Dovevate lasciarlo su Marte (ovvero: e se The Martian fosse il prequel di Interstellar?)

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Qualche anno più tardi, quando sulla Terra le piante cominciarono a morire devastate dalla Piaga, e la NASA scoprì un wormhole al largo di Saturno, l'ex Marziano fu tra i fautori delle missioni Lazarus: l'umanità avrebbe potuto trovare una patria in una nuova galassia. Il Dottore fu tra i primi a partire in esplorazione...

Interstellar
Avevamo lasciato Matt Damon in un casco d'astronauta, mentre rischiava di estinguere l'umanità per tornare a casa. Lo ritroviamo in un casco non molto diverso, mentre le prova tutte per salvarsi. Cosa fai quando per errore ti lasciano solo su Marte? Ti lasci morire di sete o esplodi mentre provi a produrre acqua dalla combustione dell'idrogeno? Muori di fame o concimi un orto di patate con la tua stessa merda? Ti rassegni al freddo dell'universo o ti adegui a scaldarti con le scorie radioattive? Fai testamento o implori via radio che spendano l'equivalente di diversi prodotti interni lordi nazionali per venirti a riprendere?

Mark Watney sembra non avere dubbi. Lui ha il diritto di vivere, Marte non collabora ma dovrà adeguarsi. Nel suo diario di nove mesi non c'è spazio per la disperazione, né per la manifestazione di un minimo dubbio esistenziale: ma valgo davvero la pena? Cos'è alla fine la mia vita, perché i colleghi ne rischino molte di più per salvarmi? Perché la NASA sconvolga il suo programma spaziale, e la Cina rinunci ai suoi segreti scientifico-militari? Sul serio sono così importante? Così insostituibile?

(continua su +eventi, sì! la rubrica cinematografica più ignorante della provincia di Cuneo è tornata!)

Se solo Interstellar fosse arrivato dopo The Martian – se il progetto avesse languito per qualche mese in più sulla scrivania di Spielberg prima di finire nelle mani di Nolan – forse oggi avremmo un elemento in più per amarlo: potremmo immaginarcelo come un sequel del film marziano di Ridley Scott, in cui Mark Watney si ritrova di nuovo solo, stavolta in una galassia perduta – e stavolta sbrocca davvero. La stessa ostinazione a vivere che lo ha portato a scaldarsi con gli isotopi del plutonio e mescolare la merda dei compagni, e a farsi saltare in aria su un razzo decappottato – non è la stessa forza cieca che nell’altro film lo spingerà a truffare i compagni, e l’umanità, per un banale istinto di sopravvivenza? Dopodiché, d’accordo, The Martian è un film più compatto e sicuro del film di Nolan – nonché scientificamente inappuntabile – però dopo due ore di umani che collaborano, che non si fanno mai prendere dalla disperazione, che prendono continuamente decisioni all’unanimità, e sono sempre le decisioni giuste – dopo due ore del genere, vien voglia davvero di rivalutare gli astronauti di Nolan che invece fanno errori su errori per rimediare ad altri errori: astronauti che litigano, che non vanno d’accordo, che nelle proprie equazioni non riescono a eliminare pulsioni come l’amore o il senso di colpa. Astronauti più simili a quelli quasi veri di The Right Stuff di Kaufman: superuomini non immuni da sentimenti come l’invidia o il panico.

Certo, se un giorno andremo davvero su Marte, ci farà molto comodo poter contare su uomini come Mark Watney: dei Fonzie interplanetari che trovano sempre una via di uscita e non se la prendono mai. Ma dovremo essere anche pronti a sacrificarli – ed e qui che The Martian svela la sua debolezza: è la ricostruzione molto realistica di uno scenario inverosimile. Un astronauta perso, è perso. Nello spazio ogni risorsa è incredibilmente preziosa, e la tua lotta per la sopravvivenza, per quanto eroica, non può costare milioni di dollari ai contribuenti. Al cinema, beh, al cinema è diverso.

The Martian (in italiano Sopravvissuto) è al Cityplex di Alba (20:45), al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo (in 2D alle 20:30 e alle 22:35; in 3D alle 21); ai Portici di Fossano (in 2D alle 18:30 e alle 21:15); al Cinecittà di Savigliano (in 2D alle 21:30); all’Impero di Bra (in 3D alle 22).

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Volevi vedere la frontiera?

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Stasera alle 21:10 su SkyTg24 (in chiaro sul 27 del digitale terrestre) passerà la seconda puntata di Cronache di Frontiera, "una narrazione in presa diretta, senza alcuna intermediazione giornalistica o documentaristica, della vita in una periferia romana, particolare per le sue peculiarità, ma in realtà uguale per tensioni sociali e paure a quella di molte altre città italiane". Così la cartella stampa.

