Title - Change Me

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San Cristobal. A San Cristobal de las Casas i marciapiedi sono altissimi. Trenta, quaranta centimetri. In alcune zone anche mezzo metro.
Roba che in Italia qualunque sindaco ci metterebbe una balaustrata, e non solo per appoggiarci stasera la nostra malinconia, ma per impedire che qualcuno si spacchi una gamba e denunci il Comune. Corrono per tutta la città, queste specie di sopraelevate, sui due lati di ogni “calle”, per quanto stretta. Il centro delle strade è pavimentato solo da una trentina di anni. Prima era tutto un fiume di fango e merda di cavalli. Un fiume riservato esclusivamente agli indigeni chiapanechi cui non era permesso camminare sui marciapiedi. Il tassista che mi ha portato a San Cristobal, abituato a scarrozzare turisti e preoccupato di non darmi una cattiva idea della città, mi ha spiegato che non era razzismo. Solo, debbo considerare che gli indigeni sono abituati a razzolare nel fango – è nella loro natura - e con i loro piedi sporchi avrebbero lordato i marciapiedi puliti. Poi il taxi è arrivato a destinazione. Sono sceso allo Zocalo, proprio davanti al municipio di San Cristobal. Quello che è stato occupato da Marcos quel primo gennaio del ’94 alla testa di qualche centinaio di indigeni incazzati. Va a capire il perché… Forse avrei dovuto chiederlo al tassista.

Verso Tuxla Guitierrez
In volo sul Messico. E’ un bel viaggiare già sull’aereo che da Città del Messico vola a Tuxla Guitierrez. Discutevo con un ragazzo di Roma, diretto pure lui a San Cristòbal de las Casas, alla conclusione del festival della Degna Rabbia, sull’ “Oh che sarà, che sarà?” che spinge tanti giovani e meno giovani di tutto il mondo a spendere soldi, tempo, salute ed energie per seguire le carovane a sostegno dei caracol zapatisti. Il nostro chiacchierare sottovoce attento a non disturbare i vicini, aveva poco da spartire col ciarlare scomposto di un gruppo di turisti – ahimé – italiani in gita organizzata nel Chiapas che vociavano da una fila all’altra. E fosse solo il volume. Gesù che discorsi! Da sperare che gli altri viaggiatori di lingua spagnola non riuscissero a capire niente. Si passava dai conteggi su quanto ci si guadagnava col cambio favorevole dell’euro a venire in Messico dove si poteva “fare i signori con due euro” “Sì però, non c’è niente da comprare che qui son tutti morti di fame”, al cazzeggio da turista dell’avventura “E che facciamo se - brividi, brividi, brividi - ci rapiscono gli zapatisti?” “E che vuoi fare? Con cinque euro ci compriamo pure, come cazzo si chiama? quello col passamontagna nero. E ci danno pure il resto”. E giù a ridere come fessi. Il peggio lo abbiamo toccato con (e vi giuro che è tutto vero!) con “Ma insomma, cosa vogliono questi zapatisti oltre che rompere le balle ai turisti?” “Mah? Hanno fatto una specie di centro sociale nei boschi…”
E che vi devo dire? Potevo scendere dall’aereo? No. Potevo buttare giù loro? Neanche. Grazie a dio avevo un mp3 in borsa. E allora vai con l’ultimo degli Ac/Dc a tutto volume per non sentir più niente e all’atterraggio ad hablar español per terrore che qualcuno dei miei cari compatrioti mi venisse a chiedere “Ehi, ma sei anche tu italiano?” Fuori dall’aereoporto, l’amico romano che si era fatto pure lui il viaggio con le cuffiette mi fa: “Ecco, hai capito perché appena posso parto per il Chiapas? Per levarmi per qualche settimana da quel merdaio fascistoide, rinco-televisionato, xenofoboieggiante, stronzoide ed ignorantesco che è diventato l’Italia!”
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