Ricordiamoci di scordare Amalek

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1° settembre: Giosuè, sterminatore di Amalek. 

John Everett Millais

Quando mi capitò di scrivere un pezzo su Giosuè, dodici anni fa, esordii così: "Ecco un personaggio biblico che ormai nessuno pretende di considerare come realmente esistito".

Quanto poco ne sapevo.


A mia parziale discolpa, nel 2012 la Bibbia non sembrava un testo così importante ai fini della comprensione della situazione in Medio Oriente – nessuno poteva negare che fosse sul tavolo, ma nascosta da altri libri molto più moderni, manuali di strategia ed economia e Storia contemporanea, atlanti geopolitici, e persino quel vecchio Corano veniva aperto più spesso, sembrava più rilevante. Mentre chi citava versetti biblici denunciava la propria irrazionalità, ma soprattutto un'irrevocabile marginalità – persino Bush Secondo, quando aveva nominato Og e Magog al cospetto di Chirac, era parso un matto. Gli stessi difensori più accaniti del sionismo non si curavano molto di Esodo e Deuteronomio; raramente davano l'impressione di averli almeno letti. Non era da quei vecchi rotoli che lo Stato Ebraico traeva la propria ragion d'essere: piuttosto dalle persecuzioni moderne, e in primis dalla Shoah. 

Quanto al kahanismo, era ancora considerato un movimento estremista. Ancora per dieci anni il partito fondato da Meir Kahane sarebbe rimasto incluso nella lista delle organizzazioni terroristiche del governo USA. Oggi viceversa i kahanisti stanno nel governo, Ben-Gvir qualche anno fa ha tolto il ritratto dello stragista assassino di Rabin dal tinello e ora è ministro della sicurezza nazionale: e come tale va a passeggio nella spianata delle moschee. Per dire quanto sia cambiato anche solo in pochi anni almeno il governo israeliano, e probabilmente la società che lo esprime. Una cosa che gli osservatori italiani, soprattutto quelli benevoli, sembrano non voler accettare – del resto che importanza può avere quanto a destra possa spostarsi il governo israeliano, se hai deciso a priori che tutto quello che Israele fa è giusto? Non importa che le immagini postate dagli effettivi dell'esercito accreditino la sensazione di una banda di fanatici prevaricatori: tanti anni fa hai imparato a dire che è l'esercito più morale del mondo e non puoi evidentemente cambiare idea in corsa. I soldati, peraltro, non fanno che ripetere che bisogna estirpare Amalek. Lo stesso Netanyahu lo ha dichiarato sin dal sette ottobre: e così all'improvviso ci siamo accorti che nella Bibbia un genocidio c'è, giustificato, documentato e più volte reclamato. 

Sì, è vero, l'avevamo sempre saputo. Ma per tanto tempo, davvero, non era sembrato così importante. Ogni popolo ha le sue leggende, chi è che se la prenderebbe oggi coi greci per come bruciarono Troia? Ecco, chi ti spiega che Amalek va sterminato, nel 2024, dovrebbe farci più o meno lo stesso effetto. E invece sembra tutto ok – cioè no, diciamo che una certa caduta verso l'irrazionale potrebbe essere giustificata dallo choc del sette ottobre, e prima ancora dal fatto che gli israeliani sono minacciati nella loro stessa esistenza più o meno dal... 1948, insomma da sempre, il che per carità non significa affermare che vivono come prigionieri nella stessa piccola terra che si sono conquistati con la violenza, perché sarebbe antisemita, e quindi... niente, ogni discorso su Israele finisce sempre su un terreno minato, anche quando provi a difenderlo non ti resta che tornare sui soliti punti sicuri da cui passano tutti.

La Bibbia è un testo straordinariamente stratificato, opera di mentalità diverse, che agivano in epoche diverse con priorità spesso contrastanti. Non tutto quello che contiene è leggenda, ma agli occhi di uno storico non è difficile riconoscere i personaggi totalmente leggendari, quelli che sono stati inventati per dimostrare uno o più assunti; tra questi, senz'altro Amalek e Giosuè. Non hanno nessuno spessore: fanno quello che è previsto che facciano, il primo attacca Israele e il secondo lo difende. L'autore non si cura nemmeno di definire perfido il primo e buono il secondo, perché in effetti non è in questione il Bene e il Male, qui. La questione è più ristretta: Dio ha scelto un popolo, chi lo attacca non merita di sopravvivere. 

