In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.

Anche la terraferma dice No alla Grandi Navi in laguna

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"Difendere la laguna di Venezia che è anche la nostra laguna, certamente. Ma ci sono anche altri importanti motivi per cui, noi che viviamo in Terraferma, parteciperemo attivamente alle due giornate di mobilitazioni contro le Grandi Navi". Michele Valentini, portavoce del cso Rivolta, apre così l'assemblea di preparazione alle iniziative di sabato 23 e domenica 24. L'incontro si è svolto ieri sera nella sala del Laurentianum di Mestre gremita di cittadini. Il risultato del referendum autogestito di giugno, che ha visto centinaia di residenti di Mestre e Marghera recarsi alle urne per ribattere che le Grandi Navi devono restarsene fuori dalla laguna e che non devono essere effettuati altri scavi, spiega Valentini, "dimostra la grande voglia che hanno i cittadini di riprendersi in mano la città e di tornare ad immaginare un futuro per il loro territorio. Marghera è stata assassinata da un sistema economico fallimentare che ha portato devastazione e malattie. Domenica andremo a Venezia per dire a gran voce che a porto Marghera. vogliamo le bonifiche e non un'altra mega opera come un nuovo porto inquinante".
"Cinque anni e mezzo dopo il decreto Clini che, perlomeno per qualche mese, ha fermato il passaggio delle Grandi Navi - ha spiegato Stefano Micheletti, portavoce di Ambiente Venezia - ci è toccato sentire di tutto. Prima lo scavo del Concordia subito bocciato dalla Via, poi il Tresse, assolutamente inadatto per la commistione tra traffico commerciale e turistico. Poi è arrivato il Vittorio Emanuele, e poi il porto a San Leonardo. Tutte sparate senza una progetto sotto, neppure di massima. La verità è che prendono in giro la cittadinanza. Annunciano riunioni del Comitato che puntualmente vengono rinviate. Tutto per lasciare le cose come stanno. E intanto l'Unesco minaccia di depennare Venezia dalla lista dei luoghi patrimonio dell'umanità e afferma chiaro e tondo che le Grandi Navi non sono compatibili con la salvaguardia di Venezia. Governo, Regione e Comune non lo degnano neppure di una risposte, continuano a proporre 'soluzioni' già bocciate. Ed intanto le Compagnie entrano nella Vtp spa, alla faccia dell'evidente conflitto di interessi. A noi non interessa una 'soluzione' che risparmi il passaggio delle navi davanti al bacino di San Marco. Noi vogliamo le Grandi Navi fuori dalla laguna semplicemente perché, con la tutela della laguna, queste sono incompatibili".

Tommaso Cacciari, portavoce del laboratorio Morion, ricorda i tanti incidenti, da Genova al Giglio, che hanno funestato queste enormi carriole dei mari. "Eppure non è neppure questo l'aspetto peggiore. Il vero problema, a nostro avviso, è l'erosione della laguna. Un problema già messo in evidenza dopo l'acqua granda del '66 e che è peggiorati nel corso degli anni". Cacciari ricorda le immagini che l'astronauta Samantha Cristoforetti ha scattato dallo spazio e che mostrano due enormi "baffi" di sedimenti in uscita dalle bocche lagunari. "La laguna perde sei milioni di metri cubi all'anno o di sedimenti. La Serenissima lo sapeva e sapeva come porre rimedio con interventi come la deviazione dei fiumi quando questi rischiavano di interrare la laguna. Lavoravano per mantenere un difficile equilibrio tra terra e mare. Oggi questo equilibrio è stato spezzato e abbiamo con condannato la laguna diventare un braccio di mare". "Una grande nave sposta mediamente 135 mila metri cubi di acqua per il principio di Archimede. Quando quest'acqua batte sulle fondamenta, le tira giù. Ma questo sarebbe anche il male minore, perché una fondamenta può essere ricostruita. Quando arriva nelle barene invece è peggio, perché innesca un effetto tsunami. Ogni volta che uno di questi mostri passa per la laguna, se ne porta via un pezzo. Il che comporta meno resistenza durante i passaggi di marea, il che significa altra laguna che si disperde in mare, in un circolo vizioso. L'equilibrio è spezzato e la laguna è oggi solcata da vero e propri fiumi, come sa chi va in barca". "Chi amministra - conclude Cacciari - non ha imparato niente, oppure, semplicemente, non gli interessa imparare. Non p un caso che il Mose sia nato dalla sola corruzione per la sola corruzione. Continuano a proporre altri scavi. Scavi senza progetto che hanno il solo scopo di mantenere le cose come stanno".
Chiusura per Marco Baravalle, portavoce del Sale, che ha presentato l'assemblea di sabato che vedrà protagoniste più di una quarantina tra associazioni e movimenti provenienti da tutta Europa. "L'obiettivo non è quello di costruire una ennesima rete di resistenze ambientali ma di aprire una spazio pubblico di livello europeo per parlare di giustizia ambientale. Un tema che contiene in sé tutte le tematiche per le quali ci siamo battuti in questi anni. A partire dalla quotidianità di una città simbolo come Venezia, vogliamo aiutare i comitati ad uscire dalla sindrome Nimby e trovare un linguaggio comune. Lo scrittore Amitav Ghosh, che ci ha scritto per manifestare solidarietà alla nostra iniziativa, afferma che l'uomo oggi è diventato un agente geologico e non se ne rende conto. Oramai siamo entrati in una era che alcuni scienziati hanno battezzato Antropocene. Dobbiamo agire e pensare con questa consapevolezza che, sia pure lentamente, si sta facendo largo tra la gente. Ce ne rendiamo conto proprio con la nostra battaglia contro le Grandi Navi. Quotidianamente ci arrivano richieste di interviste, articoli, interventi, filmati da tutto il mondo. A parte la stampa italiana, tutti i media hanno capito che Venezia è una città simbolo. Una città che ha una dimensione globale proprio in virtù delle sue particolarità locali. Una città che alcuni, come le compagnie di crociera o il sindaco, vorrebbero ridurre ad un distretto del turismo 'mordi e fuggi'. A questa idea perdente, noi opponiamo una idea di città radicalmente diversa. Il favore con cui tutti seguono la nostra battaglia è una dimostrazione che il futuro sta dalla nostra parte".

Venezia è la nostra anima

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Venezia è un bancomat. La città che aveva saputo parlare all'umanità di equilibrio tra terra e mare, è stata trasformata nel bancomat di un conto corrente a perdere. Un conto dove le multinazionali del turismo prelevano quel che c'è da prelevare, senza mai pagare dazio investendo qualche soldo in attivo. Una Venezia tutta da mungere. Fin che dura.
La sentenza del processo dello scandalo Mose, letta giovedì 14 dalla Corte d'Assise, pur dimezzando le pene chieste dal pubblico ministero, ha comunque condannato l'ex ministro Altiero Matteoli a 4 anni di reclusione e al pagamento di 9 milioni e mezzo di euro, ed è la conferma che gli ambientalisti veneziani non si erano sbagliati: la Grande Opera che ha portato disequilibrio in un equilibrio millenario, trasformando la laguna dei dogi in una braccio di mare morto, è figlia della corruzione e soltanto per la corruzione è stata progettata.
A ben vedere, è proprio qui, nella laguna dei dogi, con questo sistema di paratie mobili chiamato Mose e che si sono arrugginite prima ancora di entrare in funzione, che è stato sperimentato, a partire dagli anni ’80, il sistema delle Grandi Opere. Un sistema scientificamente progettato per trasformare l'ambiente in merce, demolire le autonomi locali, svilire la democrazia e dirottare vagonate di finanziamenti pubblici alla corruzione del sistema politico e ad aziende in odor di mafia.
Già. Perché se riesci a devastare una città sotto gli occhi del mondo come Venezia, allora puoi fare tutto da qualsiasi parte d’Italia!


Proprio qui, dove tutto è cominciato, sabato 23 e domenica 24 settembre si sono dati appuntamenti i movimenti di tutta Europa accogliendo l’appello dei No Grandi Navi veneziani a partecipare ad una “due giorni per la difesa dei territori, la giustizia ambientale e la democrazia”.
Tante le associazioni, tanti gli spazi sociali, tanti i movimenti ambientalisti che confluiranno in laguna per partecipare all’assemblea generale ai magazzini del Sale e alla successiva festa all’aperto tra calli e campielli, con grandi tavolate comuni sistemate lungo la fondamenta. Proprio come si faceva una volta, prima che quasi metà della case di Venezia diventassero hotel di catene internazionali o B&B di proprietà di milanesi o di altri residenti in Terraferma che hanno fiutato il business del turismo.

