Tom Cruise caduto sulla Terra

Permalink
Oblivion (Joseph Kosinski, 2013).

In un residence sospeso su un pianeta Terra in fase di smantellamento, ogni mattina Jack e Victoria si svegliano, si danno due bacetti e vanno a combattere gli alieni che hanno distrutto la Luna e reso il pianeta inabitabile. Non è che si ricordino molto del passato; comunque la loro missione è difendere le gigantesche idrovore che trasformano l'acqua in energia per il resto della razza umana, che adesso vive su una luna di Saturno. Ma le cose stanno davvero così? No.

È anche un porno per architetti, diciàmocelo.
E lo spettatore un po' smagato lo capisce subito; diciamo che al primo minuto del film Tom Cruise ha già accennato a una procedura di Cancellazione della Memoria, che è un po' come quando all'inizio del Sesto Senso Bruce Willis sembra che muoia, poi invece sembra di no, poi ti accorgi che nessuno gli sta rivolgendo la parola, e devi restare al cinema per un'altra ora e mezza. Voglio dire, è chiaro che c'è qualcosa che non va, se ti hanno cancellato la memoria. Siamo in un (bel) film di fantascienza; se all'inizio ti cancellano la memoria il minimo che possa succedere è che qualcuno non ti stia raccontando le cose come sono andate veramente. E a questo punto che mi resta da fare, bullarmi perché in sala ho capito il colpo di scena con tre quarti d'ora d'anticipo? Sgattaiolare nella sala di fianco e guardarmi Brignano? Invece no, sono rimasto inchiodato davanti a Oblivion e ne è valsa la pena come poche volte quest'anno.

Certe volte bisogna rassegnarsi. Se un film ti ricorda altri film, se nessuna trama ti sembra più originale, se a metà film stai già indovinando come andrà a finire, non è necessariamente colpa del film. Può anche essere colpa tua, ne hai visti troppi. Non sei più lo spettatore ideale di un film di fantascienza, un ragazzino disposto alla sorpresa. Sei diventato un'enciclopedia ambulante di luoghi comuni cinematografici e la cosa non è necessariamente piacevole - soprattutto quando nella scena topica del film ti viene in mente Indipendence Day. E non è un'allucinazione, la situazione ricorda davvero il più cazzaro dei blockbuster anni Novanta, salvo il particolare che quello era un brutto film, questo no. Non è un problema di Joseph Kosinski, che ha attinto allo stesso immaginario da cui pescavano i cazzari di Indipendence. È un problema tuo che ancora ti ricordi quel filmaccio, ti ci vorrebbe un protocollo per la cancellazione della memoria che ti permettesse di godere di più i film che valgono la pena.

Oblivion vale la pena. Somiglia ad altri film del passato più o meno recente, salvo che è fatto meglio: con più rigore, più amore per il materiale, più effetti, più soldi. Fortunata la generazione che può andare al cinema e stupirsi per film così, invece che per Indipendence Day. Il fatto che non dica molto di nuovo è meno paradossale di quel che possa sembrare per un film di fantascienza. Diciamo che c'è un tipo di immaginario, fatto di basi spaziali un po' squadrate e paesaggi desolati dopobomba, che quando eravamo bambini era già maturo e stratificato sulle pagine dei fumetti, e che solo negli ultimi anni è diventato trasferibile nei lungometraggi non animati. Kosinski è arrivato al cinema dall'architettura (e si vede) e dai fumetti (e si capisce); nella sua opera prima ha trasformato l'universo di Tron in qualcosa di credibile. Stavolta mette in scena una sua graphic novel, e senz'altro il suo interesse è più per la resa visuale (andrebbe visto in un Imax) che per la storia. Che in fin dei conti è una storia di sf classica; ecco, forse noi enciclopedie di luoghi comuni ambulanti dovremmo smettere di surfare sulle onde di questo o quel revival, e capire che certe cose non passeranno mai di moda: le capsule di ibernazione, i computer cattivi con l'occhio rosso, i Led Zeppelin, le biblioteche sepolte coi libri putridi, le orde di freak che vivono negli scantinati, tutti questi elementi non sono citazioni dagli anni Settanta Ottanta o Novanta: sono cose classiche, è normale che si ripropongano a ogni generazione, perché sono fuori del tempo come il berrettino degli Yankees e le borse Chanel, ecco un argomento che potete spendere con la ragazza mentre la portate a guardare Oblivion.

Un altro argomento è Tom Cruise, che fa benissimo a fare e finanziare film di fantascienza: dovrebbe farne di più, e probabilmente dovrebbe fare solo quelli - fateci caso, ormai sono gli unici in cui funziona ancora - probabilmente è l'unico modo in cui la nostra generazione di spettatori può esorcizzare il fatto che la nostra prima fiamma delle elementari aveva già sul diario più o meno la stessa faccia di Tom Cruise che nel 2013 ripara i droni di Oblivion. Sono passati davvero tutti questi anni? O siamo stati rapiti da un'entità aliena che in una notte ci ha invecchiato di un quarto di secolo, e l'unico che si è salvato è Tom Cruise, che ci sta inviando messaggi tramite i suoi film? Oppure è un clone (ops).

Il terzo argomento (non c'è mai abbondanza di argomenti) è la frase "Siamo ancora una squadra efficiente?" Dopo il film passerete anni a chiedervelo, un po' scherzando e un po' no. Forse la differenza tra Oblivion e prodotti brutti che un po' gli somigliano sta anche in dettagli che nei filmoni-di-effetti-speciali in genere passano in secondo piano, come la recitazione. L'attrice inglese Andrea Riseborough con pochi minuti a disposizione ci regala una perfetta moglie-dell'astronauta-frustrata. Melissa Leo ha ancora meno spazio e tempo per interpretare un personaggio memorabile. Olga Kurylenko è la bella addormentata che tutti vorremmo trovare nella capsula di ibernazione, Morgan Freeman è il solito vecchio saggio in quota minoranze ma va bene. Se vi piace il genere, è uno dei due o tre biglietti di quest'anno che sarete contenti di aver staccato.

Oblivion è al Cine4 di Alba (ore 19:30, 22:00); al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo (20:10; 21:00; 22:45); al Vittoria di Bra (21:15); al Multilanghe di Dogliani (21:30); ai Portici di Fossano (21:30); all'Italia di Saluzzo (20:00; 22:15); al Cinecittà di Savigliano (20:20; 22:30). Buona visione. Siete ancora una squadra efficiente?
Comments (2)

Anonima parlamentari

Permalink
Ieri gli iscritti al Movimento 5 Stelle ("al 31 dicembre 2012") hanno votato on line il loro candidato alla presidenza della Repubblica. È solo il primo turno; lunedì avverrà un "ballottaggio" tra i dieci nomi più votati - il che significa che probabilmente il vincitore della competizione non avrà la maggioranza assoluta dei consensi nemmeno tra gli elettori m5s. È comunque un po' presto per fare previsioni: per ora tra i nomi più frequenti sui social network ci sono per lo più persone che hanno fatto altri mestieri (Gino Strada, Milena Gabanelli), figure che ci dicono molto dell'immaginario grillino (la centralità del videogiornalismo, l'antagonismo barricadero) ma che è difficile immaginare realmente candidati al Colle. Va da sé che qualcuno voterà direttamente Beppe Grillo: non ci è dato sapere quanti, né se a Grillo interessi o serva un trampolino del genere. Si vedrà più avanti.

