San Budda abate

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27 novembre - Santi Barlaam e Iosafat, leggenda.

[Il pezzo si rilegge intero qui]

Più di ogni altra cosa il re indiano Avenir desiderava che suo figlio Iosafat fosse felice. Più di ogni cosa temeva quelle nuove sette che arrivavano dall'occidente, quei corvacci neri che speculavano sulla paura della morte, quei cristiani. Li aveva già visti rovinare uomini ricchi e potenti, dignitari di corte ridotti a vestirsi di sacco e a mendicare. Così quando un astrologo predisse che Iosafat si sarebbe convertito al cristianesimo, per poco non impazzì. Poi decise di nascondere suo figlio al mondo, di crescerlo il più lontano possibile dalla sola idea della morte, della sofferenza. Lo rinchiuse bambino in un palazzo ricolmo di ogni lusso, gli diede amici e amiche in abbondanza, tutti sani e senza difetto: quando qualcuno si ammalava, nottetempo veniva sostituito con qualcun altro in salute; e così Iosafat cresceva senza conoscere né malattia né dolore, eppure non era felice.

C'era come un vuoto che gravava sul suo capo, la sensazione di galleggiare sulla superficie delle cose. Un giorno piantò una grana, non avrebbe più mangiato né bevuto finché il papà non lo avesse lasciato uscire a fare un giro nel mondo. Alla fine il re acconsentì. Preparò l'uscita in ogni dettaglio, infiltrò i suoi ministri nella scorta del figlio, fece per la prima volta ripulire le strade in cui sarebbe passato il corteo principesco, disseminando lungo il percorso danzatori e ballerine, affinché tutto sembrasse il più possibile ameno. Qualcosa però dovette andare storto, perché appena Iosafat uscì, incontrò un cieco e un lebbroso, che lo stupirono molto.
"Sono malanni che capitano agli uomini", risposero gli uomini del re.
"A tutti gli uomini?"
"No, a tutti no".
"Meno male. E si sa già prima a chi accadono questi malanni, o sono imprevedibili?"
"Il futuro nessuno può prevederlo, o sire".
"Quindi anch'io potrei un giorno diventare cieco come questo cieco, o lebbroso come questo lebbroso?"
"Si è fatto tardi, rientriamo".

Il vuoto che gravava sul capo del principe cominciò a riempirsi di angoscia e di paura, sentimenti a cui non sapeva nemmeno dare un nome. Un'altra volta che volle uscire, la security fu più efficiente: non trovò nel suo percorso né paralitici né appestati, tutto andava per il meglio, finché non passò un vecchietto. Un vecchietto assolutamente standard, niente di eclatante, ecco forse perché le guardie non avevano pensato a tenerlo lontano: la faccia un po' vizza, la schiena curva, i denti pencolanti, tutto regolare. Ma Iosafat non aveva mai visto un vecchio.

"E questa che malattia è? Spero che sia un po' più rara della lebbra".
"Sire, questa non... non è una malattia".
"In che senso? Il tizio non si regge in piedi, se non è una malattia questa qui..."
"È solo vecchiaia. Non è una malattia, nel senso che... che viene a tutti".
"A tutti? State scherzando? E si guarisce?" (continua sul Post...)
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La timidezza del renziano

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Può darsi che i tre milioni di elettori delle primarie del centrosinistra 2012 non siano esattamente gli stessi tre milioni delle primarie del PD 2009; in ogni caso la coincidenza mi sembra il dato più suggestivo. È come se il PD fosse destinato, dalla nascita, a essere il partito delle primarie: anche quando ospita personaggi di altri partiti, il bacino elettorale che mobilita è lo stesso: tre milioni, e stop. Era ragionevole pensare che Vendola portasse qualche centinaia di migliaia di elettori da sinistra; che altri, un po' più difficili da quantificare ne arrivassero dal centro, attirati da Renzi (e da Tabacci...) Pare proprio che non sia andata così. Molti osservatori poi insistono sul fatto che tre milioni sono comunque tanti, nella notte dell'antipolitica. Può darsi. Ma può anche darsi, semplicemente, che alle primarie voti sempre più o meno la stessa gente, che le si chiami primarie "del PD" o di qualcos'altro. Chi si sente un po' di sinistra se c'è un Vendola voterà Vendola; se non c'è abbozzerà e voterà la cosa più di sinistra che trova. Tre anni fa votò probabilmente Bersani, e un po' Marino; stavolta vedremo.

Renzi - che avrebbe più di un motivo per ritenersi soddisfatto - aveva più volte alluso a sondaggi favorevoli, in grado di sovvertire un pronostico che per la verità era abbastanza prevedibile. In particolare i renziani si erano affezionati a un dato - l'affluenza di quattro milioni invece che di tre - su cui hanno insistito a lungo, anche sfidando l'evidenza. Forse si trattava di un semplice ottimismo della volontà. O forse non avevano calcolato lo shy factor, il "fattore timidezza" (continua sull'Unita.it, H1t#155).

Il termine fu coniato negli anni Novanta dai sondaggisti britannici dopo aver sottostimato per l’ennesima volta il risultato elettorale dei Tories. Evidentemente l’elettore-tipo conservatore era più timido dell’elettore laburista, e confessava meno volentieri la sua scelta a chi lo intervistava prima del voto. Si scoprì in seguito che questa ritrosia dell’elettore moderato, lo “shy tory factor”, era comune a molti Paesi occidentali. In Italia nel decennio seguente i sostenitori di Prodi e Veltroni commisero più di una volta l’errore di non calcolare uno “shy berlusconian factor: arrivarono alle elezioni con sondaggi falsati, che non tenevano conto delle intenzioni di voto di molti berlusconiani ‘timidi’, invisibili ai sondaggi ma decisivi nelle urne. Può darsi che un certo tipo di shy factor esista anche a sinistra, e che sia in parte responsabile degli errori commessi dallo staff di Renzi.
Non si tratta semplicemente della timidezza di qualche elettore bersaniano, nel momento in cui votare Bersani può significare per alcuni scegliere l’apparato, la conservazione. Ben più decisiva potrebbe essere stata la timidezza di molti che a detta dei sondaggi sosterrebbero Renzi, al punto di votare magari per lui… in primavera; non però adesso, alle primarie. Per fare le primarie bisogna avventurarsi in sedi di partito, biblioteche, bocciofile e altre botteghe più o meno oscure, dove molti elettori di Renzi hanno diffidenza a entrare. Il che magari è comprensibile, e tuttavia significa che per ora non sono realmente elettori di Renzi, e forse non lo diventeranno mai.
Può darsi che questa timidezza non sia emersa dai sondaggi. Può darsi che ci sia un numero non irrilevante di sostenitori di Renzi che lo sono soltanto al telefono, se qualche sondaggista gli pone la domanda in certi termini: chi voterà, chi voterebbe alle primarie del centrosinistra? Può darsi che a questa dichiarazione di intenti non corrisponda, un po’ troppo spesso, una reale disponibilità a iscriversi alle primarie e poi votare davvero. Questo era così ovvio che i renziani si sono più volte lamentati delle procedure, a detta di molti troppo farraginose, palesemente escogitate per demotivare i timidi. In realtà da quel che ho capito le file non dovrebbero essere state molto più lunghe del solito (nel mio seggio siamo passati dalla mezz’ora di Prodi 2005 ai tre minuti, più rapidi di così non si poteva, a proposito grazie a tutti). Del resto la realtà è l’ultimo dei problemi. Non ha nessuna importanza che le code fossero quasi ovunque cortissime: l’importante è che molti elettori, specie dell’area renziana, si siano convinti che sarebbero state lunghe.
Sul concetto di coda, sui “quindici minuti” che era necessario e indispensabile perdere, Renzi e i suoi collaboratori hanno insistito con un autolesionismo quasi sospetto. Siccome non sono tutti novellini; Renzi per esempio non lo è, e c’è gente che lo è molto meno di lui. È da mesi che si vantano di riuscire ad attirare un elettorato, per così dire, non nativo nel centrosinistra; un elettorato di cui si può ben prevedere la timidezza, la ritrosia: eppure hanno continuato a parlare fino all’ultimo di “quindici minuti” e di code ai seggi, gli argomenti meno adatti a smuovere dal divano un timido sostenitore renziano in un giorno di pioggia (mentre in tv la Ferrari si gioca il mondiale). Se non è stato un colossale errore, e mi sembra offensivo pensarlo, non resta che pensare a tattica già post-elettorale. Forse Renzi e i suoi non si stanno facendo nessuna reale illusione sulle possibilità di giocarsela; forse sono già in cerca di buone scuse per la sconfitta. Perdere per questioni procedurali, quasi per un vizio di forma, è decisamente meglio di perdere perché non si è riusciti a motivare abbastanza il proprio elettorato di riferimento. Che è timido, sì, non è mica un delitto. E forse aspettava soltanto l’input, la motivazione giusta per scattar giù dal divano. Da questo punto di vista il tag #15minuti non era proprio il massimo, diciamo. http://leonardo.blogspot.com
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Il santo che salvò il Colosseo, quasi

