La Card di Lodoli, la sconfitta di Baricco
23-05-2015, 16:581500 caratteri, cultura, Renzi, scuolaPermalinkMi spiace che alla corte di Renzi abbia vinto lui e perso Baricco, pur così applaudito alla Leopolda. Non per il valore letterario, ma perché B. vedeva il problema in modo diametralmente opposto, e un giorno osò scriverlo: basta aiuti al teatro, investiamo tutto nella scuola e nella tv. Inutile foraggiare prodotti culturali di nicchia, se a scuola alleviamo analfabeti; il teatro rinascerà quando e se scuola e tv produrranno cittadini in grado di apprezzarlo. Mi pareva l’unica proposta logica, ma alla Leopolda Baricco non la portò (non ne ebbe il coraggio?) Ha vinto il modello-Lodoli, che insiste a vedere nella classe docente non un insieme di lavoratori che deve adeguarsi a determinati standard professionali, bensì una casta intellettuale che celebra la propria identità andando a teatro, leggendo libri: “cultura”, insomma in senso antropologico.
"In bagno non c'è carta" "Usate la card".
23-05-2015, 02:031500 caratteri, italianisticaPermalinkCasomai v'avanzasse qualche euro sulla card |
Quanto a pedagogia e didattica, son parole complicate e Lodoli è sospettoso davanti a nomi strani; ad esempio “dispersione scolastica” è difficile, la gente nn capisce, bisogna semplificare, e semplificando si arriva a “Buona scuola”, il contrario di scuola-no-buona. La scuola da cui rincasando, in luogo di recitare il trito ruolo di prof disillusi, i colleghi dovrebbero rinfrancarsi andando a teatro, o leggendo libri nuovi. Insomma la proposta dello scrittore italiano contemporaneo è: comprare più romanzi contemporanei. Un collega replica che avrebbe preferito pagare le bollette. Lodoli nn risponde.
Sono grato a Lodoli, perché dimostra che non è una cieca avversione a Renzi a rendermi indigesta la riforma: ricordo infatti di aver sentito parlare di una card del genere tantissimi anni fa, proprio in un’intervista a Lodoli; e ricordo che già allora mi pareva una stronzata, da Marie Antoniette della cultura: non c’è più carta nei bagni? Si arrangino con gli ultimi romanzi.
Il drago italiano è + buono, + sano
22-05-2015, 01:0521tw, cinema, Cosa vedere a Cuneo (e provincia) quando sei vivo, fb2020, italianisticaPermalinkMangia solo drago italiano. |
C'era una volta un regista, seduto su un sofà, che non sapeva più che storia raccontare. Le conosco tutte, ahimè! diceva. Se solo potessi tornare bambino e rivederle con l'occhio di chi è appena venuto al mondo. Io so che c'è ancora quel bambino dentro me, ma non so da che parte tagliare per farlo venir fuori. E piangeva, e strepitava, e prometteva la luna e le stelle al mago che avesse saputo levare quel bambino da lui, scorticandolo se necessario. Finché un giorno non si presentò un signore magro magro, lungo lungo, con un vecchio libro polveroso, e gli disse: sfoglia qui, da qualche parte c'è il rimedio che tu cerchi.
"Ma è napoletano, non si capisce niente".
"Fatti scrivere un riassunto"
Del Racconto dei racconti avevo visto due trailer. Uno prima di Mia madre: sembrava una cosa tra Dune e Alien. Il secondo l'ho visto prima degli Avengers: sembrava Fantaghirò. A quel punto la mia naturale ritrosia per i draghi era stata vinta dalla curiosità: sarebbe riuscito Garrone a camminare su un filo tra due sponde tanto distanti? E da quale parte avrebbe sbandato più spesso? La risposto l'ho avuta dopo un paio di minuti di film: quando al termine di una fuga tra stupendi corridoi, un attore meravigliosamente agghindato da re ha aperto bocca e ha detto una cosa del tipo: "Farei qualsiasi cosa per farti felice".