Per adesso è interessante osservare il modo in cui il MoVimento punta, consapevolmente o meno, a una repubblica di fatto presidenziale, aggirando la Costituzione. Non c'è bisogno di abrogarla là dove prevede che il presidente sia nominato dal parlamento; è sufficiente trasformare il parlamento in una semplice assemblea di esecutori della volontà popolare, pronta a esprimersi in ogni momento attraverso sondaggi on line sulla piattaforma del MoVimento. Qualcosa di simile ai "grandi elettori" che vengono eletti dai cittadini americani in occasione delle elezioni presidenziali, e ai quali, salvo imprevisti, non viene chiesto che votare esattamente il candidato indicato dai cittadini. È in questo modo che assume un senso anche la boutade di Grillo sull'aspirazione del M5S a raggiungere "il 100% dei consensi": il MoVimento non è un partito - e infatti coi partiti non dialoga - il MoVimento è la piattaforma in cui in futuro i cittadini voteranno le loro leggi ed eleggeranno i loro rappresentanti, compreso il Presidente, senza passare attraverso i partiti. Anche se per ora la piattaforma non è ancora pronta, Casaleggio ci sta lavorando ma è molto impegnato; comunque adesso si prova a eleggere l'inquilino del Quirinale e vediamo come va.

È curioso notare come Grillo, che accusa gli altri partiti di aver trasformato i parlamentari in "figure di cartone", in sostanza consideri i senatori e i deputati non molto più che pigia-bottoni, dai quali non pretende nessuna competenze o professionalità: e infatti dopo due mandati li vuole fuori dai piedi. Dal suo punto di vista non ha tutti i torti, un pigia-bottoni non diventa più bravo dopo cinque anni passati a pigiare bottoni; può però abituarsi agli ozi romani e farsi fotografare alla buvette (continua sull'Unita.it, H1t#174).

In questo programma di superamento e aggiramento delle istituzioni repubblicane  il MoVimento rivela un certa continuità con il passato che pretende di distruggere, e in particolare il berlusconismo. È berlusconiano il tentativo di trasformare l’Italia in una repubblica presidenziale de facto, mutando le elezioni legislative in referendum sulla sua persona (agli italiani era chiesto di barrare o no una croce sul simbolo “Berlusconi presidente”). È sua in fondo anche la concezione del parlamentare come dipendente, da gratificare minacciare o licenziare, e perché no sostituire con qualche elemento strappato alla concorrenza. A questo modello aziendalista Grillo si è ispirato, sostituendo l’immagine del Boss con quella del popolo: i parlamentari, ci ha spiegato, sono nostri dipendenti: non di Berlusconi (e nemmeno di Bersani), ma nostri. Non ci resta che votare e fidarci di Beppe, che più che megafono in questo momento sembra incarnare la figura di un bizzoso amministratore delegato.
In fondo il grillismo è una delle conseguenze del porcellum, la legge elettorale voluta da Berlusconi e che nessun contendente è mai riuscito a cambiare. Abolendo le preferenze, attribuendo ai vertici di partito la totale responsabilità sui nomi da mettere in lista, il porcellum ha eliminato ogni residua necessità di individuare candidati credibili, radicati in un territorio. Proprio nel momento in cui la fiducia nei confronti dei partiti toccava il punto più basso, questi ultimi hanno tolto l’ultima possibilità per l’elettore di segnalare il proprio disagio nei confronti di un candidato indigesto. Il porcellum ha creato le premesse per il successo di un partito di anonimi pigia-tasto: tra i peones di Grillo e quelli di Berlusconi, abbiamo pensato tutti, magari ci sarebbe stato addirittura un salto di qualità – che finora, purtroppo non si è veduto. Ma in un certo senso il M5S è il partito che meglio di tutti incarna la filosofia del porcellum: non si votano le persone, si vota un simbolino che è proprietà di qualcuno che sceglie per te le persone. Se poi è tanto onesto e gentile da aprire consultazioni on line per comporre le liste, tanto meglio, ma non è che faccia molta differenza: in un modello del genere, il candidato ideale non ha né personalità né dubbi, è un automa autorizzato a pigiare determinati tasti durante determinate votazioni. Fa un po’ paura, ma ha un senso. Potrebbe persino funzionare.
Il partito degli anonimi ha però un punto debole: non può, per definizione, esprimere candidati credibili alle cariche più importanti. Lo si è visto al momento di individuare i presidenti delle camere, e ancor più durante le tragicomiche consultazioni in cui il M5S ha reclamato un incarico di governo senza spiegare chi, in concreto, avrebbe voluto mandare a Palazzo Chigi. Dietro all’enigma surreale c’è una banalissima ammissione di inadeguatezza: il partito di anonimi non ha nessun candidato credibile. Non li ha nemmeno per il Quirinale: Grillo in un primissimo momento aveva buttato lì Dario Fo; pretattica o semplice ingenuità? Non lo sapremo mai: c’è da sperare che i suoi iscritti siano un po’ meno confusi di lui.
Nel frattempo Bersani e Berlusconi negoziano. In discussione non può che esserci la riforma elettorale: tutto il resto potrebbe anche essere rimandato dopo nuove elezioni, ma il porcellum va cambiato, a parole sono d’accordo tutti. Personalmente – per quel che conta – avrei preferito che l’accordo lo avessero fatto Pd e M5S, ma le possibilità erano scarse fin dall’inizio. A questo punto la logica, e la pragmatica, ci suggeriscono che due grandi partiti su tre si mettano d’accordo su una legge elettorale disegnata in modo da sfavorire il terzo. E siccome il terzo è un partito di anonimi, è lecito supporre che la prossima legge rimetterà in primo piano le personalità dei candidati. Sarebbe una buona notizia, credo, persino per molti elettori M5S. http://leonardo.blogspot.com
Comments (12)

Papà era una scheggia bionda

Permalink
Fate molto, molto posto
sulla vostra Smemoranda.
Come un tuono (The Place Beyond the Pines, Derek Cianfrance, 2013)

Ryan Gosling è un mentecatto. No. Ryan Gosling è sempre il bravo attore e sex symbol che sappiamo. Ma all'inizio del film, intendo, Ryan Gosling è un mentecatto che nella vita sa fare una cosa soltanto: correre in moto, come un fulmine. In attesa di schiantarsi, prevedibilmente, come un tuono. Ma finché se ne sta bravo a vorticare nella sua ruota per criceti, l'attrazione della fiera itinerante, va tutto bene. Probabilmente ha una donna in ogni città, per esempio a Schenectady, New York, si vede con Eva Mendes: caccia via. Un anno però quando bussa alla sua porta si trova davanti un neonato. "E questo chi è?" "È tuo figlio". A questo punto qualcosa nella testa comincia a girargli nel modo sbagliato, come una ruota che sta per mollare il mozzo. Ryan lascia il circo e decide di cambiare vita. Il che non significa cambiare la stessa maglietta unta e bucata che sta indossando da mezz'ora alla rovescio (la porta anche in chiesa quando assiste al battesimo). Nel suo caso consiste nell'accamparsi in un garage nei boschi e mettersi a rapinare le banche: è così che si conquistano le madri dei propri figli, non lo sapevate? Facendosi vivi all'improvviso con un sacco di soldi o pacchetti senza perder troppo tempo in spiegazioni, mandando all'ospedale il nuovo compagno di Eva non appena se ne presenta l'occasione. C'è poi il piccolo particolare che Schenectady è una cittadina di sessantamila abitanti, e Ryan ci ha preso gusto e vuole svuotare tutte le filiali di tutte le banche con la stessa semplicissima modalità. In pratica sta solo aspettando di andarsi a schiantare, ma lo schianto avrà conseguenze impreviste su tanti altri personaggi interessanti che non vi racconto (ma continuo su +eventi!)


