Il ritorno dell'uomo di neve (nazista!)

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Frozen - il regno di ghiaccio (Chris Buck, Jennifer Lee, 2013).

1943. Walt Disney sta vincendo la guerra, quella mondiale. Il suo documentario con inserti animati, Victory Through Air Power, ha convinto Roosvelt che la conquista dello spazio aereo è una necessità strategica; nel frattempo Paperino vinceva l'Oscar spernacchiando Hitler in Der's Fuehrer's Face. Anche se molti disegnatori sono impegnati a disegnare cartelloni di propaganda, Disney continua a pensare ai lungometraggi - magari se si spettezzasse la storia in più episodi, come in Saludos Amigos, si riuscirebbe a lavorare con team diversi, a riciclare un po' di materiale... Proprio in quel momento il produttore Samuel Goldwyn (sì, uno dei tre che aveva fornito il nome alla Metro-Goldwyn-Mayer, roar) gli si fa incontro con un'offerta irrifiutabile: un musical su Hans Christian Andersen. Idea perfetta: si potrebbero alternare spezzoni biografici filmati dal vero con attori in carne e ossa, e cartoon di animazione in stile Silly Symphonies, di cui almeno uno, Il brutto anatroccolo, è già pronto (ed è un capolavoro). Disney è entusiasta, eppure dopo qualche mese l'idea si arena. Perché?



1944. Adolf Hitler sta perdendo la guerra, quella dei cartoni animati. Dev'essere particolarmente difficile per lui ammettere la superiorità sul campo degli americani, quei mediocri combattenti (di questo il fuehrer è persuaso, tant'è che sulle Ardenne ordinerà di concentrare gli attacchi sulle truppe inglesi). D'altro canto è sempre l'uomo che si è squadrato i baffetti per somigliare più a Charlie Chaplin: il cinema americano ha un certo ascendente su di lui, e l'americano che più lo incanta è Walt Disney. E però al fondatore del Terzo Reich non è concesso di sciogliersi davanti a Fantasia: anche nel momento di massima commozione, non può non constatare l'enorme scarto tecnologico che separa le produzioni californiane da quelle dell'UFA nazionalizzata. Certo, l'Agfacolor ormai funziona, e costa meno del Technicolor - ma dove sono i capolavori? I musical? I lungometraggi animati? Sarà anche per la necessità di sostenere una guerra mondiale su tre fronti diversi, nel mentre che si massacrano milioni di civili, fatto sta che l'animazione tedesca è dieci anni in ritardo sui competitors d'oltreoceano: ci si arrangia con dei brevi film musicali o di propaganda.  Il meglio riuscito, Der Schneemann, è la storiella buffa e poetica di un pupazzo di neve che in una fredda notte prende vita e si nasconde in un frigorifero per vedere l'Estate, il trionfo dei colori - per poi squagliarsi nei prati con nietzscheano amor fati, mentre un coniglio rosicchia meditabondo la carota che fu il suo naso...



Nel frattempo in California Disney si sta concentrando sui Tre Caballeros, un film a episodi per il mercato latinoamericano in cui Paperino ballerà con Carmen Miranda: il progetto kolossal su Andersen è stato ormai abbandonato - alla fine Goldwyn lo produrrà da solo negli anni Cinquanta, coi balletti al posto dei cartoon. Forse la guerra era ancora lontana dall'essere vinta, dopotutto; forse i disegnatori in congedo erano ancora pochi. Forse. Oppure possiamo credere, come racconta la fiaba, che a bloccare il film fu proprio la Regina delle Nevi. La più gelida delle novelle di Andersen: gli sceneggiatori della Disney non riuscirono a venirne a capo. Nulla a che spartire con quella di Biancaneve, vanesia e trasformista, straordinariamente fotogenica. La Regina di Ghiaccio è fredda e impassibile; sequestra solo i bambini che intimamente la desiderano, e non li mangia; li custodisce intatti in un freezer a forma di castello. A rileggerla non sembra così impossibile da animare, la Regina: lo stesso Andersen, ormai consapevole della sua statura di mitologo, l'aveva concepita come "fiaba di fiabe", un vero e proprio lungometraggio di carta strutturato a episodi.

La Regina sovietica in effetti ha già qualcosa di meganoide
nell'espressione.
Nel 1957 ci riusciranno i sovietici, che a Berlino non avevano raccattato soltanto qualche ingegnere balistico utile per la corsa allo spazio, ma anche il brevetto dell'Agfacolor - subito ribattezzato Sovcolor. Snezhnaya koroleva, la Regina delle Nevi di Lev Atamanov, non è all'avanguardia come gli Sputnik, ma ha un merito immenso: è il film che convinse Hayao Miyazaki che i lungometraggi animati erano fattibili anche in Giappone. Finché il punto di riferimento era l'inarrivabile Disney, non c'era nulla a cui aggrapparsi: invece i russi, con le loro ingenuità, davano speranza. È un vecchio discorso. Grazie a Laika abbiamo avuto le stazioni orbitanti, grazie alla Regina Snezhnaya abbiamo avuto gli anime, e io un giorno su Cartoonito ho visto anche Hello Kitty nei panni di Gerda contro la Regina delle Nevi, ve lo giuro, non ne trovo traccia su internet, eppure esiste (a proposito, sfatiamo la leggenda che Hello Kitty non abbia la bocca: ce l'ha, ma l'apre solo se necessario: un modello per tutti i bambini). Quindi insomma la Regina delle Nevi si può fare. Non ha nulla di tecnicamente insormontabile o contenutisticamente scabroso. Però alla Disney non ci sono mai riusciti.