Farei qualsiasi cosa per farti felice.
Era na vota no cierto re de Longa Pergola, chiammato Iannone, lo quale, avenno gran desederio de avere figlie, faceva pregare sempre li dei che facessero 'ntorzare la panza a la mogliere; e, perché se movessero a darele sto contiento, era tanto caritativo de li pellegrine, che le dava pe fi' a le visole. Ma vedenno all'utemo che le cose ievano a luongo e non c'era termene de 'ncriare na sporchia, serraie la porta a martiello e tirava de valestra a chi 'nce accostava.
Però bisogna avere perso il cuore da qualche parte nella foresta, e aver riempito il buco con un riccio di castagna, per parlar male del Racconto dei racconti; e di un regista che invece di oziare a palazzo raccontando per altri dodici film storie di mala e di uomini contemporanei psicotici e infelici, bevendosi la stima di villici e cortigiani, monta a cavallo ed esce nel bosco. È sicuro che si perderà; che non sarà all'altezza dei mostri che evoca; che maghi e criticoni non saranno necessariamente dalla sua parte; ma perdio, è un giovane cavaliere coraggioso, come si fa a volergli male? Ed è un coraggio di cui tutti abbiamo bisogno; non è la sventatezza criminale di chi senza cultura fumettistica decide di punto in bianco di inventarsi un supereroe italiano, una cosa che se non è mai esistita un motivo ci sarà. È l'audacia di chi ha un tesoro da parte, e deve soltanto trovare il modo di metterlo a frutto. Chi ha mai deciso che il cinema italiano debba ridursi a commedie di quarantenni e drammi su sessantenni che imprevedibilmente invecchiano? Mentre i nostri ragazzi, in tv e al cinema, si consegnano senza fiatare ai mostri e alle fate venuti da lontano? Non abbiamo mostri noi, solo nonni e genitori in tinello?
Altroché se li abbiamo. Abbiamo gli orchi DOP e abbiamo le fate originali. Pure Cenerentola è cosa nostra, salvo che la nostra spezzava la noce del collo a una matrigna col coperchio d'una cassapanca, altro che topolini e cinguettii. Sepolto sotto tonnellate di melassa industriale c'è un mondo di mostri e magia e crudeltà che mozzano il fiato, una vena più barocca che gotica, ma è comunque sangue buono. Basta scavare, e non avere paura - non averne troppa. Le stelle sono favorevoli: in tv i draghi vanno forte anche presso il pubblico esigente; al cinema Hollywood propone fate e principesse a spron battente, problematizzate e modernizzate quanto basta per metter d'accordo le sorelle pre e postpuberi. Se a questa gente riuscissimo a confezionare un film di fiabe, attenzione, non un fantasy che non è roba nostra: un vero film di fiabe violente e senza consolazione, forse attireremmo l'attenzione di chi mangia pizze surgelate da una vita e non ha mai annusato l'origano su una focaccia appena levata da un forno a legna. Con l'industria non potremo mai rivaleggiare, ma se riusciamo a raccontare a tutto il mondo che siamo gli Artigiani originali, siamo l'Eccellenza, insomma la vecchia fiaba del Made in Italy, forse, forse (continua su +eventi...)