MILF DEL MILLENNIO
Come un tuono comincia come un esercizio sul fascino di Ryan Gosling. Ogni tanto i registi le fanno, queste cose. Cianfrance, che all'attore deve il successo della sua apprezzata opera seconda (Blue Valentine), gli ricambia il favore calandolo nei panni di un povero coglione senza prospettive, forse solo per il gusto di dimostrare che anche se gli metti in testa i capelli di Enzo Paolo Turchi e gli dissacri i polpacci e gli zigomi coi tatuaggi più dozzinali, Gosling rimane assolutamente Gosling. Non deve dire nulla, anzi, meno parla meglio è, visto che non dice e non fa nulla che non sia intrinsecamente stupido. Ed è giusto così, se gli scappasse qualcosa di intelligente l'Incantesimo si spezzerebbe di colpo e ci troveremmo davanti un rospo con la parrucca bionda. È Luke il Bello, non gli si chiede altro che essere bellissimo e stupido e andarsi a schiantare contro muretti e marciapiedi. Quando arrivò a questi livelli, Mickey Rourke cominciò ad andare in giro a farsi spaccare la faccia da professionisti. Speriamo bene.

Come il tuono è anche la storia di Avery Cross (Bradley Cooper), un giovane laureato in legge che invece di seguire la carriera del padre giudice di Corte Suprema, decide di passare ai fatti, sporcarsi le mani, arruolarsi nella polizia di Schenectady. Salvo rimanere disgustato quando le mani dovrà sporcarsele davvero. Il "posto oltre i pini" del titolo originale è l'antico significato del termine Schenectady, una di quelle cittadine americane in cui sembra che nulla possa succedere e invece è successo di tutto. Ma è anche la radura dove sia Luke che Cross perderanno l'innocenza, scoprendo i fili delle rispettive marionette sociali: un figlio di giudice di Corte suprema sarà sempre un figlio di giudice, e un figlio di NN resterà sempre una scheggia impazzita fuori dalla ruota dei criceti. Come il tuono è un film sulla paternità, sul panico che ti assale quando ti mettono in braccia per la prima volta un piccolo tizio e non sai come pulirti le mani dal grasso d'officina, né come difenderlo da un mondo che tu stesso non capisci; il primo istinto è uscire nella foresta a cercare il cibo, ma se ti allontani troppo dalla caverna quando torni lui sarà un sedicenne deficiente che si fa le canne cogli amichetti in casa tua.

Come il tuono è un film che attira gli spettatori col miraggio di un Gosling in motocicletta e di una raggiante Eva Mendes in sottoveste, ma poi li sequestra sulla poltrona con una lunga riflessione sui tragici casi della paternità e più in generale della vita che ricorda un po' Iñárritu, in particolare quella sensazione che prova il cinefilo dilettante dopo due ore di Iñárritu, "non è che non mi interessino tutte queste storie, anzi, magari quando esce il dvd mi vedo altri sessanta minuti di destini intrecciati a causa di tragici incidenti, però adesso fatemi andare al bagno, per favore". È un film lunghissimo, dovrebbero avvertire la gente di una certa età: non prendete la Coca grande, venite già pisciati, ecc.. Lo so, non è il massimo come recensione.

È che non mi sono mai sentito così inadeguato. Ieri è morto il principe dei recensori USA, Roger Ebert. Sul web c'è un sacco di gente che linka le sue stroncature più divertenti. Dopo averne lette  un po', mettersi qui a scrivere un pezzo su un film è un po' come fare karaoke dopo aver sentito le Variazioni Goldberg. C'è solo da fare in fretta, chiedere scusa e andare a sbattere. Di me non raccontate niente ai bambini.

Come un tuono è al Cityplex Cine4 di Alba (ore 21:00) e al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo (20:00 22:45). Dura veramente parecchio. Buona visione
Comments (5)

10.000 aborti, il Bilderberg e un pazzo scatenato

Permalink
Mara Carfagna la vorrebbe al Quirinale. Micaela Biancofiore è d'accordo. Ma la vera notizia è che un terzo degli italiani, secondo un sondaggio IPR Marketing, vorrebbe Emma Bonino presidente della Repubblica. Quattordici anni dopo la campagna "Bonino for president", che portò una lista radicale alle elezioni europee oltre l'otto per cento (record assoluto), la Bonino gode ancora di una capitale di fiducia e di stima che nessun politico di primo piano oggi in Italia potrebbe vantare. Peccato che al Colle non si salga coi sondaggi: ben pochi degli inquilini precedenti avrebbero vinto una simile gara di popolarità. Le possibilità che Emma Bonino non sia anche stavolta un nome da bruciare in fase di pre-tattica sono abbastanza esigue. Ed è un peccato.

Anche chi non nutre particolare simpatia per il personaggio non può negare che la Bonino abbia tutte le carte in regola per aspirare alla prima carica della Repubblica: ha le competenze, un alto senso delle istituzioni maturato in decenni di esperienza in Italia e soprattutto all'estero; ha combattuto battaglie radicali ma conosce l'arte del compromesso; e ha sempre preferito tenersi ai margini del teatrino mediatico della politica italiana: il che potrebbe essere poi il vero motivo per cui molti italiani la preferiscono ad altri politici e politiche che conoscono meglio. Ciononostante è davvero difficile che questo parlamento la nomini presidente, per almeno tre motivi talmente ovvi che molti osservatori non si preoccupano nemmeno di metterli nero su bianco. Facciamolo qui. Se tra un mese scopriremo di esserci sbagliati, saremo i primi a esserne contenti (continua sull'Unita.it, H1t#173)