Ci saranno
No Tav dalla Valdisusa, No Muos siciliani, Stop Biocidio campani e No Tap dal salento. Inoltre, parteciperanno i tedeschi del movimento contro Stuttgard 21, Ciutat per a qui l’habita Palma delle isole Baleari, i portoghesi di Academia Cidadã e il Comitè francese contre la construction de l’aereporte de Notre Dame des Landes e tanti altri ancora. A questo link potete leggere la lista in continuo aggiornamento delle adesioni.

Il giorno dopo, domenica, l’appuntamento sarà alle Zattere, di primo pomeriggio, per riprendersi la città “par tera e par mar”, e riempire la fondamenta di gente e il canale di barche. Ci sarà anche uno zatterone gigante per gli interventi degli ospiti e per le esibizioni di gruppi musicali come i 99 Posse, Cisco dei Modena City Ramblers e altri ancora.

“Sarà una grande festa per tutti i veneziani e per coloro che hanno cuore Venezia - commenta Tommaso Cacciari, portavoce del Laboratorio Morion e del comitato No Grandi Navi -. In questi cinque anni e mezzo di lotta per allontanare questi condomini galleggianti che inquinano come un cementificio anche quando sono ormeggiati, sono saltate fuori le soluzioni più assurde e ridicole. C’è chi voleva scavare il canal Contorta per far passare le navi lontano da San Marco, chi le Tresse, chi voleva fare un altro porto a San Leonardo o a Marghera, e anche chi ha proposto di scavare, testualmente!, una ‘autostrada per grandi navi dietro la Giudecca’ con tanto di autogrill in mezzo! Manca solo la proposta di sostituire il ponte della Libertà con un ponte levatoio per portare le Grandi Navi a Murano e abbiamo completato la lista delle fesserie. La verità è che non sanno dove sbattere la testa e prendono tempo perché da un lato non osano opporsi alle multinazionali crocieristiche ma dall’altro non possono ignorare che tutte queste ‘soluzioni’ sarebbero il colpo finale per quel fragile equilibrio idrogeologico che ancora mantiene in vita quello che rimane della nostra laguna”.

Non solo una battaglia per l’ambiente, questa dei No Grandi Navi, anche se ognuno di questi mostri del mare inquina come quindicimila auto e, questo agosto, sono il ponte di Rialto si respirava Pm10 come in un tunnel autostradale. E non è neppure solo una battaglia per Venezia, anche se è a Venezia che si gioca la partita.

“In questa città, dove le strade sono fatte d’acqua, battersi per la salvaguardia dell’ecosistema lagunare significa automaticamente battersi per il diritto alla città, per la difesa del suo spazio pubblico, per evitare la distruzione di uno stile di vita unico che è prezioso patrimonio comune” si legge nell’appello dei No Navi. “In questo strano luogo, ambiente e città sono la stessa cosa e non è possibile difenderli senza fare i conti con il grande tema della democrazia. Oggi noi abbiamo contro il sindaco, l’autorità portuale, il governo e naturalmente le multinazionali delle crociere. Tutti sordi al grido della città e delle decine di migliaia di persone che in tutto il mondo si indignano”.
Già. Perché le condizioni in cui versa l’antica Serenissima sono più conosciute all’estero che in Italia. Avete letto qualche giornale statunitense, inglese o tedesco, questa estate? Oppure vi è capitato di vedere qualche trasmissione mandata in onda dalle televisioni inglesi, svizzere o francesi? Non certo nei media italiani, ma in quelli esteri, sono usciti negli ultimi mesi dettagliati reportage che denunciavano le condizioni in cui è precipitata l'ex Serenissima. Solo a titolo d'esempio, ricordo il "Vai a Venezia? Non dimenticarti la maschera a gas" ("Heading to Venice? Don’t forget your pollution mask") del Guardian. Oppure "Venezia invasa dai turisti. A rischio di diventare vla Disneyland del mare" (Venice, Invaded by Tourists, Risks Becoming ‘Disneyland on the Sea’) del The New York Times.

Un coro di voci indignate cui il sindaco Gigio Brugnaro - vi sarà, ahimè, capitato di assistere a qualche sua performance contro gli islamici o la “teoria del gender”, in qualche canale Tv, e vi sarete fatti una idea del personaggio - ha risposto che lui vuole fare Venezia “bella come Dubai” e che, per il resto, è tutta una cospirazione dei giornalisti del New York Time. Come se al New York Time, col presidente che si trovano in casa, non avessero altro da fare che cospirare contro Venezia!
Ma anche l’attuale giunta non è altro che una perfetta rappresentazione del degrado in cui è precipitata la città, fragile vittima di un capitalismo predatorio che mercifica arte, ambiente, storia, tradizioni, e la stessa vita.
Per questo, sabato e domenica, i veneziani riempiranno canali e fondamente, e si riapproprieranno della loro città,
par tera e par mar. Perché “el con no se vende”. Non si vende l’anima. E Venezia è la nostra anima.

Due giorni di festa per ribadire che la tutela della laguna e dei suoi abitanti è più importante dei ricavi delle multinazionali crocieristiche

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"Grandi Navi e Mose non sono altro che due facce della stessa medaglia". L'ambientalista Cristiano Gasparetto apre l'incontro di presentazione della Due Giorni contro le Grandi Opere, in programma sabato 23 e domenica 24 settembre, prendendo spunto dalla sentenza del processo per lo scandalo del Mose. "Dopo la condanna al ministro Altiero Matteoli, ci chiediamo perché si è arrivati ad un sistema di corruzione così diffuso. La risposta è semplice: perché senza un diffuso sistema di corruzione il Mose non sarebbe mai stato approvato. Le Grandi Navi, e tutte le Grandi Opere in generale, funzionano con lo stesso principio. Senza la corrutela, non avrebbero ragione di esistere".
Gasparetto ricorda che una nave all'ormeggio produce inquinamento pari di un cementificio e le conclusioni di Paolo Costa, al tempo provveditore al porto sono state: "non è il porto ad essere nella posizione sbagliata ma le abitazioni". Come dire: prima vengono i "schei" e dopo la salute e il benessere dei cittadini.


Sotto una pioggia battente, nella sede dei No Navi, ai piedi del ponte sul Ghetto Novo, si è svolta questa mattina alle 11 l'incontro con la stampa per presentare le giornate europee dei movimenti per la difesa dei territori, la giustizia ambientale e la democrazia.
Tommaso Cacciari, portavoce del Laboratorio Morion, ha fatto il punto delle adesioni all'iniziativa. A Venezia confluiranno nutrite rappresentanze dei No Tav dalla Valdisusa, No Muos siciliani, Stop Biocidio campani e No Tap dal salento. Inoltre, parteciperanno i tedeschi del movimento contro Stuttgard 21, Ciutat per a qui l’habita Palma delle isole Baleari, i portoghesi di Academia Cidadã e il Comitè francese contre la construction de l’aereporte de Notre Dame des Landes. A questo link potete leggere la lista in continuo aggiornamento delle adesioni.
Punto focale del programma sarà la manifestazione alle Zattere, domenica 24 pomeriggio, dove sul palco galleggiante si esibiranno musicisti come i 99 Posse, Cisco dei Modena City Ramblers e altri.

"Abbiamo presentato da tempo la richiesta di uno spazio acque all'autorità portuale, proprio come abbiamo fatto in altre occasioni, - spiega Cacciari - e devono ancora risponderci. Ma in ogni caso, la festa si farà. Sarà una festa per terra e per mare con tantissime barche in canale. Sarà una festa per tutti i veneziani e per chi ha a cuore Venezia. Ai signori politici che dopo 5 anni e mezzo devono ancora prendere una decisione, chiediamo solo che la smettano di prenderci in giro".