S’erano raccorete drinto a no giardino dove avea l’affacciata lo re de Rocca Forte doi vecchiarelle, ch’erano lo reassunto de le desgrazie, lo protacuollo de li scurce, lo libro maggiore de la bruttezza. Le quale avevano le zervole scigliate e ’ngrifate, la fronte ’ncrespata e vrognolosa, le ciglia storcigliate e restolose, le parpetole chiantute ed a pennericolo, l’uocchie guize e scalcagnate, la faccie gialloteca ed arrappata, la vocca squacquarata e storcellata e, ’nsomma, la varvea d’annecchia, lo pietto peluso, le spalle co la contrapanzetta, le braccia arronchiate, le gamme sciancate e scioffate e li piede a crocco…
E magari funzionerà. Io lo spero tanto che funzioni, perché l’idea era quella giusta al momento giusto: e il rischio di sbagliare altissimo, anzi neppure un rischio era, una certezza: Garrone e i suoi secondi si sono messi in strada sapendo che l’unica speranza era trovare per strada un tesoro, un mago, una strega che premiasse il loro buon cuore. Ma è gente che vuole qualcosa in cambio, chi bazzica le fiabe vere lo fa. Nessuna zucca ti si fa carrozza gratis; puoi avere un miracolo, ma devi sacrificare qualcosa. Era inevitabile che a farne le spese fosse il testo originale, Lo cunto de li cunti, che oltre a essere la prima raccolta di fiabe di valore letterario, è una straordinario, caotico dizionario di napoletano cortese e popolano. Garrone, in altri casi tanto rispettoso per le forme del vernacolo, forse timoroso che i dialoghi troppo coloriti distraessero l’attenzione dalla fotografia e dagli effetti speciali, non ha avuto pietà: ha fatto scorticare lo Cunto finché dalle spoglie sanguinanti del Tratteniemento de peccerille non è uscito The Tale of Tales: un montaggio di tre fiabe senza tempo e senza luogo, e soprattutto senza dialetto.
Vladimir Propp magari approverebbe: in fondo, a saperle sfogliare, tutte le fiabe sono uguali. Sì, ma all’omologazione, alla globalizzazione, alla riduzione della fiaba in hamburger buono per ogni palato, c’è arrivata già Hollywood: The Tale of Tales è un prodotto artigianale che nella comprensibile ansia di piacere a più bocche possibile, elimina una delle spezie più importanti, lasciando nello spettatore un certo senso di vuoto; è un libro illustrato meraviglioso e a tratti spaventevole, che ricorda davvero Alien o Dune, ma coi dialoghi di Fantaghirò. È un film che dimostra per contrasto – se ce ne fosse bisogno – l’astuzia messa in campo da Pasolini nella trilogia della vita: quando si tratta di fiabe e novelle, un attore dilettante a un passo dal mettersi a ridere può rendere più servizio di un attore professionista che si ingegni di dare peso e verosimiglianza a dialoghi assurdi. C’è un momento del film in cui un re cerca di convincere la figlia dell’ineluttabilità delle sue nozze con un orco. Una scena così grottesca non si può recitare come un qualsiasi diverbio tra padre e figlia; e non basta il panorama unico al mondo di Castel del Monte per creare lo straniamento necessario. Una lingua un po’ più fiorita, un po’ più distante dall’uso, avrebbe attenuato l’effetto Raifiction. Non era evidentemente la priorità di regista e produttori.
«Dove, dove te nascunne, gioiello, sfuorgio, isce bello de lo munno? Iesce, iesce sole, scagliente ’mparatore! Scuopre sse belle grazie, mostra sse locernelle de la poteca d’Ammore, caccia ssa catarozzola, banco accorzato de li contante de la bellezza! Non essere accossì scarzogna de la vista toia! Apre le porte a povero farcone! Famme la ’nferta si me la vuoi fare! Lassame vedere lo stromiento da dove esce ssa bella voce! Fà che vea la campana da la quale se forma lo ’ntinno! Famme pigliare na vista de ss’auciello! Non consentire che, pecora de Ponto, me pasca de nascienzo co negareme lo mirare e contemprare ssa bellezzetudene cosa!».
Il Racconto dei racconti finisce per confermare un terribile sospetto sui limiti del cinema italiano contemporaneo. Non sono gli effetti speciali – lì ci difendiamo ancora tutto sommato. Non è sicuramente la fotografia. L’unica vera zavorra del Racconto – e di tanti altri film italiani di ogni genere – è la scrittura. Proprio quella cosa che non richiede budget stratosferici; quello che dovrebbe fare la differenza tra un prodotto di massa globalizzato e un prodotto artigianale e di qualità. In teoria dovremmo essere più bravi a scrivere dialoghi che ad animare dei draghi. Se avviene il contrario – e nel Racconto avviene il contrario – secondo me siamo nei guai.
