La gente si trova, si tocca, ci prova
24-05-2020, 20:04epidemia 2020, karaoke esistenziale, musicaPermalinkAlle cinque di sera, bici, scarpe e corriera
il mondo si sposta.
Io che sono nervosa e un pochino gelosa
c’è poco mi scoppi la testa.

Vorrei proprio sapere cos’è che hanno tutti da dire
che cos’hanno da fare, uscire, entrare, andare,
andare, andare se in fondo per me
dici, taci, piaci, baci senza sapere perché.
Alle dieci di sera, in un’altra atmosfera
si passa anche ai fatti!
Come fossero acciughe, in scatola in fila per due
mi pare che diventino matti...
Vorrei proprio sapere cos’è che hanno tutti da dire
che cos’hanno da fare uscire, entrare, andare,
andare, andare, se in fondo per me
dici, taci, piaci, baci senza sapere perché.
La gente si trova, si tocca, ci prova,
si lascia e non ha nostalgia.
La gente si chiama, si trova, si ama,
non piange per una bugia.
il mondo si sposta.
Io che sono nervosa e un pochino gelosa
c’è poco mi scoppi la testa.

Vorrei proprio sapere cos’è che hanno tutti da dire
che cos’hanno da fare, uscire, entrare, andare,
andare, andare se in fondo per me
dici, taci, piaci, baci senza sapere perché.
Alle dieci di sera, in un’altra atmosfera
si passa anche ai fatti!
Come fossero acciughe, in scatola in fila per due
mi pare che diventino matti...
Vorrei proprio sapere cos’è che hanno tutti da dire
che cos’hanno da fare uscire, entrare, andare,
andare, andare, se in fondo per me
dici, taci, piaci, baci senza sapere perché.
La gente si trova, si tocca, ci prova,
si lascia e non ha nostalgia.
La gente si chiama, si trova, si ama,
non piange per una bugia.
La gente si trova, si tocca, ci prova,
si lascia e non ha nostalgia.
La gente si chiama, si trova, si ama,
non piange per una bugia.
(Ornella Vanoni, 1974, testo di Caetano Veloso ("Cheva, suor e cerveja") tradotto e adattato da Sergio Bardotti).
si lascia e non ha nostalgia.
La gente si chiama, si trova, si ama,
non piange per una bugia.
(Ornella Vanoni, 1974, testo di Caetano Veloso ("Cheva, suor e cerveja") tradotto e adattato da Sergio Bardotti).
Comments
Gonna be a mammy soon
25-03-2019, 01:24karaoke esistenziale, musica, santiPermalink25 marzo – Annunciazione
Forse bisognerebbe fare come in Toscana nel medioevo: contare gli anni a partire dal 25 marzo, l'annunciazione di Maria. Se oggi concepisci un bambino, dovrebbe nascere intorno a Natale. Come lo concepisci naturalmente è affare tuo.
I Thin Lizzy nel '73 erano un power trio che ce la stava mettendo tutta, ma se vieni dall'Irlanda forse è più difficile. Volevano fare hard rock, ma andavano in classifica con le ballate celtiche. Il frontman Phil Lynott aveva tratti somatici ben poco celtici (il padre veniva dalla Guyana), un approccio pre-punk al basso e un occhio attento a quello che gli succedeva intorno, per le piccole storie suburbane alla Kinks – ma la gente voleva sentir cantare di eroi e folletti e vite esagerate. Ai Thin Lizzy nel '73, tra qualche pezzo hard rock e qualche ballata capitò di incidere Little Girl in Bloom, che è più o meno come se a un imbrattatele sconosciuto di Dublino uscisse un'Annunciazione di Guido Reni. Sono cose che a volte capitano: certo, bisogna saperle cogliere al volo. Dire sì a un angelo è meno facile di quanto sembri.
Little Girl in Bloom è un brano senza tempo, il che non è necessariamente un complimento. A me piace che i brani abbiano un tempo riconoscibile, mi piace sorseggiarli e affermare con sicumera "questo è un '76", "questo è decisamente un '93". Little Girl in Bloom non è niente del genere, è un pomeriggio nuvoloso, è una ragazza alla finestra che guarda gli uomini giocare a cricket. Ha un segreto nel grembo, deve spiegarlo a suo padre, sarà complicato. Rilassati, dice Lynott. Aspetta di essere sola con lui. È difficile trovare le parole giuste in certi casi, specie se nel frattempo stai anche suonando il basso, ma per Lynott non è un grosso problema: non fa che suonare due note, per quasi tutta la canzone. Una cosa piuttosto barbara per gli standard del '73, ma sai che c'è? Non importa più.
Little girl in bloom
All the clouds will go drifting by
So sing your lullabying tune
Every word is in your eyes
As you sit and softly croon
Little girl in bloom
Your love it fills the air
With the scent of the sweetest, sweet perfume
You feel so good you just don't care
You're gonna be a mammy soon
Poi, quando l'angelo alla finestra ha detto tutto quel che poteva dire – e magari la partita di cricket è finita, il sole è tramontato, il papà sta salendo le scale – all'improvviso il chitarrista si risveglia ed è come se la canzone cominciasse solo a quel punto. Buon anno. Diventeremo tutti più grandi, da qui a Natale.
(Il disco non andò nemmeno in classifica. Qualche anno dopo i Thin Lizzy riuscirono a sfondare con The Boys Are Back in Town, e divennero il gruppo rock anni '70 che speravano di diventare. I '70 in realtà stavano già finendo, e lo stesso Lynott non sarebbe sopravvissuto di molto. Ma sai che c'è? Ha scritto Little Girl in Bloom).
Forse bisognerebbe fare come in Toscana nel medioevo: contare gli anni a partire dal 25 marzo, l'annunciazione di Maria. Se oggi concepisci un bambino, dovrebbe nascere intorno a Natale. Come lo concepisci naturalmente è affare tuo.
I Thin Lizzy nel '73 erano un power trio che ce la stava mettendo tutta, ma se vieni dall'Irlanda forse è più difficile. Volevano fare hard rock, ma andavano in classifica con le ballate celtiche. Il frontman Phil Lynott aveva tratti somatici ben poco celtici (il padre veniva dalla Guyana), un approccio pre-punk al basso e un occhio attento a quello che gli succedeva intorno, per le piccole storie suburbane alla Kinks – ma la gente voleva sentir cantare di eroi e folletti e vite esagerate. Ai Thin Lizzy nel '73, tra qualche pezzo hard rock e qualche ballata capitò di incidere Little Girl in Bloom, che è più o meno come se a un imbrattatele sconosciuto di Dublino uscisse un'Annunciazione di Guido Reni. Sono cose che a volte capitano: certo, bisogna saperle cogliere al volo. Dire sì a un angelo è meno facile di quanto sembri.
Little Girl in Bloom è un brano senza tempo, il che non è necessariamente un complimento. A me piace che i brani abbiano un tempo riconoscibile, mi piace sorseggiarli e affermare con sicumera "questo è un '76", "questo è decisamente un '93". Little Girl in Bloom non è niente del genere, è un pomeriggio nuvoloso, è una ragazza alla finestra che guarda gli uomini giocare a cricket. Ha un segreto nel grembo, deve spiegarlo a suo padre, sarà complicato. Rilassati, dice Lynott. Aspetta di essere sola con lui. È difficile trovare le parole giuste in certi casi, specie se nel frattempo stai anche suonando il basso, ma per Lynott non è un grosso problema: non fa che suonare due note, per quasi tutta la canzone. Una cosa piuttosto barbara per gli standard del '73, ma sai che c'è? Non importa più.
Little girl in bloom
All the clouds will go drifting by
So sing your lullabying tune
Every word is in your eyes
As you sit and softly croon
Little girl in bloom
Your love it fills the air
With the scent of the sweetest, sweet perfume
You feel so good you just don't care
You're gonna be a mammy soon
Poi, quando l'angelo alla finestra ha detto tutto quel che poteva dire – e magari la partita di cricket è finita, il sole è tramontato, il papà sta salendo le scale – all'improvviso il chitarrista si risveglia ed è come se la canzone cominciasse solo a quel punto. Buon anno. Diventeremo tutti più grandi, da qui a Natale.
(Il disco non andò nemmeno in classifica. Qualche anno dopo i Thin Lizzy riuscirono a sfondare con The Boys Are Back in Town, e divennero il gruppo rock anni '70 che speravano di diventare. I '70 in realtà stavano già finendo, e lo stesso Lynott non sarebbe sopravvissuto di molto. Ma sai che c'è? Ha scritto Little Girl in Bloom).
E un re perplesso scrisse l'Alleluja
29-12-2018, 00:01Bibbia, cantare, cantautori, karaoke esistenziale, musica, santi, traduzioniPermalink29 dicembre, San Davide Re e Profeta¹
Fu una segreta melodia
che suonò Davide al suo Dio,
– ma a te, lo so, la musica già annoia –
dal Do lei sale al Sol maggiore
e sale ancora (ma in minore)²,
e un re perplesso scrisse l’Alleluja:
Alleluja, Alleluja.
Credevi, ma chiedesti un segno:
era sul tetto a farsi un bagno³,
e mai ci fu una notte meno buia...
Ti legò al tavolo in tinello
ruppe il trono, i tuoi capelli
ti strappò, e di bocca un’alleluja!
Alleluja, Alleluja.
Dici che ho preso un nome invano:
non so cosa ci sia di strano.
(Non so neanche quale nome Lui ha).
Ogni parola ha la sua luce,
che importa a quale dai la voce:
sia santa o sia perduta, è un’alleluja.
Alleluja, Alleluja.
Feci il mio meglio, non granché:
non ero pronto a entrare in te;
l’amore non è un tema che si studia.
Ma ad ogni sciocco errore mio
renderò sempre lode a Dio,
e sulle labbra avrò solo: alleluja.
Alleluja, Alleluja.
Io queste stanze le rammento4
ho già spazzato il pavimento:
amarsi, sai, non è un inno alla Gioia.
Che importa se dalla ringhiera
sventola la tua bandiera?
Io sento solo un gelido Alleluja.
Alleluja, Alleluja.
E se mi chiedi se c'è un dio
quel che in amore ho appreso io
è a fare fuori il primo che ti incula5.
Perciò non è un pianto stasera
quel che senti, o una preghiera:
è solo un crudo e gelido Alleluja.
Alleluja, Alleluja6.
1. Non so perché il calendario cattolico festeggi re David il 29 dicembre, però è da anni che mi intestardisco a scrivere un testo italiano cantabile per questa canzone dalla storia bizzarra, che grazie a un cartone animato e al titolo apparentemente liturgico è entrata a far parte del repertorio nuziale in Italia: esatto, c'è gente che la vuole sentir cantare al proprio matrimonio. Benché parli di frustrazione affettiva e sessuale? O proprio per questo motivo? E ho sfidato la prosodia e il ridicolo perché voglio informare questo tipo di gente dell'errore, o perché continuava a girarmi in testa e non ne potevo più? A volte tradurre una canzone è un modo per ammazzarla. Non spesso, ma è probabilmente il mio caso.
2. Naturalmente non è obbligatorio suonarla in Do, io una volta a un matrimonio l'ho suonata in Do ma non vuol dire. Se avete una traduzione migliore fatevi avanti, coraggio.
3. Dopodiché mi sono chiesto: ma sul serio Betsabea, una donna sposata, si faceva il bagno nuda sul tetto a rischio di invaghire un sovrano in grado di inviare il marito in missione suicida? E infatti no, è Davide che sta sul tetto del suo palazzo reale, da dove può vedere ciò che gli altri non sospettano. Apparentemente è un malinteso causato dalla struttura del verso "You saw her bathing on the roof", ma a quanto pare questa brutta diceria su Betsabea dura da secoli (su Internet trovi decine di blog che difendono l'onore di Betsabea) (su Internet trovi di tutto).
4. Queste ultime due strofe Cohen le scrisse ma non le incise; si trovano invece nella versione di Jeff Buckley che è poi quella che scatenò l'hallelujah-mania.
5. Lo so, lo so, ma una volta che mi è venuta in mente non sono più riuscito a non sentirla così nella mia testa. Voi senz'altro avete una traduzione migliore di overthrew ya, non è vero? È il colpo di grazia alla canzone moribonda, mettiamola così. Provate a suonarla a un matrimonio, adesso.
6. [Le tre di un mattino di fine dicembre, ti scrivo per dirti che qui è come sempre. Fa freddo in città però non si sta male, qui fuori c'è musica, è ancora Natale. E tu? Stai in campagna? E fai il solitario? E vivi di niente? Spero almeno tu tenga un diario].
Fu una segreta melodia
che suonò Davide al suo Dio,
– ma a te, lo so, la musica già annoia –
dal Do lei sale al Sol maggiore
e sale ancora (ma in minore)²,
e un re perplesso scrisse l’Alleluja:
Alleluja, Alleluja.
Credevi, ma chiedesti un segno:
era sul tetto a farsi un bagno³,
e mai ci fu una notte meno buia...
Ti legò al tavolo in tinello
ruppe il trono, i tuoi capelli
ti strappò, e di bocca un’alleluja!
Alleluja, Alleluja.
Dici che ho preso un nome invano:
non so cosa ci sia di strano.
(Non so neanche quale nome Lui ha).
Ogni parola ha la sua luce,
che importa a quale dai la voce:
sia santa o sia perduta, è un’alleluja.
Alleluja, Alleluja.
Feci il mio meglio, non granché:
non ero pronto a entrare in te;
l’amore non è un tema che si studia.
Ma ad ogni sciocco errore mio
renderò sempre lode a Dio,
e sulle labbra avrò solo: alleluja.
Alleluja, Alleluja.
Io queste stanze le rammento4
ho già spazzato il pavimento:
amarsi, sai, non è un inno alla Gioia.
Che importa se dalla ringhiera
sventola la tua bandiera?
Io sento solo un gelido Alleluja.
Alleluja, Alleluja.
E se mi chiedi se c'è un dio
quel che in amore ho appreso io
è a fare fuori il primo che ti incula5.
Perciò non è un pianto stasera
quel che senti, o una preghiera:
è solo un crudo e gelido Alleluja.
Alleluja, Alleluja6.
1. Non so perché il calendario cattolico festeggi re David il 29 dicembre, però è da anni che mi intestardisco a scrivere un testo italiano cantabile per questa canzone dalla storia bizzarra, che grazie a un cartone animato e al titolo apparentemente liturgico è entrata a far parte del repertorio nuziale in Italia: esatto, c'è gente che la vuole sentir cantare al proprio matrimonio. Benché parli di frustrazione affettiva e sessuale? O proprio per questo motivo? E ho sfidato la prosodia e il ridicolo perché voglio informare questo tipo di gente dell'errore, o perché continuava a girarmi in testa e non ne potevo più? A volte tradurre una canzone è un modo per ammazzarla. Non spesso, ma è probabilmente il mio caso.
2. Naturalmente non è obbligatorio suonarla in Do, io una volta a un matrimonio l'ho suonata in Do ma non vuol dire. Se avete una traduzione migliore fatevi avanti, coraggio.
3. Dopodiché mi sono chiesto: ma sul serio Betsabea, una donna sposata, si faceva il bagno nuda sul tetto a rischio di invaghire un sovrano in grado di inviare il marito in missione suicida? E infatti no, è Davide che sta sul tetto del suo palazzo reale, da dove può vedere ciò che gli altri non sospettano. Apparentemente è un malinteso causato dalla struttura del verso "You saw her bathing on the roof", ma a quanto pare questa brutta diceria su Betsabea dura da secoli (su Internet trovi decine di blog che difendono l'onore di Betsabea) (su Internet trovi di tutto).
4. Queste ultime due strofe Cohen le scrisse ma non le incise; si trovano invece nella versione di Jeff Buckley che è poi quella che scatenò l'hallelujah-mania.
5. Lo so, lo so, ma una volta che mi è venuta in mente non sono più riuscito a non sentirla così nella mia testa. Voi senz'altro avete una traduzione migliore di overthrew ya, non è vero? È il colpo di grazia alla canzone moribonda, mettiamola così. Provate a suonarla a un matrimonio, adesso.
6. [Le tre di un mattino di fine dicembre, ti scrivo per dirti che qui è come sempre. Fa freddo in città però non si sta male, qui fuori c'è musica, è ancora Natale. E tu? Stai in campagna? E fai il solitario? E vivi di niente? Spero almeno tu tenga un diario].
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Avresti dovuto scriverne 15
27-10-2013, 21:21arti contemporanee, coccodrilli, karaoke esistenziale, lavoro, musica, traduzioniPermalinkLavoro
Andy era cattolico, con l'etica nella spina dorsale.
Viveva da solo con sua madre collezionando maldicenze e giocattoli.
Ogni domenica, quando andava in chiesa
s'inginocchiava e diceva:
È lavoro.
Importa solo il lavoro.
Andy era tantissime cose;
quella che ricordo di più,
è quando diceva "Devo portare a casa la pagnotta",
"qualcuno deve portare a casa il salame".
Arrivava alla Factory per primo,
se glielo chiedevi te lo diceva in faccia:
È lavoro
La cosa più importante è il lavoro.
Non importava cosa facessi, non sembrava mai abbastanza;
diceva che ero pigro, io dicevo che ero giovane.
Mi chiedeva "quante canzoni hai scritto?"
Ne avevo scritte zero, mentivo e gli dicevo "dieci".
"Non sarai giovane per sempre,
avresti dovuto scriverne quindici:
È lavoro
Quello che importa è il lavoro".
Mi ordinava di fare cose grandi:
alla gente piacciono così.
E le canzoni con le parolacce:
si assicurava che le registrassi così.
Andy adorava creare polemiche,
pensava che fosse divertente.
"È lavoro (diceva)
importa solo il lavoro".
Andy mi fece un discorso un giorno,
"Decidi cosa vuoi fare.
Vuoi espandere i tuoi parametri
o giocare al museo come un dilettante?"
Lo licenziai su due piedi,
si fece rosso e mi diede del sorcio.
Era la parola peggiore a cui riusciva a pensare,
non l'avevo mai visto così.
Ma era solo lavoro.
Pensavo che avrebbe detto "è lavoro".
Andy diceva tante cose, le custodisco tutte nella mia testa.
A volte, quando non riesco a decidere che fare,
mi chiedo: cosa mi avrebbe detto Andy?
Probabilmente mi direbbe: "Tu pensi troppo,
si vede che c'è del lavoro che non vuoi metterti a fare.
Ma è lavoro.
La cosa più importante, il lavoro".
Il lavoro.
Quello che importa è il lavoro.
Lou Reed (1942-2013), John Cale. Da Songs for Drella, 1990.
Andy era cattolico, con l'etica nella spina dorsale.
Viveva da solo con sua madre collezionando maldicenze e giocattoli.
Ogni domenica, quando andava in chiesa
s'inginocchiava e diceva:
È lavoro.
Importa solo il lavoro.
Andy era tantissime cose;
quella che ricordo di più,
è quando diceva "Devo portare a casa la pagnotta",
"qualcuno deve portare a casa il salame".
Arrivava alla Factory per primo,
se glielo chiedevi te lo diceva in faccia:
È lavoro
La cosa più importante è il lavoro.
Non importava cosa facessi, non sembrava mai abbastanza;
diceva che ero pigro, io dicevo che ero giovane.
Mi chiedeva "quante canzoni hai scritto?"
Ne avevo scritte zero, mentivo e gli dicevo "dieci".
"Non sarai giovane per sempre,
avresti dovuto scriverne quindici:
È lavoro
Quello che importa è il lavoro".
Mi ordinava di fare cose grandi:
alla gente piacciono così.
E le canzoni con le parolacce:
si assicurava che le registrassi così.
Andy adorava creare polemiche,
pensava che fosse divertente.
"È lavoro (diceva)
importa solo il lavoro".
Andy mi fece un discorso un giorno,
"Decidi cosa vuoi fare.
Vuoi espandere i tuoi parametri
o giocare al museo come un dilettante?"
Lo licenziai su due piedi,
si fece rosso e mi diede del sorcio.
Era la parola peggiore a cui riusciva a pensare,
non l'avevo mai visto così.
Ma era solo lavoro.
Pensavo che avrebbe detto "è lavoro".
Andy diceva tante cose, le custodisco tutte nella mia testa.
A volte, quando non riesco a decidere che fare,
mi chiedo: cosa mi avrebbe detto Andy?
Probabilmente mi direbbe: "Tu pensi troppo,
si vede che c'è del lavoro che non vuoi metterti a fare.
Ma è lavoro.
La cosa più importante, il lavoro".
Il lavoro.
Quello che importa è il lavoro.
Lou Reed (1942-2013), John Cale. Da Songs for Drella, 1990.
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Un giorno sfondo
24-08-2010, 00:01jukebox '10, karaoke esistenziale, traduzioniPermalinkDiceva d'essere un attore,
e anche un po' fotografo;
la sua vita era una commedia,
perciò era pure un comico.
Avrebbe fatto i milioni,
ormai stavano arrivando...
e nel frattempo cazzeggiava.
Si guardò indietro nello specchio:
tutti quegli anni, formidabili.
Posò lo stuzzicadenti
e rise un po' dei cazzi suoi.
Vedeva l'odio per sé stesso
già inciso nell'autoritratto
che avrebbero esposto a Brera
di fianco a un Tintoretto,
ma era in ritardo con l'affitto.
Spiegava: sono un musicista,
che ha questa ambizione:
che tutti possano ascoltare
il mio ritmo interiore...
Nel frattempo stava immobile
e diceva così:
È una questione di tempo,
vedrai che arriva il mio momento.
Io credo ancora nel mio sogno:
sto per spaccare il culo al mondo,
sto per spaccare il culo al mondo.
Non negava di esser bello,
aveva fatto anche il modello,
ma non mandava giù l'idea
di sfilare in mutande
(rendeva più in Autunno-Inverno).
E lavorava a un portale(*)
che avrebbe aperto a Natale.
Faceva tutto anche da casa
con il suo cellulare,
finché è rimasto senza credito.
Un gran lavoratore,
che non riusciva a stare fermo:
cercava ancora il suo Dio,
senza più credere all'inferno
(ma andava ancora a confessarsi).
Un uomo molto indipendente,
ma con qualche dipendenza;
un vero uomo libero,
(dormiva in case occupate);
aspettava un bonifico,
che ormai stava arrivando,
e nel frattempo cazzeggiando
mi spiegava così:
È una questione di tempo,
ma arriverà il mio momento.
Io ci credo un giorno sfondo,
spaccherò il culo al mondo,
spaccherò il culo al mondo...
Fatti spiegare il mio sistema,
mentre mi offri la cena,
ecco vedi,
Io sono un attore,
e anche un po' un fotografo;
poi la mia vita è una commedia,
il che fa di me un comico.
Vedrai farò i milioni,
vedrai vedrai che arrivano...
(*) Era il 2000, dopotutto. Succedeva persino a me.
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Karaoke esistenziale, #21.
13-02-2009, 16:26karaoke esistenziale, musicaPermalinkJust a little bit closer
(Io credo che la canzone perfetta – che è come dire la perfetta poesia, il perfetto post, il perfetto modo di passare 3 minuti e 30'' – debba essere per prima cosa ambigua. Dove per “ambiguo” si intenda proprio “suscettibile di due interpretazioni”.
Anche più di due, volendo. Ma non strafare, è meglio due. In effetti, quante interpretazioni pensi di poter suggerire in tre minuti e mezza? Non è un rebus, non stai lavorando per il tempo libero di un professore in pensione; è una canzone che devono capire i ragazzini. Due è più che sufficiente e non c'è neanche bisogno che le capiscano entrambe. Hanno tutta la vita per farlo ed è molto interessante scoprire a trent'anni che la canzone che canticchi da quindici si poteva anche leggere al contrario.
Per esempio Smokey Robinson nel 1965 coi Miracles cantava The tracks of my tears.
People say I'm the life of the party
Cause I tell a joke or two
Although I might be laughing loud and hearty
Deep inside I'm blue
Che suona già al primo ascolto un manifesto della doppiezza: da quando mi hai lasciato sto a pezzi. Dovrei vestire di nero e fare il broncio a tutti ma questo è impossibile, perché vivo in un quartiere coloured di Detroit, Michigan, dove l'esistenzialismo non è mai arrivato e il grunge è molto, molto in là da venire. E perciò, sai cosa? Me la rido. Sto a pezzi ma devo uscire ugualmente con gli amici, dire un paio di battute, perché questa è l'unica cosa che la società mi consente di fare. Noi sempre allegri bisogna stare; non è ancora stato inventato nessun angolino per quelli che se la tirano in disparte, perciò se mi vedi ballare con un'altra, guarda meglio: sotto le smorfie che faccio puoi vedere i solchi delle mie lacrime, I need you, need you.
Tutto questo è già favolosamente doppio: riso e pianto, maschera e sentimento, teendrama e Vangelo.
Perché se provi a rileggere il testo, ti accorgi che la canzone non parla di un povero ragazzo mollato dalla donna della sua vita. No, no, stiamo all'evidenza. Qui c'è una ragazza che arriva in un locale, e cosa vede? Il suo ex, che ufficialmente si stava struggendo dalla disperazione, e invece è in pista, in perfetta forma, che stringe una tipa qualsiasi. Una situazione imbarazzante per entrambi.
Since you left me if you see me with another girl
Seeming like I'm having fun
Although she may be cute she's just a substitute
'Cause you're the permanent one
E The tracks of my tears è precisamente la strategia elaborata per superare la situazione: ok, hai ragione, in teoria dovrei essere nella cameretta a piangere, e invece eccomi qui, sono l'Anima della Festa. Ma calma, posso spiegarti tutto. Dunque, quello che vedi non è il vero me, capisci? È solo un clown, una maschera, tu mi vedi che mi diverto, e invece dentro... dentro sto d'un male, sapessi... ma guarda bene, guarda sotto il sorriso stampato... non vedi i solchi delle mie lacrime? Eddai, sforzati un po', vedrai che li trovi. Baby, baby, baby look a little bit closer.
Per me la canzone perfetta – che è come dire la perfetta poesia, il perfetto post – deve fare semplicemente questo. Dire una cosa e il suo contrario. Chi ti ascolta sarà libero di scegliere.
O al limite crederà di essere libero. Questo è quello che tu vuoi fargli credere. Mentre in realtà vuoi semplicemente intrappolarlo tra un messaggio e il suo contrario, come tra due parentesi, e non farlo uscire mai più).
(Io credo che la canzone perfetta – che è come dire la perfetta poesia, il perfetto post, il perfetto modo di passare 3 minuti e 30'' – debba essere per prima cosa ambigua. Dove per “ambiguo” si intenda proprio “suscettibile di due interpretazioni”.
Anche più di due, volendo. Ma non strafare, è meglio due. In effetti, quante interpretazioni pensi di poter suggerire in tre minuti e mezza? Non è un rebus, non stai lavorando per il tempo libero di un professore in pensione; è una canzone che devono capire i ragazzini. Due è più che sufficiente e non c'è neanche bisogno che le capiscano entrambe. Hanno tutta la vita per farlo ed è molto interessante scoprire a trent'anni che la canzone che canticchi da quindici si poteva anche leggere al contrario.
Per esempio Smokey Robinson nel 1965 coi Miracles cantava The tracks of my tears.
People say I'm the life of the party
Cause I tell a joke or two
Although I might be laughing loud and hearty
Deep inside I'm blue
Che suona già al primo ascolto un manifesto della doppiezza: da quando mi hai lasciato sto a pezzi. Dovrei vestire di nero e fare il broncio a tutti ma questo è impossibile, perché vivo in un quartiere coloured di Detroit, Michigan, dove l'esistenzialismo non è mai arrivato e il grunge è molto, molto in là da venire. E perciò, sai cosa? Me la rido. Sto a pezzi ma devo uscire ugualmente con gli amici, dire un paio di battute, perché questa è l'unica cosa che la società mi consente di fare. Noi sempre allegri bisogna stare; non è ancora stato inventato nessun angolino per quelli che se la tirano in disparte, perciò se mi vedi ballare con un'altra, guarda meglio: sotto le smorfie che faccio puoi vedere i solchi delle mie lacrime, I need you, need you.
Tutto questo è già favolosamente doppio: riso e pianto, maschera e sentimento, teendrama e Vangelo.
E quando digiunate, non assumete aria malinconica come gli ipocriti, che si sfigurano la faccia per far vedere agli uomini che digiunano. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa.D'altro canto la canzone ha senso soltanto perché ti chiedo di guardare meglio, di notare che soffro, perché i fiati del ritornello sembrano in ritardo di una frazione di secondo sufficiente a farti capire che non ho voglia di cantarti un ballabile, ma di farti soccombere tra le mie braccia, adesso, qui. E questa dolce ipocrisia basterebbe a fare di The tracks of my tears una delle canzoni più belle mai scritte. E invece, pensa, è solo il primo lato.
Tu invece, quando digiuni, profumati la testa e lavati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo tuo Padre che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. (Mt 6,17-18)
Perché se provi a rileggere il testo, ti accorgi che la canzone non parla di un povero ragazzo mollato dalla donna della sua vita. No, no, stiamo all'evidenza. Qui c'è una ragazza che arriva in un locale, e cosa vede? Il suo ex, che ufficialmente si stava struggendo dalla disperazione, e invece è in pista, in perfetta forma, che stringe una tipa qualsiasi. Una situazione imbarazzante per entrambi.
Since you left me if you see me with another girl
Seeming like I'm having fun
Although she may be cute she's just a substitute
'Cause you're the permanent one
E The tracks of my tears è precisamente la strategia elaborata per superare la situazione: ok, hai ragione, in teoria dovrei essere nella cameretta a piangere, e invece eccomi qui, sono l'Anima della Festa. Ma calma, posso spiegarti tutto. Dunque, quello che vedi non è il vero me, capisci? È solo un clown, una maschera, tu mi vedi che mi diverto, e invece dentro... dentro sto d'un male, sapessi... ma guarda bene, guarda sotto il sorriso stampato... non vedi i solchi delle mie lacrime? Eddai, sforzati un po', vedrai che li trovi. Baby, baby, baby look a little bit closer.
Per me la canzone perfetta – che è come dire la perfetta poesia, il perfetto post – deve fare semplicemente questo. Dire una cosa e il suo contrario. Chi ti ascolta sarà libero di scegliere.
O al limite crederà di essere libero. Questo è quello che tu vuoi fargli credere. Mentre in realtà vuoi semplicemente intrappolarlo tra un messaggio e il suo contrario, come tra due parentesi, e non farlo uscire mai più).
Comments (9)
parla a voce bassa, spiega cosa vuoi
20-07-2007, 09:54forze dell'ordine, Il G8 di Genova 2001, karaoke esistenziale, musica, tormentoniPermalinkComments (1)
- karaoke esistenziale
01-01-2006, 22:51Gaber, karaoke esistenziale, musica, Quirinali, società dell'avanspettacoloPermalinkMessaggio del Presidente morale
della Repubblica italiana (a reti devolute)
Ascoltalo qui
Margherita,
lo sai che tu sei tutta la mia vita?
Lo sai che ormai il mio cuore ti appartiene?
Ti voglio tanto bene, e invece tu…
E oggi un anno nuovo
ci regala il calendario:
si accendono le luci
e si tira su il sipario.
Ognuno fa la sua parte
e incomincia il blablabla,
alla moda
alla moda
alla moda del varietà
E alle 8 e mezza
mi presento puntuale;
lavoro tutto il giorno
e non mi trattano mica male!
Si spera nell'aumento
che la vita risolverà...
alla moda
alla moda
alla moda del varietà
Margherita,
lo sai che tu sei tutta la mia vita?
Lo sai che ormai il mio cuore ti appartiene?
Ti voglio tanto bene…
…e invece tu mi guardi storto
e mi dici una parolaccia
poi mi carichi a corpo morto
e mi tiri due pugni in faccia
ahi
ahi
ahi
ahi
Se io non so di un fatto
la versione originale
ci sono i quotidiani,
c'è la radio e il telegiornale
mi basta seguire un momento
e ho già chiara la verità:
alla moda
alla moda
alla moda del varietà
non può risolver tutto
neanche la democrazia,
ma è l'unico strumento
che ci dà una garanzia!
viviamo finalmente
con una certa dignità...
alla moda
alla moda
alla moda del varietà
Margherita,
lo sai che tu sei tutta la mia vita?
Lo sai che ormai il mio cuore ti appartiene?
Ti voglio tanto bene…
…e invece tu non sei clemente
e mi picchi in un ginocchio
io mi piego perché sofferente
tu mi morsichi in un orecchio
ahi
ahi
ahi
ahi
a scuola ai buoni un premio,
ai cattivi la punizione,
ma in seguito, nella vita,
è meno chiara la divisione
si parla di giustizia,
di uguaglianza
e blablabla
alla moda
alla moda
alla moda del varietà
e quando sarò morto
mi faranno il funerale:
per una volta ancora
sarò l'interprete principale
finita la triste funzione
poi la vita continuerà
alla moda
alla moda
alla moda del varietà
Giorgio Gaber (25 gennaio 1939 - 1 gennaio 2003)
della Repubblica italiana (a reti devolute)
Ascoltalo qui
Margherita,
lo sai che tu sei tutta la mia vita?
Lo sai che ormai il mio cuore ti appartiene?
Ti voglio tanto bene, e invece tu…
E oggi un anno nuovo
ci regala il calendario:
si accendono le luci
e si tira su il sipario.
Ognuno fa la sua parte
e incomincia il blablabla,
alla moda
alla moda
alla moda del varietà
E alle 8 e mezza
mi presento puntuale;
lavoro tutto il giorno
e non mi trattano mica male!
Si spera nell'aumento
che la vita risolverà...
alla moda
alla moda
alla moda del varietà
Margherita,
lo sai che tu sei tutta la mia vita?
Lo sai che ormai il mio cuore ti appartiene?
Ti voglio tanto bene…
…e invece tu mi guardi storto
e mi dici una parolaccia
poi mi carichi a corpo morto
e mi tiri due pugni in faccia
ahi
ahi
ahi
ahi
Se io non so di un fatto
la versione originale
ci sono i quotidiani,
c'è la radio e il telegiornale
mi basta seguire un momento
e ho già chiara la verità:
alla moda
alla moda
alla moda del varietà
non può risolver tutto
neanche la democrazia,
ma è l'unico strumento
che ci dà una garanzia!
viviamo finalmente
con una certa dignità...
alla moda
alla moda
alla moda del varietà
Margherita,
lo sai che tu sei tutta la mia vita?
Lo sai che ormai il mio cuore ti appartiene?
Ti voglio tanto bene…
…e invece tu non sei clemente
e mi picchi in un ginocchio
io mi piego perché sofferente
tu mi morsichi in un orecchio
ahi
ahi
ahi
ahi
a scuola ai buoni un premio,
ai cattivi la punizione,
ma in seguito, nella vita,
è meno chiara la divisione
si parla di giustizia,
di uguaglianza
e blablabla
alla moda
alla moda
alla moda del varietà
e quando sarò morto
mi faranno il funerale:
per una volta ancora
sarò l'interprete principale
finita la triste funzione
poi la vita continuerà
alla moda
alla moda
alla moda del varietà
Giorgio Gaber (25 gennaio 1939 - 1 gennaio 2003)
08-07-2004, 07:57cantautori, karaoke esistenziale, musicaPermalink
Mi hanno condannato a vent'anni di noia
per una rivoluzione in pantofole.
Ma ora sto venendo a ringraziarli:
prima, passo a Manhattan:
poi vengo a Berlino.
Mi guida un segno dall'Alto dei cieli,
e la data di nascita sulla mia pelle.
Mi guida la bellezza della mie armi.
Prima, passiamo a Manhattan:
poi veniamo a Berlino.
Mi piacerebbe vivere al tuo fianco, stella
Amo il tuo corpo, e il tuo spirito, e i tuoi vestiti.
Ma hai visto quella gente alla stazione –
Te l'ho detto, no?
Io sono uno di loro.
Mi amavi, perché ero un perdente:
ma adesso hai paura che potrei anche vincere.
E tu sai il modo di fermarmi,
ma ti manca la disciplina.
Quante notti ho pregato per questo,
che la mia opera avesse inizio:
prima tocca a Manhattan,
poi viene Berlino.
No, non mi piace l'alta moda, grazie,
e la roba che prendi per restare magra.
Non mi piace quel che hanno fatto a mia sorella.
Prima prendiamo Manhattan:
poi veniamo a Berlino
Mi piacerebbe vivere al tuo fianco, stella
Amo il tuo corpo, e il tuo spirito, e i tuoi vestiti.
Ma l'hai vista, quella gente alla stazione?
Te l'ho detto,
te l'ho detto,
te l'ho detto:
io sono uno di loro.
Ma grazie per le cose che mi hai spedito:
(hah hah)
la scimmietta e il violino di cartone.
Mi esercito da anni – oggi sono pronto:
prima prendiamo Manhattan:
poi prendiamo Berlino.
Ti ricordi di me? Una volta vivevo per la musica
Ti ricordi di me? Ti aiutavo con le sporte della spesa
Oggi è la festa del Papà, c'è tanta confusione
Prima abbiamo preso Manhattan:
adesso prendiamo Berlino.
Karaoke esistenziale, ciak! 20
Leonard Cohen, First we take Manhattan, da I'm your man, 1988
(Così, tra un ultimatum e l'altro).