Per me si tratta semplicemente di un bel documentario su una periferia un po' meno disagiata e stereotipata del solito, girato la scorsa primavera e montato con una dovizia di mezzi che ormai è merce rara (con tutto il rispetto per Zoro e per i reportage che riesce a mettere assieme con una handycam). C'è la questione della immigrazione in quasi tutte le sue sfaccettature: la mancata integrazione, la concorrenza sleale, la xenofobia che ne deriva, i problemi della seconda generazione, e altre cose che ancora non si sono viste - ma fin qui promette davvero bene. La prima puntata si può vedere qui: alcuni dei personaggi dovrebbero tornare nelle prossime tre (ci spero parecchio perché alla fine non ce n'è uno che non muova a simpatia). Se i talk vi hanno un po' stancato, e vi punge la curiosità di sapere cos'è questa realtà di cui tutti parlano - Cronache di Frontiera mi sembra un buon punto di partenza. Canale 27.

(Sì, sarebbe una di quelle cose per cui si dovrebbe pagare il canone).
(Invece offre Sky).
(Il canone poi saranno 8€ al mese; è pure sceso dall'anno scorso. Facciamo che ci lamentiamo di cose più interessanti).
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Civati e la battaglia sbagliata, o forse no

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Il Fatto
In questi giorni mi è capitato di scoprire che un po' nei banchetti di Possibile ci speravo. Non ho collaborato e nemmeno firmato; sono contrario ai referendum abrogativi, sia per principio che per strategia - e però mi sarebbe piaciuto, a questo punto dell'anno, congratularmi con Civati per il risultato insperato, in un bel post in cui comunque avrei rimarcato e misurato la mia distanza. Invece la raccolta è fallita, e a me stranamente dispiace.

Adesso potrei prendermela con un aspirante leader che sbaglia tattica e tempi, si aliena le simpatie di quelli con cui dovrà giocoforza allearsi, consumando le energie preziose dei suoi attivisti. Ma non ci riesco. Un po' perché ho la sensazione di averne già lette diverse, in giro, di analisi di questo tipo - mescolate a sfottò da ultras, del resto la formazione culturale del commentatore politico medio è quella. E un po' perché davvero, che altro poteva fare Civati, se non provarci? Tutto quello che ha fatto fin qui ha una sua logica, che purtroppo non è la logica che ti fa vincere le elezioni, ma pur sempre logica è. Dopo il disastro elettorale del '13 si è ritrovato all'estremità del PD - sullo squarcio vivo del bastimento che affondava. Aveva un senso improvvisarsi pontiere con i grillini, ed era inevitabile che questo lo rendesse inviso ai sacerdoti dell'ortodossia del M5S. Nel frattempo il relitto trovava un nuovo assetto intorno a Renzi, e il suo ex compagno di strada si ritrovava all'estrema sinistra: una posizione inedita per lui, forse mai cercata, ma mantenuta con una certa dignità. Era inevitabile che Civati cercasse di tenere alta la bandiera del dissenso interno, anche se le primarie andarono abbastanza male; era inevitabile che la fuoriuscita del partito, minacciata innumerevoli volte, diventasse una scelta obbligata.

Una volta precipitato nella scena un po' ridicola dei partitini di sinistra - una scena che varrebbe anche il 10%, se finalmente trovasse un progetto serio - che altro poteva fare se non tentare il colpaccio? Le speranze di raccogliere le firme durante l'estate erano senz'altro troppo ottimistiche (tarate probabilmente sulle città, e non sui piccoli centri di cui è fatta l'Italia): l'idea che poi un exploit del genere avrebbe obbligato il governo ad accorpare referendum ed elezioni amministrative era nel caso migliore una pia illusione (nel peggiore, si è abusato della credulità dei volontari). Però davvero, che altro poteva fare? Almeno ha messo fuori i banchetti. Era forse il periodo peggiore dell'anno; i quesiti potevano essere migliori; e il tanto sbandierato entusiasmo di chi ha aderito meritava di cimentarsi con un obiettivo più realistico.

I referendum abrogativi, mediamente, sono un pacco - è come giocare contro il banco, tu ti danni a raccoglier firme e ad autenticarle, poi ti sbatti a far campagna per il Sì, e anche quando vinci, quasi sempre la maggior parte degli italiani non è venuta a votare e quindi in realtà vince il tuo avversario - quello che per tutto il tempo magari è stato lì seduto a non far niente (al limite a controllare che tv e giornali non parlassero troppo di te). In sostanza ci si spezza la schiena per portare legna al proprio avversario. Non è raro sentir citare le Termopili.

Mi dispiace che gli attivisti di Possibile abbiano buttato via tanto tempo ed energia, ma ricordo che se invece fossero riusciti nel loro intento, avrebbero prevedibilmente regalato a Renzi una splendida opportunità per dichiararsi vincitore di una sfida nemmeno combattuta: come fece Berlusconi all'indomani del referendum sull'art. 18 (2003) o i vescovi dopo quello sulla fecondazione assistita (2005). D'altro canto.