Elsa deve imparare a maneggiare il suo favoloso potere, dopodiché diventerà una fredda designer di ambienti asettici; Anna invece è solo solare e un po' pazza.
Eppure non hanno smesso di provarci. Soprattutto da quando un'altra principessa di Andersen, quella squamata, ha rimesso in piedi il carrozzone dopo i passi falsi di fine anni Ottanta. Alla Disney ci pensano da allora, ma com'è come non è, non sono mai riusciti a disneyzzare la fiaba del ghiaccio nel cuore. Ma perché? Cosa c'è di irriducibilmente non disneyano nella regina di ghiaccio? Non lo so. So per certo che quella storia mi dà un freddo tremendo. Le fiabe di Andersen non sono come tutte le altre fiabe. Se nella letteratura c'è un prima e un dopo Omero, nella fiaba c'è un prima e un dopo Andersen; gli antropologi dovrebbero rifletterci. Prima di lui c'è ancora la preistoria dei sentimenti: streghe che mangiano bambini e bambini che ammazzano streghe senza un retropensiero. Poi in pieno Biedermeier arriva questo scribacchino, e all'improvviso le fiabe parlano di noi: di come siamo invidiosi, gelosi, arrabbiati, di come ci sentiamo soli, di come ci aggiriamo nudi per la città facendo finta di niente mentre i bambini ridono. Quello che ci descrive Andersen non è più l'australopiteco davanti al fuoco; è l'homo burgensis che riattizza il caminetto attento a non sporcarsi di cenere la camicia. Da che tempo e tempo ci sono state regine malvagie, ma quella di Andersen è qualcosa di nuovo e forse insostenibile: è la depressione che ci aliena dai nostri amici di infanzia, il rovescio del sogno dell'eterna giovinezza: essere bambini per sempre significa non amare mai. Ma forse ai bambini è meglio raccontare storie più leggere.

Olaf. Gli piacciono gli abbracci. BAMBINI NON
FIDATEVI È UN NAZISTA TRAVESTITO!!1!
Il progetto Regina delle notti è passato da un cassetto disneyano all'altro per tutti gli anni Novanta. Ogni tanto un altro sceneggiatore alzava le mani: non è possibile farci un film. A un certo punto stavano per passare il progetto alla Pixar. Poi se lo sono ripresi. Poi dalla Pixar si sono presi anche John Lasseter, che negli ultimi anni ha pixarizzato la Disney. Non è soltanto una questione di computer-grafica, come chi ha visto Ralph Spaccatutto ben sa. È una questione di coraggio: la Pixar poteva permetterselo, la Disney doveva pensare ai bambini. Finché a un certo punto la Pixar ha iniziato a voltarsi indietro, dedicando prequel e sequel non sempre esaltanti ai suoi vecchi personaggi; mentre la Disney con Rapunzel e Ralph faceva passi enormi in un terreno insicuro. Ralph era uno dei film più belli dell'anno scorso, ma non so se lo farei vedere a un bambino. Frozen, in confronto, sembra molto più rassicurante - e in effetti lo è. Se non conosci la travagliatissima storia produttiva che ci sta dietro, e che comincia sul fronte della Seconda Guerra Mondiale, puoi scambiarlo per l'ennesimo film dove le principesse Disney si emancipano facendo molte faccette buffe e cantando mielosità che probabilmente in originale suonano meglio. Gli scenari sono meravigliosi, l'animazione è da brivido, dov'è il trucco? Che la Regina delle notti non c'è più. A un certo punto l'hanno fatta fuori, per sostituirla con una classica super-teenager che deve imparare a maneggiare i propri poteri. Non proprio una Winx, no, ma una Witch, diciamo. Insomma, sì, il film è indubbiamente molto bello, ma un maschietto non credo che ce lo porterei. L'adulto invece dovrebbe apprezzare particolarmente Olaf l'omino di neve, che nel suo numero musicale sogna di vedere l'estate. Quel pupazzo, anche lui così generoso di faccette buffe, è un omaggio al capolavoro dell'animazione nazista, lo Schneemann di Hans Fischerkoesen che moriva squagliandosi d'estasi in un prato fiorito. Questo è essere adulti: cedere all'amore e accettare la morte. Nel '44 non doveva essere difficile pensarci. Ma alla Disney non ci stanno, alla Disney vorrebbero tenersi i primi amorazzi delle ragazzine e il sogno d'infanzia perpetuo dei bambini: a costo di fornire il pupazzo di neve di una nuvoletta personale. La vera Regina delle Nevi non si sarebbe mai comportata così. Lei ti incontra un mattino mentre ancora giochi in cortile: ti riconosce tra mille; ti porta in un luogo lontano dove anche gli squilli di telefono degli amici ti suonano falsi: e là, solo là puoi essere un bambino per sempre.

Frozen è dappertutto e ci resterà per parecchio. In 2d lo trovate al Cine 4 di Alba (20:00); al Cinelandia di Borgo S. Dalmazzo (15:00, 17:30, 20:10, 22:35); all'Italia di Saluzzo (20:00, 22:15); al Cinecittà di Savigliano (20:20, 22:30); in 3d al Cinelandia di Borgo S. Dalmazzo (15:10, 17:40, 20:20); al Multisala Impero di Bra (20:20, 22:30). Buon Natale a tutta Cuneo e provincia.
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Credo che le Iene dovrebbero chiudere

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La Iena piangente

Ministri cattivi non salvano bambine.
Il mio parere, per quel poco che vale, è che a questo punto le Iene dovrebbero chiudere. Non tanto per la scellerata pubblicità fatta a Vannoni e alle sue cellule staminali miracolose che miracolose purtroppo non erano, e forse nemmeno così staminali. Nemmeno a causa dell'articolo 643 del codice penale, che punisce chi abusa "dei bisogni, passioni o dell'inesperienza di persona minore o in stato d'infermità o deficienza psichica, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto" con la reclusione da due a sei anni e con una multa da 206 euro a 2065 euro, ma non con la chiusura d'ufficio di una trasmissione. Tanto più che duemila euro son comunque bricioline rispetto al costo di uno spot pubblicitario durante le Iene show; quindi in fondo il gioco valeva la candela; e chi si prendesse davvero due anni con la condizionale se ne starebbe comunque a casa e potrebbe pure atteggiarsi a vittima delle lobbi farmaceutiche.