per una rivoluzione in pantofole.
Ma ora sto venendo a ringraziarli:
prima, passo a Manhattan:
poi vengo a Berlino.
Mi guida un segno dall'Alto dei cieli,
e la data di nascita sulla mia pelle.
Mi guida la bellezza della mie armi.
Prima, passiamo a Manhattan:
poi veniamo a Berlino.
Mi piacerebbe vivere al tuo fianco, stella
Amo il tuo corpo, e il tuo spirito, e i tuoi vestiti.
Ma hai visto quella gente alla stazione –
Te l'ho detto, no?
Io sono uno di loro.
Mi amavi, perché ero un perdente:
ma adesso hai paura che potrei anche vincere.
E tu sai il modo di fermarmi,
ma ti manca la disciplina.
Quante notti ho pregato per questo,
che la mia opera avesse inizio:
prima tocca a Manhattan,
poi viene Berlino.
No, non mi piace l'alta moda, grazie,
e la roba che prendi per restare magra.
Non mi piace quel che hanno fatto a mia sorella.
Prima prendiamo Manhattan:
poi veniamo a Berlino
Mi piacerebbe vivere al tuo fianco, stella
Amo il tuo corpo, e il tuo spirito, e i tuoi vestiti.
Ma l'hai vista, quella gente alla stazione?
Te l'ho detto,
te l'ho detto,
te l'ho detto:
io sono uno di loro.
Ma grazie per le cose che mi hai spedito:
(hah hah)
la scimmietta e il violino di cartone.
Mi esercito da anni – oggi sono pronto:
prima prendiamo Manhattan:
poi prendiamo Berlino.
Ti ricordi di me? Una volta vivevo per la musica
Ti ricordi di me? Ti aiutavo con le sporte della spesa
Oggi è la festa del Papà, c'è tanta confusione
Prima abbiamo preso Manhattan:
adesso prendiamo Berlino.
Karaoke esistenziale, ciak! 20
Leonard Cohen, First we take Manhattan, da I'm your man, 1988
(Così, tra un ultimatum e l'altro).
16-06-2004, 03:20karaoke esistenziale, musicaPermalink
(Ma voi ci siete arrivati, alla fine del pezzo di ieri? Io mi sono addormentato a mezzo).
Ché non sono solo il ben noto politologo, sapete, ma anche un esperto di musica di prim'ordine, almeno, è quel che dice Enzo.
A tal proposito ricordo un episodio illuminante.
Seconda metà degli anni 80: mentre molti voi rimasticavate gli avanzi insapori del Joshua Tree, io mi davo alla ricerca di nuove tendenze su… non so, poteva essere Telesanterno od Odeon, in ogni caso dava le repliche di Sky Music, in inglese, spesso senza neanche i sottotitoli.
Fu verso le nove della sera – in tinello i miei genitori e mio fratello indugiavano al desco vespertino – che, in virtù di pochi spezzoni di video e interviste, io ebbi la rivelazione di due band che avrebbero sconvolto la musica degli anni Novanta. Fu forse la prima volta che ci pensai, agli anni Novanta (nutrivo molte speranze, sugli anni Novanta).
Il primo era un gruppo fascinoso ed esangue. Su un fraseggio ipnotico ed elementare, una voce atona scandiva:
You're naked as the day
Naked as the day you were born
Si chiamavano Weather Prophets, mi sembrarono subito fortissimi. Dopo di loro, un video di ossessi mezzi nudi (era un po' presto per individuarli a colpo sicuro come californiani). Nudità a parte, il pezzo attirava l'attenzione: accordi strani, un'energia nuova. La canzone si chiamava Knock me down.
Era la fine dell'autunno. Mia zia voleva sapere cosa poteva regalarmi per Natale. Vivendo a Cavezzo (Mo), era l'unica di famiglia a poter entrare facilmente presso un rivenditore di 33 giri, così ne approfittai. Feci una scelta di rottura. Gli anni Ottanta dovevano finire, con tutta la loro plastica e la loro opulenza. Si tornava nudi, nudi come il giorno in cui eravamo nati. Fu così che la mia minuscola collezione di 33 LP acquisì Mayflower, immortale capolavoro dei Weather Prophets (per intenderci, c'è Sgt. Pepper, Aqualung, Highway 61, The dark side of the moon, Remain in light e Mayflower).
In seguito, sapete com'è, si cresce, ci si evolve, e quel disco rimase per molto tempo nel dimenticatoio. A un certo punto cadde proprio nel vergognatoio. Ultimamente lo riascolto più volentieri. Sembra un perfetto disco indiepop. Ehi, forse mi ero solo sbagliato di decennio… Ma veniamo a quegli altri, come si chiamavano... i Red Hot Chili Peppers.
In seguito i RHCP misero a punto quella nota miscela di funk e rock, sbancarono e aprirono la strada a una nuova generazione di ascoltatori di rock, una vera rivoluzione del mercato musicale Usa, il grunge, eccetera.
Ma knock me down c'entra molto poco con tutto questo. Era il primo pezzo di John Frusciante alla chitarra, ed era dedicato al suo predecessore, morto di overdose. Ironicamente, lo stesso Frusciante sarebbe uscito dal gruppo per lo stesso motivo, qualche anno dopo. L'eroina avrebbe continuato a tener compagnia ai RHCP per un pezzo (gli '80 non finiscono mai, in un certo senso).
Ai tempi di Knock me down i RHCP erano un gruppo hard rock con pretese strane. Come se stessero cercando la ricetta di una ciambella attraverso una serie di tentativi, di solito senza buco. Quando poi la trovarono, si misero a sfornare ciambelle a ripetizione, ma ovviamente i trendsetters come me non ci trovano più nulla d'interessante, preferiscono tornare con la mente ai ricordi delle schifezze che ci fecero mangiare. A distanza di anni, Knock me down continua a darmi dei brividi: perché? Forse un giro armonico strano, accordi che mi sembravano quasi jazz (non credo che lo siano).
E poi parlava di morte. (Ma anche Naked as the day you were born dei Weather Prophets parlava di morte. Quella sera io cercavo una speranza per un decennio, e invece stavo assistendo, senza saperlo, a una specie di parata funebre. Ora che so le lingue, non prendo più abbagli del genere, ed è un peccato).
È un pezzo di convenienza, in effetti, quasi un coccodrillo. Sei un cantante rock, un apprendista divo: cosa puoi chiedere al tuo amico chitarrista morto? Anthony Kiedis domandava, letteralmente, dei pugni: se vedi che mi sto alzando, knock me down, sbattimi al tappeto. Mostrami che non sono "più grande della vita".
Quest'idea, di chiedere pugni ai morti, mi ha molto colpito, ed è forse il motivo per cui non frequento molto i cimiteri. Sì che di pugni avrei bisogno, e di qualcuno che mi rammentasse quanto sono piccolo, e quant'è grande la vita, quante cantonate ho preso, quanti libri e riviste e gruppi pop che non sono decollati mai, quant'è fragile tutto questo castello di parole che mi costruisco addosso E quanto mi manca una tua parola, una battuta, un buffetto, anche un pugno. Quanto mi manchi. Buttami giù.
Karaoke esistenziale, Ciak, 19!
Never too soon to be through:
Being cool too much, too soon.
Too much for me, too much for you
You’re gonna loose in time.
Every turn looking to burn
Some never learn, live and learn
Stop your searching for a curse
Before you end up in a hearse…
Don’t be afraid to show your friends
That you hurt inside, inside
Pain’s part of life – don’t hide behind your false pride
It’s a lie, your lie
Don’t slip away and don’t forget
I’ll give you more than you can get
It’s so lonely – when you don’t even know
yourself – come to me.
If you see me getting mighty
If you see me getting high
Knock me down
I’m not bigger than life
If you see me getting mighty
If you see me getting high
Knock me down
I’m not bigger than life
I’m tired of being untouchable
I’m not above the love
I’m part of you and you’re part of me
Why did you go away?
Too late to tell you how I feel
I want you back. but I get real
Can you hear my falling tears
Making rain where you lay
Finding what you’re looking for
Can end up being such a bore?
I pray for you most every day
My love’s with you now fly away
If you see me getting mighty
If you see me getting high
Knock me down
I’m not bigger than life
(It’s so lonely when you don’t even know yourself
It's so lonely)