Amalek appare di punto in bianco in Esodo 17,8 (Giosuè compare nel versetto successivo, come luogotenente di Mosè). "Allora Amalek venne a combattere contro Israele a Refidim". Non è chiaro da dove arrivi e nemmeno cosa sia. Potrebbe essere un popolo, come Israele, nominato col nome di un mitico capostipite: o anche semplicemente il capo di una banda di predoni. Non ci è dato saperlo: quel che importava all'autore del testo è dimostrare l'efficienza del Signore degli Eserciti, che porta gli israeliti alla vittoria – purché Mosè tenga le mani verso l'alto, rivolte a lui; e siccome col tempo si stanca, Aronne e Cur gliele sostengono. Solo così l'esercito guidato da Giosuè può trionfare. L'episodio rivela in questo la sua fonte sacerdotale: pregare è ancora più importante che combattere. Così all'improvviso com'è comparso, Amalek deve scomparire: non solo Giosuè stermina tutti gli amaleciti "a fil di spada", ma il Signore proclama a Mosè: "Scrivi questo per ricordo nel libro e mettilo negli orecchi di Giosuè: io cancellerò del tutto la memoria di Amalek sotto il cielo!" Avete capito bene, Dio dice a Mosè di scrivere su un libro il nome del tizio di cui vuole cancellare la memoria. È un paradosso che ha scervellato generazioni di esegeti, in un certo senso è il paradosso in cui stiamo vivendo: ricordare ciò che non dovrebbe essere più ripetuto, come se ricordare non fosse già un invito a ripeterlo. 

"Vi sarà guerra del Signore contro Amalek, di generazione in generazione!", proclama infine Mosè, il che smentisce quanto scritto poco sopra (Giosuè non li aveva sterminati tutti?) ma ci autorizza a pensare che Amalek, più che un popolo, sia chiunque si metta sulla strada del popolo di Dio. Altri amaleciti compaiono in effetti nei sequel della Torah, i libri dei profeti; siccome dovevano vivere tra Canaan ed Egitto (non troppo lontani da Gaza, insomma) vengono a un certo punto confusi con gli edomiti, che degli israeliti sono parenti in quanto discendenti di Esaù, il fratello a cui Giacobbe-Israele aveva sottratto sia la primogenitura sia la benedizione paterna. Compaiono comunque sempre in funzione di vittime predestinate, come le maglie rosse di Star Trek: l'episodio più interessante riguarda re Saul, personaggio enigmatico, l'Amleto degli ebrei. Il profeta Samuele l'ha unto re di Israele, ma poi se n'è pentito – ovvero, è il Signore che attraverso Samuele lascia trapelare un distacco crescente. E anche stavolta si contraddice, questo Signore, prima prendendo le distanze dalla violenza con cui il re infierisce sui Filistei, e poi sdegnandosi perché non stermina completamente, come richiesto, gli Amaleciti. Evidentemente certi popoli devono sparire e altri no, ma Saul sembra destinato a capire sempre male. A terminare lo sterminio provvederà il nuovo prediletto dal Signore, re Davide, anche lui unto dal profeta Samuele e più ligio agli ordini divini. Con lui gli amaleciti spariscono definitivamente; eppure nel libro di Ester il perfido Aman è definito "agaghita", ossia discendente di Agag, il re amalecita sconfitto da Saul. Aman è una figura importante del folklore ebraico: il prototipo dell'antisemita, dileggiato pubblicamente ogni anno in occasione della festa di Purim. E torniamo sempre lì: sul libro c'è scritto che Amalek deve scomparire, ma c'è scritto fin quasi alle ultime pagine, evidentemente Amalek non scompare mai: e tuttora ossessiona i sostenitori di un progetto, il sionismo, che per tanto tempo ci è sembrato così laico. In tutto questo forse c'è qualcosa che potremmo imparare, ma cosa.

Forse che le profezie si avverano. Giosuè non è mai esistito, e non ha mai sterminato Amalek, popolo immaginario che non ha lasciato nulla se non il suo nome (tramandato da quelli che dovevano farlo sparire). Eppure migliaia di anni dopo, nella stessa regione, un popolo cerca di fare sparire un altro popolo, perché ha letto la storia di Giosuè e Amalek. Potrebbe essere il finale di questo pezzo, ma non mi convince. Anni fa era diventata una pratica abituale accusare i musulmani di oggi di voler mettere in pratica lo stragismo descritto dal Corano. Ultimamente se ne parla sempre meno; forse qualcuno si è davvero accorto che nella Bibbia ci sono anche più stragi, a cercarle. Ma insomma l'idea che i libri facciano commettere le stragi mi ha sempre lasciato perplesso. Per me è nato prima l'uovo: la gente scrive i libri per giustificare le stragi che commette. Poi certo, il serpente si mangia la coda: i libri restano in circolazione, vengono letti in contesti sempre diversi e chi vuole giustificare altre stragi, se ha pazienza, prima o poi trova il libro adatto. Specie se qualcuno lo ha lasciato sul tavolo, sepolto tra altri libri che dovevano fornire soluzioni più razionali.