Il racconto dei racconti è al Cityplex di Alba (21:00); al Cinelandia di Borgo S. Dalmazzo (20:00, 22:45); all’Impero di Bra (22:30); al Fiamma di Cuneo (21:00)
Un'altra #croce, un altro #bluff
21-05-2015, 10:001500 caratteri, aborto, cristianesimo, giornalisti, omofobiePermalinkLa scuola competitiva, nel caso anche un po' islamica
20-05-2015, 17:451500 caratteri, scuolaPermalinkTu potresti anche obiettare che alcuni dei “troppi” sono italiani a tutti gli effetti, e arrivano con ottimi voti. Sì ma il genitore che guarda il tabellone mica lo sa, è irrazionale, siamo stati tutti genitori e lo sappiamo, hai paura di tutto, figurati di un cognome che comincia per X o Y. E quindi? Mica possiamo cacciarli.
Certo che non possiamo, spiega la preside. Li concentriamo in alcune sezioni, e in altre ne teniamo uno o due: così restiamo competitivi con le private. Ecco la lista dei genitori che hanno già versato il bonus. Lei sa dove metterli.
Che dice? Razzista io? M’offende. Se un giorno venisse un facoltoso contribuente islamico - e un giorno verrà - io una classe-madrasa gliela apro senza problemi. I soldi non han razza, né religione.
La scuola del merito e dei bonus: una simulazione
20-05-2015, 01:301500 caratteri, Renzi, scuolaPermalinkAl che candido replichi che certo potresti aiutarlo, se studiasse di più e cerbottanasse meno palline di carta. Dovrebbe cambiare atteggiamento. E il preside paziente a spiegarti che è un po’ tardi per cambiare atteggiamento; si fa giusto in tempo a cambiare i voti, sennò Pierini jr rischia d’essere bocciato e suo padre lo iscriverà a un’altra scuola. Così niente lavagna interattiva a settembre. Ci siamo capiti?
Tu lo guardi sorpreso ed è evidente che no, non vi siete capiti. E lui, sospirando: ma ha capito chi è l’ing. Pierini? Lo sai quanto ci può devolvere in school bonus? Vuole rinunciare ai suoi soldi perché il figlio è deficiente? È una disgrazia, ma è anche un’opportunità. Così riusciamo a metter via i soldi per la lavagna. Non mi dica che non le piacerebbe una lavagna.
E non la prenda in questo modo. Non era questo che vedevo in lei. Vedevo un giovane abbastanza intelligente e disperato per capire ed eseguire i miei ordini. Ci rifletta: tra il figlio scioperato di un papà ricco e generoso e un giovane docente inflessibile, di chi posso fare a meno a settembre?
Max è ancora Max (più matto che mai)
19-05-2015, 13:45cinema, Cosa vedere a Cuneo (e provincia) quando sei vivo, fb2020, futurismiPermalinkMAD MAX 4: THE MEGAN GALE REDEMPTION. |
Alcuni lo davano per morto, che era la conclusione più logica visto il mondo là fuori. Per quanto altro tempo avrebbe potuto vagare di oasi in oasi, scappando da questo e da quello, col suo magnetismo animale per i guai? Qualcuno prima o poi se lo sarebbe pur mangiato - non prima di averne spremuto il prezioso sangue - per spolparne le ossa e distillarne idrocarburi. Non è il destino di tutti, in fondo?