Ché non sono solo il ben noto politologo, sapete, ma anche un esperto di musica di prim'ordine, almeno, è quel che dice Enzo.
A tal proposito ricordo un episodio illuminante.
Seconda metà degli anni 80: mentre molti voi rimasticavate gli avanzi insapori del Joshua Tree, io mi davo alla ricerca di nuove tendenze su… non so, poteva essere Telesanterno od Odeon, in ogni caso dava le repliche di Sky Music, in inglese, spesso senza neanche i sottotitoli.
Fu verso le nove della sera – in tinello i miei genitori e mio fratello indugiavano al desco vespertino – che, in virtù di pochi spezzoni di video e interviste, io ebbi la rivelazione di due band che avrebbero sconvolto la musica degli anni Novanta. Fu forse la prima volta che ci pensai, agli anni Novanta (nutrivo molte speranze, sugli anni Novanta).
Il primo era un gruppo fascinoso ed esangue. Su un fraseggio ipnotico ed elementare, una voce atona scandiva:
You're naked as the day
Naked as the day you were born
Si chiamavano Weather Prophets, mi sembrarono subito fortissimi. Dopo di loro, un video di ossessi mezzi nudi (era un po' presto per individuarli a colpo sicuro come californiani). Nudità a parte, il pezzo attirava l'attenzione: accordi strani, un'energia nuova. La canzone si chiamava Knock me down.
Era la fine dell'autunno. Mia zia voleva sapere cosa poteva regalarmi per Natale. Vivendo a Cavezzo (Mo), era l'unica di famiglia a poter entrare facilmente presso un rivenditore di 33 giri, così ne approfittai. Feci una scelta di rottura. Gli anni Ottanta dovevano finire, con tutta la loro plastica e la loro opulenza. Si tornava nudi, nudi come il giorno in cui eravamo nati. Fu così che la mia minuscola collezione di 33 LP acquisì Mayflower, immortale capolavoro dei Weather Prophets (per intenderci, c'è Sgt. Pepper, Aqualung, Highway 61, The dark side of the moon, Remain in light e Mayflower).
In seguito, sapete com'è, si cresce, ci si evolve, e quel disco rimase per molto tempo nel dimenticatoio. A un certo punto cadde proprio nel vergognatoio. Ultimamente lo riascolto più volentieri. Sembra un perfetto disco indiepop. Ehi, forse mi ero solo sbagliato di decennio… Ma veniamo a quegli altri, come si chiamavano... i Red Hot Chili Peppers.
In seguito i RHCP misero a punto quella nota miscela di funk e rock, sbancarono e aprirono la strada a una nuova generazione di ascoltatori di rock, una vera rivoluzione del mercato musicale Usa, il grunge, eccetera.
Ma knock me down c'entra molto poco con tutto questo. Era il primo pezzo di John Frusciante alla chitarra, ed era dedicato al suo predecessore, morto di overdose. Ironicamente, lo stesso Frusciante sarebbe uscito dal gruppo per lo stesso motivo, qualche anno dopo. L'eroina avrebbe continuato a tener compagnia ai RHCP per un pezzo (gli '80 non finiscono mai, in un certo senso).
Ai tempi di Knock me down i RHCP erano un gruppo hard rock con pretese strane. Come se stessero cercando la ricetta di una ciambella attraverso una serie di tentativi, di solito senza buco. Quando poi la trovarono, si misero a sfornare ciambelle a ripetizione, ma ovviamente i trendsetters come me non ci trovano più nulla d'interessante, preferiscono tornare con la mente ai ricordi delle schifezze che ci fecero mangiare. A distanza di anni, Knock me down continua a darmi dei brividi: perché? Forse un giro armonico strano, accordi che mi sembravano quasi jazz (non credo che lo siano).
E poi parlava di morte. (Ma anche Naked as the day you were born dei Weather Prophets parlava di morte. Quella sera io cercavo una speranza per un decennio, e invece stavo assistendo, senza saperlo, a una specie di parata funebre. Ora che so le lingue, non prendo più abbagli del genere, ed è un peccato).
È un pezzo di convenienza, in effetti, quasi un coccodrillo. Sei un cantante rock, un apprendista divo: cosa puoi chiedere al tuo amico chitarrista morto? Anthony Kiedis domandava, letteralmente, dei pugni: se vedi che mi sto alzando, knock me down, sbattimi al tappeto. Mostrami che non sono "più grande della vita".
Quest'idea, di chiedere pugni ai morti, mi ha molto colpito, ed è forse il motivo per cui non frequento molto i cimiteri. Sì che di pugni avrei bisogno, e di qualcuno che mi rammentasse quanto sono piccolo, e quant'è grande la vita, quante cantonate ho preso, quanti libri e riviste e gruppi pop che non sono decollati mai, quant'è fragile tutto questo castello di parole che mi costruisco addosso E quanto mi manca una tua parola, una battuta, un buffetto, anche un pugno. Quanto mi manchi. Buttami giù.
Karaoke esistenziale, Ciak, 19!
Never too soon to be through:
Being cool too much, too soon.
Too much for me, too much for you
You’re gonna loose in time.
Every turn looking to burn
Some never learn, live and learn
Stop your searching for a curse
Before you end up in a hearse…
Don’t be afraid to show your friends
That you hurt inside, inside
Pain’s part of life – don’t hide behind your false pride
It’s a lie, your lie
Don’t slip away and don’t forget
I’ll give you more than you can get
It’s so lonely – when you don’t even know
yourself – come to me.
If you see me getting mighty
If you see me getting high
Knock me down
I’m not bigger than life
If you see me getting mighty
If you see me getting high
Knock me down
I’m not bigger than life
I’m tired of being untouchable
I’m not above the love
I’m part of you and you’re part of me
Why did you go away?
Too late to tell you how I feel
I want you back. but I get real
Can you hear my falling tears
Making rain where you lay
Finding what you’re looking for
Can end up being such a bore?
I pray for you most every day
My love’s with you now fly away
If you see me getting mighty
If you see me getting high
Knock me down
I’m not bigger than life
(It’s so lonely when you don’t even know yourself
It's so lonely)
28-05-2004, 03:22cantautori, karaoke esistenziale, musicaPermalink
Ribadito che sono un pirla, rendo omaggio a tutte le persone sincere, oneste, che in questi mesi hanno speso un po' del loro tempo prezioso a edificarmi. Le vostre lezioni di vita sono sempre qui, in un angolo del mio cuore
(Karaoke esistenziale, ciak! 18)
(Karaoke esistenziale, ciak! 18)
Camminan di bolina al freddo di prima mattina legnosi nei pastrani come talpe dentro brache di fustagno | Vi ricordate la cattura di Saddam? Gli rodeva eccome, a quelli che un giorno sì e l'altro pure ripetevano la litania: avete fatto la guerra - dite voi - per cacciare un dittatore ed ecco, non siete stati neppure capaci di prenderlo. Vedrete che non lo prenderanno mai. O se lo prenderanno, lo ammazzeranno subito per non farlo parlare. E invece toh: l'hanno preso vivo. Ma niente paura: subito in rete è apparsa la materia prima su cui costruire le solite teorie complottarde. Ma siete sicuri che sia proprio Saddam? E poi: ma sono stati proprio gli americani a prenderlo? Non saranno stati i curdi, magari per far loro un dispetto? Trascurando il fatto che i curdi sono alleati degli americani. |
occhi crepati, vene aguzze maculati denti neri di tabacco barbe di setola e allumina anche l'alba che li coglie livida di bardolino porta rispetto e fa un inchino | ah, un'altra cosa: adesso che hanno restituito il corpo di Fabrizio Quattrocchi tu e i tuoi amichetti potreste esibirvi con un nuovo show e fargli una bella anestesia per rivelare al mondo che a) è stato ucciso dalla CIA; b) è ancora vivo; c) non è mai esistito alcun Fabrizio Quattrocchi. Dura è dura, ma è una vita che ti stai allenando per questo, no ? Come no, non mi dire che tutte le gratuite assurdità che hai scritto su Nick Berg le hai scritte solo per tuo sollazzo personale ? Sarebbe perverso. |
Accolita di rancorosi settimini cuspidi e tignosi persi nella vita come dentro una corrida intrappolati tra melassa e baraonda | Perchè indignarsi e sorprendersi, Mixumb? Non sai che la frustrazione può portare a stati di alterazione mentale. C scrive su quotidiani, pubblica libri, viaggia spesso all'estero per lavoro e ha anche aperto un blog. L ha aperto un blog. Se tu fossi L. (o una parte di L), Mixumb, non saresti un pò astioso nei confronti di C ? Non dedicheresti qualche ora della tua giornata a chiederti:"perchè lui si ed io no ?" Non decideresti di assumere posizioni, anche ideologiche, differenti e contrastanti con quelle di C ? E forse non lo faresti nel tentativo di farti notare come suo antagonista e raccogliere qualche briciola della sua popolarità? |
Accolita di rancorosi gelosi, avvelenati, sospettosi incazzosi dentro casa compagnoni fuori in strada ci intendiam solo tra noi! ringhiosi che rimangon sempre soli gli ingrati se ne vanno noi restiamo e ci teniamo la ragione | Cucù! Bugia! Questi sono post seguenti a quella tua affermazione, caro al Sadr. Nada! Riprova! Affermasti che non si potevano mettere su Blogspot, e infatti pooi ti sbugiardarono dicendoti che invece si, si poteva, e tu, scivoloso come sempre, te le rigirasti farfugliando che si, certo, ma poi si bloccano e danno problemi. e insomma--. Come tuo solito. E io continuavo da mesi a replicare su blogspot dove i titolari tenevano tranquillamente i commenti. Il resto dei tuoi link è successivo e sono arzigogoli tuoi di cui non mi frega una cippa. La tua prima affermazione sui commenti era un'altra. Lo sai. sei in malafede. Sì, è un'accusa. |
La baraonda s'alza allegra come l'onda e tutto sprofonda nel nettare del vin brulè alla morte fan la corte ebbri di guai inguaiati dalle femmine inchiodati sulla croce e ruggiscon di Rancor | |
RANCOR! | anche perchè io sono calmo e buono, ma se incontra qualcuno un po' più fumino di me e gli fa un pezzo del genere quello lo prende e gliela insegna lui, l'educazione. a forza di schiaffi. e prima o poi capita, se continua a fare quei pezzi. |
RANCOR! | Chissà quanto è orgoglioso delle sue parole questo campione della disonestà intellettuale coniugata con una spocchiosa maleducazione. Facesse il carpentiere, con tutto il rispetto per i carpentieri, i danni sarebbero limitati. Il guaio è che di mestiere insegna ai ragazzini, che sono con tutta probabilità le vere vittime di questo scempio, a meno di non essere di fronte ad un Dr. Jekyll e Mr. Hyde della bassa modenese. |
Musso, Musso liscio e busso passa appresso carica a bastoni cala l'asso piglia, strozzo | Non cadrò nella trappola di dimostrarti quanto sarei capace di comportarmi come tu mi accusi di essermi comportato |
smazza il mazzo Cavallaro fuman trinciato forte Joe Zarlingo fa le carte bestemmia in mezzo ai denti tira a fottere i compari | Tiè il lecca lecca, faccio finta di niente e ti lascio le tue bugiette da quattro soldi Comunque io ragioni, se proprio vuoi metterla su questo piano, ti sotterro; sia per commenti che per accessi. |
cirrotici, diabetici nemici dei dottori sputan sulla terra dove andranno? | Il sonno della ragione produce weblog. Piscialetto e ignoranti, però. |
accolita di rancorosi settimini cuspidi e tignosi persi nelle vita come dentro una corrida intrappolati tra melassa e baraonda | Zero. Il silenzio dei blog matitina rossa e manganello sul caso delle foto false all’Espresso dà la cifra esatta della coerenza e della credibilità dei loro tenutari. Siate seri. Datevi al varietà. |
Accolita di rancorosi camerati ruvidi e grinzosi accaniti nel lavoro sparagnini col web hosting, spendaccioni col provider, demoni rapaci sputan sulla terra dove andranno? | qui stiamo parlando delle tue accuse fasulle a Israele di aver usato armi chimiche nei Territori, accuse a cui non crede nemmeno l'Autorità Nazionale Palestinese. E tu non saresti antisraeliano, o forse sì ma solo un pochino? Leo, guardiamo in faccia la dura realtà: tu sei più antisraeliano di Arafat. E pure più bugiardo di lui, che è tutto dire. E quel che è peggio, tu che vorresti dare del 'nazista' agli altri, per sostenere le tue calunnie antisraeliane ti servi di una fonte antisemita. Una volta messo di fronte all'evidenza, da quel piccolo bugiardo che sei, continui a negare : |
(Vinicio Capossela, Accolita di rancorosi, da Il ballo di San Vito, 1996) | (Un nutrito stuolo di celebrati web-writers che ha meglio da fare che prendersela con me, che non mi fila per niente). |
14-05-2004, 03:19cantautori, karaoke esistenziale, musicaPermalink
La porta si aprì lenta:
mio padre venne a prendermi,
io avevo nove anni.
Stava innanzi a me, così alto:
i suoi occhi azzurri ardevano,
la sua voce era di ghiaccio.
Disse: “Ho avuto una visione,
e la mia fede, sai, è forte:
devo fare quello che mi è stato detto”.
Così ci avviammo al monte,
io di corsa, lui al passo,
con la scure d’oro al fianco.
Gli alberi si fecero radi,
il lago uno specchietto,
ci fermammo a bere vino:
Buttò via la bottiglia,
(si infranse in un minuto)
e mise le sue mani sulle mie.
Io forse vidi un’aquila,
oppure un avvoltoio,
non l'ho deciso mai.
Mio padre alzò un altare,
non mi guardava neanche,
sapeva che non sarei fuggito.
E voi, che alzate altri altari
per altri figli ancora,
non dovete farlo più.
Un piano non è una visione,
nessuno vi ha tentato,
né un dèmone, ne un Dio:
Voi che state innanzi a loro
con lame consumate,
non c’eravate ancora,
quando giacqui sul monte,
e la sua mano tremava
per la bellezza di una Parola.
Tu che ora mi dici fratello,
perdonami se chiedo:
chi ti ha detto che lo sono?
Se tutto torna cenere
ti ucciderò, se devo,
ti aiuterò, se posso.
Se tutto torna cenere
ti aiuterò, se devo,
ti ucciderò, se posso.
E pietà per le nostre uniformi:
uomini di pace, o uomini di guerra,
ogni pavone ha la sua ruota.
Karaoke esistenziale, Ciak! 17
Leonard Cohen, Story of Isaac, da Songs from a room, 1969.
mio padre venne a prendermi,
io avevo nove anni.
Stava innanzi a me, così alto:
i suoi occhi azzurri ardevano,
la sua voce era di ghiaccio.
Disse: “Ho avuto una visione,
e la mia fede, sai, è forte:
devo fare quello che mi è stato detto”.
Così ci avviammo al monte,
io di corsa, lui al passo,
con la scure d’oro al fianco.
Gli alberi si fecero radi,
il lago uno specchietto,
ci fermammo a bere vino:
Buttò via la bottiglia,
(si infranse in un minuto)
e mise le sue mani sulle mie.
Io forse vidi un’aquila,
oppure un avvoltoio,
non l'ho deciso mai.
Mio padre alzò un altare,
non mi guardava neanche,
sapeva che non sarei fuggito.
E voi, che alzate altri altari
per altri figli ancora,
non dovete farlo più.
Un piano non è una visione,
nessuno vi ha tentato,
né un dèmone, ne un Dio:
Voi che state innanzi a loro
con lame consumate,
non c’eravate ancora,
quando giacqui sul monte,
e la sua mano tremava
per la bellezza di una Parola.
Tu che ora mi dici fratello,
perdonami se chiedo:
chi ti ha detto che lo sono?
Se tutto torna cenere
ti ucciderò, se devo,
ti aiuterò, se posso.
Se tutto torna cenere
ti aiuterò, se devo,
ti ucciderò, se posso.
E pietà per le nostre uniformi:
uomini di pace, o uomini di guerra,
ogni pavone ha la sua ruota.
Karaoke esistenziale, Ciak! 17
Leonard Cohen, Story of Isaac, da Songs from a room, 1969.
01-05-2004, 01:30cantautori, karaoke esistenziale, musicaPermalink
Una buona festa dei lavoratori
(Karaoke esistenziale, ciak! 16).
Guardami bene, diritto negli occhi,
ché il mio mestiere non è il soldato.
Guardami bene, diritto negli occhi
ché il mio mestiere non è.
Né di spada, né di cannone:
quello che ero io l’ho scordato
(se fosse spada, se fosse cannone,
il mio mestiere saprei qual è).
Adesso guardami le mani:
ti sembrano mani da padrone?
Coraggio, e toccami le mani,
ché la mia vita non è
né col denaro né col potere
– oppure l’avrò dimenticato –
se fosse denaro, e ci fosse ragione,
il mio cammino saprei qual è;
ma il mio mestiere non è.
Guarda la punta delle mie scarpe:
quello che faccio non è la spia.
Né informatore né polizia,
che il mio mestiere non è,
di sicuro non è.
Quello che faccio è cercare il tuo amore
fino nel cuore delle montagne;
quello che ho fatto è scordare il tuo amore
sotto il peso delle montagne.
Guarda i vestiti che porto addosso:
non sono quelli di un sacerdote.
Per i vestiti che porto addosso,
il mio mestiere non è
né rosario né estrema unzione:
quello che ero io l’ho scordato
(se fosse rosario, se fosse olio santo
il mio mestiere saprei qual è…)
E vedi che il bianco fra i miei capelli
non porta il titolo di dottore,
e la sveltezza delle mie dita
la mia vita non è:
né di taglio né di dolore,
né di carne ricucita;
né di taglio né di dolore,
anche questo non è,
il mio mestiere non è.
Il mio mestiere fu cercare il tuo amore
fino nel fuoco delle montagne
Il mio destino, scordare il mio amore
sotto il peso delle montagne.
Guardami bene, diritto negli occhi:
ti sembrano gli occhi di un soldato?
Leggimi bene in fondo negli occhi,
che la mia vita non è,
il mio mestiere non è.
Ivano Fossati, Il canto dei mestieri, da Macramè, 1996.
(Karaoke esistenziale, ciak! 16).
Guardami bene, diritto negli occhi,
ché il mio mestiere non è il soldato.
Guardami bene, diritto negli occhi
ché il mio mestiere non è.
Né di spada, né di cannone:
quello che ero io l’ho scordato
(se fosse spada, se fosse cannone,
il mio mestiere saprei qual è).
Adesso guardami le mani:
ti sembrano mani da padrone?
Coraggio, e toccami le mani,
ché la mia vita non è
né col denaro né col potere
– oppure l’avrò dimenticato –
se fosse denaro, e ci fosse ragione,
il mio cammino saprei qual è;
ma il mio mestiere non è.
Guarda la punta delle mie scarpe:
quello che faccio non è la spia.
Né informatore né polizia,
che il mio mestiere non è,
di sicuro non è.
Quello che faccio è cercare il tuo amore
fino nel cuore delle montagne;
quello che ho fatto è scordare il tuo amore
sotto il peso delle montagne.
Guarda i vestiti che porto addosso:
non sono quelli di un sacerdote.
Per i vestiti che porto addosso,
il mio mestiere non è
né rosario né estrema unzione:
quello che ero io l’ho scordato
(se fosse rosario, se fosse olio santo
il mio mestiere saprei qual è…)
E vedi che il bianco fra i miei capelli
non porta il titolo di dottore,
e la sveltezza delle mie dita
la mia vita non è:
né di taglio né di dolore,
né di carne ricucita;
né di taglio né di dolore,
anche questo non è,
il mio mestiere non è.
Il mio mestiere fu cercare il tuo amore
fino nel fuoco delle montagne
Il mio destino, scordare il mio amore
sotto il peso delle montagne.
Guardami bene, diritto negli occhi:
ti sembrano gli occhi di un soldato?
Leggimi bene in fondo negli occhi,
che la mia vita non è,
il mio mestiere non è.
Ivano Fossati, Il canto dei mestieri, da Macramè, 1996.
28-04-2004, 01:05cantautori, karaoke esistenziale, musicaPermalink
(Karaoke esistenziale, ciac! 15)
Una regina come te… in questa casa!
Ma che succede,
ma siamo tutti pazzi?
Ma io adesso, sai che faccio – che ore sono, le undici?
Io fra… guarda,
fra cinque ore sono qua,
e c’è una casa con quattordici stanze,
te lo faccio vedere chi sono io
te lo faccio vedere chi sono io.
E che sono quei cenci che hai addosso,
ma che,
ma fammi capire,
ma se… ma io… ma come,
tu sei la, sei la mia…
e stiamo in questa stamberga coi cenci addosso?
Ma io adesso esco, sai che cosa faccio? Ma io ti…
Ti porto una pelliccia...
di leone,
con l’innesto di una tigre,
te lo faccio vedere chi sono io.
Senti,
intanto però c’è un problema:
siccome devo uscire,
mi puoi dare mille lire per il tassì,
in modo che arrivo più in fretta
a risolvere questo problema volgare
che abbiamo?
– te lo faccio vedere chi sono io.
Lascia fare a me
lascia fare a me
lascia fare a me, perché…
ti devi fidare.
Ma che cosa ti avevo detto,
una casa?
ma io sai che cosa faccio?
Ma io ti compro un sottomarino, perché
se qui davanti a casa nostra
quelli c’hanno la barca e rompono le scatole,
io ti compro un sot-to-ma-ri-no,
così sai,
li fai ridere tutti, questi,
haicapito?
Intanto
facciamo una cosa,
io tra cinque ore sono qua.
Tu metti la pentola sul fuoco,
ci facciamo un bel piatto
di spaghetti al burro
(mentre
aspettiamo il trasloco),
poi ci ficchiamo a letto e…
te lo faccio vedere chi sono io,
ti sganghero!
Te lo faccio vedere chi sono io.
Te lo faccio vedere chi sono io,
sono un uomo asociale,
ma sono un uomo che ti… io non ti compro il sottomarino,
ti compro un traslatlantico
basta che tu non scappi,
stai attenta,
perché se scappi col transatlantico ti affogo nel…
nell’Oceano Pacifico.
Dai, dai, coricati,
dai, che ti sganghero.
Te lo faccio vedere chi sono io
Piero Ciampi, Te lo faccio vedere chi sono io, da Andare, Camminare, Lavorare e altri discorsi, 1975.