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26 novembre - San Leonardo di Porto Maurizio, inventore della Via Crucis, salvatore del Colosseo.

[Si legge tutt'intero qui].

È inutile che proviate a farmi gli auguri adesso, miei cari lettori ipocriti, fratelli; il mio onomastico era il 6 novembre, San Leonardo abate di Limoges - e non se n'è ricordato nessuno. Questo Leonardo non è meno importante del primo, diciamo che gioca in tutt'altra categoria: è un predicatore francescano del Settecento, secolo finora colpevolmente snobbato da questa rubrica, sembra quasi che per cent'anni non ci siano stati santi interessanti. Non è decisamente così, però riflettete un attimo sul Settecento che conoscete, sul Settecento che avete studiato a scuola, o quello che poi vi è ricapitato sott'occhio al cinema o in tv. Non vi sembra anche voi di avere un buco? Il secolo dei Lumi, vi dicevano gli insegnanti. Sì ma gli illuministi a ben vedere erano una manciata di persone, ok, gli abbonati all'Encyclopédie erano parecchi di più, però il secolo senz'altro non è tutto lì. C'erano i libertini, questa è cosa nota, almeno un film o un libro di libertini lo abbiamo consumato. Poi verso la fine partono le rivoluzioni, e quelle le studiamo già con più interesse, ma fidatevi che se al liceo vi è capitato di saltare una cinquantina di pagine di Storia d'Italia, erano tutte tra Seicento e Settecento.

Soprattutto nella penisola sembra che non succeda nulla. E invece succedono tantissime cose, tra cui parecchie guerre che cambiano un po' la cartina - tra l'altro è il secolo in cui nasce davvero il Regno di Sardegna - ma alla fine della fiera tutto cambia perché non cambi nulla, siamo in fase Controriforma e ci restiamo più o meno finché non arriva Napoleone. Qualche sovrano effettivamente legge Voltaire e si dà arie di principe illuminato, ma è quella crosta sottile della società che segue le mode: il Paese reale, come si chiama adesso, pende ancora dalle labbra dei predicatori, come ai tempi di Bernardino tre secoli prima. Leonardo di Porto Maurizio è uno di prima scelta, otterrà persino degli incarichi diplomatici. Ma preferiamo ricordarlo per averci dato una grossa mano a salvare il Colosseo, si fa per dire. Diciamo che senza di lui il Colosseo poteva arrivarci in uno stato ancor peggiore.


Un giorno il Colosseo (che poi si chiama Anfiteatro Flavio) andrà rifatto. Lo scrivo così, per abituarmi all'idea. Nulla dura in eterno, nemmeno i luoghi più sacri e appartati, e non è certo il caso di un'arena tirata su nel centro di Roma a scopi propagandistici. C'è chi dice che Vespasiano abbia voluto offrire al popolo quello che il dittatore precedente, Nerone, gli aveva tolto; secondo altri gli fu molto utile il bottino del saccheggio del tempio di Gerusalemme; impossibile non ricordare poi che fu lo stesso imperatore che mise una tassa sui gabinetti pubblici, che è poi il motivo per cui il suo nome è ancora sulla bocca di tutti duemila anni dopo. Poteva immaginarselo? Difficile, ai suoi tempi il passato non esisteva nella forma in cui esiste adesso. Esistevano miti, leggende, e pietre vecchie già un po' dappertutto, ma Roma non aveva nemmeno compiuto mille anni: e 1930 anni dopo il suo anfiteatro è ancora più o meno lì. In ogni caso l'estate scorsa si è saputo che la curva sud pende di 40 cm., quasi quanto la Torre di Pisa. Un giorno o l'altro potrebbe venir giù, non sarebbe la fine del mondo - a meno che non abbia ragione Beda il Venerabile:
Finché starà in piedi il Colosseo, esisterà anche Roma;
quando cadrà il Colosseo, cadrà anche Roma;
quando cadrà Roma, cadrà anche il mondo.
Al tempo in cui Beda scriveva le sue storie, nell'ottavo secolo in una landa lontana - l'Inghilterra - il Colosseo se la cavava ancora abbastanza bene, era adibito a necropoli o forse a fortezza (come il mausoleo di Adriano, diventato Castel Sant'Angelo). I gladiatori non ci giocavano più dal 400: a rovinare il divertimento era stato l'imperatore Onorio. I combattimenti contro gli animali, ugualmente sanguinosi (leoni e orsi, a volte aizzati contro condannati a morte) erano proseguiti per un altro secolo, poi l'anfiteatro aveva smesso di essere tale. La vera decadenza cominciò a partire dall'847, con un terremoto catastrofico, in seguito al quale il monumento fu declassato a cava di marmo. Seguono secoli oscuri, in cui il Colosseo diventa un palazzo, anzi parte di un palazzo della famiglia Frangipane. Ma anche questo non dura più di tanto, e l'emorragia di blocchi di travertino prosegue per tutto il Cinquecento (un secolo in cui il nuovo amore per la classicità non impedì ai pontefici di saccheggiarla a tutto spiano), e buona parte del Seicento. Poi le cose cominciarono lentamente a cambiare. Forse fu anche merito del turismo. L'unica forma di turismo di massa che esistesse a quel tempo: il pellegrinaggio, soprattutto in occasione dei Giubilei.