In questi anni di lotta per la tutela della laguna, sono saltate fuori come conigli dai cappelli dei più improbabili prestigiatori, pretestuose "soluzioni" come lo scavo del Contorta, il porto a San Leonardo, il canale Tresse, il Vittorio Emanuele e persino scavare un nuovo canale dietro la Giudecca.
"Manca solo che qualcuno proponga di sostituire il, ponte della Libertà con uno levatoio per dirottare le navi a Murano e siamo a posto con la lista delle idiozie - conclude Cacciari -. La realtà è che non sanno dove sbattere la testa e prendono tempo perché altro non sanno fare. Puntualmente, ogni tre mesi, salta fuori qualcuno con una soluzione nuova. L'ultima è quella di spostare il porto a Marghera. Dico solo: fateci vedere i progetti e ve li smontiamo scientificamente come abbiamo fatto per il Contorta. Perché qualsiasi soluzione che non preveda l'allontanamento delle Grandi navi dalla laguna non può essere compatibile con la sua tutela".

Il Mose è nato dalla corruzione. Ecco cosa ci dice la sentenza della Corte d’Appello

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Alla fine dei conti, dei cosiddetti “imputati eccellenti”, a pagare è rimasto solo lui, l’ex ministro Altero Matteoli. La Corte d’Assise di Venezia lo ha ritenuto colpevole di corruzione per lo scandalo delle bonifiche di Porto Marghera e lo ha condannato a 4 anni di reclusione e al pagamento di 9 milioni e mezzo di euro, oltre all’interdizione dai pubblici uffici. Stessa pena, 4 anni e 9 milioni e mezzo di multa, anche all’imprenditore Erasmo Cinque della Socostramo. Due anni per corruzione  l’altro imprenditore Nicola Falconi, mentre un anno e dieci mesi con sospensione della pena sono stati inflitti l’avvocato Corrado Crialese per millantato credito.
Assolti tutti gli altri. L’ex presidente del Magistrato alle Acque Maria
Giovanna Piva per prescrizione, che non vuol dire che non prendeva soldi dal Consorzio, come era stata accusata, ma che è trascorso il tempo utile per incriminarla. Assolti per non aver commesso il fatto l’ex deputata socialista e poi berlusconiana Lia Sartori, e l’architetto Danilo Turcato, quello che curava i restauri della villa di Giancarlo Galan. Assolto per prescrizione pure l’ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni dall’accusa di finanziamento illecito in campagna elettorale. Orsoni,  che tra tutti gli imputati, era quello meno coinvolto nello scandalo, non si è fatto vedere in aula. La vera colpa dell’ex sindaco è quella di aver consegnato Venezia ad uno come il Gigio Brugnaro. Ma su questa “imputazione”, non ci sono Corti d’Assise che tengano.

Resta comunque una sentenza che farà discutere, questa emessa questo pomeriggio dalla Corte d’Assise di Venezia che, in  pratica, dimezza le richieste penali dei pubblici ministeri e assolve metà degli imputati. Difficile un ricorso in appello perché molti dei reati contestati stanno per cadere anch’essi in prescrizione.
Si chiude quindi il sipario, con pochi perdenti e nessun vincitore, sulla grande inchiesta sullo scandalo Mose cominciata, non senza un tocco di spettacolarità, in una calda mattina del giugno 2014 con 35 arresti tra cui, ricordiamolo, l’ex presidente del Veneto Giancarlo Galan, l’ex assessore regionale Renato Chisso e l’ex magistrato alle acque Patrizio Cuccioletta che al processo hanno preferito la via del patteggiamento.
Si è chiuso un sipario, dicevamo, ma la tragedia chiamata Mose è ben distante dal concludersi. Oggi che le “mele marce” sono state allontanate, i tempi di chiusura dell’Opera si allungano di mese in mese come ai bei tempi dei corrotti. La parlatorie arrugginiscono e fanno acqua da tutte le parti. E “la più grande opera di ingegneria italiana” come l’ha definita il pm Carlo Nordio, si sta rivelando per quel che è: una costosissima baraccata mangia soldi e devasta ambiente.
Anche i costi, al di là delle puntuali dichiarazione del Consorzio, lievitano di mese in mese più o meno come lievitavano una volta, con la differenza che le imprese coinvolte negli scandali di ieri, oggi piangono il morto, licenziano i lavoratori e ricattano la politica con l’arma dell’occupazione.
C’è da scommettere quindi, che questa di oggi passerà alla cronaca come la “prima” sentenza sul Mose. Altri sipari si alzeranno su altri scandali. Perché il vero scandalo sta tutto nell’opera.
Oggi gli ambientalisti, presenti ieri in aula con una nutrita delegazione, hanno comunque vinto una prima battaglia perché il tribunale ha sentenziato esattamente quello che loro sostenevano da tempo: dietro al Mose c’è corruzione. E non bisogna fare lo sbaglio di stare a sindacare sulle prescrizioni, su chi se l’è cavata per il rotto della cuffia, sulle assoluzioni più o meno piene, o sugli anni di galera inflitti o non inflitti. Il punto focale è che il Mose che ha trasformato la nostra laguna in un braccio di mare aperto, è figlio della corruzione. Questa, da oggi in poi, deve essere una certezza per tutti. Ed a questo punto bisogna tornare a chiedersi se l’opera serve anche a qualcosa, oltre che a far cassa per la corruzione. E magari domandarsi anche se è sicura e se porta più vantaggi che svantaggi per la città. Qualche dubbio a proposito, lo hanno solevato eminenti ingegneri idraulici!
“La sentenza dimostra l’alto grado di corruttela che stava dietro al Mose – ha concluso
Cristiano Gasparetto di italia Nostra -. Oggi non siamo più solo noi ambientalisti a denunciare questo malaffare perché anche la magistratura ha dimostrato la sua esistenza. La questione a questo punto è: se è stata necessaria tutta questa corruzione è perché il Mose, senza di essa, non sarebbe stato approvato, Solo la corruzione infatti ha potuto portare alla realizzazione di questa opera inutile, costosissima e devastante. Chiediamo quindi che vengano identificati i responsabili dell’approvazione di questa opera mangiasoldi e che venga finalmente effettuato uno studio per conto terzi, senza corruzione dietro, sulla reale efficacia del progetto”.
Siamo ancora ai primi atti della tragedia, quindi. Il sipario è ben lontano dall’essere calato.

Regione Veneto: per i parchi solo le briciole, per il referendum 14 milioni

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La Regione Veneto non si smentisce a anche quest’anno ha eroso la quota annuale disposta a favore dei 5 parchi regionali. Una ulteriore dimostrazione di quanto poco o niente pesi nella sua agenda politica capitoli come la tutela dell’ambiente e del territorio.
Con la delibera di Giunta numero 1398, datata 29 agosto 2017 (sempre in agosto, escono le delibere peggiori della nostra Regione!), il Governatore Luca Zaia ha stabilito un contributo complessivo per tutti e cinque i nostri parchi di 3 milioni e 792 mila euro. Il fondo sarà così suddiviso: Colli Euganei 1,49 milioni di euro; Regole D’Ampezzo 514.195; Lessinia 612.028; Sile 418.257; Delta del Po 756.883.
Tutto qua? No. Bisogna aggiungere i contributi dedicati alla realizzazione dei Piani Ambientali, naturalmente. Altra non-priorità della Giunta Regionale che assegna, a tutti e cinque i parchi assieme, la bellezza di 430 mila euro!
Una somma così esigua che non ha paragone in nessun’altra Regione italiana e che, come commenta Ilario Simonaggio, responsabile dell’area Ambiente della Cgil, merita una sola risposta “Vergognatevi!”
Tanto per fare un paragone, per il “referendum” regionale sulla cosiddetta “autonomia” – che non ha nessun valore istituzionale e sul quale potremmo discutere a lungo se definirlo appena appena “consultivo” – la Regione non ha esitato a investire oltre 14 milioni di euro!
Vergognatevi, appunto!

A Venezia contro i mostri del mare

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Provate a immaginare quanto veleno possa uscire dai tubi di scappamento di 14 mila automobili. Ce la fate? Ecco, vi state avvicinando a capire come possa ridurre il canale della Giudecca, uno di quelli che sfociano a San Marco, una Grande Nave. Soltanto una. Sono molti anni che un grande e tenace movimento si oppone all’ osceno via vai dei mostruosi grattacieli galleggianti, veri e propri villaggi turistici che si muovono concentrando in sé, o nella loro colossale simbologia figlia dell’economia fossile, l’insaziabile sete di profitti, l’umiliazione dell’idea del viaggio, l’arroganza delle multinazionali del mare e la corruzione politica. Il 23 e 24 settembre, in modo tanto particolare quanto affascinante, l’acqua di Venezia si propone allora come “territorio” da difendere, insieme all’ambiente e alla democrazia. E’ questa l’idea di fondo che il Comitato No Grandi Navi propone a chi, per esempio in Italia e in Europa, si batte per affermare che le calli veneziane, così come gli ulivi del Salento o le montagne della Val di Susa, sono un bene comune da sottrarre al saccheggio e alla devastazione. Un’occasione da non perdere per un primo week-end autunnale in cui, c’è da giurarci, Venezia non sarà affatto triste!