D'altro canto prima o poi si andrà a votare - con l'Italicum, ormai - e se Renzi non passa al primo turno, i tanto bistrattati e litigiosi personaggi a sinistra del PD si troveranno in una situazione curiosa. Renzi avrà bisogno dei loro elettori. In quel momento forse scopriremo che non esiste un algoritmo elettorale in grado di eliminare il trasformismo, e che avere mantenuto una posizione, una presenza coerente, un nocciolino duro di adesioni, può renderti un interlocutore privilegiato. In quel momento forse Civati sarà una figura più nitida di altre, e questi due mesi di banchetti gli saranno serviti a qualcosa. Non proprio a combattere Renzi, no, ma comunque a qualcosa. Gli sfottò con cui lo subissano oggi sono pur sempre un attestato di esistenza. Magari un giorno qualcuno se li dovrà rimangiare, in nome di un fronte comune contro il grillismo o il fascio-salvinismo o chissà cos'altro.

Confido che in quel giorno eventuale, Civati non si dimenticherà dei volontari che mandò a combattere la battaglia sbagliata (non parlo di me, io ero al mare).
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Domenica sono a Perugia (liberate il drago)

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Ciao a tutti, volevo dirvi che domenica do il mio contributo all'allegro settembre festivaliero (ormai agli sgoccioli) partecipando alle celebrazioni di San Michele di Perugia, con un intervento su come si ammazzano i draghi. Si parlerà ovviamente di angeli - anzi arcangeli - di riti misterici, pestilenze e altre eccitantissime cose che mi verranno in mente. L'appuntamento è alle 11 presso 11 presso la biblioteca di San Matteo degli Armeni. Perlomeno qui è scritto così. A presto.

(Poi forse mercoledì vado qua, ma non dovrebbero inquadrarmi, tranquilli).
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Spero che Erri De Luca non sia un buffone

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Nel novembre del 1913 l'avvocato Mohandas Karamchand Gandhi organizzò una marcia di protesta di lavoratori indiani in Sudafrica, durante la quale fu arrestato almeno tre volte, e infine condannato a nove mesi di reclusione. In questa e in numerose altre circostanze (Gandhi entrò e uscì di galera per tutta la sua vita), l'avvocato non si difese invocando una qualche libertà di opinione. Di solito, davanti ai giudici, si dichiarava colpevole. "I miei affari migliori li ho sempre fatti dietro le sbarre", diceva. Di ritorno in India si consolidò una prassi: lui protestava, gli inglesi lo incarceravano, lui digiunava, gli inglesi lo liberavano.

Quando nel 1967 la Corte Suprema bocciò il ricorso del reverendo Martin Luther King e stabilì che doveva tornare in prigione a Birmingham, Alabama, a causa di quelle manifestazioni non autorizzate che aveva organizzato quattro anni prima, MLK scrisse che la sentenza gli sembrava stabilire un precedente pericoloso, ma che comunque in prigione ci sarebbe tornato volentieri. “Il nostro obiettivo, quando pratichiamo la disobbedienza civile, è richiamare l'attenzione su un'ingiustizia o su una legge ingiusta che vogliamo cambiare": e non c'è niente che richiami l'attenzione meglio di subire una detenzione - specie quando non hai mai fatto o detto niente di violento in vita tua. È il caso dell'avvocato Gandhi, del reverendo King, ma non è il caso dello scrittore Erri De Luca, che di cose violente ne ha pur fatte e dette, molto prima di giustificare i sabotaggi dei No Tav; De Luca che in seguito sembra aver cercato in qualche modo di minimizzare la questione, spiegando che "sabotaggio" può voler dire tante cose, non tutte illegali; De Luca che comunque ha detto che, se sarà condannato, andrà in prigione e non chiederà un appello, il che gli fa onore.

Invece, sapete chi secondo me non gli sta facendo onore? Tutti quelli che credono di difenderlo invocando la libertà di espressione. Come se fosse un vignettista qualsiasi, un innocuo autore satirico. Tutti quelli che di fronte all'evidenza (c'è uno scrittore che dice che la TAV è una truffa, e che sabotarla è giusto), si distraggono: e invece di porsi il problema del TAV, di addentrarsi nei noiosi raffronti tra costi e benefici, si mettono a osservare il prestigioso dito di Erri De Luca. Con una specie di reverenza che in realtà è un'offesa: lui è uno scrittore, un intellettuale, e quindi può dire quello che vuole. Apologia di reato? Non si dovrebbe applicare agli scrittori. Istigazione a delinquere? Solo se chi istiga non ha pubblicato almeno un romanzo.