Lentamente divenne chiaro che ai pellegrini che arrivavano a Roma per ottenere l'indulgenza plenaria bisognava mostrare pure qualcosa del periodo antico, non si poteva smontare tutto per adornare Palazzo Barberini. Quel poco di anfiteatro rimasto continuava a essere una mole impressionante, bisognava trovare un modo per sfruttarla, però cristianamente. Del resto, se il cristianesimo era fiorito sul sangue dei martiri, quale suolo ne era più pregno che quello dell'anfiteatro, dove a migliaia erano stati sbranati dalle fiere sotto questo o quell'imperatore? (continua sul Post)
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La santa Trottolina

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25 novembre - Santa Caterina vergine e martire (III secolo)

[Questo pezzo si rilegge intero qui].
Caterina trae il suo nome da catha, che vuol dire "universo", e ruina, "rovina", come a significare "rovina universale". Con lei infatti ogni edificio del diavolo cadde in rovina... (Iacopo da Varazze, Legenda Aurea).
Caterina era una principessa che non dormiva mai mai mai, hai presente mai? come dire neanche adesso. Il re suo padre e la regina sua madre ci avevano provato in tutti i modi, con le fiabe di Grimm e di Andersen e di Calvino e di Vladimir Propp, e le canzoni dello zecchino d'oro d'argento e di bronzo i grandi successi di Mina e la Voce del Padrone, ma neanche il libro dei Salmi e la tavola degli elementi facevano addormentare la principessa Caterina, che invece di dormire imparava tutto. Infatti era anche intelligentissima, nonché molto intonata, e tutti potevano udirla alle tre del mattino cantare:
Folle, folle banderuola
folle banderuola segnatempo...
Avendo l'imperatore Massenzio convocato tutti, ricchi e poveri, ad Alessandria (EG) perché immolassero agli idoli pagani, proprio mentre stavano cominciando le celebrazioni sul più bello arrivò Caterina e disse, dai, ma smettila, cosa sono tutti questi affari di ferro e legno e plastica non omologati CE?, non mi piacciono, e sbing e sbleng e sbadabvong in dieci minuti aveva rotto tutti gli idoli del potente imperatore Massenzio, che disse: ma chi sei o giovane fanciulla impertinente?

"Sono Caterina", ella disse, "la patrona delle ruote dei carri-attrezzi e dei filatoi, perché giro tutta la notte e non mi fermo mai".
"Caterina, hai fatto un bel pasticcio. Ma adesso avrai sonno, almeno".
"Sonno io? No mai. Mi leggi un rotolo?"
"Che rotolo? Vuoi scherzare? Qui abbiamo solo papiri pregiati... ferma! stai strappando un Qumran originale!"
"Auff, le figure dove sono?"
"Senti Caterina, non ho tempo, sono il potente imperatore Massenzio, e ho molti idoli da onorare, per cui adesso ci salutiamo, è stato un piacere, buonanotte e..."
"Che noia i tuoi idoli, lo sai che messi assieme non valgono nulla in confronto a mio papà?"
"E chi sarebbe tuo papà?"
"Mio papà è il più grande e il più bello di tutti, inoltre sa come va a finire la fiera dell'est".
"Ah-Ah, Caterina, tu scherzi, nessuno sa a come va a finire la fiera dell'est. Neanche Gugol".
"Lui ne sa più di Gugol, perché è mio papà".
"Dai Caterina piantala".
"No sul serio lui  sa chi uccise il bue che bevve l'acqua che spense il fuoco che bruciò il bastone che picchiò il cane..." (continua sul Post...)
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Facciamo che invecchio un'altra volta

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Oggi sciopero. È da un bel po' che non succede di sabato (forse dal liceo?) Di solito preferisco non parlare di queste cose, ma la storia di questo sciopero secondo me è interessante anche per chi non è del settore.

Io insegno in una scuola media (in realtà adesso si chiamano secondarie di primo grado, ma nessuno riesce a chiamarle così). Quando un mese fa il mio massimo dirigente, il ministro Profumo, buttò lì in una bozza di decreto l'aumento di un terzo del mio orario settimanale (a parità di salario), ottenne due risultati.

Il primo risultato fu che nella bolgia che ne seguì, io scoprii un po' dappertutto e anche nei commenti di questo blog molte verità sulla mia categoria che ignoravo. Per esempio che siamo tutti una manica di assenteisti che scioperano continuamente, non vogliono essere giudicati per quello che valgono ma si accontentano di accumulare scatti di anzianità, scatti su scatti, come se invecchiare sulla cattedra fosse in qualche modo meritorio. Tutto questo sarà probabilmente vero, anche se intorno a me vedo una realtà ben diversa, ma forse sono troppo vicino per capire il quadro d'insieme. Io vedo colleghi che spesso, tra la  salute e la continuità didattica, scelgono la seconda, col risultato di aggravare la prima. La storiella per cui non vogliamo essere valutati forse deriva dal fatto che i ministri ne parlano da più di dieci anni, di questa benedetta valutazione: ma non hanno mai presentato un progetto concreto. Ne chiacchierano soltanto, nei corridoi. Secondo me in fondo a quei corridoi lì c'è sempre il tesoriere, per cui dopo aver discusso un po' di quanto sarebbe bello pagare di più i professori meritevoli, quando arrivano in fondo il discorso si interrompe bruscamente, come diceva Leopardi, "all'apparir del vero": dove li troviamo i soldi con cui premiare i meritevoli? Non li troviamo, anzi dobbiamo tagliarne a tutti, quindi non ha senso perdere tempo a valutarli. Per inciso, fino a qualche giorno fa non c'erano i soldi nemmeno per gli scatti di anzianità, che risultavano bloccati da parecchio tempo.

Il secondo risultato della proposta indecente del ministro Profumo fu che la categoria, finalmente, s'incazzò: e vorrei anche vedere. Non so che lavoro facciate, ma pensate un attimo all'idea di dover lavorare un terzo in più per zero euro in più: ditemi se la cosa può passar liscia. E sì che ormai sembravamo rassegnati a qualsiasi vessazione: contrariamente a quello che credono tutti, non siamo quel tipo di categoria che si mobilita tutti gli anni per qualsiasi cosa. La maggior parte dei colleghi che conosco gli scioperi in linea di massima non li fa, perché non crede nello sciopero come mezzo efficace di lotta, e il peggio è che non sono nemmeno sicuro che abbiano tutti i torti. Lo so che è difficile da immaginare: abbiamo tutti fatto le scuole e gli scioperi li ricordiamo come vacanze inattese e graditissime: eppure per l'insegnante lo sciopero può costituire un grosso disagio. Non è un giornalista, che se chiude il giornale quel giorno lì non lavora. L'insegnante per certi versi è un lavoratore a cottimo, deve arrivare a giugno con tot programmi fatti e tot voti nel registro, e quel che salta nel giorno dello sciopero lo deve recuperare poi.