E’ una battaglia per l’ambiente, prima di tutto, ma non è solo questo. E’, anche e soprattutto, una battaglia per la democrazia.
La questione delle Grandi Navi, “simboli galleggianti dell’arroganza delle multinazionali e della corruzione di una classe politica piegata alla difesa dei profitti privati a scapito del bene comune”, sta tutta in questa domanda: chi decide sul territorio?
La stessa domanda che si pongono i valsusini che lottano contro la Tav o i No Tap che si battono contro la devastazione degli antichi ulivi nel Salento, tanto per citare due esempi delle tante battaglie per la democrazia ambientale che comitati, associazioni e movimenti dal basso portano avanti senza tregua, senza curarsi di arresti, cariche e intimidazioni, sfidando una politica di palazzo che oramai con la politica, intesa come “cosa di tutti”, non ha più nulla da spartire.
Chi decide sul territorio, quindi? Chi amministra deve tutelare i beni comuni e gli interessi delle generazioni presenti e future o quelli di una economia da rapina che ha trasformato questi stessi territori in merce? Domande queste, che si sono posti anche i veneziani che chiedono l’allontanamento delle Grandi Navi dalla laguna e che non si danneggi ulteriormente l’ambiente con altri scavi per far passare questi villaggi turistici galleggianti da qualche altra parte. Ipotesi questa, già bocciate dalla Via ma che vengono puntualmente riproposte dal ministro di turno che si trova a passare per Venezia.
“Venezia è, da oltre mille anni, città simbolo dell’equilibrio tra uomo e natura, la sua magia origina e vive nella e della straordinaria compenetrazione di artificio e natura, pietra e acqua, città e Laguna”. “E’ una città unica, certo, ma è al contempo un simbolo globale. Vorremmo che la nostra città divenisse per due giorni la cassa di risonanza di tutte quelle lotte che oggi, in Italia e in Europa, sono condotte per la difesa dei territori, per la giustizia ambientale e per la democrazia decisionale”.
Il virgolettato è tratto dall’appello ai movimenti europei per la difesa dei territori, la giustizia ambientale e la democrazia che il comitato No Grandi Navi ha lanciato proponendo una “due giorni” internazionale per parlare di democrazia dal basso e di ambiente, sabato 23 e domenica 24 settembre. E, naturalmente, sfilare in barca e per terra, contro le Grandi Navi.
Le adesioni non si sono fatte attendere. Dalla Valsusa al Salento, da Stop Biocidio di Napoli al No Muos di Sicilia sino alle Terre In Moto delle Marche. Moltissime e in continuo aggiornamento anche i movimenti europei che si battono contro le Grandi Opere: i francesi del Comitè contre la construction de l’aereporte de Notre Dame des Landes, i tedeschi dell’associazione Geheimagentur e del Movement against Stuttgart 21, i catalani dell’assemblea Ciutat per a qui l’habita, i portoghesi dell’Academia Cidadã, gli internazionali del quarto Forum Against Unnecessary Imposed Mega Project. Ciascuno parteciperà con una loro delegazione alla “due giorni” di Venezia. Il primo dei quali, sabato, sarà dedicato ad un incontro di presentazione delle varie realtà presenti e all’approfondimento dei temi ambientali che si svolgerà negli antichi Magazzini del Sale, alle Zattere, che si aprono sul canale della Giudecca, teatro del contestato passaggio di quesi condomini galleggianti. Il secondo giorno, domenica, in marittima, ci sarà la manifestazione in barca e per terra contro le Grandi Navi con un concerto che avrà come protagonisti, tra gli altri, i 99 Posse e Cisco dei Modena City Ramblers.
Per la lista completa delle adesioni e anche per aderire (come abbiamo fatto anche noi di Comune, ndr), ma anche per leggere il programma della Due giorni e per altre informazioni, collegatevi al sito del comitato contro le Grandi Navi.
“Non c’è dubbio che quella di domenica sarà una grande e coloratissima manifestazione con tantissima gente in barca e nella riva – commenta
Marta Canino, portavoce del comitato -. Lo possiamo già affermare perché attendiamo tantissime persone da tutta Europa. Associazioni e comitati stanno organizzando pullman, oltre che dal Veneto, dal Friuli e dall’Emilia Romagna anche dalla Valsusa e dal sud Italia. Senza contare la partecipazione dei veneziani che patiscono sulla loro salute l’inquinamento generato da questi mostri del mare, che temono per l’incolumità della loro città e delle loro case sfiorate da queste tonnellate di acciaio più alte del campanile di San Marco, che non possono stendere la biancheria fuori della finestra che la tirano dentro sporca di fuliggine”. Già, perché le Grandi Navi, partorite da una economia fossile basata sullo spreco, non possono spegnere i loro motori nemmeno quando sono ormeggiate e continuano ad inquinare come una autostrada a tre corsie e a fare di Venezia, il luogo per antonomasia senza auto, la terza città più inquinata d’Italia.
“Per questo, noi attiviste del comitato, non abbiamo dubbi che domenica il popolo delle calli sarà in riva con noi – conclude Marta Canino -. La gente ce lo dimostra tutti i giorni avvicinandoci ai banchetti che stiamo organizzando nei campi e nelle calli per esprimerci solidarietà e vicinanza. E ce lo ha dimostrato anche nel referendum autogestito che abbiamo organizzato domenica 18 giugno, raccogliendo oltre 18 mila votanti in poche ore con una percentuale di favorevoli all’allontanamento delle Grandi Navi pari all’98,7 per cento. Di fronte ad una politica che non sa decidere e che è prona agli interessi di una economia armata che porta profitti per pochi e povertà per tanti, i veneziani hanno avuto il coraggio di alzare la testa e di ribadire che la laguna è un bene comune e non una proprietà privata della compagnie di crociera“.

La mal'aria di Venezia: le Grandi Navi

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A leggere le percentuali dei principali inquinanti, dalle microparticelle all’ozono, dal Pm10 al monossido di carbonio, dall’ozono al biossido di azoto, vien da credere di trovarsi nel bel mezzo di una autostrada a tre corsie. Ed invece siamo sotto il ponte di Rialto.
Avete letto bene. Sotto il ponte di Rialto, nel cuore della città che, unica al mondo, ha la fortuna di non essere ammorbata dal traffico automobilistico: Venezia.
Già, Venezia, la quarta città più inquinata d’Italia secondo una recente stima dell’Oms. La stessa stima che ha classificato l’aria che respiriamo nel nostro Paese come la peggiore dell’Europa occidentale.
E dopo il ponte di Rialto, che ha il “merito” di fare da effetto tunnel e trattenere gli inquinanti come fanno, per l’appunto, i tunnel autostradali, un alto punto critico della città lagunare è piazza San Marco.
Questo estate, nei momenti di maggior siccità, sotto le finestre dove si affacciava il Doge si sono registrati più sforamento dei limiti di sicurezza di Pm10 che a Milano. Altre città del Veneto, per molto meno, hanno bloccato e limitato la circolazione delle auto. Ma a Venezia, il traffico, che lo blocchi a fare?
Vien da chiedersi, allora, quale sia la causa di tutta questa mal’aria che tocca respirare ai lagunari. Una parte di responsabilità, senza dubbio alcuno, ce l’hanno i vaporetti del trasporto pubblico. Mezzi per lo più fatiscenti e inquinanti. Altra parte di responsabilità va tutta ai tanti, troppi barchini a motore che scorrazzano in laguna senza che l’amministrazione si sogni di porre un benché minimo freno al moto ondoso. Altro tema scottante in laguna, perché lo spostamento d’acqua che creano devasta barene e rive.