Io credo che le Iene dovrebbero chiudere come qualsiasi altra trasmissione, dopo più di dieci anni di sfruttamento intensivo: solo Homer Simpson non invecchia mai. E lo dico con la morte nel cuore, perché le Iene hanno fatto robe orrende ma anche ottimo infotainment; ed erano una delle poche trasmissioni che forassero l'attenzione anche dei preadolescenti, fornendo a insegnanti come il soprascritto un terreno comune di discussione la mattina dopo. D'altro canto mi rendo conto benissimo che c'è la crisi, e che i format non crescono sugli alberi, per cui non mi faccio molte illusioni: le Iene torneranno. Ma avranno ancora un po' di credibilità?

Secondo me sì.

Per esempio potrebbero cominciare con un bel servizio in cui una iena - magari una giovane, alla prima esperienza - sorprende Golia su un marciapiede e comincia a tallonarlo con domande scomode: Giulio, ma tu hai qualcosa da dichiarare sul rapporto relativo ai campioni sequestrati dai NAS? sui rischi di contrarre encefalite spongiforme? Giulio, ma è possibile che dopo dieci anni a beccare i finti idraulici tu ti sia fatto infinocchiare dal santone spettinato con l'elisir di lunga vita? Giulio, quand'è che hai capito che era tutta una speculazione, un'estorsione ai danni di persone disperate, ma ormai era troppo tardi per fare marcia indietro? Giulio, non è mai davvero troppo tardi per fare marcia indietro, su: voltati, dai, guarda in camera, rispondi. Giulio invece prosegue imperterrito fino allo studio tv. Entra nel camerino.

E lì scoppia a piangere, da grande professionista che è, e legge sul gobbo un discorso più o meno così: lo avevo capito quasi subito, ma gli ascolti... lo sapete quanto sono importanti nel mio mestiere gli ascolti? Ve ne stavate tutti andando, è un po' anche colpa vostra, no? La trasmissione è in piedi da cent'anni ormai, se provo a incastrare un idraulico mi riconosce già dallo squillo della telefonata. Avevo il fiato dei direttori sul collo, dovevo inventarmi qualcosa di nuovo. Mi dispiace snif, mi dispiace, nel frattempo magari è morto qualcuno, e vabbe', almeno è morto sperando. Siamo intrattenitori in fin dei conti, non abbiamo mai detto di avere una soluzione per tutti i mali.

Cioè no in effetti a un certo punto lo abbiamo detto - ma era televisione, mica dovevate crederci.
Buio. Pubblicità. Balletto in studio. Si riparte.

Le 16 tappe fondamentali del caso Stamina e perché così in Italia la scienza muore.
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Non te lo clicco il video, Beppe.

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Dieci giorni dopo aver esposto Maria Novella Oppo alla gogna, Grillo dimostra di non aver capito (o di aver capito benissimo, e di voler perseverare) lanciando su facebook una corsa all'insulto più sessista nei confronti di Laura Boldrini. Nulla da aggiungere a quello che ha scritto Marina Terragni; vorrei concentrarmi su un dettaglio secondario: il fatto che anche stavolta Grillo faccia saltare il tappo dicendosi "senza parole". La stessa espressione è una protesta di innocenza (Grillo è talmente indignato che non è in più grado di dire niente) e un invito al massacro (ditelo voi, commentatori inazzati! riempite il vuoto lasciato da Beppe!) E naturalmente c'è l'invito a cliccare un video. Sempre così: non ho parole, clicca il video. Sta diventando un ritornello.

Tra i motivi pre-politici della mia avversione per Grillo c'è il fatto che lui voglia farmi cliccare sui video. Anche il suo blog ha la colonnina destra morbosa, come tutti i siti che cercano di tirare due spicci. Per inciso: non è vero che Grillo faccia i milioni col blog. Se ci tenesse proprio ai milioni Grillo ricomincerebbe a farsi pagare i biglietti ai palazzetti invece di comiziare in piazza gratis: e scriverebbe più libri e inciderebbe più dvd. Coi blog, anche zeppi di inserzioni, ti rifai più o meno delle spese. Grillo non fa politica per guadagnarci, e però neanche vuole perderci troppo; ultimamente la sua colonnina si è fatta più agguerrita, con una strategia cattura-attenzione elementare quanto efficace. È tutto un 'Siamo senza parole! Clicca qui, guarda il video!' Non hanno mai parole. Hanno solo video. Adesso vado di là e copio-incollo i primi titoli che trovo, giusto per dare un'idea (continua sull'Unita.it, H1t#210)

