domenico fu retrocesso al 4 agosto, un giorno relativamente sgombro di santi importanti... fino al 1859, quando capita di morire proprio il 4 al curato di campagna Jean-Marie Vianney, un personaggio in cui la Chiesa scelse di investire molto a cavallo tra Otto e Novecento... sì, ma Domenico? Sarebbe un santo importante anche lui, è in sostanza quello che ha inventato gli ordini mendicanti, fondandone il primo (l'Ordine dei Predicatori) i cui membri ancora oggi sono chiamati col suo nome: frati domenicani. Perché deve sempre spostarsi lui?  Probabilmente l'idea è che siccome si è spostato sin dall'inizio, svincolando subito la sua festa dal giorno della morte, a quel punto tanto vale continuare a spostare lui, che c'è abituato; ecco, questo è proprio un tratto tipico di Domenico, un santo che dove lo metti sta. 

Di lui non sappiamo tantissimo perché alla fine la vita di un santo non è che debba essere per forza un romanzo; rispetto ad altre figure anche coeve, quasi completamente trasfigurate dalla leggenda, la biografia di Domenico sembra quella di un uomo vero che visse nel mondo vero, con le sue contraddizioni. Domenico si diede parecchio da fare, stimolato dall'eresia catara che soprattutto nel Mezzogiorno francese era ormai diventata una nuova religione organizzata, con vescovi che reggevano intere comunità. La Linguadoca ormai era una terra di missione e come tale aveva bisogno di missionari, una figura che nel Basso Medioevo non esisteva; gente coraggiosa e intraprendente, pronta a battere la provincia ostile senza armi che non fossero l'esempio e la parola. Una grande idea che Domenico riuscì a trasformare in un Ordine, più o meno nello stesso periodo in cui in Italia centrale Francesco d'Assisi otteneva il permesso di fondare comunità basate sulla povertà; ma se Francesco fu sin dall'inizio un personaggio da romanzo, che stimolava leggende incontrollabili, Domenico per contrasto sembrava un tipo assai più tranquillo, un professionista della predicazione senza molti grilli per la testa. 

Pedro Berruguete

Di lui gli agiografi non sapevano bene cosa raccontare: lo si capisce dalla quantità di episodi che si sono inventati, copiandoli da altri santi. Nel Quattrocento ad esempio Domenico diventa l'inventore del rosario, probabilmente perché qualcuno lo confonde col Domenico di Prussia. Da neonato, si dice, le api si posavano sulle sue labbra, uno dei miracoli in assoluto più raccontati e che probabilmente nasce da un'antica metafora che serviva a complimentarsi con i bravi oratori. Quando – abbastanza presto – i domenicani scelgono come abito il saio bianco con la cappa nera, di Domenico si comincia a raccontare che sua madre la notte prima del concepimento aveva sognato un cagnolino bianco e nero che portava tra i denti un tizzone acceso per rischiarare l'universo; cosa che era già capitata alle madri di san Gregorio, di san Bernardo e san Giuliano di Cuenca. L'associazione al cane può anche essere stata suggerita dal fatto che la festa di Domenico si celebri nei giorni della canicola, i più caldi dell'anno. Per gli uomini del Medioevo era un fatto assodato che le elevate temperature di questo periodo dell'anno fossero concausate dalla presenza nascosta della stella Sirio (il cane di Orione), che tra luglio e agosto sorge in cielo poco prima dell'alba. In questo periodo venivano festeggiati diversi santi che avevano a che fare coi cani: Bernardo, Cristoforo, persino il cane Guinefort... e Domenico.

Nel suo caso il sogno del cane assume una tinta inquietante, non solo perché i domenicani venivano definiti, con un gioco di parole da sagrestia, "cani di Dio" (Domini canes), ma perché dopo la morte del fondatore diventeranno il principale servizio di intelligence del Pontefice, e avranno un ruolo fondamentale nello sviluppo della Sacra Inquisizione; per cui forse quel tizzone, oltre a rischiarare l'universo, serviva anche a incendiarlo un poco. Questa svolta autoritaria  Domenico non poteva prevederla, ma ne divenne comunque il simbolo. A fine Quattrocento l'Inquisizione spagnola ordina al pittore Pedro Berruguete un quadro in cui Domenico in costume bianconero presiede un 'autodafé: gli eretici sono già legati al palo e cominciano a bruciacchiare, Domenico è seduto su un vero e proprio trono, sul palco d'onore. Sono raffigurazioni come queste a rendere Domenico, e il suo ordine, i bersagli preferiti della propaganda protestante, pochi anni dopo; del resto era domenicano il famigerato fra' Tetzel, inviato dal Papa a far cassa in Germania spacciando indulgenze, con lo scandaloso slogan Sobald der Gülden im Becken klingt / im huy die Seel im Himmel springt ("appena la moneta va nella cassetta, l'anima in cielo sale benedetta"). 

Domenico, per quel poco che sappiamo, non era quel tipo di frate. Non vendeva il paradiso a peso d'oro, e non riteneva giusto bruciare gli eretici, in un'epoca in cui era già un'opzione. L'Ordine che aveva fondato doveva servire all'esatto opposto: a convincerli con le parole, non coi tizzoni ardenti. Uno dei pochi aneddoti che non sembrano essere copiati da altri santi è quello dell'oste di Tolosa. Domenico era venuto a passare la notte nel suo ostello, ma quando si accorge che l'oste è cataro, si mette a discutere con lui finché all'alba non lo converte. Anche nella storia di Domenico, come in quella di Francesco, è possibile leggere in controluce una sconfitta; Francesco voleva creare una nuova società di poveri, che divenne immediatamente qualcosa di diverso. Domenico voleva ri-evangelizzare la Linguadoca, ma se alla fine dei suoi giorni lo troviamo a Bologna non è un caso; in Linguadoca non c'era più spazio per i predicatori: i catari sconfitti dalla crociata venivano sistematicamente sterminati. 