UNA CAUSA CHIARA: LE GRANDI NAVI
Ma il 40 per cento delle emissioni inquinanti che ammorbano la laguna ha una sola causa: le grandi navi. Sul ponte di una nave da crociera, ha dimostrato una ricerca condotta dall’associazione tedesca Naturschutzbund Deutschland, sono presenti concentrazioni di microparticelle fino a 200 volte superiori ai livelli di fondo naturali. Come dire che gli eleganti ponti dove i crocieristi si sdraiano in panciolle a prendere il sole, in assenza di benefici venti marini, sono più inquinati delle peggiori strade di Bombay. E poi uno dice: “Vado in crociera a respirare un po di aria buona!”
La verità è che questi condomini galleggianti che a Palermo si portano via tutta l’acqua della città come fosse roba loro, quando transitano nel cuore stesso di Venezia per raggiungere il mare aperto, scaricano i loro più pestilenziali effluvi creando una cappa di inquinamento che a Pechino se la sognano.
“Noi che abitiamo vicino al porto – mi ha spiegato una signora che ha casa a Santa Marta – non possiamo neppure mettere la biancheria ad asciugare fuori del balcone che la ritiriamo più sporca e puzzolente di prima. Le grandi navi tengono sempre il motore acceso anche quando sono ferme. Dai loro camini, i fumi neri non smettono mai di uscire. Mai”.
Le grandi navi utilizzano i combustibili più sporchi ed inquinanti presenti nel mercato e non possono permettersi di spegnere i motori neppure quando sono all’ancora per mantenere in funzione l’impianto elettrico e il ricambio dell’aria nei locali interni.
Figlie di una economia di solo profitto basata sui fossili, sul gigantismo e sul consumo acritico, questi villaggi turistici galleggianti per vacanze low cost, regalano profitti milionari alle compagnie di Crociera e possono permettersi un esercito di avvocati per impugnare e invalidare anche ordinanze ministeriali, come quella dei ministri Clini e Passera che nel 2012 ne aveva vietato l’ingresso in laguna.

IL (SOLITO) RICATTO OCCUPAZIONALE
Come sempre accade quando si parla di inquinamento sotto le lente dell’economia e ci si dimentica che gli effetti del riscaldamenti globale riguardano tutti e su tutta la Terra, le compagnie di Crociera hanno agitato il ricatto dell’occupazione. Venezia campa di turismo, hanno scritto nelle pagine pubblicitarie che hanno comperato sui giornali locali. Senza turismo Venezia muore. Non hanno scritto che se c’è una cosa che non mancherà mai a Venezia, grandi navi o no, sono proprio i turisti. Inoltre, i fruitori delle offerte low cost proposte dalle grandi navi non portano una lira in città. Per loro Venezia è solo il palcoscenico della partenza di una crociera che costerà al mondo una emissione di inquinanti atmosferici pari a 5 milioni di automobili. Se va bene, prenderanno un caffè in città. A bordo hanno già il “tutto pagato” e una offerta di souvenir “Made in Murano” che le fornaci dell’isola del vetro se la sognano.

Di fonte ad una lotta così impari, si sono rivelati del tutto inutili i tanti appelli lanciati dall’Unesco e di tante associazioni internazionali. Inutili anche i disastri, come quello al porto di Genova, causati da questi bulldozer del mare. Inutili, come sempre quando si parla di economia e di profitto, anche i richiami alla ragionevolezza per tutelare un bene prezioso per tutta l’umanità come l’antica città dei Dogi.
Le grandi navi, scortate da potenti rimorchiatori, continuano a transitare impunite in quello specchio d’acqua che il Palladio ha immaginato come una estensione liquida della piazza, dove si specchia il palazzo Ducale, allargando ad arte la prospettiva architettonica con la creazione di due tra le sue chiese più belle nelle vicine isole dei San Giorgio e della Giudecca.
E proprio questo canale detto della Giudecca è diventato la personalissima autostrada a tre corsie che inquina Venezia e avvelena i veneziani e, perlomeno per la durata delle loro permanenza, anche turisti e viaggiatori.

IL RICERCATORE:”MAI RILEVATO UN INQUINAMENTO SIMILE NEI PORTI”
“Ho effettuato valutazioni dell’aria in tanti porti e tante città ma un inquinamento simile non l’ho mai rilevato” ha dichiarato il dottor Axel Friedrich, esperto di inquinamento atmosferico, già capo divisione del settore Ambiente e trasporti della Germania e fondatori dell’Icct, il consiglio internazionale per i trasporti puliti. “In Italia, si continua a permettere alle navi di bruciare carburante di pessima qualità e di non adoperare i filtri antiparticolato con conseguenze tragiche per la salute di migliaia e migliaia di cittadini, per non parlare degli effetti nefasti sul clima, sulla città e anche sui monumenti”.
E, aggiungiamo noi, pure sulla laguna. Anche se non inquinassero, anche se dai loro camini che svettano più alti del campanile di San Marco, fuoriuscisse aria balsamica, basterebbe il continuo via via di questi mastodontici scatoloni galleggianti e il conseguente spostamento violento di grandi masse d’acqua, provocano la distruzione delle fondamenta stesse della città che, non dimentichiamolo, è stata costruita su palafitte di legno, piantate ad arte nei fondali per rafforzare le “barene”. D’altronde, basta fare una passeggiata lungo riva degli Schiavoni, la fondamenta della Giudecca o le Zattere per farsi una idea dello stato un cui versano le pietre di riva.

QUALCUNO A VENEZIA SI RIBELLA, TRA IL SILENZIO DI TV E GIORNALI
Eppure qualcosa di positivo, le Grandi Navi, lo hanno regalato alla città. Il loro rumoroso transito su un paesaggio delicato come l’ecosistema lagunare costellato di palazzi e chiese settecentesche, è talmente impattante che i veneziani hanno trovato la forza di ribellarsi.
Non c’è quindi da stupirsi se al referendum autogestito organizzato il 18 giugno scorso dal comitato No Grandi Navi, più di 18 mila veneziani si sono messi in fila ai banchetti elettorali per ribadire la loro contrarietà al passaggio di questi mostri del mare. Per l’esattezza 18 mila 105 voti su una popolazione che oramai si aggira sui 56 mila abitanti, vittima come è di un feroce spopolamento. Altra tragedia che sta massacrando una città che non sta vivendo, come afferma qualche osservatore poco attento, ma morendo di turismo. Più di 18 mila veneziani che, per il 98,7%, hanno scelto l’opzione: “Fuori le Grandi Navi dalla laguna e basta scavare altri canali”. Voti veri e tirati su in una sola domenica. Non una semplice raccolta di firme. I tabulati finali con tanto di nome cognome, carta di identità e indirizzo mail (per chi ce l’aveva) sono stati messi a disposizione di tutti.
Per amor di verità va detto che le urne sono state aperte anche a chi, pur non residente, lavora a Venezia o ha a cuore la città dei Dogi. Francesi, inglesi e tedeschi con i quali abbiamo raccolto alcune interviste durante la consultazione ci hanno dato l’impressione di conoscere il problema della salvaguardai di Venezia più a fondo di tanti italiani e residenti:”Molti giornali francesi parlano di Venezia e dello stato in cui si trova – mi ha spiegato una signora parigina in un italiano con tanto di congiuntivi esatti – Anche France 24 e France Télévisions hanno mandato in onda dei servizi sul problema delle Grandi Navi. Credevo che la questione fosse nota anche da voi ed invece scopro che tutto è tenuto sotto silenzio. Ma è una vergogna che una città come Venezia sia piegata agli interessi economici di compagnie di crociera che con la città non hanno nulla a che fare”.
In effetti, servizi sul degrado in cui una Venezia sempre meno Serenissima è stata fatta precipitare, sono stati pubblicati un po’ dappertutto, questa estate. Ma praticamente solo dalla stampa straniera.
Un articolo del New York Times, che ha paragonato Venezia ad una “Disneyland on the Sea”, è riuscito a scuotere anche il sindaco di Venezia, Brugnaro Luigi (lui si firma prima col cognome che col nome, ndr). Se avete sentito e compreso le sue affermazioni in dialetto trevigiano al meeting di Rimini su come si accoppano le persone che gridano “Allà al Bar” in piazza San Marco, forse vi sarete fatti un’idea del personaggio.
“Il degrado di Venezia? – ha dichiarato il primo cittadino – Tutta una congiura di quelli del Niù Iork Taim”.

