Esistono ancora i pirati? Ecco il rapporto dell’International Maritime Bureau

Nel Golfo di Guinea, nelle coste della Somalia e nelle zone contese del Pacifico, gli episodi di pirateria sono ancora molto frequenti

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Una imbarcazione di pirati si prepara all'abbordaggio nel delta del Niger
La pirateria non è stata ancora debellata dai mari del mondo. Esiste infatti tuttora una speciale organizzazione internazionale, l’International Maritime Bureau (Imb), legata all’Interpol ed alla Camera di commercio mondiale, che si occupa specificatamente di monitorare e contrastare gli atti di pirateria compiuti in tutti i mari e che ogni sei mesi compila un dettagliato rapporto che mette a disposizione di tutte le polizie e le guardie costiere del mondo.
Secondo l’ultimo monitoraggio, nei primi mesi del 2021 sono stati compiuti in tutta la terra 68 atti che possiamo definire senza mezzi termini di pirateria. C’è da sottolineare che è un numero in calo. Addirittura il più basso degli ultimi 27 anni. Per fare un paragone, lo scorso anno, nello stesso periodo di tempo, gli atti di pirateria erano stati 98. Anche il numero delle vittime è stato contenuto. Dal primo gennaio al 30 giugno, c’è stato solo un morto: un marinaio del cargo MV Mozart, abbordato il 23 gennaio al largo di São Tomé e Príncipe, mentre si dirigeva a Città del Capo.
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Un pirata davanti ad una nave spiaggiata nelle coste della Somalia
Rimane sempre alto invece il numero di marinai o di passeggeri rapiti dai pirati: oltre una 50 persone nei primi sei mesi dell’anno in corso, stando sempre all’ultimo rapporto dell’Imb. A differenza dei loro antenati che scorrazzavano nel mar dei Caraibi sotto il Jolly Roger – il nero vessillo con il teschio che abbiamo visto sventolare in tanti film – lo scopo dell’abbordaggio dei moderni pirati, più che la razzia della nave, è proprio il sequestro a scopo di estorsione.
I prigionieri vengono trattenuti in luoghi isolati della costa e liberati solo dopo che l’armatore o i familiari delle vittime hanno pagato un sostanzioso riscatto in qualche conto secretato gestito da banche con sede nei numerosi paradisi fiscali. Tanto per fare un esempio, la liberazione dei 15 ostaggi della Mozart, costò alla compagnia turca proprietaria della nave circa 250 mila euro. E se gli abbordaggi sono in diminuzione, non lo è affatto il giro di dollari legato alla pirateria che, sempre secondo il rapporto Imb, è quasi raddoppiato rispetto al 2016, raggiungendo – soltanto per quanto riguarda i rapimenti nel Golfo di Guinea – un giro complessivo di oltre 3 milioni e mezzo di euro.
Ed è proprio questo golfo africano, dove sfocia il grande fiume Niger e dove incrociano la loro rotta le petroliere e le grandi navi cargo che collegano l’Europa con il Sudafrica, il tratto di mare più battuto dai moderni pirati. Seguono nella speciale classifica della pirateria, le coste della Somalia e quindi tanti tratti di mare dai confini contesi del Pacifico Occidentale, come quelli al largo delle Filippine e dell’Indonesia.
La moderna pirateria trova un facile terreno di sviluppo in Paesi costieri poveri e caratterizzati da governi dittatoriali e instabili, come lo sono per l’appunto le nazioni che si affacciano sul Golfo di Guinea. Ai nostri giorni, non esistono più isole della Tortuga e nemmeno Mompracem di salgariana memoria. Le basi dei pirati si trovano sulla costa o appena all’interno delle foci dei fiumi. Secondo i curatori del rapporto, i moderni pirati beneficiano dell’omertà o addirittura del sostegno della polizia e sono legate ai gruppi di potere locali corrotti che garantiscono loro l’accesso ai porti, ai mercati, alle imbarcazioni e alle armi.
In altre parole, i pirati moderni sono ben diversi da quel Sandokan che ha colorato i sogni della nostra adolescenza. Lui, con il governo inglese ci faceva la guerra e non gli affari. E non aveva neppure depositi miliardari nei paradisi fiscali.
 
Fonti foto: CTV News (AP/Farah Abdi Warsameh) e IOl (AP/Farah Abdi Warsameh)