Io non ho un'opinione molto sicura sulla TAV. Mi piacerebbe andare a Parigi in treno in giornata, ma sospetto fortemente che questo mio capriccio costerebbe troppo ai contribuenti italiani: che tutte queste spese non saranno ammortizzate se non dalla generazione dei miei figli o nipoti; che nel frattempo l'unico affare lo avranno fatto appaltatori e appaltanti. Più che dei giornali italiani tendo a fidarmi della Corte dei Conti francese; mi lascia perplesso il voltafaccia di quel senatore Pd che per anni ha difeso la TAV finché improvvisamente si è accorto che costerà almeno il doppio di quel che gli avevano sempre detto. Non sono un sabotatore, non invito ai sabotaggi, ma non escludo che un domani i sabotatori della TAV siano ricordati in una luce diversa. Non credo che siano avidi lettori di Erri De Luca, e che le dichiarazioni di quest'ultimo li abbiano particolarmente spronati - trovo quasi ingenua la fede del Pubblico Ministero nella letteratura italiana contemporanea: nella capacità degli scrittori italiani di stimolare, se non un dibattito, almeno qualche atto vandalico. Ma da quello che avevo capito da piccolo la disobbedienza civile si pratica così: si individua un'ingiustizia, una stortura della legge; si attira l'attenzione; ci si fa arrestare. Non si invoca la libertà di espressione, o l'appartenenza a un qualche albo professionale.

Se Gandhi avesse piagnucolato che i suoi inviti alla rivolta erano da intendersi come poesia e non prassi, sarebbe rimasto un perfetto sconosciuto. Se Martin Luther King avesse reclamato il diritto di dire qualsiasi cosa perché era un pastore battista, ci sarebbe sembrato un fanatico. Se pensate che esista un mestiere che ti consente di dire quel che ti pare senza pagarne le conseguenze, avete ragione: ma non si chiama intellettuale. Si chiama buffone di corte. Spero che De Luca non lo sia.
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L'estate che verrà (coi suoi scontrini)

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Buongiorno, mi chiamo Leonardo e non tutti sanno che ho il dono della profezia. Fu Apollo, una sera che aveva bevuto. Premesso ciò, vi vado a illustrare cosa succederà nel luglio 2016, quando molti miei colleghi insegnanti, dopo aver liquidato i loro studenti, cominceranno a raccogliere gli scontrini per la rendicontazione delle spese di formazione, ai sensi del comma 4 dell'articolo boh del decreto legge che Renzi ha firmato ieri.

E si accorgeranno che i conti non tornano.

Perché magari nove mesi prima la volontà c'era, si erano anche preparati il cassettino, la bustina, il salvadanaio, un posto dove infilare i bigliettini, ma poi c'erano altre incombenze, e gli scrutini, e gli esami, e bisognava anche prenotare per le vacanze, e insomma bisogna tirar fuori 500 euro di spese culturali, cosa ci mettiamo? I biglietti del cinema vanno bene? Che tipo di film? La Pixar è una risorsa educativa? Più o meno di Wim Wenders? Porcaputtana l'avevo ancora in tasca e mi si è sbiadito.

E cominceranno a lamentarsi su facebook.

Non più di quanto si lamenti qualsiasi altra categoria - si lamentano tutti su facebook, perlomeno tutti gli italofoni. Ci si lamenta del tempo, del boss, della salute, delle tasse, del partner se c'è, se non c'è della sua mancanza, ci si lamenta dei figli e del loro discutibile gusto in fatto di cartoni animati. Ci si lamenta di ogni cosa e tra un anno ci si lamenterà di questa legge assurda che ci chiede di tenere 500€ di consumi "culturali" - i biglietti di teatro sì - e i biglietti del treno per andare a teatro? E tanti altri Problemi da primo mondo, ansietà da classe medio-agiata, mentre la fuori c'è chi lotta per la terza settimana, o per tenersi a galla quando si rovescia il barcone.

E ci faremo la figura dei figli viziati, che si stufano a rendicontare la paghetta.

Ma sarà solo l'inizio.

Perché intanto sarà arrivato il torrido agosto, e gli ombrelloni reclameranno il loro tributo di ariose chiacchiere da spiaggia, e chi rimane in città a fare il giornalista (o a fare finta di) dovrà pure dar loro in pasto qualcosa. E noi saremo lì, belli maturi, pronti a cascare nella prima trappola. Così che a Roma, o Milano, o in qualche altra città, prima o poi un cronista qualsiasi metterà davanti un microfono a un insegnante convinto di farci pure una bella figura, mentre si lamenta che questo Ministero che vuole guardare come spendi i tuoi soldi è, boh, ficcanaso? Degno di un regime totalitario? Con un po' di sforzo qualcuno che la spara così grossa lo trovi. In fondo siamo centinaia di migliaia, tutti scazzati mentre mettiamo in fila gli scontrini - qualcuno che sbrocchi lo trovi, è statistica.