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L'altro san Giuseppe

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31 agosto: San Giuseppe d'Arimatea (I secolo), seppellitore di Gesù

Filippino Lippi ftg. il Perugino
All'inizio e alla fine della vita di Gesù di Nazareth compaiono due Giuseppe: a entrambi, i vangeli dedicano pochi versetti, ma cruciali; entrambi non dicono nulla, ma fanno qualcosa di necessario senza cui il cristianesimo non esisterebbe. Di Giuseppe l'artigiano abbiamo già parlato: fu il padre putativo di Gesù e lo protesse da Erode. Giuseppe di Arimatea invece è il membro del Sinedrio che ottiene da Ponzio Pilato il permesso di deporre Gesù in un sepolcro. Un'azione più cruciale di quanto possa sembrare.

Perché il cristianesimo esista, occorre che Gesù sia risorto, ovvero il suo corpo deve scomparire da un luogo in cui era custodito. Ciò pone un grosso problema di logica narrativa agli evangelisti, già nella primissima fase: occorre stabilire con autorevolezza che le cose siano andate in un modo in cui generalmente non andavano. I crocefissi infatti non venivano sepolti: il supplizio (riservato agli schiavi ribelli) non terminava con la morte fisica del condannato, ma prevedeva che il cadavere fosse esposto alle intemperie e all'attenzione dei predatori necrofagi. Questo, secondo una mentalità condivisa dai Romani e dalla maggior parte degli abitanti dei territori da loro occupati, implicava che la loro anima non avrebbe trovato pace dopo la morte. I cadaveri esposti venivano sorvegliati proprio per evitare che fossero deposti da parenti o amici, con un'efficienza tale che è molto più facile oggi per gli archeologi imbattersi in fossili del neolitico che nei resti di qualche condannato romano. Il fatto che il corpo di Gesù di Nazareth non fosse reperibile, insomma, di per sé non era una notizia; a meno che lo stesso Gesù non fosse stato deposto. Ma per staccarlo dalla croce occorreva il permesso dell'autorità romana (quella che poche ore prima aveva emanato la condanna) e l'intercessione del Sinedrio ebraico (che aveva richiesto quella condanna con insistenza). 

Giuseppe può sembrare quel tipo di personaggio plasmato da un'esigenza narrativa: dev'essere un membro del Sinedrio, perché altrimenti non avrebbe abbastanza autorevolezza per chiedere al prefetto di staccare un condannato dalla croce; e tuttavia dev'essere anche un seguace di Gesù, evidentemente messo in minoranza nel momento in cui i colleghi deliberano di consegnarlo ai Romani; deve persino possedere una sepoltura vuota appena fuori le mura, di cui disporre rapidamente. 

Questo non significa necessariamente che Gesù di Nazareth non sia stato deposto e sepolto; è possibile infatti che al tempo di Pilato, in una terra di recente occupazione come la Giudea, i cadaveri fossero staccati dalle croci, per ottemperare alle norme rituali ebraiche. Uno dei rarissimi resti di un cadavere crocefisso è stato trovato proprio in una tomba in Palestina, e lo stesso Giuseppe Flavio, ebreo paganizzato, riporta di essere riuscito a ottenere la sepoltura di almeno uno dei tre parenti crocefissi per ribellione. Si trattava comunque di un'eccezione alla prassi, qualcosa che richiedeva da subito una spiegazione plausibile, e questo forse spiega come mai Giuseppe d'Arimatea sia uno dei pochi personaggi che compare in tutti e quattro i vangeli. 

Ogni evangelista vi aggiunge qualcosa che tradisce il punto di vista dell'autore; per Marco è coraggioso, per Luca è buono e giusto e disapprova la decisione del Sinedrio di chiedere la morte di Gesù – insomma è un rappresentante della minoranza. Matteo non menziona il sinedrio, ma con la sua tipica attenzione al dettaglio economico, precisa che la tomba era nuova, e che Giuseppe l'aveva comprata per sé. Giovanni, come spesso fa, aggiunge dettagli ridondanti e non del tutto verosimili, nominando un altro discepolo (Nicodemo) e affermando che i due avrebbero unto il cadavere di Gesù – il che però li avrebbe resi impuri proprio alla vigilia di una festa. 

Malgrado l'importanza del suo ruolo, Giuseppe scompare subito: non è menzionato negli Atti degli Apostoli; nel secolo successivo gli viene intestato un vangelo apocrifo, ma non si registrano particolari leggende su di lui, finché nel Medioevo non finisce invischiato nella mitologia bretone del Graal: sarebbe stato infatti lui a raccogliere nel calice il sangue di Cristo, o a riceverlo in sogno da Cristo stesso. E nonostante nelle più antiche storie del Graal di Giuseppe non si facesse menzione, presto o tardi gli viene attribuito una missione apostolica nelle isole britanniche. 