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Venerea in che senso

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7 agosto: Santa Afra, un'altra prostituta che non lo era (III secolo)

Österreichische Nationalbibliothek 
Potrebbe non esservi sfuggito che qualche tempo fa ho raccolto un po' di pezzi sui santi in un libro, il cui sottotitolo è Storie di immigrati, ladri e prostitute che hanno cambiato la Chiesa. Non l'ho trovato io ma mi è sembrato subito un gran sottotitolo, meritevole di un libro all'altezza, anche se poi trovare tutte queste sante prostitute non è così facile. Però il tentativo di rendere interessante un libro di santi ventilando la possibilità di incontrarvi ladri e puttane mi commuoveva. Mi faceva venire in mente il protagonista di Quando la moglie è in vacanza, quello che per vendere tascabili prende i classici della letteratura e ci piazza dei titoli piccanti, mi pare che Piccole donne diventasse Il segreto del dormitorio femminile ma non riesco a verificare la citazione, può darsi che fosse un'invenzione del traduttore italiano. 

Quando racconti storie di santi, devi riconoscere per prima cosa che centinaia, migliaia di persone l'hanno fatto prima di te. Non erano peggio informati di te (ma neanche meglio). Anche quando avevano obiettivi e metodi diversi dai tuoi, si sono trovati davanti talvolta gli stessi problemi che hai incontrato tu: ad esempio, non sei certo il primo che si è posto il problema di identificare una santa prostituta. È lo stesso Gesù a suggerire l'idea, almeno quando nei pressi del tempio dice ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: "prostitute e pubblicani entreranno prima di voi nel Regno dei Cieli" (21,31). Che qualche discepola di Gesù esercitasse la professione è un dubbio che sembra serpeggiare da subito: l'idea di un Salvatore che pasteggia liberamente tra prostitute e pubblicani, se ci pensate, è un'immagine che nei secoli ha sempre trovato dei propugnatori; e però se gli evangelisti non hanno difficoltà a descrivere un Gesù che si invita a pranzo a casa dei pubblicani, il collegamento con le prostitute è più ambiguo. Soltanto Luca (il solito liberal) si spinge ad affermare che la donna che unse i piedi di Gesù era "una peccatrice". Durante il Medioevo, lo abbiamo visto, la peccatrice fu identificata con Maria Maddalena: in questo modo non solo si dava il nome a una ex prostituta redenta da Gesù, ma si stornava l'attenzione da altre caratteristiche problematiche del personaggio femminile più rilevante della sua cerchia. 

E però Maddalena non bastava, o non convinceva, perché gli agiografi continuarono a cercare altre sante prostitute, e in certi casi a inventarsele. La più famosa era Maria d'Egitto, che i predicatori trasformarono in una vera e propria ninfomane (prima ovviamente della miracolosa conversione). Le prostitute vere, dal canto loro, si rivolgevano a Sant'Agnese, che era morta vergine, ma prigioniera in un bordello. Un'altra santa che si trovò associata alla professione, del tutto arbitrariamente, fu Afra, martire di Augusta (Augsberg) sotto Diocleziano; l'autore della sua agiografia più antica (ma era già l'VIII secolo) aveva trovato sul Martirologio geronimiano i nomi Afra Venerea e si era convinto che il primo fosse il vero nome e il secondo il mestiere (Venerea=prostituta). Venerea invece è un'altra santa che si festeggia il 7 gennaio, martire ad Antiochia; non è prostituta neanche lei, si chiama semplicemente così.

L'agiografo ha preferito pensare che Afra fosse una meretrice appena convertita, e arsa viva senza battesimo, il che doveva sembrare irrituale anche allora, perché in una leggenda più tarda si mette per iscritto che Afra era stata battezzata dal vescovo Narciso. Malgrado la nozione venga in seguito smentita da altri documenti della diocesi di Augusta, che la definiscono vergine, Afra è rimasta la protettrice delle prostitute pentite e veniva spesso ritratta con in mano un vasetto di unguenti. Nello stesso giorno sono ricordate la madre Ilaria e le ancelle Degna, Eumenia ed Euprepria, che restando accanto ad Afra sul rogo svelarono la loro fede e furono bruciate subito dopo.  
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I Died For Beauty

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(Un disco per l'estate 2024)

I died for Beauty — but was scarce
Adjusted in the Tomb
When One who died for Truth, was lain
In an adjoining Room —

He questioned softly "Why I failed?"
"For Beauty," I replied —
"And I — for Truth — Themself are One —
We Brethren, are," He said —

And so, as Kinsmen, met a Night —
We talked between the Rooms —
Until the Moss had reached our lips —
And covered up — Our names —


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Tu non mi scrivi e non mi telefoni

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(Prosegue l'intervista con le Solite Stronze, un collettivo che si definisce punk e postmaschilista ma che ha intitolato inopinatamente il suo album
Perché non mi scrivi? Perché non mi telefoni?)

Siamo al secondo brano, che potremmo definire la title track di tutto l'album, se siete d'accordo...

Noi non siamo mai d'accordo.

E poi cazzo è una title track?

È il brano che dà il titolo all'album.

Ah beh in quel senso.

Mi sembra insomma che sia il brano su cui state insistendo di più.

Beh, in un certo senso è il primo che abbiamo realizzato... cioè qualche pezzo c'era già, ma non c'era esattamente il collettivo. Tu non mi scrivi è stato il brano che ci ha fatto pensare che aveva un senso prendere questa direzione.

Ma l'avete veramente presa? Cioè in realtà alla fine non sembra così rappresentativo del vostro stile, mi sembra che quasi tutti gli altri brani siano un po' più cattivi, mentre questo suona più...

Dai, dillo.

Non me la sento.

Ti suona più commerciale.

Beh sì, è più sbarazzino. È che è nato un po' per scherzo, da una cantilena di Fanny Tozzetti....

La nostra chitarrista.

Si chiama Fanny Tozzetti?

No, idiota, è uno pseudonimo. Non so dove l'ha tirato fuori.

Era la donna amata da...

Tuo nonno. Insomma lei quando sta aspettando una telefonata, e questa telefonata non arriva, per vincere l'ansia canta questa cosa.