Oppure il furbacchione. Quello che si crede brillante mentre spiega di aver rendicontato 500€ in libri a una Feltrinelli, per farseli permutare il giorno dopo in giochi per la playstation. (Che peraltro tra un premio Strega di quelli che danno via oggi e un Grand Theft Auto, qualche dubbio su chi trasudi più cultura potremmo farcelo).

Però alla fine, davvero, io punterei sul coglione che dirà "TOTALITARIO". E sarà subito tormentone dell'estate. Come successe nella torrida estate del 2015, quando tutti sotto l'ombrellone cantavano, vi ricordate? "DEPORTAZIONE". Che hit fenomenale. Che modo fantastico ed economico di sputtanare una categoria di cui fanno persone che ogni anno cambiano sedi a centinaia di km di distanza, affrontando spese ingenti per un tozzo di pane - e poi un giorno ne intervisti una che dice: "DEPORTAZIONE", et voilà, son tutti figli di papà e mammà che pretendono di insegnare sottocasa.

Nel baccano che ne seguirà ci sarà pure qualcuno che proverà a spiegare che tutto sommato ci troviamo davanti a un ridicolo aumento salariale (500€ all'anno, signori, fa 40 al mese), truccato da grande misura per la formazione della classe docente. Classe docente a cui è proposto di spendere i soldi in corsi di formazione o in cofanetti dvd di Guerre Stellari: per il ministero non dovrebbe fare nessuna differenza, il che tradisce una concezione non so quanto gentiliana e quanto semplicemente paracula. Qualcuno ci sarà, che prova a discuterne in questi termini.

Ma non ci farà caso nessuno, staranno tutti ridendo, ahah, sul giornale c'è un prof che si è stancato di raccogliere gli scontrini e si lamenta dello Stato TOTALITARIO.

Quel che fu la brioche per Maria Antonietta - non la disse mai, quella frase, sapete. Gliela confezionarono su misura i suoi nemici. Fu molto più efficace della ghigliottina.

Ciao a tutti, mi chiamo Leonardo e quella sera, se vogliamo dirla tutta, Apollo ci stava a provare. Mi guardava con quell'occhio, sapete, io poi da giovane ero un tipo. Ti offro il dono della profezia, mi disse a un certo punto, e già sbavava sul bancone, puzzava di nettare rancido. Grazie ma domattina mi alzo presto ho un'interrogazione. E va bene disse lui, sai che ti dico? Il dono non posso ritirartelo, ma ci metto una giunta: farai solo profezie di merda. Grazie, grazie, potente dio, delfico Apollo.
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Qui è tutto un museo - le assemblee le fate a casa vostra

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Nell'estate del 2013 l'allora sindaco Matteo Renzi fu protagonista di una pretestuosa polemichetta, allorquando si seppe che aveva concesso alla Ferrari l'uso del Ponte Vecchio per una festa privata. I poveri turisti giunti a Firenze il 29 giugno dovettero trovare qualche altra attrazione - in città per fortuna non ne mancano. Ai poveracci che già allora non trovavano argomenti più interessanti per criticarlo, Renzi fece presente che il ponte era stato chiuso appena per tre ore (in realtà 16 e mezza); non era nemmeno la prima volta (sì, però nelle altre occasioni si poteva almeno entrare con un biglietto, quella volta no: solo su invito di Montezemolo); che in quel modo aveva recuperato 120.000 euro (eppure Montezemolo per l'occupazione del suolo ne sborsò appena 2.489; altri li versò sotto forma di sponsorizzazioni, ma la cifra di 120.000 appare abbastanza esagerata).

È passato qualche tempo.


Ieri il presidente del consiglio dei ministri Matteo Renzi ha scoperto che la cultura italiana è ostaggio di forze avverse in Italia - pare che si tratti di sindacalisti. Santo cielo, che avran combinato quei diabolici nemici dell'ordine e del progresso? La mente vacilla: pare che in seguito a una triste storia di straordinari non pagati, i rappresentanti del personale del Colosseo (non sindacalisti di professione) si siano permessi, ai sensi dell'articolo 20 dello Statuto dei Lavoratori, di convocare un'assemblea in orario di lavoro. Avete capito bene: per tre ore, per ben tre ore, ieri mattina il Colosseo è rimasto chiuso. I poveri turisti venuti da tutto il mondo hanno dovuto ripiegare su altri monumenti - purtroppo come è noto lì in giro non c'è niente per miglia e miglia, solo colline e greggi e paludi fino al raccordo anulare. Una tale vergogna sarebbe mai potuta succedere in altri Paesi? Certo che no.

Grazie a Erik



A parte forse in Francia, ma che c'entra, quelli sono bolscevichi. Ma immaginatevi una cosa del genere nel mondo anglosassone.