MOVIMENTO 5 STELLE, CENSURATA PURE QUESTA NOTIZIA
Censurata anche questa notizia. Non ne parla nessuno. Abbiamo il video. Guardate cos’è successo. …
Non ho la minima idea di cosa sia, e un po’ di curiosità mi sarebbe anche venuta, però cliccando compare una pubblicità che dura 46 secondi e non si può chiudere. Anche dopo averla guardata per 46 secondi della mia vita, non si chiude lo stesso: forse pretendono che la segnali a qualcun altro via twitter o fb, c’è il logo sopra. Mboh, lascio perdere. In questo modo forse do una mano alla “censura”, ma d’altro canto immagino che se fosse una cosa davvero importante l’avrebbero messa nei titoli veri.
GIULIA INNOCENZI E IL SESSO 4 VOLTE AL MESE
Ecco cosa ha scritto Giulia Innocenzi a proposito del sesso 4 volte al mese: (Clicca…
Questa trovata è particolarmente penosa.  Di questo famoso contratto “sesso 4 volte al mese” ne hanno parlato un po’ tutti, oggi, ma solo a casa Casaleggio è venuto in mente di associarlo nel titolo al nome di una giornalista donna che è anche un volto televisivo. Ovviamente chi non ha ancora sentito la notizia assocerà la Innocenzi al “sesso 4 volte al mese” e correrà a cliccare: e ogni clic sono eurocentesimi, butta via. Immagino che dall’altra parte ci sia semplicemente un contenuto visuale o testuale in cui l’Innocenzi commenta la notizia, ma anche stavolta non sono andato oltre.
COLOSSALE FIGURA DI M…. DELLA RENZIANA!
Preparatevi perché questa è incredibile. Guardate cos’ha combinato la renziana Marianna Madia…
Ha sbagliato ufficio e ha parlato col ministro sbagliato, boh. Fossero questi i problemi della Madia. Poi per carità, è una notizia pure questa, però… “preparatevi perché questa è incredibile“. Ché io me lo immagino sempre questo lettore medio di beppegrillo che prima di ogni clic dà una controllata alla pressione per non sforzare troppo le coronarie.
MILENA GABANELLI SMASCHERA L’INGANNO
Ultim’ora direttamente da Milena Gabanelli. Governo smascherato. Ecco cosa stanno facendo: (Leggi…
Oh, per una volta si legge invece di guardare. Vado a cliccare e non finisco in una pagina di Report o comunque gestita da Milena Gabanelli, ma in un altro sito pieno zeppo di pubblicità video, dove si riporta una notizia (“la Commissione Bilancio ha stralciato quella parte della cosiddetta “web tax” che riguarda l’e-commerce”), segnalando che “lo scrive sul proprio profilo Facebook, Report, il programma di Milena Gabanelli”. C’è il link diretto? Certo che no.
TUTTO INTORNO A LEI!
Mariarosaria Rossi, assistente personale di Silvio Berlusconi. Diffusa questa imbarazzante notizia. …
Tutto così, sempre così. Incredibile, colossale, clicca. Siamo senza parole, guarda il video. Per molti questa è l’esperienza quotidiana con internet: tant’è che appena escono dal sito di Beppe cercano di riprodurla su altri siti. Ad esempio vengono qui nei commenti e si portano sempre delle verità importantissime che però ti possono comunicare soltanto attraverso i video. Guarda che ti sbagli, guarda il video.
Ora, per carità, sono sicuro di sbagliarmi tantissime volte. Ma i video non li guardo quasi mai. Niente di personale, ma mi annoio mentre si caricano. L’idea di restare fermo mentre i video mi spiegano una cosa, senza poter scorrere con lo sguardo e cercare i punti salienti (come faccio quando leggo un testo più o meno rapidamente) mi rende nervoso. Se proprio ci tieni al mio parere, fammi un riassunto. Sono abituato a leggere e a scrivere, e anche internet mi piaceva di più quando era tutta così: scrittura, lettura, di nuovo scrittura. A quel tempo lui i pc li spaccava, ricordate. Veniva dalla tv.
Poi un giorno è arrivato su interneta casa mia. E si è portato tutti questi noiosissimi video. E la sua corte di videoamatori. Perché la gente si annoia. La gente vuole vedere i video. Con tanta pubblicità intorno. Almeno Berlusconi se ne stava nell’altro scatolone, e per escluderlo bastava una pressione sul telecomando. http://leonardo.blogspot.com
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La tassa sulle orecchie

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Questa ed altre su http://sanjuro.blogspot.it/
A un certo punto degli anni Novanta la Siae (la corporazione degli autori italiani) si accorse che ogni anno incassava meno di quello precedente, e non perse molto tempo a identificare il colpevole: il cd vergine. La gente non comprava più i cd originali degli artisti, così generosamente offerti nei negozi a 30.000 / 40.000 lire il pezzo, ma li "masterizzava" - come si diceva allora - ovvero li copiava su cd vergini. E siccome non si poteva proibire la commercializzazione degli odiosi cd vergini, l'unica soluzione fu lobbizzare il parlamento fino ad ottenere una specie di pedaggio: chiunque avrebbe comprato un cd vergine di lì in poi avrebbe pagato una tassa alla Siae. Una specie di rimborso agli autori che potenzialmente, con quel cd vergine, avrebbe potuto derubare. Naturalmente l'acquirente avrebbe dovuto pagare il pedaggio anche se nel cd intendeva incidersi i fatti suoi, la tesi di laurea o le foto del bambino.

Tutto questo, stranamente, non disincentivò la pirateria. Continuammo a comprare cd vergini, pagandoli qualche centesimo in più, ma in realtà ci servivano sempre meno, perché la tecnologia ci stava offrendo supporti alternativi ben più capienti e affidabili: hard disk, chiavette, lettori mp3, eccetera. Su tutto questo continuavamo a pagare il pedaggio alla Siae (anche se vi riversavamo musica che avevamo regolarmente acquistato), ma non era abbastanza per pagare la rata della maserati del cantautore o il lifting al rapper, ed era destinato a calare, visto che i prezzi aumentavano molto meno della capienza dei supporti.