Bonino al Colle? Tre motivi per cui sarà difficile


1. L’annosa polemica sull’aborto
Nel 1975, molto prima che l’aborto diventasse legale, la Bonino si autodenunciò per aver eseguito, presso il Centro di sterilizzazione e di informazione sull’aborto da lei fondato, qualcosa come diecimila interruzioni di gravidanza. È un dato molto facile da recuperare in rete, che in un qualche modo sembra rimosso dal dibattito, nel momento in cui per esempio viene celebrato in una chiesa il rito funebre per Mariangela Melato e molti si stupiscono che all’amica Emma Bonino un sacerdote cattolico impedisca di parlare. Ci si sarebbe dovuto stupire del contrario, considerando che per un cattolico praticante l’aborto rimane un omicidio. Certo, ormai neppure gli esponenti parlamentari più integralisti si fanno sfuggire cenni a una possibile modifica della legge 104; in compenso si parla con sempre più insistenza di “valori non negoziabili”, anche tra i cattolici del PD che sono ben rappresentati in parlamento (rispetto all’elettorato di riferimento; questa almeno è l’impressione). Secondo questi valori, Emma Bonino era e resta una stragista; non una mera esecutrice di ordini, ma una teorica dello stragismo di Stato. C’è da chiedersi se il Papa le stringerebbe la mano, e il Papa per altro è nuovo di zecca, per adesso lo amano tutti (ne parlano bene perfino su beppegrillo.it). Peraltro i cattolici hanno la sensazione che il Quirinale stavolta tocchi a loro: Berlusconi certo esagera quando dice che gli ultimi due presidenti sono stati di sinistra; ma Ciampi e Napolitano sono stati presidenti laici di un paese in cui la Chiesa cattolica continua a considerarsi una comunità maggioritaria. È davvero molto difficile che dopo di loro i cattolici del parlamento si rassegnino a votare l’abortista Emma Bonino. Niente di personale – probabilmente la stimano più di tanti confratelli esponenti di partiti avversari – ma la prospettiva di un settennato ancora più laico dei precedenti non deve esaltarli.
2. Il Bilderberg club
Nel novembre 2011, mentre Monti muoveva i primi passi da Presidente del Consiglio incaricato, in un clima di generale benevolenza, il blog di Beppe Grillo fu uno dei pochi a esprimere subito dei dubbi: 
Mario Monti sarà anche bravo, sarà un economista di valore, sarà tutto quello che vuoi. E’ certificata, però, la sua appartenenza a certe associazioni sulle quali non mi esprimo. Cito il Bilderberg Group, ad esempio. Ecco, sapete chi fa parte del Bilderberg oltre a Monti? Tale Emma Bonino. E sapete quale è stata la prima senatrice ad abbracciare Monti oggi in Senato? Emma Bonino.
La partecipazione di Emma Bonino a qualche dibattito del Bilderberg Group potrebbe essere considerata una semplice curiosità, se il club in questione non fosse un incubo ricorrente di tutti i complottisti nostrani, molti dei quali hanno nidificato nel Movimento Cinque Stelle. Chi sostiene che la Bonino possa essere un nome meno indigesto degli altri per i parlamentari m5s, in quanto “meno partitocratico”, forse dovrebbe dare un’occhiata più attenta a quello che si dice e si scrive nell’entourage grillino: il Bilderberg club è la Casta delle Caste, l’affiliazione equivale più o meno al marchio della bestia.
Sicuramente non tutti gli eletti m5s la pensano così, ma finora quel che pensano gli individui è stato ahinoi piuttosto irrilevante. Grillo ha già il suo daffare a conciliare pretese di trasparenza assoluta e controllo totale dei suoi parlamentari; nel frattempo deve difendere sul blog una strategia che al grido di “tutti a casa” per ora ha ottenuto soltanto la sopravvivenza del dimissionario Monti; l’elezione di uno dei pochissimi bilderberg italiani al Quirinale sarebbe un altro boccone amaro da far inghiottire a una base un po’ disorientata. Insomma, se servissero voti m5s, la Bonino non sembra il nome più adatto. Sarei anche in questo caso felice di sbagliarmi.
3. Marco Pannella
Emma Bonino è l’unica personalità che è riuscita in un qualche modo a brillare di vita propria all’interno di una “galassia” radicale che negli ultimi vent’anni è stata cannibalizzata dal suo demiurgo. Ma nel momento in cui salisse al Quirinale, Marco Pannella potrebbe costituire una fonte inesauribile di imbarazzi per la Presidente. Non si tratta semplicemente di tener conto delle mattane di un personaggio ormai incontrollabile (ieri pare che abbia scassato uno studio radiofonico). Sotto i riflettori finirebbe tutta la storia di un partito che a un certo punto si è trasformato in una lista personale, continuando a percepire rimborsi dallo Stato (a cui vanno poi aggiunti i finanziamenti per la radio). Qualche magagna è già saltata fuori (una segretaria assunta in nero per dodici anni); se ne emergessero delle altre, Emma Bonino si troverebbe in una situazione difficile. Dopo aver pubblicamente chiesto scusa all’ex presidente Leone per aver cavalcato la campagna per le sue dimissioni, la Bonino potrebbe sperimentare un beffardo contrappasso. Lei stessa probabilmente ne è consapevole, il che potrebbe spiegare l’apparente indifferenza nei confronti della campagna che anche stavolta Pannella cerca – sempre più faticosamente – di montare in suo favore.
Questi sono solo tre degli ostacoli che si frappongono tra il Colle ed Emma Bonino. Ripeto, sarei contentissimo di scoprire che sono soltanto immaginari. Sarebbe la dimostrazione che l’Italia è un paese laico che ha ormai assorbito la lunga controversia sull’aborto; che il M5S non è in balia di una cerchia di paranoici convinti di essere vittima di un complotto dei poteri forti mondiali; e che Pannella non è più in grado di fare danni. Tre buone notizie in una, insomma. E poi sì, avremmo un presidente donna, il che dopo 60 anni di uomini certamente non guasta. http://leonardo.blogspot.com
Comments (7)

WWW Isidoro

Permalink
4 aprile - Sant'Isidoro di Siviglia, dottore della Chiesa, enciclopedista, patrono di Internet.

[Il pezzo intero si legge qui]. I posteri non ci leggeranno, i posteri non leggeranno in generale. Smetteranno di imparare l'alfabeto come noi abbiamo smesso di fare le aste e le O. Per capire quel che c'è da capire probabilmente guarderanno cose sospese nell'aria, in fondo lo stanno già facendo. E rideranno di noi. Ci considereranno dei deficienti. Ogni tanto verranno a guardare come si imparava ai nostri tempi - sfoglieranno i libri, guarderanno le figure, e rideranno per cose che non fanno ridere. Un atlante geografico, per esempio, un planisfero, che risate.

AHAH CHE RIDERE, GOOGLE PENSAVA
CHE LA TERRA FOSSE UN RETTANGOLO.
"Ma guarda, ahah".
"Cosa c'è da ridere, stronzetto".
"Com'eravate buffi. Pensavate che la terra fosse piatta".
"Ma no, niente affatto".
"E allora perché la disegnavate così?"
"Tanto per cominciare non è un disegno, ma una proiezione. E poi non avevamo scelta, se volevamo raffigurarla su un libro dovevamo proiettarla su una superficie piatta, dal momento che... mi stai ascoltando?"
"No, scusa, sto facendo sesso in chat3d"

Devo scrivere un pezzo su Isidoro di Siviglia, a cui un papa - il terzultimo, ormai - ha affidato il padronato di Internet. Per cui capite che non posso assolutamente far finta che il quattro aprile non si festeggi Sant'Isidoro, il celebre erudito, l'ultimo dottore dell'Antico Occidente, prima dei secoli veramente oscuri; ma questo non vuol dire che ne sappia molto. Solo perché ho una prestigiosa rubrica sul Post la gente crede che io sia un pozzo di scienza ma non è vero, la più parte delle volte do solo un'occhiata su internet il giorno prima. Di solito su wikipedia. Che non è il massimo, eh, ci ha tanti difetti, però è sempre il primo posto in cui vai a cercare. È comoda, a portata di clic. Quando proprio voglio ostentare una profonda conoscenza della materia seguo un paio di link che partono da lì. Mi piacerebbe saperne davvero di più, ma ho tante altre cose da fare, sapeste a che ora mi alzo. Su Isidoro poi pensavo che avrei trovato tantissime cose, ma come succede spesso non è affatto così; dovunque trovo più o meno le stesse tre-quattro nozioni. Ho anche dato un'occhiata ai libri che ho in casa ma non dicono nulla di più; potrei sellare i buoi e recarmi in una biblioteca seria - ma a quel punto mi troverei davanti i venti volumi delle Etymologiae in edizione critica, e poi che ci faccio? Troppo materiale è uguale a nessun materiale.