Una regina come te… in questa casa!
Ma che succede,
ma siamo tutti pazzi?
Ma io adesso, sai che faccio – che ore sono, le undici?
Io fra… guarda,
fra cinque ore sono qua,
e c’è una casa con quattordici stanze,
te lo faccio vedere chi sono io
te lo faccio vedere chi sono io.
E che sono quei cenci che hai addosso,
ma che,
ma fammi capire,
ma se… ma io… ma come,
tu sei la, sei la mia…
e stiamo in questa stamberga coi cenci addosso?
Ma io adesso esco, sai che cosa faccio? Ma io ti…
Ti porto una pelliccia...
di leone,
con l’innesto di una tigre,
te lo faccio vedere chi sono io.
Senti,
intanto però c’è un problema:
siccome devo uscire,
mi puoi dare mille lire per il tassì,
in modo che arrivo più in fretta
a risolvere questo problema volgare
che abbiamo?
– te lo faccio vedere chi sono io.
Lascia fare a me
lascia fare a me
lascia fare a me, perché…
ti devi fidare.
Ma che cosa ti avevo detto,
una casa?
ma io sai che cosa faccio?
Ma io ti compro un sottomarino, perché
se qui davanti a casa nostra
quelli c’hanno la barca e rompono le scatole,
io ti compro un sot-to-ma-ri-no,
così sai,
li fai ridere tutti, questi,
haicapito?
Intanto
facciamo una cosa,
io tra cinque ore sono qua.
Tu metti la pentola sul fuoco,
ci facciamo un bel piatto
di spaghetti al burro
(mentre
aspettiamo il trasloco),
poi ci ficchiamo a letto e…
te lo faccio vedere chi sono io,
ti sganghero!
Te lo faccio vedere chi sono io.
Te lo faccio vedere chi sono io,
sono un uomo asociale,
ma sono un uomo che ti… io non ti compro il sottomarino,
ti compro un traslatlantico
basta che tu non scappi,
stai attenta,
perché se scappi col transatlantico ti affogo nel…
nell’Oceano Pacifico.
Dai, dai, coricati,
dai, che ti sganghero.
Te lo faccio vedere chi sono io
Piero Ciampi, Te lo faccio vedere chi sono io, da Andare, Camminare, Lavorare e altri discorsi, 1975.
31-03-2004, 01:08come stare soli, coppie di fatto, karaoke esistenziale, lingue morte, musicaPermalink
Un'idea di amore.
Amore è anche una persona che parla la tua lingua, finalmente.
Amore è anche una persona che parla la tua lingua, finalmente.
Karaoke esistenziale, ciak! 14
All around the world everywhere I go No one understands me no one knows What I'm trying to say Everywhere I go no one understands me They look at me when I talk to them And they scratch their head They go: "what's he trying to say?" But you you speak my language All around the world everywhere I go No one understands me no one knows What I'm trying to say Even in my home town My friends make me write it down They look at me when I talk to them And they shrug their shoulders, They go: "what's he talking about?" But you you speak my language Kabrula kaysay Brula | Giro per il mondo, e ovunque me ne vada nessuno mi capisce, nessuno comprende quello che cerco di dire. In qualsiasi posto nessuno mi capisce quando parlo mi guardano e si grattano la testa: "Ma cosa sta dicendo?" Ma tu, Ma tu, Kabrula kaysay Brula |
Morphine, You speak my language,dall'album Good (1992)
In ricordo di Mark Sandman (1952-1999), che parlava la mia lingua.
E a proposito: vi amo.
23-03-2004, 02:15calcio, cantare, coccodrilli, karaoke esistenziale, musica, Ottanta, SmithsPermalink
Dedicato a un bambino che domenica sera non è morto, anzi, non è proprio mai vissuto. Che non so se sia preferibile (nessuno lo sa). Immagino di sì.
Karaoke esistenziale, ciak! 13
Era un piccolo, povero ultrà,
ultrà,
E non l'avrebbe mai più fatto, si sa
No non lo avrebbe mai più fatto
(fino alla prossima volta)
Proprio lui, povero ultrà,
ultrà,
Giurò di non rifarlo mai più, si sa
No non lo avrebbe mai più fatto
(fino alla prossima volta)
Povero vecchio
perse un orecchio in un "incidente"
al reparto saldatura
ma è tutto ochei,
tanto si sa la vita è dura
Povera donna
strangolata nel suo stesso letto
mentre leggeva Tolstoi
ma è tutto ochei,
tanto era vecchia e moriva prima o poi
(di chi è la colpa?)
E cosa dire dell'ultrà,
sì, dell'ultrà,
che non lo avrebbe mai mai mai mai più fatto, si sa
(non fino alla prossima volta)
Perciò signori della corte
ora sapete ogni cosa,
ma prima di condannarmi a morte
date un'occhiata a questo bocciolo di rosa:
Vi amo per quello che siete, amori miei, amori miei amori miei
Ma non sarà mica colpa dell'ultrà,
piccolo ultrà,
lui non lo avrebbe mai più fatto, si sa,
e in mezzo a questo campo siamo al verde, eccetera.
E non scordatevi l'ultrà,
il piccolo ultrà,
che non l'avrebbe mai più fatto si sa
e in mezzo a questo campo siamo al verde,
eccetera.
Eccetera,
Eccetera,
Eccetera,
Eccetera;
Nel mezzo del cammin della partita,
Eccetera.
Dai, liberatemi,
e ritrovatemi,
su liberatemi,
e ritrovatemi,
dai liberatemi, liberatemi, liberatemi
Giurati, liberatemi,
e ritrovatemi, e liberatemi, e ritrovatemi,
e ritrovatemi, ritrovatemi, ritrovatemi,
Ed Eccetera,
Eccetera,
Eccetera,
Eccetera,
Nel mezzo del cammin della partita, Eccetera,
Ed Eccetera,
Eccetera,
Eccetera,
Eccetera,
Nel mezzo del cammin della partita, Eccetera.
The Smiths, Sweet and tender hooligan. (198?)
Note:
1. Non è che la cosa abbia comunque molto senso.
2. In un periodo della sua vita, Morrissey ebbe palazzetti di folle adoranti che si sarebbero bevuti qualsiasi slogan, e lui nei ritornelli cantava “Eccetera”. Credo che si tratti di genio.
3. “In the Midst of life we are in debt” è un modo di dire, la parodia di un verso famoso di Coleridge (che si trova anche su un libro di preghiere anglicano per gli offici funebri), “In the Midst of Life we are in Death. Anche se col tempo la parodia è diventata più famosa del verso originale.
A questo punto si trattava di trovare qualcosa di omologo in italiano: si accettano suggerimenti.
Io, naturalmente, non riuscivo a pensare che a “Nel mezzo del cammin di nostra vita”, che è lievemente più cheap di Coleridge. Poi bisognava parodizzarlo, per cui: “Nel mezzo del cammin della partita”. Che non fa ridere e non vuol dir niente. La situazione finanziaria delle squadre romane, e i conciliaboli a centrocampo ieri sera, mi hanno suggerito una variante: “in mezzo a questo campo siamo al verde”: non c’entra più niente con Coleridge, ma è un endecasillabo. Sì, probabilmente ci sono modi più proficui di impegnare questo settore del mio cervello.
4. Dice: ma come fai a sapere tutte ‘ste cose? Qui c’è un sito con i più strani riferimenti delle canzoni degli Smiths, dove si scopre che alcuni capolavori di nonsense sono in realtà citazioni da un mondo che non conosciamo: per esempio, There is a Kenny Everett (late British 80s comedian) sketch where he is burned at the stake whilst wearing a Walkman, e In the 1968 film "The Killing Of Sister George", one of the murder methods discussed is that of a ten-ton truck…
5. Naturalmente, questo è il mio karaoke, per cui decido tutto io. Per eventuali lamentele, Morrissey può scrivermi. Astenersi filologi.

Era un piccolo, povero ultrà,
ultrà,
E non l'avrebbe mai più fatto, si sa
No non lo avrebbe mai più fatto
(fino alla prossima volta)
Proprio lui, povero ultrà,
ultrà,
Giurò di non rifarlo mai più, si sa
No non lo avrebbe mai più fatto
(fino alla prossima volta)
Povero vecchio
perse un orecchio in un "incidente"
al reparto saldatura
ma è tutto ochei,
tanto si sa la vita è dura
Povera donna
strangolata nel suo stesso letto
mentre leggeva Tolstoi
ma è tutto ochei,
tanto era vecchia e moriva prima o poi
(di chi è la colpa?)
E cosa dire dell'ultrà,
sì, dell'ultrà,
che non lo avrebbe mai mai mai mai più fatto, si sa
(non fino alla prossima volta)
Perciò signori della corte
ora sapete ogni cosa,
ma prima di condannarmi a morte
date un'occhiata a questo bocciolo di rosa:
Vi amo per quello che siete, amori miei, amori miei amori miei
Ma non sarà mica colpa dell'ultrà,
piccolo ultrà,
lui non lo avrebbe mai più fatto, si sa,
e in mezzo a questo campo siamo al verde, eccetera.
E non scordatevi l'ultrà,
il piccolo ultrà,
che non l'avrebbe mai più fatto si sa
e in mezzo a questo campo siamo al verde,
eccetera.
Eccetera,
Eccetera,
Eccetera,
Eccetera;
Nel mezzo del cammin della partita,
Eccetera.
Dai, liberatemi,
e ritrovatemi,
su liberatemi,
e ritrovatemi,
dai liberatemi, liberatemi, liberatemi
Giurati, liberatemi,
e ritrovatemi, e liberatemi, e ritrovatemi,
e ritrovatemi, ritrovatemi, ritrovatemi,
Ed Eccetera,
Eccetera,
Eccetera,
Eccetera,
Nel mezzo del cammin della partita, Eccetera,
Ed Eccetera,
Eccetera,
Eccetera,
Eccetera,
Nel mezzo del cammin della partita, Eccetera.
The Smiths, Sweet and tender hooligan. (198?)
Note:
1. Non è che la cosa abbia comunque molto senso.
2. In un periodo della sua vita, Morrissey ebbe palazzetti di folle adoranti che si sarebbero bevuti qualsiasi slogan, e lui nei ritornelli cantava “Eccetera”. Credo che si tratti di genio.
3. “In the Midst of life we are in debt” è un modo di dire, la parodia di un verso famoso di Coleridge (che si trova anche su un libro di preghiere anglicano per gli offici funebri), “In the Midst of Life we are in Death. Anche se col tempo la parodia è diventata più famosa del verso originale.
A questo punto si trattava di trovare qualcosa di omologo in italiano: si accettano suggerimenti.
Io, naturalmente, non riuscivo a pensare che a “Nel mezzo del cammin di nostra vita”, che è lievemente più cheap di Coleridge. Poi bisognava parodizzarlo, per cui: “Nel mezzo del cammin della partita”. Che non fa ridere e non vuol dir niente. La situazione finanziaria delle squadre romane, e i conciliaboli a centrocampo ieri sera, mi hanno suggerito una variante: “in mezzo a questo campo siamo al verde”: non c’entra più niente con Coleridge, ma è un endecasillabo. Sì, probabilmente ci sono modi più proficui di impegnare questo settore del mio cervello.
4. Dice: ma come fai a sapere tutte ‘ste cose? Qui c’è un sito con i più strani riferimenti delle canzoni degli Smiths, dove si scopre che alcuni capolavori di nonsense sono in realtà citazioni da un mondo che non conosciamo: per esempio, There is a Kenny Everett (late British 80s comedian) sketch where he is burned at the stake whilst wearing a Walkman, e In the 1968 film "The Killing Of Sister George", one of the murder methods discussed is that of a ten-ton truck…
5. Naturalmente, questo è il mio karaoke, per cui decido tutto io. Per eventuali lamentele, Morrissey può scrivermi. Astenersi filologi.
02-03-2004, 01:01invecchiare, karaoke esistenziale, musica, nostalgia, OttantaPermalink
Tutti abbiamo diritto almeno a una canzone che ci faccia sentire immensamente tristi e stupidi, non trovate? Almeno, io la penso così.
Karaoke esistenziale, ciak! 12
"Show me, show me, show me
how you do that trick
The one that makes me scream" she said
"The one that makes me laugh" she said
And threw her arms around my neck
Anche se ormai tutto è finito, non ci restano che le briciole. Non tornerà più l’inverno tra l’ottantasette e l’ottantotto, pioggia battente e mezza pagella insufficiente, e Robert Smith, con quella voce che assomiglia a un bambino che ha pianto per ore e ore, e se anche ora cerca di smettere non riesce; Robert Smith che dice che va tutto bene, che è come il Paradiso.
Perché anche se non riesce a smettere di frignare sa che da qualche parte c’è una persona che ti ama: tu non la conosci, ma lei ti aspetta da qualche parte nel tuo futuro, per ridere, per urlare, per gettarti le braccia attorno al collo, per correre via con te.
"Show me how you do it
And I promise you I promise that
I'll run away with you
I'll run away with you"
Passeranno gli anni, ti farai una cultura, e quando ti troverai davanti Verlaine, col suo Rêve familier, ti sembrerà davvero familiare: “Faccio spesso questo sogno, strano e penetrante / di una donna sconosciuta che io amo, e lei m’ama / e che ogni volta non è mai la stessa,/ e non è nemmeno un’altra, e mi ama, e mi capisce”: e per lei “il mio cuore trasparente / cessa di essere un problema”. “È bruna, bionda, rossa? Non lo so". Per forza. Come facevo a saperlo?
Spinning on that dizzy edge
I kissed her face and kissed her head
And dreamed of all the different ways I had
To make her glow
Come potevo essere sicuro che esistesse? Solo la certezza di volerle bene, e il tempo passato a sognare “tutti i modi diversi di farla avvampare”. Perché sei così lontano?, lei chiede, in sogno, Perché non capisci che ti amo?
"Why are you so far away?" she said
"Why won't you ever know that I'm in love with you
That I'm in love with you"
Com’è bello l’inglese con la sua aggettivazione incongrua, com’è bello sapere parole dolci in una lingua che non corrispondono alle nostre. È come perdere il proprio corpo (e a quindici anni uno ne ha tanto bisogno), o come calarsi in un corpo diverso, che non c’entra nulla col tuo. “Soft”, in realtà, è traducibilissimo con “dolce”, ma per me il corpo di questa donna sconosciuta era davvero “soffice”, lieve, qualcosa da premere con cura, come quando qualcuno mise un lento giù in saletta da Mario, e Anna mi abbracciò come se fosse la cosa più naturale del mondo, e aveva una camicia di flanella. Soft and only. Qualcosa a vedere con la flanella.
You - Soft and only
You - Lost and lonely
You - Strange as angels
Dancing in the deepest oceans
Twisting in the water
You're just like a dream
E poi sentirsi solo, ma non solo come uno che ha ancora tutti i suoi amici alle medie e non sa con chi scherzare in corriera, no, non come uno che a 15 anni rischia di farsi segare e fallire la prima occasione della sua vita (dicevano che non mi avrebbero riammesso), di più: solo nell’universo, come gli astronauti di Odissea nello Spazio, congelati e poi abbandonati nel vuoto. Perché tutti pensano ai due astronauti svegli: nessuno che spenda una lacrima per quei poveracci che stanno nelle celle frigorifere, immobili e morti per tutto il film. Io ero uno di quelli. E stavo sognando. E se sognavo lei, era Proprio Come il Paradiso.
Daylight licked me into shape
I must have been asleep for days
And moving lips to breathe her name
I opened up my eyes…
“Ciao, non ti spaventare. Questa è una visione”.
“Mi state scongelando?”
“Non proprio. Vedi, tu sei Davide Ognibene, hai quindici anni, stai attraversando un periodo di depressione, ma ti passerà, non ti devi preoccupare”.
“E tu chi sei per dirlo”.
“Io, ehm, sono te stesso da grande”.
“Da grande?”
“Sì, diciamo… a trent’anni”.
“A trent’anni?”
“Non far caso alla pancia, è provvisoria. Sono venuto a confortarti in questo momento, che ora ti sembra il più difficile della tua vita, e in un certo senso lo è: ma vedrai, ce ne saranno altri”.
“Altri momenti difficili?”
“Sì, molto più difficili di questo, ma come vedi li supererai, infatti io li ho superati”.
“Hai dei capelli bianchi”.
“Senti, bimbo, io già ti faccio un favore ad apparirti in sogno, e lo faccio solo perché credo che tu ne abbia bisogno, ora vedi di non rompere troppo i coglioni, eh? Se lo vuoi sapere, dall’autunno prossimo ti aspetta un acne giovanile devastante. Ho ancora i segni sotto la barba, guarda. E poi sconfitte e umiliazioni a non finire, pianto, stridore di denti… solo per farti un esempio, hai presente Berlusconi? Quello del Milan? Ti sta sulle palle?”
“Un po’ sì”.
“Ecco, non hai idea. E storie d’amore squallide, sai quante? Non t’immagini neanche quante”.
“Ma alla fine lei c’è?”
“Lei chi, scusa”.
“Lei”.
“Aaaah, intendi quella della canzone dei Cure? Be’…”
“C’è o no, dimmelo”.
“Se proprio vuoi saperlo, c’è”.
“E mi aspetta?”
“E ti aspetta”.
“E quanto tempo ci vuole ancora?”
“Vediamo… tu hai quindici anni, no? Allora te ne vogliono ancora, ehm, altri quindici”.
“Quindici?”
“Così praticamente è come se tu fossi a metà strada! Non sei contento?”
“Quindici?”
“Dai, non prendertela, meglio tardi che… che…”
“Meglio tardi che cosa? Questo è molto peggio di restare ibernato per sempre nello spazio! Mi stai dicendo che la ragazza della mia vita mi aspetta a quindici anni da qui? E cosa dovrei fare nel frattempo, laurearmi? Fare il missionario? Fare la rivoluzione?”
“Ecco, sì, occuparsi un po’ di tutte queste cose. E anche tirare giù il Commodore dal solaio, è un filone che ti consiglio di…”.
“Vattene via, tu non esisti. Non ti voglio credere. Anzi, ti misconosco. Tu non sei il mio futuro. Tu sei il futuro di un altro sfigato. Io non ti merito. Non ho fatto niente di male”.
“Se la metti così…”
“Vattene!”
…And found myself alone alone
Alone above a raging sea
That stole the only girl I loved
And drowned her deep inside of me
You - Soft and only
You - Lost and lonely
You - Just like heaven
(Cure, 1987. It's torture, but I'm almost there).

