Suppose I should hate it so
05-08-2010, 00:01jukebox '10, musica, santamargheritaPermalink(Mi bastano i primi dieci secondi e sono di nuovo lassù, santamargherita terzo piano, seduto su un'ustione da turista della domenica, a tradurre cartelle alla disperata, deve sembrare tutto finito entro il trenta luglio, ché il primo agosto forse mi fanno un contratto. Davanti al ventilatore una bottiglia di ghiaccio. Il passato sciocco che mi tocca rimpiangere).
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Get ready, 'cause here I come
04-08-2010, 00:01calcio, concerti, jukebox '10, musica, YalePermalinkLa storia l'ho già raccontata in due righe su Polaroid, ma è buffa, la riciclo.
Io dunque quattro anni fa mi trovavo a New Haven, Connecticut, travestito da studente. Non un granché come copertura, ma facevo del mio meglio per tenere la mia italianità sotto i livelli di guardia, e se provai a prepararmi un ragù con carne macinata agli estrogeni, ciò rimase confinato nel mio cucinino di woodland street, ingombrato da un frigorifero enorme che sparava aria fredda sui piedi.
Poi un giorno, stavo attraversando il grande prato centrale - su un lato stavano già montando il palco per i Temptations, ci sarebbe stato di lì a poco un concerto gratis dei Temptations! - lo stavo attraversando in linea retta, quando mi ritrovai in mezzo a una partita di calcetto. A New Haven, tanto tanto lontano dalla casetta mia. Mi fermai a guardarli, perché insomma, uno non sa cosa aspettarsi da americani che giocano a calcetto, chissà se sanno toccare palla (e invece magari al college hanno fatto un seminario sul dribbling). E una ragazza in tuta che si era accorta che mi ero fermato, mi disse: wanna play? Qualcosa del genere.
Una voce nella mia testa mi diceva vacci piano, è tipo dieci anni che non tocchi palla neanche tu. E gli americani saranno anche scarsi a soccer, ma le americane hanno vinto già due coppe del mondo. Ma era solo un bisbiglio nella mia testa. Il resto della mia testa stava gridando all'unisono po, po po po po po, po. Io sono il campione del mondo. Io sono venuto tra voi nordamericani ignoranti a insegnarvi il bel giuoco. Aspettate solo un attimo che poso lo zainetto.
Quand'ero piccolo mi ritenevo in grado di giocare nel cortile della scuola, prima della campana. Siccome nessuno mi aveva mai invitato, la mia unica possibilità era lottare su tutti i palloni, tutti. Non avevo un attaccante da marcare io, io marcavo il pallone. L'unica cosa che so fare.
Il problema è che non ero uno più uno studente: quella era solo una copertura: avevo la maglietta, il laptop nello zainetto, i calzoncini, ma a guardarmi bene si vedevano i capelli bianchi, e il fiato era quello di un trentaqualcosenne, sicché dopo quattro epici minuti di gioco, io morii. Più o meno. Ebbi giusto il fiato di salutare e ringraziare, cedetti il mio posto a un nigeriano (cominciava a formarsi una fila), e mi accasciai, me lo ricordo benissimo, praticamente sotto il pennone della bandiera, pensando guarda te se mi tocca morire sotto le stelle e le strisce. Passò un aeroplano, mi sembrò che andasse a est. Ciao aeroplano, gli dissi, salutami la mamma europa, io mi sa che resto qui. Sul green di New Haven. Per aver voluto giocare a pallone, alla mia veneranda età.
Due sere dopo, sullo stesso green, arrivarono i Temptations. Un quartetto di simpatici signori dell'età di mio padre. Mi aspettavo una cosa piuttosto malinconica. Ma la malinconia non sanno neanche cos'è, i Temptations. Ballarono per tre ore, in perfetta sincronia. Mentre ballavano cantavano, non sbagliarono niente. Sudavano e cantavano, tra un pezzo e l'altro intrattenevano. Professionali, carismatici, energetici, quattro atleti di sessant'anni. Io ne avevo la metà, e su quel prato ero morto dopo aver inseguito per tre minuti un pallone.
Su Youtube i video recenti dei Temptations non rendono loro onore. Sembrano davvero una congrega di vecchietti, garantisco che quella sera non furono così. I Temptations. Che rocce. Su gente così non cresce il muschio.
Io dunque quattro anni fa mi trovavo a New Haven, Connecticut, travestito da studente. Non un granché come copertura, ma facevo del mio meglio per tenere la mia italianità sotto i livelli di guardia, e se provai a prepararmi un ragù con carne macinata agli estrogeni, ciò rimase confinato nel mio cucinino di woodland street, ingombrato da un frigorifero enorme che sparava aria fredda sui piedi.
Poi un giorno, stavo attraversando il grande prato centrale - su un lato stavano già montando il palco per i Temptations, ci sarebbe stato di lì a poco un concerto gratis dei Temptations! - lo stavo attraversando in linea retta, quando mi ritrovai in mezzo a una partita di calcetto. A New Haven, tanto tanto lontano dalla casetta mia. Mi fermai a guardarli, perché insomma, uno non sa cosa aspettarsi da americani che giocano a calcetto, chissà se sanno toccare palla (e invece magari al college hanno fatto un seminario sul dribbling). E una ragazza in tuta che si era accorta che mi ero fermato, mi disse: wanna play? Qualcosa del genere.
Una voce nella mia testa mi diceva vacci piano, è tipo dieci anni che non tocchi palla neanche tu. E gli americani saranno anche scarsi a soccer, ma le americane hanno vinto già due coppe del mondo. Ma era solo un bisbiglio nella mia testa. Il resto della mia testa stava gridando all'unisono po, po po po po po, po. Io sono il campione del mondo. Io sono venuto tra voi nordamericani ignoranti a insegnarvi il bel giuoco. Aspettate solo un attimo che poso lo zainetto.
Quand'ero piccolo mi ritenevo in grado di giocare nel cortile della scuola, prima della campana. Siccome nessuno mi aveva mai invitato, la mia unica possibilità era lottare su tutti i palloni, tutti. Non avevo un attaccante da marcare io, io marcavo il pallone. L'unica cosa che so fare.