Grazie a Chamberlain

Vabbe' comunque da oggi i musei sono servizi essenziali: grazie a un illuminato decreto del Consiglio dei Ministri, non sarà più possibile convocare assemblee in orario di lavoro. L'onore dell'Italia è salvo. Il ministro Franceschini si è affrettato a spiegare che il decreto vale per pubblico e privato, così a questo punto io se fossi Montezemolo trasformerei l'azienda Ferrari in un museo: tanto i turisti li attira già... e se ai dipendenti riesci a togliere qualche altro diritto, è sempre una gran soddisfazione. 

Ps: per Scalfarotto, manco a dirlo, i lavoratori che stanno chiedendo da mesi i soldi degli straordinari sono pazzi, scriteriati e irresponsabili - hanno indetto un'Assemblea senza notificarlo al New York Times.


Grazie a Mazzetta
Vi rendete conto?
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Di Calderoli non si butta via niente

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Quando quattro anni fa l'allora presidente del consiglio Berlusconi si trovò nei guai per una questione di minorenni; quando fu accusato di aver fatto pressioni sui funzionari della questura di Milano perché rilasciassero Karima El Mahroug detta Ruby, la Camera dei Deputati si trovò in una situazione molto imbarazzante. Berlusconi non negava di aver telefonato in questura, ma sosteneva di averlo fatto nell'esercizio delle sue funzioni di premier, in quanto convinto, arcisicuro, che Ruby fosse la nipote del dittatore-presidente egiziano Mubarak.  Su questo singolo punto la Camera fu chiamata a votare il 5 aprile del 2011; su questo singolo punto si pronunciò. La maggioranza dei deputati votò a favore. 318 deputati - per la maggior parte iscritti ai gruppi del Popolo della Libertà e della Lega Nord - affermarono con quel voto che sì, Berlusconi aveva davvero creduto che Ruby fosse la nipote di Mubarak. I loro nomi furono pubblicati, per esempio, dall'Unità, senza altro commento - tanto inappellabile era l'infamia. Molti di quei trecento siedono ancora in parlamento, eppure tante cose sono cambiate.

Due giorni fa il Senato della Repubblica si è trovato in una situazione imbarazzante. Il senatore Roberto Calderoli, che aveva depositato un mezzo milione di emendamenti alla riforma costituzionale, ha insistito perché non si posticipasse un voto su di lui, che nel 2012 in un comizio a Treviglio aveva paragonato l'allora ministra Kyenge a un orango. Un pubblico ministero aveva ravvisato in un simile paragone un'aggravante razziale. Il senato doveva scegliere se autorizzare o no un processo. 196 senatori - 81 dello stesso partito della Kyenge - hanno votato no: per loro non c'è nessuna aggravante razziale nel paragone tra un ministro di origine africana e un orango. Pare che siano cose che capitano nei comizi, un senatore del PD ha dichiarato proprio così:
"le parole pronunciate dal senatore Calderoli vanno valutate nell’ambito di un particolare contesto di critica politica" e "spesso nella satira si paragonano persone ad animali, senza che tali circostanze diano luogo a fattispecie criminose".
Devo ammettere di avere io stesso più volte paragonato Calderoli a un suino, a causa di certi suoi deprecabili costumi. In coscienza, nemmeno io credo di aver dato luogo a fattispecie criminose. Ho ricordi più o meno vaghi di cavalli di razza, topi e rospi, e poi a un certo punto il bestiario ci sembrò inadeguato e arrivammo alle mortadelle. Però, insomma, non ravvedere il razzismo in un paragone tra una donna di origine africana e un orango è un po' grossa. Potrei quasi capirla se dietro ci fosse il nobile intento di salvaguardare la libertà di espressione degli eletti dal popolo: peccato che tra quei 196 senatori ce ne siano parecchi del tutto favorevoli a processare Calderoli per quel che ha detto. Ma solo per diffamazione, senza aggravanti razziste. Insomma, paragonando la Kyenge a un orango, Calderoli l'ha offesa. Però la ha offesa senza razzismo. Senza sobillare il razzismo della platea a cui si rivolgeva. I 196 senatori la pensano così.

Allora mi chiedo: che strada abbiamo fatto dal 2011 a oggi? È peggio una Camera che prende per buona qualsiasi cazzata si inventa l'avvocato di Berlusconi, o un Senato che per mandare avanti un'orrenda riforma costituzionale si tappa le orecchie, gli occhi, il naso per non sentire la puzza di un porco razzista - animale peraltro dal fiuto notevole, tant'è che dopo il voto che l'ha graziato ha prontamente ritirato gran parte degli emendamenti?