Non sembra, ma questa è la prima versione a stampa
(Günther Zainer, 1472. Il disegnino compare in alcuni manoscritti,
ma non siamo sicuri che ci fosse anche nell'originale di Isidoro.
Isidoro ha scritto migliaia di pagine che non si legge quasi nessuno, ed è stato messo in croce per un disegnino. A un certo punto, dovendo spiegare nella sua enciclopedia di tutto lo scibile umano una questione abbastanza secondaria, una mera curiosità - com'è fatto il mondo? - Isidoro ne traccia uno schizzo semplificatissimo: una T dentro una O. La O è l'Oceano, che circonda le terre emerse; la T è costituita dal Mediterraneo, che a oriente si biforca in due fiumi (il Nilo e il Don) dividendo i tre continenti: Asia in alto (est), Europa a sinistra (nord), Africa a destra (sud). Isidoro sapeva benissimo che il mondo era più complicato di così; probabilmente condivideva l'opinione degli antichi navigatori che lo consideravano sferico e non piatto; lui stesso aveva viaggiato per terra e per mare, emigrando da Cartagine in occasione dell'invasione bizantina, e trovando riparo nella Spagna visigota. Sapeva benissimo che Europa e Africa avevano coste irregolari e frastagliate; il suo schizzo non era una cartina geografica, ci sbagliamo a interpretarlo così. Era un simbolo, un ideogramma, un modo per raffigurare un concetto e mandarlo a mente. La forma circolare non alludeva a una presunta piattezza della Terra - del resto anche noi, con tutte le nostre approfondite conoscenze geografiche, sui libri usiamo ancora figure piatte, pardon, proiezioni. Sappiamo benissimo che tutte le cartine piatte raccontano qualcosa di falso - la Terra non è piatta - semplificando un concetto più complicato. Ma le usiamo lo stesso, sono comode. Anche Isidoro, sappiamo benissimo che aveva conoscenze più approfondite di quelle espresse con la T nell'O. Ma ci è comodo semplificarlo così, inserirlo nella Storia che ci raccontiamo nel ruolo dell'ultimo compendiatore del mondo antico, sul suo terrazzino spagnolo sospeso sull'abisso dei Secoli Oscuri: si fece buio su tutta la terra e la gente smise di viaggiare, pensate che l'unica cartina che ancora si copiavano nei manoscritti era una T iscritta in un cerchio! È anche un'ottima occasione per fare sfoggio di un sano relativismo culturale, visto che di lì a poco in Ispagna arriveranno gli Arabi con mappe assai più precise, schizzate da navigatori che sapevano orientarsi tra un porto e l'altro.

Ma quello di Isidoro è un mondo che nessun navigatore avrebbe potuto esplorare (continua sul Post...)
Comments (1)

Vieni anche tu

Permalink
30-08-1981

Enzo Jannacci, che a tutti ricorda com'è giusto Milano, per me è curiosamente legato alla piazza Grande di Modena, a un pomeriggio che i miei mi dissero: andiamo a un concerto, e non l'avevano mai fatto. Era la prima volta. Non lo fecero mai più, fu quindi anche l'ultima. Ma non credo che sia colpa mia, per quel che mi ricordo mi comportai bene.

Non conoscevo Jannacci - a parte Vengo anch'io No tu no che poi chissà dove avevo sentito. Ma non avevo nemmeno mai visto piazza Grande, forse era la prima volta che ci andavo. Ovviamente mi sembrò immensa, enorme il Duomo e altissima la Ghirlandina, che forse imparai per l'occasione che si chiamava così a causa di ghirlande che devo ancora capire dove siano, e mia madre disse che papà era andato fino in cima. Lo ammirai molto, e non ci sarei salito per i successivi 25 anni.

Non saprei dire se fossi seduto. In piedi per un'ora e più mi sembra improbabile. Però ricordo che Jannacci lo vedevo e non lo vedevo, dietro a braccia e teste. Rammento una manciata di canzoni, che poi sono quelle che conosco meglio di lui, per cui il ricordo potrebbe anche essere stato fabbricato a posteriori: Vengo anch'io sparata quasi subito, Faceva il palo, Quelli che, che per me poi era "oh yeah" e in un qualche modo avevo già sentita anch'essa, chissà come. E Giovanni Telegrafista: quella proprio la ricordo bene; non l'avrei più riascoltata per decenni, però quell'ultimo verso "Alba, è urgente" lo rammento proprio come lo cantò Jannacci in Piazza Grande. Molti anni dopo decisi che era la canzone più bella di EJ, una spanna su tutte le altre: ieri sera ho scoperto che il testo è la versione italiana di una poesia brasiliana, un po' m'è dispiaciuto. Un dispiacere insensato, la canzone non è meno bella se non è del tutto sua.

Quello di Enzo Jannacci fu il mio primo concerto. Qualche tempo dopo lo riconobbi vestito tutto di nero con un suo amico che ancora non conoscevo: citavano i Blues Brothers ma non potevo sapere nemmeno di loro. Ero piccolo, di tutto il grande puzzle culturale intorno a me possedevo solo una o due tessere, e Jannacci era una. Ne sono abbastanza fiero, mi sembra d'avere almeno cominciato con i pezzi giusti, e sono molto riconoscente ai miei genitori che non andavano mai da nessuna parte, ma quando venne Jannacci in Piazza Grande mi ci portarono. E al mio capo scout che almeno una volta all'anno, davanti al fuoco, ci cantava Prete Liprando e il giudizio di Dio, la sapeva a memoria e la cantava benissimo (che pieèèèèdi lunghi!) Fino a qualche tempo fa non si trovava nemmeno su Emule, Prete Liprando.

Così ieri sera mi sembrava di aver perso una persona un po' più importante di altre. Mi sono messo a chiedere in giro su internet se qualcuno sapeva quando Enzo Jannacci avesse fatto un concerto in piazza Grande a Modena: perché non ne avevo la minima idea. E mi hanno risposto in due: 30 agosto 1981. Quindi avevo otto anni. Devo essere stato un bambino paziente. Devono essere stati pazienti anche i miei genitori. Li ringrazio ancora una volta.
Comments (3)

Il Blog al potere

Permalink
Un giorno un osservatore perspicace ha detto che l’Italia fascista era diretta come un grande giornale, nonché da un grande giornalista: un’idea al giorno, dei concorsi, delle sensazioni, un abile e insistente orientamento del lettore verso alcuni aspetti della vita sociale, smisuratamente ingranditi, una deformazione sistematica della comprensione del lettore. Insomma i regimi fascisti sono regimi pubblicitari*.
Mi sembra doveroso avvertire i lettori che forse tra me e Grillo c'è una questione personale. Ovviamente lui non lo sa. Ma in sostanza mi ha rubato il giocattolino, e non glielo perdonerò mai. Io ci ho un blog da milioni di anni, tempi in cui lui spaccava i pentium con le clave, ok, storia vecchia, però mai, mai mi sarei aspettato che si potesse andare al potere con un blog, e infatti non ci sono andato. Invece lui ci sta riuscendo, e il discorso "ma era già prima un personaggio tv" funziona fino a un certo punto. È vero, era un personaggio tv, ma in un qualche modo è davvero diventato un blogger. Ha tutto del blogger. L'ansia di spiegare il mondo in quaranta righe. L'attitudine litigiosa che diventa metodo induttivo-deduttivo-abduttivo-qualsiasi metodo, cioè in pratica non c'è problema che non si possa risolvere insultandolo a lungo. I link spacciati come fonte. Il Blogroll come corte dei miracoli e dei miracolati - una manciata di poveretti che non hanno nessun altro merito se non leggerti e farti spesso i complimenti, gente che disprezzeresti se non sapessi che dipendi da ogni loro singolo clic. La palude dei Commenti come sfogatoio per il parco buoi dei cliccatori che non si ascoltano, si pesano. Forse un giorno Internet sarà il luogo della democrazia, forse voteremo ogni giorno da casa su smaglianti piattaforme sociali. Forse. (Casaleggio ci sta lavorando, peccato che abbia tutti questi impegni). Ma nel frattempo c'è un blog, e un blog non è un luogo di democrazia - fidatevi di me almeno su questo argomento - non lo è mai stato.

Il blog è una tirannide.