Altri non si rassegnavano, e col tempo ci avevano imbastito una religione. Avrete notato che funziona quasi sempre così. C'è gente che continua a ricordare un passato, e sperare che prima o poi le cose si sistemeranno, qualche radiazione si dimezzerà, la pioggia non sarà più così acida e la terra ricomincerà a sputar semi buoni da mangiare. È l'idea del paradiso, che a ben vedere crea solo illusioni, civiltà e ogni altra sorta di problemi. Per alcuni è un luogo nel tempo, per altri nello spazio: un walhalla da qualche parte in cielo, o un'oasi al di là della salina. Se hai benzina per duecento giorni di viaggio arrivi ai cancelli dell'Eden: là hanno i prati verdi per giocare a golf e le televisioni con gli show, e state a sentire, per alcuni George Miller è salito su un aereo ad alta quota ed è fuggito laggiù e fa il regista di show con gli animali. Maialini parlanti. È una leggenda così stramba che rischia di essere vera, perché andiamo, chi sarebbe così pazzo da inventarsela? Maialini parlanti, e poi cosa? Pinguini ballerini? (Continua su +eventi!)
Io sono di quelli che non credono né a una versione né all'altra. Per me il pazzo George non è morto e non è in paradiso ad animare cartoni. Secondo me è semplicemente da qualche parte nell'outback radioattivo, che continua a girare in tondo e fuggire dai suoi incubi di medico della mutua australiano che disinfettava le piaghe dei motociclisti. Ogni tanto scappa da qualcuno che lo vuole mangiare, ogni tanto salva donne e bambini da un prepotente. In realtà ormai donne e bambini sono mutati abbastanza da difendersi da soli, e non c'è Fanciulla in Pericolo che all'occorrenza non sappia caricare un ak47 e usarlo, se le rompi le ovaie. Però il pazzo George continua in qualche modo a salvare e scappare: è il suo destino. Secondo i vecchi calendari dovrebbe avere più di 70 anni, ecco anche a questo io non credo: il tempo è fuori i cardini da un pezzo, e il vecchio George non conosce un tempo che non sia l'altro ieri. Il mondo può appassire più o meno rapidamente, ma lui è ancora in giro a scappare e sparare e sbandare e ingrugnire, e da questo lo riconoscete incontrandolo: dalla scia di sangue non digitale che si lascerà dietro. Oppure sarà davanti a voi, e in quel caso alzate le mani e sbarrate gli occhi, non è il caso di opporre resistenza. Lui non usa chroma-key, lui puzza di latte e benzina e sudore polvere da sparo e no. Era il migliore all'inizio dei tempi; e a differenza dei tempi, non è peggiorato. L'ultraviolenza distopica degli anni '70, l'immaginario post-bomba anni '80, l'ipercinesi della generazione millennial, per lui sono una sola cosa, un unico film, un solo inseguimento.
Se lo incontri e hai bisogno di lui, non offrirgli baci, sa di non meritarli. Il latte materno per lui non ha sapore; ancora più dell'acqua, quel che cerca benzina e munizioni, munizioni e benzina. Non ti aiuterà per amore o per giustizia, ma perché ha una gabbia davanti agli occhi e pensa che tu forse puoi staccargliela. In un mondo di pazzi innamorati della morte, lui non è meno pazzo degli altri; ma ha scelto di sopravvivere. Chi gli farà cambiare idea non è ancora nato.
Al Cinelandia di Borgo S. Dalmazzo (20:20, 22:40 in 2D, oppure, in un inutile 3D, alle 20 e alle 22:35). Sempre in 2D al Fiamma di Cuneo (21:10); al Multilanghe di Dogliani (21:30); ai Portici di Fossano (21:15); al Cinecittà di Savigliano (16:00, 18:10, 20:20, 22:30).
Tradurre è un mestiere per signorine?
19-05-2015, 01:30editoriaPermalinkNon ricordo molto del corso, a parte un paio di ragazze che lo frequentavano, e una battuta che a un certo punto fece un relatore: uno dei requisiti essenziali per fare una buona traduzione, spiegò, è avere un marito ricco. Presi nota. Se vado a vedere i miei appunti dell'università e oltre, ci trovo tante battutine argute, troppe. Oggi è la classica cosa che ritwitterei, pentendomi in mezz'ora. Rientra in una concezione un po' sessista del laureato in materie letterarie come "signorina di buona famiglia" che compie gli studi più per tenersi impegnata e incontrare persone interessanti che per reali esigenze economiche. Io purtroppo qualche tipo di esigenza del genere cominciavo ad avvertirla.