Tu non mi scrivi e non mi telefoni.

Precisamente.

"Hai preso i lassativi / è per questo che non scrivi".

Sì, è un'idiozia totale, il punto è che quando abbiamo provato a farci una canzone, beh, non so perché, ma funzionava.

Poi forse abbiamo girato troppo attorno a questo concetto.

Quindi è corretto affermare che il vostro sia un concept album.

Non è corretto affermare un cazzo. Cos'è un concept album?

È appunto un album che gira tutto intorno a un concetto.

Aaah. Beh diciamo che è diventato una sorta di tormentone.

Un'ossessione, anche.

Quando non sapevamo come finire una strofa, ci mettevamo "tu non mi telefoni".

Ecco, appunto, e vorrei capire... come si concilia questo col vostro approccio, diciamo femminista?

Non si concilia.

Cioè se dai per scontato che l'unico approccio femminista sia quello empowering, siamo forti, non abbiamo bisogno di nessuno, fottetevi maschi impotenti, ecco, no. 

Potrebbe essere l'approccio del prossimo album.

Se riusciamo prima a vendere questo. 

Questo è un disco autoironico, la voce narrante è una rimastona molto incazzata perché qualcuno non le telefona. Non è senz'altro un modello. Il punk non deve fornire modelli.

Se non per sputargli addosso.

Ecco, appunto, probabilmente la nostra intenzione era quella.

Probabilmente?

Beh ho ricordi un po' vaghi, quando abbiamo composto la cosa non... non ero sempre in me, diciamo.

Diciamo che anche l'autoironia può essere empowering.

Cazzo, sì, diciamolo.

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So we don't give a damn if she ain't Martel

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(Un disco per l'estate 2024)

Si parlava di poesie messe in musica, e mi è venuta in mente quella volta che i Lost Generation tentarono di dimostrare che il rap era stato inventato da Ernest Hemingway verso il 1920, mentre si vantava delle scorribande coi compagni di trincea in licenza a Schio, insomma il rap sarebbe nato in provincia di Vicenza.

>

There was Ike and Tony and Jaque and me
Roaring thru Schio town
Three days leave and a’feelin free
Well puffed up but we still could see
We were lookin ‘em up and down
Especially up and down.

For a face don’t matter on three days’ leave
To Ike or Tony or Jaque or me.
You can look at a face, an a face is free
But an ankle’s somethin’ to make your grieve
For an ankle’s an indication.
Cognac’s good if it ain’t Martel,

And an ankle has secrets it doesn’t tell.
Sometimes it keeps them, but buy and sell.
Three days more we’ll be back in hell
So we don’t give a damn if she ain’t Martel.

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Il santo che diede il nome all'aspirina (in realtà no)

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3 agosto: Sant'Aspreno di Napoli (I secolo), che non ha inventato l'Aspirina

Busto presso
Sant'Arseno al Porto
Ognuno si protegge come può. Napoli ad esempio ha 47 santi protettori, e per quanto sia una città molto devota, era inevitabile che prima o poi qualcuno passasse in secondo piano. Il caso di Aspreno (o Asprenato) è comunque eccezionale, perché si tratta nientemeno del protovescovo, ovvero del fondatore della prima Chiesa in città. Altrove risulterebbe il patrono più importante, e le sue ossa sarebbero custodite nella cattedrale più importante; a Napoli invece nel Basso Medioevo sembrano esserselo dimenticato, fino a un'inattesa riscoperta postmoderna che ricollega il santo addirittura al marchio del più popolare analgesico al mondo, ma andiamo con ordine.

Che un "Aspren", o "Asprenas" sia stato il primo vescovo a Napoli lo dicono i documenti più antichi, che però non si premurano di fornire su di lui un minimo di storia originale, qualcosa su cui i predicatori possano ricamare. La lacuna viene colmata nel nono secolo da un cronista che mentre ricostruiva la vita di un altro vescovo importante (Atanasio) decide di retrodatare l'arrivo del cristianesimo a Napoli addirittura ai tempi di San Pietro – mossa abbastanza disinvolta, dal momento che altre fonti collocavano il primo vescovo già nel secondo secolo. Per l'autore della Vita Sancti Athanasii viceversa è Pietro stesso, sulla strada per Roma, a sostare in città e a incontrare ivi una vecchietta (in seguito identificata in Santa Candida), che mette subito in chiaro come stanno le cose da queste parti: se vuoi convertirmi, dice, devi prima guarirmi; e siccome Pietro la esorcizza senza fatica, Candida decide di presentarlo a un amico che soffriva di emicrania. Quest'ultimo si sarebbe appunto chiamato Aspren (il nome latino, caduto in disuso dopo il secondo secolo, è considerato dagli storici un indizio di attendibilità). Pietro gli avrebbe toccato la testa con un bastone, tuttora custodito nel tesoro della cattedrale: in un gesto solo il tocco del guaritore e l'investitura sacerdotale. In questo modo la Chiesa napoletana sarebbe persino un po' più antica di quella romana, e cofondata dallo stesso apostolo. 

Dopo aver escogitato un episodio così interessante, che ricollega per la prima volta Aspreno al mal di testa, l'autore si attiene alla tradizione che prevedeva un ministero di ventitré anni caratterizzato dalla pia sollecitudine nei confronti dei poveri. Non si preoccupa invece di trovargli un destino da martire, forse perché sarebbe stato difficile associarlo a una persecuzione nel primo secolo (quella del 64, lo sappiamo, fu circoscritta alla sola città di Roma). Il vescovo però nelle celebrazioni veniva comunque invocato tra i martiri, il che dovette ispirare qualche altro predicatore a trovargli una fine violenta; e siccome probabilmente Aspreno veniva già invocato contro il mal di testa, una decapitazione sembrava il supplizio più congruo. A quel punto il culto per Aspreno aveva tutte le carte per resistere al tempo, e invece no: in un calendario napoletano del XIII secolo (il Tutiniano) il suo nome è misteriosamente omesso. Può trattarsi di una semplice coincidenza, ma è nello stesso periodo che abbiamo i primi documenti della devozione dei fedeli napoletani per un altro santo, che non era nemmeno stato vescovo in città (bensì a Benevento): San Gennaro. A quest'ultimo vengono intitolate persino le catacombe che custodirebbero i resti mortali dei primi vescovi, Aspreno inculso. 