Insomma: al New York Times avrebbero interessi ad ordire trame contro Venezia. Ma alla fin fine, anche Mr Dubai – lo chiamano così in città da quando ha affermato vuole “fare Venezia bella come Dubai” – è una perfetta espressione del degrado in cui una città sempre meno Serenissima è stata fatta precipitare, cui abbiamo già accennato.
A questo punto, appare evidente perché i veneziani, gli ultimi rimasti, abbiano preso così a cuore la battaglia contro questi moderni mostri marini e sabato 23 e domenica 24 settembre rilanceranno la mobilitazione con una “due giorni” europea che vedrà la partecipazione di tutti i movimenti ambientalisti italiani e d’oltralpe che si battono per la tutela del mare.
Ma non è soltanto una lotta contro l’inquinamento, non è solo la volontà di difendere la laguna, o, meglio, di quello che ne rimane. Quella che si combatte sullo sfondo del canale/autostrada della Giudecca è, per molti, una battaglia per la democrazia. Una battaglia tra chi afferma il diritto dei cittadini decidere sul futuro della loro città e chi, da uffici con sedi a Milano o in Svizzera, ritiene che al profitto di pochi possa essere sacrificato non solo il benessere di tutti ma anche un bene prezioso, unico ed irripetibile come Venezia e la sua laguna.

Poveglia, l’isola più infestata del mondo

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The most haunted isle of the world. Provate a scriverlo sul vostro motore di ricerca e scoprirete che si tratta di “Poveglia”.
Quei sette ettari e mezzo di case diroccate e di vegetazione incolta, nel bel mezzo della laguna sud di Venezia, sarebbero i più infestati al mondo da presenze ultraterrene: spiriti maligni, fantasmi di morti di pestilenze, vittime senza pace di folli esperimenti psichiatrici.
L’aspetto davvero incredibile della vicenda è che tra noi abitanti della laguna, nessuno ne era consapevole. Perlomeno sino a quella mattina del 18 luglio dell’anno scorso, quando, nell’aprire la pagina di cronaca cittadina dei giornali locali, i veneziani hanno letto la notizia del giorno: “I fantasmi “cacciano” 5 americani” (La Nuova di Venezia e Mestre), “Aiuto i fantasmi! Turisti americani portati in salvo dai vigili del fuoco” (Gazzettino).


Cinque boys del Colorado
Gli articoli, non privi di un certo sarcasmo, raccontavano il “singolare intervento” di salvataggio portato a termine da una “lancia” dei vigili del fuoco. Cinque ragazzi del Colorado, tutti meno che ventenni, avevano deciso di regalarsi una avventura da brivido trascorrendo una notte intera a Poveglia. Si erano fatti portare nell’isola da un taxi con un armamentario da Ghostbusters, quindi avevano salutato il marinaio chiedendogli di venirli a prendere il mattino dopo.
Poco dopo mezzanotte, una barca a vela che rientrava in porto dal canale di Malamocco, li ha sentiti urlare: “Ghosts, ghosts!”, Spettri, spettri. Lo skipper ha chiamato i pompieri che sono immediatamente accorsi e li hanno tratti in salvo. I cinque hanno poi raccontato ai giornalisti di aver avuto un “incontro ravvicinato” con i fantasmi dell’isola, di aver sentito voci e lamenti, rumori infernali che provenivano dal buio della notte… Presi dal panico, hanno abbandonato sul campo le attrezzature e sono scappati sul molo, urlando come anime dannate sino a che i vigili del fuoco non li hanno portati via dall’isola maledetta.
E così, questa estate, i veneziani hanno scoperto che tra le tante attrattive della loro laguna, c’è anche l’isola più infestata del mondo. La vera sorpresa però, come abbiamo scritto in apertura, è che quest’isola infestata è Poveglia. Isola che, nell’immaginario collettivo lagunare, è il posto più tranquillo del mondo. Ci siamo sbarcati tutti da ragazzini, alla ricerca di avventure alla Stevenson, a bordo del nostro primo “cofano”, l’equivalente lagunare del motorino. Più avanti con l’età, Poveglia è tappa obbligatoria per grigliare branzini in compagnia di amici e saltare i “peoci” raccolti in apnea ai piedi della “bricole”.
Ma che l’isola fosse zeppa di fantasmi inquieti… nessuno se lo immaginava.

L’isola maledetta… che non ti aspetti
Di presenza spettrali, nella tranquilla Poveglia, non si trova traccia in tutta la pur ricca letteratura di storia e di tradizioni popolari veneziane. Non ne parla Alberto Toso Fei nel suo “Veneziaenigma” (Elzeviro Edizioni), non ne fa cenno Marcello Brudsegan nelle sue “Guide Insolite” (Newton Compton), e tantomeno se ne trova traccia in “Venezia, luoghi di paure e di voluttà” (Edizioni della Laguna) scritto da Elena Vanzan. Neanche Espedita Grandesso, che ama romanzare leggende popolari tra il gotico e il pauroso in libri come “Fantasmi a Venezia” (Helvetia), ha mai recuperato qualcosa che riguardasse la placida Poveglia. Niente di niente!
Ma allora, come è venuto in mente a questi boys del Colorado di cercare fantasmi proprio a Poveglia? Questo era il vero mistero. E per avvicinarci a una possibile soluzione dobbiamo proprio guardare agli Stati Uniti d’America.
Ci riferiamo in particolare a una seguitissima – oltreoceano – serie televisiva che “indaga” il paranormale e ha dedicato una intera puntata a Poveglia. I metodi di “indagine”, lo avrete immaginato, sono ben diversi da quelli del CICAP. Tanto è vero che in più occasioni gli amici di Skeptical Inquirer hanno liquidato questa serie televisiva come “solo spettacolo e niente di più“.
La trasmissione si chiama Ghost Adventures (in italiano Cacciatori di fantasmi) e, negli Usa, va in onda su Travel Channel, uno dei canali Discovery. Un autentico successo di pubblico, considerando che la serie è alla sua 13esima stagione e continua a produrre nuovi episodi. Ghost Adventures è trasmessa anche in Italia su Sky, anche se nel nostro Paese ha ottenuto un seguito minore.
Manco a dirlo, la puntata che i ghostbusters a stelle e strisce hanno girato a Poveglia, “Poveglia Island”, e che è stata mandata in onda il 13 novembre 2009, è stata votata come una delle migliori della seria. Le riprese notturne all’infrarosso realizzate tra le chiese diroccate ed i palazzi invasi dalla vegetazione sono davvero spettacolari. Nel corso delle “indagini”, il regista, medium nonché capo investigatore Zachary Alexander Bagans detto Zag, viene addirittura posseduto da una delle anime dannate che infestano l’isola dando vita ad una scena degna di un film horror. L’anima inquieta lagunare che parlava un ottimo inglese, si rivelò particolarmente maligna e per il povero e posseduto Zag fu una esperienza terrificante. Tanto che ebbe a dichiarare: “Abbiamo quasi rischiato di dover interrompere le riprese!”

Island of No Return e Death in Venice
Pur se il “merito” di aver reso famosi nel mondo i fantasmi di Poveglia spetta alla troupe di Ghost Adventures, non è stato Zag Bagans il primo ad aver scelto questa location veneziana per ambientarci una storia di fantasmi. La puntata infatti, ricalca una trasmissione simile mandata in onda da Fox Family Channel per la serie “Scariest Places on Earth”, i luoghi più spaventosi della terra, che aveva come ospite la celebre attrice Linda Blair. Ve la ricordate? È la protagonista femminile del film “L’Esorcista”.
Le due puntate dedicate a Poveglia, intitolate “Island of No Return: The Venice Dare”, furono trasmesse il 19 e il 24 agosto 2001. Il tono era più documentarista rispetto alle “possessioni in diretta” che fanno rantolare come tarantolati i ghostbusters di Zag Bagans, e forse per questo la serie targata Fox Channel ottenne meno successo di pubblico.
Qualche tempo prima rispetto a Ghost Adventures, erano poi stati Yvette Felding e Paul O’Grady a visitare Poveglia. Il documentario “Death in Venice” fu trasmesso dal canale britannico Living all’inizio di novembre 2009.