Ho smesso molto presto di fare traduzioni, benché l'attività in sé abbia di tutto per piacermi: sei da solo davanti a un testo e lo riscrivi, è meraviglioso (avendo tutto il tempo e i dizionari del mondo). Purtroppo farlo per mestiere significava per me accettare scadenze impossibili, vegliare tutta la notte scrivendo cose che al mattino risultavano indecenti, odiare i propri limiti e (soprattutto) non guadagnare abbastanza. Così dopo un po' ho smesso. Nessuno si è perso niente.
Questo non è un pezzo sul fallimento di ISBN edizioni. Non avrei nulla di originale da dire - quando un'impresa fallisce, molte persone si fanno male. Succede tutti i giorni, peraltro: non è strano che faccia più notizia una piccola azienda che smercia parallelepipedi di carta rilegata rispetto a una qualsiasi altra industria? Qualche mese fa fu Renzi, mi pare, a spiegare che negli Usa è diverso; negli Usa fallire è normale, una cosa che succede a tutti, si fallisce e poi si riparte, ecco, magari è davvero così - resta il fatto che i creditori fanno un bagno. A un certo punto Coppola si lascia sfuggire che gli stampatori avrebbero molti più motivi per protestare dei traduttori. Ma sono imprenditori, non intellettuali: quindi hanno una percezione del problema che il lavoratore cognitivo, magari fresco di laurea, non ha (e meno tempo da perdere su twitter?) Sanno che ogni contratto nasconde una percentuale di rischio: che su nessuno possono confidare al 100%, e in particolare su un editore di nicchia.
Il lavoratore cognitivo è l'anello più debole: ammesso che si renda conto del rischio, lo corre lo stesso perché è "un'occasione da non perdere", o perché non c'è altro all'orizzonte. Anche il fatto di essere in molti casi sottopagato - l'evidenza di avere un bassissimo potere contrattuale - non lo mette in guardia più di tanto. Del resto là fuori c'è sempre qualcun altro che può fare il lavoro che tu non accetti. L'anno scorso, mi pare, ci fu una lunga campagna per convincere cognitari e stagisti a non lavorare gratis, interessante se non altro per come fraintendeva un banale principio dell'economia: se da una parte università e corsi di giornalismo e scrittura creativa sfornano centinaia di migliaia di giovani apprendisti intellettuali disposti a tutto per "farsi un nome", hai voglia a far le campagne. Come puoi impedire loro di soffiare il lavoro ai penultimi arrivati? È cultura, è immateriale, non puoi fare picchetti all'ingresso. Puoi 'sensibilizzarli'. Cioè puoi trasformare una questione economica in un problema etico. Ma funziona? Con me non funzionerebbe - perché uso il condizionale? Con me non ha funzionato.
Veltroni profeta del Renzismo
17-05-2015, 22:03Pd, Renzi, VeltroniPermalinkL'istrionismo del personaggio pubblico WV, il suo eterno baloccarsi tra cinema tv musica e letteratura, rischia di occultare l'importanza del suo ruolo politico, in una fase circoscritta ('07-'08) ma cruciale della storia d'Italia. In quei mesi, e solo in quelli, Veltroni non è il pacioso personaggio al quale in fondo siamo tutti affezionati. Ha una vocazione, una missione, un messaggio: e chi non è con lui è contro di lui. Il renzismo è ancora invisibile all'orizzonte, ma Veltroni lo percepisce e grida nel deserto: dirigite viam Domini. Non è un semplice leader: non propone un programma di governo, ma un nuovo regno di rettitudine che deve esistere, per prima cosa, dentro di noi. L'antiberlusconismo non è negato, come potrebbe sembrare superficialmente, ma trasferito completamente nella sfera della nostra coscienza: è qui che dobbiamo negarlo, rifiutarlo come fonte di ogni male. Se rinunceremo al Berlusconi che è in noi, non vi sarà più Berlusconi sulla terra, e finalmente il bene trionferà. La banale presenza in terra di un Berlusconi in carne e ossa e milioni coi quali può corrompere i senatori è minimizzata: quello non è così importante, è solo un epifenomeno che svanirà non appena ci saremo purificati.