Comunque persino i più stacanovisti, un mese fa, tentennavano: ci furono assemblee piuttosto infuocate, e i sindacalisti presenti ne approfittarono per segnalare che i comparti scuola di Cisl e Uil (più altre sigle autonome di una certa importanza) si erano già mobilitate per il 24 novembre, cioè oggi. Era un vero peccato che quelli della Cgil non volessero aderire, sarebbe stato il primo sciopero unitario da un bel po' di tempo. La Cgil in effetti aveva già organizzato uno sciopero in ottobre, e in più aveva aderito a quello europeo di tutte le categorie del 14, per cui probabilmente esitava a domandare ai propri associati un terzo giorno di sciopero in un mese. Però la situazione ai primi di novembre era davvero particolare: si respirava una rabbia del tutto inedita, e l'occasione di riunire finalmente le sigle sindacali dopo anni di scazzi reciproci era imperdibile; insomma, alla fine aderì anche la Cgil. In questo modo finì prevedibilmente per danneggiare la sua stessa mobilitazione del 14, perché molti insegnanti a quel punto scelsero di fare uno sciopero solo e ovviamente scelsero quello di categoria, che tra l'altro cadeva anche di sabato.

Anche questa cosa del sabato merita di essere spiegata. Gli scioperi al sabato in linea di massima andrebbero evitati, sanno di corteo studentesco (con tutto il rispetto per i cortei, ma, insomma, siamo un'altra categoria, appunto). La sindacalista che spiegò la cosa a me disse che il sabato era stato scelto per evidenziare un aspetto importante, e cioè la mobilitazione degli insegnanti della scuola media, pardon secondaria (di primo e secondo grado): quelli minacciati dall'aumento a 24 ore, dal momento che maestri e maestre della primaria le 24 ore le fanno già. E va bene, messa in questi termini poteva avere anche un senso. Inoltre era il primo sciopero unitario da un sacco di tempo, mica vuoi metterti a sottilizzare, no?

Nei giorni successivi le 24 ore settimanali si sono rapidamente sgonfiate; però gli insegnanti ormai si erano svegliati e non si assopivano più. Del resto motivi per protestare ce ne sono infiniti: dico il primo che mi viene in mente, i tagli sul sostegno agli alunni con handicap. Certi ragazzini si ritrovano de-certificati da un anno all'altro: prima avevano un certificato che riconosceva loro un handicap (e un insegnante di sostegno), e all'improvviso non l'hanno più. La conclusione più ovvia a cui giungono molti di loro (famiglie incluse) è che sono guariti. Tocca agli insegnanti spiegare che no, non sono affatto guariti, è solo che la scuola non ha più risorse per loro. Perciò capite che anche a 18 ore settimanali un insegnante può avere buoni motivi, secondo me, per scioperare. Un altro motivo è che gli scatti sono bloccati da un pezzo, e nel frattempo il costo della vita aumenta, ecc. Insomma, lo sciopero è rimasto nell'agenda di molti miei colleghi. Fino a giovedì.

Avete capito bene. Giovedì è successo qualcosa. C'è stata una riunione nella notte, insomma, si è saputo che finalmente si erano sbloccati gli scatti. Una cosa incredibile, nessuno ci credeva davvero, cioè, avremo gli scatti. Per me è un piccolo choc, finalmente qualcuno riconosce che sto invecchiando. Ma psicologia a parte, a quel punto molti esponenti sindacali hanno deciso che erano contenti così. Dopotutto Profumo si era già rimangiato le 24 ore, poi Monti ci ha dato gli scatti, insomma, che altro pretendiamo? Contrordine, al sabato tutti a scuola. Cisl, Uil e le altre sigle autonome hanno revocato lo sciopero, giovedì sera. Aggiungendo disagio al disagio, perché in molti casi le famiglie erano già state avvisate, e magari qualche uscita fuoriporta era stata programmata ecc. ecc.

Ma la cosa più strana, se volete, è che la Cgil alla fine lo sciopero non lo ha revocato. È stata l'ultima organizzazione importante ad aderire, ed è l'unica importante che oggi sciopera. Aveva aderito per ottenere un fronte comune, e alla fine si trova da sola, esposta al tiro al piccione. Per dire, se uno va sul sito della Cisl scuola già da ieri c'è un tale che fa l'offeso perché "ancora una volta chi riesce a ottenere qualche risultato se lo vede contestare da chi, incapace di costruirne di migliori, offre in alternativa soltanto slogan sempre più frusti, privi di sostanza e di prospettiva", insomma la tregua è durata venti giorni, sono già ripartiti gli stracci.

Sul sito della Cgil invece ci sono un paio di conti. Per dare a tutti gli scatti promessi servirebbero 480 milioni di euro (!). Pare che il governo ne stanzi 86. E i restanti 394? Pare che abbiano deciso di attingere dai fondi d'istituto. Cioè dai soldi che vanno alle scuole. Non so se riesco a spiegarmi. Per aumentare lo stipendio a me, tolgono soldi alla mia scuola. Posso dire che non li voglio, a queste condizioni? Sul serio, ne faccio a meno, cosa mi serve avere in busta qualche euro in più se poi sul posto di lavoro mi tolgono... ma cosa mi possono ancora togliere, esattamente? Abbiamo smesso di fare progetti, ormai. Avrete senz'altro sentito di quel ragazzo che si è tolto la vita a Roma. Gli studenti del suo liceo hanno scritto una lettera in cui si afferma, tra l'altro, che "il Cavour non è mai stato un liceo omofobo in quanto fino a quando i fondi sono stati sufficienti, alcune classi hanno preso parte ad un progetto sulla sessualità organizzato dalla ASL e approvato dal collegio docenti". Corsivo mio. Ora, magari bastassero i progetti sulla sessualità organizzati dall'Asl, davvero, a eliminare l'omofobia. Però erano tutte occasioni di approfondimento, di discussione, che non si fanno più. Non ci sono più soldi. La famosa carta igienica, non vorrei sempre approfittare del luogo comune, però siamo a questo punto: siccome invecchio mi dai qualche soldo in più, e li prendi dai fondi per la carta igienica. Posso dire che è uno schifo, una presa per il culo, letteralmente, e che non ci sto? Sul serio, facciamo che invecchio un'altra volta, stavolta no, a queste condizioni io resto giovane e oggi sciopero, quasi quasi okkupo pure.
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Motivi per votare Vendola, Renzi, Bersani

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Da Angela chi ci mandiamo?

Credo che molti lettori di questo blog, che si considerano di sinistra e mettono tra le loro priorità i diritti civili o l'ambiente, alle primarie dovrebbero votare Nichi Vendola. Lo dico senza ironia, perché qui sembra sempre che si scherzi, e anche su Vendola si è scherzato ma stavolta no. È una persona onesta e un politico di esperienza, ma nel suo caso è importante soprattutto quello che rappresenta: un pezzo importante della sinistra di questo Paese, che ha commesso tanti errori ma che non si meritava di uscire dal parlamento cinque anni fa. Un voto per Vendola al primo turno è tutt'altro che un voto inutile: io non lo voterò, ma mi piacerebbe che i due sfidanti al ballottaggio scoprissero di dover contendersi un 30 o addirittura un 40% di voti a sinistra. Sarebbe un bel modo di battere un colpo, di rivedere le priorità in tutta la fase finale della campagna, di far sapere che la sinistra c'è, e che per una volta può anche essere decisiva. Pensateci.