Un giorno la Siae se ne accorse, e decise di far pressione sul parlamento per raddoppiare, dico, raddoppiare il pedaggio: e, vuoi per l'incompetenza dei nostri rappresentanti, o vuoi per la complicità di alcuni di loro, la spuntò. Fu un momento epico per tutta la lobby, e tuttavia ormai gran parte della musica veniva ascoltata direttamente dalla nuvola, senza neanche passare dal supporto fisso: per quanto pedaggio si potesse far pagare agli acquirenti di pc e tablet, ormai erano briciole. Nel frattempo però il cantautore aveva ordinato una ferrari e i tatuaggi del rapper si stavano di nuovo nascondendo nelle grinze del mento, sicché bisognava pensare a qualcosa di nuovo.

A un certo punto un autore un po' più coraggioso degli altri pensò: ma sentite, tutta questa gente che esce di sera, dove va? Dove vuoi che vada? E' chiaro che va da qualche parte dove si ascolta la musica. Musica che abbiamo scritto noi! Non vi sembra giusto che paghino? All'inizio sembrava un'idea assurda.

Dieci anni dopo fu istituita l'imposta sul pubblico ascolto. Ti veniva addebitata nei locali, quando ti facevano il conto. La consumazione naturalmente era diventata obbligatoria per legge. Non fu un gran successo, c'era la crisi e la gente si mise a uscire di meno.

Ma gli autori non si diedero per vinti, dopotutto è una categoria di creativi. Montarono altoparlanti in tutte le città, ora se uscivi a qualsiasi ora del giorno ascoltavi Solo Musica Italiana - e la pagavi, era una voce nel Modello Unico. La gente usciva con le cuffiette per non ascoltarla, il pezzo più scaricato era un fruscio infinito che riusciva a coprire qualsiasi ritornello orecchiabile. Ma dovevi pagare anche quello. Se avevi orecchie dovevi pagare. I sordi provarono a opporsi.

Allora montarono in tutte le strade pannelli su cui scorrevano i testi delle canzoni. Ai turisti piaceva, il Bel Paese era diventato un grande karaoke, scrivevano. Noi non ci facevamo più caso, avevamo smesso di leggere da un pezzo.
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Tram Desiderio, ultima fermata San Francisco

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Blue Jasmine (Woody Allen, 2013)

Ieri. 
Cosa succederà quando diventeremo poveri? Non dico che non ce lo meritiamo. Ma poveri davvero, capisci, come quelli che viaggiano in classe economica? Quelli che hanno case brutte piene di mobili da quattro soldi tanto la maggior parte della giornata la passano fuori a... lavorare? Tu ce la faresti a lavorare? Dico sul serio. Lo sai usare un computer? Io non so neanche come si accende, dovrei fare un corso.

Non si potrebbe semplicemente trovare qualche uomo ricco e bello con una casa vuota da arredare, e ricominciare da capo?

Guardando Blue Jasmine a un certo punto ho avuto un brivido; non mi capitava da tantissimi film di Woody Allen (e io amo guardare i suoi film). Siamo a una festa un po' "mista", un ricevimento vagamente inverosimile, e Jasmine si annoia. A un certo punto entra in una sala vuota e incontra Peter Sarsgaard. Nessuno li vede. Escono su un terrazzo assolutamente sgombro. La musica insulsa all'improvviso non si sente più. Sarsgaard apre la bocca e in due minuti ha già riconosciuto le Roger Vivier ai piedi di Jasmine e si è accreditato come diplomatico in carriera, vedovo, con una casa da arredare e un futuro in politica, e io ho avuto un brivido: allucinazione, Woody Allen ci sta mostrando un'allucinazione. Siccome in tutte le scene in cui non sta con Sarsgaard la Blanchett sembra una matta, l'idea appare più che sensata. Una di quelle cose di cui poi ti vanti con gli amici, eh, ma io l'avevo capito subito che Jasmine stava sbroccando... no. Mi sbagliavo. Nessuna allucinazione. Jasmine incontra davvero il principe azzurro a una festa.

Oggi. 


È uno snodo abbastanza improbabile, ma Allen non scrive film realistici, forse non lo ha mai fatto. Puoi anche assegnargli un tema di attualità (lo scandalo dei Madoff), e dopo un po' ti accorgi che invece di approfittarne per raccontarci un po' di presente, è andato a ripescare i classici, il Tram chiamato Desiderio. Ai tempi di Match Point c'era chi ne magnificava la capacità di tuffarsi nella amoralità contemporanea, senza badare al fatto che si stava semplicemente ricucinando un buon vecchio Dostoevskij. Ad Allen il presente non interessa, a questo punto sarebbe ingiusto fargliene una colpa. Anche se non ha quasi mai la volontà o la necessità di ambientare i suoi film in un mondo che non sia simile al nostro (sempre però visto un po' da lontano, senza riferimenti cronologici precisi), Allen più che un realista rimane un autore tragico che, dopo aver messo in scena per vent'anni le sue riflessioni sul destino dei mortali su uno sfondo di grattacieli, ultimamente sta provando sfondi diversi. Ma la tragedia resta sempre la solita (Jasmine è condannata già prima che si alzi il sipario) e lo sfondo è soltanto uno sfondo. Così è comprensibile - anche se un po' triste - che negli ultimi anni i suoi impresari cerchino di attirare l'attenzione reclamizzando soprattutto l'originalità dei fondali: Woody does London! Paris! Rome! San Francisco!  Un giorno lo ritroveremo a Hong Kong, magari farà l'Edipo Re con un sottofondo ragtime e ci sembrerà una cosa incredibile e nuovissima (continua su +eventi!)