Il problema è che non ero uno più uno studente: quella era solo una copertura: avevo la maglietta, il laptop nello zainetto, i calzoncini, ma a guardarmi bene si vedevano i capelli bianchi, e il fiato era quello di un trentaqualcosenne, sicché dopo quattro epici minuti di gioco, io morii. Più o meno. Ebbi giusto il fiato di salutare e ringraziare, cedetti il mio posto a un nigeriano (cominciava a formarsi una fila), e mi accasciai, me lo ricordo benissimo, praticamente sotto il pennone della bandiera, pensando guarda te se mi tocca morire sotto le stelle e le strisce. Passò un aeroplano, mi sembrò che andasse a est. Ciao aeroplano, gli dissi, salutami la mamma europa, io mi sa che resto qui. Sul green di New Haven. Per aver voluto giocare a pallone, alla mia veneranda età.
Due sere dopo, sullo stesso green, arrivarono i Temptations. Un quartetto di simpatici signori dell'età di mio padre. Mi aspettavo una cosa piuttosto malinconica. Ma la malinconia non sanno neanche cos'è, i Temptations. Ballarono per tre ore, in perfetta sincronia. Mentre ballavano cantavano, non sbagliarono niente. Sudavano e cantavano, tra un pezzo e l'altro intrattenevano. Professionali, carismatici, energetici, quattro atleti di sessant'anni. Io ne avevo la metà, e su quel prato ero morto dopo aver inseguito per tre minuti un pallone.
Su Youtube i video recenti dei Temptations non rendono loro onore. Sembrano davvero una congrega di vecchietti, garantisco che quella sera non furono così. I Temptations. Che rocce. Su gente così non cresce il muschio.
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Il Successo dell'estate
03-08-2010, 00:01jukebox '10, musicaPermalinkNon sono le canzoni più belle, o le meglio riuscite. Le canzoni dell'estate sono un concetto a parte.
Devono sentire di sudore e lasciar intendere in sottofondo il ronzio di un ventilatore inutile. Devono avere anni e mostrarli tutti: con quell'aria di relitto, di nastroteca di radio da provincia, lasciata accesa tutta la notte a spargere polvere nell'etere, finché a un certo punto non salta fuori la canzone esatta, quella che armonizza con la nota delle cicale. La canzone dell'estate non è quella che ti tiene compagnia quando sono tutti andati via. La canzone dell'estate ti deve far sentire ancora più solo al mondo, perché questo è il senso dell'estate, il suo Successo.
Il video però è un po' stupido.
Devono sentire di sudore e lasciar intendere in sottofondo il ronzio di un ventilatore inutile. Devono avere anni e mostrarli tutti: con quell'aria di relitto, di nastroteca di radio da provincia, lasciata accesa tutta la notte a spargere polvere nell'etere, finché a un certo punto non salta fuori la canzone esatta, quella che armonizza con la nota delle cicale. La canzone dell'estate non è quella che ti tiene compagnia quando sono tutti andati via. La canzone dell'estate ti deve far sentire ancora più solo al mondo, perché questo è il senso dell'estate, il suo Successo.
Il video però è un po' stupido.
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Le nostre parole, la vostra pelle
02-08-2010, 00:01essere donna oggi, ho una teoria, migrantiPermalink
Safiya Husaini e Amina Lawal vivono in Nigeria. Quando sono state condannate a morte, l'opinione pubblica si è indignata. I politici hanno recepito. Il governo si è mosso. La diplomazia italiana ha fatto tutto il possibile per salvarle. Se fosse servito, magari le avremmo anche offerto asilo, come prevede la nostra Costituzione. Un posto per loro lo avremmo trovato. O no?
...no, temo di no. Per Faith, per esempio, non c'è più posto (sull'Unita.it, i commenti sono qui).
Quando nel 2001 una corte islamica nigeriana condannò Safiya Husaini alla lapidazione per adulterio, la politica italiana non rimase a guardare. Una cinquantina di senatori sottoscrisse una mozione che impegnava il governo Berlusconi “a promuovere un'azione diplomatica diretta ad impedire l'orrenda esecuzione; più in generale ad adoperarsi affinché cessi ogni prevaricazione a carico delle donne, là dove ancora le stesse sono considerate schiave, incapaci di intendere e di volere, scambiate e messe all'asta come carne da macello, assoggettate e segregate in casa, senza diritti e senza dignità”. Al di là dei discorsoni è difficile ricostruire cosa abbia fatto in concreto il governo: magari un richiamo all'ambasciatore, questo tipo di cose. Alla fine comunque la Husaini fu assolta.
Un anno dopo un'altra corte nigeriana condannò Amina Lawal Kurami alla stessa pena capitale per lo stesso reato. E anche in questo caso la politica italiana non si tirò indietro. Il nostro ambasciatore andò a parlarne col Ministero degli esteri nigeriano. Come riferì poi alla Camera il Sottosegretario di Stato, Margherita Boniver, il Ministro si dimostrò “molto comprensivo dell'interesse riservato al caso da parte dell'opinione pubblica, della società civile e delle istituzioni del nostro paese”. Nel frattempo a Roma l'incaricato d'affari della Repubblica federale di Nigeria veniva convocato alla Farnesina, che gli comunicava “l'emozione enorme suscitata nel nostro paese dalla vicenda giudiziaria della signora Lawal”. Anche questo diplomatico volle rassicurarci, confermando che “che il Governo federale è ben consapevole delle reazioni suscitate in Italia e nel mondo dalla sentenza e della necessità che la Nigeria rispetti i suoi impegni internazionali in materia di diritti umani”.
Ma non significa che non siano importanti. La diplomazia si fa con le parole, la politica è fatta di chiacchiere, e la vita di Safiya Husaini e Amina Lawal è stata salvata anche dall'enorme volume di chiacchiere che l'opinione pubblica e i politici hanno prodotto sull'argomento. Se tutto quello che puoi fare per salvare la vita a una persona è parlarne, tu ne parli. In parlamento, alle ambasciate, ovunque puoi.