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La tempesta (di Brassens)

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Un disco per l'estate 2024

 Si-       Mi-
Che delizia la pioggia! che orrore il sereno!

             La7
Non c'è cosa più triste dell'arcobaleno.

Re
Il cielo blu mi fa star male,
              Fa#
perché il più grande amore che mai mi fu dato
        Si-                     Do#7             Fa#     Si-
io lo devo ad un cielo cupo ed imbronciato:
            Mi-            Sol Fa# Si-
ad un furioso temporale.

Una notte d'autunno, sopra la mia magione,
una folgore, con terribile esplosione
s'era venuta a scaricare.
Giù dal letto schizzata, ancora semisvestita,
la mia bella vicina, tremante ed impaurita,
all'uscio mio venne a bussare:

"Sono sola ho paura! Aprite vi prego,
mio marito è lontano a causa del suo impiego
(o direi meglio del suo guaio),
che lo obbliga a uscire sotto l'acqua sferzante
per la buona ragione che fa il rappresentante
dei parafulmini d'acciaio".

Lode a Benjamin Franklin per la bella invenzione!
Abbracciandola a me le diedi protezione,
e poi... l'amore fece il resto.
Tu, di punte di acciaio, venditore provetto,
Non pensasti a piazzarne neanche una sul tuo tetto!
Error non fu mai più funesto.

Quando Pluvio andò oltre nel suo vagabondaggio
la mia bella, ripreso un poco di coraggio,
tornò nel proprio appartamento;
ad attender lo sposo con coperte e cordiale,
e alle prossime piogge, a un nuovo temporale,
già ci fissammo appuntamento.

Con un'ansia crescente io mi misi da allora
a scrutare fremente i cieli ad ogni ora,
giorno e notte, notte e giorno;
a spiar nembi e cirri, sempre più preoccupato,
a fare gli occhi dolci anche a un cumulostrato,
ma lei non fece più ritorno.

Seppi poi che il marito, in quella notte famosa,
parafulmini aveva seminato a iosa;
e milionario divenuto,
se l'era portata in quei luoghi laggiù,
dove non piove mai, e il cielo è sempre blu,
laddove il tuono è sconosciuto.

Ma voglia Dio che il mio pianto a tamburo battente
la raggiunga e le parli del tempo inclemente
che ci portò su in paradiso;
e le dica che un fulmine un po' mascalzone
m'ha lasciato nel cuore una piccola incisione
con i contorni del suo viso.
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Il beneamato C

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(Continua la lunga intervista alle Solite Stronze, una specie di gruppo punk femminista postmaschilista che ha pubblicato questo disco abbastanza insensato, Perché non mi scrivi? Perché non telefoni?)  


E siamo arrivati a una delle canzoni più interessanti, ma anche più discutibili dell'album, ovvero...

Na na na na na na na na na na na na... CAZZO!

Suppongo che il testo sia di Lady Tourette.

Puoi supporre il cazzo che vuoi.

Anche stavolta il brano si presta a più chiavi di lettura...

No.

Come no?

C'è una sola chiave.

Che peraltro è una chiara metafora fallica (la chiave, intendo). 

Un tale ha mollato una tale, e la tale si lamenta pubblicamente. Fine. Quale altri chiavi pensi di poter usare, brutto porco?

Beh, mi era sembrato che almeno l'uso del termine "cazzo", nel brano, fosse quantomeno ambiguo.

Grazialcazzo che è ambiguo. Abbiamo giocato sul fatto che "un cazzo" in italiano significhi non solo "un organo sessuale maschile", ma anche "nulla". Perciò all'inizio della canzone sembra che lei stia dicendo: non mi manca niente di te.

Ma a un certo punto si capisce che qualcosa effettivamente le manca...

Un cazzo.

Ammetterete almeno che è un colpo di scena, voglio dire, fin qui non avevate certo lesinato il turpiloquio...

Noi non lesiniamo nulla.

...ma del... "cazzo", chiamiamolo così, non si era mai parlato e non sembrava una dimenticanza, quanto una vera e propria scelta di campo. Invece qui qualcuno ammette di sentire non dico la necessità, ma la mancanza del...

E questa ti sembra una contraddizione? Stiamo dicendo a un uomo che c'è una sola cosa che ci manca di lui, ed è l'organo sessuale.

Immagina la cosa a sessi inversi.

Beh, sarebbe qualcosa di inascoltabile, oggi.