Tutti abbiamo diritto almeno a una canzone che ci faccia sentire immensamente tristi e stupidi, non trovate? Almeno, io la penso così.
Karaoke esistenziale, ciak! 12
"Show me, show me, show me
how you do that trick
The one that makes me scream" she said
"The one that makes me laugh" she said
And threw her arms around my neck
Anche se ormai tutto è finito, non ci restano che le briciole. Non tornerà più l’inverno tra l’ottantasette e l’ottantotto, pioggia battente e mezza pagella insufficiente, e Robert Smith, con quella voce che assomiglia a un bambino che ha pianto per ore e ore, e se anche ora cerca di smettere non riesce; Robert Smith che dice che va tutto bene, che è come il Paradiso.
Perché anche se non riesce a smettere di frignare sa che da qualche parte c’è una persona che ti ama: tu non la conosci, ma lei ti aspetta da qualche parte nel tuo futuro, per ridere, per urlare, per gettarti le braccia attorno al collo, per correre via con te.
"Show me how you do it
And I promise you I promise that
I'll run away with you
I'll run away with you"
Passeranno gli anni, ti farai una cultura, e quando ti troverai davanti Verlaine, col suo Rêve familier, ti sembrerà davvero familiare: “Faccio spesso questo sogno, strano e penetrante / di una donna sconosciuta che io amo, e lei m’ama / e che ogni volta non è mai la stessa,/ e non è nemmeno un’altra, e mi ama, e mi capisce”: e per lei “il mio cuore trasparente / cessa di essere un problema”. “È bruna, bionda, rossa? Non lo so". Per forza. Come facevo a saperlo?
Spinning on that dizzy edge
I kissed her face and kissed her head
And dreamed of all the different ways I had
To make her glow
Come potevo essere sicuro che esistesse? Solo la certezza di volerle bene, e il tempo passato a sognare “tutti i modi diversi di farla avvampare”. Perché sei così lontano?, lei chiede, in sogno, Perché non capisci che ti amo?
"Why are you so far away?" she said
"Why won't you ever know that I'm in love with you
That I'm in love with you"
Com’è bello l’inglese con la sua aggettivazione incongrua, com’è bello sapere parole dolci in una lingua che non corrispondono alle nostre. È come perdere il proprio corpo (e a quindici anni uno ne ha tanto bisogno), o come calarsi in un corpo diverso, che non c’entra nulla col tuo. “Soft”, in realtà, è traducibilissimo con “dolce”, ma per me il corpo di questa donna sconosciuta era davvero “soffice”, lieve, qualcosa da premere con cura, come quando qualcuno mise un lento giù in saletta da Mario, e Anna mi abbracciò come se fosse la cosa più naturale del mondo, e aveva una camicia di flanella. Soft and only. Qualcosa a vedere con la flanella.
You - Soft and only
You - Lost and lonely
You - Strange as angels
Dancing in the deepest oceans
Twisting in the water
You're just like a dream
E poi sentirsi solo, ma non solo come uno che ha ancora tutti i suoi amici alle medie e non sa con chi scherzare in corriera, no, non come uno che a 15 anni rischia di farsi segare e fallire la prima occasione della sua vita (dicevano che non mi avrebbero riammesso), di più: solo nell’universo, come gli astronauti di Odissea nello Spazio, congelati e poi abbandonati nel vuoto. Perché tutti pensano ai due astronauti svegli: nessuno che spenda una lacrima per quei poveracci che stanno nelle celle frigorifere, immobili e morti per tutto il film. Io ero uno di quelli. E stavo sognando. E se sognavo lei, era Proprio Come il Paradiso.
Daylight licked me into shape
I must have been asleep for days
And moving lips to breathe her name
I opened up my eyes…
“Ciao, non ti spaventare. Questa è una visione”.
“Mi state scongelando?”
“Non proprio. Vedi, tu sei Davide Ognibene, hai quindici anni, stai attraversando un periodo di depressione, ma ti passerà, non ti devi preoccupare”.
“E tu chi sei per dirlo”.
“Io, ehm, sono te stesso da grande”.
“Da grande?”
“Sì, diciamo… a trent’anni”.
“A trent’anni?”
“Non far caso alla pancia, è provvisoria. Sono venuto a confortarti in questo momento, che ora ti sembra il più difficile della tua vita, e in un certo senso lo è: ma vedrai, ce ne saranno altri”.
“Altri momenti difficili?”
“Sì, molto più difficili di questo, ma come vedi li supererai, infatti io li ho superati”.
“Hai dei capelli bianchi”.
“Senti, bimbo, io già ti faccio un favore ad apparirti in sogno, e lo faccio solo perché credo che tu ne abbia bisogno, ora vedi di non rompere troppo i coglioni, eh? Se lo vuoi sapere, dall’autunno prossimo ti aspetta un acne giovanile devastante. Ho ancora i segni sotto la barba, guarda. E poi sconfitte e umiliazioni a non finire, pianto, stridore di denti… solo per farti un esempio, hai presente Berlusconi? Quello del Milan? Ti sta sulle palle?”
“Un po’ sì”.
“Ecco, non hai idea. E storie d’amore squallide, sai quante? Non t’immagini neanche quante”.
“Ma alla fine lei c’è?”
“Lei chi, scusa”.
“Lei”.
“Aaaah, intendi quella della canzone dei Cure? Be’…”
“C’è o no, dimmelo”.
“Se proprio vuoi saperlo, c’è”.
“E mi aspetta?”
“E ti aspetta”.
“E quanto tempo ci vuole ancora?”
“Vediamo… tu hai quindici anni, no? Allora te ne vogliono ancora, ehm, altri quindici”.
“Quindici?”
“Così praticamente è come se tu fossi a metà strada! Non sei contento?”
“Quindici?”
“Dai, non prendertela, meglio tardi che… che…”
“Meglio tardi che cosa? Questo è molto peggio di restare ibernato per sempre nello spazio! Mi stai dicendo che la ragazza della mia vita mi aspetta a quindici anni da qui? E cosa dovrei fare nel frattempo, laurearmi? Fare il missionario? Fare la rivoluzione?”
“Ecco, sì, occuparsi un po’ di tutte queste cose. E anche tirare giù il Commodore dal solaio, è un filone che ti consiglio di…”.
“Vattene via, tu non esisti. Non ti voglio credere. Anzi, ti misconosco. Tu non sei il mio futuro. Tu sei il futuro di un altro sfigato. Io non ti merito. Non ho fatto niente di male”.
“Se la metti così…”
“Vattene!”
…And found myself alone alone
Alone above a raging sea
That stole the only girl I loved
And drowned her deep inside of me
You - Soft and only
You - Lost and lonely
You - Just like heaven
(Cure, 1987. It's torture, but I'm almost there).
24-02-2004, 00:21auto, cantare, karaoke esistenziale, musicaPermalink
Si capisce a occhio che io ed Ella Fitzgerald non abbiamo niente in comune.
Maestri di vita (13): la voce di Ella Fitzgerald
Lei era una donna afroamericana e statunitense, formidabile cantante swing e jazz (come ti hanno detto da piccolo e tu non avevi motivo di dubitarne) che dopo una lunga gavetta ha cantato con tutti i grandi. Io sono un trentenne caucasico di mediocri speranze con una voce abbastanza maleducata (senza accompagnamento, stono), e quando non sto dormendo, lavorando, mangiando o scrivendo, probabilmente sto guidando.
In effetti io guido molto. In un certo senso mi piace. Mi fa anche molta paura. Guidare è la cosa che faccio più vicina alla morte. Ogni giorno posso uccidere ed essere ucciso.
È anche la cosa più vicina ai miei simili. Quando sono in macchina, nessuno fa caso a dove sto andando e perché. Ho diritto ad attraversare il mondo a una determinata velocità. Ci sono delle regole scritte e non scritte e io so quando le posso e non le posso rispettare. Tutto questo si riassume in una piccola liturgia: quando sono in macchina è come se stessi lavorando, quando alla fine arrivo a casa ho il diritto di essere stanco e che qualcuno si occupi di me. Gli uomini hanno bisogno di questi piccoli mondi dove tutto è chiaro e regolato: la strada, il bar, il campionato. Le donne forse no, ma gli uomini, se lasciati liberi, amano occupare il loro tempo in questo modo.
In effetti la strada è molto simile alla guerra: un posto dove gli uomini uccidono e si lasciano uccidere in base a un certo numero di regole precise, e in questo modo occupano gran parte del loro tempo senza che ormai nessuno si chieda più il perché. Sì, c’è una guerra dalle mie parti: ve ne siete accorti? Io me ne accorgo quando incrocio qualche vecchio amico della mia età: classe di ferro. Ma non siamo rimasti mica tanti, sapete.
“E hai saputo di Xxxxxxxx?”
“Tremendo, ma com’è stata?”
“La curva del Cantone, sai quanti ne ha presi”.
“Nebbia?”
“Ghiaccio”.
“Sfiga”.
Nessuno sa esattamente perché combattiamo, e contro chi: combattiamo perché è il nostro destino, il nostro modello di sviluppo. Negli anni ’50 c’era una piccola ferrovia, poi la smantellarono; noi siamo cresciuti con una sola idea fissa: prendere la patente: uccidere ed essere uccisi. I nostri amici partivano in avanscoperta e tornavano sulla sedia a rotelle o non tornavano affatto: sfiga. Sembra assurdo, vero? Vi garantisco che non è assurdo, quando ci vivi dentro. È la tua vita e non hai mai pensato che potrebbe essere migliore, perché sei troppo occupato a guidare.
In questa vita io mi destreggio come posso e, modestamente, sono un veterano. Ma non devo la mia vita al mio buon senso, alla mia prudenza o alla mia concentrazione. Chi mi conosce può testimoniare quanto io sia povero di queste tre preziose qualità. Devo la vita forse a San Cristoforo (protettore della mia prima Golf, ma in seguito è stato tolto dal calendario) e Sant’Antonio da Padova; alle preghiere di mia madre e alla musica. La musica in particolare ha per me la stessa importanza che avevano le razioni di tabacco nelle trincee: rendere sopportabile una guerra, colorare quello che e grigio, senza però mai distrarre da quello che accade davanti e dietro.
Diciamo allora che io non sono un appassionato di musica: io ho bisogno della musica. Senza musica non riuscirei ad alzarmi da letto la mattina, perché l’idea di affrontare 100 km. in compagnia del mio cervello che ronza sarebbe inaccettabile. Senza musica mi addormenterei, mi distrarrei. Senza musica mi ucciderei, o ucciderei qualcuno. Non stiamo parlando di un genere voluttuario, ma di un bene di prima necessità.
Molto spesso mi distraggo ugualmente, e il colpo di sonno è sempre in agguato. Oppure sono soprappensiero per via dei miei numerosi problemi. In queste situazioni di solito la musica deve soccorrermi come una scossa, come se l’autoradio si accendesse bruscamente e ti costringesse a cantare. Le cassette da viaggio erano organizzate in modo che nessuna canzone potesse suggerire la successiva: ogni pezzo non aveva niente a che vedere con il precedente. Era anche impossibile memorizzare le sequenze. In questo modo il cervello è continuamente portato a chiedersi: “E adesso cosa succederà? Aspettiamo il prossimo pezzo”. Basta un pizzico di suspance per mantenere il cervello sveglio. E il cervello sveglio porta il guidatore a casa.
Del resto, non tutta la musica va bene. Mi dispiace tanto per il jazz, ma qui si tratta di vita e di morte, e se un pezzo non è abbastanza cantabile la percentuale di rischio aumenta in modo esponenziale. Meglio tanti pezzi brevi. Inconsciamente, finisci per ricostruire un palinsesto radiofonico, di come sarebbero le radio private se non fossero diventate tutte veicoli promozionali di qualcosa. Con gli anni, acquisisci un gusto eclettico o superficiale: ti piacciono i primi tre ritornelli di ogni disco che hai sentito. Peraltro, molto spesso continui ad annoiarti, a farti assorbire dai tuoi pensieri, a fermarti a dormicchiare per tre minuti in un parcheggio.
Però a volte succede un’altra cosa: che improvvisamente ti accorgi che stai cantando, e non ti ricordi quando hai cominciato. Un minuto fa avevi la fronte pericolosamente aggrottata; ora hai gli occhi spalancati, canti e sorridi. La percentuale di uccidere qualcuno è calata bruscamente. Cosa è successo? Molto probabilmente la tua radio personale ha fatto passare un brano di Ella Fitzgerald.
Allora capisci quello che ti hanno detto da piccolo e che non avevi motivo di dubitare: Ella Fitzgerald è la più grande. Perché quando canta lei, anche i bianchi stonati caucasici si mettono a cantare, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Lei non ha bisogno di dimostrare nulla: niente vocalizzi audaci, niente acuti acutissimi: ma la sua voce è come una ragazza che viene a prenderti dal tavolino del ballo delle Medie e ti dice: “Dai, vieni, è facilissimo”. E tu ci vai, e cavolo, per un attimo sembra facile davvero. Perciò, quando gli altoparlanti mandano i pezzi di Ella, i ragazzi nelle trincee canticchiano, e per un attimo si sentono a casa, in salvo.
I’ll be down to get you in the taxy, honey
You better get ready, half past ten
I mean, don’t be late...
Ella è anche il simbolo del tipo di arte che piace a me, quella che vorrei fare io, se ne fossi capace. Un’arte che ti fa cantare e muovere il piede. Tutto qui? Sì, direi che è tutto. Certo, ogni tanto è bene anche dare un po’ di fastidio, scandalizzare, sperimentare. Ora dico una cosa un po’ snob: a me piacciono gli Area. Complessivamente credo che siano pretenziosi e inascoltabili, ma in ogni disco che ho ascoltato ci ho trovato almeno una o due canzoni belle e originali, e non è da tutti. Però ve lo immaginate il supplizio di svegliarsi la mattina con in testa una canzone degli Area? Se cerchi di cantarla sembri Tarzan con le adenoidi; non puoi battere il tempo perché è in tredici sedicesimi; così te ne resti tutto il tempo con questa canzone degli Area che non va né su né giù. Gli Area mi piacciono, ma non possono salvarmi la vita. Qualche pezzo ogni tanto va bene, ma io ho bisogno di Ella Fitzgerald.
Rimane il dubbio: Ella mi salva la vita, o è un modo in cui la vita mi costringe a restare al mio posto, dove uno di questi giorni potrei uccidere ed essere ucciso?
Ma il dubbio è un lusso che mi consento la sera, dopo un caffè, quando ho le idee abbastanza chiare. Di giorno c’è troppa confusione, troppa fretta, troppo pericolo. La musica non è un lusso: è qualcosa che mi salva la vita quando ne ho bisogno. Un giorno forse mi ribellerò, ma ora non ho tempo. Ho bisogno di Ella Fitzgerald.
...see you tomorrow night, at the darktown stutters' ball.