Nelle prossime settimane un'altra donna nigeriana, Faith Aiworo, dovrebbe essere processata. Il suo caso è un po' diverso (Faith avrebbe ucciso un uomo che cercava di stuprarla), ma il rischio di una condanna a morte è comunque concreto. I giornali italiani ne hanno parlato – non tutti, per la verità. Ora si tratta di vedere cosa farà la politica, come si muoveranno le istituzioni. Il Senato produrrà un'altra mozione, com'è successo con Safiya? Convocheremo i diplomatici, come successe con Amina? Arriveremo al punto di disturbare il Ministro degli esteri nigeriano? Possiamo sperarci, ma per come si sono messe le cose è difficile che accada. E questo non perché Senato e Camera siano assorbiti dalle scissioni e compravendite degli ultimi giorni. Il problema è un po' più grave.<
Per salvarsi dal boia, Faith era scappata in Italia. Un Paese storicamente molto sensibile al problema dei rifugiati, anche perché molti antifascisti sopravvissero rifugiandosi nei Paesi vicini. Quando tornarono, e il fascismo fu sconfitto, vollero iscrivere nei principi fondamentali della nostra Costituzione il diritto d'asilo, per “lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana” (art. 10). Ma Faith è entrata in Italia da clandestina, e con i clandestini sembra che la Costituzione non funzioni più. A un certo punto abbiamo stabilito, senza dirlo troppo in giro, che non sono esseri umani; e quindi possiamo impacchettarli e renderli al mittente senza preoccupazioni.
Per questo è difficile che stavolta la politica italiana faccia qualcosa per “promuovere un'azione diplomatica diretta ad impedire l'orrenda esecuzione”; che si adoperi sul serio “affinché cessi ogni prevaricazione a carico delle donne, là dove ancora le stesse sono considerate schiave, incapaci di intendere e di volere, scambiate e messe all'asta come carne da macello, assoggettate e segregate in casa, senza diritti e senza dignità”. Del resto cosa potrebbero fare, ormai, parlamentari e diplomatici, a parte produrre un po' di chiacchiere. Certo, ogni volta che chiacchierando potevamo contribuire a salvare una donna condannata a morte, non ci siamo risparmiati. Ma stavolta occorreva qualcosa di più: l'ospitalità. Safiya, Amina, più che donne per noi erano teorie. Si potevano tranquillamente salvare da lontano. Ma Faith viveva tra noi, occupava un posto; e un posto per salvare una donna schiava, senza diritti e senza dignità, in Italia evidentemente non c'è più.
With marmite she runs
01-08-2010, 00:01jukebox '10, musicaPermalink(Nell'agosto 2010 questo blog diventa un juke box pigro).
Degli Stranglers si mormorava che fossero stati punk per pura convenienza: in realtà sapevano suonare, anche se per sopravvivere ai pogrom del '77 avevano messo giacche di pelle e stracciato gli spartiti. Forse avevano un passato da far dimenticare, in qualche torrida colonia, come ai britannici succede. Forse Golden Brown è tutto quello che si è salvato dal rogo degli archivi, la testimonianza di un'epoca musicale che è stata rimossa, in cui le fanciulle correvano con la salsa marmite, i gruppi rock vestivano da damerini e scrivevano zoppicanti valzer per clavicembalo. La ripescarono nel 1981 e salvarono il contratto con la major. Poi ripartirono per qualche altrove d'oro brunito. Di loro non resta che il riverbero.
Degli Stranglers si mormorava che fossero stati punk per pura convenienza: in realtà sapevano suonare, anche se per sopravvivere ai pogrom del '77 avevano messo giacche di pelle e stracciato gli spartiti. Forse avevano un passato da far dimenticare, in qualche torrida colonia, come ai britannici succede. Forse Golden Brown è tutto quello che si è salvato dal rogo degli archivi, la testimonianza di un'epoca musicale che è stata rimossa, in cui le fanciulle correvano con la salsa marmite, i gruppi rock vestivano da damerini e scrivevano zoppicanti valzer per clavicembalo. La ripescarono nel 1981 e salvarono il contratto con la major. Poi ripartirono per qualche altrove d'oro brunito. Di loro non resta che il riverbero.
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Ilvo Punk
30-07-2010, 05:11contro la lingua italiana, giornalisti, sintassiPermalinkCosì Fini fece buon viso a cattivo gioco. E divenne, a sua volta, socio fondatore del PdL. Per trasformarsi, presto, in un critico implacabile. Secondo Berlusconi: un capo corrente. E nel PdL le correnti non sono previste. A Berlusconi non piacciono. Anzi non le sopporta. D'altronde, non gli piace - e non sopporta - neppure Fini. Lo ha ripetuto molte volte, negli ultimi giorni. Senza troppa cautela.
La sintassi di Ilvo Diamanti
Spezzata. Franta. In tante frasette minuscole. Legate dal senso. Ma divise. Dal punto fermo. Onnipresente. Connettore e divisore. Un ceffone al lettore. Ehi lettore. Ciaf! Stai attento. Ciaf! Sto dicendo cose importanti. Ciaf! La sintassi. Di Ilvo Diamanti. Una gragnuola di ceffoni.
Mi piace.
La ammiro. Lo ammiro. Ha fegato. Che ci vuole per cominciare le frasi con un pronome relativo. O con una congiunzione. Per proseguire con una preposizione. Altri ci provano. Lo imitano. Mettono un punto. Poi scrivono “che”. E provano un brivido. Il brivido della libertà. Ma poi si pentono. Prima di pubblicare. Si correggono. È più forte di loro. Hanno paura. Del direttore. Che alle vecchie regole ci tiene. Dei colleghi. Maligni. O dei lettori. È pieno di maestre in pensione. Che non hanno altro da fare. Nella vita. Che protestare. Per la sintassi troppo sbarazzina. Ci vuole coraggio. Il coraggio di Ilvo.
In un'Italia ancora malgrado tutto convinta che scrivere bene consista nell'inanellare subordinate su subordinate in rapporti sempre più complessi e inestricabili – appesantiti, ogni tanto, da qualche inciso ridondante – un'Italia barocca che dietro al carrozzone sintattico seicentesco nasconde un'inveterata tendenza all'anacoluto liberatorio, sicché dopo avere affastellato venticinque proposizioni tutte dipendenti tra loro uno non ricorda più bene quale fosse la principale su cui era basato tutto il castello, e manda tutto all'aria col fare di colui che in fondo la sintassi la saprebbe padroneggiare benissimo, ma oggi ha meglio da fare (laddove viceversa non ha assolutamente niente di meglio da fare, e semplicemente non sa manovrare la sua lingua natale, figurarsi le altre che in teoria qualcuno avrebbe dovuto insegnargli, vive o morte che fossero), in quest'Italia di prosatori prolissi, gaddiani della domenica pomeriggio, arbasini in congedo, l'esempio di Ilvo ci mostra una nuova via. Coraggiosa. Una rottura. Col passato. E col presente. E il futuro. No future. Il Punk. Non è morto. È Ilvo. Il punk. Della sintassi italiana. Ilvo Rotten. Ti rulla di ceffoni. Ilvo Céline.