Precisamente. L'uomo ridotto alla sua mera dimensione erettile. Mi fanno ridere certe compagne che si lamentano per come le donne vengono esibite nei porno, dico: ma gli uomini invece, nei porno, li avete visti? A volte letteralmente gli si vede solo l'aggeggio, appoggiato lì come una maniglia, un fermaporte.

Un fermaporte?

La canzone dice che un uomo non è un granché, dopodiché dice che l'uomo è un cazzo, prova a completare il sillogismo.

Non so se ce la faccio.

Na na na na na na na na na na na na, cazzo....

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Partire non è tutto, certamente (c'è chi parte e non dà niente)

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(Un disco per l'Estate 2024)




Nel 1980 don Paolo Petta, un sacerdote paolino aggregato alla diocesi dell'Alto Volta, scomparve senza lasciare tracce nella provincia dello Yatenga. L'ipotesi che fosse stato rapito da una tribù in rivolta contro il governo centrale ebbe un'indiretta conferma quando dieci anni dopo in un cespuglio della savana fu ritrovato un sacco di patate coi contrassegni della FAO, simile in tutto e per tutto a quelli che Petta portava con sé nelle distribuzioni di cibo agli indigenti. Forse a causa di questo bizzarro ritrovamento, nei villaggi circostanzi don Petta è conosciuto come Msomsou Dmaca Potatos, o Le Missionaire Aux Pommes De Terre: "Signore, avevamo fame", recita una canzone molto popolare nello Yatenga "E tu ci hai mandato il Missionario con le patate. Oh Signore quant'era buono il Missionario con le patate. Non era duro con noi, era così tenero, signore mandaci presto un altro Missionario con le patate". C'è da dire che gli abitanti dello Yatenga sono conosciuti in tutto il Sahel centrale per l'umorismo discutibile. Un'altra prova della permanenza di Petta nella regione sono alcuni canti tradizionali che – fatto incredibile – presentano testi in lingua italiana, con ogni probabilità tratti da un canzoniere liturgico, forse il Canta La Gioia del 1979. Qui ne ascoltiamo due nella versione dei Penta Koste.

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Ruino anch'io come l'antico impero

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(Un disco per l'estate 2024). 


Ma il tempo vola ed è già il 27 agosto: e come avrete facilmente calcolato sono esattamente 468 anni che Carlo V d'Asburgo rinunciò alla corona del Sacro Romano Impero, che per tanti anni aveva cinto senza che il sole vi tramontasse quasi mai. Qualche mese dopo sarebbe entrato nel monastero di San Girolamo di Yuste, in Estremadura, ma questo non c'è bisogno di raccontarvelo perché vi ricordate senz'altro il più grande successo dei Gotterfunken, su testo di August Von Platen (esiste anche una versione italiana su testo di Giosue Carducci, chi l'ha ascoltata cambia volentieri argomento). 


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Sbatti le ali, muovi le antenne

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(Sto ascoltando l'album delle Solite Stronze in compagnia di due di loro, in teoria dovrei intervistarle ma non si stanno molto prestando).


Alla fine di Ti amo ti odio mi lasci indifferente c'è un altro omaggio a Mina... o forse è una parodia?

Non chiedere a me, io già tanto se so chi è Mina.

Sei grande grande grande, con te dovrò combattere...

È una pezza che abbiamo messo per coprire il finale di Ti amo, che era abbastanza pasticciato.

Ecco, uno degli aspetti che mi hanno colpito di più del vostro album è questo horror vacui che si manifesta tra una traccia e l'altra...

Eh?

Mi riferivo alla paura del vuoto. Ogni canzone comincia immediatamente dopo l'altra, non c'è silenzio e a volte nemmeno introduzioni strumentali, il che forse funzionerebbe sui vecchi supporti analogici, ma su bandcamp...

Sì, in effetti il master era una traccia sola di mezz'ora, ma bancamp non le consente.

Non è che abbiamo paura del vuoto, noi non abbiamo paura di niente. Non ci piace perdere tempo in convenevoli. Le introduzioni, i finali, sono solo perdite di tempo. Le canzoni vanno cagate in tempo reale.

Verso la fine è come se il vostro album cominciasse a sfilacciarsi, compaiono abbozzi di canzoni che sembrano abbandonate a sé stesse, ad esempio c'è questa Canzone della felicità, il cui testo evidentemente non è vostro...

Adesso lo è. 

È un brano che mi tormenta sin da quando andavo all'asilo, non ho mai smesso di sentire una voce in testa che lo cantava. 

Quindi stravolgerlo in questo modo è un modo di confessare questa ossessione, o di superarla...

Diciamo che adesso la canzone è mia, se mi canta in testa è comunque roba mia.