Penso che molti lettori di questo blog che si stanno un po' annoiando, e che vorrebbero leggere pezzi più ironici o incazzati o beffardi, antiberlusconiani o antiveltroniani insomma antiqualcosa, alle primarie dovrebbero votare Matteo Renzi. Ma il discorso vale in generale per tutti gli operatori dell'infotainment e della satira, che secondo me in un Renzi premier ci sperano parecchio - bisogna anche capirci, Berlusconi ci ha viziato, ci ha fornito spunti comici e barzellette sceme per vent'anni, e poi all'improvviso ci ha lasciato in mezzo al guado, in crisi d'astinenza, e in questi casi ci si attacca a qualsiasi surrogato. Renzi non è senza dubbio Berlusconi, anche se i motivi per cui molti lo apprezzano sono gli stessi per cui qualche anno fa piaceva Berlusconi: sorrisoni, ottimismo, bei discorsi, ci penso io che ho la ricetta giusta, Italia rialzati ecc.

In molti elettori questo tipo di simpatia è probabilmente destinata a rovesciarsi nel suo sentimento speculare, non appena avranno verificato che il tizio non ha la bacchetta magica e che no, l'Italia non si può trasformare in una Danimarca ichiniana col puro sforzo della volontà creatrice, specie finché il fiscal compact non ci lascia margini di manovra. A quel punto Renzi potrebbe sperimentare un rovesciamento di immagine simile a quello vissuto dal povero Veltroni tra 2008 e 2009. Molti arguti commentatori politici e satiri vari lo aspettano lì al varco, e anch'io quando comincerà il tiro al piccione so che non saprò tirarmi indietro. Renzi non è Berlusconi, ripeto, ma è senz'altro il personaggio più buffo, il più vignettabile (a differenza di Bersani, che come personaggio comico ha un respiro cortissimo); molte delle trovate renziane sono oggettivamente divertenti (il volontariato obbligatorio, wtf?), quelle che non evaporeranno al contatto con la realtà lasceranno comunque il segno. Per fare un piccolo esempio: la settimana scorsa ha dichiarato che non vuole allearsi con Casini, e tutti a esultare. Ma mettiamo che vinca le primarie, e poi le elezioni, e mettiamo che dalle urne esca un parlamento in cui l'unica maggioranza possibile sia SEL+PD+Centro. A quel punto cosa farà? Tradirà i suoi entusiasti sostenitori? Sarebbe divertente. Preferirà passare la palla ai centristi che provino a mettere su un governo tecnico con berlusconiani, grillini, scilipoti vari? Sarebbe atroce - ma anche un po' divertente, dai. Oppure riporterà gli italiani a votare in venti giorni? Ecco, chi si annoia e ha voglia di vivere in giorni interessanti, voti pure Matteo Renzi.

Credo che chi è sinceramente preoccupato per la situazione dell'Italia, e in generale dell'Europa, dovrebbe votare Pierluigi Bersani, che ha anche lui, intendiamoci, i suoi difetti. Per esempio non è proprio nostro contemporaneo, diciamo - ma ha uno staff giovane, a differenza di Renzi che rischia di fare il ragazzo-immagine dietro a un pool di gente più grande. Ma preferirei non farne una questione generazionale. Quel che apprezzo in modo particolare in Bersani sono le doti di professionista della politica, e una in particolare che mi pare manchi a Renzi quasi completamente: la capacità di negoziazione. Perché è inutile, davvero, che ci mettiamo a scannarci sui programmi, sulle ricette, sulle idee - finché la Germania ci tiene per il colletto in questo modo. Per me l'Italia potrà uscire dalla crisi, e diventare un Paese migliore, solo a patto di uscire da una morsa rigorista che ci sta penalizzando, ben al di là delle eventuali colpe che possono aver commesso i padri o i padri dei nostri padri. Anzi, questa storia delle colpe dei padri dovremmo toglierla di mezzo, perché non è roba razionale, e porci tutti assieme l'unico problema: come se ne esce? Se ne esce col rigore? No. Se ne esce cambiando rotta, ripotenziando l'area socialdemocratica europea, facendo pressione sui tedeschi, e in questo Hollande sarà certamente con noi. Ma a quel punto il problema è: chi ci mandiamo a discutere con Angela Merkel (o col suo successore)? Ci mandiamo il miglior negoziatore che abbiamo in Italia, uno che da un anno sta giocando una partita complicatissima sulla legge elettorale con i più diabolici democristiani sulla piazza (al suo posto lo stesso brillante D'Alema avrebbe già ceduto e firmato un paio di bicamerali in bianco)? O ci mandiamo Matteo Renzi?

Non è una questione anagrafica. Matteo Renzi è un cattivo negoziatore, non perché non ha compiuto quarant'anni. Anche quando ne compirà cinquanta, temo, Renzi resterà un cattivo negoziatore, solo un po' più suonato di adesso. Renzi è un cattivo negoziatore perché quando vuole ottenere una cosa da Berlusconi, e Berlusconi gli dice vieni e casa mia, lui ci va: ed è ancora lì che difende la sua scelta, è ancora convinto di aver fatto un buon affare. Renzi è un cattivo negoziatore perché ha consentito che i vecchi savi del centrosinistra gli confezionassero un regolamento elettorale fatto apposta per farlo perdere: poi si è lamentato, certo, ma non ha fatto nulla di concreto per opporsi, non ha minacciato di far saltare il banco, neanche un bluff, niente. Al punto da far sorgere il sospetto che più che a vincere stia già pensando a trovare belle scuse per aver perso. Renzi è un cattivo negoziatore perché ha impostato buona parte della sua campagna sullo scontro interno, senza preoccuparsi delle tensioni che si creavano nella base, e che se vincesse porterebbero quasi sicuramente alla scissione del PD. Renzi, venendo allo specifico, sarebbe un cattivo negoziatore coi tedeschi, perché la pensa esattamente come loro: gli italiani sono colpevoli della crisi in cui si trovano, gli italiani devono espiare (i vecchi, almeno). Un tizio così, mi dispiace, Angela Merkel se lo mangia a colazione con l'uovo fritto e la pancetta, e ribadisco che non è una questione generazionale. Io poi forse sarò prevenuto nei confronti della mia generazione, ma anche voi, se cercando non siete riusciti a trovare un rappresentante più credibile di lui, non mi state molto aiutando a prenderla sul serio.

È una mia vecchia, noiosa abitudine quella di invitare i lettori a votare il meno peggio. In questo caso però devo confessare che Bersani non è affatto il mio Meno Peggio; che non mi viene in mente nessuno, in Italia, che possa presiedere nel 2013 un consiglio dei ministri di centrosinistra meglio di lui. Ha alle spalle importanti esperienze di amministratore; da ministro si è dimostrato un riformatore energico (peccato che a quel tempo mancassero i numeri). Da segretario del PD, ha saputo guidare il partito su un terreno complesso e in parte inesplorato. L'ultimo anno, in particolare, è stato un capolavoro di equilibrismo che riusciremo ad apprezzare solo da lontano, quando sarà passato qualche anno, quando sapremo già che non si è spiaccicato al suolo. Ah, non è un grande comunicatore. In televisione lascia sempre un po' in imbarazzo. Dopo vent'anni di berlusconismo, mi basterebbe questo.
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Il Paese più strano del mondo

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Ieri pomeriggio, mentre leggevo qualche pezzo sui bombardamenti tra Gaza e Israele, ho fatto una cosa che di solito preferisco evitare. Ho controllato quanta gente stesse morendo, in quelle stesse ore, qualche centinaio di chilometri più a nord, in Siria. Mi sono bastati pochi secondi per scoprirlo: 101 vittime nella giornata di ieri, tra cui sei bambini. Non so se qualche telegiornale ne abbia parlato. Non credo che nessuno vi abbia sottoposto via facebook le eventuali immagini delle vittime straziate dai bombardamenti. E tuttavia anche quelli sono bombardamenti, anche quelle sono vittime, e la Siria non è in nessun modo più lontana a noi della Striscia di Gaza. In realtà non avevamo bisogno dei fatti tragici di questi giorni per renderci conto che Israele e Palestina ci interessano di più, ci hanno sempre interessato di più di qualsiasi conflitto regionale. Resta comunque lo stupore, che forse vale la pena di coltivare: Damasco e Gerusalemme distano quanto Milano e Bologna. In poco più di duecento chilometri si combattono due guerre: una richiama fotografi e giornalisti da tutto il mondo, l'altra non se la fila nessuno. Perché?