Non è stato il Berlusconi reale a batterci - come avrebbe potuto? È solo mera apparenza, la forma che prende la punizione che ci autoinfliggiamo in quanto peccatori. Non siamo stati sconfitti perché perdevamo le elezioni contro un tycoon che giocava sporco. Siamo stati sconfitti perché siamo un popolo di dura cervice: cattivi, rissosi, indisciplinati, settari (e guardate che non sto negando che siamo stati indisciplinati o settari: ma a partire da Veltroni questa diventa la giustificazione di tutto quello che ci è successo, a prescindere se Berlusconi violi la par condicio o no, vari leggi elettorali anticostituzionali o no, corrompa guardie di finanza o no, eccetera).
Il battesimo che ci propone Veltroni è molto semplice: un nuovo partito (Pd), un nuovo strumento di investitura popolare (le primarie). La via che ci indica è anch'essa abbastanza lineare: come possiamo sopprimere il male che è in noi? Abolendo i partitini. Sono loro che ci hanno condannato all'esilio nel deserto: lasciamoci alle spalle (in ciò Veltroni mostra anche una perversa astuzia: contro Berlusconi forse non può vincere, ma contro i partitini sì).
Ma anche questa è una narrazione insoddisfacente, perché a conti fatti Veltroni non chiuse affatto le porte ai partitini, e anzi le spalancò ai due meno affidabili: Radicali e Italia dei Valori. I secondi li accolse in coalizione, i primi addirittura nelle liste del Pd, offrendo nove collegi sicuri a un gruppetto che non avrebbe avuto i numeri per eleggerne nessuno. Era abbastanza ovvio che appena arrivati in parlamento i radicali avrebbero fatto di testa loro, salvando in un paio di occasioni una maggioranza traballante. Ma con l'IdV andò persino peggio: il partito che nel 2006 aveva espresso De Gregorio, due anni dopo portò in parlamento Scilipoti. Il primo fece cadere Prodi nel 2008, il secondo salvò Berlusconi nei giorni più bui del 2010, quando persino Fini scappò dalla corte dell'amico della nipote di Mubarak. La storia insomma dimostra che i partitini erano davvero inaffidabili, e che Veltroni non avrebbe avuto così torto a sbarazzarsene - ma non lo fece.
Guerra di religione nell'intervallo
17-05-2015, 10:051500 caratteri, delitti e cronaca, religioni, scontro di civiltà, scuolaPermalinkA quel punto è intervenuta la Merdy di III R (ripetente), che pur non sapendo cosa fosse un istrice, né la Johansson, né un emisfero, né un Oscar, né dove si trovasse in quel momento, ha pestato la Pippi perché ehi, in quel corridoio se vuoi menarti devi chiedere a lei, non è che puoi graffiar bambine senza invitarla. Ma sbagliava corridoio, quindi la Gwanda di II W è andata a dirlo al fratello, il quale disprezzando i litigi tra femmine e gli sfregi che procurano ha deciso di non intervenire direttamente, bensì sgonfiando la bici della colpevole; e non capendo chi fosse esattamente, non riuscendo a districare la catena di cause ed effetti dalla Pippi alla Cacchi alla Merdy, ha sgonfiato un’intera rastrelliera, quaranta ruote, Dio è grande e riconoscerà le sue.
A quel punto voi avreste mandato il fratello di Gwanda dal preside, ma bisogna prendere appuntamento, del resto ha otto plessi, così ho pensato di chiamare i giornalisti. Sì, perché il ragazzino è musulmano, e invece di Dio è grande ha detto Allah Akbar. E quindi capite, lo scontro di religioni, di civiltà - chi l’avrebbe detto che il nostro quarto d’ora di celebrità sarebbe stato quello dell’intervallo.