C'erano altri motivi per inserire nel disco un minuto di Canzone della felicità cantata su una musica lenta e straniante?

Ci stai accusando di allungare il brodo?

In questo caso avremmo potuto allungarlo di più, cioè, dura un minuto. Ed è uno dei minuti più importanti dell'album, secondo me.

Addirittura.

È un momento non tanto di felicità, ma di abbandono dopo la felicità. È come una finestra che si apre improvvisamente su un'età dell'oro, e subito si richiude.

E suppongo si richiuda sulle note di Una canzone impegnata, un altro brano di quel filone che potremmo definire cringe.

Vedi che ce la fai a dire cringe.

Mi costa un certo sforzo.

La cosa buffa di questo pezzo è che all'inizio aveva davvero un testo impegnato, poi ci siamo resi conto che in mezzo alle altre sarebbe suonata ridicola.

...e paracula.

Quindi avete tolto un testo che parlava di "temi importanti" per sostituirlo con...

Una metariflessione sull'impegno politico, che ci pone davanti al primo problema di chiunque scelga l'impegno: perché lo sto scegliendo? Voglio migliorare il mondo o voglio portarmi a letto qualcuno che lo vuole migliorare?

Se lo chiedi a me, io voglio tutto.

Naturalmente. Tutti desideriamo tutto. Si tratta di unire il desiderio alla consapevolezza.

La protagonista della canzone però non otterrà tutto.

La protagonista non otterrà niente, perché non ha raggiunto questa consapevolezza. Era indecisa tra gratificazione affettiva e impegno, e non ha avuto entrambe le cose. Non ha neanche capito qual è il problema. E va bene così. L'importante è che lo capisca il pubblico.

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Il re crociato e la diarrea

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25 agosto: San Luigi IX, l'ultimo crociato (1214-1270)

Come si fa a non mettere
il ritratto del Greco
Se durante le olimpiadi vi siete chiesti: ma insomma perché hanno invitato atleti e triatleti da tutto il mondo a bagnarsi nella Senna? Ci tenevano così tanto, a esportare la loro Escherichia coli? ebbene, sì, per i francesi non è un batterio qualsiasi: è un attributo regale e divino; senza di esso non avrebbero mandato nemmeno un re sul calendario. L'Escherichia non uccise semplicemente Luigi IX, ma gli fornì uno scopo per vivere e un metodo (non indolore) per morire. 

Luigi IX fu l'ultimo re crociato; morì a Tunisi nel 1270 e il suo cadavere fu bollito per evitare che arrivasse a Parigi già decomposto: ma questo lo sanno più o meno tutti. È l'unico re di Francia proclamato santo (Carlo Magno non conta), e di conseguenza è santo patrono della Francia. Avendo egli molto regnato e finanziato e patrocinato, è anche patrono dei carpentieri, dei barbieri e dei parrucchieri, dei distillatori, dei marmisti, dei merciai, dei ricamatori, ma se devo essere sincero io non invoco Luigi IX quando vado a tagliarmi i capelli o scheggio un marmo o bevo un distillato. Il momento tipico in cui mi capita di pensare a Luigi IX è... quando soffro di dissenteria. Imbarazzante, sì, specie se mi succede in viaggio e mi succede quasi in tutti i viaggi, a un certo punto: mi ritrovo prigioniero in un piccolo servizio igienico (specie se sono in Francia, dove il gabinetto è quasi sempre segregato dal bagno, come un confessionale) a patire i crampi e pensare a Luigi IX. 

Quest'ultimo ne morì, il che non è affatto eccezionale. Un sacco di gente muore di dissenteria tutti i giorni, è anzi uno dei modi più tipici in cui muoiono gli esseri umani, nonché uno dei meno dignitosi, fuori dalla Francia. Ma Luigi ne era il re, e prima di morirne ne soffrì per molti anni, almeno a partire da quella guerra che condusse in Aquitania per ridurre a più miti consigli i valvassori fedeli ai Lusignano e il loro insidioso alleato, Enrico re d'Inghilterra (e vassallo di Luigi). Proprio mentre inseguiva gli inglesi per ricacciarli una buona volta per tutte in mare, il che avrebbe magari evitato alla Francia quei Cent'anni di guerra nel secolo successivo, Luigi fu colto dalla prima grande crisi di dissenteria, che lo portò a un passo dalla tomba, e ribadisco, non sarebbe stato nulla di eccezionale: un sacco di soldati morivano così, per il tifo o lo scorbuto o qualche virus o batterio, spruzzando acqua scura nei canali di scolo e poi rendendo l'anima a Dio esausti come spugne strizzate. Luigi aveva già provveduto a nominare l'erede e la reggente: sua madre ovviamente, che già aveva retto il regno quando lui era un ragazzino orfano di padre. Tutto era pronto per lasciare questa terra ed essere già venerato come il più santo dei re francesi, quand'ecco che la dissenteria cessò, senza nemmeno fermenti lattici. 