Ecco chi ha salvato Roberto Calderoli dall'accusa di razzismo.
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The Great Game

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Ai lettori di Libero che in stragrande maggioranza si sono detti favorevoli a un "blitz militare" in India per liberare i marò vorrei esprimere i sensi della mia commozione, accompagnati alla speranza che una così meravigliosa fiducia nelle capacità delle forze armate italiane non sia mal riposta.

La mia obiezione non riguarda tanto i dettagli del piano (un po' vecchiotto), né l'eventualità di una crisi diplomatica che in caso di intervento militare non potrebbe che portare a un conflitto con una nazione di un miliardo e alcune centinaia di milioni di abitanti - del resto, immagino che lettori e redattori di Libero non si nascondano l'entità dalla sproporzione tra noi e l'Unione Indiana. Forse però non hanno riflettuto con la dovuta attenzione sul vecchio adagio che dice: il nemico del mio nemico è mio amico. Senz'altro possiamo muovere guerra a una potenza nucleare popolosa come venti Italie - per il nostro onore questo e altro - ma così facendo non rischiamo di farci... degli amici? Pensiamoci bene. Chi è l'eterno rivale dell'Unione Indiana? Chi ha combattuto contro di essa praticamente sin dal giorno dell'indipendenza, trascinando una disputa territoriale e religiosa per più di settant'anni?

Il Pakistan.

La seconda nazione musulmana più popolosa del mondo - l'unica nazione islamica membra ufficiale del club nucleare. Sul serio vogliamo averla come amica? Quelli che hanno ospitato Bin Laden mentre Bush lo cercava sotto ogni singolo sasso dell'Afganistan. Sul serio vogliamo allearci con loro? Eppure è chiaro che se attacchiamo l'India, spezzandole inevitabilmente le reni, i pakistani non esiteranno ad approfittare del collasso del suo apparato difensivo e ad occupare il Kashmir. Sul serio gli stimati lettori di Libero vogliono questo? Le mani degli islamici sulle pregiate capre da maglione?

Io credo di no.

Con questo non voglio dire che un blitz militare contro l'India non vada portato a termine: ma va calato in un preciso contesto geopolitico. Vale a dire: se attacchiamo l'India bisogna che attacchiamo anche il Pakistan. Par condicio. Del resto la nazione che può permettersi di muovere guerra a una potenza nucleare di un miliardo di abitanti, che difficoltà dovrebbe avere contro un'altra potenza nucleare di appena 180 milioni? Facciamo trenta, tanto vale far trentuno. Tanto più che a Suez hanno appena aperto la seconda corsia. Da lì è tutto dritto fino ad Aden, poi si divide la flotta in due spezzoni. La Cavour col grosso dei sottomarini procede spedita verso il golfo di Bengala; la Garibaldi con un po' di cacciatorpediniere si attarda nel Mar d'Arabia, finché nell'ora x -

Un momento.

Non credo che a Libero ignorino la cosa. Se spezziamo le reni all'India e pugnaliamo contestualmente le spalle al Pakistan, se davvero decidiamo di umiliare i due storici litiganti... c'è il grosso rischio che il terzo goda. E sappiamo tutti qual è il terzo, no?

Il Bangladesh. Appena 156 milioni di abitanti, su un territorio più piccolo dell'Italia e prevalentemente paludoso - pane fradicio per i denti dei nostri Lagunari. E va bene.

Ricapitolando: si passa per Suez, si sbarca in Pakistan, si marcia spediti verso l'Indo - nel frattempo la Folgore potrebbe occupare Sri Lanka e Maldive per prevenire eventuali interferenze nello spazio aereo. Se abbiamo un tris di carte si può fare, io non temporeggerei. E se i dadi ci dicono bene, si può anche provare ad attaccare il Siam.

Con tre carri armati.
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Gli imperi recalcitranti

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Essere Kaiser oggi. 
Non la piccola Ungheria gelosa di una sua qualche identità e del po' di benessere che è riuscita a strappare alla fine del Novecento; non la sottile Danimarca, che fino a ieri ci veniva venduta come un modello di società flessibile e replicabile - salvo bloccare flessibilmente i treni di fronte alla minaccia di qualche migliaio di profughi. Non le province del Mediterraneo, Spagna Grecia e Italia, che temono i migranti come si temono i parenti poveri. Solo la Germania poteva decidere di fregarsene di Bruxelles e aprire la porta ai rifugiati, e finalmente lo ha fatto. Non è stata semplicemente una scelta giusta; è stata una scelta imperiale.

La Germania è al centro dell'Europa, di cui è il Paese più ricco (per PIL) e popoloso. È normale che sia anche al centro del bersaglio di chi di quest'Europa è insoddisfatto: e sono sempre di più, e non hanno tutti i torti. Ma tra tante accuse, quella di imperialismo è la meno sensata. Si potrebbe serenamente sostenere il contrario: quel che è mancato fin qui alla Germania, ai suoi governanti e ai suoi abitanti, è proprio una visione imperiale del problema europeo.