Più autocratica di altre tirannidi, perché è piccola. Come quelle città stato greche - uno ha sempre in mente Atene con le sue assemblee - ma se non sbaglio la maggior parte erano in mano a tirannelli litigiosi che pranzavano in fretta sotto spade penzolanti. I blog sono esattamente questo. Parlo solo io e voi ascoltate. E se mi dite che sbaglio nei commenti, io cancello i commenti. Leggo solo chi mi dà ragione. Posso anche cambiare nick e darmela da sola, la ragione. Ogni tanto poi mi sento solo e vado nell'archivio a leggere tizi che mi davano ragione nel 2007, magari in realtà ero sempre io sotto mentite spoglie ma non me ne ricordo più, non ho tutta questa familiarità coi miei commentatori, mi ricordo solo che ho sempre avuto ragione. Posso aprire altri blog civetta e farmi dare ragione anche da loro. Posso coltivare un piccolo parco di poveretti e premiarli con un link e una botta al ranking ogni volta che mi danno ragione. Nel frattempo ho smesso da un pezzo di leggere i giornali, sono tutti psicotici prezzolati che non mi danno mai ragione. Poi un giorno vinco le elezioni. Non me lo aspettavo nemmeno io, ma succede.

Cosa faccio?

Non c'è nessuno che mi dia un consiglio sensato: i giornali ovviamente mi odiano, ma i miei consiglieri mi amano troppo, e poi diciamolo, non mi sembrano mica tanto normali. C'è il filosofo che si capisce che è un filosofo perché ha la barba bianca e spiega le stesse cose che vengono in mente a me con cento battute in più: io dico "Ma teniamoci Monti e vaffanculo" e lui ripete "è opportuno insistere sulla linea della prorogatio". Ok. A Montecitorio ci ho mandato un sacco di commentatori, chi si fiderebbe dei commentatori? ho subito mandato gli unici di cui mi fido (dei blogger ovviamente) a mettere le webcam, così almeno li tengo controllati, ma chi se lo guarda poi lo streaming? è una palla infinita. Per tirarmi su vado sul mio blog, dove è pieno di gente che mi dà ragione a prezzi scontati, quelli che mi danno torto probabilmente li paga la concorrenza, ma si cancellano con un clic, è liberatorio. C'è solo una cosa che non sopporto.

Quelli che mi chiedono cosa voglio fare.

Che razza di domanda è. Io voglio fare esattamente quello che sto facendo. Il blog. Mi piace il blog, voglio che tutti lo leggano e mi diano ragione. Non è per vendere i dvd, come dicono i maligni psicotici prezzolati. Quello forse all'inizio, ora ormai è un pretesto. In realtà non c'è un perché, è proprio una domanda sbagliata. Come chiedere all'uccellino perché cinguetta o alla talpa perché si fa le tane. Io faccio un blog perché sono un blogger, e se nel procedimento mi capita di conquistare l'Italia - incidenti che capitano - vorrà dire che rifarò l'Italia come un blog, con dei banner dappertutto, un post quotidiano dove inveire contro i nemici del popolo, la libertà di commento per ogni lettore (Uno Vale Uno!) tranne quelli che parlano male, traditori prezzolati del popolo da sopprimere ma senza fargli male (gli leveremo la connessione, al limite). I ministri li eleggeremo coi sondaggi on line, quelli nella colonnina di fianco, avete presente? non ha comunque molta importanza, tanto ci mando a controllarli i miei v-logger di fiducia con le webcam. Io farò dell'Italia un blog, non perché ne sia consapevole, ma perché è l'unica cosa che so fare: come quello prima di me sapeva solo fare tv e trasformò l'Italia in uno show televisivo permanente - finché a furia di ballerine in parlamento e nei dicasteri la cosa si fece insostenibile e chiamarono me.

Quello del secolo scorso, invece, lo avete mai letto davvero? Chi lo conosce lo sa: prima di essere un dittatore autoritario e violento e blablà era un giornalista. Un corsivista di razza. Vinse l'Italia, anche lui in un momento in cui non la voleva veramente nessuno, e la trasformò in un quotidiano. Un’idea al giorno, dei concorsi, delle sensazioni, un abile e insistente orientamento del lettore verso alcuni aspetti della vita sociale, smisuratamente ingranditi, una deformazione sistematica della comprensione del lettore. Finché a furia di titoloni a effetto non gli toccò dichiarare davvero qualche guerra, e lì andò tutto a Patrasso. Dove andremo anche stavolta, nel solito nostro italianissimo modo.

Che consiste forse nel sovrapporre politica e comunicazione. Siamo ossessionati dalla comunicazione. Non vogliamo essere governati, vogliamo qualcuno che ci comunichi cose. Non vogliamo un governo, vogliamo un giornale, o un talkshow, o un blog, e chissà cosa vorremo dopodomani. Sarà comunque qualche altro strumento che parla parla parla, e quel poco che conclude quasi sempre è un casino.

*(Ancora grazie ad Antonio Schiavulli, che mi ha aiutato a ritrovare un passo che cercavo da anni).
Comments (21)

Revolution will be video-made

Permalink
Se fosse confermata, la scelta di Grillo e di Casaleggio di portare "Nik il Nero" a Palazzo Madama confermerebbe la centralità all'interno del M5S di una figura 'professionale' che fin qui abbiamo tutti colpevolmente snobbato: no, non il camionista (anche se Nik è famoso per autoriprendersi mentre guida), ma il videomaker. Insomma il tizio che si fa i video in casa e poi li mette sul suo canale Youtube.

Così raccontava Nik qualche mese fa a Linkiesta: "Ho da sempre una grande passione per la telecamera, e quindi ho pensato di rendermi utile con qualche video. Avrei voluto fare il videomaker di professione. Ci ho anche provato per cinque o sei mesi, ma non tiravo su abbastanza soldi, e così sono dovuto tornare a fare il camionista. Il primo video che girammo col gruppo fu sul detersivo alla spina. Poi ne abbiamo fatti tantissimi di denuncia; direi ormai circa 350. Il 60% sono finiti dal mio canale YouTube direttamente sul blog di Beppe Grillo, che li apprezza molto". Nik - se la notizia è vera - dovrebbe arrivare al Senato come consulente di un portavoce del capogruppo, o qualcosa del genere, ma in sostanza per fare i video; con la stessa professionalità con cui ha curato in questi anni il suo canale Youtube. Prima di lui c'era Daniele Martinelli (continua sull'Unita.it, H1t#172).