Ci sono tanti motivi. Alcuni perfino comprensibili. L'inerzia, tanto per cominciare: le guerre vanno e vengono, ma i bombardamenti tra Gaza e Israele sono da troppo tempo, ormai, un appuntamento fisso. È una storia che conosciamo già, o almeno crediamo di conoscere; gli attori in campo sono vecchie conoscenze, Hamas e Likud parole entrate nel nostro vocabolario dieci o vent'anni fa che ormai non abbiamo più paura a usare, anche a sproposito; viceversa quel che accade in Siria è il classico esempio di matassa geopolitica che diventerà chiara solo quando si sbroglierà in un senso o nell'altro, e nel frattempo non vogliamo farci fregare. Magari ci scotta un po' la fiducia che abbiamo riposto nelle primavere arabe di un anno fa. In fondo siamo occidentali, tendiamo a identificarci e a empatizzare con una classe media che in queste dittature medio-orientali non necessariamente c'è, e anche quando c'è (in Egitto o in Tunisia) e tenta di contribuire alla rivoluzione, si ritrova presto o tardi a fare il vaso di coccio tra esercito e fondamentalismo islamico. Israele è diverso (continua sull'Unita.it, H1t#154).

Israele sembra davvero più vicino, per cultura più che per geografia. È una democrazia, come i suoi difensori non si stancano di ripetere; una potenza industriale; la sua storia è intrecciata con quella europea, dalla quale del resto le nostre discussioni faticano a districarsi, per cui si può prevedere con precisione quasi statistica che qualcuno tirerà fuori nazismo e shoah a sproposito (stavolta Odifreddi, ma poteva essere chiunque, è un riflesso automatico). Eppure anni di infiniti battibecchi mediatici dovrebbero averci insegnato, se non altro, che paragonare israeliani e nazisti è sempre un suicidio retorico: oltre a essere una chiave di lettura piuttosto banale e brutale (i nipoti degli oppressi che diventano oppressori, ecc.) è soprattutto fuorviante, visto che Israele non sta sterminando i palestinesi. Il che non toglie che quello che sta facendo non possa essere considerato profondamente ingiusto, ma appunto: cosa sta facendo? Lo stillicidio con cui si porta avanti il conflitto è in realtà qualcosa di profondamente nuovo, che non ha precedenti nel Novecento. Non lo capiremo finché continueremo a discutere di ghetti o lager, più per mancanza di fantasia (e necessità, forse, di rifarci a un assoluto morale).
Potrà sembrare strano ai cacciatori di antisemitismo in servizio permanente, ma uno dei motivi per cui Israele ci interessa di più, è che in Israele in qualche modo abbiamo creduto di poterci identificare, proiettando sugli israeliani sensi di colpa che poi non si capisce davvero perché avrebbero dovuto condividere. Ma siamo occidentali, è più forte di noi: in quel piccolo Paese c’è una classe media, che dai film e dai romanzi non sembrava troppo diversa dalla nostra. Israele ci sembrava percorso e minacciato da ideologie e sentimenti che riteniamo familiari: nazionalismo, antisemitismo, fondamentalismo religioso, islamofobia. Tutte queste cose crediamo di riconoscerle, e ci danno una sensazione di familiarità che forse è semplicemente sbagliata. Forse dovremmo semplicemente accettare, dopo più di un mezzo secolo di conflitti e occupazione militare, che gli israeliani non sono come noi. Hanno vissuto guerre molto diverse dalle nostre, in condizioni veramente peculiari. Una potenza nucleare grande quanto una regione italiana, una sottile striscia di terra minacciata da altre strisce altrettanto sottili (e dall’Iran), forse è qualcosa di ancora più alieno della Siria. Questo non significa che non debba interessarci, ma non c’è motivo per considerarlo più vicino di altri conflitti, che ci sembrano lontani e non lo sono.
Forse ci servirebbero occhi nuovi, per smettere di guardare al conflitto israelo-palestinese come all’ultima guerra coloniale (o addirittura all’ultima delle crociate). Basterebbe poco, magari constatare che l’unico vero sconfitto in questi anni è stato qualsiasi progetto alternativo allo status quo: come se occorresse bombardare un po’ tutto, ogni quattro anni, affinché nulla cambi davvero. Potrebbe anche essere l’esempio di un nuovo tipo di guerra di bassa intensità, tra società economicamente progredite e sacche di sottosviluppo, funzionali alla conservazione del potere da una parte e dall’altra della barricata. Un modello di guerra radicalmente nuovo, radicalmente diverso da quelle che siamo soliti descrivere (anche quando descriviamo la Palestina) ma che, via via che la distanza tra ricchi e poveri della terra si accorcia, si potrebbe persino esportare. http://leonardo.blogspot.com


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Voglia di votare Santanchè

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Mi ha lasciato un po' perplesso lo sdegno unanime suscitato qualche giorno fa da Paolo Flores d'Arcais. Intendiamoci, trovo anch'io molto irritante la posizione dello stimato professore che decide di votare Renzi alle primarie e poi Grillo alle legislative, non perché si fidi di nessuno dei due, ma viceversa sperando che in questo modo vada tutto a rotoli a cominciare dal PD (il voto a Renzi lo "disperderebbe come un sacchetto di coriandoli"). Lo trovo un esempio perfetto di quella concezione del Tanto Meglio Tanto Peggio che secondo me è stato il vero nemico interno della sinistra italiana, forse più micidiale di Berlusconi: l'impulso all'autodistruzione che scatta ogni volta che ci accorgiamo che il partito o la coalizione che ci rappresenta non è il migliore dei partiti o delle coalizioni possibili, e allora? E allora bisogna spaccare tutto, far cadere il governo se siamo al governo noi (Bertinotti, D'Alema), fonderci con qualsiasi cosa ci sia alla nostra destra, Rutelli, Calearo, gli acari della polvere (Veltroni). Leggendo qualche riga in più si scopre che Flores d'Arcais ce l'ha ormai con chiunque abbia provato a fare politica a sinistra: "Pd, ma anche Idv, Sel e residui rifondazionisti", in pratica chiunque si sia candidato è diventato in breve "nomenklatura partitocratica", non si salva più niente.

Questa voglia di tabula rasa che ci assale ogni due o tre anni, sempre alla ricerca di una formula diversa, di una quadra nuova (poi ti accorgi che stanno riciclando Blair per la terza volta) è così diffusa, così metabolizzata, che Renzi può imbastirci sopra una campagna. L'insofferenza di Flores d'Arcais per il PD è a ben vedere più antica del PD stesso, e forse meriterebbe di essere rottamata per prima. Però.