Brividi veneziani
Sono state queste tre trasmissioni, capaci di regalare facili brividi allo spettatore ma non sostenute da una seria ricerca storica o letteraria, a fare di Poveglia “the most haunted isle of the world”.
C’è da rimarcare che, anche se nessuna tradizione locale testimoniata nella letteratura folklorica avalla la presenza di spettri a Poveglia, le suggestioni utilizzate nella trasmissione di Bagans per raccontare Poveglia e la laguna veneziana sono molte. Si racconta infatti di un’isola abbandonata a ridosso di una Venezia decadente, in una laguna misteriosa dove sorgono antichi lazzareti, ripugnanti ossari, conventi spettrali, vecchi ospedali psichiatrici, tra dottori della peste con la spaventosa bautta bianca sul volto, marinai levantini infetti e relitti affondati… Ce n’è più che a sufficienza per catturare l’attenzione dello spettatore in cerca di emozioni e misteri. E pazienza se a Poveglia – proprio a Poveglia tra tutte le isole della laguna – non c’è mai stato nulla di tutto questo. Mi spiega Alberto Toso Fei, scrittore e noto studioso di storia e tradizioni lagunari:
Durante la registrazione della puntata, la troupe della Fox Channel è venuta ad intervistarmi, in qualità di esperto di leggende veneziane. Volevano a tutti i costi che gli parlassi dei fantasmi di Poveglia. Io ripetevo loro che non mi interesso di fantasmi ma di tradizione scritta e orale veneziana e, in tutta questa vastissima letteratura non c’è la pur minima traccia di presenze spettrali a Poveglia. E questo è anche quanto gli hanno detto e ripetuto tutti gli altri studiosi ai quali si sono rivolti. Ma non è stato sufficiente a convincerli. Non gli importava nulla né della storia, né della letteratura o della tradizione scritta e orale di Venezia. Avevano scelto quell’isola per girare un documentario sui fantasmi di Venezia, mescolando un po’ di tutto a casaccio, e così han fatto.

Questioni di location
Un veneziano avrebbe scelto un’altra isola per collocarci degli spettri. Magari Sant’Ariano, l’isola ossario al largo di Torcello, dove trovano riposo centinaia di corpi prelevati dai numerosi cimiteri veneziani. Ma il contesto di Sant’Ariano si presta poco alla possibilità di spettacolarizzare, un ingrediente fondamentale per una trasmissione tv di successo. Vi si trova soltanto un muretto fatiscente che racchiude una boscaglia impervia. L’unica volta che ho provato ad entrarci, mi son dovuto fare largo col machete. Ciò che fa davvero paura qui, è l’incuria nella quale è stato abbandonato questo pezzo di storia veneziana. E invece la trasmissione racconta di una Poveglia piena di fosse comuni, ancora tutte da scoprire, dove sarebbero stati interrati migliaia di corpi di appestati. Anime senza pace che implorano ai vivi una degna sepoltura. Continua Toso Fei:
Io ho spiegato loro che quell’isola [fino alla fine del Settecento] non è mai stata un lazzareto [la rete sanitaria dei Lazzareti che circondavano Venezia era composta dal Lazzareto Vecchio e da quello Novo, attivi rispettivamente dal 1423 e dal 1468]. Solo in due occasioni due navi di appestati provenienti dai porti di levante, vi sono state poste in quarantena. La prima volta nel 1793 quando morirono 8 marinai e la seconda nel 1799 e perirono 12 persone. Sappiamo anche i loro nomi e cognomi. Ma di fosse comuni di appestati a Poveglia non ne troverete di certo.
Nei primi decenni dell’Ottocento, ci ricordano due medici dell’epoca, Angelo Antonio Frari e Gaspare Federigo, ci fu qualcha altro morto, ma in numero assai limitato.

Manicomi & storie truculente
Sempre secondo le “fonti” – o forse è meglio dire la fantasia – degli sceneggiatori di Ghost Adventures, Poveglia sarebbe divenuta, dopo la caduta della Repubblica, un manicomio dove medici sadici e folli praticavano terrificanti esperimenti sui pazienti. “Ma quale ospedale psichiatrico? L’isola era un ricovero per anziani, attivo sino agli anni ’60! Informatevi, dicevo loro. Posso darvi i numeri di telefono dei dottori che da giovani ci hanno lavorato… Ma non c’era nulla da fare. Loro volevano soltanto truculente storie di spettri. Ho capito che se non c’erano, se le sarebbero inventate. E lo hanno fatto”.
Altre sono le isole che fungevano da ospedali psichiatrici in laguna. San Servolo, per esempio. O San Clemente. Ma anche queste due isole, oggi recuperate e trasformate in eleganti centri congressi e sedi della Biennale, non si prestano troppo per girare scene come la possessione in diretta da uno spirito maligno, a differenza della nostra Poveglia. Come ogni regista sa, la location ha una importanza determinante per il successo del film.

Il tempo delle leggende
Facciamo caso alle date. Tutte le “notizie” che troviamo nei tanti siti dei sostenitori delle ipotesi paranormali riguardanti presenza spettrali a Poveglia, sono posteriori alla data di trasmissione della puntata di “Scariest Places on Earth”. È ovviamente possibile che gli autori del programma abbiano sentito da qualche parte un racconto sull’isola e abbiano deciso di dargli corpo in trasmissione, per quanto appunto nei testi che raccolgono le leggende locali non ve ne sia menzione. Ma è altrettanto plausibile che Poveglia sia stata scelta casualmente per ambientarci un racconto di fantasmi, inventando una leggenda di sana pianta. Resta il fatto che la fama mondiale dell’isola si deve senz’altro a questi due programmi statunitensi. E oggi nessuno, anche tra chi non crede ai fantasmi, dubita più che le storie di presenza spettrali siano sempre state una peculiarità dell’isola. Come quella del medico che nel secolo scorso si sarebbe buttato giù dal campanile di Poveglia, terrorizzato da chissà quale presenza demoniaca. Una storia che non trova riscontro in nessun giornale o sito precedente al 2009, e di cui nessun medico che lavorava all’allora ospizio ha ricordi, ma che viene ripetuta in tutte le pagine che trattano il “mistero” di fantasmi di Poveglia. Un “copia e incolla” senza verifica. Tanto per rimanere in tema, questa sì che è la vera pestilenza del nostro secolo!

Fantasmi? Sì, ma buoni
E così, quella tranquilla oasi lagunare dove i veneziani vanno a rifugiarsi quando proprio vogliono evadere da carnevali, mostre del cinema e orde turistiche, è diventata l’isola più infestata del mondo.
Ad alimentare la leggenda e ad aggiungere storie sempre nuove ci pensano i tanti gruppi di ghostbusters che ne hanno fatto una meta ambita delle loro scorrerie nel mondo del paranormale. Cacciatori di fantasmi targati Usa, come i cinque boys del Colorado, ma anche italiani, perché la leggenda dell’isola più infestata del mondo si è oramai diffusa anche nella Vecchia Europa.
A metà gennaio di quest’anno è stata la volta di un gruppo di ghostbusters dell’Epas (European Paranormal Activity Society). Anche loro hanno voluto trascorrere l’oramai tradizionale nottata da brivido tra i ruderi di Poveglia. Come è andata la loro caccia? Bene, hanno spiegato ai giornalisti che non hanno perso l’occasione di intervistarli. Hanno udito chiaramente il lamento di una bambina fantasma. Ma di presenza maligne come quella che ha assalito il povero Zag, no. Nemmeno l’ombra. I fantasmi a Poveglia ci sono, hanno assicurato, ma sono tutti buoni.

Senza tregua. A settembre si torna a manifestare contro le Grandi Navi, par tera e par mar

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E' il momento della svolta. Da un lato una intera città che ha sostenuto il referendum per ribadire il suo No alle devastazioni provocate dalle Grandi Navi, dall'altro un Governo che non sa governare e che - in incontri dove la trasparenza non la fa certo da padrona con gli alti dirigenti delle multinazionali crocieristiche - ancora torna a sbattere su progetti di scavo e di allargamento dei canali già bocciati dalla valutazione di impatto ambientale.
Per chi ha a cuore Venezia e la sua laguna, è il momento giusto di rilanciare la battaglia contro le Grandi Navi. Ed è questo che è stato ribadito in tutti gli interventi che si sono susseguiti questa pomeriggio nel chiostro di San Lorenzo, durante l'assemblea popolare riunita per commentare il risultato del referendum.
E partiamo proprio dai famosi "18 mila 105 Grazie" a tutti coloro che hanno votato ai seggi. "Una scommessa che abbiamo decisamente vinto e vinto ben oltre le previsioni" ha commentato Tommaso Cacciari del Laboratorio Morion. La generosità dei volontari che hanno seminato di banchetti la città d'acqua e la terraferma è stata superata solo dall'entusiasmo dei cittadini che si sono messi in fila per votare. E a proposito, è stato ricordato negli interventi in risposta a chi li ha accusati di aver "taroccato" le firme, tutti i 18 mila e 105 nominativi con mail, numero di carta di identità o patente, nome e cognome di chi ha votato, sono a disposizione di quanti vogliano effettuare una verifica.