Abbiamo tutti studiato abbastanza Novecento per indovinare il perché: diciamo che dopo due guerre mondiali e durante un lacerante stallo di quarant'anni, i tedeschi hanno rinnegato quella posizione dominante che pure appare inevitabile per una questione meramente geografica - sono di più, sono al centro, hanno le materie prime. Potremmo anche spingerci a immaginare che l'ottusa etica del rigore che abbiamo rimproverato ai tedeschi sia il risultato di questa rimozione: se i nazisti avevano visto l'Europa come una prateria da saccheggiare, i tedeschi del dopoguerra si sono concentrati su sé stessi e sui propri doveri. Da qui la scarsa o nulla empatia nei confronti dei popoli insolventi - un'insensibilità che non ha nulla di imperiale. I tedeschi non vedono nella Grecia una frontiera difficile, da mettere al riparo dalle influenze russe e dalle turbolenze del Medio Oriente. È solo un condomino insolvente, che se smettesse di far baccano, si rimboccasse le maniche e licenziasse la servitù improduttiva, potrebbe ottenere i risultati di qualsiasi altro inquilino - proprio come l'Italia potrebbe diventare la Finlandia o la Danimarca in qualsiasi momento, se solo ci credesse. Basta fare il proprio dovere, stringere la cinghia e pagare i debiti. Una mentalità più Biedermeier che da Quarto Reich. Il fatto che alcuni inquilini siano abituati storicamente a vivere al di sopra delle proprie possibilità è considerato tutt'al più come una questione morale - non il risultato di contingenze storiche ed evidenze geografiche.

Grecia e Italia in effetti sono entrati nel palazzo quando erano avamposti NATO - e tuttora gli americani non riescono a capire perché alla Grecia non si possano condonare i debiti come si fa, diciamo, con Porto Rico. Ma anche l'imperialismo USA sta perdendo i colpi, ed è forse questa la vera crisi che stiamo vivendo, perché diciamolo, nel Medio Oriente che altro c'è di nuovo? Sunniti e sciiti si odiano da secoli, turchi e curdi se le sono sempre date;  tra israeliani e palestinesi è cominciata più tardi ma promette ugualmente di non finire mai. Se però all'improvviso Mubarak crolla, Gheddafi lo segue, Assad quasi soccombe; se nel giro di pochi mesi un gruppo più fondamentalista di altri riesce a piantare bandierine su un pezzo di Iraq e Siria - e nel frattempo Arabia Saudita e Qatar bombardano lo Yemen, insomma, se tanti topolini ballano forse la novità è che il gatto ne ha avuto abbastanza, ha imparato a distillare petrolio dalle rocce di casa sua, ha fatto una pace separata e non troppo onorevole col nemico più pericoloso e si sta disinteressando della questione - col prevedibile risultato di attirare i rivali di sempre.

Tutto questo dev'essere difficile da mandar giù soprattutto per quei commentatori che non si sono mai ripresi dalla sbornia interventista dei tempi di G. W. Bush. Continuano a fantasticare di bombardamenti neanche troppo mirati, di violenze incomparabilmente superiori, come se nel pugno tenessero dozzine di divisioni corazzate, quel che ti capita quando hai venti territori a risiko e un tris di carte, e invece in mano non hanno un cazzo: neanche quei due spicci che riuscivano a passarti ai bei tempi.

Si è scoperto nel frattempo che la guerra di civiltà è un po' onerosa per una democrazia evoluta: che presto o tardi vince le elezioni chi promette di disimpegnarsi - magari regalando un contentino a chi si è affezionato alla narrativa, un grande vecchio da ammazzare in diretta e seppellire in mare, e poi farci un film. Poi magari l'anno prossimo vince un repubblicano e alè, si ricomincia. Ma di tante accuse che possiamo muovere agli USA, la più ingiusta è di aver provocato l'attuale crisi in Medio Oriente col proprio imperialismo. È abbastanza plausibile il contrario: finché hanno fatto gli imperialisti seri l'Iraq tutto sommato lo tenevano. Quando si sono stancati, e hanno pensato che si potevano portare i ragazzi a casa e risolvere tutto con un po' di droni, è successo il patatrac. Quindi è comunque responsabilità loro? Beh, quando sei così grande è sempre responsabilità tua. È un po' il senso di avere un impero. Ma chi vuol essere un impero, oggi?

Non gli USA, non la Germania, anche la Cina sembra spaventata delle sue stesse dimensioni. Solo Putin ha l'aria di tenerci davvero, ma è l'ultimo di cui ci fideremmo. Nel frattempo fa sempre più caldo, siamo sempre di più e non c'è nessuno che sappia cosa fare.

No, scusate, non è vero. Gli ungheresi sanno cosa fare. Alzano i recinti. Buon per loro.
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