I ragazzini. A cui insegno. Vorrei lo imitassero. Una volta portavo il giornale in classe. Poi la Repubblica cessò le copie omaggio. La crisi. Comunque finché c'era glielo leggevo. Sentite? Dicevo. È semplice. Si può scrivere così. Frasi brevi. Una dopo l'altra. Non è uno stupido. Insegna all'università. Guadagna il decuplo di me. Scrive frasi più brevi delle vostre. Si può fare.
Col tempo poi magari vi allungherete. Comincerete ad attaccare una frase con l'altra, imparerete i segreti della coordinazione. E con un altro po' di tempo, e molta pazienza, dalla coordinazione passerete alla subordinazione, che è difficile, sì; ma la vera difficoltà sta nel non abusarne. Ma una frasetta breve alla Diamanti, ogni tanto, continuerete a infilarla. Un ceffone. Ogni tanto. Fa bene. Al lettore. Che dorme. Sempre. Dovete pensare al lettore come a vostro padre. Sul divano. Alle ventitré. Non vi ascolta. Per più di tre righe. Dovete scoppiargli in faccia, periodicamente. Ma non a ritmo regolare. Sennò si abitua. Cullatelo finché non vedete che gli sta per calare la palpebra e poi ciaf! Lettore! È di te che si parla! Stronzo! No, non dico le parolacce ai ragazzini, le sto dicendo a te adesso! Io lo so come fai. Scorri la riga e pensi ai fatti tuoi. Sbagliato. Ilvo. Non. Te. Lo. Consente.
Invece questi qui arrivano su dalle elementari che scrivono frasi lunghissime ma il loro concetto di frase lunghissima è fatta di tante frasi semplici alla Diamanti ma collegate tra loro da congiunzioni ma sono quasi sempre le stesse congiunzioni ma io gli dico ma mettete punto piuttosto ma loro no ma io gli dico ma che male c'è ma è solo un punto fermo ma non vi fa mica niente, e poi ogni tanto si potrebbe mettere anche qualche virgola, che ne dite, ma non c'è verso ma davvero qual è il problema delle maestre elementari col punto fermo ma che male vi fa ma siete tutte joyciane ma forse avete paura che la punta della bic trapassi il foglio che si pungano che vadano in coma come la Rosaspina nella fiaba ma su ma dai, ma almeno il punto alla fine della frase le maestre ve l'avranno tramandato, ma no neanche quello
La sintassi di Ilvo Diamanti
Spezzata. Franta. In tante frasette minuscole. Legate dal senso. Ma divise. Dal punto fermo. Onnipresente. Connettore e divisore. Un ceffone al lettore. Ehi lettore. Ciaf! Stai attento. Ciaf! Sto dicendo cose importanti. Ciaf! La sintassi. Di Ilvo Diamanti. Una gragnuola di ceffoni.
Mi piace.
La ammiro. Lo ammiro. Ha fegato. Che ci vuole per cominciare le frasi con un pronome relativo. O con una congiunzione. Per proseguire con una preposizione. Altri ci provano. Lo imitano. Mettono un punto. Poi scrivono “che”. E provano un brivido. Il brivido della libertà. Ma poi si pentono. Prima di pubblicare. Si correggono. È più forte di loro. Hanno paura. Del direttore. Che alle vecchie regole ci tiene. Dei colleghi. Maligni. O dei lettori. È pieno di maestre in pensione. Che non hanno altro da fare. Nella vita. Che protestare. Per la sintassi troppo sbarazzina. Ci vuole coraggio. Il coraggio di Ilvo.
In un'Italia ancora malgrado tutto convinta che scrivere bene consista nell'inanellare subordinate su subordinate in rapporti sempre più complessi e inestricabili – appesantiti, ogni tanto, da qualche inciso ridondante – un'Italia barocca che dietro al carrozzone sintattico seicentesco nasconde un'inveterata tendenza all'anacoluto liberatorio, sicché dopo avere affastellato venticinque proposizioni tutte dipendenti tra loro uno non ricorda più bene quale fosse la principale su cui era basato tutto il castello, e manda tutto all'aria col fare di colui che in fondo la sintassi la saprebbe padroneggiare benissimo, ma oggi ha meglio da fare (laddove viceversa non ha assolutamente niente di meglio da fare, e semplicemente non sa manovrare la sua lingua natale, figurarsi le altre che in teoria qualcuno avrebbe dovuto insegnargli, vive o morte che fossero), in quest'Italia di prosatori prolissi, gaddiani della domenica pomeriggio, arbasini in congedo, l'esempio di Ilvo ci mostra una nuova via. Coraggiosa. Una rottura. Col passato. E col presente. E il futuro. No future. Il Punk. Non è morto. È Ilvo. Il punk. Della sintassi italiana. Ilvo Rotten. Ti rulla di ceffoni. Ilvo Céline.
I ragazzini. A cui insegno. Vorrei lo imitassero. Una volta portavo il giornale in classe. Poi la Repubblica cessò le copie omaggio. La crisi. Comunque finché c'era glielo leggevo. Sentite? Dicevo. È semplice. Si può scrivere così. Frasi brevi. Una dopo l'altra. Non è uno stupido. Insegna all'università. Guadagna il decuplo di me. Scrive frasi più brevi delle vostre. Si può fare.
Col tempo poi magari vi allungherete. Comincerete ad attaccare una frase con l'altra, imparerete i segreti della coordinazione. E con un altro po' di tempo, e molta pazienza, dalla coordinazione passerete alla subordinazione, che è difficile, sì; ma la vera difficoltà sta nel non abusarne. Ma una frasetta breve alla Diamanti, ogni tanto, continuerete a infilarla. Un ceffone. Ogni tanto. Fa bene. Al lettore. Che dorme. Sempre. Dovete pensare al lettore come a vostro padre. Sul divano. Alle ventitré. Non vi ascolta. Per più di tre righe. Dovete scoppiargli in faccia, periodicamente. Ma non a ritmo regolare. Sennò si abitua. Cullatelo finché non vedete che gli sta per calare la palpebra e poi ciaf! Lettore! È di te che si parla! Stronzo! No, non dico le parolacce ai ragazzini, le sto dicendo a te adesso! Io lo so come fai. Scorri la riga e pensi ai fatti tuoi. Sbagliato. Ilvo. Non. Te. Lo. Consente.