Può darsi che il successo di Gennaro dipenda dall'affermarsi in città dell'influenza dei longobardi, che controllavano l'entroterra campano e avevano in Benevento la loro capitale meridionale. Si tratterebbe di un'influenza più culturale che politica, dato che l'élite cittadina si oppose fieramente ai longobardi fino all'arrivo dei normanni; Gennaro del resto è sempre stato il santo del popolo, e non è escluso che siano stati gli immigrati dal contado a imporlo su altri santi più veraci. Un'altra possibilità è che tra i 46 colleghi Gennaro si sia fatto notare perché faceva più miracoli: in particolare quelle ampolline di sangue che si liquefacevano due o tre volte l'anno, ma di cui non abbiamo documentazione precedente il 1389. Meno di tre secoli dopo, quando il Vesuvio si sveglia da un sonno secolare, Gennaro viene identificato come il protettore della città dalle eruzioni che manterranno un ritmo periodico fino al 1944. 

L'ipogeo della chiesa di Sant'Arseno al Porto

Nel frattempo Aspreno sembra scomparire dal culto popolare, al punto che non sappiamo nemmeno come dovremmo chiamarlo in italiano (il Martirologio propone Asprenato, ma qua e là si trova anche Asprenate o Asprenio). Non viene però del tutto dimenticato: ne è prova, nel Seicento, la ricostruzione di una chiesetta a suo nome nei pressi del porto, sopra la grotta che secondo la tradizione era la dimora del protovescovo, ma che in epoca classica faceva parte di un impianto termale. La piccola chiesa viene quasi del tutto demolita a fine Ottocento per far posto al palazzo della Borsa: una commissione municipale riesce tuttavia a salvare il vestibolo e l'ipogeo, ovvero la parte sotterrata, che mantiene il nome di Sant'Aspreno al Porto (o Sant'Aspreno ai Tintori) anche se ormai è appena una cappella. All'interno è custodita un'urna romana, transenne bizantine, e in una nicchia che forse fungeva da confessionale si troverebbe il foro in cui i malati di emicrania inseriscono la testa per trarne un giovamento. Uso il condizionale perché ad esempio Wikipedia dice che la fessura non è lì, ma nel duomo "nella cappella a lui intitolata, la prima a sinistra del Maggiore Altare". Il punto è che non sappiamo quando questa cosa di posare la testa in una nicchia abbia preso piede, in duomo o nell'ipogeo: come succede coi costumi più popolari, non lasciano traccia scritta e magari la tradizione data dall'antichità, oppure da chi si è inventato la diceria che collega Asprenio al nome di un popolare farmaco da banco. Un nome che forse non dovrei mettere qui per iscritto, visto che in Italia è ancora un marchio registrato. Però negli USA il copyright è scaduto, quindi se il mio blog risulta fisicamente conservato in un server americano nessuno mi potrebbe impedire di scrivere Aspirina, ops, ormai l'ho fatto. 

Chi avrà messo in giro la storia? Impossibile saperlo, ma io punterei su una delle categorie maggiormente responsabili della nascita di miti e leggende, in epoca moderna ma non solo: le guide turistiche. Bisogna concedere che la coincidenza è suggestiva: non solo Asprenio ha un nome simile, ma già da secoli svolgeva una simile funzione analgesica. Ricordo qui agli scettici che l'effetto placebo esiste, e per millenni è stato uno dei pochi rimedi contro il dolore, insieme ad alcune erbe le cui proprietà anti-infiammatorie erano note sin dall'antichità, come ad esempio l'olmaria. In effetti il nome "aspirina" ufficialmente deriva da spiraea ulnaria, vecchio nome botanico dell'olmaria (oggi si chiama Filipendula ulmaria), la pianta da cui si ricava l'acido salicilico (chiamato anche acido spireico). E siccome il collegamento tra un santo napoletano e un marchio registrato di una multinazionale farmaceutica può sembrare troppo labile agli scettici, in qualche pagina web viene evocato il nome di un chimico dell'Università di Napoli, Raffaele Piria (1814-1865), che avrebbe isolato l’acido salicilico. Piria condusse davvero  ricerche importanti sull'acido salicilico, ma non fu il primo a isolarlo. L'aspirina nasce invece nel 1897 nei laboratori della Bayer, dive Felix Hoffmann, su suggerimento del superiore Arthur Eichengrün, esterificò il gruppo ossidrilico dell'acido salicilico con un gruppo acetile utilizzando anidride acetica, ottenendo l'acido acetil-salicilico, la prima molecola sintetica della storia della farmacopea: la "a" di aspirina quindi deriva da acetile, il resto dalla spiraea, e il primo vescovo di Napoli non c'entra nulla, peccato. 

Lo stesso Hoffman in seguito avrebbe esterificato anche la morfina, nel tentativo di trovare una molecola simile ma che non inducesse quei spiacevoli effetti collaterali di assuefazione e dipendenza. In questo modo fu sintetizzata l'eroina. Una denominazione che alla fine la Bayer non registrò, quindi posso usarla liberamente (la denominazione).

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(Noi chi siamo?) Le Solite Stronze

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Sarà l'estate delle Solite Stronze? Molto probabilmente no, ma in giro c'è perfino di peggio, e comunque sono le uniche così disperate da ricorrere a questo sito per farsi un po' di promozione. Segue una lunga chiacchierata con due membri (membre?) del collettivo, Lady Tourette e Pussy Via.

"Avete dei nomi veramente buffi, devo dire".

"La prima mezz'ora sono buffi".

"Già". 

"Io me ne sono già rotta i coglioni".

"Ecco, partirei da qui... anche se è una domanda abbastanza banale, giusto per rompere il ghiaccio... perché avete scelto l'anonimato".