Domani.
Una volta ho letto che gli abitanti di Hong Kong hanno un problema con le distanze. Nascendo e crescendo in una città di grattacieli, davanti agli spazi vuoti si trovano in difficoltà. Probabilmente è una sciocchezza, e comunque Woody Allen è nato dall'altra parte del mondo, a Brooklyn; e ha vissuto gran parte della sua vita a Manhattan. Anche se negli ultimi anni ha dimostrato che può ambientare i suoi film altrove, qualche problema con gli spazi vuoti forse ce l'ha. Magari è più facile accorgersene in California che a Parigi o Londra o Roma. Tutti ci ricordiamo quella vecchia scena in cui tenta di spostarsi con un'automobile a Los Angeles; la più grande prova d'amore per Annie Hall, ormai fuori tempo massimo. Le auto nei suoi film sono spesso armi improprie, quasi mai mezzi di trasporto affidabili. Una delle premesse dei soggetti alleniani è che i personaggi possano incontrarsi per caso, attraversando la strada: devono dunque abitare tutti nello stesso grande quartiere. La possiamo prendere come una convenzione teatrale o come una forma di manhattania che non si nota veramente finché Allen non pretende di ambientare una tragedia nella West Coast, senza derogare alla sua aristotelica unità di luogo. A un certo punto Jasmine costringe il principe azzurro ad accostare e mollarla tutta sola sullo sfondo della Baia. Nella scena seguente la troviamo in un negozio a Oakland. Avrà preso l'autobus? Un taxi? Ci piace immaginarla mentre scarpina verso la meta, ma solo il ponte è lungo sette chilometri. Nella scena successiva è a casa di sua sorella, a San Francisco, comprensibilmente un po' provata. Il mondo fuori Manhattan è una prateria ostile e non misurabile, che non si ha più tempo per cercare di capire.

Così come non riesce a raffigurarsi uno spazio più vasto della metropoli, Allen sembra in difficoltà anche quando prova a ritrarre una classe media off Manhattan. Per risolvere il problema ricorre a un espediente notevole: ritaglia un personaggio da un altro film (la Poppy di Happy-Go-Lucky di Leigh, Sally Hawkins), e la piazza sul set: forza, scuoti i braccialetti, fa' qualcosa da ceto medio: la maestra d'asilo? E perché non la commessa in un supermercato. Avrai senz'altro un fidanzato unto di grasso che guarda la boxe e mangia la pizza dal cartone. Anche Baldwin nei panni del finanziere maneggione-farfallone sembra arrivare precotto da un altro set, ma probabilmente è quel che capita quando sei Woody Allen e tutti gli attori del mondo sono disposti a lavorare a parametro zero per te: che gli attori siano forse più perfetti del necessario. Compresa la Blanchett, che alla ricerca dell'Oscar grosso ci dà una classica interpretazione alleniana, nel solco del Branagh di Celebrity: balbetta, ostenta nevrosi, straparla. Ne risulta uno dei ritratti più impietosi che un regista abbia mai fatto di sé stesso: Woody Allen calato nelle forme e nei panni di un'arrampicatrice sociale rovinata, terrorizzata dallo spettro della povertà, incapace di accettare che il tempo delle mance generose e dell'idromassaggio è finito. Blue moon era la nostra canzone. Non si capisce quanti anni abbia realmente, sembra una Stella scappata da qualche filodrammatica con gli abiti di scena. Per il viaggio che l'aspetta non c'è una Louis Vuitton abbastanza solida. E gli sconosciuti hanno smesso di essere gentili da un pezzo.

Blue Jasmine è dovunque: al Fiamma di Cuneo (15:10, 18:00, 21:10); al Cityplex di Alba (16:00, 18:00, 20:00, 22:00); al Cinelandia di Borgo S. Dalmazzo (15:15, 17:40, 20:15, 22:40); al Multilanghe di Dogliani (21:30); ai Portici di Fossano (21:15); all'Italia di Saluzzo (16:00, 18:00, 20:00, 22:00); al Cinecittà di Savigliano (20:20, 22:30). E dire che una volta qui era tutto cinepanettone.
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Il bluff di Renzi

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Penso che sia chiaro a tutti che lo scambio proposto da Renzi a Grillo (riforme contro rata di rimborsi elettorali) sia un bluff, lanciato proprio per dimostrare che Grillo non ha intenzione di raccoglierlo. Non farò quello che si scandalizza: i bluff fanno parte del gioco e sarei il primo a festeggiare se Renzi riuscisse a combinarne uno. Il punto semmai è questo: è un buon bluff? Indebolisce la posizione di Grillo, attira qualcuno dei suoi potenziali elettori? Ovviamente non ho nessun titolo per rispondere, ma mi limito a notare un paio di cose.

La mossa di Renzi
a) ricorda a tutti che il Pd sta per intascare una cospicua rata di rimborsi elettorali;
b) suggerisce che il Pd, di questi soldi, possa fare benissimo a meno: tant'è che Renzi si permette di buttarli tutti sul piatto così, come un giocatore ben disposto a perdersi in una mano tutto quel mucchio di fiches di cui inconsciamente si vergogna.

In sostanza, più che a mettere in crisi Grillo, il bluff lo aiuta a rimarcare la sua coerenza: il M5S i rimborsi non li ha mai voluti, nemmeno per usarli come merce di scambio. Secondo me insomma non è stata una gran mossa: ma per fortuna non me ne intendo tanto, né di politica né di poker.
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Il lapsus divino

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Il due per mille non frega il cittadino... l'otto per mille invece sì?