Invece questi qui arrivano su dalle elementari che scrivono frasi lunghissime ma il loro concetto di frase lunghissima è fatta di tante frasi semplici alla Diamanti ma collegate tra loro da congiunzioni ma sono quasi sempre le stesse congiunzioni ma io gli dico ma mettete punto piuttosto ma loro no ma io gli dico ma che male c'è ma è solo un punto fermo ma non vi fa mica niente, e poi ogni tanto si potrebbe mettere anche qualche virgola, che ne dite, ma non c'è verso ma davvero qual è il problema delle maestre elementari col punto fermo ma che male vi fa ma siete tutte joyciane ma forse avete paura che la punta della bic trapassi il foglio che si pungano che vadano in coma come la Rosaspina nella fiaba ma su ma dai, ma almeno il punto alla fine della frase le maestre ve l'avranno tramandato, ma no neanche quello
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Il fantasma della Disco
28-07-2010, 10:06crisi? che crisi?, Ottanta, tvPermalinkNon si esce vivi
È difficile spiegare a chi non ne guarda. Se scrivo che la tv italiana in chiaro sta facendo schifo, voi penserete vabbè, sai la notizia. Cane morde uomo. Ecco, no. La tv italiana sta facendo molto più schifo del solito. Chihuahua sdentato morde Tyson, una cosa del genere, vi dico che la notizia c'è.
Ma è difficile da tirar fuori perché non è uno schifo eclatante, non sono nati nuovi format schifosi, come all'inizio del decennio scorso. Diciamo che i format di dieci anni fa sono stati lasciati a decomporsi, e intorno... non sta succedendo niente. Mancano idee, anche orribili. Ma a volte si ha proprio la sensazione che manchino le persone; la scorsa settimana hanno mostrato la puntata sbagliata di Lost perché nessuno l'aveva pre-visionata. E poi manca il mercato. MTV ha chiuso TRL per quattro mesi. Da gennaio ad aprile, niente TRL. Come se i bimbominchia di colpo non esistessero più, e purtroppo in un certo senso è vero: consumano così poco che non conviene più fare un programma per loro. Già l'offerta degli anni scorsi era quel che era, ci eravamo ridotti a importare rockstar di quarta categoria dalla Repubblica Federale Tedesca, però alle ragazzine comunque andava bene. Sono commoventi in fondo le ragazzine, perché se dai loro Chopin si strusceranno su Chopin, ma se dai loro letame di cammello saranno egualmente entusiaste; il problema è che non conviene nemmeno più raccogliere un po' di letame di cammello: evidentemente non si vendono abbastanza cd e suonerie da convincere MTV a montare il carrozzone. È più triste di quel che sembra.
La cosa diventa eclatante in estate – anche qui, mi direte: ma l'estate non esiste. L'estate della tv in chiaro è una replica di un carosello di repliche di caroselli. Ecco, quest'anno riescono a essere scadenti anche le repliche. Sempre Rai2, che nei mesi scorsi era una heavy rotation di vecchi episodi di NCIS o Criminal minds, in luglio ha finito il fondo del barile e fino a qualche giorno fa programmava Love Boat - adesso è passata agli scarti di magazzino tedeschi. E Un posto al sole estate, dov'è finito? Io lo odiavo di un odio etnico e totalitario, ma era comunque una cosa fatta in Italia, da attori italiani, concepita per l'estate italiana – via, spazzata via.
Perché non è vero che l'estate tv non esistesse, una volta. Almeno fino a luglio qualche cosa c'era, faceva schifo ma c'era. Per esempio Lucignolo, che era tutt'uno con l'estate. Si poteva amare od odiare (io ho varie volte maledetto i suoi autori fino alla settima generazione) ma aveva un suo pubblico, un suo senso. Non c'è più. Ma il pubblico c'è ancora. È questo che ti fa pensare alla crisi. La gente un rotocalco alla Lucignolo se lo vedrebbe ancora, ma si vede che scriverlo e realizzarlo costerebbe già troppo. Al suo posto c'è I mitici anni '80 con Sabrina Salerno. La sovrapposizione è abbastanza chiara: addirittura nelle edicole c'è il calendario dei Mitici Anni '80, con le tipe vestite alla Drive In.
Sui Mitici anni '80 molte cose sono state già scritte: è orribile, forse è la cosa più orribile mai programmata in chiaro, è una riscrittura della nostra storia attraverso le lenti berlusconiane, è l'inno alla berlusconizzazione, ok, tutto vero. Io aggiungo una cosa che mi sembra importante. È un programma poverissimo. In estate è normale fare i programmi con gli scarti, ma qui l'impressione è che siano finiti anche gli scarti commestibili.
Del resto, giudicate voi. Il programma che dovrebbe inneggiare all'edonismo di quel decennio meraviglioso è presentato da una tizia che balla sola in una discoteca buia e vuota. Qualcuno ha avuto l'idea non stupida di vestirla di placche rifrangenti, trasformandola in una palla-che-pende-dal-soffitto-della-disco umana: in pratica una scenografia vivente, che costa molto meno di una scenografia vera. È quel tipo di creatività che nasce nelle privazioni.
La tizia ha un bel da ballare: l'impressione è che se ne siano andati tutti, e da molto. È rimasta lei, che è pur sempre Sabrina Salerno: come si fa a non volerle un po' di bene. Si è mantenuta in forma, ma non importa, rimane imprigionata in un contesto sepolcrale, come una protesi di silicone rimasta intatta in un cadavere in putrefazione.
Mente balla legge il gobbo (e le viene il fiatone). Sul gobbo qualcuno ha scritto cose che Sabrina Salerno di sua sponte non direbbe mai (noi abbiamo la stupida pretesa di conoscerla, Sabrina Salerno). In sostanza tutte le sue frasi sono costituite su questa struttura:
'Negli anni Settanta facevamo cose tristi, poi sono arrivati gli anni Ottanta e ci divertivamo'.