Prima di lui c’era Daniele Martinelli (che forse è stato sollevato forse no, intorno a Grillo c’è la stessa trasparenza del Cremlino ai tempi di Andropov), e che parlava di sé stesso in questi termini: “sono un professionista della comunicazione nato sulle macchine da scrivere, passato attraverso le redazioni radiofoniche e televisive in cui si doveva saper fare tutto: scrivere testi, condurre, cimentarsi in regia, usare la telecamera, sistemare le luci, l’audio, montare i servizi con metodo lineare, non lineare e poi digitale… Tutti questi lavori messi insieme hanno creato la recente (non per me) figura del videomaker. Che nell’accezione più moderna del termine significa esercitare attività di video-giornalista INDIPENDENTE”.
La stessa attività di “video-giornalista indipendente” esercita – con qualche successo in più – il consulente del portavoce del capogruppo alla Camera, Claudio Messora. La nomina dall’alto di Messora e Martinelli (e poi di Nik) è stata interpretata da molti anche all’interno del Movimento come un tentativo di assistere ‘dall’alto’ ai gruppi parlamentari abbandonati un po’ a sé stessi: la famosa “cinghia di trasmissione”. Qualcuno li ha persino chiamati commissari politici: è un po’ presto per capire se svolgano davvero una funzione del genere. Per ora è più interessante notare da dove Grillo e Casaleggio peschino i loro cosiddetti fedelissimi: dalla Rete, naturalmente, ma nello specifico da Youtube. Messora, Martinelli e Nik hanno biografie diversissime (e affascinanti) che convergono soltanto nel momento in cui vengono attirati nell’orbita di Beppegrillo.it in qualità di “videomaker indipendenti”, produttori di migliaia di ore di materiale video che qualcuno ha pur visto e molti avranno semplicemente linkato e, avrebbe detto Petrolini, “piacciato”. Il modello a cui tutti e tre guardano è ovviamente il video-giornalismo d’inchiesta di Report o quello dei reportage della factory di Santoro: i risultati poi sono davanti a tutti, se qualcuno ha voglia o tempo per andarseli a vedere.
Ma l’importanza di questi videogiornalisti fai-da-te non andrebbe sottovalutata: si è detto a lungo che Grillo ha vinto rinunciando alla tv e lavorando sulla Rete. Possiamo aggiungere che Grillo ha portato in rete un linguaggio televisivo, scimmiottato alla benemeglio da volontari generosi ma non professionisti. Il suo blog non avrebbe avuto il successo che ha avuto senza i materiali video di cui ha sempre fatto un larghissimo uso. Basti pensare che  fino a qualche anno fa la rubrica più seguita era la predica settimanale di Travaglio, davanti a una camera fissa: per un vecchio utente di internet uno spreco di tempo e memoria, dal momento che ci si mette molto meno tempo a leggere un testo a video: ma l’utente-tipo di Beppegrillo preferisce guardarsi la clip, anche se tutto quel che c’è da vedere è la faccia di Travaglio che legge. In fondo succede la stessa cosa ogni giovedì da Santoro, dev’essere un format rassicurante. Quando si arriva a Nik il discorso è diverso: lui mica legge, e probabilmente i discorsi che fa davanti alla sua webcam non riuscirebbe a metterli giù su un foglio (non in modo altrettanto incisivo). Il video a un certo punto diventa una scorciatoia per spiegarsi e capirsi meglio. È il caso di Nik, ma anche dei portavoce grillini alla Camera e al Senato. Non solo si spiegano attraverso video, ma sono convinti che tutti dovrebbero fare così, che sarebbe tutto più chiaro se tutti facessero così: niente verbali scritti che sono noiosi, tutto in streaming, ore di streaming. Il grillismo non è solo una sfida alla democrazia. È anche una sfida alla civiltà della scrittura.http://leonardo.blogspot.com
Comments (7)

Un grillino al Quirinale

Permalink

Benvenuto Presidente! (Riccardo Milani, 2013)

Sotto è in mutande, avete indovinato.
In Parlamento parlano parlano, e non concludono niente. Da mesi i tre maggiori partiti non riescono ad accordarsi sul nome del nuovo presidente della repubblica, tanto che gli onorevoli votano cognomi a caso o in codice. Durante una votazione viene eletto, per un disguido, Giuseppe Garibaldi: che però esiste davvero, ha appena perso il lavoro e viene da un'immensa provincia, indovinate quale. Ed è inoltre Claudio Bisio, che al cinema ha sfondato tardi ma sta recuperando - il nostro Louis de Funès, il clown che riflette sulla sua pelata l'italianità e la scompone come un prisma in tutti i suoi colori primari e no. Da quand'era che non assistevo a un applauso a scena aperta in un cinema?

Mi è capitato lunedì guardando una delle primissime scene di Benvenuto Presidente!, in cui un politico si becca un uovo in faccia davanti a Montecitorio - applausi. Non sappiamo di che partito è - non lo scopriremo per tutto il film. Però è un politico e un uovo in faccia se lo merita, è liberatorio. Ora è pur vero che il lunedì sera qui da noi c'è lo sconto, però tutti questi precari o disoccupati o esodati incazzati in sala non c'erano; la signora che si è alzata e si è messa ad applaudire a fine mese secondo me c'è arrivata abbastanza bene, s'è pure concessa il film di Pasqua in cui tirano le uova ai politici, non importa quali. Tanto son tutti uguali, no?


Nel film ce ne sono tre, che inciuciano tutto il tempo. Quello che si piglia l'uovo nelle schede sul casting è chiamato "il politico bello" (un Cesare Bocci molto meno bello del solito). Beppe Fiorello invece è "il politico con il pizzetto", mentre Massimo Popolizio è "il politico ruspante", una riedizione dello Sbardella che interpretava nel Divo. Non si capisce se siano i leader o i capogruppo parlamentari dei rispettivi partiti: comunque decidono loro per tutti. Si incontrano ogni tanto in location architettonicamente rilevanti per inciuciare, e inciuciano, inciuciano che è un piacere. Quando si accorgono di avere eletto per sbaglio Claudio Bisio, vanno a prenderlo al torrente con le Audi Nere (=arroganza) con l'urgenza di corromperlo. Pensano di riuscirci facilmente perché se l'hanno eletto a caso sarà l'italiano medio, no?

Non esattamente. Malgrado cerchino di vendercelo così, il personaggio di Bisio non è proprio un arci-italiano; oppure può essere utile a capire l'idea che c'è in giro dell'arci-italiano, quello che se solo riuscisse ad arrivare al Palazzo lo aprirebbe come una scatola di sardine, oggi si dice così. Per esempio: in un'Italia che non legge (ma ama sfoggiare libri intonsi alle pareti) Bisio-Garibaldi è un bibliotecario (appena licenziato dal comune per motivi di budget). Dunque un umanista? Ma no, più un animatore-matto del villaggio - qualche antico sociologo lo chiamerebbe "intellettuale declassato" - un tempo, è implicito, aveva un lavoro vero e una famiglia vera (continua su +eventi!), poi ha perso tutto, la moglie è scappata e il figlio è un "gimbominchia", un deficiente amorale impelagato in fallimentari imprese piramidali, un berluschino del crepuscolo. Garibaldi lo rimprovera più volte rispolverando l'etica del nonno: "tutto quello che fai ti ritorna indietro".

Come i cittadini-parlamentari del M5S, Garibaldi ha grosse difficoltà con l'etichetta. Riceve lo Stato Maggiore in mutande, gli scappa la parolaccia, ha la gaffe facile. Non capisce le leggi che deve firmare e quindi, come la Lombardi, preferisce non firmarle, e pazienza se c'è qualcuno che ci rimette, il bibliotecario pretende che tutte le leggi siano leggibili. Come Crimi, prima o poi gli capita di appisolarsi in un'occasione ufficiale, e per l'occasione i giornali si scatenano: DIMISSIONI! Come Casaleggio, il suo consulente immagine (Remo Gironi!) si fotte dei giornali e conta i like su youtube: "Il video del tuo sfogo in pizzeria ha avuto centomila condivisioni!!!!1111!" Come tutti i grillini, ha un cuore grande così,e  in attesa di potersi calare lo stipendio sistema tutti i barboni di Roma nei corridoi del Quirinale. Come Grillo, è convinto che da qualche parte ci siano migliaia di idee bellissime per cambiare l'Italia, tutte realizzabili: Bisio le trova in uno scantinato del Colle mentre pattina coi rollerblade (...): si tratta solo di dar voce alla gente e vedrete quante idee geniali, a parte i maniaci del signoraggio delle scie chimiche della decrescita felice guardate che c'è anche del buono, sotto sotto ci sarà, bisognerà un po' scavare ma ci sarà.