Maestri di vita (13): la voce di Ella Fitzgerald
Lei era una donna afroamericana e statunitense, formidabile cantante swing e jazz (come ti hanno detto da piccolo e tu non avevi motivo di dubitarne) che dopo una lunga gavetta ha cantato con tutti i grandi. Io sono un trentenne caucasico di mediocri speranze con una voce abbastanza maleducata (senza accompagnamento, stono), e quando non sto dormendo, lavorando, mangiando o scrivendo, probabilmente sto guidando.
In effetti io guido molto. In un certo senso mi piace. Mi fa anche molta paura. Guidare è la cosa che faccio più vicina alla morte. Ogni giorno posso uccidere ed essere ucciso.
È anche la cosa più vicina ai miei simili. Quando sono in macchina, nessuno fa caso a dove sto andando e perché. Ho diritto ad attraversare il mondo a una determinata velocità. Ci sono delle regole scritte e non scritte e io so quando le posso e non le posso rispettare. Tutto questo si riassume in una piccola liturgia: quando sono in macchina è come se stessi lavorando, quando alla fine arrivo a casa ho il diritto di essere stanco e che qualcuno si occupi di me. Gli uomini hanno bisogno di questi piccoli mondi dove tutto è chiaro e regolato: la strada, il bar, il campionato. Le donne forse no, ma gli uomini, se lasciati liberi, amano occupare il loro tempo in questo modo.
In effetti la strada è molto simile alla guerra: un posto dove gli uomini uccidono e si lasciano uccidere in base a un certo numero di regole precise, e in questo modo occupano gran parte del loro tempo senza che ormai nessuno si chieda più il perché. Sì, c’è una guerra dalle mie parti: ve ne siete accorti? Io me ne accorgo quando incrocio qualche vecchio amico della mia età: classe di ferro. Ma non siamo rimasti mica tanti, sapete.
“E hai saputo di Xxxxxxxx?”
“Tremendo, ma com’è stata?”
“La curva del Cantone, sai quanti ne ha presi”.
“Nebbia?”
“Ghiaccio”.
“Sfiga”.
Nessuno sa esattamente perché combattiamo, e contro chi: combattiamo perché è il nostro destino, il nostro modello di sviluppo. Negli anni ’50 c’era una piccola ferrovia, poi la smantellarono; noi siamo cresciuti con una sola idea fissa: prendere la patente: uccidere ed essere uccisi. I nostri amici partivano in avanscoperta e tornavano sulla sedia a rotelle o non tornavano affatto: sfiga. Sembra assurdo, vero? Vi garantisco che non è assurdo, quando ci vivi dentro. È la tua vita e non hai mai pensato che potrebbe essere migliore, perché sei troppo occupato a guidare.
In questa vita io mi destreggio come posso e, modestamente, sono un veterano. Ma non devo la mia vita al mio buon senso, alla mia prudenza o alla mia concentrazione. Chi mi conosce può testimoniare quanto io sia povero di queste tre preziose qualità. Devo la vita forse a San Cristoforo (protettore della mia prima Golf, ma in seguito è stato tolto dal calendario) e Sant’Antonio da Padova; alle preghiere di mia madre e alla musica. La musica in particolare ha per me la stessa importanza che avevano le razioni di tabacco nelle trincee: rendere sopportabile una guerra, colorare quello che e grigio, senza però mai distrarre da quello che accade davanti e dietro.
Diciamo allora che io non sono un appassionato di musica: io ho bisogno della musica. Senza musica non riuscirei ad alzarmi da letto la mattina, perché l’idea di affrontare 100 km. in compagnia del mio cervello che ronza sarebbe inaccettabile. Senza musica mi addormenterei, mi distrarrei. Senza musica mi ucciderei, o ucciderei qualcuno. Non stiamo parlando di un genere voluttuario, ma di un bene di prima necessità.
Molto spesso mi distraggo ugualmente, e il colpo di sonno è sempre in agguato. Oppure sono soprappensiero per via dei miei numerosi problemi. In queste situazioni di solito la musica deve soccorrermi come una scossa, come se l’autoradio si accendesse bruscamente e ti costringesse a cantare. Le cassette da viaggio erano organizzate in modo che nessuna canzone potesse suggerire la successiva: ogni pezzo non aveva niente a che vedere con il precedente. Era anche impossibile memorizzare le sequenze. In questo modo il cervello è continuamente portato a chiedersi: “E adesso cosa succederà? Aspettiamo il prossimo pezzo”. Basta un pizzico di suspance per mantenere il cervello sveglio. E il cervello sveglio porta il guidatore a casa.
Del resto, non tutta la musica va bene. Mi dispiace tanto per il jazz, ma qui si tratta di vita e di morte, e se un pezzo non è abbastanza cantabile la percentuale di rischio aumenta in modo esponenziale. Meglio tanti pezzi brevi. Inconsciamente, finisci per ricostruire un palinsesto radiofonico, di come sarebbero le radio private se non fossero diventate tutte veicoli promozionali di qualcosa. Con gli anni, acquisisci un gusto eclettico o superficiale: ti piacciono i primi tre ritornelli di ogni disco che hai sentito. Peraltro, molto spesso continui ad annoiarti, a farti assorbire dai tuoi pensieri, a fermarti a dormicchiare per tre minuti in un parcheggio.
Però a volte succede un’altra cosa: che improvvisamente ti accorgi che stai cantando, e non ti ricordi quando hai cominciato. Un minuto fa avevi la fronte pericolosamente aggrottata; ora hai gli occhi spalancati, canti e sorridi. La percentuale di uccidere qualcuno è calata bruscamente. Cosa è successo? Molto probabilmente la tua radio personale ha fatto passare un brano di Ella Fitzgerald.
Allora capisci quello che ti hanno detto da piccolo e che non avevi motivo di dubitare: Ella Fitzgerald è la più grande. Perché quando canta lei, anche i bianchi stonati caucasici si mettono a cantare, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Lei non ha bisogno di dimostrare nulla: niente vocalizzi audaci, niente acuti acutissimi: ma la sua voce è come una ragazza che viene a prenderti dal tavolino del ballo delle Medie e ti dice: “Dai, vieni, è facilissimo”. E tu ci vai, e cavolo, per un attimo sembra facile davvero. Perciò, quando gli altoparlanti mandano i pezzi di Ella, i ragazzi nelle trincee canticchiano, e per un attimo si sentono a casa, in salvo.
I’ll be down to get you in the taxy, honey
You better get ready, half past ten
I mean, don’t be late...
Ella è anche il simbolo del tipo di arte che piace a me, quella che vorrei fare io, se ne fossi capace. Un’arte che ti fa cantare e muovere il piede. Tutto qui? Sì, direi che è tutto. Certo, ogni tanto è bene anche dare un po’ di fastidio, scandalizzare, sperimentare. Ora dico una cosa un po’ snob: a me piacciono gli Area. Complessivamente credo che siano pretenziosi e inascoltabili, ma in ogni disco che ho ascoltato ci ho trovato almeno una o due canzoni belle e originali, e non è da tutti. Però ve lo immaginate il supplizio di svegliarsi la mattina con in testa una canzone degli Area? Se cerchi di cantarla sembri Tarzan con le adenoidi; non puoi battere il tempo perché è in tredici sedicesimi; così te ne resti tutto il tempo con questa canzone degli Area che non va né su né giù. Gli Area mi piacciono, ma non possono salvarmi la vita. Qualche pezzo ogni tanto va bene, ma io ho bisogno di Ella Fitzgerald.
Rimane il dubbio: Ella mi salva la vita, o è un modo in cui la vita mi costringe a restare al mio posto, dove uno di questi giorni potrei uccidere ed essere ucciso?
Ma il dubbio è un lusso che mi consento la sera, dopo un caffè, quando ho le idee abbastanza chiare. Di giorno c’è troppa confusione, troppa fretta, troppo pericolo. La musica non è un lusso: è qualcosa che mi salva la vita quando ne ho bisogno. Un giorno forse mi ribellerò, ma ora non ho tempo. Ho bisogno di Ella Fitzgerald.
...see you tomorrow night, at the darktown stutters' ball.
11-02-2004, 02:42Berlusconi, Bush, karaoke esistenziale, musicaPermalink
Resta in luce (Karaoke esistenziale, ciak! 11)
Nato sotto i pugni (e il calore cresce)
Date un’occhiata alle sue mani
Su, guardategli le mani.
La Sua Mano parla. È la mano di un Uomo di Governo.
Sì, sono un acrobata. Nato sotto i pugni.
E sono così sottile
Tutto quello che voglio è respirare
(Sono così sottile)
Vieni a respirare con me?
Ci serve un po’ di spazio dove transitare
Appena un passo oltre noi stessi
Mai visto qualcosa del genere
corpi che si schiantano al suolo
(è che sono un acrobata)
Quando arrivi dove volevi arrivare
(Grazie! Grazie!)
Quando arrivi dove volevi arrivare
(Ma non c’è neanche bisogno di dirlo!)
Non perdetevelo! Non perdetevelo!
Qualcuno di voi rischia proprio di perderselo!
Questa è l’ultima opportunità
Io sono l’acrobata – Nato sotto i pugni
Sono un Uomo di Governo.
Non sono un uomo che affonda nell’acqua!
Non sono una casa che brucia nel fuoco!
L’acqua che sale non può ferire l’Uomo,
Il fuoco che brucia non può ferire l’Uomo,
l’Uomo del Governo.
Tutto quello che voglio è respirare
(Grazie, grazie)
Vieni a respirare con me?
Ci serve un po’ di spazio dove transitare
(sono così snello)
Appena un passo oltre noi stessi
(Sto raggiungendo la forma!)
E il calore cresce, e il calore cresce
dove posò la Mano, dove posò la Mano.
Tutto quello che voglio è respirare
Vieni a respirare con me?
(Le mani di un uomo del Governo)
Ci serve un po’ di spazio dove transitare
appena un passo oltre noi stessi
(Non perdetevelo! Non perdetevelo!)
E il calore cresce, e il calore cresce
dove posò la Mano, dove posò la Mano
e il calore cresce, e il calore cresce
dove posò la Mano, dove posò la Mano
Ora che l’ho fatto, mi sento ancora più stupido. Tradurre i Talking Heads è impossibile.
(“Ma se è per questo, anche George W. Bush: e allora, tantovale…”)
Anche in questo caso, sono le frasi più elementari a creare le maggiori difficoltà. Voi cosa fareste con l’ipnotico “Goes on / And the heat goes on”? Per un po’ ho accarezzato l’idea di tradurre: “più su, sale sempre più”, come un coro di impasticcati in una discoteca di Rimini. Che a David Byrne non sarebbe dispiaciuto. Ai tempi del punk David Byrne andava in giro a dire che gli piaceva la Disco: intanto sbobinava e trascriveva le audizioni del caso Watergate, e li rimontava in testi caotici, ipnotici e intraducibili. E aveva il dono della profezia.
Remain in Light è intraducibile, ma forse è anche l’unica cosa che valga la pena ascoltare in Occidente nel febbraio 2004, anno III di quel che vi pare. Tranquilli, non è noioso, è una specie di Apocalisse di San Giovanni in versione discomusic. David Byrne sapeva che sarebbe venuta l’ora dei Presidenti dislessici, dei Presidenti acrobati, dei Presidenti così sottili. Il fuoco che brucia la casa non li può bruciare. L’acqua che annega gli uomini non li può annegare. Quando ho sentito che Bush si era definito un Presidente di guerra, dentro di me qualcosa ha cantato: “I’m a Government Man(and the Heat goes on)” . Ogni volta che vedo il Giovane Berlusconi annunciare l’inizio, la fine lo svolgimento di una Verifica (Verifica di che?), qualcosa dentro di me ripete: “I’m a tumbler. Born under punches”.
E non crediate che lo faccia volentieri, anzi. Tutto quel che vorrei è respirare. Ma esiste ancora un posto dove possiamo transitare? E abbiamo ancora il diritto di fare un passo più lungo della gamba?
Il punto più enigmatico resta quell’urlo di David Byrne: I’m catching up with myself. È come se dicesse: mi sto compiendo, mi sto realizzando, sono una profezia umana che si avvera in sé. O è Berlusconi che s’incarna nel sogno di un Berlusconi più giovane? O è un George W Bush che s’incarna nel fumettone imperiale che gli hanno disegnato intorno? And the heat goes on.
Ma date un’occhiata a quelle mani, a quegli occhi, a quei volti. Le mani parlano. I volti parlano. Sono degli acrobati. Nati sotto i pugni. E sono così leggeri. (Eh, la leggerezza di Calvino).
È l’ultima occasione per fare dei piani. Qualcuno di voi, gente, se la sta perdendo. Grazie, grazie. Non parliamone neppure.
And the heat goes on.
Nato sotto i pugni (e il calore cresce)

Su, guardategli le mani.
La Sua Mano parla. È la mano di un Uomo di Governo.
Sì, sono un acrobata. Nato sotto i pugni.
E sono così sottile
Tutto quello che voglio è respirare
(Sono così sottile)
Vieni a respirare con me?
Ci serve un po’ di spazio dove transitare
Appena un passo oltre noi stessi
Mai visto qualcosa del genere
corpi che si schiantano al suolo
(è che sono un acrobata)
Quando arrivi dove volevi arrivare
(Grazie! Grazie!)
Quando arrivi dove volevi arrivare
(Ma non c’è neanche bisogno di dirlo!)
Non perdetevelo! Non perdetevelo!
Qualcuno di voi rischia proprio di perderselo!
Questa è l’ultima opportunità
Io sono l’acrobata – Nato sotto i pugni
Sono un Uomo di Governo.
Non sono un uomo che affonda nell’acqua!
Non sono una casa che brucia nel fuoco!
L’acqua che sale non può ferire l’Uomo,
Il fuoco che brucia non può ferire l’Uomo,
l’Uomo del Governo.
Tutto quello che voglio è respirare
(Grazie, grazie)
Vieni a respirare con me?
Ci serve un po’ di spazio dove transitare
(sono così snello)
Appena un passo oltre noi stessi
(Sto raggiungendo la forma!)
E il calore cresce, e il calore cresce
dove posò la Mano, dove posò la Mano.
Tutto quello che voglio è respirare
Vieni a respirare con me?
(Le mani di un uomo del Governo)
Ci serve un po’ di spazio dove transitare
appena un passo oltre noi stessi
(Non perdetevelo! Non perdetevelo!)
E il calore cresce, e il calore cresce
dove posò la Mano, dove posò la Mano
e il calore cresce, e il calore cresce
dove posò la Mano, dove posò la Mano
Ora che l’ho fatto, mi sento ancora più stupido. Tradurre i Talking Heads è impossibile.
(“Ma se è per questo, anche George W. Bush: e allora, tantovale…”)
Anche in questo caso, sono le frasi più elementari a creare le maggiori difficoltà. Voi cosa fareste con l’ipnotico “Goes on / And the heat goes on”? Per un po’ ho accarezzato l’idea di tradurre: “più su, sale sempre più”, come un coro di impasticcati in una discoteca di Rimini. Che a David Byrne non sarebbe dispiaciuto. Ai tempi del punk David Byrne andava in giro a dire che gli piaceva la Disco: intanto sbobinava e trascriveva le audizioni del caso Watergate, e li rimontava in testi caotici, ipnotici e intraducibili. E aveva il dono della profezia.
Remain in Light è intraducibile, ma forse è anche l’unica cosa che valga la pena ascoltare in Occidente nel febbraio 2004, anno III di quel che vi pare. Tranquilli, non è noioso, è una specie di Apocalisse di San Giovanni in versione discomusic. David Byrne sapeva che sarebbe venuta l’ora dei Presidenti dislessici, dei Presidenti acrobati, dei Presidenti così sottili. Il fuoco che brucia la casa non li può bruciare. L’acqua che annega gli uomini non li può annegare. Quando ho sentito che Bush si era definito un Presidente di guerra, dentro di me qualcosa ha cantato: “I’m a Government Man(and the Heat goes on)” . Ogni volta che vedo il Giovane Berlusconi annunciare l’inizio, la fine lo svolgimento di una Verifica (Verifica di che?), qualcosa dentro di me ripete: “I’m a tumbler. Born under punches”.
E non crediate che lo faccia volentieri, anzi. Tutto quel che vorrei è respirare. Ma esiste ancora un posto dove possiamo transitare? E abbiamo ancora il diritto di fare un passo più lungo della gamba?
Il punto più enigmatico resta quell’urlo di David Byrne: I’m catching up with myself. È come se dicesse: mi sto compiendo, mi sto realizzando, sono una profezia umana che si avvera in sé. O è Berlusconi che s’incarna nel sogno di un Berlusconi più giovane? O è un George W Bush che s’incarna nel fumettone imperiale che gli hanno disegnato intorno? And the heat goes on.
Ma date un’occhiata a quelle mani, a quegli occhi, a quei volti. Le mani parlano. I volti parlano. Sono degli acrobati. Nati sotto i pugni. E sono così leggeri. (Eh, la leggerezza di Calvino).
È l’ultima occasione per fare dei piani. Qualcuno di voi, gente, se la sta perdendo. Grazie, grazie. Non parliamone neppure.
And the heat goes on.
Comments (2)
06-02-2004, 00:25Emilia paranoica, karaoke esistenziale, musicaPermalink
ci abbiamo provato e
abbiamo creduto di farcela:
malgrado le palme
le panchine
le facce di camerieri - in camicie da quattro soldi.
ci abbiamo provato e
abbiamo creduto di farcela:
e abbiamo camminato incontro
a tramonti
muti
che si ha pudore di guardare
e abbiamo dimenticato i nostri corpi inadeguati.
sperduti, abbiamo riso.
le nuvole sono immobili e senza contorno
le nuvole sono immobili e senza contorno
sullo sfondo.

Karaoke esistenziale, ciak! 10
Ravenna, Massimo Volume (Emidio Clementi), 1995
La punteggiatura però è mia (il karaoke è mio).
La foto l'ho presa qui.
Sì, è proprio Ravenna.
abbiamo creduto di farcela:
malgrado le palme
le panchine
le facce di camerieri - in camicie da quattro soldi.
ci abbiamo provato e
abbiamo creduto di farcela:
e abbiamo camminato incontro
a tramonti
muti
che si ha pudore di guardare
e abbiamo dimenticato i nostri corpi inadeguati.
sperduti, abbiamo riso.
le nuvole sono immobili e senza contorno
le nuvole sono immobili e senza contorno
sullo sfondo.

Karaoke esistenziale, ciak! 10
Ravenna, Massimo Volume (Emidio Clementi), 1995
La punteggiatura però è mia (il karaoke è mio).
La foto l'ho presa qui.
Sì, è proprio Ravenna.
21-01-2004, 02:15Federico, karaoke esistenziale, musicaPermalink
(Karaoke, ciak! 9)
Questa qua
è per te
– e anche se non è un granché –
ti volevo solo dire
che era qui, in fondo a me.
È per te (che lo sai
di chi sto parlando, dai)
e ti piacerà un minuto,
e poi te ne scorderai.
Perché sei viva,
viva,
così come sei:
quanta vita mi hai passato
e non la chiedi indietro mai.
E sei
viva,
viva
per quella che sei:
sempre pronta,
sempre ingorda,
sempre e solo come vuoi.
Questa qua è per te,
che non ti puoi spegnere:
non hai avuto tempo,
devi troppo vivere.
È per te,
questa qua,
per la tua golosità:
ti strofini contro il mondo, tanto
il mondo non ti avrà, perché sei
viva
viva,
così come sei:
quanta vita hai contagiato,
quanta vita brucerai.
e sei
viva,
viva,
per quella che sei:
niente rate, niente sconti:
solo viva come vuoi.
Questa qua è per te
(e non è niente facile
dire quello che non riesco,
mentre tu vuoi ridere);
perché sei
viva,
viva,
così come sei:
quanta vita mi hai passato, non
la chiedi indietro mai:
perché sei
viva,
viva,
per quella che sei:
sempre pronta, sempre ingorda,
sempre e solo come vuoi.
Questa qua è per te,
che sai sempre scegliere
(e io invece non ho scelta,
te la devo scrivere).
Luciano Ligabue, Viva!, 1995.
Atque in perpetuum
Questa qua
è per te
– e anche se non è un granché –
ti volevo solo dire
che era qui, in fondo a me.
È per te (che lo sai
di chi sto parlando, dai)
e ti piacerà un minuto,
e poi te ne scorderai.
Perché sei viva,
viva,
così come sei:
quanta vita mi hai passato
e non la chiedi indietro mai.
E sei
viva,
viva
per quella che sei:
sempre pronta,
sempre ingorda,
sempre e solo come vuoi.
Questa qua è per te,
che non ti puoi spegnere:
non hai avuto tempo,
devi troppo vivere.
È per te,
questa qua,
per la tua golosità:
ti strofini contro il mondo, tanto
il mondo non ti avrà, perché sei
viva
viva,
così come sei:
quanta vita hai contagiato,
quanta vita brucerai.
e sei
viva,
viva,
per quella che sei:
niente rate, niente sconti:
solo viva come vuoi.
Questa qua è per te
(e non è niente facile
dire quello che non riesco,
mentre tu vuoi ridere);
perché sei
viva,
viva,
così come sei:
quanta vita mi hai passato, non
la chiedi indietro mai:
perché sei
viva,
viva,
per quella che sei:
sempre pronta, sempre ingorda,
sempre e solo come vuoi.
Questa qua è per te,
che sai sempre scegliere
(e io invece non ho scelta,
te la devo scrivere).
Luciano Ligabue, Viva!, 1995.
Atque in perpetuum
15-01-2004, 01:49cantare, cantautori, karaoke esistenziale, musicaPermalink
Frammenti di Karaoke esistenziale, ciak! (8)
La Signora è in lacrime, e si ferma ad ascoltare:
attraversa e si blocca a metà della strada,
un colpo di vento la fa continuare.
La Signora, quando tace, sembra una volpe:
va al cinema da sola, ma ha paura ad entrare.
La Signora ha molti figli, molti figli da educare.
Qualcuno lo va a trovare, ma tanti,
li lascia sulla strada senza mangiare.
La Signora non ha padre, è figlia d’un figlio
d’un terremoto o d’uno sbadiglio.
La Signora la mattina sta male, si sente svenire,
il pomeriggio sparisce, ma la notte, la notte, mi viene a cercare.
È un amore bocciato che non può continuare,
come un cane in una stanza d’albergo mi sento solo.
Provo a far tutto quanto in orario, ma mi accorgo che è un gioco:
stan giocando alla radio e al telefono, qualcuno mi uccide a poco a poco.
La Signora è mio padre e mia madre quando alza la voce,
è una mano coi guanti che mi spegne la luce,
è una montagna di carte in un ufficio postale,
è un amico diventato nemico che mi ruba la voce.
La Signora è una fila di macchine da qui fino al mare,
la Signora ci stampa il giornale e ce lo fa comperare.
La Signora ha tanti nomi, tanti nomi,
così da nascondersi e non farsi trovare:
ma a volte si veste di luci e bandiere per farsi notare.
La Signora è mio padre e mia madre quando alza la voce,
è una mano coi guanti che mi spegne la luce,
è una montagna di carte in un ufficio postale,
è un amico che diventa un nemico e mi ruba la voce.
Lucio Dalla, La Signora, 1978.
dedicato a lei (uno scambio di favori e permalink degno della peggio massoneria blog).