Però cento volte meglio Flores D'Arcais, che annuncia che voterà Renzi anche se non sopporta Renzi, e Grillo anche se non ha particolare stima per Grillo; cento volte meglio lui che ha capito che il voto è un gioco (non molto divertente, ma è un gioco), in cui si può talvolta giocare di sponda, scegliendo x per ottenere y. Cento volte meglio lui di tutti i puristi del voto, quelli che vogliono solo x, e finché non ottengono x si rifiutano di votare qualsiasi cosa non sia assolutamente corrispondente a x. Meglio un machiavellismo sbilenco, il finto "cinismo costituzionale" per cui la combinazione Renzi+Grillo dovrebbe far saltare qualche sigillo dell'apocalisse, piuttosto che l'eterna lagna di quelli che Renzi no perché non è abbastanza di sinistra, Bersani no perché è di sinistra ma apparato, Vendola no perché è velleitario, Puppato no, Tabacci no, no, no, no. Viva Flores D'Arcais che almeno ha capito che il voto non è una questione d'identità, non è una liturgia in cui si proclama la propria consustanzialità con il candidato, e che si può votare Renzi anche se non si crede del tutto in lui, o anche se francamente lo si detesta. Viva Flores e abbasso le verginelle che nel segreto dell'urna assolutamente non possono cedere a nessun compromesso perché, boh, si vede che Dio le vede. Io penso che Dio abbia di meglio da fare che spiarmi proprio lì; del resto cedo a compromessi praticamente tutti i giorni, vendo pezzi del mio corpo un tot all'ora, voi no? Beati voi.

Io son flessibile, anche se a Ichino piacerebbe flettermi un po' di più ma non si può aver tutto; reclamo perciò il diritto di infilarmi in qualsiasi fessura mi consenta di difendere i miei diritti (legalmente, si capisce), e a tal proposito annuncio che se faranno sul serio le primarie del centrodestra, e le faranno con regole simili a quelle del centrosinistra, ci andrò. E vorrei proprio vedere chi mi tiene fuori, e con che motivazioni. Perché non dovrei dire la mia? Perché dovrei rinunciare, a priori, alla possibilità di votare il PdL? Mettiamo che non mi piaccia il candidato che esce dalle primarie del PD; mettiamo che, per qualsiasi motivo, il PdL me ne proponga uno più interessante, o viceversa talmente scrauso da assicurare l'autogol decisivo: mettiamo che io faccia un calcolo, magari meno raffinato di quello del professor Flores D'Arcais, e che questo calcolo mi dica che la candidatura di Daniela Santanchè può davvero rendere l'Italia un posto migliore: a quel punto recarmi alle primarie del PdL e votare Santanchè diventa per me un dovere civico, una cosa che potrei persino rimproverarmi di non aver fatto. Tra l'altro pare che la Santanchè si stia avvalendo dei consigli di Rondolino, l'uomo che (IRONIA) rese simpatico Massimo D'Alema (/IRONIA). Ecco, a un team del genere mi sembra impossibile non augurare una carriera di successi al vertice del principale partito di centrodestra, previo sbaragliamento di tutti i candidati più credibili. Se in questo battaglia serve il mio voto, eccolo, è qui, ma ve lo porto dovunque serva. Mi date l'indirizzo e mi arrangio, faccio anche il quarto d'ora di fila, ci ho resistenza.
Son mica renziano.
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Striscia, il futuro

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La verità è che siamo pigri. Non è nemmeno colpa nostra. Siamo cresciuti in un mondo in espansione, tutto stava andando per il meglio e nessuno sentiva l'esigenza di frustarci se sbagliavamo le coniugazioni. L'importante era essere felici, trovare la nostra strada, la nostra creatività, e poi c'era posto per tutti e saremmo tutti diventati artisti scienziati ballerini in tv. Così siamo cresciuti effettivamente molto espansivi e pieni di idee, di intuizioni e altre cazzatine, ma come dire, ci manca un po' il mordente.

Anche quando arrivò la globalizzazione, i nostri genitori non si spaventarono più di tanto, all'inizio la consideravano soprattutto come una globalizzazione di manovali colf badanti e puttane, tutti mestieri che intendevano evitare ai figli, e tanto meglio se il prezzo di quel tipo di prestazioni crollava. Che dall'altra parte del mondo ci fosse gente disposta a sanguinare nelle fabbriche e sui libri per fotterci la competitività; che dall'altra parte del mondo ci fosse un altro mondo intero più giovane e disposto a tutto; che nel 2012 persino gli operatori dei call center cominciassero a tradire un accento bengalese: questo proprio non lo potevano immaginare, e invece.

Ora vallo a spiegare alla Seconda Erre, che se non imparano sul serio gli irregolari della seconda coniugazione, da qualche parte del delta del Gange c'è un tizio in uno scantinato che li sta studiando meglio di loro, e che tra dieci anni gli fregherà il telelavoro. È un discorso che non capiscono, anche perché per farglielo è inevitabile usare qualche irregolare della seconda coniugazione. Sono piccoli, non pensano al futuro, o meglio ci pensano perché fanno tanti disegnini, sono tutti piccoli Matt Groening che a scuola disegnava solo coniglietti e poi ha inventato i Simpson ed è diventato ricco e questo è un grosso argomento contro il divieto di fare disegnini in classe. Quanto a reintrodurre il frustino, il consiglio d'istituto non capirebbe. Quindi che si fa.

Una volta si facevano le guerre, più o meno una generazione sì una no aveva la sua bella guerra, bella per modo di dire, in realtà quasi sempre orrenda: una generazione la faceva, quella successiva se la faceva raccontare, e per quaranta cinquant'anni avevi risolto un po' di problemi occupazionali, formativi, per tacere delle enormi opportunità industriali e urbanistiche. Non è mica un deficiente l'essere umano, parlo in generale: se ha sempre fatto delle guerre si vede che ci si trovava bene. Meglio che i lemming con quella storia delle estinzioni di massa, che tra parentesi è una leggenda urbana. Ma a un certo punto questa cosa di fare guerre sempre più tecnologicamente avanzate ci è un po' scappata di mano, sono state scoperte reazioni a catena che potrebbero estinguere la specie, così adesso almeno in Europa non si può più, e te ne accorgi dalla gioventù che dopo sessant'anni ti ritrovi tra i piedi. Per carità quasi tutti simpatici, e poi che bei denti, e che guance paffute, quanti progressi nell'alimentazione e nell'igiene. Soltanto un po', come dire, smidollati. Ma non è mica colpa nostra. Cosa ne sapevamo.

Tutto questo per dire che se siete venuti qua cercando un un pezzo che stigmatizzasse gli scontri nelle manifestazioni, le guerriglie più o meno giovanili, ormai rituali, sganciate da qualsiasi percorso di causa-effetto... ripassate magari tra qualche anno, non sono ancora così rincoglionito (anche se prometto bene). Mi dispiace certo che vada a finire sempre così, ma questo istinto a giocare alla guerra lo capisco. È evidente che in Italia - ma in Europa in generale - è sfruttato ancora male, canalizzato in eventi calcistici o sindacali che in fondo non c'entrano nulla. Altrove hanno capito come fare, altrove sono stati più furbi. Forse è genetica, ma secondo me è soprattutto necessità.