"È uno pseudonimato, in realtà".

"Giusto. Ma in sostanza, nessuno sa chi siete".

"Ma chi vuoi che siamo, siamo stronze qualsiasi".

"Poi non mi sembra una grande novità. Sid Vicious mica si chiamava così..."

"Già perché voi vi definite punk".

"Ci definiamo punk?"

"C'è scritto sul bandcamp, aspetta...  Ci piace un certo tipo di punk e qualsiasi tipo di sesso purché vissuto con lancinanti sensi di colpa".

"Oddio chi l'ha scritta questa stronzata".

"Sarà stata Azzolina".

"Cheppalle anche Azzolina però".

"Azzolina è un altro membro del collettivo, se non sbaglio".

"Sì, è il membro che cerca di essere divertente".

"Madò che palla al cazzo".

"Quindi insomma non siete così punk".

"Ma certo che siamo punk, è quella cosa del sesso che non ha senso, ci piace qualsiasi tipo di sesso? come fai a dire una cosa del genere".

"No, ma levatele l'internet".

"Azzolina è quella che ha scritto Sesso con gli ursidi, ne deduco".

"Sì, diciamo che è responsabile di tutto quel côté lì, polimorfo perverso".

"Poli-che?"

"Quindi insomma voi non vi riconoscete necessariamente nelle note che ho letto sul vostro bandcamp, ad esempio, quella cosa del postmaschilismo..."

"Ah sì, quella".

"Bella stronzata".

"Le Solite Stronze sono un collettivo postmaschilista parzialmente inesistente".

"Guarda, è uno dei pochi casi in cui c'è stata davvero una discussione, cioè all'inizio c'era scritto postfemminista".

"Postfemminista?"

"Poi anche con Rosa ci siamo confrontate, e sembrava che fosse un modo di porci fuori dal femminismo, cosa che almeno per quanto mi riguarda non ha senso. Allora ci siamo dette..."

"Vaffanculo, mettiamoci postmaschilista".

"Come se avesse un senso".

"E ha un senso?"

"Boh, è un po' la classica trovata che fa discutere, quindi perché no... uno può anche ragionare così, dopo il maschilismo cosa può esserci?"

"Il femminismo".

"Per esempio".

"Quindi siete femministe".

"Di sicuro, anche se ci riconosciamo in ondate diverse... ma diventerebbe un discorso complesso".

"Più che altro una rottura di cazzo".

"In effetti date spesso la sensazione di giocare su una certa ambiguità, per esempio nel primo brano dell'album..."

"Ah, non so, quello l'ha scritto Rosa".

"È anche uno dei più ironici..."

"Sì, l'ironia è la sua cosa... penso che nasca tutto da una fantasia che a volte una persona può avere, quando ad esempio ti si rompe un rubinetto in casa, e la prima cosa che pensi è: ma per riparare questo rubinetto, chi mi devo scopare? E da qui nasce tutto un sogno a occhi aperti di Rosa che adesca un idraulico in un locale, poi se lo porta a casa e..."

"Che non mi sembra proprio una cosa femminista".

"Ma che cazzo vuoi saperne tu, invece questa idea di considerare l'uomo come un mero strumento che deve assolvere specifiche funzioni sessuali e/o manutentive e poi levarsi dai coglioni..."

"L'uomo oggetto, insomma".

"L'uomo oggetto, esatto. Voi avete rotto i coglioni per millenni con gli angeli del focolare".

"Direi che per due minuti possiamo anche ribaltare la prospettiva, non dico che sia il futuro del femminismo, ma..."

"Portrebbe trattarsi di postmaschilismo".

"Cazzo, sì".

"Scusa, devo chiedertelo. È proprio necessario che dici tutte queste parolacce?"

"È il mio personaggio".

"Ok, però..."

"Fottiti".



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La hit più antica che conoscete

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1° agosto: Sant'Alfonso Maria de' Liguori (1696-1787), vescovo, sacerdote, fondatore dei Redentoristi, avvocato, scrittore, pittore, musicista.

Alfonso Maria de' Liguori, in una rappresentazione del XIX secolo, che lo mostra affetto da osteoartrite cervicale progressiva: perciò tiene il crocifisso con la mano sinistra

A proposito di canzoni, avrete notato che certe sembrano immortali: ma ovviamente non è così. La gente ha smesso di cantare Sinatra, e un giorno smetterà persino di cantare i Beatles. D'altro canto, certe cose di Mozart stanno reggendo davvero bene. Ma la canzone più antica che potrebbe esservi capitato di cantare, la canzone più vecchia tra quelle che conoscereste al volo, e di cui conoscete almeno una strofa e il ritornello, è stata composta due anni prima che Mozart nascesse. 

Non è decisamente una canzone per l'estate, e l'ha scritta Alfonso Maria de' Liguori, che a sedici anni era già dottore in diritto civile ed ecclesiastico, a 18 avvocato, a 22 giudice presso l'autorità portuale di Napoli, a 26 ambasciatore, dopodiché perse una causa contro il granduca di Toscana e all'improvviso si stancò. Forse aveva toccato con mano fin dove poteva arrivare la meritocrazia nel Settecento, il soffitto di cristallo. Dall'altra parte c'era il vero potere, quello che le cause semplicemente non può perderle; ma dall'altra parte Alfonso Maria non sarebbe mai arrivato: per quanto precoce, e dotato, e figlio di un comandante di marina, tutti i gradini che poteva salire, entro i trent'anni li aveva saliti. Bisognava accettare il pianerottolo a cui si è arrivati e fermarsi lì; ma spesso dietro a un talento precoce c'è un deficit di pazienza, e Alfonso Maria evidentemente fermo non sapeva stare. Così i gradini cominciò a scenderli. 