Luigi promette di liberare Gerusalemme.
A volte capita, ma se capita a Luigi IX di Francia non può che essere un miracolo, e se è un miracolo non è che basta ringraziare, tirare su magari un santuario e andare avanti, no; Luigi era quel tipo di cristiano che vede la grazia in termini di contratto, se ne aveva ricevuto una evidentemente era per qualcosa che aveva promesso, e quella promessa diventava un debito indifferibile. Può davvero darsi che durante una colica Luigi avesse promesso di riconquistare Gerusalemme, da qualche anno ripresa dai Mori, e in effetti era l'unico re cristiano abbastanza potente da riuscirci. Ma avrebbe dovuto essere una conquista militare seria, non una manfrina diplomatica come quella portata a termine da quel senzadio di Federico II di Svevia – che in cambio del titolo di Re di Gerusalemme aveva rinunciato a difenderne l'accesso al mare, col risultato che qualche anno dopo nuove bande di turcomanni se ne erano impossessati facilmente. Luigi voleva liberare Gerusalemme così seriamente che fu il primo crociato a rinunciare a entrarvi: aveva infatti compreso che nella scacchiera del Medio Oriente Gerusalemme era una casella periferica. Il vero re da battere – l'emiro Fakhr-ad-Din Yusuf – regnava in Egitto: era là che bisognava colpire e fu là per l'Egitto che Luigi salpò dal porto fatto costruire per l'occorrenza, Aigues-Mortes ("acque morte"): un nome che era già un fosco presagio, benché paesaggisticamente preciso, in quanto sorgeva sulla palude della Camargue. Con Luigi viaggiava un esercito di ventimila uomini, enorme per i tempi. 

L'esordio fu incoraggiante: i francesi presero Damietta e l'emiro era già pronto a scambiare un porto così importante con Gerusalemme, città strategicamente trascurabile. Luigi era troppo pio per mercanteggiare, o forse abbastanza avveduto da capire che Gerusalemme, senza un porto, sarebbe stata presto perduta per l'ennesima volta, e continuò a dar battaglia nella valle del Nilo. A Mansura perse molti uomini ma vinse la battaglia; nel frattempo però si era rifatto vivo il sintomo del dubbio, la dissenteria. Tra tifo e scorbuto non c'era da meravigliarsi: migliaia di soldati stavano spruzzando a morte, ma per Luigi il problema trascendeva il piano intestinale. Forse la dissenteria era il modo in cui Dio gli stava dicendo che tutto sommato no, non era degno di liberare Gerusalemme. A Fariskur fu fatto prigioniero, il che gli permise perlomeno di guarire una seconda volta grazie all'intervento di un medico dell'emiro. Per qualche anno rimase prigioniero di lusso, mentre sua madre metteva insieme i soldi del riscatto, e forse furono gli anni più sereni della sua vita adulta, passata interamente a interpretare il ruolo del re saggio e pio. Visitò persino Gerusalemme, il che non equivaleva a sciogliere il voto perché quando finalmente rientrò in Patria si gettò immediatamente in un progetto di riforma dei costumi che avrebbe fatto di lui non solo un Re Santo, ma il Re di una nazione di santi: niente più giochi d'azzardo, al bando i dadi e le scacchiere (per le carte da gioco era troppo presto), proibita la prostituzione, taverne aperte solo ai viaggiatori, e così via. Si direbbe che dopo aver visto i Paesi in cui vigeva la sharia, avesse deciso di importarla in Francia. Se ci fosse riuscito, e poi avesse vinto una crociata, chi l'avrebbe vinta davvero? Avremmo scritto Arabia capta ferum victorem cepit, o l'equivalente nella lingua del Corano? È una domanda inutile, non è mai successo. Non solo Luigi non ha vinto nessuna crociata, ma non è nemmeno riuscito a togliere il vino ai francesi – probabilmente un'impresa più difficile. 

Sembra già Gerusalemme (ma è Aigues-Mortes).