attraversa e si blocca a metà della strada,
un colpo di vento la fa continuare.
La Signora, quando tace, sembra una volpe:
va al cinema da sola, ma ha paura ad entrare.
La Signora ha molti figli, molti figli da educare.
Qualcuno lo va a trovare, ma tanti,
li lascia sulla strada senza mangiare.
La Signora non ha padre, è figlia d’un figlio
d’un terremoto o d’uno sbadiglio.
La Signora la mattina sta male, si sente svenire,
il pomeriggio sparisce, ma la notte, la notte, mi viene a cercare.
È un amore bocciato che non può continuare,
come un cane in una stanza d’albergo mi sento solo.
Provo a far tutto quanto in orario, ma mi accorgo che è un gioco:
stan giocando alla radio e al telefono, qualcuno mi uccide a poco a poco.
La Signora è mio padre e mia madre quando alza la voce,
è una mano coi guanti che mi spegne la luce,
è una montagna di carte in un ufficio postale,
è un amico diventato nemico che mi ruba la voce.
La Signora è una fila di macchine da qui fino al mare,
la Signora ci stampa il giornale e ce lo fa comperare.
La Signora ha tanti nomi, tanti nomi,
così da nascondersi e non farsi trovare:
ma a volte si veste di luci e bandiere per farsi notare.
La Signora è mio padre e mia madre quando alza la voce,
è una mano coi guanti che mi spegne la luce,
è una montagna di carte in un ufficio postale,
è un amico che diventa un nemico e mi ruba la voce.
Lucio Dalla, La Signora, 1978.
dedicato a lei (uno scambio di favori e permalink degno della peggio massoneria blog).
30-12-2003, 02:23karaoke esistenziale, musicaPermalink
Karaoke esistenziale, ciak! 7.
E adesso, che cosa faremo?
Gli levano il turbante, dicono: “chi è questo, un ebreo?”
Lavorano per la Morsa.
Metton su i manifesti con scritto: “Noi guadagniamo più di te!
Noi lavoriamo per la Morsa!
Convinceremo i giovani credenti
coi nostri discorsi contorti.
Alleneremo i nostri uomini dagli occhi azzurri
A credere soltanto in Te”
Il giudice ha detto “da cinque a dieci anni”,
gli ho risposto: “raddoppia pure.
Io non lavoro per la Morsa”.
Nessun uomo che abbia ancora un’anima
Può lavorare per la Morsa.
Tira calci al muro, il Governo può cadere,
come puoi negarlo?
Dà voce alla tua furia, la rabbia è il tuo potere,
non capisci che puoi usarla?
Le voci nella tua testa ti chiamano:
“Smetti di sprecare il tuo tempo, non si arriva a niente.
Solo un pazzo spererebbe nella tua salvezza.
Gli uomini in fabbrica sono vecchi ed esperti
Tu non ci devi niente, per cui, aria”
Sono gli anni migliori della tua vita, quelli che ti vogliono rubare...
...E allora cresci e ti dai una calmata
– ora lavori per la Morsa! –
Cominci a vestire in blu e grigio,
e lavori per la Morsa.
Ora hai qualcuno a cui dare ordini,
ti fa sentire grande, vero?
Ti lasci andare finché non cominci a molestarli…
Coraggio! Ammazzane uno, adesso!
Questi sono i giorni dei malvagi Presidenti,
che lavorano per la Morsa
ma prima o poi qualcuno pagherà per tutto questo,
per aver lavorato per la Morsa,
(ma, ah, campa cavallo…)
E non sto mica rivelando segreti.
Vedremo chi è il più fesso.
(Clash, Clampdown, 1979).
Postilla:
Ci sono dei motivi per cui ai suoi tempi non riuscivo a leggere un testo di Joe Strummer, e adesso sì.
Uno di questi motivi è che ho imparato un po’ d’inglese, ma neanche tanto in realtà. Strummer tutto sommato non usa parole molto difficili. Dylan usava parole difficili. Jim Morrison usava paroloni difficili. Tutta gente che riuscivo a capire. Joe Strummer no.
Intuivo solo una grande energia, che era rabbia e allegria assieme (mi è tornata in mente una recensione di London Calling: “sembra che canti per tutto il tempo con un ghigno”) e comunque mi bastava.
Ma se provavo a leggere i testi… un ebreo col turbante? Cosa significa? Cos’è, esattamente, questo Clampdown da cui bisogna stare attenti a non farsi assumere? Il Ragazzini dava: “stringere i freni nei confronti di, dare un giro di vite a q.”. Più tardi l’Oxford avrebbe precisato: “sudden policy of increased strictness in preventing or suppressing sth.”. Dunque alla fine sarebbe meglio tradurre “stretta”, o “giro di vite”. (Invece ho messo “La Morsa”, perché questo è il mio karaoke). E quegli uomini in fabbrica, devono qualcosa a qualcuno o è qualcuno che deve qualcosa a loro? Perché a un giudice che ti dice “5 a 10” gli rispondi “raddoppia”? Insomma, non poteva essere più chiaro Joe Strummer?
Ci sono dei motivi per cui non riuscivo a capire Joe Strummer, anche se intuivo che era bravo e aveva cose importanti da cantare. Un motivo credo fosse l’attualità. A Dylan non interessava troppo. A Jim Morrison, men che meno. Alla fine un ragazzino italiano a metà ’80 riesce comunque a trovarci delle cose. Ma Joe Strummer usava parole che non si trovavano ancora del tutto a loro agio nei dizionari, parole che nascevano sui tabloid dei drugstore, e ci avrei messo molto tempo prima di vederne uno. E poi Strummer rimase sempre, ferocemente, 1977. Anche nel 1979. E probabilmente già un paio di anni dopo stava diventando incomprensibile. Ma gitalong, diceva lui: campa cavallo.
Ci sono dei motivi per cui un pezzo scritto da Joe Strummer, nel 1979 diventa comprensibilissimo nel 2003, quasi '04, in Italia. Basta accendere la tv: scioperi dei trasporti, allevatori alla frutta. A un certo punto oggi davanti a un servizio mi è venuto spontaneo dire: “piovono pietre”. Per l’appunto. L’Italia del 2004 sembra l’Inghilterra del 1978. (Ma almeno loro prima erano un Impero). Di gente col turbante ce n’è fin che vuoi. E gente che è felice di guadagnare più di te e ci stampa anche i manifesti. E gente che a questo punto trova più dignità in prigione che fuori. Vecchi in fabbrica: sia che se ne debbano andare perché la fabbrica chiude, sia che debbano restare da vecchi perché Tremonti non li fa andare in pensione. La canzone funziona lo stesso. La canzone funziona talmente bene che fa piangere.
C’è un motivo, alla fine, per cui Joe Strummer ci manca, ancora più oggi che un anno fa. Ci manca perché a un certo punto ha creduto che la rabbia fosse potere, e che si sarebbe potuto usarla: e che il governo sarebbe caduto, e che qualcuno avrebbe pagato. Ci manca per quel momento, che è stato breve anche per lui. Perché alla fine, pare che avessero ragione “le voci nella testa”: non si arriva a niente, non ci si salva. La Storia se n’è fregata della sua rabbia, è proceduta trottando come la canzone, che finisce nel modo più brutto del mondo: non finisce, i suonatori continuano a suonare sempre meno convinti, l’inno diventa filastrocca: Gitalong, gitalong. Sì, d’accordo, la Morsa, ma bisogna pur sempre lavorare…
(Ora però posso dirlo: se ad antenna 1 in questi giorni non la smettevano di metter su pezzi dei Clash, io restavo senza occhi per piangere).

E adesso, che cosa faremo?
Gli levano il turbante, dicono: “chi è questo, un ebreo?”
Lavorano per la Morsa.
Metton su i manifesti con scritto: “Noi guadagniamo più di te!
Noi lavoriamo per la Morsa!
Convinceremo i giovani credenti
coi nostri discorsi contorti.
Alleneremo i nostri uomini dagli occhi azzurri
A credere soltanto in Te”
Il giudice ha detto “da cinque a dieci anni”,
gli ho risposto: “raddoppia pure.
Io non lavoro per la Morsa”.
Nessun uomo che abbia ancora un’anima
Può lavorare per la Morsa.
Tira calci al muro, il Governo può cadere,
come puoi negarlo?
Dà voce alla tua furia, la rabbia è il tuo potere,
non capisci che puoi usarla?
Le voci nella tua testa ti chiamano:
“Smetti di sprecare il tuo tempo, non si arriva a niente.
Solo un pazzo spererebbe nella tua salvezza.
Gli uomini in fabbrica sono vecchi ed esperti
Tu non ci devi niente, per cui, aria”
Sono gli anni migliori della tua vita, quelli che ti vogliono rubare...
...E allora cresci e ti dai una calmata
– ora lavori per la Morsa! –
Cominci a vestire in blu e grigio,
e lavori per la Morsa.
Ora hai qualcuno a cui dare ordini,
ti fa sentire grande, vero?
Ti lasci andare finché non cominci a molestarli…
Coraggio! Ammazzane uno, adesso!
Questi sono i giorni dei malvagi Presidenti,
che lavorano per la Morsa
ma prima o poi qualcuno pagherà per tutto questo,
per aver lavorato per la Morsa,
(ma, ah, campa cavallo…)
E non sto mica rivelando segreti.
Vedremo chi è il più fesso.
(Clash, Clampdown, 1979).
Postilla:
Ci sono dei motivi per cui ai suoi tempi non riuscivo a leggere un testo di Joe Strummer, e adesso sì.
Uno di questi motivi è che ho imparato un po’ d’inglese, ma neanche tanto in realtà. Strummer tutto sommato non usa parole molto difficili. Dylan usava parole difficili. Jim Morrison usava paroloni difficili. Tutta gente che riuscivo a capire. Joe Strummer no.
Intuivo solo una grande energia, che era rabbia e allegria assieme (mi è tornata in mente una recensione di London Calling: “sembra che canti per tutto il tempo con un ghigno”) e comunque mi bastava.
Ma se provavo a leggere i testi… un ebreo col turbante? Cosa significa? Cos’è, esattamente, questo Clampdown da cui bisogna stare attenti a non farsi assumere? Il Ragazzini dava: “stringere i freni nei confronti di, dare un giro di vite a q.”. Più tardi l’Oxford avrebbe precisato: “sudden policy of increased strictness in preventing or suppressing sth.”. Dunque alla fine sarebbe meglio tradurre “stretta”, o “giro di vite”. (Invece ho messo “La Morsa”, perché questo è il mio karaoke). E quegli uomini in fabbrica, devono qualcosa a qualcuno o è qualcuno che deve qualcosa a loro? Perché a un giudice che ti dice “5 a 10” gli rispondi “raddoppia”? Insomma, non poteva essere più chiaro Joe Strummer?
Ci sono dei motivi per cui non riuscivo a capire Joe Strummer, anche se intuivo che era bravo e aveva cose importanti da cantare. Un motivo credo fosse l’attualità. A Dylan non interessava troppo. A Jim Morrison, men che meno. Alla fine un ragazzino italiano a metà ’80 riesce comunque a trovarci delle cose. Ma Joe Strummer usava parole che non si trovavano ancora del tutto a loro agio nei dizionari, parole che nascevano sui tabloid dei drugstore, e ci avrei messo molto tempo prima di vederne uno. E poi Strummer rimase sempre, ferocemente, 1977. Anche nel 1979. E probabilmente già un paio di anni dopo stava diventando incomprensibile. Ma gitalong, diceva lui: campa cavallo.
Ci sono dei motivi per cui un pezzo scritto da Joe Strummer, nel 1979 diventa comprensibilissimo nel 2003, quasi '04, in Italia. Basta accendere la tv: scioperi dei trasporti, allevatori alla frutta. A un certo punto oggi davanti a un servizio mi è venuto spontaneo dire: “piovono pietre”. Per l’appunto. L’Italia del 2004 sembra l’Inghilterra del 1978. (Ma almeno loro prima erano un Impero). Di gente col turbante ce n’è fin che vuoi. E gente che è felice di guadagnare più di te e ci stampa anche i manifesti. E gente che a questo punto trova più dignità in prigione che fuori. Vecchi in fabbrica: sia che se ne debbano andare perché la fabbrica chiude, sia che debbano restare da vecchi perché Tremonti non li fa andare in pensione. La canzone funziona lo stesso. La canzone funziona talmente bene che fa piangere.
C’è un motivo, alla fine, per cui Joe Strummer ci manca, ancora più oggi che un anno fa. Ci manca perché a un certo punto ha creduto che la rabbia fosse potere, e che si sarebbe potuto usarla: e che il governo sarebbe caduto, e che qualcuno avrebbe pagato. Ci manca per quel momento, che è stato breve anche per lui. Perché alla fine, pare che avessero ragione “le voci nella testa”: non si arriva a niente, non ci si salva. La Storia se n’è fregata della sua rabbia, è proceduta trottando come la canzone, che finisce nel modo più brutto del mondo: non finisce, i suonatori continuano a suonare sempre meno convinti, l’inno diventa filastrocca: Gitalong, gitalong. Sì, d’accordo, la Morsa, ma bisogna pur sempre lavorare…
(Ora però posso dirlo: se ad antenna 1 in questi giorni non la smettevano di metter su pezzi dei Clash, io restavo senza occhi per piangere).
23-11-2003, 23:09karaoke esistenziale, musicaPermalink
("Ma tu sei Leonardo?"
"Sì").
Frammenti di Karaoke esistenziale, ciak! 6
Io credo a una maledizione:
mutarmi in un tuo nemico.
Sei un grande predatore dentro la mia testa,
che uccide solo per gioco.
Ma in questo sei mia complice:
la tua magia che muore,
la mia magia che muore.
In questo siamo complici,
ora che stringi solo un uomo immaginario:
Non sono immaginario
non sono immaginario
non sono immaginario
non sono immaginario.
Io credo sia superstizione,
ma il tuo destino mi usa
e rende ciò che amo, quando lo raggiungo,
come qualsiasi altra cosa.
Ma adesso siamo complici:
la mia magia che muore,
la tua magia che muore.
In questo siamo complici,
ora che stringi solo un uomo immaginario...
Non sono immaginario
non sono immaginario
non sono immaginario
non sono immaginario
Non sono immaginario
non sono immaginario
non sono immaginario
non sono immaginario.
(La canzone si intitola, in effetti, Non sono immaginario, Afterhours, 2002)
"Sì").
Frammenti di Karaoke esistenziale, ciak! 6
Io credo a una maledizione:
mutarmi in un tuo nemico.
Sei un grande predatore dentro la mia testa,
che uccide solo per gioco.
Ma in questo sei mia complice:
la tua magia che muore,
la mia magia che muore.
In questo siamo complici,
ora che stringi solo un uomo immaginario:
Non sono immaginario
non sono immaginario
non sono immaginario
non sono immaginario.
Io credo sia superstizione,
ma il tuo destino mi usa
e rende ciò che amo, quando lo raggiungo,
come qualsiasi altra cosa.
Ma adesso siamo complici:
la mia magia che muore,
la tua magia che muore.
In questo siamo complici,
ora che stringi solo un uomo immaginario...
Non sono immaginario
non sono immaginario
non sono immaginario
non sono immaginario
Non sono immaginario
non sono immaginario
non sono immaginario
non sono immaginario.
(La canzone si intitola, in effetti, Non sono immaginario, Afterhours, 2002)
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11-11-2003, 04:15karaoke esistenziale, musicaPermalink
Karaoke esistenziale, ciak! 5
La pecora di Panurge
Deve ancora metter le piume
La freccia che le trapasserà il fianco;
e nel suo cuore, nulla s’accende
quando lo cede ai suoi amanti.
Lei se ne ride, dei chiari di luna
dei fiori azzurri, del dolce languore
delle Veneri della vecchia scuola,
che facevano l’amore per amore;
delle Veneri della vecchia scuola,
che facevano l’amore per amore.
Ma non dovete credere allora
che abbia un qualche diavolo in corpo;
si ferma anzi al primo piano
il suo settimo cielo, ed è già tanto.
Non la troverai mai troppo languida
mentre passa il ponte dei sospiri,
e guarda come animali curiosi
quelle che fanno l’amore per il piacere.
E guarda come animali curiosi
quelle che fanno l’amore per il piacere
Non crediate poi che sia in vendita
perché qualcuno se la prende in spalla:
non per questo si è tenuti a farle
uno di quei regalini sontuosi…
Non è di quelle che, andando all’orgia
ti fanno subito il preventivo;
lei non ha nulla delle belle venali
che fanno l’amore per profitto.
Lei non ha nulla delle belle venali
che fanno l’amore per profitto.
Ma allora, perché si concede,
senza cuore, né piacere, né lucro?
Se l’amore non vale la candela,
perché lei se ne consuma?
Se qualcuno lo sa, senza indugi,
l’aiuti a levarsi il vestito…
È perché lei si tiene aggiornata,
perché va di moda, e lei è una snob.
È perché lei si tiene aggiornata,
perché va di moda, e lei è una snob.
Ma cambiando i costumi, e le donne,
chissà che un bel giorno al suo seno
non si vada a piantare, per caso,
una piccola freccia perduta:
e sarà il suo turno, allora
di andare a giocare, al chiaro di luna,
alla Venere vecchia scuola,
quella che faceva l’amore per amore
alla Venere vecchia scuola,
che faceva l’amore per amore.
Credevo che l'avesse scritta Brassens, invece è di Louis Aragon. Però.
La pecora di Panurge
Deve ancora metter le piume
La freccia che le trapasserà il fianco;
e nel suo cuore, nulla s’accende
quando lo cede ai suoi amanti.
Lei se ne ride, dei chiari di luna
dei fiori azzurri, del dolce languore
delle Veneri della vecchia scuola,
che facevano l’amore per amore;
delle Veneri della vecchia scuola,
che facevano l’amore per amore.
Ma non dovete credere allora
che abbia un qualche diavolo in corpo;
si ferma anzi al primo piano
il suo settimo cielo, ed è già tanto.
Non la troverai mai troppo languida
mentre passa il ponte dei sospiri,
e guarda come animali curiosi
quelle che fanno l’amore per il piacere.
E guarda come animali curiosi
quelle che fanno l’amore per il piacere
Non crediate poi che sia in vendita
perché qualcuno se la prende in spalla:
non per questo si è tenuti a farle
uno di quei regalini sontuosi…
Non è di quelle che, andando all’orgia
ti fanno subito il preventivo;
lei non ha nulla delle belle venali
che fanno l’amore per profitto.
Lei non ha nulla delle belle venali
che fanno l’amore per profitto.
Ma allora, perché si concede,
senza cuore, né piacere, né lucro?
Se l’amore non vale la candela,
perché lei se ne consuma?
Se qualcuno lo sa, senza indugi,
l’aiuti a levarsi il vestito…
È perché lei si tiene aggiornata,
perché va di moda, e lei è una snob.
È perché lei si tiene aggiornata,
perché va di moda, e lei è una snob.

Ma cambiando i costumi, e le donne,
chissà che un bel giorno al suo seno
non si vada a piantare, per caso,
una piccola freccia perduta:
e sarà il suo turno, allora
di andare a giocare, al chiaro di luna,
alla Venere vecchia scuola,
quella che faceva l’amore per amore
alla Venere vecchia scuola,
che faceva l’amore per amore.
Credevo che l'avesse scritta Brassens, invece è di Louis Aragon. Però.
04-11-2003, 01:04karaoke esistenziale, musicaPermalink
Buon quattro novembre a tutti.
Karaoke esistenziale, ciak! 4
La java des bombes atomiques, di Boris Vian.
(Ma qui purtroppo nella dimenticabile versione italiana di Eddie Fiap (mp3)):
Mio zio, esperto in bricolage,
faceva nel garage
la bomba nucleare;
di atomi, capiva un’acca:
era un autodidatta,
amava improvvisare.
Tutto il giorno in quei due scarsi
metri quadri, a farsi
i suoi esperimenti…
…ma la sera, assai contento,
s’invitava a cena
e ci dicea così:
“Per fabbricar la Bomba, gente,
non ci vuole niente,
non son mica un mago:
prendi del plutonio,
aggiungi un po’ d’uranio,
e fissi forte, con lo spago!
E il detonatore
è affar di un quarto d’ora,
ma una cosa mi tormenta:
quella di mia costruzione
ha un raggio d’azione
di un metro e novanta!
C’è qualcosa che non va…
tornerò subito là!”.
E giorno dopo giorno
si dava d’attorno
a migliorare il suo prototipo;
poi a cena, quatto quatto,
ci vuotava il piatto,
tetro, e assai laconico.
Era chiaro quanto amaro
fosse il suo sconforto,
ma nessun fiatò,
finché un giorno disse: Basta!”,
si picchiò la testa
e così continuò:
“Mio Dio, che deficiente,
insomma, ma è evidente,
è il mio cervello che è un catorcio!
Che dico, siam sinceri, quello
non è più un cervello,
è un cavolo marcio!
Mesi e mesi
inutilmente spesi
a preoccuparsi del raggio d’azione,
quando quel che solo importa
è chiudere la porta
in caso di esplosione!
Ecco quello che non va!
Torno immantinente là”.
Curioso del suo risultato
Il Capo di Stato
volle fargli visita:
tutto emozionato
mio zio si è scusato
che la stanza fosse piccola,
poi lo ha chiuso dentro a chiave,
ha detto: “Faccia il bravo!”
e si è spostato un po’…
… ci fu un gran boato,
e del Capo di Stato
non un atomo restò!
Venne incarcerato,
e tosto processato,
e in questo modo si difese:
“Distruggendo quell’orrore,
sul mio onore,
ho ben servito il mio Paese!
Quanto al Presidente
che malauguratamente
stava nella stanza…
è morto per la Patria,
e chi muor per la Patria
è vissuto anche abbastanza!”
Il popolo ci penso un po’,
e poi lo condannò,
e subito amnistiò,
ed ebbro di felicità
lo elesse Presidente
all’unanimità!