A Fabio Bonifacci, già sceneggiatore di alcune delle meno stupide commedie italiane degli ultimi anni (A allora mambo!, Diverso da chi?), è stato occasionalmente concesso il dono della profezia. Benvenuto, presidente!, scritto qualche anno fa ma realizzato appena in tempo per l'imminente cambio della guardia al Quirinale, anticipato da un accorato discorso sullo stato della nazione di Bisio a Sanremo, non sarà la commedia meno stupida del 2013, ma è un film che descrive alla perfezione il qui e l'ora, da un punto di vista prezioso: la pancia dello spettatore, quello che salta in piedi e applaude se tirano uova a un politico. Qualsiasi politico. Ci sono persino i Poteri Forti. Si chiamano proprio così, dato che a furia di leggerli sul giornale ci siamo un po' tutti scordati a cosa stavamo alludendo, e quindi Bonifacci e Milani decidono di incarnarli in quattro commensali incartapecoriti a un banchetto. Non si sa cosa rappresentino: i grandi industriali, la finanza, la massoneria, boh. L'importante è che da qualche parte, in qualche stanza, ci siano ancora dei Poteri Forti che tramano, che ancora devino i servizi segreti come ai vecchi tempi. È un'immagine quasi consolante - e infatti l'Agente Segreto Deviato è un malinconico Gianni Cavina che canta Pensiero perché ha nostalgia degli anni Settanta, quando si lavorava sul serio. Storie vecchie, ma gli italiani non ci rinunciano - ci tengono, ai complotti. Non vorrebbero mai svegliarsi in un mondo in cui i Grandi Vecchi se ne fossero andati, lasciandoli soli con problemi incomprensibili. Come disse quella volta Mario Monti: "Avercene, di poteri forti"; c'è davvero ancora qualcuno là fuori, veramente potente e veramente interessato a non lasciarci sfracellare al suolo? Non si sa, ma un po' ci si spera - forse ci sperano pure i grillini.

Riccardo Milani conferma dopo Tutti pazzi per amore il talento per la farsa danzante - e in effetti i suoi attori sono sempre sul punto di mettersi inopinatamente a ballare, a un certo sculetta persino il ruspante Popolizio. Il populismo però è un tema insidioso, non sempre il regista riesce a danzarci sopra con leggerezza: in particolare sprofonda in una sequenza così ricattatoria che è ambientata in un reparto di oncologia infantile. Si salva grazie a una certa diffidenza per il vero italiano-medio, che a differenza di Bisio-Garibaldi è corruttibile e disonesto come i politici che elegge. Anche nel paesino innocente, appena guardi bene, trovi qualcuno che intasca fondi UE e ti assume in nero.

(Qui è ancora un po' ingessata. In seguito canta Comandante Che Guevara con la chitarra durante un'orgia a base di pizza al cannabis con i plenipotenziari della Repubblica Popolare Cinese, giuro).

Il film può essere utile per capire perché i senatori m5s non sosterranno mai un governo Bersani. In fondo Crimi e soci in questi giorni devono avere la sensazione di vivere in un film del genere - che poi non è niente di nuovo, almeno dall'Onorevole Angelina in poi (Zampa, 1947). Il canovaccio prevede che l'uomo-comune , dopo qualche tentativo di cambiare le cose condotto in perfetta buona fede, ritorni abbastanza presto al nido famigliare. Spesso, oltre ad aver constatato l'irrimediabile sporcizia della politica, si è anche reso conto di essere lui stesso corruttibile. Gli eletti di Grillo a quel momento preferirebbero non arrivarci, e quindi è comprensibile che abbiano fretta di chiudere. Non sono equipaggiati per le schermaglie politiche, non conoscono le regole della diplomazia e non ritengono di doverle imparare. Il boss ha imposto di rendicontare anche le caramelle e fa una scenata se qualcuno cena al ristorante di Montecitorio. A questo punto molti di loro probabilmente hanno solo voglia che il film finisca presto, con qualche botto. Torneranno a casa dagli amici e avranno una bella storia da raccontare. Se poi nel frattempo l'Italia va a rotoli - vabbe', si vede che così volevano i diabolici Poteri Forti.

Un altro motivo per darci un'occhiata potrebbe essere Kasia Smutniak che fa la sottosegretaria alla presidenza, e per mezzo film si aggira impettita per il Quirinale come frau Rottenmeier; finché a un certo punto succede qualcosa, scrocchia i muscoli del collo si spoglia e ti salta addosso in soggettiva. E il film decolla! In realtà no, ma per dieci secondi è bellissimo, lei ti sbatte sul lettone presidenziale e ti piglia a ceffoni; poi ti ricordi di essere Claudio Bisio cinquantenne e l'erotismo si sfascia in farsa. Ma anche in questo il film riesce a interpretare correttamente istanze provenienti dal basso ventre collettivo: il sesso con la Smutniak non può che essere concepito come uno sport estremo.

Benvenuto Presidente! è al Cityplex di Alba (ore 20:00; 22:15); al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo (20:20; 22:40); al Multisala Vittoria di Bra (20:15; 22:30); al cinema Italia di Saluzzo (20:00; 22:15); al Cinecittà di Savigliano (20:20; 22:30). Buona visione e Buona Pasqua!
Comments (2)

Com'è andata a Moria

Permalink

25 marzo - Sant'Isacco, millenni fa, a momenti vittima sacrificale, poi patriarca.

La porta si aprì lenta:
mio padre venne a prendermi,
io avevo nove anni. 


Stava innanzi a me, così alto:
i suoi occhi azzurri ardevano,
la sua voce era di ghiaccio.


***

Anche Isacco è tra di noi, Dio sa che ci stia a fare. A proposito di Dio: stiamo tutti attenti a non nominarlo in sua presenza. Non ci è nemmeno chiaro il perché, ma abbiamo tutti paura che una volta o l'altra dia di matto, e lo capiremmo benissimo, peraltro in famiglia non sarebbe il primo caso, vero? Ma sarebbe il più giustificabile - cioè, mettetevi nei suoi panni. Avete nove anni, e vostro padre sbrocca, entra nella vostra stanza e comincia con quei discorsi assurdi

“Ho avuto una visione, 
e tu conosci la forza della mia fede: 
devo fare quello che mi è stato detto”


Aveva nove anni, D*osanto. Chi non sarebbe impazzito. Io sarei impazzito. Tu saresti impazzito. Siamo tutti impazziti prima o poi. Gli antropologi prima o poi se ne accorgeranno. Siamo povere scimmiette con un cervello super-sviluppato che ci preme dappertutto la scatola cranica, e poi ci è cresciuto quel pollice reversibile che possiamo usare per tantissime cose che la nostra fantasia psicotica ci mostra di notte, ad es.: sacrificare i figli per smettere di avere gli incubi. Isacco queste cose le sa, è per questo che tace secondo me. Isacco non vuole più averci a che fare, sta in un angolo, mangia quaglie per lo più. Nessuno lo invita a giocare al tavolo di Matteo. Neanche una partitella a freccette con Sebastiano, niente. Tiene la testa bassa, in millemila anni nessuno gli ha dato una seria occhiata al collo. Insomma come siano andate davvero le cose nessuno lo sa. Bisognerebbe avere la faccia tosta di sedercisi davanti e dire: Isacco, figlio di Abramo, padre di Giacobbe anche se preferivi suo fratello, com'è andata davvero sul monte?
Poi gli alberi si fecero più radi, 
il lago un piccolo specchio, 
e ci fermammo a bere del vino: 
Gettò via la bottiglia vuota, 
(dopo un minuto la sentii infrangersi) 
e mise le sue mani sulle mie. 

Mi sembrò di vedere un’aquila, 
ma avrebbe potuto essere un avvoltoio, 
non ho mai saputo decidermi. 

Quindi mio padre innalzò un altare; 
mi guardò una volta appena, 
sapeva che non sarei fuggito.

Fin qui tutto bene... (continua sul Post...)
Comments (3)
See Older Posts ...