Già ai tempi dell'università, per staccarsi un po' dalle sudate carte, amava fare volontariato presso l'Ospedale degli Incurabili. Fu proprio mentre cambiava la biancheria ai malati terminali, che sentì una voce che gli proponeva di lasciare il mondo e darsi a Lui. Il che non lo distolse affatto dal cambiare la biancheria ai malati. È un dettaglio che permette di riconoscere i mistici seri: le Voci che sentono non sono mai scuse per interrompere un'incombenza. Solo verso sera (dopo aver risentito la Voce sulla scalinata mentre usciva dall'ospedale), Alfonso andò a gettarsi ai piedi della Madonna della Grazia, promettendole di diventare un padre Filippino, ovvero della confraternita dell'Oratorio fondata da Filippo Neri. Una promessa che non riuscì a mantenere, perché il padre si opponeva, e a quel tempo pare che le cose andassero così: potevi essere avvocato a 18 anni e ambasciatore a 26, ma se a 27 volevi farti Padre Filippino, dovevi ancora chiedere il permesso a tuo padre. A mo' di compromesso, Alfonso si fece prete e rimase a casa coi genitori. E siccome non poteva entrare nell'ordine dei Filippini, lo reinventò. 

Era il Settecento, un secolo complicato per gli ordini religiosi: i gesuiti in quasi tutti i regni d'Europa erano passati in clandestinità. Anche a Napoli non era consentito fondare nuovi ordini, ma Alfonso era pur sempre avvocato, e invece di chiamarlo "ordine" scelse la parola "Congregazione"; Congregazione del Santissimo Salvatore. Quando però sottopose la regola a papa Benedetto XIV, questi cambiò "Salvatore" in "Redentore", e così Alfonso Maria de' Liguori divenne il fondatore dei redentoristi. La missione era la medesima di Filippo Neri: riportare il vangelo ai poveri. Ma se gli Oratori sorgevano nei centri più importanti, per Alfonso si trattava di evangelizzare le sterminate campagne del regno. Che quella dovesse essere la sua missione lo ribadì un altro papa, Clemente XII, che trent'anni dopo lo nominò vescovo di Sant'Agata de' Goti, oggi in provincia di Benevento. 

Per parlare al pubblico che si era scelto, sin dall'inizio del suo apostolato, Alfonso aveva bisogno di una teologia semplice e accogliente, basata sull'amore di Dio più che sul timore dell'inferno: qualcosa che avrebbe infastidito gli intellettuali cattolici più sensibili al giansenismo, ma tanto quelli stavano in città. E poi aveva bisogno di canzoni, perché come diceva Agostino d'Ippona, chi canta prega due volte; e si addormenta meno facilmente, aggiungo io. Alfonso aveva studiato musica, mentre studiava legge e disegno; era un buon clavicembalista, ma la canzone così famosa che la conoscete anche voi potrebbe aver preso qualcosa dalle melodie dei pastori zampognari (se fate caso alla nota di bordone). Alfonso non scrive per il popolo: scrive la musica del popolo. La prosodia (o il flow, come si dice oggi) sembra del tutto originale: se qualcun altro aveva sistemato rime e versi in strofe così, sono tutte andate perse; invece la sua è così famosa che la conoscete pure voi. Ha un titolo modesto e poco promettente (Canzoncina a Gesù Bambino), ma quello non lo avete mai sentito. Quel che avete tutti sentito è la prima strofa, che fa:

Tu scendi dalle stelle, o re del cielo
e vieni in una grotta, al freddo e al gelo.
E vieni in una grotta, al freddo e al gelo.
O-oh bambino,
mio divino,
io ti vedo qui a tremar,
o Dio beato:
ahi, quanto ti costò,
l'avermi amato.

La seconda strofa potreste non ricordarla; magari non l'avete nemmeno mai sentita. È un peccato, perché come in altri casi è la strofa rivelatrice. Perché Tu scendi dalle stelle ha avuto il successo che ha avuto? Di canzoni di Natale ne sono state scritte tante. Ognuna ovviamente si sofferma su qualcosa di diverso. Le canzoni nordiche più spesso su luci e addobbi. In ambito anglosassone assume più importanza la regalità: è nato Gesù, sì, ma soprattutto è nato un re, glory to the new born king (a volte hai la sensazione che potrebbe anche non essere esattamente Gesù; l'importante è che sia un re). I tedeschi ce l'hanno con la natura: la quiete della notte, e gli alberi, oh gli alberi. E agli italiani? Cosa interessa agli italiani, di tutta la storia? Francesco d'Assisi una sua idea ce l'aveva. Già ai suoi tempi era un'idea pericolosa, sul filo dell'eresia, ma il presepe a quanto pare lo ha ideato lui. Cinquecento anni più tardi, Alfonso Maria de' Liguori batte ancora sullo stesso chiodo: i poveri. Le luci, d'accordo, la natura (ma la neve è fredda e le stelle non riscaldano). È nato un re, senz'altro, ma quel che davvero importa è che sia nato povero tra i poveri: e di fronte a questo mistero, l'ex avvocato prodigio si innamora. Lo dice proprio, e lo ripetiamo ancora, tutte le notti di Natale, in quasi tutte le chiese, 270 anni dopo.

A te che sei del mondo il Redentore,

mancano panni e fuoco, oh mio Signore.
Mancano panni e fuoco, oh mio Signore.
Caro eletto
Pargoletto,
Quanto questa povertà
più m'innamora,
giacché ti fece amor povero ancora,
giacché ti fece amor povero ancora.

Alfonso morì novantenne il 1° agosto del 1787 a Pagani, presso la sede della sua Congregazione, ed è sepolto lì. Mozart sarebbe scomparso tre anni dopo, a trentacinque anni. 

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I nuovi iconoclasti

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Se qualcuno si fosse mai chiesto come fa una civiltà a diventare iconoclasta – a rinunciare all'arte figurativa, dopo averla coltivata per secoli – le polemiche sul banchetto degli Dei durante la celebrazione dei Giochi Olimpici potrebbero darci un'idea. Il che non significa che non si tratti di polemiche pretestuose, elaborate e propagate da agenti in cattiva fede: ma insomma si prende una qualsiasi immagine e si decide che è offensiva in quanto rappresenta in modo caricaturale una raffigurazione sacra. A nulla valgono le obiezioni più sensate (non era l'ultima cena, ma appunto il banchetto degli Dei), perché dopo secoli di arte religiosa, anche raffigurazioni pagane o secolari non possono che richiamare modelli adoperati nell'arte sacra: l'ultima cena l'abbiamo in mente tutti, per il banchetto degli Dei serve un minimo di cultura specialistica. 