Giustizia ad orologeria
Sul tempismo delle azioni giudiziarie, ne sono state dette tante, sia da destra che da sinistra. Sarà forse un caso, ma fatto sta che due giorni dopo il referendum sono arrivati i decreti penali di condanna ai tuffatori che hanno manifestato in acqua contro le Grandi Navi. Una chiamata a giudizio e la richiesta di una seconda "botta" da 2500 euro a testa (dopo la prima, già versata) che fa del Comitato Grandi Navi uno dei migliori contribuenti dello Stato italiano con la bellezza di quasi 200 mila euro di multe. Un chiaro tentativo, spiegano i portavoce dei No Navi, di intimidire chi lotta per la difesa del territorio. Tentativo che, assicurano, otterrà solo l'effetto di stimolarli ancora di più nella loro battaglia. "Senza considerare - commenta Andreina Zitelli - che i tuffatori hanno difeso la legge. Caso più unico che raro tra tutti i comitati, ma la bocciatura del progetto di scavo del Contorta ha comportato la caduta della deroga rilasciata dalla capitaneria di porto al passaggio delle Grandi Navi che era stato bloccato dal decreto Clini Passera. Sono le Grandi Navi quindi, quelle che violano la legge continuando a transitare per il canale della Giudecca". Magari la procura se ne accorgerà tra trent'anni. Come col Mose.

A settembre si ricomincia
Il referendum ha fatto fare il giro del mondo alla questione delle Grandi Navi a Venezia. Ne hanno parlato tutti i giornali nazionali e, ancor di più, quelli europei. Trasmissioni televisive che ritraevano questi mostri galleggianti che svicolano tra gli sterri canali della città più fragile della terra sono andate in onda negli Usa, nel Canada e anche in Corea, suscitando dovunque indignazione.
La marea di schede e di firme raccolte in una decina di ore saranno portate in tutte le sedi dove si sta decidendo il futuro della laguna. Ma l'assemblea di San Lorenzo ha anche deciso di continuare la mobilitazione dal basso rilanciando una "tre giorni", ancora tutta da organizzare, a settembre, a cavallo di domenica 24, approfittando anche dell'assemblea dei movimenti europei contro l'inquinamento prodotto dalle Grandi Navi in programma proprio a Venezia quel sabato.
Già. Perché non è solo Venezia ad essere asfissiata da questi condomini galleggianti per turisti che non sanno viaggiare. In laguna, casomai, abbiamo qualche problema in più per la fragilità dell'ambiente in cui manovrano. Ma l'inquinamento e i cambiamenti climatici che ne derivano (avete visto il meteo di questi giorni?), sono un problema di tutti. Anche di chi non ci crede. Anche di chi al passaggio delle Grandi Navi si dice d'accordo.

E' arrivata la siccità. Tra cambiamenti climatici e cattive gestioni, il futuro è arido

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Una lunga striscia di sabbia. Una volta lo chiamavamo fiume Adige. E la Piave, solo per restare in Veneto, non è ridotta molto meglio. In quanto al lago di Garda, uno dei bacini idrici più grandi d'Italia, siamo all'allarme rosso: il livello sta scendendo di due centimetri al giorno e attualmente è attestato sui 70 cm, contro i 128 o 130 dei tre anni precedenti.
Le altre regioni italiane non sono messe meglio. Solo nell'ultimo anno, in Sicilia, le riserve idriche sono scese del 15 per cento. In Emilia, le città di Parma e Piacenza hanno dichiarato lo stato d'emergenza. La Sardegna è alla disperazione. Rispetto alla stagione precedente, le precipitazioni sono state minori del 40 per cento e il rifornimento idrico per le coltivazioni hanno registrato punte del 90 per cento di deficit. Anche se la situazione migliorasse improvvisamente, saranno ben poche le coltivazioni dell'isola che riusciranno a sopravvivere.
E poi leggi che che il Food sustainability index - lo studio internazionale dell''Economist Intelligence Unit che mette in relazione risorse e sostenibilità - piazza l'Italia al sesto al mondo per quantità di acqua a disposizione!
Stavolta però, i cambiamenti climatici non c'entrano. O meglio, c'entrano a livello globale. L'eccezionale ondata di caldo ha colpito tutto il bacino Mediterraneo sino al nord Europa. Solo in Italia, è stata registrata una temperatura media di 1,9 gradi in più rispetto alla media stagionale. Fatto salvo per il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, nessuno mette più in dubbio che questi picchi siano imputabili alla nuova stagione climatica verso cui l'intero pianeta si sta avviando, oramai, senza possibilità di ritorno.


Ma perché allora abbiamo scritto che, nel caso dell'Italia, i cambiamenti climatici non c'entrano con la siccità? Perché l'Italia avrebbe tutti i mezzi per far fronte perlomeno a questa prima fase dei cambiamenti se avesse dei politici all'altezza di gestire le risorse a disposizione. Politici capaci di uscire dalla fase emergerziale per impostare una oculata politica di gestione del bene comune.
Ed invece è l'opposto: il tema dei cambiamenti che avrebbe bisogno di strategie più a lungo che a breve termine, è sottovalutato - per dirla in maniera gentile - dai nostri politici di Governo e anche di opposizione. Evidentemente, è un tema che, al contrario di quelli legati alla "sicurezza" e al "degrado", non porta facili consensi.
Il risultato è davanti agli occhi di tutti. Siamo uno dei Paesi più ricchi d'acqua e sprechiamo al bellezza di 2,8 milioni di metri cubi di acqua potabile al giorno - più di un quarto del totale - convogliandola in acquedotti che sono delle autentici scolapasta. Anche gli acquedotti dell'antica Roma erano più funzionali degli attuali.
E non è tutto. Anche noi italiani, siamo spreconi. Colpa nostra certamente, ma anche di chi avrebbe dovuto fare e non ha fatto una efficace informazione. Il nostro consumo pro capite è superiore al 25 per cento rispetto alla media europea.
E vanno pesati anche i consumi dovuti ad una agricoltura che ha fatto dello spreco, dell'insostenibilità e dei sussidi statali il suo punto forte. L'89 per cento delle nostre risorse idriche se ne vanno a coprire queste produzioni. E anche qua, siamo gli ultimi in Europa con un utilizzo di di oltre 2 mila e 200 litri per italiano all'anno. Come dire che se ogni giorno ciascuno di noi beve circa due litri d'acqua, ne consuma quasi 5 mila per l'alimentazione. Basterebbe solo adottare la dieta mediterranea - si legge nel Food sustainability index - privilegiando i prodotti di stagione prodotti da una agricoltura per quanto possibile sostenibile e non aggressiva verso l'ambiente, per abbassare a 2 mila litri al giorno il consumo pro capite e rientrare nei parametri europei.
Tutti discorsi che la politica di governo, impegnata a salvare banche e a costruire emergenze sui migranti, non vuole ascoltare. Preferisce dichiarare "Stati di emergenza" - come ha fatto il governatore del veneto, Luca Zaia - che hanno il solo obiettivo di mungere qualche milionata di euro allo Stato. Euro che che finiranno nelle tasche degli agricoltori in modo da che possano continuare a fare agricoltura proprio come la fanno adesso e che, di sicuro, non verranno utilizzati per mettere in efficenza il nostro disatrato sistema idrico. Senza contare che la cattiva gestione delle risorse idriche ha avuto come conseguenza in tante amministrazioni, il loro affidamento al privato. Cosa che, come era lecito aspettarsi, ha comportato solo un aggravio di spesa per i contribuenti ed un peggioramento della gestione complessiva della "merce" in termini di sprechi. Più ne viene adoperata, e più il privato guadagna.
Quello che non vogliono sapere, i nostri amministratori, è che gli studi della Convenzione delle Nazioni Unite Contro la Desertificazione, hanno inserito nelle zone a rischio anche l''Italia. Il 70 per dell'intera Sicilia, il 58 per cento della Puglia e del Molise e, in percentuali poco minori anche le altre regioni, rischiano di trasformarsi in un Sahara.
Se va avanti così, tra i futuri migranti climatici, che tra il 2008 e il 2015 sono stato oltre 200 milioni, presto ci saremo anche noi italiani.
Vedi gli articoli precedenti
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