Di alcune delle sue misure proibizionistiche, Luigi fece in tempo a constatare l'inefficacia: la prima a saltare fu il divieto di prostituirsi, che a quanto pare rese più difficile la vita delle donne oneste in quanto i clienti non riuscivano a distinguerle dalle meretrici clandestine. La prostituzione fu così concessa in determinati quartieri, per lo più fuori dalle mura delle città. A parte qualche contrattempo del genere, verso il 1267 Luigi doveva essersi convinto di avere santificato quanto bastava il proprio regno, perché comunicò ufficialmente il suo desiderio di intraprendere una nuova crociata, l'ottava; l'obiettivo immediato stavolta era Tunisi, dove un emiro dava segnali ambigui di insofferenza nei confronti dei mamelucchi egiziani. Luigi era convinto di poterlo battezzare e farne un proprio vassallo. Le cose non andarono esattamente così, e non molto dopo aver preso Tunisi con la forza, Luigi si ritrovò al cospetto dell'antico nemico, il virus intestinale. Morì di tifo o di scorbuto, o di schistosomiasi, e appena fu morto la crociata finì, era l'ultima, nessuno voleva più combatterne tranne lui. Morì invocando "Gerusalemme" e spruzzando, morì in modo eroico e ridicolo, e non posso farne a meno di pensarci ogni volta che mi ritrovo anch'io in una cella stretta come un confessionale, alle prese col Nemico che mi dice: ma chi ti credi di essere, ma Gerusalemme dove, non lo vedi che merda sei, e merda tornerai? San Luigi, prega per me.

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Per sempre insieme a te

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(Disco Estate 2024)


Stasera che per voi è un qualsiasi sabato sera d'agosto, per i seguaci del Meeting di Rimini è l'ultima sera del Meeting di Rimini. Le inibizioni saltano, la voglia di stare assieme ribolle contro la dura realtà che li attende al risveglio. Non so se sia ancora come ai primi anni Novanta, quando tutto sembrava alla portata dei convenuti al Meeting di Rimini: potere, soldi, successo, sostanze, e non bisognava nemmeno firmare un contratto col demonio, o forse sì ma sembrava comunque un tizio serio, affidabile, con un esibito rispetto per le tradizioni. 

(I sopravvissuti alla festa del 1991 non ne parlano volentieri. Alcuni non ricordano, altri non vogliono, altri sono in cura da allora, uno è missionario nel golfo di Guinea).

Comments (1)

Non azzardarti a decifrare i miei sentimenti nei tuoi confronti

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(Continuo a intervistare le Solite Stronze, boh, chissà cosa mi ero messo in testa di trovare, comunque andiamo avanti).

Andiamo avanti e arriviamo al settimo pezzo...

Dobbiamo proprio?

Eh?

Sì, questo si potrebbe anche skippare.

Cioè è un pezzo che non vi piace?

Ma non è che non mi piace...

Mi piace, non mi piace, sono pareri soggettivi...

Laddove questo pezzo fa oggettivamente cagare.

Però scusate, stiamo cercando di fare promozione, se non ci credete nemmeno voi...

No no, noi ci crediamo, cioè alla fine in poco tempo secondo me abbiamo realizzato un disco decente.

Che sarebbe stato anche meglio se Azzolina...

Ah, è un pezzo di Azzolina questo.

Non si capisce?

In effetti è un altro brano che non ti aspetti in un disco punk, sembra una specie di... 

Di...

Boh.

Vero? Non si capisce veramente che roba sia.

Io non credo di averci suonato niente.

In compenso l'argomento è sempre lo stesso, ovvero c'è un tizio che non risponde al telefono.

Sì ma l'hai sentita? "Questo filo mi strozza il cuore", che roba è?

Beh non so se dirtelo...

Dirmi cosa?

Prometti di non prendermi in giro.

Noi non promettiamo niente.

Una volta i telefoni avevano il filo.

Oddio, dici che intendeva quello? Il cazzo di filo del telefono?

Non so, a me è venuto in mente subito.

Per forza, sei un dinosauro di merda.

E ovviamente, "tu tu tu tu" è il rumore che facevano i telefoni occupati... a volte lo fanno ancora, ma è abbastanza raro.

Cioè "tu tu tu" è un cazzo di gioco di parole?

Magari adesso che lo sai il pezzo assume una diversa profondità.

La profondità del cazzo che mi frega.

Proseguiamo con un brano che invece mi sembra molto più affine alla vostra sensibilità.

Ecco sì, questo l'ho scritto io. 

Non avevo quasi dubbi. E senza dubbio è uno dei più energici, eppure paradossalmente è il brano che comunica una maggiore sensazione di imbarazzo.

Di che?

Voleva dire che è un pezzo cringe.

E perché non l'ha detto?

L'ha detto con parole sue. 

L'ho detto con parole mie. È forse questa la frontiera del punk nel 2024? Calarsi con orgoglio in una situazione cringe?

Ma che cazzo ne so. È un pezzo in cui rivendico l'incoerenza affettiva, senza aver paura del cringe perché è il cringe che deve avere paura di me.

Questa cosa me la segno, anche se non sono sicuro di averla capita.

Però suona bene. 

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