"Il sistema del due per mille non frega il cittadino". "Se il cittadino non opta, quindi non sceglie Stato o partiti, il contributo, il due per mille stesso, rimane allo Stato". Così ha detto Enrico Letta e senz'altro è una buona notizia: per molto tempo abbiamo temuto che anche il due per mille di chi non intendeva scegliere (il cosiddetto "inoptato") sarebbe stato distribuito ai partiti. Non è così: eravamo i soliti prevenuti, il sistema del due per mille non fregherà il cittadino.

Ma perché ci era venuto un dubbio del genere? Semplice: avevamo pensato di applicare al nuovo "due per mille" lo stesso sistema che funziona per l'otto per mille con cui si finanziano le confessioni religiose. Nel caso dell'otto per mille infatti l'inoptato viene ri-distribuito secondo un criterio proporzionale: la confessione che ha ottenuto il maggior numero di "preferenze" ottiene la fetta più grande. Se si considera che più o meno il sessanta per cento dei contribuenti non esprime nessuna preferenza, ne risulta che il 37% dei contribuenti che scelgono la Chiesa cattolica riescono a dirottare su di essa l'85%... (continua sull'Unita.it, h1t#209) (dati del Senato relativi al 2007): più del doppio. Per contro l’Assemblea di Dio e l’Unione delle chiese metodiste e valdesi hanno deciso di rinunciare alla loro quota di inoptato.

Ma a quanto pare il due per mille non funzionerà così. Mentre si affannava a spiegarcelo, Letta si è lasciato scappare un lapsus: il due per mille non frega il cittadino. Che equivale a un’ammissione: l’otto per mille invece sì. Non importa quante volte ce lo siamo detti e ripetuti negli ultimi 25 anni: sentirselo confermare da un presidente del consiglio fa comunque piacere. Specie se il presidente in questione è di area cattolica. Non sarebbe fantastico se non si trattasse di un lapsus, ma l’annuncio di una riforma della legge 222/1985 che assegni a ogni confessione soltanto l’otto per mille che i contribuenti scelgono di destinare? Lo Stato ne ricaverebbe una cifra intorno ai seicento milioni di euro, non esattamente bruscolini. La Chiesa cattolica viceversa si ritroverebbe un po’ più povera, ma papa Francesco senz’altro non se ne lamenterà – del resto chi mai vorrebbe arricchirsi fregando i cittadini? http://leonardo.blogspot.com


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La sicurezza, la disciplina, al limite Renzi

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Semplificando

Vedo che c'è chi si preoccupa - no, tranquilli, ce la faccio a capire che i Forconi sono un movimento di destra, identitario, confusamente nazionalista (magari in Puglia è diverso, ma qui nella Padania del sud vedere il tricolore sbandierato fa ancora un certo effetto), sostanzialmente reazionario. Così come ce l'hanno fatta i gruppi di sinistra extraparlamentare che, rare eccezioni a parte, non hanno ceduto alla tentazione di scendere nelle stesse piazze. Cioè ce la faccio ancora a distinguere la sinistra e la destra estreme, non sono così rincoglionito - ma grazie del pensiero - e tuttavia mi domando: loro ci riusciranno ancora per molto? Le sinistre e le destre, intendo.

Quando si parla di piazze, bisogna rassegnarsi a gettare le ortiche la nostra abilità analitica raffinata negli anni e farci domande semplici, basiche, perché anche i sanculotti dell'89 non è che fossero molto più eleganti dei forconi, e più che al suffragio universale e alla dichiarazione dei diritti dell'uomo pensavano al pane. Dunque, semplificando: con chi ce l'ha tutta questa gente? Coi politici, con l'Europa. E i No Tav con chi ce l'hanno? Magari la risposta è lievemente diversa, ma quasi del tutto sovrapponibile: i politici, l'Europa. Grillo con chi ce l'ha? Berlusconi con chi ha intenzione di avercela?

La grande notizia del biennio 2012-2013 è che gli italiani sono diventati un popolo antieuropeo - non lo erano, e adesso sono convinti di esserlo stati sempre. Non hanno più memoria del tempo in cui erano i più europeisti di tutti: si domandano come sia possibile essere entrati nell'Euro senza consultare i cittadini, e in buona fede non rammentano che vent'anni fa una consultazione del genere sarebbe stata del tutto pleonastica: volevamo tutti entrare nell'Euro, bisognava essere scemi per voler restarne fuori. Siamo molto cambiati, e non è solo colpa nostra. Diciamo che è un concorso di colpa con Berlino e con Bruxelles.

Ma insomma semplificando questo è il Rodano: l'insurrezione, se ci sarà, sarà antieuropea. L'extrasinistra può guardare gli antieuropei di destra prendersi le piazze, oppure può rivendicare il suo angolino. Io mi ritrovo alla finestra a sperare nella maggioranza silenziosa, quella che prende paura per una ventina di facce scure a un casello e corre a votare la sicurezza, la disciplina, o al limite Renzi. Questo è quello che mi capita di essere diventato a fine 2013; poi per carità, finché c'è la salute.
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L'impero del Kitsch

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Dietro i candelabri (Behind the Candelabra), Steven Soderbergh, 2013.