Sappiamo che qualcosa di simile è successo agli artisti durante le fasi iconoclastiche: se dipingevano persone, potevano essere accusati di avere dipinto personificazioni di Dio; se dipingevano animali, non era escluso che qualcuno li ritenesse così empi o pagani da avere raffigurato Dio come un animale. Non restava che dipingere fiori o frutta, e poi sempre più spesso motivi astratti. È il nostro destino? Dopo avere tolto ogni limite a ciò che si poteva raffigurare, cominceremo a fare passi indietro perché la gente comincia a offendersi? Credo di no; perlomeno non penso sia l'obiettivo di chi oggi si definisce scioccato da Philippe Katerine tinto di blu. Ormai abbiamo capito che offendersi è un modo di esistere, e per quanto molti offesi di questi giorni si definiscano cattolici, non è la Chiesa di papa Francesco ad avere necessità di queste campagne di indignazione per far notare la propria esistenza. Si tratta anzi di una frangia identitaria che alla Chiesa cattolica fa la guerra da tempo, i cui temi e soprattutto i toni richiamano sempre di più gli evangelicali americani (ma anche certi ortodossi). 

Forse è il momento giusto per raccontare di una cosa che è successa al mio paese pochi mesi fa. Anche se non credo di essere pronto – come tutto quello che mi capita attorno, ho la sensazione di perdermi davanti ai dettagli. Ma può essere utile per capire che questi nuovi iconoclasti non esistono solo sui social, e che a furia di seminare diffidenza e odio, qualcuno si fa male davvero. 

All'inizio di marzo un quotidiano on line "cattolico", che quasi nessuno aveva sentito nominare, fa uno scoop: in una chiesa di Carpi è esposto un quadro in cui San Longino pratica una fellatio a Gesù. "Ma come è possibile? Una fellatio in una chiesa e su un quadro che raffigura Gesù Cristo?" La "chiesa" in realtà è il museo diocesano, che però per secoli è stata una chiesa vera e ne mantiene la forma e l'atmosfera; il quadro non mostra nessuna fellatio, ma si segnala per la soluzione inedita al problema che affligge gli artisti sacri da duemila anni: come mostrare Gesù crocefisso senza svelarne le nudità?

Invece del classico mutandone, il pittore Andrea Santini decide di nascondere il basso ventre di Gesù all'ombra della testa di Longino. Ora, qui è veramente una questione molto soggettiva, ma a mio parere per immaginare che la scena descriva una fellatio serve una determinata immaginazione; non medievale, non barocca e di certo non romantica; un'immaginazione assolutamente anni Venti del secolo XXI, che attesta l'egemonia figurativa dei siti porno. Così come non riusciamo a vedere un banchetto degli Dei senza che ci venga in mente il cenacolo, allo stesso modo non riusciamo a pensare che una testa si frapponga tra noi e un membro virile senza immaginare che tra testa e membro virile non stia succedendo qualcosa. Omnia immunda immundis. Tutto l'articolo del resto mi sembra trasudi l'ipocrisia di chi conosce benissimo le scene che in teoria dovrebbero indurlo immediatamente a coprirsi gli occhi (o a cavarseli, diceva Gesù). Un po' come Pillon che invece di pensare solo alle cose del cielo twitta pubi femminili, e ormai è pure fiero di farlo, ecco, non è escluso che si arrivi all'iconoclastia anche così: perché stiamo cercando di tenere nella nostra testa paradigmi troppo diversi. Cresciamo studiando una Storia dell'Arte che per secoli consta soltanto di santi, cristi e madonne; nel frattempo su internet qualsiasi posizione sessuale è a portata di clic: alla lunga lo choc culturale ci brucia il cervello. Il quotidiano on line "cattolico" in questione è stato fondato da un signore che ha già scritto un paio di libri contro "le bugie degli ambientalisti"; ha una linea decisamente governativa ma soprattutto non perde occasione per attaccare la "Chiesa oligarchica". Un dettaglio interessante è che non contiene pubblicità: neanche una vignetta, niente. Il che forse significa che qualcuno ci sta investendo. 

Nei mesi successivi lo scoop diventa una campagna, sempre meno indirettamente rivolta alla diocesi di Carpi che aveva patrocinato la mostra (e che continuerà a difenderla, con una flemma che va riconosciuta). Accadono altre cose abbastanza strane. Vengono organizzate raccolte di firme, indette veglie di preghiera contro la "mostra blasfema", anche altri organi di stampa cominciano a chiamarla così, con le virgolette o anche senza, tanto ormai che differenza fa. Ogni sabato pomeriggio, una folla si raccoglie in preghiera davanti alla "chiesa profanata": non sono carpigiani, vengono da altre regioni coi pullman, si portano i bambini ai quali spero non abbiano spiegato troppo dettagliatamente la questione. Sono praticamente tutti bianchi, e questo in Corso Fanti fa un certo effetto; per distinguere i passanti curiosi dai fanatici in gita basta un colpo d'occhio. Fanno capannello intorno a un prete che prega in latino e si veste ancora come Don Camillo, a proposito di choc culturali. È il paradosso della destra postmoderna: rimpiange la Chiesa preconciliare e intanto vede porno dappertutto; il che significa quanto meno che i porno li vede. Alla fine non sono così tanti, e però in capo a un mese qualcuno si fa male. 