La java des bombes atomiques, di Boris Vian.
(Ma qui purtroppo nella dimenticabile versione italiana di Eddie Fiap (mp3)):
Mio zio, esperto in bricolage,
faceva nel garage
la bomba nucleare;
di atomi, capiva un’acca:
era un autodidatta,
amava improvvisare.
Tutto il giorno in quei due scarsi
metri quadri, a farsi
i suoi esperimenti…
…ma la sera, assai contento,
s’invitava a cena
e ci dicea così:
“Per fabbricar la Bomba, gente,
non ci vuole niente,
non son mica un mago:
prendi del plutonio,
aggiungi un po’ d’uranio,
e fissi forte, con lo spago!
E il detonatore
è affar di un quarto d’ora,
ma una cosa mi tormenta:
quella di mia costruzione
ha un raggio d’azione
di un metro e novanta!
C’è qualcosa che non va…
tornerò subito là!”.
E giorno dopo giorno
si dava d’attorno
a migliorare il suo prototipo;
poi a cena, quatto quatto,
ci vuotava il piatto,
tetro, e assai laconico.
Era chiaro quanto amaro
fosse il suo sconforto,
ma nessun fiatò,
finché un giorno disse: Basta!”,
si picchiò la testa
e così continuò:
“Mio Dio, che deficiente,
insomma, ma è evidente,
è il mio cervello che è un catorcio!
Che dico, siam sinceri, quello
non è più un cervello,
è un cavolo marcio!
Mesi e mesi
inutilmente spesi
a preoccuparsi del raggio d’azione,
quando quel che solo importa
è chiudere la porta
in caso di esplosione!
Ecco quello che non va!
Torno immantinente là”.
Curioso del suo risultato
Il Capo di Stato
volle fargli visita:
tutto emozionato
mio zio si è scusato
che la stanza fosse piccola,
poi lo ha chiuso dentro a chiave,
ha detto: “Faccia il bravo!”
e si è spostato un po’…
… ci fu un gran boato,
e del Capo di Stato
non un atomo restò!
Venne incarcerato,
e tosto processato,
e in questo modo si difese:
“Distruggendo quell’orrore,
sul mio onore,
ho ben servito il mio Paese!
Quanto al Presidente
che malauguratamente
stava nella stanza…
è morto per la Patria,
e chi muor per la Patria
è vissuto anche abbastanza!”
Il popolo ci penso un po’,
e poi lo condannò,
e subito amnistiò,
ed ebbro di felicità
lo elesse Presidente
all’unanimità!
21-10-2003, 22:44karaoke esistenziale, Lomas, musicaPermalink
Karaoke Esistenziale, ciak! 3.
Redshift: (It. “spostamento sul rosso”: “l’effetto Doppler ottico è utilizzato in astronomia nello studio di stelle binarie spettroscopiche e nella determinazione della velocità radiale di corpi celesti e di porzioni di materia cosmica, mediante la misurazione dello spostamento verso il rosso (red shift) delle righe dello spettro da questi emesso”. È una prova empirica dell’espansione dell’universo, forse).
È anche una bella canzone dei Lomas:
Ero piccolo e ho chiesto al mio parroco
lumi sull’origine dell’universo:
sapeva tutto! Era solo incerto
sulla data esatta,
e che l’ha fatto Dio,
che era tutto suo,
e neanche un po’ mio.
E anche un po’ dell’aldilà…
Ma ho chiesto a un comunista e m’ha detto: “Basta!
L’universo è sempre esistito,
i pianeti che girano sono di tutti,
la teologia è soltanto un mito,
i pianeti in cui vivono tutti i popoli della galassia
senza la gravità e privi di attrito,
infiniti operai dello spazio infinito…”
Redshift! E la tua vita si sposta sul rosso!
È il cosmo che resta infinito,
mentre tu muori senza averlo capito!
Redshift! Redshift!
[coro:] "Basta!
L’universo è sempre esistito,
i pianeti che girano sono di tutti!
La teologia è soltanto un mito,
E… tutti i popoli che girano in tutti i pianeti della galassia
Senza la gravità e privi di attrito,
infiniti operai dello spazio infinito…"
Telescopi giganti per scrutare le vicissitudini
di un universo esplorato coi razzi,
ma i misteri del cosmo creano imbarazzi…
Redshift!
Redshift! E la tua vita si sposta sul rosso!
È il cosmo che resta infinito,
mentre tu muori senza averlo capito, vai in Redshift! Redshift!
[più piano, adesso:]
Essere umano che conquisti tutto,
mentre ogni cosa si allontana da te
Ci vuoi spiegare i segreti del cosmo,
ma forse ogni cosa si spiega da sola,
si spiega da sé:
l’universo ti vede passare
per pochi istanti,
tu cerchi un motivo,
e forse non c’è.
In questo mondo tutto è già di qualcuno,
non hai niente se non puoi pagare
se non lo puoi difendere armato…
attorno al mondo redshift totale,
(perché perdo sempre, se non sono più forte di te?)
allontanatevi, stelle e pianeti, da me.
Astronauta, hai conquistato la luna,
ci hai piantato sopra la tua bandiera:
ce ne son troppe già sulla terra,
in un mondo che ti priva di tutto, bandiere
e di guerra in posti lontani,
e saran tuoi domani, perché
tu invadi lo spazio, però
stai lontano da me
[ancora più piano, repeat and fade:]
La tua bandiera non piantarla mai su un pianeta,
troppe nel mondo ce n’è:
Io non ho bandiere da piantare,
ma un universo da guardare,
che si allontana ogni giorno più da me...
(Redshift, Lomas, 1998. Dedicata al taikonauta Yang Liwei: La tua bandiera,
non piantarla mai su un pianeta,
troppe nel mondo ce n’è:
Io non ho bandiere da piantare,
ma un universo da guardare,
che si allontana ogni giorno più da me).
Redshift: (It. “spostamento sul rosso”: “l’effetto Doppler ottico è utilizzato in astronomia nello studio di stelle binarie spettroscopiche e nella determinazione della velocità radiale di corpi celesti e di porzioni di materia cosmica, mediante la misurazione dello spostamento verso il rosso (red shift) delle righe dello spettro da questi emesso”. È una prova empirica dell’espansione dell’universo, forse).
È anche una bella canzone dei Lomas:

lumi sull’origine dell’universo:
sapeva tutto! Era solo incerto
sulla data esatta,
e che l’ha fatto Dio,
che era tutto suo,
e neanche un po’ mio.
E anche un po’ dell’aldilà…
Ma ho chiesto a un comunista e m’ha detto: “Basta!
L’universo è sempre esistito,
i pianeti che girano sono di tutti,
la teologia è soltanto un mito,
i pianeti in cui vivono tutti i popoli della galassia
senza la gravità e privi di attrito,
infiniti operai dello spazio infinito…”
Redshift! E la tua vita si sposta sul rosso!
È il cosmo che resta infinito,
mentre tu muori senza averlo capito!
Redshift! Redshift!
[coro:] "Basta!
L’universo è sempre esistito,
i pianeti che girano sono di tutti!
La teologia è soltanto un mito,
E… tutti i popoli che girano in tutti i pianeti della galassia
Senza la gravità e privi di attrito,
infiniti operai dello spazio infinito…"
Telescopi giganti per scrutare le vicissitudini
di un universo esplorato coi razzi,
ma i misteri del cosmo creano imbarazzi…
Redshift!
Redshift! E la tua vita si sposta sul rosso!
È il cosmo che resta infinito,
mentre tu muori senza averlo capito, vai in Redshift! Redshift!
[più piano, adesso:]
Essere umano che conquisti tutto,
mentre ogni cosa si allontana da te
Ci vuoi spiegare i segreti del cosmo,
ma forse ogni cosa si spiega da sola,
si spiega da sé:
l’universo ti vede passare
per pochi istanti,
tu cerchi un motivo,
e forse non c’è.
In questo mondo tutto è già di qualcuno,
non hai niente se non puoi pagare
se non lo puoi difendere armato…
attorno al mondo redshift totale,
(perché perdo sempre, se non sono più forte di te?)
allontanatevi, stelle e pianeti, da me.
Astronauta, hai conquistato la luna,
ci hai piantato sopra la tua bandiera:
ce ne son troppe già sulla terra,
in un mondo che ti priva di tutto, bandiere
e di guerra in posti lontani,
e saran tuoi domani, perché
tu invadi lo spazio, però
stai lontano da me
[ancora più piano, repeat and fade:]
La tua bandiera non piantarla mai su un pianeta,
troppe nel mondo ce n’è:
Io non ho bandiere da piantare,
ma un universo da guardare,
che si allontana ogni giorno più da me...
(Redshift, Lomas, 1998. Dedicata al taikonauta Yang Liwei: La tua bandiera,
non piantarla mai su un pianeta,
troppe nel mondo ce n’è:
Io non ho bandiere da piantare,
ma un universo da guardare,
che si allontana ogni giorno più da me).
03-10-2003, 02:53karaoke esistenziale, musicaPermalink
Frammenti di karaoke esistenziale, ciack! 2
A tratti percepisco, tra indistinto brusio, particolari in chiaro, di chiara luce splendidi… dettagli minimali in primo piano (più forti del dovuto) e adesso so:
come fare e non fare,
quando, dove, perché
e ricordando che
tutto va come va
(non va
non va
non va
non va).
Nell’occhio inconsapevole di un cucciolo animale, archivio vivente della terra, un battito di ciglia sonnolente racchiude un’esistenza:
spazio determinato, costretto, dilatabile;
spazio determinato, costretto, dilatabile,
m’incanta:
chi c’è c’è e chi non c’è non c’è
chi c’è c’è e chi non c’è non c’è:
in toghe svolazzanti e lunghe tonache,
divise d’ordinanza, tute folgoranti
in fogge sempre nuove, innumerevoli colori,
in abiti eleganti
con la camicia bianca
con la cravatta blu
chi è stato è stato e chi è stato non è
chi c’è c’è e chi non c’è non c’è.
Consumati gli anni miei,
vistosi movimenti sulla terra:
grandiosi, necessari
futili, patetici…
(Come fare non fare,
quando dove perché
e ricordando che
tutto va come va
ma non va
non va
non va)
Non fare di me un idolo, mi brucerò,
se divento un megafono m’incepperò.
Cosa fare e non fare non lo so;
quando, dove, perché
riguarda solo me
io so solo che tutto va ma non va
non va
non va
non va
non va,
sono un povero stupido, so solo che
chi è stato è stato e chi è stato non è
chi c’è c’è e chi non c’è non c’è
chi c’è c’è e chi non c’è non c’è
chi è stato è stato e chi è stato non è
se tu pensi di fare di me un idolo,
lo brucerò,
trasformami in megafono:
m’incepperò.
Cosa fare e non fare, non-lo-so,
quando, dove, perché,
riguarda solo me
io so solo che tutto va,
ma non va
non va
non va
Giovanni Lindo Ferretti, 1993
A tratti percepisco, tra indistinto brusio, particolari in chiaro, di chiara luce splendidi… dettagli minimali in primo piano (più forti del dovuto) e adesso so:
come fare e non fare,
quando, dove, perché
e ricordando che
tutto va come va
(non va
non va
non va
non va).
Nell’occhio inconsapevole di un cucciolo animale, archivio vivente della terra, un battito di ciglia sonnolente racchiude un’esistenza:
spazio determinato, costretto, dilatabile;
spazio determinato, costretto, dilatabile,

chi c’è c’è e chi non c’è non c’è
chi c’è c’è e chi non c’è non c’è:
in toghe svolazzanti e lunghe tonache,
divise d’ordinanza, tute folgoranti
in fogge sempre nuove, innumerevoli colori,
in abiti eleganti
con la camicia bianca
con la cravatta blu
chi è stato è stato e chi è stato non è
chi c’è c’è e chi non c’è non c’è.
Consumati gli anni miei,
vistosi movimenti sulla terra:
grandiosi, necessari
futili, patetici…
(Come fare non fare,
quando dove perché
e ricordando che
tutto va come va
ma non va
non va
non va)
Non fare di me un idolo, mi brucerò,
se divento un megafono m’incepperò.
Cosa fare e non fare non lo so;
quando, dove, perché
riguarda solo me
io so solo che tutto va ma non va
non va
non va
non va
non va,
sono un povero stupido, so solo che
chi è stato è stato e chi è stato non è
chi c’è c’è e chi non c’è non c’è
chi c’è c’è e chi non c’è non c’è
chi è stato è stato e chi è stato non è
se tu pensi di fare di me un idolo,
lo brucerò,
trasformami in megafono:
m’incepperò.
Cosa fare e non fare, non-lo-so,
quando, dove, perché,
riguarda solo me
io so solo che tutto va,
ma non va
non va
non va
Giovanni Lindo Ferretti, 1993
26-09-2003, 02:27karaoke esistenziale, musicaPermalink
Karaoke esistenziale, ciack! 1.
Io che non sono l’imperatore
io che non scendo a patti con te
io che fui espulso da tutte le scuole
pretendo il meglio di quello che c’è
La posta in gioco non vale la pena
ho fatto i conti e non tornano mai
ho fatto pure la prova del nove
e intanto nuoto in un mare di guai
I conti in banca li han fatti saltare
tutti in soffitta a pregare per tre
chi ha visto il piano regolatore
ha detto: “Bravo!”, ma ride di me
Sperequazioni tra lazzi privati
io sono il primo col pollice in giù
ma chi mi dice che è tutta una scena
e poi sono quello che imbroglia di più
Chi mi assicura che a un dato momento
scendo dal treno e ti dico di no
muovo gli scacchi a seconda del vento
non in funzione di quello che so
I capotasti li ho tutti provati
il tempo toglie più di quello che dà
sono a tre quarti e c’ho l’acqua alla gola
quell’altro quarto chissà che sarà
Quell’altro quarto mi spacca la mente
è un razzo bianco, son meglio di noi
fanno paura ai preti e alla gente
scappa al segnale, scappa! Più forte che puoi
Sono sicuro che c’era qualcuno
ho fatto carte false per te
ho già tentato anche un colpo di mano
ma qui il motto è: Ognuno per sé
A cosa serve un amico pompiere
di punto in bianco mi parli col tu
hai visto giusto, era un vecchio marpione:
salamelecchi, ma niente di più
Meglio lavarsi con acqua salata
se non ti basta l’affetto che dai
se i presupposti da cui sei partito
sono crollati per quello che fai
Se fossi certo del libero arbitrio
se fosse inverno e lei stesse già qui
se gli altri in coro facessero scudo
eviterei di parlare così
Se mi arrabatto a parlare latino
non è questione d’ingenuità
non sono certo che porti fortuna,
non sono certo – ma tanto che fa
Tanto il concetto non cambia colori
tanto il postino direbbe di no
e se bastasse soltanto una vita
e se bastasse soltanto una vita
sarei contento,
per quello che ho.
Edoardo Bennato, 1975.

Io che non sono l’imperatore
io che non scendo a patti con te
io che fui espulso da tutte le scuole
pretendo il meglio di quello che c’è
La posta in gioco non vale la pena
ho fatto i conti e non tornano mai
ho fatto pure la prova del nove
e intanto nuoto in un mare di guai
I conti in banca li han fatti saltare
tutti in soffitta a pregare per tre
chi ha visto il piano regolatore
ha detto: “Bravo!”, ma ride di me
Sperequazioni tra lazzi privati
io sono il primo col pollice in giù
ma chi mi dice che è tutta una scena
e poi sono quello che imbroglia di più
Chi mi assicura che a un dato momento
scendo dal treno e ti dico di no
muovo gli scacchi a seconda del vento
non in funzione di quello che so
I capotasti li ho tutti provati
il tempo toglie più di quello che dà
sono a tre quarti e c’ho l’acqua alla gola
quell’altro quarto chissà che sarà
Quell’altro quarto mi spacca la mente
è un razzo bianco, son meglio di noi
fanno paura ai preti e alla gente
scappa al segnale, scappa! Più forte che puoi
Sono sicuro che c’era qualcuno
ho fatto carte false per te
ho già tentato anche un colpo di mano
ma qui il motto è: Ognuno per sé
A cosa serve un amico pompiere
di punto in bianco mi parli col tu
hai visto giusto, era un vecchio marpione:
salamelecchi, ma niente di più
Meglio lavarsi con acqua salata
se non ti basta l’affetto che dai
se i presupposti da cui sei partito
sono crollati per quello che fai
Se fossi certo del libero arbitrio
se fosse inverno e lei stesse già qui
se gli altri in coro facessero scudo
eviterei di parlare così
Se mi arrabatto a parlare latino
non è questione d’ingenuità
non sono certo che porti fortuna,
non sono certo – ma tanto che fa
Tanto il concetto non cambia colori
tanto il postino direbbe di no
e se bastasse soltanto una vita
e se bastasse soltanto una vita
sarei contento,
per quello che ho.
Edoardo Bennato, 1975.
02-01-2003, 18:46anniversari, cantautori, coccodrilli, fioretti dell'anno nuovo, Gaber, karaoke esistenziale, maestri di vita, società dell'avanspettacoloPermalink
Maestri di vita (4) – Giorgio Gaber (1939-2003)
Margherita,
lo sai che tu sei tutta la mia vita?
Lo sai che ormai il mio cuore ti appartiene?
Ti voglio tanto bene, e invece tu…
E oggi un anno nuovo ci regala il calendario
si accendono le luci e si tira su il sipario
ognuno fa la sua parte e incomincia il blablabla
alla moda
alla moda
alla moda del varietà
E alle 8 e mezza mi presento puntuale
lavoro tutto il giorno e non mi trattano mica male
si spera nell'aumento che la vita risolverà
alla moda
alla moda
alla moda del varietà
Margherita,
lo sai che tu sei tutta la mia vita?
Lo sai che ormai il mio cuore ti appartiene?
Ti voglio tanto bene…
…e invece tu mi guardi storto
e mi dici una parolaccia
poi mi carichi a corpo morto
e mi tiri due pugni in faccia
ahi ahi ahi ahi
Se io non so di un fatto la versione originale
ci sono i quotidiani, c'è la radio e il telegiornale
mi basta seguire un momento e ho già chiara la verità
alla moda
alla moda
alla moda del varietà
non può risolver tutto neanche la democrazia
ma è l'unico strumento che ci dà una garanzia
viviamo finalmente con una certa dignità
alla moda
alla moda
alla moda del varietà
Margherita,
lo sai che tu sei tutta la mia vita?
Lo sai che ormai il mio cuore ti appartiene?
Ti voglio tanto bene…
…e invece tu non sei clemente
e mi picchi in un ginocchio
io mi piego perché sofferente
tu mi morsichi in un orecchio
ahi ahi ahi ahi
a scuola ai buoni un premio, ai cattivi la punizione
ma in seguito nella vita è meno chiara la divisione
si parla di giustizia, di uguaglianza e blablabla
alla moda
alla moda
alla moda del varietà
e quando sarò morto mi faranno il funerale
per una volta ancora sarò l'interprete principale
finita la triste funzione poi la vita continuerà
alla moda
alla moda
alla moda del varietà
(A la moda del varietà, 196?)
Un buon proposito per il 2003 potrebbe essere: basta coccodrilli, almeno per un po', eh?

Margherita,
lo sai che tu sei tutta la mia vita?
Lo sai che ormai il mio cuore ti appartiene?
Ti voglio tanto bene, e invece tu…
E oggi un anno nuovo ci regala il calendario
si accendono le luci e si tira su il sipario
ognuno fa la sua parte e incomincia il blablabla
alla moda
alla moda
alla moda del varietà
E alle 8 e mezza mi presento puntuale
lavoro tutto il giorno e non mi trattano mica male
si spera nell'aumento che la vita risolverà
alla moda
alla moda
alla moda del varietà
Margherita,
lo sai che tu sei tutta la mia vita?
Lo sai che ormai il mio cuore ti appartiene?
Ti voglio tanto bene…
…e invece tu mi guardi storto
e mi dici una parolaccia
poi mi carichi a corpo morto
e mi tiri due pugni in faccia
ahi ahi ahi ahi
Se io non so di un fatto la versione originale
ci sono i quotidiani, c'è la radio e il telegiornale
mi basta seguire un momento e ho già chiara la verità
alla moda
alla moda
alla moda del varietà
non può risolver tutto neanche la democrazia
ma è l'unico strumento che ci dà una garanzia
viviamo finalmente con una certa dignità
alla moda
alla moda
alla moda del varietà
Margherita,
lo sai che tu sei tutta la mia vita?
Lo sai che ormai il mio cuore ti appartiene?
Ti voglio tanto bene…
…e invece tu non sei clemente
e mi picchi in un ginocchio
io mi piego perché sofferente
tu mi morsichi in un orecchio
ahi ahi ahi ahi
a scuola ai buoni un premio, ai cattivi la punizione
ma in seguito nella vita è meno chiara la divisione
si parla di giustizia, di uguaglianza e blablabla
alla moda
alla moda
alla moda del varietà
e quando sarò morto mi faranno il funerale
per una volta ancora sarò l'interprete principale
finita la triste funzione poi la vita continuerà
alla moda
alla moda
alla moda del varietà
(A la moda del varietà, 196?)
Un buon proposito per il 2003 potrebbe essere: basta coccodrilli, almeno per un po', eh?
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