In un universo parallelo, il giovane Silvio Berlusconi un giorno si è imbarcato per una crociata più lunga delle altre e non è tornato a casa. Costretto a sostituire il fido Confalonieri al piano, si è arrabattato trasformando ogni concertino in uno spettacolo, ogni difetto di esecuzione in una gag; perfezionando nel frattempo anche l'arte di stordire gli ascoltatori di barzellette e chiacchiere tra un numero e l'altro. Una volta sbarcato negli USA, lo aspettava altra gavetta nel circuito dei saloon e dei bordelli: poi gli è capitato di fare un po' di storia della televisione (è pur sempre Silvio Berlusconi), e alla fine si è fermato a Vegas: il primo grande artista a far sgorgare dollari dal deserto. L'oasi delle slot divenne la capitale del suo impero del kitsch: massaie di cinquanta Stati venivano a toccargli il parrucchino, e a constatare che a differenza di tutti gli ex divi della tv in bianco e nero, lui non invecchiava: aveva soltanto messo fuori i colori, e che colori. In un universo non troppo parallelo, Silvio Berlusconi ha un segreto che non è esattamente quello di Dorian Gray: si tiene giovane macinando carne giovane, attirando timidi ragazzini con regali e promesse di gloria, suggendo loro la linfa vitale, per risputarli poi sul marciapiede, involucri vuoti ma segnati per sempre nell'animo e nella plastica del viso. Nel nostro universo invece Silvio Berlusconi ha fatto l'imprenditore e noi ci siamo persi un artista, un entertainer, un personaggio favoloso. Consoliamoci con Liberace.

Perdonate il curziomaltesismo - e dire che quella lunga epoca in cui ogni film era uno spunto per parlare di B. sembrava esaurita: ma poi a due settimane dalla decadenza arriva anche in Italia il Liberace di Soderbergh, e di fronte all'incredibile consistenza bavosa del personaggio impersonato da Michael Douglas, qualsiasi sforzo di tenere lontano il pensiero di Berlusconi e delle sue ragazze di Casoria o Casablanca risulta vano... (continua su +eventi!)Forse proprio perché Soderbergh sembra voler rifuggere qualsiasi spunto politico per limitarsi a ritrarre un narcisista all’ultimo stadio, anche se filtrato dal punto di vista di una delle sue vittime (un tizio non proprio affidabile: ultimamente per esempio forse è in galera).

Forse Liberace, l’inventore del camp, meritava un racconto più lungo e disteso: la storia del concertista classico che per ingrossare il suo pubblico pagante comincia a inserire in repertorio canzonacce da music hall, passando nel giro di pochi anni da Liszt al boogie-woogie, conteneva spunti più interessanti della sua tarda vita sentimentale e delle sue chirurgie plastiche. Avremmo così scoperto che il Kitsch abbracciato dal pianista nasce dalle esigenze pratiche dell’entertainer: Liberace non vuol essere un punto scuro in giacca scura che suona un pianoforte scuro in fondo a un palco immenso. Vestiti, anelli, barzellette: tutto ciò che funziona per attirare l’attenzione del pubblico è una cosa buona, e con le cose buone non si esagera mai abbastanza (“too much of a good thing is wonderful”). Nello spazio di vent’anni, Liberace passa dal tuxedo scuro allo strascico di ermellino. Sempre più grosso, sempre più vistoso, il pianista è anche sempre più vuoto: la musica è diventata un accessorio per far prendere fiato al pubblico tra una gag e l’altra. Alla vacuità del personaggio poi corrisponde una vita sentimentale melodrammatica che lui volle tenere nascosta fino alla fine. Il film decide invece di scoperchiarla, illuminando solo una piccola porzione di quello che è stato Liberace: ma il cinema è fatto così, bisogna semplificare, e lui lo sapeva bene.



Il vero Liberace, una sera che vestiva casual.

Il grande schermo è sempre stato il suo cruccio: non importa quanto fosse già ricco e famoso, il suo sogno era diventare una stella del cinema, e non ci riuscì. Gli andò meglio in tv – memorabile la sua comparsata nel telefilm di Batman – ma il mezzo gli stava stretto. A un quarto di secolo dalla sua scomparsa, la maledizione continua: Soderbergh ha girato per anni gli studios cercando di piazzare il soggetto. Persino la disponibilità di Michael Douglas e Matt Damon non è riuscita a vincere la diffidenza per un film in cui i due avrebbero fatto un po’ di sesso assieme. Alla fine anche stavolta la tv ha vinto: il film è stato prodotto dal canale HBO, quello che produce le serie serie. In Italia è uscito nelle sale, tanto vale approfittarne. (Update: a Cuneo e provincia l’hanno già tolto. Però c’è ancora all’UCI Moncalieri, alle 14:35! Secondo me inizia un po’ più tardi).
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La foto col poliziotto

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Geniale (anche dopo aver visto che le mani non sono
quelle del poliziotto, continui a crederci).
Visti dal mio qualunquissimo punto di vista, dal mio casello autostradale, stamattina i Forconi mi sembrano già ridotti a un drappello inoffensivo, più o meno delle dimensioni di un Social Forum di provincia; una cosa che può impaurirti solo se della paura hai disperatamente bisogno.
E però bisogna ammettere che in giro tra tv e radio e web tira un'aria da marcetta mica da ridere: quindi voglio lasciare agli atti che i Forconi tutta questa attenzione se la meritano. Fotografarsi coi poliziotti, simpatizzanti o non, è probabilmente la migliore mossa mediatica fatta negli ultimi anni da chiunque. E a loro è uscita così, spontanea. Normale che a questo punto Silvio Berlusconi voglia riceverli: finalmente qualcuno che ha idee nuove, fresche, se ne sente l'esigenza in palinsesto.

(Lui d'altro canto l'allarme ce l'aveva pur dato, mesi e anni fa: guardate che la gente non ce la fa più. E noi sciocchi a ripetergli che non era vero, che i ristoranti erano pieni, ecc. ecc.)
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