Un tizio entra nel museo con una bomboletta: comincia a usarla sul quadro di San Longino; quando interviene lo stesso autore, il vandalo tira fuori un coltello. Saltini viene ferito, il tipo scappa, le adunate di preghiera proseguono. Oltre ai fanatici da fuori, cominci a sentire qualche concittadino borbottare che forse la diocesi ha davvero esagerato, che certi quadri non andavano davvero esposti in una chiesa: e vagli a spiegare che Sant'Ignazio non è più una chiesa. C'è una distanza sempre più evidente tra la Chiesa com'è e come la immagina la gente che a volte nemmeno ci entra; una frattura tra cristiani comunitari e cristiani identitari che immaginare rimarginata non è né plausibile né giusto. 

Poi c'è un artista che si è fatto accoltellare per difendere le sue immagini, e che meriterebbe un discorso a parte. Saltini è un artista contemporaneo che cerca di riprendere temi e stilemi dell'arte sacra, davanti a un pubblico che scambia qualsiasi nudità per pornografia. Almeno in una prima fase era il primo a rivendicare il carattere ambiguo e provocatorio delle sue opere, né poteva fare diversamente: l'arte contemporanea è provocatoria per definizione. Finché non si è trovato davanti a un'interpretazione che non poteva accettare di avere provocato; il che lo ha portato a passare lunghi pomeriggi accanto alle sue opere per spiegare agli spettatori curiosi o indignati che no, non aveva dipinto una fellatio. Fatica probabilmente sprecata: qualcuno l'avrà convinto, qualcun altro lo ha accoltellato. In una città più grande, con un pubblico più smaliziato, le cose sarebbero andate diversamente. Ma l'Italia non è fatta di città molto più grandi della mia. 

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Il papa che fissò la Pasqua

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28 luglio: San Vittore I, il papa che ha fissato la Pasqua (si fa per dire) (II secolo)

Palazzo Altieri 

Sapete quando cadrà la prossima Pasqua? Bisogna sempre controllare sull'agenda. Vi ricordate quand'è stata Pasqua l'ultima volta? No, è una festa mobile. Vi rendete conto del disagio che crea questa cosa, quanti problemi nella pianificazione dei calendari scolastici e non solo, quanta confusione e tempo perso, e il tempo è denaro eccetera? Di chi è la colpa di tutto questo, a chi dovremmo teoricamente chiedere i danni? Papa Vittore I, rarissimo esempio di pontefice romano di origine africana, ha una parte rilevante di responsabilità; anche se non ha deciso niente da solo. Al massimo decise che la questione andava risolta una volta per tutte, perché già allora molte diocesi orientali festeggiavano in una data diversa da quella romana e non mi sento neanche di dare loro torto: la data romana è un disastro

Secondo la tradizione infatti la Pasqua deve sempre cadere di domenica, e fin qui non sarebbe un grosso problema – se Vittore o un altro papa avesse fissato, per dire, la seconda domenica di aprile, avremo un range di 7 giorni, un po' come i bank holidays anglosassoni. Ma dev'essere la prima domenica dopo un plenilunio, e ovviamente non un plenilunio qualsiasi: quello dopo l'equinozio di primavera. Quest'ultimo, grazie al cielo, per i Romani era un giorno fisso del calendario solare: il 21 aprile (oggi in effetti ammettiamo l'oscillazione causata dall'inserimento del giorno bisestile, ma i Romani erano gente pratica). Quanto al plenilunio, quello arriva ogni 28 giorni e mezzo, per cui abbiamo un'oscillazione di 28,5 giorni più un'altra oscillazione di sette giorni il che rende il calcolo della Pasqua romana un discreto disastro, che se non altro ha stimolato la creatività dei matematici che cercavano di calcolarlo in anticipo visto che il cielo non è sempre così limpido e la luna così visibile. 

Ai tempi di Vittore, sotto l'imperatore Commodo che tollerava i cristiani perché era cristiana la sua concubina preferita (Marcia), l'uso romano era diffuso in quasi tutte le comunità. L'eccezione era costituita da alcune diocesi orientali che festeggiavano la Pasqua nello stesso giorno della Pesach ebraica, ovvero il 14 del mese ebraico di Nisan: da cui la definizione di quartodecimani. Ora, non è che il calcolo della Pesach fosse molto più semplice: il calendario ebraico è lunisolare, c'è comunque un'oscillazione di quasi un mese. I quartodecimani difendevano la loro tradizione associandola a personaggi autorevoli come Policarpo di Smirne e lo stesso Giovanni evangelista, e fino a papa Vittore avevano goduto di una certa tolleranza. Vittore prese la questione di petto: chiese di convocare sinodi in tutte le province, e quando la maggioranza si pronunciò per l'uso romano, considerò l'opzione di scomunicare i quartodecimani: se probabilmente non lo fece, fu per l'intervento mediatore di Ireneo di Lione

La questione continuò a trascinarsi per qualche decennio, però nell'occasione Vittore dimostrò di considerarsi, se non già il capo della Chiesa, senza dubbio un primo tra pari: quello che promuove le discussioni, riconosce le decisioni della maggioranza e mette in riga le minoranze. Per questo motivo è stato definito il "primo Papa", cioè il primo vescovo di Roma ad aver assunto un atteggiamento pontificale che più tardi sarebbe stato messo più volte in discussione – specie quando Roma smise di essere il centro dell'Impero. 

Vittore morì a quanto pare martire quando ricominciarono le persecuzioni. Fu dopo la morte di Commodo, vittima di una congiura a cui aveva preso parte la sua concubina (Marcia). Quanto alla data della Pasqua, quasi duemila anni dopo se ne discute ancora: anche se l'uso quartodecimano sembrava ormai estinto già ai tempi del Concilio di Nicea, gli ortodossi osservano ancora il calendario giuliano mentre a partire dal XVI secolo i cattolici sono passati al gregoriano. Qualche anno fa papa Francesco propose di trovare una data comune, poi non se n'è più parlato e comunque sarebbe sempre una data mobile. Io ho una proposta molto più semplice: aboliamo le vacanze di Pasqua (manteniamo solo pasquetta, che è un lunedì e non intralcia più di tanto), sostituiamole con dieci giorni di vacanze di primavera fissi, dal 20 aprile al primo maggio. Sarebbe tutto molto più semplice, davvero. 

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