Ad esempio: 'Negli anni Settanta c'era il terrorismo, poi sono arrivati gli anni Ottanta e guardavamo il Drive In'. E va bene. 'Negli anni Settanta c'erano le femministe che rifiutavano di depilarsi, poi negli anni Ottanta sono arrivate le tette'. Fin qui ci siamo. Ma dopo un po' il campionario di cose tristi dei Settanta e di divertimenti degli Ottanta comincia a mostrare la corda. A un certo punto Sabrina Salerno, per ribadire la tristezza dei Settanta, dice: “leggevamo i Quaderni Piacentini”. E il mondo implode. Ma voi ci pensate, che c'è al mondo una persona che si ricorda ancora dei Quaderni Piacentini e che scrive i testi dei Mitici Anni Ottanta? E che persona è? Quanto deve odiare sé stesso e l'umanità? Diventa inevitabile imbastirci un romanzo, lui che ama lei, lei che gli chiede di restare a casa per farle un sunto di un saggio di Fofi sulla questione operaia e nel frattempo si tromba il migliore amico sulla spiaggia, lui che brucia le annate dei Quaderni con i dischi degli Stormy Six e promette di vendicarsi sull'intero genere umano...
Seguono filmati. Non è tutta roba vecchia, ma il repertorio almeno non dovrebbe essere scadente, no? Se puoi pescare da migliaia di ore di girato, pescherai cose buone? Ma a Italia1 è come se fossero rimasti al Betamax. Soprattutto i filmati Rai, sono sgranati come i super8 del matrimonio di papà. Adesso sì che gli anni Ottanta sembrano lontani, a un passo dallo smagnetizzarsi, dal dissolversi in un indistinto sgranato. La gente era felice a quel tempo, adesso c'è Sabrina che ce ne parla in una stanza vuota. La tv italiana in chiaro ultimamente fa paura. Sono lunghissime nozze coi fichi secchi. C'è una frugalità da dopoguerra in Europa dell'Est, salvo che i programmi bulgari o cecoslovacchi, per quanto poveri, non smettevano probabilmente mai di incitare i telespettatori alla speranza nel futuro, nel radioso sole dell'avvenire. Sabrina Salerno no, lei non ci parla di futuro, ma solo di quanto eravamo felici nel passato, delle tette e dei culi che non ci sono più. Balla da sola in un posto buio, ansima, sorride, e non riesce a uscire.
È difficile spiegare a chi non ne guarda. Se scrivo che la tv italiana in chiaro sta facendo schifo, voi penserete vabbè, sai la notizia. Cane morde uomo. Ecco, no. La tv italiana sta facendo molto più schifo del solito. Chihuahua sdentato morde Tyson, una cosa del genere, vi dico che la notizia c'è.
Ma è difficile da tirar fuori perché non è uno schifo eclatante, non sono nati nuovi format schifosi, come all'inizio del decennio scorso. Diciamo che i format di dieci anni fa sono stati lasciati a decomporsi, e intorno... non sta succedendo niente. Mancano idee, anche orribili. Ma a volte si ha proprio la sensazione che manchino le persone; la scorsa settimana hanno mostrato la puntata sbagliata di Lost perché nessuno l'aveva pre-visionata. E poi manca il mercato. MTV ha chiuso TRL per quattro mesi. Da gennaio ad aprile, niente TRL. Come se i bimbominchia di colpo non esistessero più, e purtroppo in un certo senso è vero: consumano così poco che non conviene più fare un programma per loro. Già l'offerta degli anni scorsi era quel che era, ci eravamo ridotti a importare rockstar di quarta categoria dalla Repubblica Federale Tedesca, però alle ragazzine comunque andava bene. Sono commoventi in fondo le ragazzine, perché se dai loro Chopin si strusceranno su Chopin, ma se dai loro letame di cammello saranno egualmente entusiaste; il problema è che non conviene nemmeno più raccogliere un po' di letame di cammello: evidentemente non si vendono abbastanza cd e suonerie da convincere MTV a montare il carrozzone. È più triste di quel che sembra.
La cosa diventa eclatante in estate – anche qui, mi direte: ma l'estate non esiste. L'estate della tv in chiaro è una replica di un carosello di repliche di caroselli. Ecco, quest'anno riescono a essere scadenti anche le repliche. Sempre Rai2, che nei mesi scorsi era una heavy rotation di vecchi episodi di NCIS o Criminal minds, in luglio ha finito il fondo del barile e fino a qualche giorno fa programmava Love Boat - adesso è passata agli scarti di magazzino tedeschi. E Un posto al sole estate, dov'è finito? Io lo odiavo di un odio etnico e totalitario, ma era comunque una cosa fatta in Italia, da attori italiani, concepita per l'estate italiana – via, spazzata via.
Perché non è vero che l'estate tv non esistesse, una volta. Almeno fino a luglio qualche cosa c'era, faceva schifo ma c'era. Per esempio Lucignolo, che era tutt'uno con l'estate. Si poteva amare od odiare (io ho varie volte maledetto i suoi autori fino alla settima generazione) ma aveva un suo pubblico, un suo senso. Non c'è più. Ma il pubblico c'è ancora. È questo che ti fa pensare alla crisi. La gente un rotocalco alla Lucignolo se lo vedrebbe ancora, ma si vede che scriverlo e realizzarlo costerebbe già troppo. Al suo posto c'è I mitici anni '80 con Sabrina Salerno. La sovrapposizione è abbastanza chiara: addirittura nelle edicole c'è il calendario dei Mitici Anni '80, con le tipe vestite alla Drive In.
Sui Mitici anni '80 molte cose sono state già scritte: è orribile, forse è la cosa più orribile mai programmata in chiaro, è una riscrittura della nostra storia attraverso le lenti berlusconiane, è l'inno alla berlusconizzazione, ok, tutto vero. Io aggiungo una cosa che mi sembra importante. È un programma poverissimo. In estate è normale fare i programmi con gli scarti, ma qui l'impressione è che siano finiti anche gli scarti commestibili.
Del resto, giudicate voi. Il programma che dovrebbe inneggiare all'edonismo di quel decennio meraviglioso è presentato da una tizia che balla sola in una discoteca buia e vuota. Qualcuno ha avuto l'idea non stupida di vestirla di placche rifrangenti, trasformandola in una palla-che-pende-dal-soffitto-della-disco umana: in pratica una scenografia vivente, che costa molto meno di una scenografia vera. È quel tipo di creatività che nasce nelle privazioni.
La tizia ha un bel da ballare: l'impressione è che se ne siano andati tutti, e da molto. È rimasta lei, che è pur sempre Sabrina Salerno: come si fa a non volerle un po' di bene. Si è mantenuta in forma, ma non importa, rimane imprigionata in un contesto sepolcrale, come una protesi di silicone rimasta intatta in un cadavere in putrefazione.