E allora forse dovremmo smetterla di chiedere la pace in Medio Oriente come se noi avessimo qualcosa da insegnare al Medio Oriente - quando forse a questo punto è il contrario: è il Medio Oriente che ci mostra la via, è il litigioso Medio Oriente il futuro dell'Europa e magari, dai, del mondo. Forse nel futuro avremo tutti diritto a una nostra Striscia di Gaza a quaranta-cinquanta km dalle nostre case: un recinto pieno di uomini cattivi che ci tirano i razzi e ci distruggono pollai o asili nido. Lo si alleva con molta attenzione, isolandolo il più possibile da qualsiasi contatto con la realtà, e poi ogni quattro anni si organizza una guerra, ma mica una cosa tragica stile Novecento, una cosa molto più tranquilla, una spedizione punitiva, si va nel pollaio e si rompono le uova, e arrivederci al prossimo bisestile: olimpiadi, elezioni americane, bombardamento nella striscia. Tenersi una Striscia sotto casa presenta tutta una serie di vantaggi da non sottovalutare: certo, sporca un po', ma è relativamente piccola, e soprattutto, per quanto sia cattiva, alla fine vinci sempre tu (vincere è importante). E ai giovani altro che SCO, ai giovani puoi far fare il servizio militare come ai vecchi tempi, e vedrai che anche la scuola la prenderanno meno sottogamba, coi cattivoni alle porte di casa. Studiate ragazzi, e studiate cose utili, e studiatele sul serio. Non vorrete mica diventare la Striscia di qualcun altro?
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Renzi e il volontariato obbligatorio

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Sarebbe bello se, tra tanti temi dibattuti in queste ore alla Leopolda, Renzi o chi per lui volesse dire finalmente qualche parola più chiara sul Servizio Civile. Sarebbe bello perché fin qui ne ha parlato in molti modi: sul programma si legge di un servizio europeo "su base volontaria", mentre ultimamente nei comizi Renzi ha detto che lo vorrebbe obbligatorio, a livello europeo. Però durante il dibattito su Sky ne ha parlato come di un sogno, e in effetti non sembra molto realizzabile nei tempi brevi, dal momento che nessun grande Paese in Europa prevede per i suoi cittadini un obbligo di questo tipo.

Qualche giorno fa, però, a chi gli domandava un parere sull'insegnamento dell'Inno di Mameli nelle scuole, Renzi ha affermato che "se vogliamo creare senso di appartenenza, identità e comunità non c'e' che una strada: il servizio civile obbligatorio. Magari solo per tre mesi. Ma obbligatorio, per donne e per uomini. Lì sì che si fa l'Italia''. Insomma, almeno in quel caso sembrava avere in mente una dimensione più nazionale che europea. A questo punto però forse si fa prima a domandarglielo direttamente: Renzi, che servizio vuoi? Lo vuoi obbligatorio o volontario? Lo vuoi italiano (subito) o europeo (molto dopo)? E da dove le prenderemmo le risorse? Perché a occhio forzare tutti i maggiorenni a tre o sei mesi di lavori socialmente utili sarebbe un impegno mica da ridere. Può darsi che in tempi medio-lunghi si riveli un risparmio, ma qualche spesa strutturale sarebbe necessaria.

Diamo per scontato alcune cose (che in realtà scontate non sono): probabilmente gli studenti universitari potrebbero chiedere il rinvio, come ai vecchi tempi della naja. Poi, una volta laureati, invece di gettarsi immediatamente nel mercato del lavoro (che si spera non resterà sempre così asfittico) dovranno aspettare una cartolina per qualche mese, e perdere qualche altro mese senza riuscire a portare a casa (quale casa?) qualche soldo. È lecito immaginare che gli stipendi sarebbero molto bassi (come ai vecchi tempi del servizio sostitutivo della naja), sotto il livello dell'autosufficienza. Probabilmente Renzi non prevede di dover fornire un alloggio a tutti, e quindi in sostanza la cosa si traduce in una tassa per le famiglie, a cui toccherebbe mantenere i figli per i tre o sei mesi necessari. A questo si potrebbe obiettare che tanto succede già così, i figli stanno in casa fino ai trent'anni, tre o sei mesi non fanno nessuna differenza. Sì: diciamo che non costituiscono nessun passo avanti verso l'autosufficienza.

In questi giorni ne ho discusso con qualche ex obiettore (continua sull'unita.it, H1t#153).

In questi giorni ne ho discusso con qualche ex obiettore, che ricordava con piacere il proprio servizio civile (anch’io ho nostalgia del mio), come un’esperienza formativa che in certi casi è stato il primo nucleo di una competenza professionale. Tutto bellissimo, ma non stiamo parlando di quel servizio civile lì.
Stiamo parlando di una leva obbligatoria, di tre o sei mesi, che i giovani subirebbero passivamente, perché obbligati. E quindi, se vogliamo immaginare qualcosa di paragonabile, dobbiamo pensare allo scarsissimo entusiasmo con cui i nostri coetanei partivano per la naja – ecco, magari il servizio obbligatorio risulterà più utile e interessante che passare due mesi di addestramento e dieci a grattarsi in caserma – però non pensate nemmeno per un istante che masse di neodiplomati o neolaureati lo andranno a fare con entusiasmo. Lo dice la parola: obbligatorio.
Chi fino al 2004 sceglieva di lavorare in ospedale o in casa di cura, piuttosto di finire in caserma, aveva una motivazione, che si traduceva (non sempre) in impegno personale. Non è il caso dei futuri “volontari obbligati”, a cui non si chiede nessuna motivazione, e non si minaccia nemmeno lo spauracchio della caserma. Alcuni di loro magari scopriranno che sono portati per il socio-assistenziale, il para-medico, l’associazionismo ecc. La maggior parte no: saranno una massa de-qualificata che verrà destinata a svolgere mansioni che nessun altro farebbe quasi gratis. Si creeranno competenze? Può darsi, ma non è detto che siano assorbite da quello stesso mercato in cui saranno immessi centinaia di migliaia di ragazzi ogni tre o sei mesi. Manodopera pochissimo qualificata, ma magari qualche casa di cura, qualche associazione, deciderà di avvalersene e di assumere un professionista in meno.
A trarne immediato beneficio saranno le associazioni convenzionate con lo Stato, che rinverdiranno i fasti degli anni Novanta, quando potevano contare sul lavoro (sottopagatissimo) degli obiettori di coscienza. E in effetti per ora l’unico effetto misurabile delle parole di Renzi è stata l’entusiastica adesione del mondo del volontariato, che il Servizio Civile Obbligatorio lo chiede da anni a ogni interlocutore politico. Qui magari ci sarebbe da discutere sul senso di un “volontariato” che reclama il suo diritto ad arrivare dove lo Stato non riesce (secondo il tanto sbandierato principio della sussidiarietà), e che per farlo chiede allo Stato di assumere tutti i diciottenni o i neolaureati per tre o sei mesi, a spese nostre. Ma questa discussione toccherebbe forse ai sostenitori di Renzi che si considerano ancora liberali.  http://leonardo.blogspot.com
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