Mente balla legge il gobbo (e le viene il fiatone). Sul gobbo qualcuno ha scritto cose che Sabrina Salerno di sua sponte non direbbe mai (noi abbiamo la stupida pretesa di conoscerla, Sabrina Salerno). In sostanza tutte le sue frasi sono costituite su questa struttura:
'Negli anni Settanta facevamo cose tristi, poi sono arrivati gli anni Ottanta e ci divertivamo'.
Ad esempio: 'Negli anni Settanta c'era il terrorismo, poi sono arrivati gli anni Ottanta e guardavamo il Drive In'. E va bene. 'Negli anni Settanta c'erano le femministe che rifiutavano di depilarsi, poi negli anni Ottanta sono arrivate le tette'. Fin qui ci siamo. Ma dopo un po' il campionario di cose tristi dei Settanta e di divertimenti degli Ottanta comincia a mostrare la corda. A un certo punto Sabrina Salerno, per ribadire la tristezza dei Settanta, dice: “leggevamo i Quaderni Piacentini”. E il mondo implode. Ma voi ci pensate, che c'è al mondo una persona che si ricorda ancora dei Quaderni Piacentini e che scrive i testi dei Mitici Anni Ottanta? E che persona è? Quanto deve odiare sé stesso e l'umanità? Diventa inevitabile imbastirci un romanzo, lui che ama lei, lei che gli chiede di restare a casa per farle un sunto di un saggio di Fofi sulla questione operaia e nel frattempo si tromba il migliore amico sulla spiaggia, lui che brucia le annate dei Quaderni con i dischi degli Stormy Six e promette di vendicarsi sull'intero genere umano...
Seguono filmati. Non è tutta roba vecchia, ma il repertorio almeno non dovrebbe essere scadente, no? Se puoi pescare da migliaia di ore di girato, pescherai cose buone? Ma a Italia1 è come se fossero rimasti al Betamax. Soprattutto i filmati Rai, sono sgranati come i super8 del matrimonio di papà. Adesso sì che gli anni Ottanta sembrano lontani, a un passo dallo smagnetizzarsi, dal dissolversi in un indistinto sgranato. La gente era felice a quel tempo, adesso c'è Sabrina che ce ne parla in una stanza vuota. La tv italiana in chiaro ultimamente fa paura. Sono lunghissime nozze coi fichi secchi. C'è una frugalità da dopoguerra in Europa dell'Est, salvo che i programmi bulgari o cecoslovacchi, per quanto poveri, non smettevano probabilmente mai di incitare i telespettatori alla speranza nel futuro, nel radioso sole dell'avvenire. Sabrina Salerno no, lei non ci parla di futuro, ma solo di quanto eravamo felici nel passato, delle tette e dei culi che non ci sono più. Balla da sola in un posto buio, ansima, sorride, e non riesce a uscire.
Comments (22)
Le catene dell'infamia
26-07-2010, 15:37blog, campagne, ho una teoriaPermalink
Stavolta è sul serio.
Stavolta, se passa la legge, siamo fregati. Tutti.
Anche voi, sissignore.
Blog di gattini, tremate. (Ho una teoria #33, sull'Unita.it, si commenta qui).
Certo che noialtri blog siamo sempre così allarmisti. Non è bello poter scrivere quel che ci pare senza responsabilità? E invece no, siamo sempre preoccupati che la pacchia stia per finire. C'è sempre in discussione un decreto, un disegno, un codicillo che minaccia la nostra stessa esistenza. Eppure in un qualche modo ce l'abbiamo sempre fatta, da dieci anni in qua. Cerchiamo di capire cosa rischiamo stavolta con quel comma 29 che l'onorevole Bongiorno non vuole assolutamente modificare.
Allora, mettiamo che io sia una tranquillissima persona con un blog, che aggiorno un paio di volte alla settimana. Un blog di foto di gatti, che ne dite? Più innocuo di così. Io ovviamente sto molto attento a non diffamare mai nessuno, gatti o padroni di gatti. Mettiamo che io venerdì pubblichi la foto del mio gatto in una scatola, prima di partire per il week end.
Il mio blog però è aperto ai commenti: che blog sarebbe, altrimenti. Ora accade che nella mattina di sabato tra i miei commentatori scoppi una polemica virulenta tra i sostenitori di due varietà diverse di cibo per gatti. In particolare c'è un commentatore anonimo che lascia una critica fortissima, anche se un po' campata per aria, nei confronti delle scatolette XYX. Tutto questo avviene mentre io sono in spiaggia a pigliare il sole, e il blog è l'ultimo dei miei pensieri (sì, ci abbronziamo anche noi blogghisti. Non siamo vampiri, non tutti). Le accuse contenute nel commento sono veramente infamanti e arrivano quasi subito sul tavolo dell'ufficio stampa dell'azienda XYX, che in realtà è il signor XYX medesimo, che appena ha cinque minuti liberi va a guglarsi il cognome. Insomma, verso mezzogiorno nella mia casella mail c'è già una richiesta di rettifica. Io nel frattempo sto affrontando un piatto di spaghetti alle vongole, con l'appetito dei giusti. L'ultima cosa che mi può venire in mente è controllare la mia mail per vedere se per caso qualche commentatore non abbia diffamato un'azienda di cibo per gatti a mia insaputa.
La domenica sera arrivo a casa stanco e mi corico senza aver aperto la mail. Lunedì ho la sveglia alle sette, perché lavoro anch'io, cosa credete? I blog di gatti non danno il pane. Alle due, prima di finire la pausa pranzo, finalmente scorro la mail personale. Scopro di essere responsabile di una grave diffamazione ai danni della ditta XYX. Cancello immediatamente il commento anonimo, e in due minuti pubblico la rettifica. Ma è troppo tardi, sono già scadute 48 ore, devo pagare una multa. Quanto fa? Dodicimila euro. Sono sconvolto.
Magari voi pensate che me la sia cercata. Chi me l'ha fatto fare di lasciare i commenti aperti al pubblico? È ammissibile che al giorno d'oggi il responsabile di un blog di gatti non controlli la mail per 48 ore di fila? Forse avete ragione, ma nel frattempo io ho un buco di dodicimila euro. Come lo riempirò?
D'un tratto, un'idea: come un lampo nel buio.
Mi metto a caccia di blog. Devono essere poco importanti, amatoriali come il mio. Scritti da gente che lascia i commenti aperti, ma poi magari non aggiorna per intere settimane. Ce n'è a bizzeffe, ma alla fine scelgo quello del vostro figlio quindicenne metallaro, che non ha mai scritto un post tra il martedì e il giovedì. Proprio la finestra temporale che fa per me. Aspetto fino a martedì sera, e poi colpisco. In fondo a un post di quattro anni fa, scrivo un commento anonimo ferocissimo... su me stesso. Mi autodenuncio come sequestratore e seviziatore di felini. Sì, pare che io abbia un garage pieno di gattini bonsai. E mercoledì mattina, di buon ora, con la mia mail ufficiale, mando a vostro figlio metallaro una richiesta di rettifica. Perché non è possibile che sul suo blog si legga che io sevizio i gatti, ma dico, ma come si permette? Questa è diffamazione bella e buona, non siete d'accordo? Lui comunque la mia mail non la legge, è da due anni che non apre nemmeno la posta, perché tanto coi suoi amici si trova su Facebook. Non importa, dopo una settimana arriva la multa. Dodicimila euro.
Lui ci rimane così male che in un raptus distrugge tutti i vinile dei Sepultura. Si chiude a chiave e non accende più la luce. Cosa starà combinando? Dopo qualche ora sfondate la porta. È al computer. Sta cercando un blog dove autodiffamarsi. Ne ha appena scelto uno tutto cuoricini ed hello kitty. Diabolico!
Il comma 29 della Legge Bavaglio imporrà a qualsiasi autore di blog (anche un quindicenne metallaro, anche una dodicenne hellokittymaniaca) l'obbligo di rettifica entro 48 ore, pena una sanzione fino a 12.500 euro. Se ti sembra un po' esagerato puoi leggere e firmare qui.
La libera impresa è fichissima
23-07-2010, 11:52auto, economie, famiglie, fiatPermalinkLo Stato Liberale
Nel senso che ti cresce con molta libertà. Ma non ti fa mai mancare niente. Ti ho mai fatto mancare niente?
Tesoro, ti vedo un po' patito, ma mangi?
Dai, prendi ancora un po' di questi contributi alle rottamazioni. Senti, mi han detto che a Termini o Pomigliano ci sono sacche di manodopera a basso costo molto saporite, cosa ne pensi? Se vuoi ti pago il viaggio. Ma sì, anche un po' degli stabilimenti, sei uno di famiglia, non te lo devi dimenticare mai. Sì. Adesso però scusami che io Stato ho da fare, devo bombardare Belgrado per una serie di circostanze controverse.
Mi hanno detto che ti ha mollato la GM. Quella lì non ti meritava, sai, io l'ho sempre detto. Ti sei fatto dare una congrua buonuscita, almeno? Bravo. Adesso sai cosa facciamo? Torni a casa da mamma che ti prepara il tuo piatto preferito, una bella scofanata di incentivi, che lo so che ti piacciono tanto.
Manda giù, manda giù, bravo, bravo. Cocco di mamma.
Ah, senti, volevo dirti una cosa. Stacci un po' attento, con quelle polacche.
Non credere, non siamo mica bacchettoni noi, però... quelle sembra che non pretendano niente, all'inizio, ma poi...
E così è deciso, te ne vai a Belgrado. Eh, beh, è chiaro che lì ti danno tutto quel che vuoi per un pezzo di pane, hanno ancora gli stabilimenti bombardati... Ma no, figurati, è giusto così. E' solo che... sembra ieri che muovevi i primi passettini, mi ricordo il Lingotto, Mirafiori... e adesso te ne vai libero per il mondo. Ma è giusto così, largo ai giovani, benvenuti nel duemila e tutto il resto. Cosa dici?
Vuoi che ti compri la tua nuova macchinina?
Tesoro, ormai sei grande, pensavo che avessi capito.
Sei tanto bello e bravo, ma con le macchinine non ci hai mai saputo fare. Te le compravo perché mi facevi compassione, adesso cerca di farne ai polacchi e ai serbi, perché io qui ho già i miei problemi. Largo ai giovani, dai.
Adesso se non ti spiace, sto cambiando badante, devo fare un'audition a una giovane domenicana che mi pare molto... Ma mi vuoi mollare il braccio o no?
Nel senso che ti cresce con molta libertà. Ma non ti fa mai mancare niente. Ti ho mai fatto mancare niente?
Tesoro, ti vedo un po' patito, ma mangi?
Dai, prendi ancora un po' di questi contributi alle rottamazioni. Senti, mi han detto che a Termini o Pomigliano ci sono sacche di manodopera a basso costo molto saporite, cosa ne pensi? Se vuoi ti pago il viaggio. Ma sì, anche un po' degli stabilimenti, sei uno di famiglia, non te lo devi dimenticare mai. Sì. Adesso però scusami che io Stato ho da fare, devo bombardare Belgrado per una serie di circostanze controverse.
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Mi hanno detto che ti ha mollato la GM. Quella lì non ti meritava, sai, io l'ho sempre detto. Ti sei fatto dare una congrua buonuscita, almeno? Bravo. Adesso sai cosa facciamo? Torni a casa da mamma che ti prepara il tuo piatto preferito, una bella scofanata di incentivi, che lo so che ti piacciono tanto.
Manda giù, manda giù, bravo, bravo. Cocco di mamma.
Ah, senti, volevo dirti una cosa. Stacci un po' attento, con quelle polacche.
Non credere, non siamo mica bacchettoni noi, però... quelle sembra che non pretendano niente, all'inizio, ma poi...
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E così è deciso, te ne vai a Belgrado. Eh, beh, è chiaro che lì ti danno tutto quel che vuoi per un pezzo di pane, hanno ancora gli stabilimenti bombardati... Ma no, figurati, è giusto così. E' solo che... sembra ieri che muovevi i primi passettini, mi ricordo il Lingotto, Mirafiori... e adesso te ne vai libero per il mondo. Ma è giusto così, largo ai giovani, benvenuti nel duemila e tutto il resto. Cosa dici?
Vuoi che ti compri la tua nuova macchinina?
Tesoro, ormai sei grande, pensavo che avessi capito.
Sei tanto bello e bravo, ma con le macchinine non ci hai mai saputo fare. Te le compravo perché mi facevi compassione, adesso cerca di farne ai polacchi e ai serbi, perché io qui ho già i miei problemi. Largo ai giovani, dai.
Adesso se non ti spiace, sto cambiando badante, devo fare un'audition a una giovane domenicana che mi pare molto... Ma mi vuoi mollare il braccio o no?
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